Roberto Bruno: ricordo di un`eccellenza
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Roberto Bruno: ricordo di un`eccellenza
NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Editoriale Roberto Bruno: ricordo di un’eccellenza Nonostante “Robertino” avesse solo 17 anni, il ricordo che ha lasciato è ormai indelebile, e più che mai d’ispirazione per i nuovi studenti del nostro liceo. Era nel giugno del 2000 che il giovane Roberto Bruno ebbe l’incidente d’auto che gli costò la vita. Il ragazzo tornava a casa a bordo della vettura guidata dal fratello quando avvenne il tragico scontro. Lo sconcerto e la paura abitano in un primo momento i familiari ed amici di Roberto, in seguito una scintilla di speranza si fa spazio nei loro animi: forse si sarebbe potuto salvare. Dopo una settimana di straziante attesa, la terribile conferma della morte di Roberto giunge come un fulmine a ciel sereno. Sembra impossibile da credere, ma un ragazzo di appena 17 anni si spegne senza dir niente, senza aver fatto nulla di male. Il giovane ragazzo, però, aveva già lasciato un segno indelebile nelle vite di tutti coloro che lo avevano incontrato. Sin da piccolo, Robertino aveva mostrato la sua smodata intelligenza. Aveva imparato a leggere a 3 anni e a 4 si divertì a guida- re i suoi familiari per le rovine greche come una guida turistica provetta. Giocava a pallone Roberto, era uno studente diligente e dotato del liceo Banzi ed era un “rompiscatole di prima categoria”. Lo descrive così Don Damiano Madaro, suo parroco e docente di religione. Roberto aveva solo 17 anni, eppure era già riuscito ad ispirare chi gli era stato accanto durante la su breve, ma intensa, vita. Commovente è il modo in cui amici e professori ricordano il giovane Roberto. Durante l’evento commemorativo tenutosi nel nostro Liceo lo scorso giovedì, si è colta l’occasione per parlare di “Robertino”, come lo chiama una sua ex insegnante. Le parole commosse dei docenti riecheggiano nell’aula magna. Il silenzio è totale mentre la professoressa Primiceri cita alcuni passi tratti da dei temi scritti dal ragazzo. Le riflessioni emerse sono stupefacenti: pare strano che uno studente di soli 17 anni fosse in grado di elaborare un pensiero così maturo e profondo. Poteva diventare un filosofo o un sociologo, secondo la stessa docente, “le sue riflessioni invitano a vivere la cultura, ad approfondire il senso della vita”. Altrettanto forte è il messaggio inviato da Don Damiano, ex docente di Roberto e parroco della Chiesa di Santa Lucia. Egli ha invitato gli studenti e tutti i presenti a “uscire dal piattume”, ad amare la vita come faceva Roberto, a “succhiarne il midollo”. Durante una breve intervista rilasciata dallo stesso Don Damiano, è emerso come Roberto fosse in grado di vivere a pieno la sua vita, a viverla serenamente ed in maniera pulita, “ed è questa la cosa importante”. La professoressa Diani, saluta il suo Robertino attraverso un racconto personale costellato da citazioni di autori come Ungaretti o provenienti da “Il piccolo Principe”. Altrettanto commovente e ricco di emozione è il ricordo degli ex compagni di classe di Roberto. Parole dolci, ricche di affetto e di amicizia sincera piovono sulla platea prima che il telo posto sulla targa intitolata a Roberto venga scostato. Ed ora il piccolo Robertino veglia sul suo vecchio liceo dall’alto della targa apposta sul plesso laterale che oggi porta il suo nome. Alice Fraschetti 5 D 1 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Banzi EX LIBRIS: Incontro con l’autore Maurizio De Giovanni Nel secondo incontro del progetto “Ex Libris”, il nostro Liceo ha accolto lo scrittore Maurizio de Giovanni e il suo libro “Il senso del dolore”. Dopo una presentazione della Dirigente l’autore ha instaurato con i numerosi ragazzi presenti un clima confidenziale e ha introdotto una riflessione sul valore della lettura soffermandosi sulle opportunità che questa offre. Sottolineando la differenza tra visione di un film e lettura, passiva la prima, attiva e costruttiva la seconda, lo scrittore ha toccato aspetti importanti come l’identità, la libertà e l’immaginazione: fattori che per potersi esprimere al meglio devono essere esercitati attraverso la lettura. Il libro, ha continuato De Giovanni, è amico di chi lo legge perché condivide qualcosa con il lettore, lo fa entrare nella storia rendendolo partecipe dei drammi e dei pensieri dei personaggi, e una storia non può scivolarti addosso. La lettura, dunque, è ciò che può ridurre la nostra impermeabilità nei confronti della realtà che ci circonda, perché sviluppando il senso critico offre una nuova prospettiva dalla quale osservare il mondo. Successivamente lo scrittore ha invitato i ragazzi a porgli domande sul libro letto “ Il senso del dolore” e ha arricchito le sue risposte con divertenti aneddoti raccontati con la simpatia che, da napoletano “verace”, ha da subito manifestato. “Nei suoi romanzi i personaggi formano la storia e il suo intreccio grazie alle loro caratteristiche psicologiche. Da dove prende l’ispirazione per delinearli? Sono persone che ha incontrato nella 2 sua vita o sono un artificio per “far andare avanti” la storia?” “Ogni persona che fa parte della nostra vita in qualche modo condiziona i caratteri che si creano quando si vuole raccontare una storia. Ad esempio, Garzo (NDR: il vicequestore della serie del commissario Ricciardi) l’ho descritto ricalcando il profilo di un mio vecchio capoufficio, privo di immaginazione e incompetente: tutti lo avevano riconosciuto tranne lui perché in realtà ciascuno di se stesso ha un’idea diversa da come è nella realtà. In un libro si potrebbe scrivere impunemente di una persona che conosciamo includendo tutte le sue qualità e difetti perché questa non se ne accorgerebbe, ma ciò non è giusto; i personaggi hanno una dignità e hanno il diritto di assomigliare solo a se stessi.” “Ricciardi sin da piccolo deve imparare a convivere con il “Fatto” che condiziona ed orienta la sua stessa esistenza. Vede i morti di morte violenta come in un fotogramma che fissa l’espressione, le ferite e le ultime parole prima della morte. Come ha capito che questa particolarità sarebbe stata vincente?” “In realtà non avevo pianificato nulla della figura di Ricciardi perché sono convinto che quando si racconta una storia, la si debba raccontare così come nasce, anche se scomoda. Non si deve pensare mai a ciò che potrebbe piacere ai lettori perché può darsi che nessuno leggerà mai il nostro lavoro; è molto più dignitoso che la storia sia se stessa e basta. Ricciardi non lo volevo bello, affascinante, conoscitore del vino né tantomeno amato dalle donne, caratteristiche che, come sappiamo, piacciono. Egli è unico perchè riesce a sentire e sopportare il dolore, ma questo purtroppo lo rende ancora più solo. Sono contento e anche un po’ sorpreso del successo del mio commissario, perché non era questo il mio intento.” “Una particolarità fisica del Commissario è il tremore delle sue mani. Cosa significa?” “Il commissario viene presentato come impassibile e si comporta come tale durante la sua vita, ma mi fa piacere che abbiate notato questo particolare che solitamente passa inosservato. Effettivamente le mani sono l’unica parte del commissario dalla quale possiamo individuare le emozioni che egli sta provando. Proprio lì è racchiusa tutta l’umanità e la sensibilità che egli non condivide con il mondo.” “Nella conclusione della storia Ricciardi viene meno al senso della legge, anche se ne è il rappresentante, per il perseguimento della giustizia. Perché?” “Innanzitutto è necessario capire la differenza fra Legge e Giustizia perché le leggi sono delle regole che le persone si danno per poter vivere in comunità, mentre la Giustizia è un concetto più ampio e consiste anche nell’evitare che la colpa ricada sugli innocenti, in NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Banzi questo caso il bimbo che nascerà. Per questo Ricciardi non ha agito secondo legge; io continuo a dirglielo, a Ricciardi, che non deve farlo, ma lui ha la testa dura!” “Il commissario Ricciardi è convinto che il movente di ogni delitto sia da ricondurre all’amore e alla fame oppure, come in questo racconto, al binomio amore/ fame. Questo può valere anche nel nostro tempo?” “Credo che anche attualmente i moventi dei delitti possano essere ricondotti al binomio amore/ fame. Ovviamente, però, la nostra realtà è più complessa quindi bisogna ampliare questa definizione e considerarne le estensioni come la fame di potere, la brama di ricchezze e gli egoismi.” “Ricciardi decide di rinunciare agli affetti e di rifugiarsi dietro una finestra da cui ammira Enrica, una giovane che non si distingue per bellezza, ma che gli fa tremare in cuore. Perché proprio per lei il commissario nutre questo amore?” “E’ vero, Enrica non è bella né avvenente e Ricciardi non le ha neanche mai parlato, ma proprio perché è una donna normale il commissario ne è innamorato. Egli è innamorato dell’idea di normalità che Enrica rappresenta e che è consapevole, purtroppo, di non poter raggiungere.” “Nei suoi racconti è protagonista la città di Napoli: quella degli anni ’30, povera ma entusiasmante nelle indagini di Ricciardi, e quella dei giorni nostri, frenetica e caotica, nella quale l’ispettore Lojacono dirige una squadra di poliziotti. Qual è il rapporto che ha con la sua città?” “La mia Napoli è una città di due milioni di abitanti ed esprime tutto e il contrario di tutto. Se la si osserva sotto l’aspetto caotico c’è da litigarci sempre, ma offre momenti di straordinaria bellezza, intelligenza e sensibilità culturale. È come una madre, puoi litigarci, puoi vergognartene di fronte agli amici per la sua sovrabbondanza, ma comunque non la cambieresti mai. Vedo i difetti di Napoli, ne sono consapevole, ma io sono me stesso solo lì e non potrei cambiare la mia città con nessun altro posto al mondo.” E’ stato davvero interessante ascoltare De Giovanni e farsi trasportare dalle sue parole tra le pagine dei suoi libri, proprio quei libri che, alla fine, si sono riempiti di autografi e pensieri a ricordo di una piacevole esperienza Chiara Perrone 4 C 3 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Banzi Banzi: tra storia ed eccellenze IN TERVI STA A D A L FRE D O BA ZO LI : Questo mese, in occasione del 40esimo anniversario della scomparsa di Giulietta Banzi Bazoli, abbiamo intervistato suo figlio, Alfredo Bazoli, che, in visita presso il nostro liceo, ha gentilmente risposto alle domande da noi sottoposte. “Lei ha mai partecipato a delle manifestazioni in onore di sua mamma? Cosa ne pensa del fatto che una scuola del Sud che è così lontana dalla vostra città, da Brescia, abbia intitolato l’Istituto a sua madre?” “Ho partecipato a tantissime manifestazioni e sono stato qui da voi anche 10 anni fa. È molto emozionante per me, sapere che c’è il nome di mia mamma su una scuola, qui, a 1000 chilometri di distanza, da dove ha vissuto lei” “Sappiamo che ha perso sua mamma davvero in tenera età. C’è un evento, un aneddoto che la riguarda, raccontato da qualcuno, che lei ritiene particolarmente significativo?” “Mia mamma è morta quando io avevo 4 anni e mezzo, quindi non ho miei ricordi di lei, ho solo quelli che mi sono stati in qualche modo ‘innestati’ da racconti altrui. Diciamo che ciò che rammento con piacere, è che quando ero piccolo l’unica cosa che mi era familiare era la sua voce, però avevo la sensazione e il timore, di perdere anche quest’unico ricordo. Purtroppo, col tempo, le mie paure si sono avverate e l’unico legame con lei pian piano si è perso”. “Quali insegnamenti le ha lasciato indirettamente, riguardo i suoi valori e i suoi pensieri?” “L’insegnamento che mi ha lasciato, che poi è quello che io posrto con me quando faccio incontri di questo genere, è la testimonianza di quei valori, come il dialogo, la tolleranza, l’impegno civile, il confronto e non lo scontro, gli ideali che sono alla base della convivenza civile e della democrazia e che la violenza politica, manifestatasi quel giorno in quella piazza ha sempre cercato di annientare”. “Come lei ha appena detto, i valori che hanno spinto la protesta di sua madre erano davvero molto forti. Secondo lei, i valori che adesso animano le proteste moderne sono ugualmente forti oppure c’è stata una sorta di cambiamento di rotta?” “Io credo che in chi manifesta le proprie idee c’è sempre una radice positiva. Bisogna stare attenti però a non degenerare, perchè un conto è manifestare pacificamente le proprie idee, un conto è quando questi valori diventano così assoluti da impedire ogni confronto con persone dalle opi- nioni diverse dalle proprie. Da ciò infatti, potrebbero scaturire violenza, intolleranza e non confronto”. “Sua mamma è stata vittima di un vero e proprio atto di terrorismo politico. Secondo lei, questa piaga si può definire completamente debellata oppure anche chi manifesta al giorno d’oggi deve temere questo genere di azioni?” “Oggi per fortuna il terrorismo politico è stato debellato, anche se atti terroristici, sia di matrice politica che religiosa, fondati proprio sull’integralismo di alcune idee, sono ancora presenti in varie parti del mondo. Credo, comunque, che noi italiani abbiamo degli ‘anticorpi’ per reagire al sorgere di un’eventuale violenza politica, avendo vissuto vent’anni della nostra storia sperimentando il vero significato dell’espressione ‘violenza politica’. È bene, comunque, stare sempre all’erta e ad ogni minimo segnale dell’insorgere di intolleranze, essere pronti a reagire a difesa dei valori dell’educazione.” Diletta Maria Polo 3 F 4 NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Banzi Cina e Colombia al Banzi Dal 1997 al 2014/15: le culture dei vari Paesi continuano a mescolarsi grazie al progetto “Intercultura”. Il progetto Intercultura è nato nella nostra scuola nel 1997 con una studentessa finlandese che venne a studiare al Banzi e fu affidata ad una famiglia leccese. La prima professoressa ad occuparsi di questi scambi interculturali fra ragazzi liceali è stata la prof. Faggiano. All’inizio c’era un po’ di disorientamento perchè per la scuola era una novità. La professoressa cercò di trasmettere sin da subito i principi posti alla base di questi scambi (l’idea di conoscere l’altrui cultura per fare crescere la propria) ed anche a non far pesare il fatto di lasciare, in giovane età, la propria famiglia e la propria nazione per andare in un Paese straniero. Il progetto, dal 1997, va avanti e continua a crescere. Solitamente nella nostra scuola vengono ospitati due studenti stranieri. La lingua non è un problema. L’importante è l’”accoglienza”, che non sempre richiede l’utilizzo delle parole. D’altra parte, l’arrivo di questi ragazzi è un arricchimento per i docenti, per la classe che li ospita e per tutta la scuola. Le diverse culture portano ad un confronto tra i ragazzi italiani e stranieri ed ad un dialogo frequente e costruttivo. Oggi di questo progetto se ne occupa anche la prof. Presta. Dal mese di settembre sono a Lecce due ragazzi dell’Intercultura: Zhen Wang dalla Cina (16 anni) e Leny Bareno Rodriguez dalla Colombia ( 17 anni). Zhen, in verità, è al Banzi solo da novembre. Ha definito questo periodo in Italia con una sola parola: “RELAX”. Il motivo della sua definizione, secondo ciò che ci ha raccontato, sta nel fatto che in Cina i ragazzi alla sua età lavorano o vengono costretti ad arruolarsi nell’esercito. Lui si trova molto bene qui; la nostra scuola gli piace molto. Trova curioso e innovativo la presenza di un bar all’interno dell’edificio. La cultura cinese presenta infinite differenze con la nostra, di cui solo alcune sono: un alfabeto diverso, i simboli non indicano lettere ma sillabe, le ore scolastiche sono in tutto undici, dal lunedì al venerdì, nel weekend non vanno a scuola. Le materie studiate sono: cinese,inglese,educazione fisica,storia,geografia,chimica,cittadinanza,fisica,matematica e informatica. Sembra incredibile, ma, secondo quanto ci ha spiegato Zhen, iniziano ad apprendere queste materie già all’età di un anno, poi, tra i quattro e i cinque anni, iniziano a studiare la matematica scientifica cioè quella che in Italia viene studiata nel liceo. A Zhen piace molto l’Italia e le sue particolarità culinarie, specialmente la lasagna; in Cina invece preferisce il cibo al barbecue. E’ molto contento di essere capitato in questa scuola ed è entusiasta della classe in cui è stato inserito. Leny invece è al Banzi da settembre. Ha deciso di partecipare a questo progetto sia perché incoraggiata dai familari, sia perchè voleva conoscere altri Paesi. Dell’Italia la incuriosisce: la storia,l’arte, la cultura, le città, soprattutto Roma e Venezia, e lo studio del latino e del greco. Leny si è trovata subito bene in questa scuola e a Lecce. E’ stata colpita dalla divisione per categoria dei licei (classico,scientifico,linguistico). Definisce Lecce una città molto tranquilla e dai facili spostamenti; le piace il centro storico e il mare. Vittoria De Matteis 1 L Alessia Legari 1 L 5 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Banzi Autogestirsi è giusto In questi giorni nel nostro Liceo si è svolto il ‘Progetto di didattica alternativa’, una vera e propria forma di autogestione didattica, con la quale abbiamo avuto la fortuna di confrontarci. Cercando la parola ‘A utogestione’ su un qualsiasi dizionario, troviamo questa descrizione: gestione di un’azienda da parte di chi vi lavora; gestione in proprio di un’attività, di una struttura; es.: delle lezioni da parte degli studenti. Soffermandoci sull’etimologia di questo termine, dobbiamo cercare di allontanarci da tutti i luoghi comuni che lo circondano. Autogestirsi significa cambiare prospettiva, perché tutto ciò che viene gestito in proprio si differenzia dai modelli standard che ci vengono ‘offerti’. E’ un principio che si basa sulla partecipazione attiva, quindi, sulla volontà di non essere semplicemente dei corpi impassibili. Prende forma proprio quando c’è la voglia di far sentire le proprie idee e di sperimentare nuove metodologie. Si basa sullo spirito critico e d’iniziativa degli individui. Non sempre è facile autogestirsi, proprio perché ha dei presupposti importanti, senza i quali questo rimarrebbe un processo sterile o uno degli ennesimi clichés che siamo abituati a vedere frequentemente. Autogestione, nella concezione sociale odierna, significa vagamente: Rivoluzione. Ma quella rivoluzione che a molti fa paura, perché viene ricondotta a determinati ambienti socio-politici, ad altri, invece, piace molto utilizzarla solo per spirito di diversità, senza reali interessi nel suo vero significato, solo per una moda di andare contro la società. Però oltre ad essere un termine 6 sottovalutato e disprezzato da alcuni; e, sopravvalutato e eccessivamente strumentalizzato da altri, resta un termine che merita il dovuto rispetto per il significato che ha, e che non deve essere distorto per colpa delle degenerazioni del suo significato create dalla società. Il nostro ‘Progetto di didattica alternativa’ che si è svolto in questi giorni è, a tutti gli effetti, un progetto di autogestione. Proprio perché si basa sul principio di stravolgere il normale, anche se per poche ore. Gli studenti sono parte attiva della scuola, e hanno bisogno di momenti di creatività e di confronto come questi. Per quanto le tradizionali lezioni ci forniscano materiale e informazioni importanti per la nostra crescita culturale, nient’altro può accrescere il nostro spirito critico e d’iniziativa come questo progetto, in cui noi siamo chiamati a gestire un qualcosa che viviamo ogni giorno. Ci si mette in gioco in prima persona, e non si è condannati solo a seguire un metodo già consolidato. Per una volta possiamo creare, sognare, organizzare ciò che vogliamo, come lo vogliamo. Diventiamo allo stesso tempo professori e studenti, in un’ottica di condivisione e circolazione di idee e informazioni. Noi creiamo qualcosa per noi stessi, non attendiamo che qualcuno crei qualcosa per noi, per poi accontentarci di quello. E’ un voler andare oltre le righe, rompere i margini. Ma non è una di quelle azioni da reprimere, anzi, è una di quelle che andrebbero incoraggiate visti i suoi buoni e giusti presupposti, e le ancor più buone conseguenze, che ci portano ad uscire da una concezione di studio e informazione finalizzata solo ad un voto, o al fare una bella figura coi docenti. In questo modo possiamo studiare e approfondire ciò che vogliamo solo per arricchire la nostra inconscia sete di conoscenza. E’ un’occasione da non sprecare, perché gli unici che hanno qualcosa da guadagnare da questo progetto siamo proprio noi, presi nella nostra individualità. Sta ad ognuno di noi decidere se voler andare ‘oltre’ o se voler continuare a conformarsi e a nascondersi dietro ciò che già esiste. Marco Rollo 5 N NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Attualità CRESCITA 2.0:IL FUTURO NELLE START-UP N onostante la crisi e u n s i s te ma e c o no m ic o fe r mo l’ Ita l ia p unta sull’i nnova z ione e le im p re se de i g io va n i In questi ultimi tempi molti non riescono a chiudere gli occhi e immaginare un futuro prossimo, tantomeno un progetto di vita a lungo termine. Il periodo attuale non è tra i più semplici, alcuni opinionisti considerano questa crisi una delle più dure e delle più destabilizzanti dell’economia nazionale e internazionale. E’ aumentata la percentuale di giovani che hanno scelto di lasciare l’Italia per andare in altri paesi a lavorare, a proseguire gli studi o a trovare sostenitori per le loro idee, ricerche, progetti e visioni. Avendo visto davanti a loro solo porte chiuse hanno deciso di crearsi con le loro forze e altrove un nuovo portone. Ma la grande madre patria non abbandona mai i suoi figli e infatti sono state attuate delle politiche economiche a loro vantaggio. Il risultato di quest’azione converge nell’entrata in vigore della legge n. 221/2012 di conversione del Decreto Legge Crescita 2.0, una normativa per lo sviluppo e la crescita del Paese. In particolare la sezione IX è dedicata a una nuova tipologia di impresa: la start-up innovativa. Questa è una società di capitali di diritto italiano, anche in forma di cooperativa, o una società europea, avente però sede fiscale in Italia, che ha come obiettivo il progresso, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Le stat-up innovative sono importanti perché favoriscono la crescita sostenibile e l’occupazione (in particolare giovanile), contribuiscono allo sviluppo di un nuovo tessuto imprenditoriale volto all’innovazione, promuovono una mobilità sociale e l’attrazione di talenti italiani e investimenti esteri. Le attività che sono iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese riservata alle start-up innovative godono di numerosi vantaggi come l’accesso prioritario alle agevolazioni per le assunzioni di personale altamente qualificato, l’abbattimento degli oneri per l’avvio dell’impresa, l’introduzione del crowdfunding e di incentivi fiscali per gli investimenti di privati e aziende sulle star-up. Gli universitari, i giovani imprenditori non sono costretti ad allontanarsi dal loro territorio poichè vi sono tantissimi stimoli e agevolazioni per il rilancio del mercato. Infatti a livello regionale si disputano delle business plan competition ovvero le Start Cup, promosse dell’Associazione PNICube, che incentivano la nascita di start-up in vari settori. Le prime tre classificate di ogni regione si sfidano a livello nazionale nel Premio Nazionale per l’Innovazione che premia le migliori idee d’impresa innovative. Nella XII edizione di questa manifestazione per la prima volta è stato riconosciuto il valore del progetto di due pugliesi Vittorio Bava e Fabio Salerno: Diptera. Dopo aver vinto la Start Cup Puglia 2014, organizzata dell’ARTI su incarico della Regione Puglia, i due pugliesi si sono aggiudicati il primo premio PNI nella categoria Agrifood-Cleantech grazie all’ideazione di un processo produttivo più vantaggioso della farina di insetti. Il Cile, come anche altri stati, ha promosso Startup Chile che è un programma che erogava 40mila dollari a fondo perduto per 1000 progetti internazionali che avevano il solo vincolo di trascorrere 6 mesi nel paese per offrire spunti di innovazione alla nazione del rame. Perciò tutti cercano di attirare start up ad alto potenziale di crescita ma non bisogna dimenticare che anche l’Italia vuole ritrovare la sua competitività attraverso i giovani e le loro visioni. Mariangela Corsetti 5 D 7 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Attualità Demotivatio temporum Pensieri di chi scruta il mondo dall’alto dei suoi risvoltini: perché il futuro è passato di moda.. “Facile.it! Facile.it! Facile.it!”. Niente da fare, l’aula magna (e nei casi più clinici la classe di fronte al bar) rimangono perennemente deserte nei giorni dedicati alle assemblee di istituto del Liceo Banzi, fiore all’occhiello della cultura leccese. All’interno della componente alunni è diffusa ed imperante la corrente di pensiero che vede la vita scolastica in mano a pochi illuminati mentre i più si destreggiano nella nobile arte del dormire o prepararsi per il giorno dopo. “Colpa delle banche, colpa del governo ladro! Dello spread, degli immigrati!”, sentenzierà il banzino, contaminato dallo stesso germe che determina la più grande libidine dell’italiano medio: sottrarsi dal riconoscere le proprie mancanze e lamentarsi, lamentarsi sempre.. Che sia per le tasse o per la cogestione poco importa, la lamentela è il sale della vita. La scuola ha perso progressivamente la sua funzione paradigmatica, la palestra di vita che forma uomini con senso critico, e cittadini del futuro. La scuola non si ferma sui libri. È sempre più raro che qualcuno si metta in gioco, che cerchi il confronto e l’arricchimento delle proprie idee. E da pensieri così grezzi e informi, non affinati al dialogo, non può che germogliare una maggiore predisposizione a tendere l’orecchio al pifferaio di turno; la cui specie continua a proliferare incontrollata. I topi incauti, sedotti dal dolce suono, si incamminano verso estremismi anacronistici, facili 8 mode e credulonerìe, e perdono la propria autonomia di pensiero. Sono cambiati i tempi, sono cambiate le persone: ciò che in passato era stato una conquista, sudata a prezzo di dure lotte, adesso necessita di espedienti e addirittura di minacce per incrementarne l’affluenza. La legge prevede la possibilità che l’assemblea di istituto si articoli per corsi paralleli, che si coinvolgano esperti esterni, è possibile inoltre decretarne l’obbligatorietà (il che svilirebbe ulte- riormente la sua funzione); ma il nocciolo della questione non cambia: gli studenti hanno nelle loro mani un potentissimo strumento di cultura e partecipazione, di crescita e scambio di idee, che non sono capaci di valorizzare. “Requie e scatta in pace”, come direbbero i nostri nonni. Massimiliano Muci 4 E NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Attualità La vit toria della Puglia innovativa La Regione mira all’innovazione e al progresso: finalmente i risultati. Dagli albori del sistema economico fino alla sua manifestazione attuale si sono susseguiti notevoli cambiamenti nelle modalità, nei processi, negli strumenti utilizzati, nelle relazione tra mandante e destinatario. Oggi l’assetto socio-economico mondiale è aggredito e corroso da una feroce crisi che rende difficili non solo i rapporti tra cittadino e istituzione ma anche le “International Relations”. Si è visto che alcune persone non risentono della gravità della situazione, anzi ci marciano sopra. Altre invece sono costrette a fare i conti con le problematicità di ogni giorno e con le asperità del futuro. Forse però l’orizzonte non sarà sempre così tetro e plumbeo e nel momento in cui si avrà meno speranza si potranno vedere i raggi del sole. Provvidenzialmente chi di dovere nelle sfere alte ha sviluppato un piano nazionale per intervenire e fronteggiare la situazione, in sintonia con le politiche europee e internazionali. Questo progetto ha come obiettivo e fondamento stesso l’Italia 2.0, l’innovazione, l’amplificazione delle potenzialità di tutti coloro che hanno un’idea, una proposta e non i mezzi per iniziare ma sono pronti comunque a mettersi in gioco. La nascente formula di impresa sostenuta da tale prospettiva è la Start Up, un’attività nuova volta al progresso, alla modernizzazione del sistema, allo sviluppo tecnologico in campo economico, sociale e istituzionale. In pratica queste iniziative sono l’innovazione e il futuro allo stato embrionale e oltre ad avere aiuti e stimoli provenienti direttamente dal Consigli dei Ministri e da enti nazionali, ricevono sostegno anche a livello regionale. La Regione Puglia grazie alle sue braccia (Assessorato allo Sviluppo Economico e Agenzia Regionale per le Tecnologie e l’Innovazione) ha creato una rete di opportunità, di incentivi, di sbocchi lavorativi, di concorsi per la realizzazione concreta di visioni originali. In particolare l’A rti mira al potenziamento infrastrutturale dei laboratori e dei centri di ricerca pubblici pugliesi in vari settori produttivi e alla diffusione dell’innovazione tecnologica e dello sviluppo hi-tech. Le start up, come società di capitali italiani ancora nella proto-fase, necessitano di un ulteriore slancio di partenza per poter crescere, generare modernità, reddito e occupazione. Sin dai tempi antichi il confronto con l’altro è stata la scintilla perfetta per innescare fuoco ardente e maestoso. Allo stesso modo sono state istituite delle Business Plan Competition in ogni regione, ovvero le Start Cup, che convergono nel Premio Nazionale per l’Innovazione. Il primo classificato nella categoria Life Science e anche vincitore assoluto di Start Cup Puglia 2014 è il progetto salentino CareSilk che si è aggiudicato un ulteriore premio di 5 mila euro, oltre al bottino di 10 mila euro del podio d’oro. Gli ideatori di CareSilk sono riusciti a produrre dei fili di seta con proprietà antibatteriche servendo ai bachi da seta del cibo innovativo, foglie di gelso con un film d’argento. I primi premi delle altre sezioni sono Mindesk per l’ICT che ha permesso all’utente di viaggiare virtualmente nel proprio progetto, Green Skin per Industrial che ha commercializzato la cellulosa batterica in luogo della pelle animale o sintetica (sfrutta la simbiosi di batteri e funghi, i quali auto-assemblano il polimero). Il riconoscimento più grande va a Diptera è stata la prima iniziativa pugliese a ricevere il primo premio per Agrifood-Cleantech del Premio Nazionale per l’Innovazione, dopo essere stata incoronata nella Start Cup Puglia 2014. Mariangela Corsetti 5 D 9 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Attualità Il governo che dialoga con gli studenti Intervista al Sottosegretario al lavoro Teresa Bellanova. Gentile Sottosegretario, grazie per la disponibilità che ha concesso al nostro giornale. Le propongo subito la prima domanda. Cosa può dire a noi giovani riguardo al nostro futuro? Parlare con ragazze e ragazzi infinitamente più giovani è una sfida e una scommessa che richiede grande responsabilità e senso del dovere. Sono diversi i linguaggi, i punti di vista dai quali si osserva la realtà, le aspettative. Bisogna farlo sentendo il dovere della sincerità e della chiarezza; assumendo pienamente la responsabilità di cambiare il mondo che vi stiamo consegnando, complicato, a volte violento, peggiore di quello nel quale siamo cresciuti noi ‘adulti’, nel quale è difficile avventurarsi con serenità e fiducia. Cosa posso dire dunque? Ce la stiamo mettendo tutta. Non è facile. La crisi economica e di valori che il nostro bellissimo Paese sta attraversando colpisce dovunque duramente ma in particolare il Sud e ancor più in particolare le generazioni più giovani o le fasce giovanili meno accorsate. I suoi effetti vanno ad incidere su un mercato del lavoro già di per sé inefficiente nel quale chi offre lavoro e chi lo cerca stentano a incontrarsi, su una Pubblica amministrazione autoreferenziale e molto spesso nemica dei cittadini anche suo malgrado, su politiche di sostegno ai singoli e alle famiglie spesso carenti, su una scuola che dovrebbe essere un fulcro privilegiato, e che in questi anni è stata spesso svillaneggiata. Qualcosa, però, sta 10 cambiando. L’obiettivo del governo, il mio, è di modificare e sburocratizzare meccanismi ormai inceppati, di fornire e rafforzare quegli strumenti e quei percorsi utili ed efficaci a consentirvi una prospettiva credibile per il futuro, di aprire finalmente i cassetti nei quali per troppo tempo i nostri ‘gioielli di famiglia’, ad iniziare proprio dalle giovani generazioni, sono stati per troppo tempo chiusi. Che prospettive abbiamo di inserimento nel mondo del lavoro secondo lei? Vorrei sfatare un luogo comune pericolosissimo: che i giovani come voi non abbiano più futuro. Non è vero. Le prospettive – che ci sono – possono essere tanto più ampie quanto più riusciamo a mettere insieme diversi elementi fondamentali. Ne cito alcuni. L’alternanza scuola-lavoro, ossia l’integrazione tra ciò che si studia a scuola e il mondo del lavoro reale, il legame tra istruzione e tessuto produttivo del territorio. Troppo spesso è difficile trovare lavoro non perché non si sia qualificati o perché il lavoro non c’è, ma semplicemente perché il ‘mercato’ cerca competenze diverse da quelle di cui si è in possesso o, ancor peggio, non è in grado di sapere quale sia il range concreto delle competenze comunque disponibili. E’ indispensabile, e lo stiamo facendo, creare le migliori condizioni perché sia possibile fare esperienza del lavoro durante il percorso di studi. Stiamo lavorando per migliorare e rendere più efficienti i servizi per l’impiego: spesso chi offre e chi cerca lavoro non han- no il luogo nel quale incontrarsi. Con il Jobs act potenzieremo il sistema degli ammortizzatori sociali, renderemo universali, cioè per tutti e soprattutto per i lavoratori più giovani, le diverse forme di sostegno cui si ha diritto nel passaggio da un lavoro all’altro o nei periodi di mancanza di lavoro. Ma, e credo che questa sia la vera rivoluzione in un paese come il nostro dove troppo spesso sul lavoro si è giocato al ribasso mantenendo nella precarietà e nell’incertezza migliaia di giovani, ridurremo all’osso i contratti di collaborazione e le mille forme di assunzione temporanea perché l’obiettivo sia unico: rendere il lavoro a tempo indeterminato la forma prevalente, migliore e più conveniente di contratto. Già nella legge di Stabilità per il 2015 si prevedono stanziamenti ingenti per consentire a chi assumerà un lavoratore a tempo indeterminato, di risparmiare per tre anni sui contributi previdenziali e assistenziali. Sono convinta che in questo modo stiamo costruendo per voi e per il Paese una prospettiva reale di futuro. Ci può raccontare come è cambiata la sua vita da quando ha assunto questo ruolo nel governo? Lavorare per il proprio Paese è innanzitutto un onore; porta con sé enormi responsabilità e, spesso, anche un po’ di solitudine. Io però, al lavoro ci sono abituata e anche negli anni scorsi, sia in Parlamento che nel Sindacato, la costante è sempre stata la tutela e la salvaguardia del lavoro e dei lavoratori. Occuparsene da una posizione di governo, che significa l’onere della decisione e del NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Attualità fare le leggi, comporta certo un carico di incombenze ulteriori, attenzione a difficili equilibri da salvaguardare per arrivare alla soluzione migliore, competenze, responsabilità. Significa dover lavorare anche di notte per chiudere vertenze importanti nel modo migliore. Una fatica compensata dalla convinzione di contribuire, nel mio piccolo, a migliorare le condizioni di vita e di lavoro nel nostro Paese. Lei rappresenta il nostro Salento in Italia, quali sono secondo lei i punti di forza e le possibilità della nostra terra? Il Salento vive un momento magico. E’, come si dice, un territorio trendy. Credo che questo sia dovuto anche alla nostra capacità di aver saputo salvaguardare e tutelare, sia pure in parte, la bellezza del nostro territorio. Oggi proprio questa bellezza è una formidabile alleata per lo sviluppo e la crescita e dovremmo fare di tutto per proteggerla. In questi anni d’altra parte si sono sviluppate e rafforzare esperienze d’eccellenza in quasi tutti i settori. Ultimo, ma non ultimo, quelle legato alla cultura e alle industrie creative. Non dimentichiamo che Lecce ha corso per essere Capitale europea della cultura nel 2019 anche in forza di esperienze maturate e radicate negli ultimi anni e della naturale propensione del nostro territorio ad essere aperto alla relazione con gli altri e contemporaneamente legato alla tradizione, al culto dell’ospitalità e dell’accoglienza. Naturalmente tutto questo per divenire reale occasione di sviluppo e di crescita ha bisogno di sostegno, di risorse, di qualificazione. Per quel che mi riguarda, farò tutto quanto è possibile perché le potenzialità della nostra terra possano finalmente esprimersi compiutamente. Tutti ricordiamo la famosa risposta “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, qual è il suo rapporto con la religione? Il senso di quella frase è il riconoscimento pieno di un criterio di laicità fondato sul rispetto assoluto tra credenti e non credenti. Aggiungerei una cosa: la fede è un fatto strettamente privato, la religione è un fatto pubblico. Mi ritengo una persona profondamente laica. La ringrazio per la sua gentile collaborazione e le auguro un buon lavoro.. Luna Maggio 4 E 11 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Cultura L’immortalità di Charlot I cento anni del personaggio di Charlie Chaplin, attuale e incisivo anche ai giorni nostri Prima della comicità da adesso, delle gag esagerate, della volgarità facile, delle parolacce, dei “cinepanettoni”, delle leggere commedie francesi e dei film comici americani, c’era lui. Che faceva ridere e sognare con solo le espressioni, la camminata e la sua inseparabile bombetta. Charlie Chaplin, attore, regista, sceneggiatore, comico, compositore e produttore britannico, autore di oltre novanta film, è colui, insieme a Buster Keaton, a cui dobbiamo la comicità come la conosciamo adesso. Figura importantissima per l’epoca del film muto e non, costruisce la sua carriera attorno al personaggio del “vagabondo” (Charlot), personaggio di basso rango sociale, che cerca di affermarsi e di interagire con una società che lo disprezza per le sue umili condizioni. Bombetta, giacca stretta e scarpe più grandi, maldestro e sfortunato, era la figura in cui più persone si potevano immedesimare, in un’epoca a cavallo tra gli anni Temi sempre attuali e ironia senza tempo, sono le caratteristiche dei film di Chaplin venti e gli anni trenta, in cui l’A merica attraversava un’importante crisi economica. Unica consolazione di Charlot è l’amore, che sia di un animale, di un bambino o di una ragazza, spesso sventurata e 12 vittima della società come lui. Satira sociale, quindi, che si unisce a una comicità leggera, fatta di gag corporee, mai troppo enfatizzate, situazioni grottesche e sconvolgimento della logica. Far ridere e pensare insieme, quindi. Intento che più di qualunque altro film si mostra in “Tempi moderni”, che quest’anno è stato restaurato ed è uscito nelle nostre sale il 15 dicembre, per festeggiare i 100 anni del personaggio di Charlot. “Tempi moderni” racconta la storia di un operaio, interpretato da Charlie Chaplin, facente parte di una catena di montaggio, costretto, per il suo lavoro, a compiere sempre gli stessi ripetitivi gesti. Un giorno, a causa di ciò e dei ritmi disumani a cui è sottoposto, impazzisce e provoca il fermo di tutta la catena di montaggio. Il film è il perfetto connubio tra tragico e comico, una spietata satira alla società moderna che tratta l’uomo come una macchina, lo priva della propria individualità incastrandolo nella monotonia, come anche suggerisce la famosa scena in cui troviamo Charlot bloccato tra gli ingranaggi della macchina con cui lavora. Temi sempre attuali e ironia senza tempo, sono le caratteristiche dei film di Chaplin. I cento anni del personaggio di Charlot sono stati festeggiati anche con un contest indetto dalla Cineteca di Bologna. Ritirando la maschera di Chaplin dal cinema che ha proiettato “Tempi moderni” (da noi, dal cinema Db d’Essai), facendo con essa una foto divertente e inviandola all’email [email protected], si ha la possibilità di vincere il cofanetto Dvd “Tempi moderni”. Riscopriamo, dunque, la filmografia di Chaplin, non lasciamoci spaventare dal bianco e nero, dal muto, dall’età delle sue opere, queste sono piccoli gioielli che possono essere apprezzati da tutti, grazie al potente messaggio e alla comicità accessibile. Riscopriamo un personaggio che ha segnato la storia del cinema e che rimarrà per sempre attuale, immortale, comunicativo e divertente., Matilde Tramacere 5 D NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Cultura La Maternità nell’arte Il Natale porta con sè anche l’immagine della Madonna con il bambino, vediamo come gli artisti di tutte le epoche hanno interpretato questo tema. Quando pensiamo al Natale ci viene in mente la capanna dove il bambinello nasce avvolto dal calore della madre Maria, e del padre Giuseppe. Nel corso dei secoli gli artisti hanno cercato di dare un vero volto alla figura della madre. Perciò la maternità è stata una tematica che ha percorso molti secoli nella storia dell’arte. L’attuale visione della maternità è molto diversa da come era prima, infatti ora la madre può non essere vincolata dal matrimonio o può essere libera di abortire. Troviamo anche le “teen mom” madri adolescenti, o magari divorziate e single. Ma prima la madre doveva accudire il figlio, era come una “culla umana” dove egli stesso trovava un rifugio. Ripercorrendo nei secoli l’immagine di una donna con il figlio non si può non fare riferimento alla “Santa Trinità” di Cimabue del 1280. L’artista introduce un’espressione quasi di dolcezza materna nella Madonna. Successivamente nel 1510, con la “Madonna col Bambino” di Giovanni Bellini, espressione del Rinascimento veneziano, si ha una svolta naturalistica in cui il colore sembra essere il mezzo espressivo privilegiato per una rappresentazione più vicina alla realtà. Spostandoci negli anni dal 1483 al 1520, Raffaello Sanzio lavora assiduamente al tema della Madonna col Bambino. Nella “Madonna della Seggiola” Maria abbraccia il Bambino avvolgendolo con tenerezza. La spiritualità dell’opera viene comunicata attraverso la bellezza ideale dei volti e l’accordo armonioso e perfetto di ogni parte del dipinto. Michelangelo Buonarroti ha rappresentato il dolore di una madre per la sofferenza del figlio nella scultura delle due “pietà”, rispettivamente “La Pietà” vaticana del 1498-1499, e “Pietà Rondanini” del 1522-1564. Nella Pietà di fine ‘400, l’opera si fonda su una compostezza ed un equilibrio ideali, richiamando una minuziosa perfezione nella ricerca dei dettagli classicista. Nella “Pietà Rondanini” invece l’artista sceglie la tecnica del “non-finito” per far cogliere al fedele la forza espressiva imprigionata nel blocco di marmo, ma che traspare grazie al lavoro di liberazione che lo scultore stesso compie dalla materia. Sempre nel ‘500 in Veneto, si afferma una nuova visione della realtà, dove la figura umana è riferita ad un paesaggio mutevole nei suoi effetti atmosferici. In particolare, Giorgione nel “La Tempesta” 1502-1503, attraverso il colore rende profondo lo spazio e il cielo nuvoloso distribuisce la luce in modo uniforme, mettendo in risalto la figura della donna a destra e dell’uomo a sinistra che rappresentano simbolicamente l’umanità in attesa di un evento naturale. Proprio questa serenità dell’attesa ci fa cogliere il dettaglio della donna a destra ritratta in una scena di vita quotidiana: l’allattamento in nudità. Molti secoli e anni più avanti, con il “Divisionismo” in Italia ritroviamo due artisti che hanno rappresentato la maternità in momenti diversi. In Gaetano Previati nella “Maternità” 1890-1891 l’immagine è pervasa da un profondo senso di spiritualità. Mentre Giuseppe Pellizza da Volpedo in un dettaglio de “Il Quarto Stato” dove è simbolicamente rappresentato il cammino dei lavoratori, mette una madre che porta in grembo il bambino marciando in prima fila. Nei primi anni del Novecento, Pablo Picasso rappresenta due momenti della maternità. Nel “periodo blu nel quadro “La vita”, 1903, viene raffigurata nel dettaglio a destra una madre di profilo con in grembo il figlio in tre/quarti con aria cupa. Mentre nel “periodo rosa” nel quadro “Madre e figlio” del 1905 il figlio viene ritratto nelle vesti di giullare, i volti guardano in direzioni opposte, e il sentimento che traspare dalle vesti del bambino è un senso di libertà. Questi sono alcuni riferimenti significativi della storia dell’arte, ma ce ne sono tantissimi altri, da questi pero’ si può notare come si è evoluto il concetto di mamma. Rebecca Prato 4 H 13 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Cultura La perversione dell’ideologia La degenerazione dell’idea porta inevitabilmente ad un risultato atroce per gli uomini. È quello che accadde nei totalitarismi di Hitler e Stalin. . Dal passato si possono attingere una marea di esempi che ci mostrano come a volte l’adesione totale ad un sistema ideologico religioso, economico, politico, si risolva alla fine in un susseguirsi di veri e propri crimini contro l’umanità. L’ideologia, sorta dopo un’analisi specifica delle cose, propone una interpretazione e quindi una soluzione o una linea di azione, ma spesso vuole essere attuata senza altre contaminazioni ideologiche. Non essere disposti ad aprire un dialogo porta inevitabilmente ad una lotta senza fine, perché si è sempre convinti dell’autenticità e validità di un’unica ideologia: la propria. E’ necessario comprendere che l’imposizione forzata di un pensiero genera il soffocamento della persona che ci è di fronte. Nel ‘900, due esempi eclatanti di aberrazione dell’ideologia ce li forniscono il nazismo di Adolf Hitler e il comunismo di Iosif Stalin. L’elemento alla base dell’ideologia hitleriana fu la volontà di riscattare il suo Paese, la Germania, dalle umiliazioni inflittele con il trattato di pace di Versailles, firmato dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. In questa volontà di riscatto nazionale, Hitler fuse le proprie ambizioni personali, che si sarebbero realizzate con il predominio della Germania sul mondo intero, adottando un metodo politico che prevedeva l’utilizzo della violenza e della sopraffazione degli avversari. Questa “ideologia del riscatto” raggiunse il picco della perversione nell’individuazione come obiettivo prioritario dell’eliminazione del popolo ebraico, considerato il ca- 14 pro espiatorio dei mali della Germania. Hitler aderì a una tendenza già latente nella cultura tedesca, quella cioè dell’antisemitismo. La sua perversa ideologia, nominata nazional-socialismo (inteso come impegno collettivo organizzato dallo Stato per la grandezza della Nazione), fu sviluppata da egli stesso nell’opera “Mein Kampf ” (“La mia battaglia”). Dopo aver ottenuto il potere democraticamente, instaurò un regime dittatoriale, finalizzato alla soppressione di tutte le libertà fondamentali dei cittadini e allo sterminio degli ebrei. Una realtà simile è nata dalla realizzazione della degenerazione violenta e totalitaria dell’ideologia comunista, già di per sé intrinsecamente antidemocratica, in quanto basata sulla negazione di tutte le libertà personali, ad opera di Stalin. Continuando la politica di Lenin, instaurò un potere dispotico gestito dal solo partito comunista, guidato unicamente da lui stesso e da uomini a lui strettamente devoti. In questo contesto totalitario, il cui mantenimento era garantito anche dall’eliminazione fisica dei dissenzienti nella popolazione e nel partito, furono consumati eccidi di intere popolazioni. Come strumento di repressione, sia Hitler che Stalin hanno applicato concretamente l’annullamento della dignità umana nelle realtà atroci dei lager e dei gulag (campi di lavoro forzato). Due paesi diversi, due governi diversi, due ideologie diverse, ma stessa matrice perversa. Forse quei due non sapevano che il mondo non era stato fatto su misura per loro e per i loro scopi. Il mondo appartiene a tutti gli uomini e funziona non quando le ideologie si impongono con la forza, ma quando si incontrano, si confrontano e convivono pacificamente e se c’è cultura, informazione, spirito critico, capacità di previsione, quella più aberrante rivelerà la sua essenza e verrà ripudiata dagli uomini stessi. Eleonora Serafino 5 M NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Scienza e Te c n o l o g i a S. Cristoforet ti, lo spazio è tricolore Nel paese dai piedi di piombo, la prima donna italiana vola oltre i confini della Terra to di mercato ma frutto dell’im- Lontana più di quattrocento chilometri da noi, appena fuori dall’atmosfera terrestre, si trova il più grande traguardo che il progresso tecnologico abbia mai raggiunto nella storia dell’umanità. Si tratta della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), cuore e motore della ricerca scientifica, impegnata non solo a sviluppare il perfezionamento dei veicoli spaziali ma volta anche ad ampliare le conoscenze in ambito medico, chimico e biologico, facendo della stazione un vero e proprio laboratorio sperimentale. In costruzione dal 1998, la ISS è abitata ininterrottamente da astronauti e cosmonauti provenienti da tutto il mondo. L’equipaggio della ISS viene sostituito periodicamente al termine di ciascuna missione. Questa volta è il turno di Samantha Cristoforetti, che ha lasciato la Terra la sera dello scorso 23 novembre. Scelta tra più di ottomila candidati, l’astronauta italiana dell’ESA è sull’ISS come ingegnere per “FUTURA”, la missione tutta italiana che ha avviato significative ricerche di carattere medico e tecnologico, tra cui lo studio delle cause della sclerosi multipla, l’applicazione di sensori in grado di misurare il battito cardiaco e il respiro, nonché il funzionamento delle stampanti 3D. Grandi passi per un’ Italia che fatica a tenersi in piedi, un’Italia in cui scienza e ricerca sono ormai considerate accessori, le ultime della lista a cui toccano gli avanzi. Perché nessuno se ne fa niente di chi guarda troppo avanti, di chi lavora tra calcoli astratti e mere ipotesi. In una società costretta ad affrontare sacrifici giorno per giorno, non c’è spazio, tempo, energie da sprecare per qualcosa che non porta pane. Eppure, abbattendo le misere svalutazioni di chi è preoccupato di riempirsi la bocca e le tasche piuttosto che il cervello, si riuscirebbe a comprendere che il progresso è alla base della civiltà, indipendente e genuino, perché non è un prodot- pegno e della dedizione umana. E a ricordarcelo per fortuna c’è proprio quella ragazza del Trentino, innamorata da sempre del cielo delle sue montagne. Laureata in ingegneria meccanica, ufficiale dell’aeronautica militare, si specializza negli Stati Uniti e, scelta per la missione “Futura”, corona il suo sogno a 37 anni. Ciò che ha conquistato il cuore degli italiani è stata l’inaspettata solarità che ha irradiato dall’inizio della sua avventura, ma soprattutto il desiderio di rendere la sua impresa l’impresa di tutti e la sensibilità con la quale ha portato nelle case di ciascuno di noi piccoli sprazzi di universo, attraverso internet e i social. La rivoluzione di Samantha Cristoforetti non è stata soltanto quella di aver colorato lo spazio del rosa italiano, ma di aver dato al viaggio ai limiti dell’immaginario una dimensione più umana. Tra decorazioni natalizie, libri e caffè, dall’ISS tiene gli occhi piantati dritti su di noi, sperando di farci vedere quel “mondo interconnesso” così come lei lo vede, affinché tutti, soprattutto i leader politici, possano sentirsi parte di un’unica realtà. Abbassando il volume del chiacchiericcio di chi pensa di poter parlare della Cristoforetti come di un qualunque personaggio di spettacolo e cancellando commenti retrogradi e sessisti, finalmente Samantha potrà emergere per quello che è: una donna della scienza che ha costruito con le proprie mani la scala che porta alle stelle. Angela Aromolo 4 E 15 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Scienza e Te c n o l o g i a Le infinite copie di... me stesso! Quanto è grande l’universo? L’ipotesi che sia infinito acquista sempre più credibilità, e questo potrebbe avere conseguenze sconvolgenti! Contemplando la meravigliosa bellezza del cosmo, non possiamo fare a meno di provare sentimenti contrastanti. Fascino sicuramente, ma anche timore reverenziale, nei confronti di una realtà che sfugge alla nostra comprensione e trascende la nostra infinita piccolezza. L’universo, spesso associato all’insieme della materia visibile, sembrerebbe molto più vasto. Gli ultimi indizi infatti, ci portano a credere che esista solo un limite temporale, l’età dell’universo, ma non uno spaziale: l’universo potrebbe avere un estensione infinita. Consideriamo la velocità della luce, di 300000km/s. Se l’età dell’universo è di 13.8 miliardi di anni, la luce ha avuto solo questo tempo per viaggiare dai più remoti anfratti del cosmo sino alla Terra. Ciò significa che la luce proveniente dagli oggetti che si trovano ad una distanza maggiore di 13.8 miliardi di anni luce (circa 4.1 80.000.000.000.000.000 metri), non ha avuto il tempo giungere fino a noi. Cosa c’è oltre l’orizzonte delle particelle visibili? Altri mondi, altra materia, un infinito inesplorato. L’universo, potrebbe essere dunque infinito. Quali sono le possibili conseguenze di una tale ipotesi? Ma soprattutto, quanto è “grande” l’infinito? Per definizione, l’infinito non ha una grandezza, è indefinitamente esteso, senza limiti. Per comprendere quanto segue dobbiamo ricorrere ad un esempio. Se avessimo 6 palline colorate, tutte diverse, e dovessimo di- 16 sporle in un cassetto, quanti modi avremmo di farlo? Ovviamente, esisterà un numero finito di modi, a seconda della grandezza del cassetto e del colore delle palline. Supponiamo di prendere adesso ciascuna singola particella che compone il nostro universo osservabile. Una cifra discreta oserei dire: circa 10 seguito da 40 zeri. Quante sono le possibili configurazioni di questo immenso insieme di particelle? Un numero enorme, incommensurabilmente grande, ma nonostante ciò, finito. Se oltre l’orizzonte delle particelle, lo spazio si estende indefinitamente,abbiamo “tutto lo spazio a nostra disposizione”, e possiamo individuare infiniti altri universi, in quello che verrà definito un “Multiverso”. Essendo presenti infiniti universi, sicuramente, ne esisteranno alcuni molto diversi fra loro, altri molto simili, altri addirittura identici. Alcuni di essi, saranno incompatibili con la vita. In altri, prevarranno strane leggi fisiche. Potrebbe addirittura esistere, sebbene la probabilità sia davvero esigua, un universo in cui l’Italia è governata da politici onesti! Sicuramente, distribuite negli infiniti universi, esisteranno infinite copie di me stesso, e di voi che in questo momento leggete l’articolo, intenti nelle attività più disparate. L’esistenza del multiverso implicherebbe sconvolgimenti non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista etico e filosofico. Se già comprendiamo a fatica l’enormità dell’universo che ci ospita, come relazionarci ad una realtà infinitamente più grande? Non saremo più, come diceva Newton, bambini che giocano con le conchiglie di fronte all’oceano inesplorato della conoscenza, ma, citando Pascal, “giunchi pensanti”, fragilmente in equilibrio fra infinitamente piccolo ed infinitamente grande. *Per ulteriori approfondimenti su queste “folli” teorie: “La realtà Nascosta” Di Brian Greene, o “The True Science of Parallel Universes”, su YouTube. Alfredo Bochicchio 5 O Lo stomaco in provet ta NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Scienza e Te c n o l o g i a Strutturalmente perfetto, ma minuscolo. E’ il primo tessuto gastrico creato in provetta, a partire da cellule staminali umane. La sua creazione mette a disposizione un modello per studiare le molte malattie che colpiscono l’organo. I ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center durante il corso di uno studio sul batterio Helicobacter pylori, principale causa di ulcere e cancri allo stomaco, hanno creato dei mini-stomaci, chiamati organoidi gastrici. Questi tessuti gastrici oltre ad essere tridimensionali, funzionali e strutturalmente corretti, sono anche perfettamente identici a dei normali stomaci. Ed è stato proprio grazie allo studio preciso e dettagliato delle fasi necessarie alla formazione di un normale stomaco embrionale che gli scienziati sono riusciti a riprodurlo. Hanno infatti osservato tutte le fasi di differenzazione delle cellule nell’ embrione per poi riprodurle all’interno di una provetta. Questa fase dello studio, durata circa sei mesi, ha dato il via alla creazione vera e propria degli organoidi gastrici. I ricercatori si sono impegnati per ricreare tutte le fasi della differenzazione delle cellule di uno stomaco in un embrione, in una provetta in cui vi erano coltivate particolari cellule staminali. I risultati dello studio erano inizialmente disastrosi: i mini-organi che si sarebbero dovuti formare non si potevano utilizzare per la ricerca, in quanto tessuti morti, strutturalmente sbagliati, non funzionanti o non corretti anatomicamente. Ma dopo due anni di sperimentazioni in cui i ricercatori hanno testato vari fattori di crescita sono riusciti a trovare la corretta procedura e hanno creato un organoide gastrico tridimensionale del diametro di tre millimetri. “Uno stomaco in miniatura, funzionante e perfetto in ogni sua forma.” questo dice Kyle W. McCracken, uno dei ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center. Il loro scopo era infatti ottenere un modello sufficiente per studiare i processi che portano allo sviluppo delle patologie gastriche. Inoltre McCracken aggiunge che lui e i colleghi sono riusciti riusciti ad identificare e seguire passo dopo passo i cambiamenti biochimici che si verificano nell’organo già dopo 24 ore dall’infezione con H. pylori. Per esempio, gli scienziati sono riusciti a osservare la rapida attivazione nelle cellule gastriche di un gene noto per il suo ruolo in diverse forme di cancro. Le prospettive? Riuscire a seguire da più vicino lo sviluppo di ogni tipo di patologia gastrica e contribuire a scoprirne le cure. Inoltre la creazione di uno stomaco funzionante in provetta può solo rappresentare l’inizio di altri studi per creare ogni tipo di organo grazie alla cultura delle cellule staminali umane. Claudia Pulito 2 F 17 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Musica Ritornano i Pink Floyd:The Endless River Dopo quasi vent’anni, i Pink Floyd concludono la loro carriera con un album capace di sconcertare ed ammaliare, rimanendo sul podio del rock per quasi mezzo secolo.. Un album “emozionale ed educativo”, come lo definisce lo stesso David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, all’indomani dell’uscita di The Endless River. A vent’anni da The Division Bell, i Pink Floyd propongono un lavoro caratterizzato da un forte senso di malinconia che fa da cornice a diciotto brani. Di questi, solamente uno è cantato, Louder Than Words, scritto dalla signora Gilmoure, Polly Samson, che rappresenta l’effettivo e toccante addio della band al loro percorso musicale, che coincide con quello del rock stesso. Gli altri diciassette sono strumentali, chiaro frutto della personalotà artistica di Gilmour, che rimandano ai capolavori The Dark Side Of The Moon e Another Brick In The Wall, in cui gli accordi di pianoforte, sax ed organo, ancora una volta, testimoniano il genio, la tecnica, la ricerca sonora e intelligenza creativa di questa storica band . Questo album è un chiaro omaggio di David Gilmour e Nick Mason a Richard Wright, lo storico tastierista scomparso nel 2008 all’età di sessantacinque anni. “The Endless River è un tributo a Rick, un modo per riconoscergli che ciò che faceva e come suonava era proprio il cuore del suono dei Pink Floyd. Riascoltando quelle vecchie registrazioni mi ha riportato alla mente quanto fosse speciale il suo modo di suonare” afferma Nick Mason. Infatti, lo stesso Wright ha contribuito allo sviluppo di quest’album che ha richiesto numerosi anni di lavoro per dare un addio degno delle aspettative. 18 L’album, infatti, è il canto del cigno di una band che ha segnato la storia per la propria creatività, maestria ed avanguardia artistica. Anche in quest’ultimo progetto, che segna la fine di un cinquantennio di musica rock mai scontata, la band dimostra la chiara volontà di prendere le distanze da tutta la musica pop e commerciale, il cui solo fine è qualche breve comparsa in classifica come memoria dei tempi che furono, ma continuando un costante percorso di ricerca e sperimentazione artistica. Quest’album rappresenta, quindi, un addio solenne ma addolcito da un affascinante gioco di sapienti accordi che percorre tutte le diciotto tracce, mettendo un punto forte e maestoso alla storia dei Pink Floyd e di un cinquantennio di rock concepito come mai prima d’ora, classificandosi, per molti, come il miglior album pubblicato nel 2014. L’album, confermandosi un addio toccante e affascinante, rimanda ad alcuni storici capolavori della band, come Shine On You Crazy Diamond , Us And Them e Time. Nonostante questo, l’ultimo lavoro ha ricevuto non poche critiche, come sempre avvenuto con i vari capitoli discografici di questa rivoluzionaria band. Soprattutto per i più fervidi sostenitori dei primi tempi, la mancanza di Syd Barret e Roger Waters implica una perdita di originalità, arrivando a descrivere questo album come “musica psichedelica da cena” o “un requiem di melodie familiari”, come scrive la prestigiosa rivista Rolling Stones. Lo stesso Waters prende le distanze dal percorso eseguito dalla band, deludendo le aspettative (forse anche un po’ utopiche) di tutti coloro che speravano in una reunion completa nel dire addio ai Pink Floyd. L’album, quindi, si presenta come la classica incapacità di comunicare della band, estremizzando la ricerca sonora oppure come una grande opera che in 53 minuti riesce a descrivere il percorso di un lustro di storia del rock. I Pink Floyd propongono quindi un album, magari non capace di far accrescere il numero dei seguaci, ma certamente capace di concludere in modo degno e maestoso la loro carriera, toccando le corde più profonde degli storici ascoltatori. Enrica Ferilli 3 B NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Musica Sonic Highways: un viag gio nella musica Il nuovo album, otto tracce registrate in otto città diverse e una serie televisiva che racconta il viaggio della band di Dave Grohl alla ricerca delle proprie radici musicali. Cosa ci si può aspettare da una band capeggiata dal batterista di un certo gruppo chiamato Nirvana? Se la vostra risposta è “buona musica”, siete molto vicini, ma questa volta Dave Grohl, assieme ai suoi, si è davvero superato. Sonic Highways, il nuovo ed attesissimo album dei Foo Fighters, affonda le radici su un progetto ben più galattico del semplice disco sullo scaffale dei negozi. Chicago, Washington D.C., Nashville, Austin, Los Angeles, New Orleans, Seattle, New York, 8 grandi città degli Stati Uniti per erigere un grande monumento alla storia musicale dell’A merica, ma anche, e soprattutto, della musica in generale. Ed è così che nasce Sonic Highways: un’ispirazione diversa per ogni città, influenze musicali diverse per raccontare il processo con il quale la musica arriva all’ascoltatore finale. Ma oltre a stare dietro ad un microfono con la chitarra in pugno, stavolta Dave Grohl si mette anche dietro le telecamere, e dopo la sua esperienza alla regia di Sound City, raccoglie tutto quello che è utile per ricostruire la storia musicale degli Stati Uniti D’A merica. “Una delle nostre intenzioni era di ispirare le nuove generazioni di musicisti e farli innamorare della musica esattamente com’è successo a noi” racconta il frontman in una recente intervista. Il risultato è una serie televisiva di otto episodi, finanziati e prodotti dalla HBO, che vanno aldilà del disco da ascoltare. Il copione di ogni puntata è quasi sempre lo stesso: interviste a celebrità americane, tra le quali spunta persino Barack Obama; vari aneddoti sulle città, sugli studi di registrazione e sulle storie musicali dei vari luoghi e infine Dave Grohl si siede, e nero su bianco scrive il testo delle canzoni. I Foo Fighters fanno della serie Sonic Highways una mappa musicale con il quale si raccontano dall’alfa all’omega, lo fanno mediante canzoni, con quel loro autentico sound che conservano da ormai due decadi, e dietro ritmi propulsivi e melodie solenni, senza forzare cambia- menti di stile, si eleva l’atmosfera delle downtown Americane. Ma guai a pensare che questa svolta televisiva dei Foos sia un cedimento alle logiche del mainstream. Niente di più falso. In questi tempi in cui tutto sembra una lotta sul modo migliore per usufruire della musica (digitale? In streaming? In vinile?), e dove tutto sembra ruotare attorno a quanto guadagnano i grandi artisti per un brano ascoltato su Spotify, questa serie televisiva è una boccata d’aria fresca in uno svigorito ambiente musicale, un tentativo di riportare la musica in televisione per coinvolgere più persone, un documentario per far riscoprire il lato umano della musica, quanto sia semplice iniziare a suonare ma anche un invito a provare a fare lo stesso lavoro per il proprio paese. “Ogni paese al mondo ha sicuramente una band che potrebbe andarsene in giro a raccontare la storia di quella nazione, di città in città, sottolineando come l’ambiente abbia influenzato la scena musicale, incoraggerei chiunque a farlo” dirà Dave Grohl alla fine delle riprese. Insomma, il divertimento è assicurato, forse è quasi obbligatoria la visione della serie televisiva, ma è sicuramente un disco che ambisce a posizionarsi nei primi posti delle classifiche del 2014. Chi lo sa se sarà il disco dell’anno, ma se vi chiedete se il rock è morto, potete chiederlo ai Foo Fighters. Gabriele Rizzo 5 N 19 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Spor t Quando la propria passione uccide Storie tragiche di sportivi morti sui campi da gioco e sulle piste I tempi passano, il progresso si spinge verso orizzonti che nessuno immaginava, ma purtroppo le morti degli sportivi sono all’ordine del giorno. Anche negli sport che possono sembrare sicuri a tutti gli effetti, talvolta può succedere l’imprevedibile. Si può prendere come esempio ciò che è accaduto al povero Piermario Morosini, ex centrocampista del Livorno che durante una partita, valevole per il campionato di serie B italiana, che contrapponeva la sua squadra al Pescara di Zeman, muore a causa di un’improvvisa crisi cardiaca. Il calciatore si è accasciato a terra al 31’ del primo tempo e i soccorsi non sono serviti a salvargli la vita, anche perché arrivati in ritardo e non completi a causa della mancanza di alcuni macchinari. Questo episodio ha avuto un’enorme rilevanza in tutto il mondo, tanto da colpire i sentimenti anche di dirigenti di altre federazioni calcistiche al di fuori di quella italiana, i quali hanno fatto rispettare il classico minuto di silenzio prima dell’inizio delle partite. In Italia la morte di Morosini diventa un caso a tutti gli effetti, perché evidenzia la mancanza di adeguati controlli sugli sportivi e l’assenza di apparecchiature sanitarie (come il defibrillatore) negli impianti, utili a salvare la vita in situazioni delicate come questa. Ciò ha portato tutte le società italiane a risolvere questo problema e dal 14 aprile 2012, il defibrillatore è stato acquistato anche in società dilettantistiche, che molto spesso hanno a che fare con i ragazzini delle scuole calcio. Morosini è tutt’ora 20 ricordato dalle società in cui ha militato, tanto che il Vicenza e il Livorno hanno ritirato il numero 25 a poche ore dalla scomparsa e gli sono state dedicati il centro sportivo della squadra vicentina, una delle gradinate dello stadio Armando Picchi di Livorno e la curva sud dello stadio di Bergamo. Ma il calcio non è lo sport più colpito da questi fatti spiacevoli, che toccano il loro apice nei campionati motociclistici ed automobilistici come il Motomondiale e la Formula 1. In questi sport, dove regnano alta velocità e spettacolo, gli “atleti” sono più avvezzi agli incidenti e, proprio per questo motivo, indossano tute da gara dalla tecnologia avanzatissima, che spesso sono dotate di airbag per attutire ogni tipo di caduta violenta o di forte scontro. Nonostante queste innovazioni abbiano limitato di gran lunga i danni, accadono anche oggi episodi isolati che portano alla morte dei piloti, spesso di giovane età. Parlando di Motomondiale, vi sono stati più casi negli ultimi anni, ma quello che ha avuto più risalto mediatico è stato il caso del nostro connazionale Marco Simoncelli, pilota di Tavullia (stesso comune del campione Valentino Rossi) morto il 23 ottobre 2011 durante il Gran Premio della Malesia, valevole per il campionato della MotoGP. Simoncelli era descritto dai colleghi come un pilota eccessivamente spericolato, che non sdegnava mosse azzardate pur di centrare il suo obiettivo. Ma questo suo modo di essere lo ha portato a perdere il controllo della sua Honda del Team Gresini durante il secondo giro sul circui- to di Sepang e, subito dopo, ad essere investito dai due piloti che lo seguivano, Colin Edwards e Valentino Rossi, che involontariamente con la sua Ducati è stato complice della morte dell’amico. La tanta rilevanza data a questa tragedia, ha permesso ai genitori del pilota di fondare un associazione ONLUS con il suo nome, che con le donazioni riesce ad aiutare molte persone bisognose, senza alcuno scopo di lucro. A memoria di SuperSic, gli è stato dedicato il circuito di Misano Adriatico, dove si svolge il Gran Premio di San Marino. Questi due sportivi sembrano provenire da due mondi diversi, ma hanno una cosa in comune: essere morti facendo ciò che amavano fare. Michele Papa 5 M NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Sezione Spor t La gazzet ta dei calciofili “Forza Italia, speramu ca encimu ste doi partite, e provu cu fazzu lu megghiu possibile”. E’ con questa frase in dialetto leccese che Graziano Pellè si presenta alla vigilia della partita della nazionale azzurra contro Malta, valida per le qualificazioni all’Europeo in Francia nel 2016. Proprio lui, da molti definito come “il bomber dimenticato”, segnò quella sera il gol vittoria per gli azzurri all’esordio con la maglia della nazionale maggiore. Eppure Graziano non ha mai incantato nessuno di speciale in panorama internazionale. La sua terra di conquista è l’Olanda, dove con l’A Z ha siglato 14 gol in 78 partite, ma è con il Feyernoord che raggiunge risultati eccellenti con 50 gol in quasi altrettante partite. Non è una novità che in Italia non si riesca a scommettere e a credere sui giovani già da mezzo secolo. Cresciuto nel Copertino, viene notato dal Lecce che lo aggrega al suo settore giovanile a 17 anni. Qualche presenza in Primavera e l’esordio contro il Bologna non convincono la società salentina a riconfermarlo nella rosa della squadra maggiore. Così viene mandato in Serie B in prestito al Catania, ma i risultati ottenuti non sono entusiasmanti. Nonostante le 15 presenze nel campionato cadetto, il Lecce lo rivuole per la Serie A dove accumula una decina di “gettoni” nel 2005. Riparte ancora in prestito per Serie B, stavolta al Crotone dove il “timido” Graziano si sblocca segnando 6 reti in 17 partite giocate. Il Lecce vuole fargli accumulare presenze e ancora una volta l’attaccante di San Cesario di Lecce si rende utile in Serie B con il Cesena, dove con 37 presenze, porta il suo “bottino personale” a 10 gol. Un certo signor Van Gaal nel 2007 lo vuole con l’A Z, club dal quale spiccherà il volo. Graziano ormai è famoso in tutta Olanda e il suo miglioramento calcistico non passa inosservato. Decide in seguito di dare un’opportunità all’Italia: il Parma lo acquista, ma deluso per la sua scarsa media (appena un gol in 11 presenze) decide di girarlo alla Sampdoria, dove segna 4 gol in 12 partite. Torna a Parma a fine stagione dove colleziona una presenza. Bocciato “all’esame”, Graziano ritrova fiducia di nuovo in Olanda, dove diventerà uno degli attaccanti più forti del campionato olandese. Graziano può essere etichettato come un grandissimo giocatore, ed è proprio questa etichetta che incuriosisce tutti. Anche club italiani che, nonostante il costo non elevatissimo del suo ingaggio, preferiscono non acquistarlo. Ci pensa subito un club inglese come il Southampton, che lo sceglie per guidare il proprio attacco. “The italian goal machine” realizza 7 gol in 15 presenze in un campionato ostile come quello inglese. Tutt’ora ha l’opportunità di fare meglio poiché la stagione con la nuova maglia è in corso; a incoraggiarlo il premio ricevuto a ottobre come miglior giocatore della Premier League (Serie A inglese), ottenuto superando giocatori del calibro di Eto’o, Hazard, Rooney, Falcao. Giocatore calcisticamente completo, Graziano (classe ’85) è un giocatore da prendere seriamente in considerazione. In conclusione possiamo solo fargli un grandissimo in bocca a lupo, e auguragli una carriera ancora ricca di soddisfazioni nonostante la sua veneranda età. Possiamo inoltre sperare che il calcio italiano cambi presto mentalità, riuscendo a comprendere l’importanza del valorizzare i giovani talenti nostrani. Alessandro Corallo 3 E 21 SESSANTESIMO MINUTO Sezione Spor t Carolina Kostner: 51 mesi di squalifica La regina del ghiaccio parla dopo l’accusa di denuncia omessa rischiando una squalifica di 4 anni e 3 mesi. Anni che le rovinerebbero la carriera sportiva. ‘Lo amavo ma non coprirei mai chi si dopa. Se fossi un uomo, mi chiederebbero davvero di sapere cos’ho nel frigo?’ . Carolina Kostner risponde per la prima volta dopo lo scandalo doping che ha coinvolto Alex Schwazer, campione olimpionico di marcia e suo ex fidanzato. ‘Se l’avessi saputo l’avrei convinto a confessare. Non capisco come sia possibile che chiedano una pena più alta per me rispetto ad Alex e ai tanti atleti che commettono i suoi stessi errori’. La richiesta del CONI, che chiede 51 mesi di squalifica per la pattinatrice, è inaccettabile. La Kostner parla del loro amore, dei macchinari del marciatore e della possibilità di un futuro che vada in frantumi a causa delle sue dichiarazioni; la richiesta verso l’atleta azzurra lascia tutti esterrefatti, eppure la nuotatrice Federica Pellegrini va contro i difensori e sostiene: ‘Un fidanzato dopato va mollato subito. Spero che chi si dopa venga messo dentro e buttino via la chiave perché noi ci 22 facciamo un sedere così’ e subito dopo, riferendosi direttamente alla coppia ha detto: “Credo si sia trattato di una debolezza personale. Evidentemente non riusciva a tornare ai suoi livelli e questo è difficile per ogni atleta. Ma, cara Kostner, fosse capitato a Pippo quel che è successo a Schwazer, lo avrei lasciato mesi prima” Era stata ascoltata dalla procura Antidoping lo scorso 26 settembre quando la gardenese riferì che il suo fidanzato era a Racines mentre era a casa. tale bugia sarebbe stata detta per motivi di privacy, stando a quanto riportato da Giovanni Fontana che addirittura considerò l’incontro un ‘episodio del tutto sporadico’ . così ci si ritrova con una medaglia di bronzo a Sochi forma a causa di accuse infondate nei suoi confronti tanto che Carolina Kostner si trova nelle condizioni di non poter dire assolutamente niente in difesa di nessuno per evitare inconvenienti e incongruenze con il discorso rilasciato da Alex Schwazer. Il legale della pattinatrice nega ogni addebito: “Le incongruenze di cui è accusata rispetto alle dichiarazione di Schwazer sono solo ricordi diversi, assolutamente ininfluenti. Lei era completamente all’oscuro di certe situazioni”. Niente favoreggiamento, forse l’amore ha giocato su qualcosa, ma si pretende imparzialità in ogni caso. È un momento difficile anche per il Coni, momentaneamente sotto pressione: sulla stampa si rincorrono accuse per non aver ben vigilato. Ora possiamo solo aspettare l’udienza del 16 gennaio 2015 per la trattazione del procedimento disciplinare La procura esagera, Carolina non merita questa squalifica. Deve pagare per il suo errore ma la speranza è che la pena diventi più lieve al momento del giudizio; altrimenti tutto ciò avrebbe sapore di beffa per la campionessa del ghiaccio, costretta a dover marciare l’ex fidanzato con la maglia della nazionale. Caterina Cappello 3 E 2. Deboli ricordi NUMERO TRE - DICEMBRE 2014 Storia a Puntate Il Vero prezzo della droga La mente è offuscata, i ricordi annebbiati e i pensieri confusi. Tante domande, forse troppe, con troppe poche risposte. Quanto tempo ci vorrà perché tutto torni al suo posto? <Bene, Francesco. Raccontami tutto quello che ricordi di quella notte, o di quel sogno del quale hai continuato a parlare da giorni. Non omettere nulla, per favore. É importante capirlo.> Disse lei, rivolgendosi a me con la sua solita aria da simpaticona. Eppure quello era il suo lavoro, non potevo biasimarla. Io non avevo nulla da dire, stranamente. La mia mente era completamente incapace di formulare un discorso di senso compiuto. Sentii suo sguardo posarsi su di me, ed esso divenne insostenibile, mi costrinse a guardare fuori, a riconnettermi col mondo. Era una giornata troppo soleggiata e calda per i miei standard, nemmeno una nuvola minacciava quel limpido cielo del medesimo colore dei miei occhi. Da quella piccola finestra potevo scorgere la gente passare, gente apparentemente felice. Quasi mi ricordavano il vecchio me. Ma ormai dopo quell’esperienza non potevo più sperare di tornare ad essere come loro. Un pensiero attraversò la mia mente e confuse immagini si accavallarono. «Questo è quel che ricordo. Io li aspettavo, steso per terra, ma loro non arrivavano mai; e intanto io lentamente consumavo i miei ultimi attimi di vita. In questo modo sono stato ripagato: indifferenza.» «E non ricordi nient’altro di quella notte? Questo sogno manca di continuità, sei finito in quelle condizioni per una ragione precisa.» «Ricordo solo di esser stato preso in giro da tutti, dovevo solo aspettare il loro arrivo; ma loro non sono arrivati. Sapevano che la mia copertura era saltata, però mi hanno comunque abbandonato. Sarei potuto morire per quello che mi hanno iniettato. Oh, ora lo ricordo. Comunque, non ci si è accorti della gravità della situazione. Io ero contento di aiutarli in questa battaglia, ma si sono sopravvalutati, loro. Questo non è un gioco. Ricordo ancora il primo giorno di collaborazione: erano tutti così entusiasti di infiltrarsi in quel circolo vizioso e tentare di sventarlo; tentare: appunto. Per me è stato arduo agire come loro, pensare come loro, muovermi come loro; ma ho accettato di collaborare e ho dato me stesso affinché questo progetto riuscisse. Ma non è stato abbastanza.» «Appena ti sei risvegliato, a cosa hai pensato? E avresti mai pensato si arrivasse a tanto?» «Al mio risveglio non avevo nulla a cui pensare; la mia mente sembrava vuota. E di me stesso rimaneva poco, se non nulla. Anche guardandomi allo specchio non riuscivo a riconoscere l’immagine lì riflessa, non riconoscevo chi mi stava accanto. Ecco cosa mi hanno procurato: la perdita della mia essenza. Certamente non avrei mai pensato che si arrivasse a questo punto, che mi stravolgessero l’identità. Ma così funziona e non sono stato in grado di sottrarmi al flusso degli eventi. È triste pensare che questa sia l’unica direzione verso la quale corrono gli eventi, purtroppo non siamo stati abili a prevederlo, a provare a cambiare anche questo. Deboli, siamo troppo deboli rispetto a loro; il loro potere risiede nelle nostre ferite, in ciò che ci abbatte e noi siamo stupidi a concederci a loro. Di questo passo tutti saranno loro schiavi. L’agonia è necessaria affinché una persona viva e non c’è modo di sottrarsi ad essa; più si cerca di fuggire da essa, più lei colpirà. Non avevo recepito il messaggio, fino a quando non ho visto le reali conseguenze del tutto>>. Gianmarco Conte 5 N 23 SESSANTESIMO MINUTO Banzigmistica Sudoku Livello: Medio Soluzione sudiku di Novembre Indovinello: Il viandante e il bivio C’è un bivio che porta a due paesi diversi: in uno ci sono solo persone che dicono la verità, nell’ altro solo persone che mentono. Un viandate vuole sapere qual’ è il paese della verità, e, vedendo un uomo che sta venendo da uno dei due paesi, vuole chiederglielo. Che domanda deve fargli per sapere con certezza quale è il paese della verità e perchè? Soluzione dell’indovinello di Novembre I tre fratelli sono: Passato, Presente e Futuro. Le soluzioni sul prossimo numero! 24