Roberto Bruno: ricordo di un`eccellenza

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Roberto Bruno: ricordo di un`eccellenza
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Editoriale
Roberto Bruno: ricordo di un’eccellenza
Nonostante “Robertino” avesse solo 17 anni, il ricordo che ha lasciato è ormai
indelebile, e più che mai d’ispirazione per i nuovi studenti del nostro liceo.
Era nel giugno del 2000 che il
giovane Roberto Bruno ebbe l’incidente d’auto che gli costò la vita.
Il ragazzo tornava a casa a bordo
della vettura guidata dal fratello
quando avvenne il tragico scontro.
Lo sconcerto e la paura abitano
in un primo momento i familiari
ed amici di Roberto, in seguito
una scintilla di speranza si fa
spazio nei loro animi: forse si
sarebbe potuto salvare. Dopo una
settimana di straziante attesa, la
terribile conferma della morte di
Roberto giunge come un fulmine
a ciel sereno.
Sembra impossibile da credere,
ma un ragazzo di appena 17 anni
si spegne senza dir niente, senza
aver fatto nulla di male.
Il giovane ragazzo, però, aveva già
lasciato un segno indelebile nelle
vite di tutti coloro che lo avevano
incontrato.
Sin da piccolo, Robertino aveva
mostrato la sua smodata intelligenza. Aveva imparato a leggere
a 3 anni e a 4 si divertì a guida-
re i suoi familiari per le rovine
greche come una guida turistica
provetta.
Giocava a pallone Roberto, era
uno studente diligente e dotato
del liceo Banzi ed era un “rompiscatole di prima categoria”.
Lo descrive così Don Damiano
Madaro, suo parroco e docente di
religione.
Roberto aveva solo 17 anni, eppure era già riuscito ad ispirare chi
gli era stato accanto durante la
su breve, ma intensa, vita.
Commovente è il modo in cui
amici e professori ricordano il
giovane Roberto. Durante l’evento
commemorativo tenutosi nel
nostro Liceo lo scorso giovedì, si
è colta l’occasione per parlare
di “Robertino”, come lo chiama
una sua ex insegnante. Le parole
commosse dei docenti riecheggiano nell’aula magna. Il silenzio è
totale mentre la professoressa
Primiceri cita alcuni passi tratti
da dei temi scritti dal ragazzo. Le
riflessioni emerse sono stupefacenti: pare strano che uno
studente di soli 17 anni fosse in
grado di elaborare un pensiero
così maturo e profondo. Poteva
diventare un filosofo o un sociologo, secondo la stessa docente, “le
sue riflessioni invitano a vivere la
cultura, ad approfondire il senso
della vita”.
Altrettanto forte è il messaggio inviato da Don Damiano, ex
docente di Roberto e parroco
della Chiesa di Santa Lucia. Egli
ha invitato gli studenti e tutti i
presenti a “uscire dal piattume”,
ad amare la vita come faceva
Roberto, a “succhiarne il midollo”.
Durante una breve intervista
rilasciata dallo stesso Don Damiano, è emerso come Roberto fosse
in grado di vivere a pieno la sua
vita, a viverla serenamente ed
in maniera pulita, “ed è questa la
cosa importante”.
La professoressa Diani, saluta
il suo Robertino attraverso un
racconto personale costellato da
citazioni di autori come Ungaretti
o provenienti da “Il piccolo Principe”.
Altrettanto commovente e ricco
di emozione è il ricordo degli ex
compagni di classe di Roberto.
Parole dolci, ricche di affetto e
di amicizia sincera piovono sulla
platea prima che il telo posto
sulla targa intitolata a Roberto
venga scostato.
Ed ora il piccolo Robertino veglia
sul suo vecchio liceo dall’alto della
targa apposta sul plesso laterale
che oggi porta il suo nome.
Alice Fraschetti 5 D
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Banzi
EX LIBRIS:
Incontro con l’autore Maurizio De Giovanni
Nel secondo incontro del progetto “Ex Libris”, il nostro Liceo ha accolto lo scrittore
Maurizio de Giovanni e il suo libro “Il senso del dolore”.
Dopo una presentazione della Dirigente l’autore ha instaurato
con i numerosi ragazzi presenti
un clima confidenziale e ha introdotto una riflessione sul valore
della lettura soffermandosi sulle opportunità che questa offre.
Sottolineando la differenza tra
visione di un film e lettura, passiva la prima, attiva e costruttiva
la seconda, lo scrittore ha toccato aspetti importanti come l’identità, la libertà e l’immaginazione:
fattori che per potersi esprimere
al meglio devono essere esercitati
attraverso la lettura. Il libro, ha
continuato De Giovanni, è amico di
chi lo legge perché condivide qualcosa con il lettore, lo fa entrare
nella storia rendendolo partecipe dei drammi e dei pensieri dei
personaggi, e una storia non può
scivolarti addosso. La lettura,
dunque, è ciò che può ridurre la
nostra impermeabilità nei confronti della realtà che ci circonda,
perché sviluppando il senso critico
offre una nuova prospettiva dalla
quale osservare il mondo.
Successivamente lo scrittore ha
invitato i ragazzi a porgli domande
sul libro letto “ Il senso del dolore”
e ha arricchito le sue risposte con
divertenti aneddoti raccontati
con la simpatia che, da napoletano
“verace”, ha da subito manifestato.
“Nei suoi romanzi i personaggi
formano la storia e il suo intreccio grazie alle loro caratteristiche psicologiche. Da dove prende
l’ispirazione per delinearli? Sono
persone che ha incontrato nella
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sua vita o sono un artificio per
“far andare avanti” la storia?”
“Ogni persona che fa parte della
nostra vita in qualche modo condiziona i caratteri che si creano
quando si vuole raccontare una
storia. Ad esempio, Garzo (NDR: il
vicequestore della serie del commissario Ricciardi) l’ho descritto
ricalcando il profilo di un mio vecchio capoufficio, privo di immaginazione e incompetente: tutti lo
avevano riconosciuto tranne lui
perché in realtà ciascuno di se
stesso ha un’idea diversa da come
è nella realtà. In un libro si potrebbe scrivere impunemente di una
persona che conosciamo includendo tutte le sue qualità e difetti
perché questa non se ne accorgerebbe, ma ciò non è giusto; i personaggi hanno una dignità e hanno
il diritto di assomigliare solo a se
stessi.”
“Ricciardi sin da piccolo deve imparare a convivere con il “Fatto”
che condiziona ed orienta la sua
stessa esistenza. Vede i morti di
morte violenta come in un fotogramma che fissa l’espressione,
le ferite e le ultime parole prima
della morte. Come ha capito che
questa particolarità sarebbe
stata vincente?”
“In realtà non avevo pianificato
nulla della figura di Ricciardi perché sono convinto che quando si
racconta una storia, la si debba
raccontare così come nasce,
anche se scomoda. Non si deve
pensare mai a ciò che potrebbe
piacere ai lettori perché può darsi
che nessuno leggerà mai il nostro
lavoro; è molto più dignitoso che
la storia sia se stessa e basta.
Ricciardi non lo volevo bello, affascinante, conoscitore del vino
né tantomeno amato dalle donne,
caratteristiche che, come sappiamo, piacciono. Egli è unico perchè
riesce a sentire e sopportare il
dolore, ma questo purtroppo lo
rende ancora più solo. Sono contento e anche un po’ sorpreso del
successo del mio commissario,
perché non era questo il mio intento.”
“Una particolarità fisica del
Commissario è il tremore delle
sue mani. Cosa significa?”
“Il commissario viene presentato
come impassibile e si comporta
come tale durante la sua vita, ma
mi fa piacere che abbiate notato
questo particolare che solitamente passa inosservato. Effettivamente le mani sono l’unica
parte del commissario dalla quale
possiamo individuare le emozioni
che egli sta provando. Proprio lì
è racchiusa tutta l’umanità e la
sensibilità che egli non condivide
con il mondo.”
“Nella conclusione della storia
Ricciardi viene meno al senso della legge, anche se ne è il
rappresentante, per il perseguimento della giustizia. Perché?”
“Innanzitutto è necessario capire
la differenza fra Legge e Giustizia
perché le leggi sono delle regole
che le persone si danno per poter vivere in comunità, mentre la
Giustizia è un concetto più ampio
e consiste anche nell’evitare che
la colpa ricada sugli innocenti, in
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Banzi
questo caso il bimbo che nascerà.
Per questo Ricciardi non ha agito
secondo legge; io continuo a dirglielo, a Ricciardi, che non deve
farlo, ma lui ha la testa dura!”
“Il commissario Ricciardi è convinto che il movente di ogni delitto sia da ricondurre all’amore
e alla fame oppure, come in questo racconto, al binomio amore/
fame. Questo può valere anche
nel nostro tempo?”
“Credo che anche attualmente i
moventi dei delitti possano essere ricondotti al binomio amore/
fame. Ovviamente, però, la nostra
realtà è più complessa quindi bisogna ampliare questa definizione
e considerarne le estensioni come
la fame di potere, la brama di ricchezze e gli egoismi.”
“Ricciardi decide di rinunciare
agli affetti e di rifugiarsi dietro una finestra da cui ammira
Enrica, una giovane che non si
distingue per bellezza, ma che
gli fa tremare in cuore. Perché
proprio per lei il commissario
nutre questo amore?”
“E’ vero, Enrica non è bella né avvenente e Ricciardi non le ha neanche mai parlato, ma proprio
perché è una donna normale il
commissario ne è innamorato. Egli
è innamorato dell’idea di normalità che Enrica rappresenta e che
è consapevole, purtroppo, di non
poter raggiungere.”
“Nei suoi racconti è protagonista la città di Napoli: quella
degli anni ’30, povera ma entusiasmante nelle indagini di Ricciardi, e quella dei giorni nostri,
frenetica e caotica, nella quale
l’ispettore Lojacono dirige una
squadra di poliziotti. Qual è il
rapporto che ha con la sua città?”
“La mia Napoli è una città di due
milioni di abitanti ed esprime tutto e il contrario di tutto. Se la si
osserva sotto l’aspetto caotico
c’è da litigarci sempre, ma offre
momenti di straordinaria bellezza,
intelligenza e sensibilità culturale.
È come una madre, puoi litigarci,
puoi vergognartene di fronte agli
amici per la sua sovrabbondanza,
ma comunque non la cambieresti
mai. Vedo i difetti di Napoli, ne sono
consapevole, ma io sono me stesso solo lì e non potrei cambiare la
mia città con nessun altro posto
al mondo.”
E’ stato davvero interessante
ascoltare De Giovanni e farsi trasportare dalle sue parole tra le
pagine dei suoi libri, proprio quei
libri che, alla fine, si sono riempiti
di autografi e pensieri a ricordo di
una piacevole esperienza
Chiara Perrone 4 C
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Banzi
Banzi: tra storia ed eccellenze
IN TERVI STA A D A L FRE D O BA ZO LI :
Questo mese, in occasione del
40esimo anniversario della scomparsa di Giulietta Banzi Bazoli,
abbiamo intervistato suo figlio,
Alfredo Bazoli, che, in visita presso il nostro liceo, ha gentilmente
risposto alle domande da noi sottoposte.
“Lei ha mai partecipato a delle
manifestazioni in onore di sua
mamma?
Cosa ne pensa del fatto che una
scuola del Sud che è così lontana
dalla vostra città, da Brescia,
abbia intitolato l’Istituto a sua
madre?”
“Ho partecipato a tantissime manifestazioni e sono stato qui da voi
anche 10 anni fa.
È molto emozionante per me, sapere che c’è il nome di mia mamma su una scuola, qui, a 1000
chilometri di distanza, da dove ha
vissuto lei”
“Sappiamo che ha perso sua
mamma davvero in tenera età.
C’è un evento, un aneddoto che
la riguarda, raccontato da qualcuno, che lei ritiene particolarmente significativo?”
“Mia mamma è morta quando io
avevo 4 anni e mezzo, quindi non
ho miei ricordi di lei, ho solo quelli
che mi sono stati in qualche modo
‘innestati’ da racconti altrui. Diciamo che ciò che rammento con
piacere, è che quando ero piccolo
l’unica cosa che mi era familiare
era la sua voce, però avevo la sensazione e il timore, di perdere anche quest’unico ricordo. Purtroppo, col tempo, le mie paure si sono
avverate e l’unico legame con lei
pian piano si è perso”.
“Quali insegnamenti le ha lasciato indirettamente, riguardo i
suoi valori e i suoi pensieri?”
“L’insegnamento che mi ha lasciato, che poi è quello che io posrto
con me quando faccio incontri di
questo genere, è la testimonianza
di quei valori, come il dialogo, la
tolleranza, l’impegno civile, il confronto e non lo scontro, gli ideali
che sono alla base della convivenza civile e della democrazia e che
la violenza politica, manifestatasi quel giorno in quella piazza ha
sempre cercato di annientare”.
“Come lei ha appena detto, i valori che hanno spinto la protesta di sua madre erano davvero
molto forti. Secondo lei, i valori
che adesso animano le proteste
moderne sono ugualmente forti
oppure c’è stata una sorta di
cambiamento di rotta?”
“Io credo che in chi manifesta le
proprie idee c’è sempre una radice positiva. Bisogna stare attenti
però a non degenerare, perchè
un conto è manifestare pacificamente le proprie idee, un conto
è quando questi valori diventano
così assoluti da impedire ogni
confronto con persone dalle opi-
nioni diverse dalle proprie. Da ciò
infatti, potrebbero scaturire violenza, intolleranza e non confronto”.
“Sua mamma è stata vittima di
un vero e proprio atto di terrorismo politico. Secondo lei,
questa piaga si può definire
completamente debellata oppure anche chi manifesta al giorno
d’oggi deve temere questo genere di azioni?”
“Oggi per fortuna il terrorismo
politico è stato debellato, anche
se atti terroristici, sia di matrice politica che religiosa, fondati
proprio sull’integralismo di alcune
idee, sono ancora presenti in varie
parti del mondo. Credo, comunque, che noi italiani abbiamo degli
‘anticorpi’ per reagire al sorgere
di un’eventuale violenza politica,
avendo vissuto vent’anni della nostra storia sperimentando il vero
significato dell’espressione ‘violenza politica’. È bene, comunque,
stare sempre all’erta e ad ogni
minimo segnale dell’insorgere di
intolleranze, essere pronti a reagire a difesa dei valori dell’educazione.”
Diletta Maria Polo 3 F
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NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Banzi
Cina e Colombia al Banzi
Dal 1997 al 2014/15: le culture dei vari Paesi continuano a mescolarsi grazie al
progetto “Intercultura”.
Il progetto Intercultura è nato nella nostra scuola nel 1997 con una
studentessa finlandese che venne
a studiare al Banzi e fu affidata
ad una famiglia leccese. La prima
professoressa ad occuparsi di
questi scambi interculturali fra
ragazzi liceali è stata la prof. Faggiano. All’inizio c’era un po’ di disorientamento perchè per la scuola
era una novità. La professoressa
cercò di trasmettere sin da subito i principi posti alla base di questi
scambi (l’idea di conoscere l’altrui
cultura per fare crescere la propria) ed anche a non far pesare
il fatto di lasciare, in giovane età,
la propria famiglia e la propria
nazione per andare in un Paese
straniero. Il progetto, dal 1997, va
avanti e continua a crescere. Solitamente nella nostra scuola vengono ospitati due studenti stranieri. La lingua non è un problema.
L’importante è l’”accoglienza”, che
non sempre richiede l’utilizzo delle parole. D’altra parte, l’arrivo di
questi ragazzi è un arricchimento
per i docenti, per la classe che li
ospita e per tutta la scuola. Le diverse culture portano ad un confronto tra i ragazzi italiani e stranieri ed ad un dialogo frequente e
costruttivo. Oggi di questo progetto se ne occupa anche la prof.
Presta. Dal mese di settembre
sono a Lecce due ragazzi dell’Intercultura: Zhen Wang dalla Cina
(16 anni) e Leny Bareno Rodriguez
dalla Colombia ( 17 anni). Zhen, in
verità, è al Banzi solo da novembre. Ha definito questo periodo in
Italia con una sola parola: “RELAX”.
Il motivo della sua definizione, secondo ciò che ci ha raccontato,
sta nel fatto che in Cina i ragazzi
alla sua età lavorano o vengono
costretti ad arruolarsi nell’esercito. Lui si trova molto bene qui;
la nostra scuola gli piace molto.
Trova curioso e innovativo la presenza di un bar all’interno dell’edificio. La cultura cinese presenta
infinite differenze con la nostra,
di cui solo alcune sono: un alfabeto
diverso, i simboli non indicano lettere ma sillabe, le ore scolastiche
sono in tutto undici, dal lunedì al
venerdì, nel weekend non vanno a
scuola. Le materie studiate sono:
cinese,inglese,educazione fisica,storia,geografia,chimica,cittadinanza,fisica,matematica e informatica. Sembra incredibile, ma,
secondo quanto ci ha spiegato
Zhen, iniziano ad apprendere queste materie già all’età di un anno,
poi, tra i quattro e i cinque anni,
iniziano a studiare la matematica
scientifica cioè quella che in Italia
viene studiata nel liceo. A Zhen
piace molto l’Italia e le sue particolarità culinarie, specialmente la
lasagna; in Cina invece preferisce
il cibo al barbecue. E’ molto contento di essere capitato in questa scuola ed è entusiasta della
classe in cui è stato inserito. Leny
invece è al Banzi da settembre.
Ha deciso di partecipare a questo
progetto sia perché incoraggiata dai familari, sia perchè voleva
conoscere altri Paesi. Dell’Italia la
incuriosisce: la storia,l’arte, la cultura, le città, soprattutto Roma
e Venezia, e lo studio del latino e
del greco. Leny si è trovata subito
bene in questa scuola e a Lecce.
E’ stata colpita dalla divisione per
categoria dei licei (classico,scientifico,linguistico). Definisce Lecce
una città molto tranquilla e dai facili spostamenti; le piace il centro
storico e il mare.
Vittoria De Matteis 1 L
Alessia Legari 1 L
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Banzi
Autogestirsi è giusto
In questi giorni nel nostro Liceo si è svolto il ‘Progetto di didattica alternativa’,
una vera e propria forma di autogestione didattica, con la quale abbiamo avuto la
fortuna di confrontarci.
Cercando la parola ‘A utogestione’
su un qualsiasi dizionario, troviamo questa descrizione: gestione
di un’azienda da parte di chi vi lavora; gestione in proprio di un’attività, di una struttura; es.: delle
lezioni da parte degli studenti.
Soffermandoci sull’etimologia di
questo termine, dobbiamo cercare di allontanarci da tutti i luoghi
comuni che lo circondano.
Autogestirsi significa cambiare
prospettiva, perché tutto ciò che
viene gestito in proprio si differenzia dai modelli standard che
ci vengono ‘offerti’. E’ un principio
che si basa sulla partecipazione
attiva, quindi, sulla volontà di non
essere semplicemente dei corpi
impassibili. Prende forma proprio
quando c’è la voglia di far sentire
le proprie idee e di sperimentare
nuove metodologie. Si basa sullo
spirito critico e d’iniziativa degli
individui.
Non sempre è facile autogestirsi,
proprio perché ha dei presupposti
importanti, senza i quali questo
rimarrebbe un processo sterile
o uno degli ennesimi clichés che
siamo abituati a vedere frequentemente.
Autogestione, nella concezione sociale odierna, significa vagamente:
Rivoluzione. Ma quella rivoluzione
che a molti fa paura, perché viene
ricondotta a determinati ambienti
socio-politici, ad altri, invece, piace
molto utilizzarla solo per spirito di
diversità, senza reali interessi nel
suo vero significato, solo per una
moda di andare contro la società.
Però oltre ad essere un termine
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sottovalutato e disprezzato da
alcuni; e, sopravvalutato e eccessivamente strumentalizzato da
altri, resta un termine che merita
il dovuto rispetto per il significato che ha, e che non deve essere
distorto per colpa delle degenerazioni del suo significato create
dalla società.
Il nostro ‘Progetto di didattica alternativa’ che si è svolto in
questi giorni è, a tutti gli effetti,
un progetto di autogestione. Proprio perché si basa sul principio di
stravolgere il normale, anche se
per poche ore.
Gli studenti sono parte attiva della
scuola, e hanno bisogno di momenti di creatività e di confronto come
questi. Per quanto le tradizionali
lezioni ci forniscano materiale e
informazioni importanti per la nostra crescita culturale, nient’altro
può accrescere il nostro spirito
critico e d’iniziativa come questo
progetto, in cui noi siamo chiamati
a gestire un qualcosa che viviamo
ogni giorno. Ci si mette in gioco in
prima persona, e non si è condannati solo a seguire un metodo già
consolidato. Per una volta possiamo creare, sognare, organizzare
ciò che vogliamo, come lo vogliamo. Diventiamo allo stesso tempo
professori e studenti, in un’ottica
di condivisione e circolazione di
idee e informazioni.
Noi creiamo qualcosa per noi
stessi, non attendiamo che qualcuno crei qualcosa per noi, per
poi accontentarci di quello. E’ un
voler andare oltre le righe, rompere i margini. Ma non è una di
quelle azioni da reprimere, anzi, è
una di quelle che andrebbero incoraggiate visti i suoi buoni e giusti
presupposti, e le ancor più buone
conseguenze, che ci portano ad
uscire da una concezione di studio
e informazione finalizzata solo ad
un voto, o al fare una bella figura
coi docenti. In questo modo possiamo studiare e approfondire ciò
che vogliamo solo per arricchire
la nostra inconscia sete di conoscenza.
E’ un’occasione da non sprecare,
perché gli unici che hanno qualcosa da guadagnare da questo
progetto siamo proprio noi, presi
nella nostra individualità. Sta ad
ognuno di noi decidere se voler
andare ‘oltre’ o se voler continuare a conformarsi e a nascondersi
dietro ciò che già esiste.
Marco Rollo 5 N
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Attualità
CRESCITA 2.0:IL FUTURO NELLE START-UP
N onostante la crisi e u n s i s te ma e c o no m ic o fe r mo l’ Ita l ia p unta sull’i nnova z ione e le im p re se de i g io va n i
In questi ultimi tempi molti non riescono
a chiudere gli occhi e immaginare un
futuro prossimo, tantomeno un progetto di vita a lungo termine. Il periodo
attuale non è tra i più semplici, alcuni
opinionisti considerano questa crisi una
delle più dure e delle più destabilizzanti
dell’economia nazionale e internazionale. E’ aumentata la percentuale di
giovani che hanno scelto di lasciare
l’Italia per andare in altri paesi a lavorare, a proseguire gli studi o a trovare
sostenitori per le loro idee, ricerche,
progetti e visioni. Avendo visto davanti
a loro solo porte chiuse hanno deciso
di crearsi con le loro forze e altrove un
nuovo portone. Ma la grande madre
patria non abbandona mai i suoi figli e
infatti sono state attuate delle politiche
economiche a loro vantaggio. Il risultato
di quest’azione converge nell’entrata
in vigore della legge n. 221/2012 di
conversione del Decreto Legge Crescita
2.0, una normativa per lo sviluppo e la
crescita del Paese. In particolare la
sezione IX è dedicata a una nuova tipologia di impresa: la start-up innovativa.
Questa è una società di capitali di diritto
italiano, anche in forma di cooperativa, o
una società europea, avente però sede
fiscale in Italia, che ha come obiettivo
il progresso, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi
innovativi ad alto valore tecnologico. Le
stat-up innovative sono importanti perché favoriscono la crescita sostenibile
e l’occupazione (in particolare giovanile),
contribuiscono allo sviluppo di un nuovo
tessuto imprenditoriale volto all’innovazione, promuovono una mobilità sociale
e l’attrazione di talenti italiani e investimenti esteri. Le attività che sono iscritte nella sezione speciale del Registro
delle Imprese riservata alle start-up
innovative godono di numerosi vantaggi
come l’accesso prioritario alle agevolazioni per le assunzioni di personale
altamente qualificato, l’abbattimento
degli oneri per l’avvio dell’impresa, l’introduzione del crowdfunding e di incentivi
fiscali per gli investimenti di privati e
aziende sulle star-up. Gli universitari, i
giovani imprenditori non sono costretti
ad allontanarsi dal loro territorio poichè
vi sono tantissimi stimoli e agevolazioni
per il rilancio del mercato. Infatti a livello
regionale si disputano delle business
plan competition ovvero le Start Cup,
promosse dell’Associazione PNICube,
che incentivano la nascita di start-up
in vari settori. Le prime tre classificate di ogni regione si sfidano a livello
nazionale nel Premio Nazionale per
l’Innovazione che premia le migliori idee
d’impresa innovative. Nella XII edizione
di questa manifestazione per la prima
volta è stato riconosciuto il valore del
progetto di due pugliesi Vittorio Bava e
Fabio Salerno: Diptera. Dopo aver vinto
la Start Cup Puglia 2014, organizzata
dell’ARTI su incarico della Regione Puglia,
i due pugliesi si sono aggiudicati il primo
premio PNI nella categoria Agrifood-Cleantech grazie all’ideazione di un
processo produttivo più vantaggioso
della farina di insetti.
Il Cile, come anche altri stati, ha
promosso Startup Chile che è un
programma che erogava 40mila dollari
a fondo perduto per 1000 progetti
internazionali che avevano il solo
vincolo di trascorrere 6 mesi nel paese
per offrire spunti di innovazione alla
nazione del rame. Perciò tutti cercano
di attirare start up ad alto potenziale di
crescita ma non bisogna dimenticare
che anche l’Italia vuole ritrovare la sua
competitività attraverso i giovani e le
loro visioni.
Mariangela Corsetti 5 D
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Attualità
Demotivatio temporum
Pensieri di chi scruta il mondo dall’alto dei suoi risvoltini: perché il futuro è passato di moda..
“Facile.it! Facile.it! Facile.it!”. Niente da fare, l’aula magna (e nei
casi più clinici la classe di fronte
al bar) rimangono perennemente
deserte nei giorni dedicati alle assemblee di istituto del Liceo Banzi,
fiore all’occhiello della cultura leccese. All’interno della componente
alunni è diffusa ed imperante la
corrente di pensiero che vede la
vita scolastica in mano a pochi
illuminati mentre i più si destreggiano nella nobile arte del dormire
o prepararsi per il giorno dopo.
“Colpa delle banche, colpa del governo ladro! Dello spread, degli
immigrati!”, sentenzierà il banzino,
contaminato dallo stesso germe
che determina la più grande libidine dell’italiano medio: sottrarsi dal
riconoscere le proprie mancanze
e lamentarsi, lamentarsi sempre..
Che sia per le tasse o per la cogestione poco importa, la lamentela
è il sale della vita.
La scuola ha perso progressivamente la sua funzione paradigmatica, la palestra di vita che
forma uomini con senso critico,
e cittadini del futuro. La scuola
non si ferma sui libri. È sempre
più raro che qualcuno si metta
in gioco, che cerchi il confronto e
l’arricchimento delle proprie idee.
E da pensieri così grezzi e informi,
non affinati al dialogo, non può che
germogliare una maggiore predisposizione a tendere l’orecchio
al pifferaio di turno; la cui specie
continua a proliferare incontrollata. I topi incauti, sedotti dal dolce suono, si incamminano verso
estremismi anacronistici, facili
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mode e credulonerìe, e perdono la
propria autonomia di pensiero.
Sono cambiati i tempi, sono cambiate le persone: ciò che in passato era stato una conquista, sudata a prezzo di dure lotte, adesso
necessita di espedienti e addirittura di minacce per incrementarne l’affluenza. La legge prevede la
possibilità che l’assemblea di istituto si articoli per corsi paralleli,
che si coinvolgano esperti esterni,
è possibile inoltre decretarne l’obbligatorietà (il che svilirebbe ulte-
riormente la sua funzione); ma il
nocciolo della questione non cambia: gli studenti hanno nelle loro
mani un potentissimo strumento
di cultura e partecipazione, di crescita e scambio di idee, che non
sono capaci di valorizzare. “Requie
e scatta in pace”, come direbbero
i nostri nonni.
Massimiliano Muci 4 E
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Attualità
La vit toria della Puglia innovativa
La Regione mira all’innovazione e al progresso: finalmente i risultati.
Dagli albori del sistema economico fino alla sua manifestazione
attuale si sono susseguiti notevoli
cambiamenti nelle modalità, nei
processi, negli strumenti utilizzati, nelle relazione tra mandante
e destinatario. Oggi l’assetto
socio-economico mondiale è
aggredito e corroso da una
feroce crisi che rende difficili
non solo i rapporti tra cittadino
e istituzione ma anche le “International Relations”. Si è visto che
alcune persone non risentono
della gravità della situazione, anzi
ci marciano sopra. Altre invece
sono costrette a fare i conti con
le problematicità di ogni giorno
e con le asperità del futuro.
Forse però l’orizzonte non sarà
sempre così tetro e plumbeo e
nel momento in cui si avrà meno
speranza si potranno vedere i
raggi del sole. Provvidenzialmente chi di dovere nelle sfere alte
ha sviluppato un piano nazionale
per intervenire e fronteggiare
la situazione, in sintonia con le
politiche europee e internazionali.
Questo progetto ha come obiettivo e fondamento stesso l’Italia
2.0, l’innovazione, l’amplificazione
delle potenzialità di tutti coloro
che hanno un’idea, una proposta
e non i mezzi per iniziare ma
sono pronti comunque a mettersi in gioco. La nascente formula
di impresa sostenuta da tale
prospettiva è la Start Up, un’attività nuova volta al progresso,
alla modernizzazione del sistema,
allo sviluppo tecnologico in campo
economico, sociale e istituzionale.
In pratica queste iniziative sono
l’innovazione e il futuro allo stato
embrionale e oltre ad avere aiuti
e stimoli provenienti direttamente dal Consigli dei Ministri e
da enti nazionali, ricevono sostegno anche a livello regionale.
La Regione Puglia grazie alle sue
braccia (Assessorato allo Sviluppo Economico e Agenzia Regionale
per le Tecnologie e l’Innovazione)
ha creato una rete di opportunità, di incentivi, di sbocchi
lavorativi, di concorsi per la
realizzazione concreta di visioni
originali. In particolare l’A rti mira
al potenziamento infrastrutturale dei laboratori e dei centri di
ricerca pubblici pugliesi in vari
settori produttivi e alla diffusione
dell’innovazione tecnologica e
dello sviluppo hi-tech. Le start up,
come società di capitali italiani
ancora nella proto-fase, necessitano di un ulteriore slancio di
partenza per poter crescere,
generare modernità, reddito e
occupazione. Sin dai tempi antichi
il confronto con l’altro è stata la
scintilla perfetta per innescare
fuoco ardente e maestoso. Allo
stesso modo sono state istituite
delle Business Plan Competition in
ogni regione, ovvero le Start Cup,
che convergono nel Premio Nazionale per l’Innovazione. Il primo
classificato nella categoria Life
Science e anche vincitore assoluto di Start Cup Puglia 2014 è il
progetto salentino CareSilk che si
è aggiudicato un ulteriore premio
di 5 mila euro, oltre al bottino di
10 mila euro del podio d’oro. Gli
ideatori di CareSilk sono riusciti a
produrre dei fili di seta con proprietà antibatteriche servendo ai
bachi da seta del cibo innovativo,
foglie di gelso con un film d’argento. I primi premi delle altre sezioni
sono Mindesk per l’ICT che ha
permesso all’utente di viaggiare
virtualmente nel proprio progetto, Green Skin per Industrial che
ha commercializzato la cellulosa
batterica in luogo della pelle
animale o sintetica (sfrutta la
simbiosi di batteri e funghi, i quali
auto-assemblano il polimero). Il
riconoscimento più grande va a
Diptera è stata la prima iniziativa
pugliese a ricevere il primo premio per Agrifood-Cleantech del
Premio Nazionale per l’Innovazione, dopo essere stata incoronata
nella Start Cup Puglia 2014.
Mariangela Corsetti 5 D
9
SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Attualità
Il governo che dialoga con gli studenti
Intervista al Sottosegretario al lavoro Teresa Bellanova.
Gentile Sottosegretario, grazie
per la disponibilità che ha concesso al nostro giornale. Le propongo
subito la prima domanda.
Cosa può dire a noi giovani riguardo al nostro futuro?
Parlare con ragazze e ragazzi infinitamente più giovani è una sfida e una scommessa che richiede
grande responsabilità e senso del
dovere. Sono diversi i linguaggi, i
punti di vista dai quali si osserva
la realtà, le aspettative. Bisogna
farlo sentendo il dovere della sincerità e della chiarezza; assumendo pienamente la responsabilità di
cambiare il mondo che vi stiamo
consegnando, complicato, a volte violento, peggiore di quello nel
quale siamo cresciuti noi ‘adulti’,
nel quale è difficile avventurarsi
con serenità e fiducia. Cosa posso
dire dunque? Ce la stiamo mettendo tutta. Non è facile. La crisi
economica e di valori che il nostro
bellissimo Paese sta attraversando colpisce dovunque duramente
ma in particolare il Sud e ancor
più in particolare le generazioni più giovani o le fasce giovanili
meno accorsate. I suoi effetti
vanno ad incidere su un mercato
del lavoro già di per sé inefficiente nel quale chi offre lavoro e chi
lo cerca stentano a incontrarsi,
su una Pubblica amministrazione
autoreferenziale e molto spesso
nemica dei cittadini anche suo
malgrado, su politiche di sostegno
ai singoli e alle famiglie spesso carenti, su una scuola che dovrebbe essere un fulcro privilegiato, e
che in questi anni è stata spesso
svillaneggiata. Qualcosa, però, sta
10
cambiando. L’obiettivo del governo, il mio, è di modificare e sburocratizzare meccanismi ormai
inceppati, di fornire e rafforzare
quegli strumenti e quei percorsi
utili ed efficaci a consentirvi una
prospettiva credibile per il futuro,
di aprire finalmente i cassetti nei
quali per troppo tempo i nostri
‘gioielli di famiglia’, ad iniziare proprio dalle giovani generazioni, sono
stati per troppo tempo chiusi.
Che prospettive abbiamo di inserimento nel mondo del lavoro
secondo lei?
Vorrei sfatare un luogo comune pericolosissimo: che i giovani
come voi non abbiano più futuro.
Non è vero. Le prospettive – che
ci sono – possono essere tanto
più ampie quanto più riusciamo a
mettere insieme diversi elementi
fondamentali. Ne cito alcuni. L’alternanza scuola-lavoro, ossia l’integrazione tra ciò che si studia a
scuola e il mondo del lavoro reale,
il legame tra istruzione e tessuto
produttivo del territorio. Troppo
spesso è difficile trovare lavoro
non perché non si sia qualificati o perché il lavoro non c’è, ma
semplicemente perché il ‘mercato’ cerca competenze diverse da
quelle di cui si è in possesso o, ancor peggio, non è in grado di sapere quale sia il range concreto delle
competenze comunque disponibili.
E’ indispensabile, e lo stiamo facendo, creare le migliori condizioni
perché sia possibile fare esperienza del lavoro durante il percorso
di studi. Stiamo lavorando per
migliorare e rendere più efficienti
i servizi per l’impiego: spesso chi
offre e chi cerca lavoro non han-
no il luogo nel quale incontrarsi. Con
il Jobs act potenzieremo il sistema
degli ammortizzatori sociali, renderemo universali, cioè per tutti e soprattutto per i lavoratori più giovani,
le diverse forme di sostegno cui si
ha diritto nel passaggio da un lavoro
all’altro o nei periodi di mancanza di
lavoro. Ma, e credo che questa sia la
vera rivoluzione in un paese come il
nostro dove troppo spesso sul lavoro si è giocato al ribasso mantenendo nella precarietà e nell’incertezza
migliaia di giovani, ridurremo all’osso
i contratti di collaborazione e le mille forme di assunzione temporanea
perché l’obiettivo sia unico: rendere
il lavoro a tempo indeterminato la
forma prevalente, migliore e più conveniente di contratto. Già nella legge
di Stabilità per il 2015 si prevedono
stanziamenti ingenti per consentire
a chi assumerà un lavoratore a tempo indeterminato, di risparmiare per
tre anni sui contributi previdenziali
e assistenziali. Sono convinta che
in questo modo stiamo costruendo
per voi e per il Paese una prospettiva reale di futuro.
Ci può raccontare come è cambiata la sua vita da quando ha
assunto questo ruolo nel governo?
Lavorare per il proprio Paese è innanzitutto un onore; porta con sé
enormi responsabilità e, spesso,
anche un po’ di solitudine. Io però, al
lavoro ci sono abituata e anche negli
anni scorsi, sia in Parlamento che
nel Sindacato, la costante è sempre
stata la tutela e la salvaguardia del
lavoro e dei lavoratori. Occuparsene
da una posizione di governo, che significa l’onere della decisione e del
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Attualità
fare le leggi, comporta certo un
carico di incombenze ulteriori,
attenzione a difficili equilibri da
salvaguardare per arrivare alla
soluzione migliore, competenze,
responsabilità. Significa dover lavorare anche di notte per chiudere vertenze importanti nel modo
migliore. Una fatica compensata
dalla convinzione di contribuire,
nel mio piccolo, a migliorare le
condizioni di vita e di lavoro nel nostro Paese.
Lei rappresenta il nostro Salento in Italia, quali sono secondo lei i punti di forza e le
possibilità della nostra terra?
Il Salento vive un momento magico. E’, come si dice, un territorio
trendy. Credo che questo sia dovuto anche alla nostra capacità
di aver saputo salvaguardare e
tutelare, sia pure in parte, la bellezza del nostro territorio. Oggi
proprio questa bellezza è una
formidabile alleata per lo sviluppo
e la crescita e dovremmo fare di
tutto per proteggerla.
In questi anni d’altra parte si sono
sviluppate e rafforzare esperienze d’eccellenza in quasi tutti i settori. Ultimo, ma non ultimo, quelle
legato alla cultura e alle industrie
creative.
Non dimentichiamo che Lecce ha
corso per essere Capitale europea della cultura nel 2019 anche
in forza di esperienze maturate
e radicate negli ultimi anni e della
naturale propensione del nostro
territorio ad essere aperto alla
relazione con gli altri e contemporaneamente legato alla tradizione,
al culto dell’ospitalità e dell’accoglienza. Naturalmente tutto questo per divenire reale occasione di
sviluppo e di crescita ha bisogno
di sostegno, di risorse, di qualificazione. Per quel che mi riguarda, farò tutto quanto è possibile
perché le potenzialità della nostra
terra possano finalmente esprimersi compiutamente.
Tutti ricordiamo la famosa risposta “date a Cesare ciò che
è di Cesare e a Dio ciò che è di
Dio”, qual è il suo rapporto con
la religione?
Il senso di quella frase è il riconoscimento pieno di un criterio di laicità fondato sul rispetto assoluto
tra credenti e non credenti.
Aggiungerei una cosa: la fede è
un fatto strettamente privato, la
religione è un fatto pubblico. Mi ritengo una persona profondamente laica.
La ringrazio per la sua gentile
collaborazione e le auguro un
buon lavoro..
Luna Maggio 4 E
11
SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Cultura
L’immortalità di Charlot
I cento anni del personaggio di Charlie Chaplin, attuale e incisivo anche ai giorni
nostri
Prima della comicità da adesso,
delle gag esagerate, della volgarità
facile, delle parolacce, dei “cinepanettoni”, delle leggere commedie
francesi e dei film comici americani, c’era lui. Che faceva ridere e
sognare con solo le espressioni, la
camminata e la sua inseparabile
bombetta. Charlie Chaplin, attore,
regista, sceneggiatore, comico,
compositore e produttore britannico, autore di oltre novanta film,
è colui, insieme a Buster Keaton,
a cui dobbiamo la comicità come
la conosciamo adesso. Figura
importantissima per l’epoca del
film muto e non, costruisce la sua
carriera attorno al personaggio
del “vagabondo” (Charlot), personaggio di basso rango sociale,
che cerca di affermarsi e di interagire con una società che lo disprezza per le sue umili condizioni.
Bombetta, giacca stretta e scarpe più grandi, maldestro e sfortunato, era la figura in cui più persone si potevano immedesimare,
in un’epoca a cavallo tra gli anni
Temi sempre attuali
e ironia senza tempo,
sono le caratteristiche
dei film di Chaplin
venti e gli anni trenta, in cui l’A merica attraversava un’importante
crisi economica. Unica consolazione di Charlot è l’amore, che sia
di un animale, di un bambino o di
una ragazza, spesso sventurata e
12
vittima della società come lui. Satira sociale, quindi, che si unisce a
una comicità leggera, fatta di gag
corporee, mai troppo enfatizzate,
situazioni grottesche e sconvolgimento della logica. Far ridere e
pensare insieme, quindi. Intento
che più di qualunque altro film si
mostra in “Tempi moderni”, che
quest’anno è stato restaurato ed
è uscito nelle nostre sale il 15 dicembre, per festeggiare i 100 anni
del personaggio di Charlot. “Tempi
moderni” racconta la storia di un
operaio, interpretato da Charlie
Chaplin, facente parte di una catena di montaggio, costretto, per
il suo lavoro, a compiere sempre
gli stessi ripetitivi gesti. Un giorno,
a causa di ciò e dei ritmi disumani
a cui è sottoposto, impazzisce e
provoca il fermo di tutta la catena di montaggio. Il film è il perfetto connubio tra tragico e comico,
una spietata satira alla società
moderna che tratta l’uomo come
una macchina, lo priva della propria individualità incastrandolo nella monotonia, come anche
suggerisce la famosa scena in cui
troviamo Charlot bloccato tra gli
ingranaggi della macchina con cui
lavora. Temi sempre attuali e ironia senza tempo, sono le caratteristiche dei film di Chaplin. I cento
anni del personaggio di Charlot
sono stati festeggiati anche con
un contest indetto dalla Cineteca
di Bologna. Ritirando la maschera
di Chaplin dal cinema che ha proiettato “Tempi moderni” (da noi,
dal cinema Db d’Essai), facendo
con essa una foto divertente e
inviandola all’email [email protected], si ha la possibilità
di vincere il cofanetto Dvd “Tempi
moderni”. Riscopriamo, dunque, la
filmografia di Chaplin, non lasciamoci spaventare dal bianco e nero,
dal muto, dall’età delle sue opere,
queste sono piccoli gioielli che possono essere apprezzati da tutti,
grazie al potente messaggio e alla
comicità accessibile. Riscopriamo
un personaggio che ha segnato la
storia del cinema e che rimarrà
per sempre attuale, immortale,
comunicativo e divertente.,
Matilde Tramacere 5 D
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Cultura
La Maternità nell’arte
Il Natale porta con sè anche l’immagine della Madonna con il bambino, vediamo
come gli artisti di tutte le epoche hanno interpretato questo tema.
Quando pensiamo al Natale ci viene in
mente la capanna dove il bambinello
nasce avvolto dal calore della madre
Maria, e del padre Giuseppe. Nel corso
dei secoli gli artisti hanno cercato di
dare un vero volto alla figura della
madre. Perciò la maternità è stata una
tematica che ha percorso molti secoli
nella storia dell’arte. L’attuale visione della maternità è molto diversa da come
era prima, infatti ora la madre può
non essere vincolata dal matrimonio o
può essere libera di abortire. Troviamo
anche le “teen mom” madri adolescenti,
o magari divorziate e single. Ma prima
la madre doveva accudire il figlio, era
come una “culla umana” dove egli stesso
trovava un rifugio. Ripercorrendo nei
secoli l’immagine di una donna con il figlio non si può non fare riferimento alla
“Santa Trinità” di Cimabue del 1280. L’artista introduce un’espressione quasi di
dolcezza materna nella Madonna. Successivamente nel 1510, con la “Madonna
col Bambino” di Giovanni Bellini, espressione del Rinascimento veneziano, si ha
una svolta naturalistica in cui il colore
sembra essere il mezzo espressivo
privilegiato per una rappresentazione
più vicina alla realtà. Spostandoci negli
anni dal 1483 al 1520, Raffaello Sanzio
lavora assiduamente al tema della
Madonna col Bambino. Nella “Madonna
della Seggiola” Maria abbraccia il Bambino avvolgendolo con tenerezza. La
spiritualità dell’opera viene comunicata
attraverso la bellezza ideale dei volti e
l’accordo armonioso e perfetto di ogni
parte del dipinto. Michelangelo Buonarroti ha rappresentato il dolore di una
madre per la sofferenza del figlio nella
scultura delle due “pietà”, rispettivamente “La Pietà” vaticana del 1498-1499, e
“Pietà Rondanini” del 1522-1564. Nella
Pietà di fine ‘400, l’opera si fonda su
una compostezza ed un equilibrio ideali,
richiamando una minuziosa perfezione
nella ricerca dei dettagli classicista.
Nella “Pietà Rondanini” invece l’artista
sceglie la tecnica del “non-finito” per far
cogliere al fedele la forza espressiva
imprigionata nel blocco di marmo,
ma che traspare grazie al lavoro di
liberazione che lo scultore stesso
compie dalla materia. Sempre nel ‘500
in Veneto, si afferma una nuova visione
della realtà, dove la figura umana è
riferita ad un paesaggio mutevole nei
suoi effetti atmosferici. In particolare,
Giorgione nel “La Tempesta” 1502-1503,
attraverso il colore rende profondo
lo spazio e il cielo nuvoloso distribuisce
la luce in modo uniforme, mettendo in
risalto la figura della donna a destra e
dell’uomo a sinistra che rappresentano
simbolicamente l’umanità in attesa di
un evento naturale. Proprio questa serenità dell’attesa ci fa cogliere il dettaglio della donna a destra ritratta in una
scena di vita quotidiana: l’allattamento
in nudità. Molti secoli e anni più avanti,
con il “Divisionismo” in Italia ritroviamo
due artisti che hanno rappresentato la
maternità in momenti diversi. In Gaetano Previati nella “Maternità” 1890-1891
l’immagine è pervasa da un profondo
senso di spiritualità. Mentre Giuseppe
Pellizza da Volpedo in un dettaglio de “Il
Quarto Stato” dove è simbolicamente
rappresentato il cammino dei lavoratori, mette una madre che porta in
grembo il bambino marciando in prima
fila. Nei primi anni del Novecento, Pablo
Picasso rappresenta due momenti
della maternità. Nel “periodo blu nel quadro “La vita”, 1903, viene raffigurata nel
dettaglio a destra una madre di profilo
con in grembo il figlio in tre/quarti con
aria cupa. Mentre nel “periodo rosa”
nel quadro “Madre e figlio” del 1905 il
figlio viene ritratto nelle vesti di giullare,
i volti guardano in direzioni opposte, e il
sentimento che traspare dalle vesti del
bambino è un senso di libertà.
Questi sono alcuni riferimenti significativi della storia dell’arte, ma ce ne sono
tantissimi altri, da questi pero’ si può
notare come si è evoluto il concetto di
mamma.
Rebecca Prato 4 H
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Cultura
La perversione dell’ideologia
La degenerazione dell’idea porta inevitabilmente ad un risultato atroce per gli
uomini. È quello che accadde nei totalitarismi di Hitler e Stalin. .
Dal passato si possono attingere
una marea di esempi che ci mostrano come a volte l’adesione
totale ad un sistema ideologico
religioso, economico, politico, si risolva alla fine in un susseguirsi di
veri e propri crimini contro l’umanità. L’ideologia, sorta dopo un’analisi specifica delle cose, propone
una interpretazione e quindi una
soluzione o una linea di azione, ma
spesso vuole essere attuata senza altre contaminazioni ideologiche. Non essere disposti ad aprire
un dialogo porta inevitabilmente
ad una lotta senza fine, perché si
è sempre convinti dell’autenticità
e validità di un’unica ideologia: la
propria. E’ necessario comprendere che l’imposizione forzata di
un pensiero genera il soffocamento della persona che ci è di fronte.
Nel ‘900, due esempi eclatanti di
aberrazione dell’ideologia ce li forniscono il nazismo di Adolf Hitler e
il comunismo di Iosif Stalin. L’elemento alla base dell’ideologia hitleriana fu la volontà di riscattare
il suo Paese, la Germania, dalle
umiliazioni inflittele con il trattato
di pace di Versailles, firmato dopo
la fine della Prima Guerra Mondiale. In questa volontà di riscatto
nazionale, Hitler fuse le proprie
ambizioni personali, che si sarebbero realizzate con il predominio
della Germania sul mondo intero,
adottando un metodo politico che
prevedeva l’utilizzo della violenza e
della sopraffazione degli avversari. Questa “ideologia del riscatto”
raggiunse il picco della perversione nell’individuazione come obiettivo prioritario dell’eliminazione del
popolo ebraico, considerato il ca-
14
pro espiatorio dei mali della Germania. Hitler aderì a una tendenza
già latente nella cultura tedesca,
quella cioè dell’antisemitismo. La
sua perversa ideologia, nominata
nazional-socialismo (inteso come
impegno collettivo organizzato
dallo Stato per la grandezza della Nazione), fu sviluppata da egli
stesso nell’opera “Mein Kampf ”
(“La mia battaglia”). Dopo aver ottenuto il potere democraticamente, instaurò un regime dittatoriale, finalizzato alla soppressione
di tutte le libertà fondamentali
dei cittadini e allo sterminio degli ebrei. Una realtà simile è nata
dalla realizzazione della degenerazione violenta e totalitaria
dell’ideologia comunista, già di per
sé intrinsecamente antidemocratica, in quanto basata sulla negazione di tutte le libertà personali,
ad opera di Stalin. Continuando
la politica di Lenin, instaurò un
potere dispotico gestito dal solo
partito comunista, guidato unicamente da lui stesso e da uomini a
lui strettamente devoti. In questo
contesto totalitario, il cui mantenimento era garantito anche
dall’eliminazione fisica dei dissenzienti nella popolazione e nel
partito, furono consumati eccidi
di intere popolazioni. Come strumento di repressione, sia Hitler
che Stalin hanno applicato concretamente l’annullamento della
dignità umana nelle realtà atroci
dei lager e dei gulag (campi di lavoro forzato). Due paesi diversi,
due governi diversi, due ideologie
diverse, ma stessa matrice perversa. Forse quei due non sapevano che il mondo non era stato
fatto su misura per loro e per i
loro scopi. Il mondo appartiene
a tutti gli uomini e funziona non
quando le ideologie si impongono
con la forza, ma quando si incontrano, si confrontano e convivono pacificamente e se c’è cultura, informazione, spirito critico,
capacità di previsione, quella più
aberrante rivelerà la sua essenza e verrà ripudiata dagli uomini
stessi.
Eleonora Serafino 5 M
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Scienza e
Te c n o l o g i a
S. Cristoforet ti, lo spazio è tricolore
Nel paese dai piedi di piombo, la prima donna italiana vola oltre i confini della
Terra
to di mercato ma frutto dell’im-
Lontana più di quattrocento
chilometri da noi, appena fuori
dall’atmosfera terrestre, si
trova il più grande traguardo che
il progresso tecnologico abbia
mai raggiunto nella storia dell’umanità. Si tratta della Stazione
Spaziale Internazionale (ISS),
cuore e motore della ricerca
scientifica, impegnata non solo a
sviluppare il perfezionamento dei
veicoli spaziali ma volta anche ad
ampliare le conoscenze in ambito medico, chimico e biologico,
facendo della stazione un vero e
proprio laboratorio sperimentale.
In costruzione dal 1998, la ISS è
abitata ininterrottamente da
astronauti e cosmonauti provenienti da tutto il mondo. L’equipaggio della ISS viene sostituito
periodicamente al termine di
ciascuna missione. Questa volta
è il turno di Samantha Cristoforetti, che ha lasciato la Terra
la sera dello scorso 23 novembre. Scelta tra più di ottomila
candidati, l’astronauta italiana
dell’ESA è sull’ISS come ingegnere
per “FUTURA”, la missione tutta
italiana che ha avviato significative ricerche di carattere medico
e tecnologico, tra cui lo studio
delle cause della sclerosi multipla,
l’applicazione di sensori in grado
di misurare il battito cardiaco
e il respiro, nonché il funzionamento delle stampanti 3D. Grandi
passi per un’ Italia che fatica a
tenersi in piedi, un’Italia in cui
scienza e ricerca sono ormai
considerate accessori, le ultime
della lista a cui toccano gli avanzi.
Perché nessuno se ne fa niente
di chi guarda troppo avanti, di chi
lavora tra calcoli astratti e mere
ipotesi. In una società costretta
ad affrontare sacrifici giorno
per giorno, non c’è spazio, tempo,
energie da sprecare per qualcosa che non porta pane. Eppure,
abbattendo le misere svalutazioni
di chi è preoccupato di riempirsi
la bocca e le tasche piuttosto che
il cervello, si riuscirebbe a comprendere che il progresso è alla
base della civiltà, indipendente e
genuino, perché non è un prodot-
pegno e della dedizione umana.
E a ricordarcelo per fortuna
c’è proprio quella ragazza del
Trentino, innamorata da sempre
del cielo delle sue montagne. Laureata in ingegneria meccanica,
ufficiale dell’aeronautica militare,
si specializza negli Stati Uniti e,
scelta per la missione “Futura”,
corona il suo sogno a 37 anni.
Ciò che ha conquistato il cuore
degli italiani è stata l’inaspettata
solarità che ha irradiato dall’inizio
della sua avventura, ma soprattutto il desiderio di rendere la
sua impresa l’impresa di tutti e la
sensibilità con la quale ha portato
nelle case di ciascuno di noi piccoli
sprazzi di universo, attraverso
internet e i social. La rivoluzione
di Samantha Cristoforetti non è
stata soltanto quella di aver colorato lo spazio del rosa italiano,
ma di aver dato al viaggio ai limiti
dell’immaginario una dimensione
più umana. Tra decorazioni natalizie, libri e caffè, dall’ISS tiene gli
occhi piantati dritti su di noi, sperando di farci vedere quel “mondo
interconnesso” così come lei lo
vede, affinché tutti, soprattutto
i leader politici, possano sentirsi
parte di un’unica realtà. Abbassando il volume del chiacchiericcio
di chi pensa di poter parlare della
Cristoforetti come di un qualunque personaggio di spettacolo e
cancellando commenti retrogradi
e sessisti, finalmente Samantha
potrà emergere per quello che
è: una donna della scienza che ha
costruito con le proprie mani la
scala che porta alle stelle.
Angela Aromolo 4 E
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Scienza e
Te c n o l o g i a
Le infinite copie di... me stesso!
Quanto è grande l’universo? L’ipotesi che sia infinito acquista sempre più credibilità, e questo potrebbe avere conseguenze sconvolgenti!
Contemplando la meravigliosa
bellezza del cosmo, non possiamo
fare a meno di provare sentimenti
contrastanti. Fascino sicuramente, ma anche timore reverenziale, nei confronti di una realtà che
sfugge alla nostra comprensione
e trascende la nostra infinita piccolezza. L’universo, spesso associato all’insieme della materia visibile, sembrerebbe molto più vasto.
Gli ultimi indizi infatti, ci portano a
credere che esista solo un limite
temporale, l’età dell’universo, ma
non uno spaziale: l’universo potrebbe avere un estensione infinita.
Consideriamo la velocità della luce,
di 300000km/s. Se l’età dell’universo è di 13.8 miliardi di anni, la
luce ha avuto solo questo tempo
per viaggiare dai più remoti anfratti del cosmo sino alla Terra.
Ciò significa che la luce proveniente dagli oggetti che si trovano ad una distanza maggiore di
13.8 miliardi di anni luce (circa
4.1 80.000.000.000.000.000 metri),
non ha avuto il tempo giungere
fino a noi. Cosa c’è oltre l’orizzonte delle particelle visibili? Altri
mondi, altra materia, un infinito
inesplorato.
L’universo, potrebbe essere dunque infinito. Quali sono le possibili
conseguenze di una tale ipotesi?
Ma soprattutto, quanto è “grande”
l’infinito?
Per definizione, l’infinito non ha
una grandezza, è indefinitamente
esteso, senza limiti.
Per comprendere quanto segue
dobbiamo ricorrere ad un esempio. Se avessimo 6 palline colorate, tutte diverse, e dovessimo di-
16
sporle in un cassetto, quanti modi
avremmo di farlo? Ovviamente,
esisterà un numero finito di modi,
a seconda della grandezza del
cassetto e del colore delle palline.
Supponiamo di prendere adesso ciascuna singola particella
che compone il nostro universo
osservabile. Una cifra discreta
oserei dire: circa 10 seguito da
40 zeri. Quante sono le possibili
configurazioni di questo immenso
insieme di particelle? Un numero
enorme, incommensurabilmente
grande, ma nonostante ciò, finito.
Se oltre l’orizzonte delle particelle, lo spazio si estende indefinitamente,abbiamo “tutto lo spazio a
nostra disposizione”, e possiamo
individuare infiniti altri universi, in
quello che verrà definito un “Multiverso”. Essendo presenti infiniti
universi, sicuramente, ne esisteranno alcuni molto diversi fra
loro, altri molto simili, altri addirittura identici. Alcuni di essi, saranno incompatibili con la vita. In altri,
prevarranno strane leggi fisiche.
Potrebbe addirittura esistere,
sebbene la probabilità sia davvero
esigua, un universo in cui l’Italia è
governata da politici onesti!
Sicuramente, distribuite negli infiniti universi, esisteranno infinite
copie di me stesso, e di voi che in
questo momento leggete l’articolo,
intenti nelle attività più disparate.
L’esistenza del multiverso implicherebbe sconvolgimenti non solo
dal punto di vista fisico, ma anche
dal punto di vista etico e filosofico.
Se già comprendiamo a fatica l’enormità dell’universo che ci ospita,
come relazionarci ad una realtà
infinitamente più grande?
Non saremo più, come diceva
Newton, bambini che giocano con
le conchiglie di fronte all’oceano
inesplorato della conoscenza, ma,
citando Pascal, “giunchi pensanti”,
fragilmente in equilibrio fra infinitamente piccolo ed infinitamente
grande.
*Per ulteriori approfondimenti
su queste “folli” teorie: “La realtà
Nascosta” Di Brian Greene, o “The
True Science of Parallel Universes”,
su YouTube.
Alfredo Bochicchio 5 O
Lo stomaco in provet ta
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Scienza e
Te c n o l o g i a
Strutturalmente perfetto, ma minuscolo. E’ il primo tessuto gastrico creato in
provetta, a partire da cellule staminali umane. La sua creazione mette a disposizione un modello per studiare le molte malattie che colpiscono l’organo.
I ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center
durante il corso di uno studio sul
batterio Helicobacter pylori, principale causa di ulcere e cancri
allo stomaco, hanno creato dei
mini-stomaci, chiamati organoidi
gastrici. Questi tessuti gastrici
oltre ad essere tridimensionali,
funzionali e strutturalmente corretti, sono anche perfettamente
identici a dei normali stomaci.
Ed è stato proprio grazie allo
studio preciso e dettagliato delle
fasi necessarie alla formazione di
un normale stomaco embrionale
che gli scienziati sono riusciti a
riprodurlo. Hanno infatti osservato tutte le fasi di differenzazione
delle cellule nell’ embrione per
poi riprodurle all’interno di una
provetta.
Questa fase dello studio, durata
circa sei mesi, ha dato il via alla
creazione vera e propria degli
organoidi gastrici. I ricercatori
si sono impegnati per ricreare
tutte le fasi della differenzazione
delle cellule di uno stomaco in un
embrione, in una provetta in cui vi
erano coltivate particolari cellule
staminali.
I risultati dello studio erano inizialmente disastrosi: i mini-organi
che si sarebbero dovuti formare
non si potevano utilizzare per la
ricerca, in quanto tessuti morti,
strutturalmente sbagliati, non
funzionanti o non corretti anatomicamente. Ma dopo due anni di
sperimentazioni in cui i ricercatori hanno testato vari fattori di
crescita sono riusciti a trovare
la corretta procedura e hanno
creato un organoide gastrico
tridimensionale del diametro di
tre millimetri.
“Uno stomaco in miniatura,
funzionante e perfetto in ogni
sua forma.” questo dice Kyle W.
McCracken, uno dei ricercatori
del Cincinnati Children’s Hospital
Medical Center. Il loro scopo era
infatti ottenere un modello sufficiente per studiare i processi che
portano allo sviluppo delle patologie gastriche. Inoltre McCracken
aggiunge che lui e i colleghi sono
riusciti riusciti ad identificare
e seguire passo dopo passo i
cambiamenti biochimici che si
verificano nell’organo già dopo
24 ore dall’infezione con H. pylori.
Per esempio, gli scienziati sono
riusciti a osservare la rapida
attivazione nelle cellule gastriche
di un gene noto per il suo ruolo in
diverse forme di cancro.
Le prospettive? Riuscire a
seguire da più vicino lo sviluppo
di ogni tipo di patologia gastrica e contribuire a scoprirne le
cure. Inoltre la creazione di uno
stomaco funzionante in provetta
può solo rappresentare l’inizio di
altri studi per creare ogni tipo di
organo grazie alla cultura delle
cellule staminali umane.
Claudia Pulito 2 F
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Musica
Ritornano i Pink Floyd:The Endless River
Dopo quasi vent’anni, i Pink Floyd concludono la loro carriera con un album capace di sconcertare ed ammaliare, rimanendo sul podio del rock per quasi mezzo
secolo..
Un album “emozionale ed educativo”, come lo definisce lo stesso
David Gilmour, chitarrista dei Pink
Floyd, all’indomani dell’uscita di The
Endless River. A vent’anni da The
Division Bell, i Pink Floyd propongono un lavoro caratterizzato da
un forte senso di malinconia che
fa da cornice a diciotto brani. Di
questi, solamente uno è cantato,
Louder Than Words, scritto dalla
signora Gilmoure, Polly Samson,
che rappresenta l’effettivo e
toccante addio della band al loro
percorso musicale, che coincide
con quello del rock stesso. Gli altri diciassette sono strumentali,
chiaro frutto della personalotà
artistica di Gilmour, che rimandano ai capolavori The Dark Side
Of The Moon e Another Brick In
The Wall, in cui gli accordi di pianoforte, sax ed organo, ancora
una volta, testimoniano il genio, la
tecnica, la ricerca sonora e intelligenza creativa di questa storica
band . Questo album è un chiaro
omaggio di David Gilmour e Nick
Mason a Richard Wright, lo storico
tastierista scomparso nel 2008
all’età di sessantacinque anni. “The
Endless River è un tributo a Rick,
un modo per riconoscergli che ciò
che faceva e come suonava era
proprio il cuore del suono dei Pink
Floyd. Riascoltando quelle vecchie
registrazioni mi ha riportato alla
mente quanto fosse speciale il
suo modo di suonare” afferma
Nick Mason. Infatti, lo stesso Wright ha contribuito allo sviluppo
di quest’album che ha richiesto
numerosi anni di lavoro per dare
un addio degno delle aspettative.
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L’album, infatti, è il canto del cigno
di una band che ha segnato la storia per la propria creatività, maestria ed avanguardia artistica.
Anche in quest’ultimo progetto,
che segna la fine di un cinquantennio di musica rock mai scontata,
la band dimostra la chiara volontà
di prendere le distanze da tutta la
musica pop e commerciale, il cui
solo fine è qualche breve comparsa in classifica come memoria dei
tempi che furono, ma continuando
un costante percorso di ricerca e sperimentazione artistica.
Quest’album rappresenta, quindi,
un addio solenne ma addolcito da
un affascinante gioco di sapienti
accordi che percorre tutte le diciotto tracce, mettendo un punto
forte e maestoso alla storia dei
Pink Floyd e di un cinquantennio di
rock concepito come mai prima
d’ora, classificandosi, per molti,
come il miglior album pubblicato
nel 2014. L’album, confermandosi
un addio toccante e affascinante,
rimanda ad alcuni storici capolavori della band, come Shine On You
Crazy Diamond , Us And Them e
Time. Nonostante questo, l’ultimo
lavoro ha ricevuto non poche critiche, come sempre avvenuto con i
vari capitoli discografici di questa
rivoluzionaria band. Soprattutto
per i più fervidi sostenitori dei primi tempi, la mancanza di Syd Barret e Roger Waters implica una
perdita di originalità, arrivando
a descrivere questo album come
“musica psichedelica da cena” o
“un requiem di melodie familiari”,
come scrive la prestigiosa rivista
Rolling Stones. Lo stesso Waters
prende le distanze dal percorso
eseguito dalla band, deludendo le
aspettative (forse anche un po’
utopiche) di tutti coloro che speravano in una reunion completa
nel dire addio ai Pink Floyd. L’album, quindi, si presenta come la
classica incapacità di comunicare
della band, estremizzando la ricerca sonora oppure come una
grande opera che in 53 minuti
riesce a descrivere il percorso di
un lustro di storia del rock. I Pink
Floyd propongono quindi un album,
magari non capace di far accrescere il numero dei seguaci, ma
certamente capace di concludere
in modo degno e maestoso la loro
carriera, toccando le corde più
profonde degli storici ascoltatori.
Enrica Ferilli 3 B
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Musica
Sonic Highways: un viag gio nella musica
Il nuovo album, otto tracce registrate in otto città diverse e una serie televisiva
che racconta il viaggio della band di Dave Grohl alla ricerca delle proprie radici
musicali.
Cosa ci si può aspettare da una
band capeggiata dal batterista di
un certo gruppo chiamato Nirvana?
Se la vostra risposta è “buona musica”, siete molto vicini, ma questa
volta Dave Grohl, assieme ai suoi, si
è davvero superato. Sonic Highways,
il nuovo ed attesissimo album dei
Foo Fighters, affonda le radici su un
progetto ben più galattico del semplice disco sullo scaffale dei negozi.
Chicago, Washington D.C., Nashville,
Austin, Los Angeles, New Orleans,
Seattle, New York, 8 grandi città
degli Stati Uniti per erigere un grande monumento alla storia musicale
dell’A merica, ma anche, e soprattutto, della musica in generale. Ed
è così che nasce Sonic Highways:
un’ispirazione diversa per ogni
città, influenze musicali diverse per
raccontare il processo con il quale
la musica arriva all’ascoltatore
finale. Ma oltre a stare dietro ad un
microfono con la chitarra in pugno,
stavolta Dave Grohl si mette anche
dietro le telecamere, e dopo la sua
esperienza alla regia di Sound City,
raccoglie tutto quello che è utile per
ricostruire la storia musicale degli Stati Uniti D’A merica. “Una delle
nostre intenzioni era di ispirare
le nuove generazioni di musicisti
e farli innamorare della musica
esattamente com’è successo a
noi” racconta il frontman in una
recente intervista.
Il risultato è una serie televisiva di
otto episodi, finanziati e prodotti
dalla HBO, che vanno aldilà del disco da ascoltare. Il copione di ogni
puntata è quasi sempre lo stesso: interviste a celebrità americane, tra le quali spunta persino
Barack Obama; vari aneddoti
sulle città, sugli studi di registrazione e sulle storie musicali dei
vari luoghi e infine Dave Grohl si
siede, e nero su bianco scrive il
testo delle canzoni. I Foo Fighters
fanno della serie Sonic Highways
una mappa musicale con il quale
si raccontano dall’alfa all’omega,
lo fanno mediante canzoni, con
quel loro autentico sound che
conservano da ormai due decadi,
e dietro ritmi propulsivi e melodie
solenni, senza forzare cambia-
menti di stile, si eleva l’atmosfera
delle downtown Americane.
Ma guai a pensare che questa
svolta televisiva dei Foos sia un
cedimento alle logiche del mainstream. Niente di più falso. In
questi tempi in cui tutto sembra
una lotta sul modo migliore per
usufruire della musica (digitale?
In streaming? In vinile?), e dove
tutto sembra ruotare attorno
a quanto guadagnano i grandi
artisti per un brano ascoltato su
Spotify, questa serie televisiva è
una boccata d’aria fresca in uno
svigorito ambiente musicale, un
tentativo di riportare la musica
in televisione per coinvolgere
più persone, un documentario
per far riscoprire il lato umano
della musica, quanto sia semplice
iniziare a suonare ma anche un
invito a provare a fare lo stesso
lavoro per il proprio paese. “Ogni
paese al mondo ha sicuramente
una band che potrebbe andarsene in giro a raccontare la storia
di quella nazione, di città in città,
sottolineando come l’ambiente
abbia influenzato la scena musicale, incoraggerei chiunque a
farlo” dirà Dave Grohl alla fine
delle riprese.
Insomma, il divertimento è assicurato, forse è quasi obbligatoria
la visione della serie televisiva,
ma è sicuramente un disco che
ambisce a posizionarsi nei primi
posti delle classifiche del 2014. Chi
lo sa se sarà il disco dell’anno, ma
se vi chiedete se il rock è morto,
potete chiederlo ai Foo Fighters.
Gabriele Rizzo 5 N
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Spor t
Quando la propria passione uccide
Storie tragiche di sportivi morti sui campi da gioco e sulle piste
I tempi passano, il progresso si
spinge verso orizzonti che nessuno immaginava, ma purtroppo le
morti degli sportivi sono all’ordine
del giorno. Anche negli sport che
possono sembrare sicuri a tutti
gli effetti, talvolta può succedere
l’imprevedibile. Si può prendere
come esempio ciò che è accaduto
al povero Piermario Morosini, ex
centrocampista del Livorno che
durante una partita, valevole per il
campionato di serie B italiana, che
contrapponeva la sua squadra al
Pescara di Zeman, muore a causa
di un’improvvisa crisi cardiaca. Il
calciatore si è accasciato a terra
al 31’ del primo tempo e i soccorsi
non sono serviti a salvargli la vita,
anche perché arrivati in ritardo e
non completi a causa della mancanza di alcuni macchinari. Questo episodio ha avuto un’enorme
rilevanza in tutto il mondo, tanto
da colpire i sentimenti anche di
dirigenti di altre federazioni calcistiche al di fuori di quella italiana,
i quali hanno fatto rispettare il
classico minuto di silenzio prima
dell’inizio delle partite. In Italia la
morte di Morosini diventa un caso
a tutti gli effetti, perché evidenzia
la mancanza di adeguati controlli
sugli sportivi e l’assenza di apparecchiature sanitarie (come il
defibrillatore) negli impianti, utili
a salvare la vita in situazioni delicate come questa. Ciò ha portato
tutte le società italiane a risolvere questo problema e dal 14 aprile
2012, il defibrillatore è stato acquistato anche in società dilettantistiche, che molto spesso hanno
a che fare con i ragazzini delle
scuole calcio. Morosini è tutt’ora
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ricordato dalle società in cui ha
militato, tanto che il Vicenza e il
Livorno hanno ritirato il numero
25 a poche ore dalla scomparsa
e gli sono state dedicati il centro
sportivo della squadra vicentina,
una delle gradinate dello stadio
Armando Picchi di Livorno e la
curva sud dello stadio di Bergamo.
Ma il calcio non è lo sport più colpito da questi fatti spiacevoli, che
toccano il loro apice nei campionati motociclistici ed automobilistici
come il Motomondiale e la Formula 1. In questi sport, dove regnano
alta velocità e spettacolo, gli “atleti” sono più avvezzi agli incidenti e,
proprio per questo motivo, indossano tute da gara dalla tecnologia
avanzatissima, che spesso sono
dotate di airbag per attutire ogni
tipo di caduta violenta o di forte
scontro. Nonostante queste innovazioni abbiano limitato di gran
lunga i danni, accadono anche oggi
episodi isolati che portano alla
morte dei piloti, spesso di giovane età. Parlando di Motomondiale,
vi sono stati più casi negli ultimi
anni, ma quello che ha avuto più
risalto mediatico è stato il caso
del nostro connazionale Marco Simoncelli, pilota di Tavullia (stesso
comune del campione Valentino
Rossi) morto il 23 ottobre 2011
durante il Gran Premio della Malesia, valevole per il campionato
della MotoGP. Simoncelli era descritto dai colleghi come un pilota
eccessivamente spericolato, che
non sdegnava mosse azzardate
pur di centrare il suo obiettivo.
Ma questo suo modo di essere lo
ha portato a perdere il controllo
della sua Honda del Team Gresini
durante il secondo giro sul circui-
to di Sepang e, subito dopo, ad essere investito dai due piloti che lo
seguivano, Colin Edwards e Valentino Rossi, che involontariamente
con la sua Ducati è stato complice
della morte dell’amico. La tanta
rilevanza data a questa tragedia,
ha permesso ai genitori del pilota
di fondare un associazione ONLUS
con il suo nome, che con le donazioni riesce ad aiutare molte persone bisognose, senza alcuno scopo di lucro. A memoria di SuperSic,
gli è stato dedicato il circuito di
Misano Adriatico, dove si svolge il
Gran Premio di San Marino. Questi
due sportivi sembrano provenire
da due mondi diversi, ma hanno
una cosa in comune: essere morti
facendo ciò che amavano fare.
Michele Papa 5 M
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Sezione Spor t
La gazzet ta dei calciofili
“Forza Italia, speramu ca encimu ste doi partite, e provu
cu fazzu lu megghiu possibile”.
E’ con questa frase in dialetto
leccese che Graziano Pellè si
presenta alla vigilia della partita
della nazionale azzurra contro
Malta, valida per le qualificazioni
all’Europeo in Francia nel 2016.
Proprio lui, da molti definito come
“il bomber dimenticato”, segnò
quella sera il gol vittoria per gli
azzurri all’esordio con la maglia
della nazionale maggiore. Eppure
Graziano non ha mai incantato
nessuno di speciale in panorama
internazionale. La sua terra di
conquista è l’Olanda, dove con l’A Z
ha siglato 14 gol in 78 partite, ma
è con il Feyernoord che raggiunge
risultati eccellenti con 50 gol in
quasi altrettante partite. Non
è una novità che in Italia non
si riesca a scommettere e a
credere sui giovani già da mezzo
secolo. Cresciuto nel Copertino,
viene notato dal Lecce che lo
aggrega al suo settore giovanile
a 17 anni. Qualche presenza in
Primavera e l’esordio contro il
Bologna non convincono la società
salentina a riconfermarlo nella
rosa della squadra maggiore.
Così viene mandato in Serie B in
prestito al Catania, ma i risultati
ottenuti non sono entusiasmanti.
Nonostante le 15 presenze nel
campionato cadetto, il Lecce lo
rivuole per la Serie A dove accumula una decina di “gettoni” nel
2005. Riparte ancora in prestito
per Serie B, stavolta al Crotone
dove il “timido” Graziano si sblocca segnando 6 reti in 17 partite
giocate. Il Lecce vuole fargli
accumulare presenze e ancora
una volta l’attaccante di San
Cesario di Lecce si rende utile in
Serie B con il Cesena, dove con
37 presenze, porta il suo “bottino personale” a 10 gol. Un certo
signor Van Gaal nel 2007 lo vuole
con l’A Z, club dal quale spiccherà
il volo. Graziano ormai è famoso
in tutta Olanda e il suo miglioramento calcistico non passa
inosservato. Decide in seguito
di dare un’opportunità all’Italia:
il Parma lo acquista, ma deluso
per la sua scarsa media (appena un gol in 11 presenze) decide
di girarlo alla Sampdoria, dove
segna 4 gol in 12 partite. Torna
a Parma a fine stagione dove
colleziona una presenza. Bocciato “all’esame”, Graziano ritrova
fiducia di nuovo in Olanda, dove
diventerà uno degli attaccanti più
forti del campionato olandese.
Graziano può essere etichettato
come un grandissimo giocatore,
ed è proprio questa etichetta
che incuriosisce tutti. Anche club
italiani che, nonostante il costo
non elevatissimo del suo ingaggio,
preferiscono non acquistarlo. Ci
pensa subito un club inglese come
il Southampton, che lo sceglie per
guidare il proprio attacco. “The
italian goal machine” realizza 7 gol
in 15 presenze in un campionato
ostile come quello inglese. Tutt’ora ha l’opportunità di fare meglio
poiché la stagione con la nuova
maglia è in corso; a incoraggiarlo
il premio ricevuto a ottobre come
miglior giocatore della Premier
League (Serie A inglese), ottenuto superando giocatori del
calibro di Eto’o, Hazard, Rooney,
Falcao. Giocatore calcisticamente completo, Graziano (classe
’85) è un giocatore da prendere
seriamente in considerazione. In
conclusione possiamo solo fargli
un grandissimo in bocca a lupo,
e auguragli una carriera ancora
ricca di soddisfazioni nonostante
la sua veneranda età. Possiamo inoltre sperare che il calcio
italiano cambi presto mentalità,
riuscendo a comprendere l’importanza del valorizzare i giovani
talenti nostrani.
Alessandro Corallo 3 E
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SESSANTESIMO MINUTO
Sezione Spor t
Carolina Kostner: 51 mesi di squalifica
La regina del ghiaccio parla dopo l’accusa di denuncia omessa rischiando una
squalifica di 4 anni e 3 mesi. Anni che le rovinerebbero la carriera sportiva.
‘Lo amavo ma non coprirei mai
chi si dopa. Se fossi un uomo, mi
chiederebbero davvero di sapere
cos’ho nel frigo?’ . Carolina Kostner risponde per la prima volta
dopo lo scandalo doping che ha
coinvolto Alex Schwazer, campione olimpionico di marcia e suo ex
fidanzato. ‘Se l’avessi saputo l’avrei convinto a confessare. Non
capisco come sia possibile che
chiedano una pena più alta per
me rispetto ad Alex e ai tanti atleti che commettono i suoi stessi
errori’. La richiesta del CONI, che
chiede 51 mesi di squalifica per la
pattinatrice, è inaccettabile. La
Kostner parla del loro amore, dei
macchinari del marciatore e della
possibilità di un futuro che vada in
frantumi a causa delle sue dichiarazioni; la richiesta verso l’atleta
azzurra lascia tutti esterrefatti, eppure la nuotatrice Federica
Pellegrini va contro i difensori e
sostiene: ‘Un fidanzato dopato
va mollato subito. Spero che chi
si dopa venga messo dentro e
buttino via la chiave perché noi ci
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facciamo un sedere così’ e subito
dopo, riferendosi direttamente
alla coppia ha detto: “Credo si sia
trattato di una debolezza personale. Evidentemente non riusciva
a tornare ai suoi livelli e questo è
difficile per ogni atleta. Ma, cara
Kostner, fosse capitato a Pippo
quel che è successo a Schwazer,
lo avrei lasciato mesi prima”
Era stata ascoltata dalla procura
Antidoping lo scorso 26 settembre
quando la gardenese riferì che il
suo fidanzato era a Racines mentre era a casa. tale bugia sarebbe
stata detta per motivi di privacy,
stando a quanto riportato da
Giovanni Fontana che addirittura
considerò l’incontro un ‘episodio
del tutto sporadico’ . così ci si ritrova con una medaglia di bronzo
a Sochi forma a causa di accuse
infondate nei suoi confronti tanto che Carolina Kostner si trova
nelle condizioni di non poter dire
assolutamente niente in difesa di
nessuno per evitare inconvenienti
e incongruenze con il discorso rilasciato da Alex Schwazer.
Il legale della pattinatrice nega
ogni addebito: “Le incongruenze
di cui è accusata rispetto alle dichiarazione di Schwazer sono solo
ricordi diversi, assolutamente
ininfluenti. Lei era completamente
all’oscuro di certe situazioni”.
Niente favoreggiamento, forse l’amore ha giocato su qualcosa, ma
si pretende imparzialità in ogni
caso. È un momento difficile anche per il Coni, momentaneamente sotto pressione: sulla stampa
si rincorrono accuse per non aver
ben vigilato.
Ora possiamo solo aspettare l’udienza del 16 gennaio 2015 per
la trattazione del procedimento
disciplinare La procura esagera,
Carolina non merita questa squalifica. Deve pagare per il suo errore
ma la speranza è che la pena diventi più lieve al momento del giudizio; altrimenti tutto ciò avrebbe
sapore di beffa per la campionessa del ghiaccio, costretta a dover
marciare l’ex fidanzato con la
maglia della nazionale.
Caterina Cappello 3 E
2. Deboli ricordi
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014
Storia a Puntate
Il Vero prezzo della droga
La mente è offuscata, i ricordi annebbiati e i pensieri confusi. Tante domande,
forse troppe, con troppe poche risposte. Quanto tempo ci vorrà perché tutto torni
al suo posto?
<Bene, Francesco. Raccontami
tutto quello che ricordi di quella
notte, o di quel sogno del quale
hai continuato a parlare da giorni.
Non omettere nulla, per favore. É
importante capirlo.>
Disse lei, rivolgendosi a me con la
sua solita aria da simpaticona. Eppure quello era il suo lavoro, non
potevo biasimarla.
Io non avevo nulla da dire, stranamente. La mia mente era completamente incapace di formulare
un discorso di senso compiuto.
Sentii suo sguardo posarsi su di
me, ed esso divenne insostenibile,
mi costrinse a guardare fuori, a
riconnettermi col mondo. Era una
giornata troppo soleggiata e calda per i miei standard, nemmeno
una nuvola minacciava quel limpido
cielo del medesimo colore dei miei
occhi. Da quella piccola finestra
potevo scorgere la gente passare, gente apparentemente felice.
Quasi mi ricordavano il vecchio
me. Ma ormai dopo quell’esperienza non potevo più sperare di
tornare ad essere come loro. Un
pensiero attraversò la mia mente
e confuse immagini si accavallarono.
«Questo è quel che ricordo. Io li
aspettavo, steso per terra, ma
loro non arrivavano mai; e intanto io lentamente consumavo i
miei ultimi attimi di vita. In questo
modo sono stato ripagato: indifferenza.»
«E non ricordi nient’altro di quella notte? Questo sogno manca di
continuità, sei finito in quelle condizioni per una ragione precisa.»
«Ricordo solo di esser stato preso in giro da tutti, dovevo solo
aspettare il loro arrivo; ma loro
non sono arrivati. Sapevano che la
mia copertura era saltata, però
mi hanno comunque abbandonato. Sarei potuto morire per quello
che mi hanno iniettato. Oh, ora lo
ricordo.
Comunque, non ci si è accorti della
gravità della situazione.
Io ero contento di aiutarli in questa battaglia, ma si sono sopravvalutati, loro. Questo non è un gioco. Ricordo ancora il primo giorno
di collaborazione: erano tutti così
entusiasti di infiltrarsi in quel circolo vizioso e tentare di sventarlo;
tentare: appunto. Per me è stato
arduo agire come loro, pensare
come loro, muovermi come loro;
ma ho accettato di collaborare e
ho dato me stesso affinché questo progetto riuscisse.
Ma non è stato abbastanza.»
«Appena ti sei risvegliato, a cosa
hai pensato? E avresti mai pensato si arrivasse a tanto?»
«Al mio risveglio non avevo nulla a
cui pensare; la mia mente sembrava vuota. E di me stesso rimaneva poco, se non nulla. Anche
guardandomi allo specchio non
riuscivo a riconoscere l’immagine
lì riflessa, non riconoscevo chi mi
stava accanto. Ecco cosa mi hanno procurato: la perdita della mia
essenza.
Certamente non avrei mai pensato che si arrivasse a questo punto, che mi stravolgessero l’identità. Ma così funziona e non sono
stato in grado di sottrarmi al
flusso degli eventi. È triste pensare che questa sia l’unica direzione
verso la quale corrono gli eventi,
purtroppo non siamo stati abili a
prevederlo, a provare a cambiare
anche questo.
Deboli, siamo troppo deboli rispetto a loro; il loro potere risiede nelle
nostre ferite, in ciò che ci abbatte
e noi siamo stupidi a concederci a
loro. Di questo passo tutti saranno loro schiavi.
L’agonia è necessaria affinché
una persona viva e non c’è modo
di sottrarsi ad essa; più si cerca
di fuggire da essa, più lei colpirà.
Non avevo recepito il messaggio,
fino a quando non ho visto le reali
conseguenze del tutto>>.
Gianmarco Conte 5 N
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SESSANTESIMO MINUTO
Banzigmistica
Sudoku
Livello: Medio
Soluzione sudiku di
Novembre
Indovinello: Il viandante e il bivio
C’è un bivio che porta a due paesi diversi: in uno ci sono solo persone che dicono
la verità, nell’ altro solo persone che mentono. Un viandate vuole sapere qual’ è il
paese della verità, e, vedendo un uomo che sta venendo da uno dei due paesi, vuole
chiederglielo. Che domanda deve fargli per sapere con certezza quale è il paese
della verità e perchè?
Soluzione dell’indovinello di Novembre
I tre fratelli sono: Passato, Presente e Futuro.
Le soluzioni sul prossimo
numero!
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