14. La Pensione Annalena, Montale and Co.

Transcript

14. La Pensione Annalena, Montale and Co.
La Pensione Annalena, Montale and Co.
nella dimora del tempo sospeso.
A Tommaso Boni Menato i.m. carlo carlucci Ebbi visione dell’interno della Pensione Annalena di Via Romana, quando lo scrittore Jacques Bertoin, carissimo amico, decise di trascorrervi un periodo di convalescenza dopo un terrificante incidente di moto che lo aveva tenuto mesi in rianimazione. Lo accompagnava la fedele e devota compagna di sempre, Claire Trean. La scelta era in certo modo logistica in quanto situata a pochi isolati dalla mia abitazione in via de’ Serragli. Conoscevo di nome la pensione in quanto accompagnavo quasi tutti i giorni due figli piccoli a giocare nei giardini di Boboli e l’entrata di Via Romana era situata esattamente di fronte ad ‘Annalena’. Il soggiorno degli amici mi rivelò l’interno affascinante, lievemente demodé, romantico al massimo. Terminato il mio lavoro semi notturno al Mercato di S. Lorenzo verso le dieci la mattina facevo visita agli amici e di quel periodo mi è rimasto impresso il ballatoio sul quale si affacciavano le stanze del piano e il sottostante giardino che certo non rivaleggiava con Boboli, ma era di grazia e bellezza discrete, appartate. Su questo balcone vedevo (e ancora vedo) Claire sfasciare il braccio inerte di Jacques per poi massaggiarlo lievemente. La sensazione in qualche modo era che quel luogo unico fosse fuori del tempo e tale mi è rimasto le rarissime volte che mi capita di andare a Firenze e di passarvi davanti. I nuovi proprietari mi hanno gentilmente fatto pervenire un opuscoletto che riporta l’incipit struggente della storia della domus Annnalenae, successivamente convento fondato dalla stessa Annalena una volta rimasta vedova. Il marito, intraprendente e ardito capitano di ventura, per invidia e gelosia in Palazzo Vecchio venne ferito, poi defenestrato e successivamente decapitato, la sua testa esposta su una picca. E’ impresa pressoché impossibile ricostruire tutte le vicende della casa, del giardino (settecentesco) stante i molti rimaneggiamenti dell’area. Quello che resta del convento è situato nell’attigua via del Campucci. La fitta urbanizzazione avvenuta a seguito dell’estendersi di Firenze. Oltre S.Spirito e San Felice in Piazza (dal seicento in poi) rende difficile la ricostruzione ed esatta ubicazione del locus. Quell’ambiente ha cominciato improvvisamente e vorticosamente a girare, nel cuore e nella memoria, da quando ho messo a fuoco grazie a questa semi onnipotenza del computer (vivo secluso su un cocuzzolo nei pressi dell’Amiata) tutto il revival di Montale seguito alla pubblicazione (circa 10 anni fa) delle sue lettere a Irma Brandeis sua musa (a amore) segreta. La vicenda è fin troppo nota: la giovane studiosa di letteratura italiana arriva a Firenze nel ’33 proprio per conoscere, al Viesseux, il Poeta che con i suoi ‘Ossi di seppia’ l’aveva letteralmente conquistata. ‘Montale è bruttino…, quasi insignificante…’ scrive ad un’amica, insignificante rispetto alla sua poesia, ma già il giorno seguente questo contrasto l’avvince e di lì a poco divamperà in passione travolgente ( lei oltretutto è giovane e bella, colta e intelligente). La Pensione Annalena fa da sfondo e da cornice romantica a una storia che nell’arrivederci (un addio in realtà), nel silenzio di entrambi, durerà tutta la vita. L’addio che si verificò quando lei, ebrea, a seguito delle leggi razziali approvate dal fascismo fu costretta nel ’38 a lasciare Firenze. Con lei si imbarcherà anche Giovanna, la figlia diciannovenne della proprietaria della pensione Annalena, la quale poi si sposerà negli Stati Uniti e sarà quella che gli telefonerà un giorno (in INTERNO/ESTERNO ) proprio quando (ma si tratta con tutta probabilità di una fiction poetica) il poeta sta rievocando ( oppure siamo insieme nella veranda/ di ‘Annalena’…)….Ma ora squilla il telefono e una voce/ che stento a riconoscere dice ciao./ Volevo dirtelo, aggiunge, dopo trent’anni./ Il mio nome è Giovanna, fui l’amica di Clizia/ e mi imbarcai con lei. Non aggiungo altro/ né dico arrivederci che sarebbe ridicolo/ per tutti e due…il ricordo è un pezzo di eternità/ che vagola per conto suo/ forse in attesa di reintegrarsi in noi. Così il poeta. Osservavo con l’amico Crescioli, comproprietario di ‘Annalena’, come probabilmente la rievocazione, in una delle ultimissime poesie, conclusiva di una vita e di un legame, il luogo primo di un rapporto incancellabile poteva (eventualmente) gettare una luce retrospettiva su gran parte della sua opera poetica. E così è stato. Irma-­‐Beatrice (fu una dantista di un certo spessore) è nella dedica delle Occasioni, con le iniziali I.B. Una presenza-­‐dissolvenza sempre decisiva proprio a partire dall’autunno 1938, il momento del distacco, con quelle Notizie dall’Amiata che si rivelavano non notizie, ma rappresentazione di un’assenza dentro un mondo che si andava perdendo, già perduto per il poeta Il lemma ermetismo si associa a un significato oscuro, arduo, poco comprensibile. Ma proprio commentando con l’amico Bobi Bazlen i modi o i nodi della sua poesia, Montale affermava di non inventare nulla, di non essere capace di inventare proprio niente, semplicemente che il repertorio di immagini da lui assemblate non rispettava nè la sequenza temporale, nè la contemporaneità spaziale. Prendendo a pretesto appunto queste Notizie dall’Amiata, montagna che in dieci anni di permanenza ho imparato a conoscere, mi provavo ogni volta a decifrare il luogo d’osservazione, l’epicentro delle immagini, giungendo a leggere la poesia a due o tre conoscenti locali che forse avrebbero potuto aiutarmi a identificare il paese amiatino in cui Montale aveva soggiornato. Tutti inesorabilmente mi confessavano la loro incapacità a decifrare, a discernere e soprattutto a collegare spazialmente certi dettagli. La stagione è naturalmente l’autunno (ottobre), i fumi che risalgono il cono diafano sono quelli tipici legati alla castagnatura (vedi i marroni che scoppiettano nel camino), le gabbie sono quelle dei richiami per l’uccellagione durante la migrazione ottobrina. Il campanile fermo sulle due è con tutta probabilità quello di Arcidosso che sembra un campanile ma non lo è affatto. Il borro che riflette l’allucciolio della galassia (è con buona probabilità l’Ente) si scorgeva (ora è nascosto dalla vegetazione) nella piana sottostante Arcidosso. Le occasioni che raccolgono le poesie tra il 1928 e il 1939 sono ancora dedicate alla Brandeis. La cronologia dei ricordi non rispetta la sequenza temporale, ma si conforma al montaggio di immagini, riflessioni che il poeta, accorto, misuratissimo nell’alchimia del patos, sapeva e voleva dare alle poesie. La speranza di pure rivederti/m’abbandonava….distorto e fatto labile,/un tuo barbaglio…e quindi alla poesia seguente…..non conforta i tuoi crucci…./né ti riporta dove più non sei…E alla successiva che conclude…..è ancora/tua vita,sangue tuo nelle mie vene. E ancora nei versi conclusivi della poesia successiva….Luce di lampo/invano può mutarvi in alcunché/ di ricco e strano. Altro era il tuo stampo, laddove continua la consacrazione, l’idealizzazione assoluta di colei che inizia a librarsi nel cuore del ricordo oramai donna angelicata. E così alla conclusione della successiva…Nulla finisce, o tutto, se tu fòlgore/lasci la nube. E ancora a seguire: L’anima che dispensa… dove La tua voce è quest’anima diffusa…..Parlo d’altro/ ad altri che t’ignora…..E quindi ancora a seguire: Ti libero la fronte dai ghiaccioli/che raccogliesti traversando l’alte/ nebulose….laddove….l’altre ombre che scantonano/nel vicolo non sanno che sei qui. Gli altri quindi sono ombre che non sanno di questa luminosa, costante, coabitante presenza (assente). E nuovamente – sempre nei Mottetti, nella parte seconda de Le occasioni -­‐ ne La gondola che scivola….( una gita che fecero a Venezia, probabilmente in occasione del carnevale…)…l’alte porte/rinchiuse su di te e risa di maschere/ che fuggivano a frotte…E nuovamente questa presenza assente ne Il fiore che ripete/dall’orlo del burrato/non scordarti di me,/non ha tinte pù liete né più chiare/dello spazio (l’Atlantico) gettato tra me e te. Quindi la classica, per sempre montaliana imago successiva, Non recidere, forbice, quel volto,/solo nella memoria che si sfolla,/non far del grande suo viso in ascolto/ la mia nebbia di sempre. Così la chiusura dell’ultimo mottetto:….la vita che sembrava/vasta è più breve del tuo fazzoletto. Il tu della bellissima La casa dei doganieri è ascrivibile,…ma tu resti sola/ né qui respiri nell’oscurità, sempre alla donna schermo, una Brandeis non tanto idealizzata quanto, per dirla alla Leopardi, viatrice in questo arido suol. Perché proprio il poeta di Recanati, alfiere della moderna sensibilità, quel poeta de Alla sua donna, nei versi ….di te pensando,/a palpitar mi sveglio. E potess’io,/Nel secol tetro e in questo aer nefando,/L’alta specie serbar…può rapportarsi a quell’anelito soffuso che aleggia per tutto il moderno canzoniere montaliano. E del resto trova puntualmente e ripetutamente conferma quanto contenuto nella citazione dell’incipit: Io sono abituato a nutrirmi di nuvole (l’evanescente incorporeo) e lontananza. Nel Quaderno di quattro anni, tutto intessuto di poesie più discorsive, mai ardue e collocabile intorno alla metà degli anni settanta, nella DOMANDA SENZA RISPOSTA, il poeta prova a rispondere al quesito: Mi chiedono se ho scritto/un canzoniere d’amore/ e se il mio onlie begetter/è uno solo o molteplice….e così (auto)risponde: Se avessi posseduto/un liuto come d’obbligo/per un trobar meno chiuso/non sarebbe difficile/dare un nome a colei che ha posseduto/la mia testa poetica…Pur trattandosi di una finzione letteraria (domanda e risposta…) è Montale stesso a fornire qui la chiave interpretativa de suo canzoniere sapientemente camuffato. E le ragioni del suo voluto celare o celarsi obbedivano alla necessità di tenere absconditus quella sorta di canzoniere protrattosi per quaranta anni alla tenace gelosia della sua Drusilla alias Mosca che tante scenate e ricatti gli aveva fatto al momento della scoperta della relazione. Questo in primis, seguiva poi la consapevolezza che la lacerante e definitiva separazione poteva, come difatti avvenne, essere motivo (doppio perché celato accuratamente), fulcro ulteriore la suo poiein (scriveva infatti alla Brandeis:….mi nutro di nuvole e lontananza). Le occasioni che raccolgono le poesie dal 1928 al 1939 sono dedicate in toto ad Irma Brandreis (I.B.) che il poeta di fatto conobbe nel ’34, individuare poi quali poesie contengono riferimenti alla sua musa è un po’ arduo tenuto conto oltretutto che l’ordine cronologico non è rispettato. L’impressione è che per la maggior parte siano ascrivibili a partire dall’incontro fatale e ritmate dai periodi di assenza, quando Irma ritornava negli Stati Uniti. Una volta avvenuta la lacerazione irreparabile, quando Montale non seppe risolversi a seguire la Brandeis, prigioniero dei ricatti e delle crisi della Tanzi, lacerazione che lo indusse (vedi lettera all’amico Bobi Bazlen) a meditare il suicidio, la raccolta si chiude appunto con la bellissima Notizie dall’Amiata, quintessenza della sua ars poetica (vedi gli Ossi di seppia che avevano tanto affascinato Irma da indurla a venire a Firenze per conoscere l’autore). Lasciamo ai critici l’individuazione di tutti i passaggi (sono moltissimi) nei quali è ravvisabile la figura della donna angelicata in quanto la Brandeis ritorna ne La Bufera ( La frangia dei capelli…Personae separatae, e di nuovo la Pensione Annalena con la sua veranda a far da sfondo in Giorno e notte….Un continuum musicale, ora in crescendo, ora tenue come per sparire, e poi riapparire con forza. In Satura ecco la sua ironia: I critici ripetono,/da me depistati, che il mio tu è un istituto…..ma subito alla successiva, Botta e risposta,…Penso/che forse non mi leggi più. Ma ora/tu sai tutto di me,/della mia prigionia e del mio dopo;/ora sai che non può nascere l’aquila/ dal topo. E sempre Irma ritorna in Satura, magari come compresenza ma pur sempre discernibile, netta, inconfondibile come in Senza salvacondotto ove il sotterraneo in cui vegetavo…è quello di Via Benedetto Varchi…e nuovamente le immagini con lei, indelebili …sulla Scarpuccia/o sulla costa San Giorgio…. Di nuovo nel Diario del ’71 e del ’72 Irma torna nelle vesti di Clizia: A C., Tentammo un giorno di trovare un modus/moriendi che non fosse il suicidio… Nella successiva raccolta Quaderno di quattro anni della metà degli anni ’70 ritorna l’immagine-­‐ricordo…in chi era e sarà folgorata dal sole. Non importa/né a te né a me se accada che il tuo nome/resti nell’ombra…E così nella poesia I ripostigli dove lei è presente in una fotografia nascosta….restava una nube, quella dei tuoi capelli/e quegli occhi innocenti che contenevano tutto/e anche di più….Più oltre in Morgana…Ahimè figlia adorata,vera mia/Regina della Notte, mia Cordelia,/ mia Brunilde, mia rondine alle prime luci,/mia baby-­‐
sitter… Nell’ultima, definitiva tappa Irma ritorna ne Alunna delle muse…abbiamo avuto in sorte la divina follia/d’essere qui e non là vivi.., oppure in A C. (Clizia ovviamente): Ho tanta fede in te/che durerà……Ho tanta fede in me/e l’hai riaccesa tu senza volerlo..E ancora alla successiva Clizia dice: Sebbene mezzo secolo sia scorso/potremmo facilmente ritrovare/ il bovindo (la finestra ad arco, in Annalena?) nel quale si stette ore/a spulciare il monsignore delle pulci./Sul tetto un usignolo si sgolava….E di seguito nella successiva Clizia nel ’34 ….Sempre allungata/sulla chaise longue/della veranda/che dava sul giardino….Ancora a seguire nella Previsioni…..e tu parlavi delle donne dei poeti/fatte per imbottire illeggibili carmi./Così sarà di me aggiungesti di sottecchi./Restai di sasso…..Segue la ricordata Interno/Esterno che apre questo saggio breve, seguita da Nel ’38 che rievoca romanticamente la gita al palio di Siena e la foto giallo sudicia/quasi in pezzi,/ma c’è il tuo volto incredibile/meraviglioso..Poi altra foto ripescata da un cassetto e rievocata ne Quartetto….il tuo volto severo nella sua dolcezza/e il tuo servo d’accanto; e dietro Sbarbaro/briologo e poeta – ed Elena Vivante/signora di noi tutti: qui giunti per vedere/quattro ronzini frustati a sangue/in una piazza conchiglia (Piazza del Campo). Ci fermiamo qui, tralasciando gli ultimi, non rilevanti riferimenti a Irma. Brevemente e conclusivamente Irma Brandeis si staglia nettamente come costante musa ispiratrice, la sola leopardianamente viatrice in questo arido suolo mentre …il vento,/il vento che tarda, la morte, la morte che vive! In una recente mia visita alla Pensione (oggi Hotel Annalena) mi è parso di entrare nella dimora del tempo sospeso. La hall o reception era immersa in un silenzio soffuso dove sullo sfondo dominavano due figure in gesso, una corpulenta e suggestiva del massetano naturalizzato fiorentino Olindo Calastri, marito della proprietaria della pensione (genitori di quella Giovanna che andò negli Stati Uniti assieme alla Brandeis e poi, sposandosi, si naturalizzò statunitense. L’altra figuretta di donna, un busto anch’esso in gesso, è di una grazia unica al punto che l’avevo presa per un calco (bronzo o marmo l’originale, mia supposizione ahimè errata) che riproduceva le fattezze della bella, dolce e sfortunata Annalena. Niente di tutto questo, cionondimeno quel tenero, intenso bellissimo volto sembra vegliare e accogliere gli ospiti. Ma è forse ora di accomiatarci da tanti ricordi, letterari e non. Vi sarebbe ancora da dire tanto sulla storia intricatissima del palazzo di Annalena. Gli attuali proprietari rivendicano l’assoluta letterarietà del luogo, almeno nel periodo dell’ultimo secolo, pare vi fosse una fornita biblioteca col servizio prestiti, una sorta di cenacolo con riunioni, conferenze. Carlo Levi vi trovò rifugio (nel periodo delle leggi razziali) per portare a termine il suo capolavoro Cristo si è fermato a Eboli, mentre la Pensione dava alloggio a diverse famiglie di ebrei perseguitati. Un amico di lunga data e titolare della Galleria d’arte Tornabuoni in borgo S.Jacopo, Fabio Fornaciai, si è fatto vivo (a suo tempo gli avevo accennato al fatto di Annalena, Montale etc.) l’altro giorno per dirmi che al pianterreno del palazzo c’è uno studio di architetti, padre e figlio o figli dei quali è amico, i quali gli hanno raccontato (e la notizia mi era già stata data da Paolo Crescioli) di certe ricerche sulla storia dello stabile e in definitiva del quartiere. I settecenteschi Horti Annalenae erano probabilmente un continuum con l’attuale giardino Torrigiani e forse con i dieci ettari di Boboli, prima aperta campagna. Il nucleo storico di Oltrarno si spingeva fino a S.Spirito, S.Felice in Piazza, il Carmine ed era popolato da artigiani del mobile (e tale ho fatto in tempo a conoscerlo io negli anni settanta/ottanta). Come seconda notizia mi diceva, e qui le coincidenze legate al palazzo mi hanno lasciato esterrefatto che negli ultimi due piani era vissuto Luca Trezzi con la sua famiglia. Il nome, a parte pochi intimi tra cui Fabio Fornaciai suo grande amico, non dice nulla e non avrebbe detto nulla neppure a me non fosse che nel traslocare dai Lungarni a Poggio Imperiale Fabio mi avesse pregato di prendermi cura delle migliaia di foto (Luca Trezzi era un fotografo delicato e straordinario) che l’amico gli aveva consegnato, un vero e proprio lascito, poco prima di lasciare Firenze (e la sua vita). Per me, sempre ramingo da un posto all’altro l’incombenza datami dal Fornaciai risultò un poco gravosa, in fondo si trattava di accollarsi due colli in più e, per uno abituato a traslocare con la panda, due bagagli in più facevano. Ma ogni volta avvertivo dietro quelle immagini vi era l’occhio intenso, vigile e puro di chi le aveva scattate e che quindi non potevo disfarmene fintantoché non avessi trovato per quel lascito una degna collocazione. Luca Trezzi era stato fortemente segnato dagli anni mitici, sognanti e anche epici del ‘68, anni vissuti da lui (sensibilissimo) come esperienza integrale, in qualche modo assoluta, determinante, irrinunciabile, liberissima, vera e propria epifania. Le sue fotografie, tutte nel segno senza tempo della Bellezza, mi sono sempre sembrate anche incarnare il sogno e il segno di quella irripetibile stagione della gioventù. A suo tempo avevo diviso queste diapositive per temi o tematiche o forse, meglio, per occasioni e un tema-­‐
occasione era appunto Boboli (scorci) con una evanescente figura femminile, immagini eteree, sognanti che denotavano nell’artista fotografo, (ed ero stato per anni un frequentatore assiduo di quei Giardini e li conoscevo a menadito) una dimestichezza dell’ambiente fuori del comune. La rivelazione dell’amico Fabio Fornaciai che Luca Trezzi ebbe dimora nello stabile che ospita l’Hotel Annalena e fronteggia l’entrata di via Romanami ha dato il bandolo…. Tutto qui. Da Annalena a Bertoin, da Montale a Luca Trezzi. Dietro il cosiddetto Tutto, dietro gli attori del momento in quella particolarissima porzione del Tutto, il palazzo di Annalena, vi è il Simbolo, che ai tempi della Grecia classica era la così chiamata tessera hospitalitatis, ovvero un contrassegno che veniva rotto in due parti e dato a due famiglie che lo serbassero come testimonianza dell’ospitalità data o ricevuta e così l’anello matrimoniale e così tutta la gamma dei significati di questa voce. E’ avvenuto quindi che questa dimora del tempo sospeso, questo locus Annalenae sia assurto ( forse nel corso della sua storia tutta) a Simbolo, a tessera hospitalitatis imperitura.