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anno 17 | numero 3 | 26 gennaio 2011 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
Mezzaluna in fiamme
EDITORIALI
CONOSCITESTESSO
FOGLIETTO
C’è ancora un pensiero che resiste
alla disperazione leggiadra della tv
T
Toghe contro.
A minare l’Unità d’Italia
è una casta che sfascia
la leale collaborazione
tra poteri dello Stato
ra qualche giorno, il 26 gennaio prossimo, al palasharp di milano (e in collegamento via
satellite con parecchi siti italiani) don Julián Carrón, presidente della Fraternità di
Comunione e Liberazione, presenterà un’ennesima edizione de Il senso religioso. Testo giussaniano nato sui banchi di scuola degli anni Cinquanta e sintesi di un’acuminata
visione dell’uomo. Sarebbe bello esserci. Non perché si è dei credenti in Gesù o perché è curioso che ci sia ancora in giro quella vecchia storiella biblica su certe creature fatte «a immagine e somiglianza di Dio». No. Sarebbe bello esserci perché è davvero sorprendente quanto
sia raro sentire in giro un pensiero che, come si dice, riesca a “fare buon sangue” al cospetto di un mondo che è diventato così strano che il kamikaze orientale sembra quasi l’anticipo dell’occidentale che cammina con già la morte nel cuore. C’è una disperazione, in giro, che si tocca anche con i tacchi a spillo. Leggiadra e birichina cammina al nostro fianco
nel continuum di emozioni in cui siamo immersi, cingendoci sovrana grazie all’impero dei
sensi e voluttà sollecitatici per via mediatica. Per esempio, avete notato che non c’è più un
locale in cui si possa parlare in santa pace senza avere per compagnia una tv accesa o un dj?
Altro esempio: un gran manager della farmaceutica ci dice che nel suo training da multinazionale c’è anche questa dottrina: «Quanto pesa nel successo di un prodotto la conoscenza?». Beh, sapere che questa è un’aspirina piuttosto che un’anfetamina, ci sta. Sbagliato. Di
ogni cosa che pretendiamo di conoscere ci vieÈsorprendentequantosiararo ne comunicato al massimo il 7 per cento. Che
c’entra? Fate voi, ma sentite quest’altra: può essentirequalcunocheriescaa
“farebuonsangue”alcospetto sere che una parola del Papa sull’educazione
sessuale diventi la scusa per promuovere bordiunmondocosìstranocheil
delli e sex toys? Noi c’eravamo domenica sera
kamikazeorientaleparequasi
dalla dolce Barbara D’Urso e possiamo asl’anticipodell’occidentaleche
sicurarvi che anche Fabrizio Rondolino
camminaconlamortenelcuore l’ha presa così. Per dire: conosci te stesso.
A
UNABUONATEORIA(SMENTITADALLACRISI)
Anche in Borsa, per non andare alla cieca,
qualcuno si affida alla guida dei “cani”
I
l compito è ai limiti dell’utopia, ma da decenni gli investitori azionari sono alla ricerca del
“sacro graal” finanziario, ossia della formula magica che consenta di scegliere facilmente, a inizio anno, i titoli che potranno dare grandi soddisfazioni o, in caso di discese dei
mercati, quelli che consentiranno di limitare i danni. Negli Stati Uniti, anche se negli ultimi
tempi il mito si è un po’ appannato, sono molti i sostenitori della cosiddetta “teoria dei cani”:
mentre si può discutere sulla genesi del nome (segugi che trainano il resto del branco?), non
ci sono dubbi sulla semplicità della metodologia su cui è fondata. All’inizio dell’anno, infatti, all’interno del paniere dell’indice Dow Jones (30 componenti) vengono selezionati i dieci titoli che hanno il più elevato rapporto tra dividendo stimato e prezzo (dividend yield). Su
questi viene allocato in parti uguali (10 per cento cadauno) il portafoglio azionario, che poi
rimane immutato fino a fine anno. Se negli ultimi quarant’anni un investitore avesse applicato scrupolosamente ogni anno tale teoria, avrebbe avuto discrete soddisfazioni, tranne che
nel triennio ’97-’99 quando, forse a causa della febbre di internet, il dividendo era diventato
“cosa d’antan”. Dal 2000 a oggi la strategia ha funzionato per sette anni, anche se, sottolineano i detrattori, è stata smentita proprio nell’anno della “consacrazione”. Mi riferisco ovviamente all’annus horribilis 2008, quando, a fronte
del crollo del 32 per cento del Dow Jones, il panie- Italia e Stati Uniti, ecco i cani finanziari 2011
8,1
Spa
At&t
re eletto ha lasciato sul terreno quasi il 40 per cento A2a
7,6
Mediaset Spa
Verizon
7,3
Pfizer
a causa del tracollo dei “cani finanziari” (Citigroup, Enel Spa
6,5
Lottomatica Spa
Merck
Aig e American Express). E per il 2011? Nella tabella Terna Spa
6,4
Kraft
6,1
Johnson & Johnson
a lato sono elencati i dieci cani a stelle e strisce (di- Eni Spa
6,0
Italia S
Intel
vidend yield medio 4 per cento a fronte di una me- Telecom
5,8
Snam Rete Gas
Dupont
5,2
Mcdonald’s
dia Dow Jones di 2,4) e – per curiosità – anche i cani Mediolanum Spa
5,1
Spa
Chevron
tricolori, selezionati dall’indice italiano Ftsemib 40. Finmeccanica
6,4
Media “Cani”
Media “Cani”
3,6
Media Indice
AlessandroFrigerio RMJ Sgr Media Indice
5,8
5,4
4,5
4,2
3,6
3,4
3,4
3,2
3,1
3,1
4,0
2,4
mo la Patria, ho riconoscenza
per Camillo Benso di Cavour e
Giuseppe Garibaldi, ritengo un
dovere commemorare l’Unità nazionale.
Eppure ho perplessità e non di poco
conto su come si è formato il nostro
Stato e su come continua a funzionare.
E a rinnovarmele ci pensano le ultime
decisioni della nostra Corte costituzionale e le connesse iniziative della
procura di Milano. Non riconoscere al
Consiglio dei ministri il diritto all’autoprogrammazione dei propri lavori è un
errore e lo dimostra come è stato accolto dai pm milanesi l’appello dell’Alta
corte a una «leale collaborazione» tra
poteri dello Stato: con un’incredibile
esplosione di “leali” sotterfugi e “leali”
trabochetti degni della più fosca corte
rinascimentale. Il problema è che questa prassi tipica di vasti settori della
magistratura italiana nasce da come
si è formato il nostro Stato: prima
dominato dalle élite di quello sabaudo
tagliando fuori dalla vita pubblica la
maggioranza cattolica, poi irreggimentato dal fascismo che però non superò
la castalità di settori dello Stato come
la magistratura. E così avvenne con lo
Stato democristiano condizionato dalle
necessità della guerra fredda e dalla
presenza in Italia del più grande partito comunista d’Occidente. Neanche
quando il sistema andò in crisi si riuscì
a liberalizzarlo perché la crisi fu risolta,
invece che dalla politica, dalla casta
delle toghe. Appare lunga la via per
uno Stato liberale dove i poteri separati
siano in dialettica con il popolo sovrano
e non sovrapposti.
LodovicoFesta
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SOMMARIO
COPERTINA
Dalla Tunisia al Libano passando per l’Algeria e l’Egitto, avanza un
fronte di fuoco che rischia di incenerire i governi autoritari e fragili
dei paesi musulmani. Lasciando campo libero ai partiti islamisti
In questa foto, un incendio appiccato
in una strada del quartiere Bab el Oued
di Algeri. Nei primi giorni di gennaio
la capitale dell’Algeria è stata scossa da
violente rivolte scatenate dall’aumento dei
prezzi di beni come riso, zucchero, pane, olio
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anno 17 | numero 3 | 26 gennaio 2011 |  2,00
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settimanale diretto da luigi amicone
In fiamme
Ecco chi ha incendiato la Mezzaluna
Mezzaluna in fiamme
8
Reportage dalla Mezzaluna
in fiamme, dove gli islamisti
rischiano di incenerire
i fragili governi musulmani
interni
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Foglietto
Lodovico Festa...................................3
Non sono d’accordo
Oscar Giannino...................................7
Il diavolo della Tasmania
Renato Farina.................................. 17
Se ti dimentico
Gerusalemme
Yasha Reibman
Recensire Ratzinger
Bruno Mastroianni............... 31
Intellettuale cura te stesso
Giorgio Israel .................................. 39
Mamma Oca
Annalena Valenti ..................... 51
Presa d’aria
Paolo Togni .......................................... 52
Post Apocalypto
Aldo Trento ........................................ 60
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
Diario
Marina Corradi ............................66
politica non è volersi bene
A sinistra, la fabbrica
della Fiat a Mirafiori.
Sotto, Sergio Marchionne,
amministratore delegato
dell’azienda di torino
Sopra, operai della Cgil davanti ai
cancelli Fiat a Mirafiori durante una
protesta contro il referendum.
A destra, sopra, il leader di Sinistra
ecologia e libertà, il governatore
della Puglia, nichi Vendola. Sotto,
il sindaco di Firenze Matteo renzi,
fondatore dei “rottamatori” del Pd
predica di «non picconare la ditta», spera
in un nuovo Ulivo, sta a metà tra Fiat e Fiom.
e così il pd naufraga nel gorgo del “ma anche”.
Gli servirebbe un avversario con cui battersi,
ma il suo nome non è quello che state pensando
Walter Veltroni, quando aveva pensionato
Romano Prodi e aveva lanciato l’idea della
“vocazione maggioritaria”. Poi si perse nei
rivoli dei calcoli: s’alleò con Antonio Di Pietro, ritenne di poter coprire con la fuliggine retorica una mancanza di sostanza, non
seppe tenere il passo, finì per rigiocare la
solita carta dell’emergenza democratica.
Poi venne Bersani, che di quella stagione
poteva essere il rottamatore. Profilo riformista, slang “pane al pane, vino al vino”,
una vita trascorsa a proporre, liberalizzare,
discutere senza paraocchi persino con quegli appestati dei ciellini, mai un cedimento alla mignottocrazia, all’antiberlusconismo di maniera, al morali«S’è rifugiato nell’antiberlusconismo. il leader smo antimarraziano («Non
parlo di vicende private», ha
del maggiore partito d’opposizione che segue sempre ripetuto). Anche Beranziché farsi inseguire? Fa lo stesso errore
sani è partito per superare
l’antiberlusconismo e – a difdi Veltroni: galleggia nell’indecisione»
parte stai e cosa vuoi. Solo chi si oppone si
pone, recita l’adagio. Bersani, invece, a più
di un anno dalla sua elezione a segretario,
sembra non aver ancora scelto come porsi. Di più: sembra non cadere non sapendo da che parte cadere. «È irriconoscibile –
dice a Tempi un parlamentare del Pdl che
lo conosce da anni. S’è rifugiato nel calduccio dell’antiberlusconismo, inseguendo ora
Fini, ora Casini, ora Vendola. Il leader del
maggiore partito d’opposizione che segue
anziché farsi inseguire? Fa lo stesso errore
di Veltroni: galleggia nell’indecisione».
Ci vorrebbe un nemico, perché il Caimano non basta più. L’aveva già compreso
Foto: ap/lapresse
ifficile trovare qualcuno che parli
male di Pierluigi Bersani. L’uomo è
serio, preparato, simpatico. Anche i
suoi avversari, sia dentro sia fuori il recinto dell’appartenenza ideologica, gli concedono sempre una qualche attenuante. Sarà
per l’emiliana bonarietà, sarà per quel suo
esemplificare per metafore strapaesane o
per quel suo pragmatismo poco propenso
al lustrinismo mediatico, sta di fatto che –
come ha anche detto di recente Paolo Gentiloni, solo un minuto dopo averlo sconfessato come leader del Pd – «con Bersani non
ci saranno problemi, è una persona molto
molto civile».
Sul Foglio Francesco Cundari ha spiegato il busillis con una battuta che circolava
nei Ds dieci anni fa: «Sai chi è il nemico di
Bersani?». «No». «Appunto». Ecco, ci vorrebbe un nemico. Perché l’avversario ti costringe a manifestare chi sei, a chiarire da che
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Rodolfo Casadei, Gian Micalessin, Anna Mahjar-Barducci ........................................... 8
Bersani,
ci vorrebbe
un nemico
18
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Mezzaluna in crisi. Il fronte di fuoco
Tunisia, Libano, Algeria ed Egitto. Geografia e sorti
di un conflitto che rischia di distruggere i governi
dei paesi musulmani. A vantaggio dei partiti islamisti
18
D
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LA SETTIMANA
ferenza di Veltroni – lui a quel superamento ci crede veramente, non è una posa per
i fotografi. Però, come l’ex sindaco romano,
nemmeno lui ha avuto il coraggio di rompere con i dipietristi. E oggi, non sarà un
caso, sono i Matteo Renzi e i Nichi Vendola, con le loro suggestioni tutte Facebook e
pasta mandorlata, ad aver relegato Bersani
nella casella degli anti-Cav coi paraocchi.
Eppure le premesse erano altre. Bersani
non ha la barca, non ha mai cucinato risotti in tv, non ha mai scritto un romanzo per
far sapere in giro che Eugenio Scalfari l’ha
degnato di una recensione. Non ha mai fatto politica con altri mezzi e, quando è stato eletto segretario, come prima uscita non
è andato a giurare fedeltà alla costituzione nelle mani del padre partigiano (Franceschini), ma s’è catapultato a Prato, alla Fornitura tessile Villani. E siccome gli operai
non lo sentivano, prese una sedia di legno,
ci montò sopra e iniziò a parlare. E quando
i giornalisti tentarono di interromperlo lui
sbottò con un «ma Dio bono, ma mi lasciate parlare con la gente?».
Retorica dell’antiretorica? Un po’ sì,
come quei manifesti in cui si rimbocca le
maniche fino al gomito e dove c’è tutto
l’antipersonaggio Bersani. Ma un po’ anche
un sincero tentativo di riportare il partito su binari popolari, sul territorio, nelle
sezioni, con le tessere e così via elencando
in contrapposizione alla mistica della convention, del mito kennedyano e dell’yeswecan veltroniano. Solo che, appunto, partendo da porti diversi e percorrendo rotte differenti, Bersani è giunto al punto stesso
del suo ex segretario: l’immobilismo. E ci è
giunto, per paradosso, tenendo dentro tutti, cercando di non rompere, di mediare, di
sfumare, di arrotondare l’angolo. La bocciofila, la squadra, la ditta. «“Non si piccona la ditta”, ripete da oltre un anno Bersani
– nota Cundari, ex direttore della dalemiana Red tv – che è una tattica che, portata
all’estremo, impedisce i movimenti. La politica è lotta. Se tu stai fermo, non è che gli
altri per gentilezza smettono di menare».
«Siamo in difficoltà come tutti», spiega Erminio Quartiani, segretario d’aula del
gruppo Pd alla Camera. «I democratici lo
sono in Europa e in America, ma almeno il
Pd è un partito che discute, a differenza del
Pdl dove basta essere in disaccordo con Berlusconi per essere espulsi. Certo, ci sono dei
nodi da sciogliere e il gruppo dirigente ha
commesso molti errori: il principale è stato
commesso da Veltroni quando si è dimesso. Abbiamo perso voti e una posizione centrale nella politica italiana. Per colpa delle
correnti dalemiane e di qualche cattolico
di minoranza abbiamo scelto di abbandonare il campo. Lì si è disarticolato il partito.
Oggi qualcosa si sta recuperando, anche se
procediamo troppo a zig zag».
Vocazione maggioritaria o Ulivo?
Bersani imputava a Veltroni di nascondere
la polvere sotto il barocchismo retorico. E
intanto l’alleato-competitore Di Pietro lì a
erodere consensi e simpatie. Risultato: un
partito fermo a rimirarsi l’ombelico. Oggi a
Bersani si fa un’altra critica: lo stallo indecisionale sulle grandi questioni. E intanto gli
alleati-competitori Vendola e Renzi lì a spiluccare da destra e sinistra
punti percentuali. Risultato:
un partito fermo a rimirarsi
il solito l’ombelico.
«Ma io che ho fatto il
segretario dell’Udc – confi-
«Diciamo la verità: un segretario è costretto
a essere un po’ cerchiobottista. Ma è vero,
non deve esagerare. è ormai ora di essere
netti, taglienti, spigolosi. Bisogna scegliere»
|
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INTERNI
Pd. Rilanciare la ditta
Come salvare Bersani dalla deriva veltroniana...................................18
Città vuote. Crepe nel mattone
Se la crescita zero minaccia il mercato immobiliare........22
Visioni. Un’idea contro il cancro
Chiesi e Dompé: «All’Italia serve un fondo biotech»........ 26
RUBRICHE
Per piacere ..............................................50
Green Estate ........................................ 52
Mobilità 2000.................................. 55
La rosa dei Tempi .....................58
Lettere al direttore ................ 62
Taz&Bao..................................................... 64
32
ESTERI
LA PERSECUZIONE CONTINUA
ESTERI
La conferenza stampa
del governatore del
Punjab Salman Taseer
per la liberazione di
Asia Bibi (a sinistra
nella foto), la donna
detenuta da oltre un
anno in Pakistan per
presunte offese al
Profeta e condannata
a morte in base alla
legge sulla blasfemia.
Dopo la conferenza
Taseer è stato ucciso
dalla sua stessa
guardia del corpo.
Nella foto grande,
una marcia a Karachi
per la libertà religiosa
Chi dice
libertà
muore
Il Pakistan non rinuncia alla legge antiblasfemia.
Timide condanne per l’omicidio del governatore
del Punjab che aveva osato proporre modifiche
della norma. Minacce ai suoi seguaci, piazze piene
per l’assassino. E le istituzioni stanno a guardare
32
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I
mmaginate un paese democratico, il cui
governo in carica è stato scelto dal
popolo in libere elezioni, dove il
governatore della regione più popolosa
ed economicamente importante, affiliato al partito che ha vinto le elezioni, venga assassinato a tradimento da una delle
Foto: AP/LaPresse
A una marcia a Karachi contro qualunque
riforma della legge antiblasfemia, il leader di
un partito islamista ha esaltato l’attentatore:
«C’è un Mumtaz in ogni famiglia pachistana»
sue guardie del corpo. Cosa succederà nei
giorni immediatamente successivi? Manifestazioni di cordoglio, solidarietà bipartisan, partecipazione di massa ai funerali
della vittima, esecrazione del delitto, penserete voi. E invece no. Succede che l’assassino viene onorato come un eroe in mani-
festazioni di piazza con migliaia di persone e suscita pagine di fan su Facebook, che
autorevoli leader religiosi vietano di pregare per l’anima del defunto o partecipare al
suo funerale, che né il capo dello Stato né
il primo ministro né altri ministri rilasciano dichiarazioni di solidarietà, e che altre
pubbliche minacce di morte contro personalità del partito di governo vengono formulate senza che la magistratura intervenga. Pura fantasia? Per niente.
Gli avvenimenti sopra elencati sono
accaduti veramente in Pakistan, nelle due
settimane successive all’omicidio di Salman Taseer, il governatore del Punjab
abbattuto nel parcheggio di un supermercato con 27 colpi di arma da fuoco esplosi da Mumtaz Qadri, poliziotto addetto alla
sua sicurezza personale, senza che nessun
altro membro della scorta intervenisse. La
colpa dell’uomo politico, che l’ha trasformato in un bersaglio da abbattere da vivo e
in un appestato da morto, è una sola: aver
preso le difese di Asia Bibi, la contadina cristiana accusata di aver profanato il nome
di Maometto e condannata a morte in un
primo grado di giudizio, e aver proposto la
riforma della legge sulla blasfemia in base
alla quale vengono denunciate e arrestate centinaia di persone ogni anno in Pakistan. E infatti una delle rarissime personalità religiose che hanno avuto l’ardire di
commemorare il musulmano Taseer è stato l’arcivescovo cattolico di Lahore, monsignor Lawrence Saldanha, che in un messaggio di condoglianze a nome di tutti i
vescovi pachistani lo ha definito «martire
della giustizia e della libertà religiosa che
ha pagato con il suo sangue», e ha espresso la sua ammirazione «per la sua coraggiosa azione in favore della signora Asia
Bibi, condannata per la cosiddetta “blasfe-
mia”». Invece il primo ministro Yousuf Raza Gilani del
Partito popolare pachistano (Ppp, quello di Benazir
Bhutto), che pure ha partecipato con alcuni ministri
al funerale di Taseer, quando il governatore del Punjab si era esposto contro la legge antiblasfemia aveva precisato che «questo è il punto di vista personale del governatore, io sono un syed (discendente diretto
di Maometto, ndr) e il mio governo non ha
nessuna intenzione di annacquare la legge
antiblasfemia». Il leader del principale partito di opposizione ed ex primo ministro,
Nawaz Sharif della Lega musulmana del
Pakistan-Nawaz, dopo l’omicidio si è limitato a dichiarare che Taseer «avrebbe dovuto
essere più prudente» e «adottare un approccio più equilibrato»; quello del principale
partito islamico radicale, Fazl-ur-Rehman,
del Jamiat-e-Ulema-e-Islam, ha apostrofato il governo: «E adesso che voi avete fatto
diventare quello di Taseer un caso giudiziario, anche noi abbiamo il diritto di difendere Mumtaz Qadri (l’assassino, ndr)».
Petali di fiore sul killer fanatico
L’exploit di Fazl-ur-Rehman, il cui partito
fino a poche settimane fa faceva parte della compagine governativa e che in passato
più volte aveva sostenuto Benazir Bhutto,
non è affatto isolato. A una manifestazione
a Karachi affollata da 50 mila partecipanti
contrari a qualunque riforma anche minima della legge antiblasfemia, un leader di
un altro partito islamista, Jamiat-e-Ulemae-Pakistan, ha esaltato la figura dell’attentatore come quella di un eroe e affermato: «C’è un Mumtaz Qadri in ogni famiglia
pachistana». La pensano come lui le centinaia di persone che hanno atteso l’apparizione del pregiudicato in manette all’ingresso del palazzo di giustizia di Islamabad per manifestargli la loro solidarietà e
ricoprirlo letteralmente di petali. E i quasi mille avvocati che si sono resi disponibili per il gratuito patrocinio dell’imputa-
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Pakistan. È caccia al cristiano
Il ministro Carfagna difende Asia Bibi, condannata
a morte per presunte offese al Corano: «Quel processo
è stato una farsa. La fede non è mai una colpa» ......................... 32
Australia. Eroi per caso
Aggrappati all’umanità dentro l’alluvione .........................................................36
CULTURA
KILL ME PLEASE
CULTURA
Vietato
agli aspiranti
suicidi
IlfilmdiBarco
raccontaungruppo
diaspirantisuicidi
chesirivolgono
aun’immaginaria
clinicadelsuicidio
assistito.Ognunodi
loroscopriràchela
mortenonpuòmai
essereprogrammata
e poi abbiamo potuto utilizzare dei semplici espedienti. Uno su tutti, la realizzazione
del sangue. Quando si gira a colori il sangue
dev’essere di un tono particolare, un rosso
molto vivo, mentre nel bianco e nero è facilmente riproducibile utilizzando del cacao
sciolto nell’acqua, e così abbiamo fatto».
«Mica si può decidere come farla finita
scegliendo tra le offerte di un catalogo Ikea».
Il regista Olias Barco spiega perché la sua
commedia dark ambientata in una clinica
per l’eutanasia è diventata «un inno alla vita»
I
n ItalIa dal 14 gennaIo, il film diretto e
sceneggiato da Olias Barco è stato il
vincitore del Marc’Aurelio d’oro all’edizione 2010 del Festival di Roma. Un trionfo a sorpresa ma meritato perché Kill me
Please è una pellicola interessante e girata
bene (anche se con mezzi limitati), e affronta una tematica difficile con un umorismo
dark che conquista. Il Dr. Kruger, psichiatra
di decennale esperienza, ha messo in piedi una struttura terapeutica che accoglie
le persone desiderose di porre fine alle loro
vite, concedendogli un “suicidio assistito”.
A questa clinica sperduta tra le montagne
si rivolge l’umanità più disparata: la cantante un tempo famosissima che a causa di
un cancro ai polmoni ha perso tutta la sua
potenza vocale, un noto comico che dice di
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soffrire di un male incurabile, una ragazza
tanto bella quanto fragile che vive grazie a
una puntura al giorno, un commesso viaggiatore con molti segreti, un ragazzo che
detiene il triste primato di più giovane suicida di Francia (la prima volta ci provò a 7
anni) e un uomo che ha perso la moglie al
tavolo da poker. Tutti i protagonisti sono
accomunati dalla volontà di mettere fine
alle loro vite. Sono venuti a conoscenza della clinica attraverso internet e hanno spedito un videomessaggio al dottore per convincerlo ad accettare le loro richieste ed esaudire il loro ultimo desiderio.
Da qui si sviluppa l’assurda e dissacrante trama del film, scritta a quattro mani dal
regista francese e da uno dei protagonisti,
Virgile Bramly. Barco racconta così a Tem-
KillmePlease,pellicoladiretta
esceneggiatadalregistafrancese
OliasBarco(quisopra)èstata
premiataconilMarc’Aureliod’oro
all’edizione2010delFestivaldiRoma
pi la non facile genesi del film: «È un film
realizzato in Belgio, le riprese sono durate
tre settimane e ci siamo avvalsi della produzione della casa indipendente Le Parti, che
ha prodotto lavori come Panique au village (film d’animazione presentato con successo a Cannes, ndr) e ama cimentarsi con
pellicole difficili. La scelta di girare in bianco e nero non è stata voluta ma necessaria, dato il budget ridotto e la tematica che,
nonostante fosse trattata con ironia, rappresentava uno scoglio difficile da superare per ottenere un finanziamento. Il bianco
e nero ci ha permesso di risparmiare soldi e
risorse: abbiamo ridotto il numero di giorni di riprese, perché non avevamo la necessità di riprendere con una luce particolare
come invece accade quando si gira a colori;
Una storia (quasi) vera
L’idea di una clinica del suicidio assistito nasce da un riferimento ben preciso
alla realtà: «Ci siamo ispirati all’associazione svizzera Dignitas, fondata dal dottor
Minelli, che offre l’assistenza sanitaria di
accompagnamento alla morte», spiega Barco. «Non è una vera clinica, spesso opera nelle case dei pazienti, ma ci siamo chiesti cosa
succederebbe un giorno se davvero nascesse
una struttura lussuosa dove le persone possano pagare per scegliere la propria fine».
Facile immaginare che un film del genere
avrebbe sollevato accesi dibattiti. Il regista
racconta che dopo l’uscita francese del film
era convinto che i giornali di area cattolica
lo avrebbero distrutto, invece «un noto giornale cristiano ne ha parlato benissimo, è
stata una delle migliori recensioni ricevute
in Francia. Non so quale potrà essere la reazione in Italia, ma ci tengo molto a dire che
il mio film non intende difendere nessun
tipo di posizione su queste tematiche, è una
riflessione sul suicidio assistito e alla fine
quello che emerge è che non siamo in grado di scegliere come morire. È la morte che
sceglie quando e come arrivare».
Durante le riprese Barco ha aperto un
blog per raccontare il film e moltissime
sono state le persone che hanno lasciato
pensieri e testimonianze sull’argomento.
C’è vita in sala. Kill me please
Parla il regista del film che dissacra la “dolce morte”
Una in particolare lo ha molto scosso: «Mi
scrisse il fratello di una persona che aveva deciso di rivolgersi a Dignitas. Si ritrovarono a vivere, il paziente e la sua famiglia,
una situazione molto diversa da quella che
gli era stata proposta in questo fantomatico pacchetto. E la scelta della morte, tra le
varie opzioni possibili, non fu assolutamente rispettata né presa in considerazione. È
stato toccante leggere queste parole».
Nonostante l’argomento difficile, il film
è stato perfettamente reso in maniera grottesca, con toni da commedia nera e con un
umorismo surreale (anche perché, ha spiegato Virgile Bramly alla proiezione stampa
a Milano, «altrimenti sarebbe stato un film
troppo cupo e quindi non vendibile») e il
suo messaggio si spinge al di là del dibattito
etico e abbraccia problematiche più ampie.
«Ciò che mi premeva sottolineare – aggiunge Barco – è la deriva a cui ci porta la nostra
società dei consumi. È una società che ci
spinge a comprare tutto. Fino a che punto possiamo desiderare di voler conquistare
qualunque cosa semplicemente pagandola?
Davvero potremo comprare anche il nostro
modo di morire, scegliendo tra le varie possibilità come su un catalogo Ikea? La verità è che il mio film è in fondo un inno alla
vita, sono sicuro che gli aspiranti suicidi
guardandolo cambieranno idea».
Paolo D’Antuono.................................................................................................................................................................................................40
«Il prossimo film? In Italia»
Intanto Kill me Please ha conquistato un
premio, esce in 25 copie in Italia e ha portato fortuna al suo regista, che ci svela in anteprima qualche dettaglio del nuovo film: «Lo
girerò a Roma, spero con Claudia Gerini,
attrice che amo e stimo, peccato sia già sposata. La prima scena sarà in
Vaticano e per quanto riguarda la trama posso solo dirvi
che parlerà di politica, sesso
e vita… dell’Italia insomma!».
PaolaD’Antuono
«Miscrisseilfratellodiunapersonachesiera
rivoltaaDignitas.Siritrovaronoavivere,
ilpazienteelasuafamiglia,unarealtàmolto
diversadaquellapropostanel“pacchetto”»
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C’è un miscredente a Parigi. Delacroix
Sulle tracce di un pittore barbarico e sempre inquieto
Mariapia Bruno...................................................................................................................................................................................................... 42
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l’italia
che lavora
L’ITALIA CHE LAVoRA
Un gusto
che si
conserva
Sopra, una delle prime pubblicità di Polli.
Sotto, lo stabilimento dell’azienda
in toscana, a Monsummano terme
uando mi chiedono di raccontare
la storia della mia azienda, cioè
in fondo la storia della mia
famiglia, mi piace sempre dire che si tratta di una storia romantica. Sei generazioni di Polli che hanno portato avanti l’idea
di offrire un prodotto di altissima qualità, cinque generazioni quasi tutte maschili
che sono sempre state ai vertici, fino all’ultima. Ora siamo alla sesta di cui fa parte
mia cugina che si occupa del settore commerciale del mercato estero, mia sorella,
del settore commerciale italiano e infine io,
che mi occupo del marketing». A parlare è
Manuela Polli, 28 anni, arrivata nell’azienda di famiglia dopo una breve esperienza in altre grandi aziende. Un ritorno atteso e voluto qui, nella sede di Monsummano Terme, in provincia di Pistoia, una delle
tre sedi di Polli, azienda leader nel settore
delle conserve alimentari vegetali. In questi 27 mila metri quadri ogni giorno vengono inflaconati 38 mila vasi all’ora e altri 50
mila vengono confezionati. Dentro ci sono
i prodotti tipici della tradizione culinaria
italiana, pronti a essere inviati in giro per
lo stivale o fuori. Allo stabilimento toscano si aggiungono quello di Eboli e quello di
Estormino, in Spagna. Ma la sede commerciale e legale rimane ancora oggi a Milano,
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Sopra, alcuni dei famosi e classici sott’olio
Polli, ideali per antipasti o condimenti.
a destra, le fasi della produzione
negli stabilimenti italiani
visto che è dal capoluogo lombardo che è
cominciato tutto.
Fu infatti in una bottega di via Broletto che, nel 1872, venne infissa la targa rossa con la scritta Polli, esattamente come
la immaginava e la voleva il signor Fausto, che qui cominciava a commerciare con
il proprio nome prodotti di vario genere,
dal tonno alle conserve. Negli anni Trenta in quella bottega, nel frattempo diventata sempre più celebre in città, serpeggia
la voglia di promuovere i prodotti anche
in altre città italiane. Per farlo serve però
una sede più grande e soprattutto vicina
Mangiar bene. I sapori al sicuro
La prima bottega a Milano nel 1872, il marchio del
signor Fausto e poi le sfide più recenti, dalla grande
distribuzione al mercato estero. Storia della famiglia
Polli, che ha imparato come si conserva il gusto
ti (come la linea “Antico casale”) che ricordano i sapori della nonna, quelli consumati ai pranzi della domenica con la famiglia.
La prima bottega a Milano nel 1872,
il marchio pensato dal signor Fausto e poi
le sfide più recenti, dalla grande distribuzione
al mercato estero. Storia della famiglia Polli,
che ha imparato a mettere al sicuro i sapori
«Q
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COPERTINA DI Francesco Camagna
(foto: AP/LaPresse)
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro
Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni
SEGRETERIA DI REDAZIONE:
Elisabetta Iuliano
DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito
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40
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 17 – N. 3 dal 20 al 26 gennaio 2011
alle coltivazioni. La scelta ricade sulla verde Toscana per i prodotti dedicati al mercato italiano. Oggi come allora i prodotti
sono realizzati in una grande molteplicità di varianti così da poter soddisfare ogni
palato, con 10 gamme intere di varianti,
dai condimenti per il riso ai sottaceti. In
totale, contando anche i prodotti appositamente pensati per il mercato estero, si arriva a 380 referenze. Fuori dai nostri confini, infatti, è particolarmente forte il settore
delle salse, frutto della passione extra italiana per la pasta. I tempi cambiano, ma i
gusti restano. «Il nostro prodotto più famo-
so, il tonno in salsa di pomodoro con verdure miste è ancora quello di un tempo, e
lo stesso vale per i prodotti ritenuti classici,
come i funghetti o i carciofini. Ricordo che
ovviamente non mancavano mai in casa
mia: ne ero ghiotta e lo sono ancora oggi»,
racconta Manuela. «Certo anche le nostre
ricette devono variare sempre, continuare a
evolversi, anche se sarebbe tutto molto più
facile se ci occupassimo di innovazioni tecnologiche. Alla fine un funghetto rimane
sempre un funghetto, sia nel 1872 che nel
2011». Questo non significa che non serva
adeguarsi ai tempi, assecondare le tenden-
ze più recenti del mercato, prima su tutte quella del benessere e della forma fisica.
Sono nate così la linea “Senzolio”, verdure
al naturale, o le “Vaschette”, pratiche olive senza liquido pronte da mangiare ovunque o da condire a piacimento con maionese o succo di limone. Il packaging poi è
la strada da seguire nella guerra dello scaffale, ora che sempre più italiani pranzano
fuori casa e magari hanno necessità di trasportare alcuni prodotti fino all’ufficio, per
dare colore a uno spuntino o all’insalata
del pranzo. L’altra grande tendenza è quella di rievocare la tradizione, con prodot-
Le nuove opportunità
A dispetto di quanto è successo per altre
aziende, la “crisi” non ha colpito Polli, che
negli ultimi due anni ha registrato bilanci di esercizio del tutto soddisfacenti. «Un
periodo di grande difficoltà l’abbiamo passato e superato invece a metà degli anni
Novanta. Quando c’è stata la grande svolta compiuta dalle catene dei supermercati,
che da grandi corteggiatori delle marche
sono passati a essere dei concorrenti delle marche stesse, con le cosiddette private
label, quel tipo di merce cioè che è realizzata da terzi e venduta col marchio di chi
lo commissiona. Allora mio padre non si è
lasciato abbattere, per nulla, e ha sfoderato
il classico spirito della famiglia Polli, quello che tira fuori il positivo da una situazione svantaggiosa. Ad oggi, infatti, siamo il più grande fornitore in Italia di private label, per realtà come Coop e Iper ad
esempio, mentre sul mercato estero forniamo Tesco, Lidl e Reve. Un po’ come aveva
fatto mio nonno negli anni Ottanta, quando cominciavano a comparire sul territorio italiano i primi supermercati, che andavano lentamente a rimpiazzare le botteghe. In questo fenomeno lui non vide una
minaccia, ma un’occasione di sviluppo.
Così iniziò a promuovere i nostri prodotti nella grande distribuzione. Vedere certe
foto di famiglia, con file e file di scaffali tutti “rosso Polli” mi commuove ancora oggi»,
sorride la ragazza della sesta generazione.
elisabetta longo
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Elisabetta Longo ................................................................................................................................................................................................48
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
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Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
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L’OBIETTORE
LA STORIA SI RIPETE DAGLI ANNI SESSANTA
L’illusione rivoluzionaria
che ha ingessato Mirafiori
di Oscar Giannino
A
Foto: AP/LaPresse
Mirafiori è andata in onda
una riproposizione dell’eccezionalismo operaio. MalgraNON SONO
do la parabola iniziata nell’autunno
D’ACCORDO
caldo del ’69, proseguita nell’accordo da 100 miliardi del ’74 che ridusse la Fiat in ginocchio e che fece
esplodere l’inflazione e la violenza
in fabbrica che finì con l’umiliazione della marcia dei 40 mila. Ancora
una volta, non più Lotta Continua e
Potere operaio, ma la Fiom è partita
lancia in resta sostenendo che a Mirafiori si voleva fare Auschwitz. La Fiat negli anni ha sbagliato immensamente. Ma anche questo atteggiamento
ha spinto l’azienda al disastro. E si è puntualmente tradotto in sconfitte storiche per gli operai. Nel 1968 erano 60 mila solo a Mirafiori e 118 mila a Torino, gli operai Fiat, non i 5 mila di oggi, che rispetto ad allora stanno
persino peggio nella forbice dei redditi, che invece sono andati meglio
per il resto dei lavoratori italiani. Perché Confindustria, Cisl, Uil e Ugl tre
anni fa hanno deciso di farla finita
con la linea Montezemolo, per la quale siccome la Cgil disertava da anni il
tavolo della riforma degli assetti contrattuali, bisognava continuare a stare immobili ad aspettarla? Perché da
allora si decide a maggioranza, premessa di cui la vicenda Mirafiori è solo l’ultimo sviluppo? Perché negli anni della diserzione Cgil è successo un
disastro. La difesa del solo contratto
nazionale uguale per tutti ha fatto arretrare la contrattazione aziendale in tutta Italia. L’esatto opposto di ciò che
serve alla crescita del nostro paese.
La contrattazione aziendale riguardava nel 2009 il
31,9 per cento delle imprese e il 68,9 per cento degli addetti. Nelle imprese con meno di 15 addetti riguarda il 18
per cento delle aziende (un addetto su 5). La quota sale decisamente per le aziende fra i 16 e i 99 occupati, dove la
contrattazione è praticata da un lavoratore su due. Fra le
imprese con oltre 100 persone, 3 su 4 ce l’hanno. Ma se
fra le aziende che hanno fra i 20 e i 49 dipendenti, negli
anni 90 la contrattazione integrativa riguardava il 34,1
per cento, fra il 2000 e il 2009 – gli anni della mancata ri-
In molte aziende in cambio di investimenti in reddito
formazione e sicurezza le singole imprese hanno
trattato fino al ventunesimo turno di lavoro mentre
oggi i diciotto turni sono stati visti come ricatto
forma – la quota è calata al 21,1 per cento. Tra quelle che
hanno fra i 50 e i 199 addetti, si è passati dal 62,3 al 46,6
per cento. È accaduto cioè che chi diffida della contrattazione aziendale rispetto al salario per lo più definito
dal contratto nazionale accettava di più in precedenza la
stessa contrattazione per redistribuire ai lavoratori parti
della produttività in eccesso. Ma ne diffida ora, quando
invece essa serve a stimolare la produttività attraverso riorganizzazioni, formazione e partecipazione. Quella produttività da recuperare senza la quale non si difende né
il lavoro, né le imprese. Si tratta di un circuito virtuoso, a
patto che tutto questo avvenga con il massimo decentramento, azienda per azienda.
Per questo è centrale il tema della contrattazione e
della sua riforma. Per questo tre anni fa è maturata la
scelta di procedere con decisioni a maggioranza, stante il perdurante no della Cgil. Di qui le deroghe contrattuali, definite tra imprese e sindacati.
Perché i giornali inneggiavano alla Fiom
È in questo percorso che si colloca la recente vicenda Fiat.
Perché i tanti giornali e intellettuali che hanno inneggiato alla Fiom non hanno spiegato come mai da anni, per
esempio nell’agroalimentare sia nelle grandi imprese come Barilla, Lavazza e Ferrero, sia nelle piccole, in cambio di investimenti in sicurezza, reddito e formazione,
le singole imprese sono arrivate a trattare e condividere anche con la Cgil fino al ventunesimo turno di lavoro
settimanale? Mentre per Pomigliano e Mirafiori i diciotto turni sono stati visti dalla Fiom come odioso ricatto e
addirittura fascismo? Qual è, la risposta a questa domanda? Qualcuno dirà: le nuove norme sulla rappresentanza
stabilite a Mirafiori, sono un attacco alla democrazia. Ecco un’altra domanda, allora. Con gli accordi interconfederali del 1993 e del 2009 anche la Cgil ha previsto che
chi non firma il contratto nazionale non possa partecipare alla contrattazione decentrata. È un’esclusione di
cui anche la Cgil si è servita per tenere a bada i sindacati
autonomi, che per esempio nel trasporto locale dovevano sottostare alle loro decisioni per garantirsi almeno la
possibilità di lottare a livello aziendale. Ora che la Fiom
si è trovata – dopo tre contratti nazionali non firmati –
a dover decidere se firmare un’intesa che non gradisce o
essere esclusa dalla rappresentanza, ha gridato al fascismo. Anche se è l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori,
come modificato da un referendum promosso da Rifondazione e sostenuto dalla Cgil, a prescrivere che la rappresentanza sindacale possa avvenire tanto su elezione
diretta dei lavoratori, tanto su elezione dei soli iscritti ai
sindacati, tanto su nomina dei sindacati stessi. Dunque,
ancora una volta, non c’è alcuna violazione ed è per altre
finalità che si sono sollevate le polemiche di queste settimane. Finché tanta parte dell’intellettualità italiana non
guarirà dall’illusione che operai meccanici e Mirafiori
siano attori e culla della rivoluzione, saranno gli operai a
pagarne il prezzo, come da 40 anni a questa parte.
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Dalla Tunisia al Libano passando per l’Algeria e l’Egitto, avanza un
fronte di fuoco che rischia di incenerire i governi autoritari e fragili
dei paesi musulmani. Lasciando campo libero ai partiti islamisti
In fiamme
Ecco chi ha incendiato la Mezzaluna
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| 26 gennaio 2011 |
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COPERTINA
In questa foto, un incendio appiccato
in una strada del quartiere Bab el Oued
di Algeri. Nei primi giorni di gennaio
la capitale dell’Algeria è stata scossa da
violente rivolte scatenate dall’aumento dei
prezzi di beni come riso, zucchero, pane, olio
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A
mel, AnnA, lucien, FAthui, un monsignore e tre preti, un vescovo e quel
che resta della sua curia. Gli ultimi quattro “uomini di Dio” a Mosul. Stretti
intorno a un tavolo, a una zuppa, a un pezzo di pita. Fuori sono i blindati, i kalashnikov, la paura. Fuori è Mosul. Fuori è rabbia e persecuzione. Fuori è un mondo in
fiamme. Incomincia qui, a venti metri dalla sacrestia, appena dopo il cassone d’acciaio del pick-up corazzato. Oltre i soldati
infreddoliti. Oltre i sacchi di sabbia tirati su
a chiuder la strada, a proteggere la croce. Il
mondo della follia inizia qui, finisce non si
sa dove. Non a sud, non a Baghdad dove al
Qaeda bombarda le chiese. Non a oriente,
non in Pakistan dove a spendere una parola per i cristiani si finisce ammazzati tra
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la soddisfazione dei capi musulmani. Non
a ovest, non in Egitto, dove la rabbia di Al
Azhar dell’università faro dell’islam trasfigura le parole del Papa, liquida come interferenza la difesa della vita. Non in Tunisia
dove germina un nuovo disordine. Oltre
quella strada, oltre quei sacchetti finisce la
ragione, incomincia la furia.
Gli “uomini di Dio” lo sanno. Lo sanno
come lo sapevano i monaci di Tibhirine.
Come i sette che nel 1996 restarono nell’Algeria divisa, nell’Algeria delle stragi e
dell’odio. E non tornarono. «Ci abbiamo
pensato, ci pensiamo ogni giorno», sussur-
ra monsignor Amel Nona. S’interrompe,
incrocia lo sguardo di padre Lucien. Ha 67
anni, è qui da 25. Sorride. Dice solo: «E morirò qui». Guarda padre Fathui. Lui la follia
la conosce. Per tre settimane parlò, discusse, litigò, trattò. Dall’altra parte del telefono
c’erano loro, i rapitori di monsignor Paulos
Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul. Gli uomini dell’odio. Quelli che alla fine gli dissero
di andarsi a prendere il cadavere. Non riuscì a salvarlo. Non ha rimorsi. Non ha pene.
«Per tre settimane dissi solo la verità, non
una parola di più. Offrii quel che potevamo dare. Negai ciò che non avevamo. Loro
per tre settimane non dissero una sola cosa vera. La mor«Le fondamenta della regione affondano
te arrivò dalla loro menzonella sabbia». Non lo dice il Papa o un vescovo gna». Monsignor Amel alza
assediato, ma il segretario di Stato Clinton in la mano. «Per questo restiavisita a un Medio Oriente sull’orlo del baratro mo. Per questo non possia-
Foto: AP/LaPresse
da Mosul (Iraq) Gian Micalessin
COPERTINA PRIMALINEA
LE CRISI/1
LIBANO
Hezbollah ricatta l’esecutivo
Dieci ministri di Hezbollah si dimettono dall’esecutivo presieduto da
Saad Hariri e provocano la crisi
del governo di unità nazionale.
Hezbollah voleva che Hariri disconoscesse l’indagine internazionale
sulla morte di suo padre.
EGITTO
I copti nel mirino
Poco dopo la mezzanotte del 31
dicembre un kamikaze si fa saltare
davanti alla chiesa copta dei Santi
ad Alessandria e causa 23 morti, in
maggioranza cristiani. L’attacco era
stato preannunciato da al Qaeda.
Sopra, una marcia in memoria di Hariri,
l’ex primo ministro libanese ucciso in un
attentato nel 2005. Per fermare l’inchiesta
sull’omicidio Hezbollah è uscito dal governo
cadono si trasformano in qualcosa di mille volte peggiore. Successe in Iran nel 1979.
Succede a Tunisi, dove Ben Ali è ormai lontano, ma non si vede traccia di un nuovo
futuro. Succede in Libano, dove la rivoluzione dei cedri sta per lasciar posto all’egemonia di Hezbollah. Succede in Pakistan, dove
due anni dopo la fine del presidente generale Musharraf la nazione è pronta a frantumarsi, a cadere nelle mani di un nuovo
califfato terrorista. Succede al Cairo, dove il
regime guarda a Tunisi e trema.
Tra dittatori e terroristi
Non lo dice il Vaticano, lo dice la voce di
Hillary. «Se i leader non sapranno offrire
una visione positiva, non sapranno offrire ai giovani strade significative, altri riempiranno il loro vuoto… Gli estremisti, i terroristi e tutti quelli che inneggiano alla
povertà e alla disperazione sono già lì,
pronti ad allearsi, a competere per una
za garantitagli dal protettore americano. E maggior influenza». Quelli che inneggiano
ora teme la fine di Ben Ali. Vale ovunque. alla disperazione, dice Hillary. Quelli che
Vale dal Maghreb all’Afghanistan, in tutta inneggiano alla morte, dice Amel Nona,
quella fascia dell’islam dove «le fondamen- vescovo di Mosul. Le stesse parole nel mezta della regione affondano nella sabbia». zo di un mondo che affonda e dove forse
Non lo dice il Papa. Non lo dice un vescovo è il momento di chiedersi se l’autarchia
assediato. Lo urla giovedì 13 gennaio dalle rapace di dittatori troppo cari a noi occisponde di Doha il segretario di Stato ame- dentali da un lato e il fanatismo terroriricano Hillary Clinton in visita a un Medio sta dall’altro non siano le due facce di una
Oriente sull’orlo del baratro. Un Medio stessa medaglia. I figli di una stessa diviniOriente tomba di tutte le rivoluzioni e di tà crudele. Le pedine di una stessa matritutte le riforme. Una fascia dell’islam dove ce. Religiosa. Culturale. La matrice abituada trent’anni naufraga qualsiasi speran- ta a seppellire la verità, a negare il diverso,
za di cambiamento e dove i regimi quando a esaltare la morte contro la vita. Se lo chiedeva qualche anno fa Zyed
Krichen, filosofo e scrittore
«Se i leader non sapranno offrire una visione
guardacaso tunisino, conpositiva, altri riempiranno il loro vuoto… Gli
frontando gli effetti generaestremisti, i terroristi e quelli che inneggiano
ti dalla libera stampa e dai
libri in Occidente e nei
alla povertà e alla disperazione sono pronti»
ALGERIA
La rivolta degli affamati
Il rincaro del 20-30 per cento dei
generi di prima necessità provoca
rivolte nelle principali città dell’Algeria nella seconda settimana di
gennaio. Cinque morti e 800 feriti.
Foto: AP/LaPresse
mo rinunciare. Non solo a Mosul, non solo
in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente. Qui la
nostra fede è testimonianza di verità contro
la menzogna di chi uccide. Qui la presenza cristiana è la sfida di chi crede nella vita
contro quella di chi confida nella morte».
La tomba di tutte le rivoluzioni
Era appena pochi giorni fa. Era a Mosul, ma
vale anche altrove. Vale dal Maghreb al Pakistan. Vale a Tunisi, in bilico tra le rovine di
un potere rapace e le fiamme di una rivolta ancora insondabile. Vale in Egitto, dove
l’82enne faraone Hosni Mubarak è riuscito in passato a spegnere nel sangue e nelle
galere le rivolte dell’islam fanatico, ma non
ha saputo trasformare la vittoria in consenso, non è riuscito a fare di copti cristiani e
musulmani una nazione unicamente egiziana, non ha voluto distribuire la ricchez-
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Il dissenso messo a tacere
A colpire non sono solo i fanatici. Più volte la spada dell’islam colpisce attraverso le
istituzioni di Stati sovrani, sopprime le voci
dei dissidenti nel nome di una sharia promossa a legge suprema. Nel gennaio 1985
lo scrittore 80enne Mahmoud Muhammad
Taha è condannato a morte e impiccato in
piazza a Khartoum. Ancora una volta la
colpa è quella di aver auspicato una divisione tra precetti dell’islam e della politica. Lo
stesso anno un tribunale del Cairo arriva a
far imprigionare l’editore di un capolavoro
della letteratura araba come Le mille e una
notte accusandolo di corrompere le giovani generazioni. Subito dopo tremila copie
del libro vengono messe al rogo. E un anno
dopo 80 mila libri “contrari all’islam” vanno in fumo per ordine all’Università iraniana di Isfahan. Nel 1988 cento scrittori di
tutto il mondo arabo vengono accusati di
apostasia e inseriti in un elenco che ancora oggi impedisce la distribuzione dei loro
testi in Arabia Saudita. Pochi anni dopo,
nella piazza di Qatif rotola la testa del poeta Sadiqh Melallah, decapitato dalle autorità per aver negato la fede. L’oscurantismo
non uccide solo nella zelante Arabia Saudita. Ai primi di giugno le autorità religiose di Al Azhar dichiarano apostata lo scrittore Farag Foda. Pochi giorni dopo, l’8 giugno, lo scrittore viene crivellato di colpi da
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LE CRISI/2. TUNISIA
17 DICEMBRE
La scintilla della rivolta
Il 17 dicembre Mohamed Bouazizi, disoccupato che vende frutta e verdura senza licenza, si dà fuoco per protesta perché la polizia
gli ha sequestrato la merce. È la scintilla.
Qui sopra, una strada di Algeri devastata
dalle rivolte scoppiate all’inizio gennaio.
La repressione violenta dell’insurrezione
ha causato cinque morti e ottocento feriti
rispetto di «1.400 anni di tradizione islamica». «Il profeta Maometto – recitano i cinquecento – ordinò l’uccisione di un apostata colpevole di blasfemia proprio dentro la
14 GENNAIO
La fuga di Ben Ali
Masjid al Haram (Moschea della Mecca)…
Dopo gli inutili tentativi di placare la rivolta
Hazrat Omar (il secondo califfo dell’islam)
con la repressione e con concessioni politimassacrò tutti gli ipocriti che rifiutavache, il 14 gennaio il presidente Ben Ali lascia
no le decisioni del Profeta. Solo il Profeta
il paese e si rifugia in Arabia Saudita.
può perdonare chi lo offende, la ummah
17 GENNAIO
(la comunità dei fedeli) non può arrogarsi
Il governo di unità nazionale
il permesso di perdonare chi insulta il ProEntra in carica un governo di unità nazionale
feta. Chi si oppone alla legge sulla blasfeche annuncia nuove elezioni. Lo presiede il
mia è un kafir (infedele) e deve pentirsi…
premier Ghannouchi, insieme a esponenti
Le autorità pachistane devono proteggere
dell’opposizione. Esclusi islamisti e comunisti.
la fede dichiarando di non voler modificare la legge sulla blasfemia».
Quella mancanza di rispetto per le idee
una banda di sicari. Oggi la sua storia fa il
paio con quella di Salman Taseer, il gover- e le vite del prossimo, quel disprezzo capanatore della provincia pachistana del Pun- ce di trasformare in cadavere chiunque
jab ucciso il 4 gennaio da una guardia del non accetti la propria fede, quella mancancorpo per aver invocato il perdono di Asia za di pietà e di perdono sono i mali oscuBibi, la contadina cristiana madre di cin- ri che stanno rodendo il mondo islamique figli condannata a morte per “blasfe- co, negano la verità, rendono impossibile
mia”. Ma più sconvolgente di quell’assas- qualsiasi forma di libertà. Per questo qualsinio messo a segno da chi doveva proteg- siasi rivoluzione, qualsiasi riforma nei paegerlo è la dichiarazione firmata il giorno si islamici ripete ineffabile la giostra antidopo da 500 autorità religiose pachistane. ca del tiranno e del popolo vendicatore,
In quell’editto barbaro si minaccia chiun- del sopruso e della rivolta, dell’oppressioque partecipi ai funerali del governatore o ne e della paura. La giostra di un mondo
ne elogi la memoria. E l’uccisione è bene- dove la vita non è regolata da leggi e condetta come un atto sacro messo a segno nel vivenza, ma dall’abuso e dalla sopraffazione del potente di turno. Lo
stesso mondo di Mosul. Lo
Qualsiasi riforma nei paesi islamici ripete
stesso mondo che minaccia
ineffabile la giostra antica del tiranno
gli “uomini di Dio”. Il mone del popolo vendicatore, del sopruso e
do disordinato della morte e
della menzogna.
n
della rivolta, dell’oppressione e della paura
Foto: AP/LaPresse
paesi del Corano. «In Occidente la stampa
garantisce progressi enormi per la libertà
di pensiero. La stampa consente la diffusione della conoscenza, mette in discussione
l’ordine prestabilito… L’avvento della stampa nel mondo musulmano a metà del XIX
secolo e la diffusione dei testi scritti nel XX
secolo finiscono solo con il minacciare la
libertà di pensiero… gli esempi di censura nel nome dell’islam dal 1925 a oggi fanno allibire. Dalla filosofia al cinema, dalla
letteratura all’arte, nessun metodo viene
risparmiato. Le terre dell’islam sono teatro
di ogni genere di orrore oscurantista… dalla semplice messa al bando fino alla condanna a morte». Gli esempi non mancano. Quando nel 1925 lo sceicco Alì Abd ar
Raziq pubblica il libro Islam e i princìpi
del governo auspicando la separazione tra
Stato e religione, Al Azhar, l’Università del
Cairo, faro della cultura islamica, lo dichiara eretico e lo mette al bando. Da allora
la lotta dell’integralismo alla cultura non
allineata segue la strada del sangue. Nel
1946 i fondamentalisti di Fedayyin i Islam
accusano di eresia lo storico e giurista iraniano Ahmad Kasravi e lo assassinano. Nel
1973 la stessa sorte tocca al poeta algerino
Jean Sénac, pugnalato a morte dai “giovani islamici” marocchini. Nel febbraio del
1977 è il turno del rettore dell’Università
di Damasco, abbattuto all’interno del campus da un gruppo di integralisti.
COPERTINA PRIMALINEA
La recessione degli
ultimi due anni ha
ricacciato indietro
centinaia di migliaia
di famiglie che
stavano lentamente
uscendo dalla
povertà e distrutto
i sogni di migliaia
di giovani laureati
in cerca di lavoro
A lato, la folla
in marcia per le
strade di Tunisi
il 14 gennaio
scorso chiede
le dimissioni
del presidente,
al governo da
oltre vent’anni.
Nello stesso
giorno Ben Ali
lascerà il paese
consegnando
il potere a un
esecutivo di
unità nazionale
VERSO UN EFFETTO DOMINO?
Il patto spezzato
della Tunisia
La “rivolta del pane” punisce un regime che aveva
privato il popolo della libertà in cambio di crescita.
Così Ben Ali è finito vittima della crisi economica
di Rodolfo Casadei
Foto: AP/LaPresse
L
tunisia ha condotto al
crollo dell’ultraventennale regime
del presidente Ben Ali incarna due
paradossi, uno attuale e l’altro potenziale.
Il primo è che il potere in carica è stato vittima più dei suoi successi che dei suoi fallimenti. Il secondo è che la Tunisia, paese
arabo di secondo piano, potrebbe diventare il primo smottamento di una frana di
portata storica destinata a travolgere quasi
tutti gli Stati della regione.
a rivolta che in
Primo paradosso: quella di Tunisi non
era affatto la peggiore delle autocrazie arabe. La sua élite di potere e di governo non si
è mostrata più corrotta di quella dell’Algeria, le sue elezioni non sono mai state più
manipolate di quelle che si svolgono in Egitto e il suo Stato di polizia non è stato più
pervasivo di quello della Libia. Per contro,
l’indice di sviluppo umano della Tunisia è
migliore di quello di paesi come Algeria,
Egitto o Siria; il tasso di crescita del Pil è del
4,5-5 per cento all’anno, e negli ultimi dieci
anni il reddito medio per abitante è raddop-
piato. Grazie soprattutto alla
capacità di attrarre investimenti e imprese straniere nel paese. All’alba del 2009 erano 2.200
le aziende estere presenti, attive non solo nel settore dell’energia come in altri paesi arabi, ma
anche in quello manifatturiero.
La Francia contava 1.250 imprese che danno lavoro a 106 mila
tunisini, seguita dall’Italia con
700 imprese che impiegano 55
mila elementi di manodopera
locale. Il panorama offre nomi
come Renault, Danone, Sanofi Aventis, Bnp
Paribas, Orange, Benetton, Marzotto e Cucirini, Fiat, Eni, Ansaldo, Astaldi, eccetera.
Perché allora la rivolta? Perché la crisi
degli ultimi due anni ha ricacciato indietro centinaia di migliaia di famiglie che
stavano lentamente uscendo dalla povertà e distrutto i sogni di migliaia di laureati
in cerca di lavoro. I tunisini hanno accettato per ventitré anni il sistema Ben Ali: Stato
di polizia e nessuna libertà politica in cambio di crescita economica e lento miglioramento degli indici sociali. Larbi Sadiki, l’accademico tunisino docente in Inghilterra
e in Australia autore delle principali opere
sulla democratizzazione nei paesi arabi, ha
definito questo scambio “patto del pane” o
“economia morale” e lo ha indicato come
caratteristico di tutti i paesi del Nordafrica,
non di uno solo. La Tunisia è il primo paese
dove la rottura del patto da parte del governo provoca una rivolta popolare che causa
la fuga del tiranno e del suo clan – caso unico nel mondo arabo – proprio per i discreti risultati conseguiti sul piano socio-economico. Gli investimenti nell’educazione hanno fatto sì che fra il 1995 e il 2008 gli studenti universitari passassero da 100 a 360
mila, mentre le persone in cerca di prima
occupazione con diploma di studi superiori sono passate fra il 2000 e il 2009 dal 20
al 55 per cento del totale. Il sistema produttivo però offre solo posti di lavoro scarsamente remunerati nei settori del tessile e
del turismo. E negli ultimi due anni il crollo della domanda dall’Europa, dal cui mercato la Tunisia dipendeva, ha fatto esplodere la disoccupazione. A quel punto la corruzione alla Ferdinando Marcos (con Leila Trabelsi, secondo moglie di Ben Ali, nei
panni di Imelda) e il regime poliziesco alla
Ceausescu sono diventati insopportabili
per la maggioranza della popolazione.
Assisteremo ora a un effetto domino
nei paesi arabi? E a beneficiarne saranno i partiti islamisti o le forze democratiche? Dipende molto da quello che accadrà
in Tunisia nei prossimi mesi: se violenze e
disordine continueranno, difficilmente la
rivolta tunisina diventerà un modello. Ma
se il sistema politico dovesse stabilizzarsi,
prepariamoci a grandi novità.
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UNA COMUNITÀ A RISCHIO GENOCIDIO
Ma per i copti
non c’è partito
Feriti dall’attentato qaedista della notte di Capodanno
i cristiani egiziani non si fidano più di Mubarak. Ma
dopo di lui chi fermerà l’ascesa dei Fratelli Musulmani?
dal Cairo (Egitto) Anna Mahjar-Barducci
L
o Stato non ha preso misure preventive,
nonostante fosse chiaro che il bersaglio degli estremisti sarebbe stato un
obiettivo cristiano ad Alessandria. È di ciò
che in queste settimane si lamenta di più
la minoranza copta: di essere stata lasciata
senza alcuna difesa di fronte al crescente
fondamentalismo islamico, che ha pervaso
l’Egitto e in particolare la non più cosmopolita Alessandria, ormai controllata dai
salafiti e dai Fratelli Musulmani.
Nei due mesi che hanno preceduto l’attentato c’erano state almeno dieci manifestazioni da parte di salafiti nella città di
Alessandria contro i cristiani, e minacce
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esplicite erano state pubblicate su siti jihadisti, con chiaro riferimento alla chiesa di
Al Qiddissim.
Subito dopo la tragedia di Capodanno, le condoglianze da parte di esponenti
del governo si sono susseguite. Il presidente Hosni Mubarak ha anche dichiarato alla
tv di Stato la propria tristezza e ha promesso di fare di tutto per arrestare coloro che
hanno perpetrato l’attentato, descrivendoli però come agenti “esterni” che vogliono
gettare l’Egitto nel caos. Un’allusione forse al Mossad, capro espiatorio di qualsiasi
male nel mondo arabo. La comunità copta
però non assolve così facilmente le responsabilità del governo. Durante i funerali delle vittime di Alessandria, ormai chiamate
martiri, il segretario del Papa copto Shenouda, Anba Yu’annis, si è alzato per ringraziare Mubarak, ma un coro di voci di
migliaia di copti presenti ha urlato per
qualche minuto: «No, no, no!».
La comunità copta infatti accusa le
guardie di sicurezza di aver lasciato senza protezione la chiesa di Al Qiddissim
un’ora prima della tragedia. Mubarak sa
che i cristiani nel paese non hanno più
fiducia in lui. Come scrive Youssef Sidhom,
direttore dell’unico settimanale copto in
Egitto, Watani, «a parte la fiera delle condoglianze, non ho visto uno sforzo serio e
coraggioso per affrontare la problematica
realtà dei copti in Egitto». Il governo egiziano, secondo la comunità copta, per iniziare un vero cambiamento dovrebbe promuovere riforme per la libertà di culto. Ma
non è molto che lo Stato ha nuovamente
negato la richiesta per la costruzione di
più chiese, essendo quelle attuali insufficienti al numero di cristiani nel paese.
COPERTINA PRIMALINEA
Partito nazionale democratico, quello di
Mubarak. La questione che rimane è pertanto chi succederà all’attuale presidente. Mubarak vorrebbe che il figlio Gamal,
figura priva di carisma e non amata dalla
popolazione, prendesse il suo posto. A dar
fastidio al rais c’è però l’incognita Mohammed el Baradei, premio Nobel per la Pace
ed ex direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea),
candidato alle presidenziali. Non perché
Mubarak tema che possa vincere le elezioni, ma perché ha paura che possa avere dei sostenitori a Washington. E questo
nonostante il figlio del rais sia visto come
un leader pro-occidentale, mentre il premio Nobel non ha lasciato un buon ricordo
come direttore dell’Aiea, per le sue posizioni favorevoli al regime iraniano.
L’agenda del premio Nobel non è inoltre ancora chiara ai copti, considerato che
ha fatto molte aperture ai Fratelli Musulmani, in modo da ottenere maggior supporto presso l’opinione pubblica egiziana. I copti però si aspettano lo stesso comportamento
I salafiti restano coerenti con la loro agenda
da parte del rais, che potrebdi islamizzazione del paese e minacciano la
be ricercare un accordo preminoranza copta. I siti jihadisti annunciano
elettorale con il movimenche ci saranno altri sanguinosi attentati
to islamista. Tuttavia il nuovo leader dei Fratelli MusulNel mese di settembre si svolgeran- mani, Mohammed Badi, più conservatono le elezioni presidenziali. Da una par- re e radicale del suo predecessore Mohamte la comunità cristiana teme una presa med Mahdi Akef, non ha alcuna intenziodi potere da parte del movimento islami- ne di scendere a patti con Mubarak. Anzi,
sta, dall’altra non si fida più di Mubarak. dopo le ultime elezioni legislative delMagdi Khalil, noto attivista copto, dichia- lo scorso 28 novembre – definite dai quora che «Mubarak e il suo governo sono l’al- tidiani come «la morte della politica» – il
tra faccia dei Fratelli Musulmani». A soste- movimento islamista è ai ferri corti con
gno di ciò si sottolinea una dichiarazione il Pnd, che ha spazzato via l’opposizione
resa dal ministro del Lavoro, Aisha Abd al dal parlamento. Secondo un’indagine indiHadi, che avrebbe detto: «Nonostante i cop- pendente del centro Ibn Khaldun i Fratelti siano solo il 10 per cento della popolazio- li Musulmani, che accusano il governo di
ne, posseggono il 30 per cento dell’econo- brogli elettorali, avrebbero dovuto conquistare intorno al 20 per cento dei seggi.
mia nazionale».
Intanto i salafiti restano coerenti con
Nessuno però crede che le prossime elezioni siano veramente libere, tutti infatti la loro agenda politica di islamizzazione
si aspettano una vittoria del candidato del del paese e minacciano la minoranza cop-
Foto: AP/LaPresse
Sotto e in alto,
scene dell’attentato
qaedista della notte
di Capodanno alla
chiesa dei Santi di
Alessandria che ha
causato 23 morti,
principalmente
cristiani copti
riuniti per la Messa.
A sinistra, fede e
rabbia tra i copti
il giorno dopo la
strage, sempre nella
chiesa dei Santi
ta. I siti internet jihadisti hanno annunciato che ci saranno altri sanguinosi attentati. Per giustificare gli attacchi terroristici i salafiti sostengono che i copti hanno «infranto le regole di comportamento», citando due casi come pretesto per perpetrare le loro violenze: quello di Camilia
Shehata, una giovane ragazza copta, e quello di Wafa Kostantin, una donna ingegnere copta. Entrambe erano sparite da casa,
poi sono state ritrovate e messe al sicuro
dalla loro comunità. I jihadisti sostengono che queste due donne si erano convertite all’islam e che ora sono trattenute contro la loro volontà. Lo scorso 31 ottobre al
Qaeda, nel rivendicare l’attentato contro la
chiesa siro-cattolica di Baghdad, ha nuovamente usato come pretesto questi due casi.
Per i cristiani d’Egitto, e di tutto il Medio
Oriente, si prospettano anni duri.
Quegli intellettuali conniventi
Quello che adesso chiedono i copti d’Egitto è che la comunità internazionale non
rimanga ferma a guardare e che spinga il
governo, che guida da decenni il paese e
che probabilmente continuerà a farlo per
altri anni ancora, a fermare le persecuzioni. I cristiani d’Egitto stanno infatti sfidando i terroristi e il regime manifestando per
i loro diritti, ma restano una minoranza
che, se lasciata sola, rischia di essere travolta da un silenzioso genocidio.
Hani Shukrallah, giornalista copto
e direttore del settimanale egiziano Al
Ahram, ha scritto dopo la tragedia di Capodanno in un coraggioso articolo, intitolato “J’accuse”: «Accuso il governo, che sembra pensare che offrendo di più agli islamisti, li sconfiggerà (…). E infine accuso gli
intellettuali liberali, sia musulmani sia cristiani, che, per complicità, paura o semplicemente perché non vogliono fare o dire
niente che possa dispiacere alle “masse”,
sono rimasti a guardare, sembrando loro
sufficiente di unirsi in un futile coro di
denuncia… anche se i massacri si diffondono e sono sempre più orribili».
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DENTRO
IL PALAZZO
DUE VICENDE CHE DIMOSTRANO UN RITORNO AL ’92
La carcerazione preventiva
come arma di lotta sociale
di Renato Farina
F
are il nome e il cognome oppure no? Parlo di persone, innocenti per diritto costituzionale e buonsenso, finite in carcere di recente, accusate di reati connessi
IL DIAVOLO
ai loro incarichi politici. Taccio, ho deciso di tacere i dati anagrafici. Perché c’è
DELLA
TASMANIA
sempre qualcuno che, letto di un tale che nemmeno sapeva esistesse, si fissa in testa
che – anche dopo eventuale assoluzione – se la magistratura si è occupata di Pinco,
«qualcosa avrà fatto, da noi non si arresta la gente così, per niente» (Aleksandr Solzenicyn, Reparto Cancro). C’è anche altro che induce in me prudenza: i familiari sono convinti che i magistrati appartengano a una razza super-umana per di più dotata di strabiliante attitudine vendicativa; dunque se uno protesta per l’ingiustizia
subìta da Tizio, poi le toghe medesime se la legano al dito, e Tizio è spacciato. Specialmente se chi alza il velo sulla nequizia è un deputato, e non è di sinistra.
Non sono d’accordo, ma mi adeguo. Non riferisco nomi, luoghi, e
così via. Ma circostanze, quelle le devo spiattellare, e annuncio che ho La magistratura si sente investita
pronte interrogazioni e interpellanze parlamentari, essendo il Diavolo di una missione, per la giustizia
della Tasmania temporaneamente in servizio a Montecitorio e piuttosto si provoca ingiustizia più grave.
propenso ad attirarsi i fulmini di (alcuni) pm e affini.
Annuncio subito le mie conclusioni morali e pratiche: chi si fa agnel- Il caso Berlusconi è l’apice, ma nel
lo il lupo lo mangia. Io resto convinto che il 99 per cento dei pm e dei gip mare ingoiano tanti piccoli pesci
siano eccellenti persone, che sbagliano come ognuno di noi. Se tolgono
la libertà ingiustamente, e glielo si dimostra, cambiano idea. Se sono disonesti, non
si trasformano in angeli di delicatezza lisciandogli la toga; anzi, acquistano certezza del loro strapotere e di una sorta di infallibilità che ne deriva.
Caso A). Viene arrestato in dicembre un signore stimato da tutti. Presiede un ente intercomunale di bonifica. Le accuse sono molteplici, la più grave scuote l’opinione pubblica. Per tre anni avrebbe lucrato facendo versare fanghi inquinanti su terre
coltivate. Giusto orrore. Emerge: 1) la perizia che avrebbe acclarato questo spaventoso avvelenamento è del 2008. Per circa tre anni i magistrati e i carabinieri hanno lasciato inquinare senza far nulla. Il gip ci mette tre mesi a ordinare l’arresto, mentre
si continua a inquinare. Perché? Assurdo per un reato di tale pericolosità. Dopo lo
spavento di migliaia di persone, la controanalisi svela che non c’era “pericolosità”,
ma solo qualche irregolarità. La gente non è informata di questo. Ci penso io con alcune interviste, per ridare dignità a una persona nel frattempo ancora detenuta (io
giro le carceri, ovunque in Italia). Mi risponde un consigliere regionale del Pd, circa
così: vergogna, bisogna rispettare la magistratura. Rispondo: ma anche la logica. Ed
è triste sapere che il procuratore del posto, sotto la cui vigilanza è partita l’indagine,
è stato deputato del Pd e, in pensione, si appresta a candidarsi con Di Pietro.
Caso B). Sindaco di piccolo paese. Tre mesi e più di carcere preventivo. Le indagini sono chiuse. Avrebbe turbato un’asta da 30 mila euro. C’è il processo per rito immediato. Nonostante questo, avendo rifiutato il patteggiamento, viene tenuto ancora in carcere. Posso permettermi? Pazzesco. Il fatto è che nessuno ha il coraggio di
urlare, perché nei dintorni ci sono stati arresti per ’ndrangheta e il magistrato è potentissimo. Mica che si arrabbi. Bè, non va bene. Non deve andare così.
In Italia c’è una ripresa della mentalità del 1992-1993. La magistratura si sente investita di un sacro compito, per la giustizia si provoca ingiustizia più grave, in
un circuito tremendo. Di cui il caso Berlusconi è l’apice, ma nel mare sono ingoiati
senza che nessuno se ne accorga tanti indifesi piccoli pesci, che però sono persone.
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interni
politica non è volersi bene
Bersani,
ci vorrebbe
un nemico
Predica di «non picconare la ditta», spera
in un nuovo Ulivo, sta a metà tra Fiat e Fiom.
E così il Pd naufraga nel gorgo del “ma anche”.
Gli servirebbe un avversario con cui battersi,
ma il suo nome non è quello che state pensando
D
ifficile trovare qualcuno che parli
male di Pierluigi Bersani. L’uomo è
serio, preparato, simpatico. Anche i
suoi avversari, sia dentro sia fuori il recinto dell’appartenenza ideologica, gli concedono sempre una qualche attenuante. Sarà
per l’emiliana bonarietà, sarà per quel suo
esemplificare per metafore strapaesane o
per quel suo pragmatismo poco propenso
al lustrinismo mediatico, sta di fatto che –
come ha anche detto di recente Paolo Gentiloni, solo un minuto dopo averlo sconfessato come leader del Pd – «con Bersani non
ci saranno problemi, è una persona molto
molto civile».
Sul Foglio Francesco Cundari ha spiegato il busillis con una battuta che circolava
nei Ds dieci anni fa: «Sai chi è il nemico di
Bersani?». «No». «Appunto». Ecco, ci vorrebbe un nemico. Perché l’avversario ti costringe a manifestare chi sei, a chiarire da che
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parte stai e cosa vuoi. Solo chi si oppone si
pone, recita l’adagio. Bersani, invece, a più
di un anno dalla sua elezione a segretario,
sembra non aver ancora scelto come porsi. Di più: sembra non cadere non sapendo da che parte cadere. «È irriconoscibile –
dice a Tempi un parlamentare del Pdl che
lo conosce da anni. S’è rifugiato nel calduccio dell’antiberlusconismo, inseguendo ora
Fini, ora Casini, ora Vendola. Il leader del
maggiore partito d’opposizione che segue
anziché farsi inseguire? Fa lo stesso errore
di Veltroni: galleggia nell’indecisione».
Ci vorrebbe un nemico, perché il Caimano non basta più. L’aveva già compreso
Walter Veltroni, quando aveva pensionato
Romano Prodi e aveva lanciato l’idea della
“vocazione maggioritaria”. Poi si perse nei
rivoli dei calcoli: s’alleò con Antonio Di Pietro, ritenne di poter coprire con la fuliggine retorica una mancanza di sostanza, non
seppe tenere il passo, finì per rigiocare la
solita carta dell’emergenza democratica.
Poi venne Bersani, che di quella stagione
poteva essere il rottamatore. Profilo riformista, slang “pane al pane, vino al vino”,
una vita trascorsa a proporre, liberalizzare,
discutere senza paraocchi persino con quegli appestati dei ciellini, mai un cedimento alla mignottocrazia, all’antiberlusconismo di maniera, al morali«S’è rifugiato nell’antiberlusconismo. Il leader smo antimarraziano («Non
parlo di vicende private», ha
del maggiore partito d’opposizione che segue sempre ripetuto). Anche Beranziché farsi inseguire? Fa lo stesso errore
sani è partito per superare
l’antiberlusconismo e – a difdi Veltroni: galleggia nell’indecisione»
A sinistra, la fabbrica
della Fiat a Mirafiori.
Sotto, Sergio Marchionne,
amministratore delegato
dell’azienda di Torino
Foto: AP/LaPresse
Sopra, operai della Cgil davanti ai
cancelli Fiat a Mirafiori durante una
protesta contro il referendum.
A destra, sopra, il leader di Sinistra
ecologia e libertà, il governatore
della Puglia, Nichi Vendola. Sotto,
il sindaco di Firenze Matteo Renzi,
fondatore dei “rottamatori” del Pd
ferenza di Veltroni – lui a quel superamento ci crede veramente, non è una posa per
i fotografi. Però, come l’ex sindaco romano,
nemmeno lui ha avuto il coraggio di rompere con i dipietristi. E oggi, non sarà un
caso, sono i Matteo Renzi e i Nichi Vendola, con le loro suggestioni tutte Facebook e
pasta mandorlata, ad aver relegato Bersani
nella casella degli anti-Cav coi paraocchi.
Eppure le premesse erano altre. Bersani
non ha la barca, non ha mai cucinato risotti in tv, non ha mai scritto un romanzo per
far sapere in giro che Eugenio Scalfari l’ha
degnato di una recensione. Non ha mai fatto politica con altri mezzi e, quando è stato eletto segretario, come prima uscita non
è andato a giurare fedeltà alla costituzione nelle mani del padre partigiano (Franceschini), ma s’è catapultato a Prato, alla Fornitura tessile Villani. E siccome gli operai
non lo sentivano, prese una sedia di legno,
ci montò sopra e iniziò a parlare. E quando
i giornalisti tentarono di interromperlo lui
sbottò con un «ma Dio bono, ma mi lasciate parlare con la gente?».
Retorica dell’antiretorica? Un po’ sì,
come quei manifesti in cui si rimbocca le
maniche fino al gomito e dove c’è tutto
l’antipersonaggio Bersani. Ma un po’ anche
un sincero tentativo di riportare il partito su binari popolari, sul territorio, nelle
sezioni, con le tessere e così via elencando
in contrapposizione alla mistica della convention, del mito kennedyano e dell’yeswecan veltroniano. Solo che, appunto, partendo da porti diversi e percorrendo rotte differenti, Bersani è giunto al punto stesso
del suo ex segretario: l’immobilismo. E ci è
giunto, per paradosso, tenendo dentro tutti, cercando di non rompere, di mediare, di
sfumare, di arrotondare l’angolo. La bocciofila, la squadra, la ditta. «“Non si piccona la ditta”, ripete da oltre un anno Bersani
– nota Cundari, ex direttore della dalemiana Red tv – che è una tattica che, portata
all’estremo, impedisce i movimenti. La politica è lotta. Se tu stai fermo, non è che gli
altri per gentilezza smettono di menare».
«Siamo in difficoltà come tutti», spiega Erminio Quartiani, segretario d’aula del
gruppo Pd alla Camera. «I democratici lo
sono in Europa e in America, ma almeno il
Pd è un partito che discute, a differenza del
Pdl dove basta essere in disaccordo con Berlusconi per essere espulsi. Certo, ci sono dei
nodi da sciogliere e il gruppo dirigente ha
commesso molti errori: il principale è stato
commesso da Veltroni quando si è dimesso. Abbiamo perso voti e una posizione centrale nella politica italiana. Per colpa delle
correnti dalemiane e di qualche cattolico
di minoranza abbiamo scelto di abbandonare il campo. Lì si è disarticolato il partito.
Oggi qualcosa si sta recuperando, anche se
procediamo troppo a zig zag».
Vocazione maggioritaria o Ulivo?
Bersani imputava a Veltroni di nascondere
la polvere sotto il barocchismo retorico. E
intanto l’alleato-competitore Di Pietro lì a
erodere consensi e simpatie. Risultato: un
partito fermo a rimirarsi l’ombelico. Oggi a
Bersani si fa un’altra critica: lo stallo indecisionale sulle grandi questioni. E intanto gli
alleati-competitori Vendola e Renzi lì a spiluccare da destra e sinistra
punti percentuali. Risultato:
«Diciamo la verità: un segretario è costretto
un partito fermo a rimirarsi
a essere un po’ cerchiobottista. Ma è vero,
il solito l’ombelico.
non deve esagerare. è ormai ora di essere
«Ma io che ho fatto il
netti, taglienti, spigolosi. Bisogna scegliere»
segretario dell’Udc – confi|
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interni politica non è volersi bene
PierluiGi, mA che stAi A di’?
«A pettinare le bambole veniamo
meno a un compito storico»
Grazie alla rubrica del Foglio “nichi, ma che stai a di’?”,
e a una spassosa imitazione di checco Zalone che circola su
Youtube, di questi tempi si ride di gusto del linguaggio “poetico”
del leader di sel, nichi vendola. Ma se vendola ha il difetto della
verbosità criptica, il segretario del pd, pierluigi bersani, ne coltiva uno di segno opposto: la sintesi lapalissiana. ecco qualche
esempio raccolto durante i suoi comizi:
«Quando piove, piove per tutti».
«Quando siamo di fronte ad un problema serio, ed il problema
dell’immondizia è un problema serio, bisogna rispondere seriamente».
«c’è chi dice che non si può fare niente, c’è chi dice che si può
fare tutto. il dibattito è somma zero. alla fine non si fa niente.
bisogna fare qualcosa».
«se restiamo a pettinare le bambole, veniamo meno a un compito storico».
«Dobbiamo fare una cosa come si deve».
«non accetterò che ci si tiri la palla in casa, se la palla è di là nel
loro campo... noi siamo ben più forti delle nostre debolezze».
«Dobbiamo suonare le nostre campane».
«ovunque sono stato non ho mai lasciato le cose come le ho
trovate. Questo per due motivi, semplici e banali: la terra gira
tutti i giorni e questa società non mi piace per tutto».
FabioCavallari
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Ma gira e rigira si torna sempre al centro dell’ingorgo: perché il Pd non riesce
mai a dire dei “sì” o dei “no” definitivi?
Gentiloni sul Corriere della Sera ha proposto un ragionamento elementare: «Su Mirafiori Bersani non ha detto la sola cosa semplice che doveva dire: e cioè che, pur con
tutti i distinguo da fare sui termini dell’accordo, noi avremmo votato, compatti, per
il sì». Invece è finita con un “con la Fiat ma
anche con la Fiom”, “con la Cisl ma anche
con la Cigl”. Ma anche. Proprio il problema
che Bersani imputava a Veltroni e che oggi
è diventato il lato debole del suo Pd, «un ferrovecchio mascherato da novità», ha scritto
impietoso Giuliano Ferrara.
il sempiterno democristiano Pierferdinando Casini. Bersani che s’arrovella a cercare con loro inverosimili alleanze e quelli a levargli la terra da sotto i talloni. Ma
perché Bersani s’è messo sulle loro tracce,
salendo persino sui tetti delle università di
architettura come un Pancho Pardi qualsiasi, anziché sfidarli, sbugiardarli, persino sbeffeggiarli? Perché va in giro a parlare di “nuovo Ulivo” quando, da che s’è
ritirato, Prodi ha fatto una sola intervista
(a Repubblica) in cui ha chiesto, velenosamente, «ma chi comanda, nel Pd?». Perché,
all’ultima direzione, dopo aver chiesto la
conta per mettere nell’angolo la minoranza dei veltroniani e averli messi al tappeto, poi ha allungato la mano per concedee Prodi chiese: chi comanda nel Pd?
re loro di rialzarsi?
Stai a vedere che hanno ragione i più
«Finora il segretario è stato vago e prudente – ragiona Cundari – e questo è avvenuto disincantati tra i parlamentari pidiellini
seguendo una giusta preoccupazione. Tut- che, quando sono lontani dai taccuini di
tavia, se il Pd non si esprime in maniera indiscreti giornalisti, fanno intendere che
chiara poi è logico che lasci campo a chi, un Bersani che avesse il coraggio di rompeopportunisticamente, si infila tra le sue re con le zavorre ideologiche della sinistra
mezze frasi». Gli esempi sono già stati fat- sindacalista e manettara, sarebbe l’alleato
ti: Vendola, che si presenta ai cancelli di ideale per riportare al centro della scena
Mirafiori, i giovani di Renzi, l’improbabi- politica due partiti forti, diversi, che si conle operaista Di Pietro e, per un certo perio- tendono il potere ma che assieme si legitdo, persino l’ex fascista Gianfranco Fini e timano, sgombrando il campo da orpelli
del secolo scorso e suggestioni via web. Stai a vedere che,
«Traidemocraticic’èanchechiamezza
così, Bersani troverebbe finalboccaconfessaditirareunsospirodisollievo, mente un nemico. E il suo
orachetuttolasciapensarechenoncisarà
nome non sarebbe Silvio.
EmanueleBoffi
alcunvotoanticipato,daquiadaprile»
Foto: ap/lapresse
da a Tempi Marco Follini, prototipo perfetto dell’irregolare nel Pd – lo so bene che
razza di fatica sia. Un segretario è costretto
a essere un po’ cerchiobottista. è vero, non
deve esagerare ed è ormai ora di essere netti, taglienti, spigolosi. Bisogna scegliere».
L’irresolutezza. Ecco la grave colpa che viene imputata al segretario. Con la Fiom o
con Marchionne? Con Vendola o con Casini? Vocazione maggioritaria o Ulivo? «Non
decidiamo – prosegue Follini. Il fatto che le
elezioni si siano allontanate ha fatto scendere la febbre e questo forse ci dà l’illusione che possiamo ancora rimandare. Invece, la questione Fiat, così come le alleanze, dicono chi sei. Se ti schieri per il “sì” a
Mirafiori vai verso il terzo polo. Se sei per
il “no” ti avvicini a Vendola».
«Tra i democratici c’è anche chi a mezza bocca confessa di tirare un sospiro di
sollievo, ora che tutto lascia pensare che
non ci sarà alcun voto anticipato, da qui ad
aprile». L’ha scritto l’Unità, non il Giornale,
ma per il bersaniano Andrea Lulli, deputato Pd, «non è affatto vero. Il segretario si sta
muovendo in modo positivo. Il congresso
ha scelto un orientamento che Bersani sta
seguendo in modo corretto. A volte, è vero,
ci perdiamo nei rivoli delle discussioni e
fatichiamo ad arrivare a sintesi, ma non è
vero che non abbiamo una linea». «Dopo
un anno di sbandamento – aggiunge Quartiani – Bersani ha avuto il coraggio di far
ripartire la discussione su alcuni grandi
temi, come ad esempio la politica fiscale».
Inalto,epoiinsensoorario,
ilpremierSilvioBerlusconi,
illeaderUdcPierferdinando
Casini,l’exsegretarioPd
WalterVeltroni,ilpopolare
BeppeFioroni,ilpresidentedella
CameraGianfrancoFini
INTERNI ripresa a rischio
Se si ferma
l’immobile
Per l’architetto Rizzini, pianificatore di città,
la crescita zero della popolazione e delle famiglie
presto manderà in crisi il mattone. E con quello
tutta l’economia. Ma il mercato scommette
sull’imprevedibilità della “variabile umana”
«T
2012 e il 2016 il numero
delle famiglie si stabilizzerà,
azzerando il fabbisogno abitativo». Sono le previsioni di Roberto Rizzini,
architetto che dal 1963 ha pianificato centinaia di comuni in Lombardia e nel resto
del paese. Ha studiato all’estero e adottato il metodo tedesco della pianificazione,
«quello basato sulla piramide dell’età della
popolazione», spiega, «il migliore, che permette di vedere l’andamento della natalità
di anno in anno». Perché la domanda abitativa aumenti, la struttura della piramide
(vedi l’esempio nel box a pagina 53) dovrebbe essere quella di un triangolo dall’area piena, tutta “coperta” dalla popolazione giovane, che si presuppone richiederà nuove case.
Dagli anni Settanta in poi, però, la denatalità è andata a rosicare sempre più la base, formando una sorta di albero dal tronco lungo. «Da allora le aree vuote della piramide
22
ra il
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|
liari: sono questi che solitamente investono
su un’altra casa, in genere per i figli. «Inoltre – prosegue l’architetto – i dati sui divorzi
hanno viziato il mercato, perché si pensava
che sarebbero aumentati coprendo anche
più del 50 per cento della domanda “mancante”. Ma, come accaduto ora in America,
anche in Italia la curva dei divorzi si fermerà, mentre la denatalità continua a decre(che corrispondono ad “aree vuote” nel livel- scere. I dati sul divorzio hanno pertanto fallo della domanda abitativa) sono state coper- sato le previsioni». Per trovare conferma di
te dall’immigrazione per il 20 per cento e quanto descritto, secondo Rizzini, si può
dai divorzi per il 50: anche le famiglie che si osservare qualsiasi comune italiano che
dividono hanno bisogno di una nuova casa. non sia una grande città (Milano, ad esemMa presto non sarà più così. Basta guarda- pio, è atipica, perché la concentrazione
re i grafici delle grandi città per accorgersi degli immigrati rende stabile la domanda).
degli spazi vuoti di popolazione e quindi di «Se consideriamo Verano Brianza, comune
domanda, che non potranno essere coper- tra i più virtuosi dal punto di vista demoti se non nei prossimi vent’anni e solo se la grafico, si vede che la popolazione e le famipopolazione iniziasse ad aumentare ora».
glie sono cresciute leggermente, e con esse
Rizzini sottolinea che spesso si sbaglia, la domanda abitativa. Ma è destinata a staperché in Italia si fanno previsioni a partire bilizzarsi. Figurarsi cosa accade nella magdal numero di abitanti, mentre bisognereb- gior parte dei comuni italiani, dove invebe guardare anche a quello dei nuclei fami- ce le famiglie diminuiscono sempre più in
nucleo e in numero, mentre
i giovani soli tendono a rimaMaurizio Monteverdi, manager della finanza
nere in casa».
immobiliare, spiega che bisogna «sempre
Non solo. Le banche e le
calcolare l’imprevedibilità, variabile che resta grandi compagnie assicura“sicura” anche in previsione dell’Armageddon» tive – prosegue Rizzini – già
L’ESEMPIO
Anche la “virtuosa” Verano va verso lo stallo
Nei grafici sotto sono rappresentati alcuni degli andamenti demografici che secondo l’architetto Roberto
Rizzini determineranno nei prossimi anni la stabilizzazione del fabbisogno abitativo, che «è determinato dal
numero delle famiglie (e non da quello degli abitanti)». Il
Comune preso a esempio da Rizzini è Verano Brianza (peraltro virtuoso in termini demografici rispetto
alla media italiana), per il quale «si può osservare che
l’andamento del numero dei nuclei familiari è superiore
all’aumento della popolazione residente, ed è proprio
l’aumento del numero dei nuclei familiari e la diminuzione della loro dimensione media a determinare la quota
più rilevante del fabbisogno abitativo».
Verano
Monza
Milano
Piramide dell’età della popolazione
1.400
100
Previsione esponenziale
1.100
1.000
900
800
700
600
500
400
300
200
Previsione lineare
95
90
Previsioni
1.200
Eppure i prezzi non crolleranno
Ma se la domanda è bassa e l’offerta è alta,
come mai le case hanno ancora prezzi elevati? «L’edilizia è uno dei principali motori dell’economia italiana, perché coinvolge come minimo un centinaio di filiere, da
quella del mattone all’arredamento. E chi
costruisce deve pagare i fornitori (io stesso,
data la crisi, sono mesi che aspetto di essere pagato per alcuni progetti). Perciò non si
possono abbassare tanto i prezzi: almeno i
costi occorre coprirli». Per l’architetto, quindi, l’unica speranza, «in virtù della quale
continuo a insegnare il mio lavoro con tutta
la passione che ho ai cinque giovani assunti nel mio studio», è che «se sicuramente
Lecco
Famiglie per numero di componenti
1.300
all’inizio della crisi hanno venduto un gran
numero di immobili. «Questo colpisce perché gli istituti di credito e gli enti statali italiani hanno sempre basato la propria sicurezza sul fatto che il loro denaro non perdesse valore nel tempo. E si sa che la casa, in
Italia, finora è sempre stata il bene che più
invecchia più assume valore. Invece Allianz,
per fare un esempio, nella zona sud di Milano ha venduto di recente cinque grandi condomini a prezzi abbastanza bassi, mentre il
ministero del Tesoro ha messo sul mercato,
due anni fa, circa 65 mila abitazioni».
Como
Fonte: Istat, Anagrafe comunale
Uomini Donne
85
80
75
70
65
60
55
50
1 componente
2 componenti
3 componenti
4 componenti
5 componenti
6 componenti
7 componenti
45
40
35
30
25
20
15
10
100
5
’81 ’02
’05 ’07
’91
’04 ’06 ’08
’12
’13
’17
0
100 80 60 40 20 0 20 40 60 80
Numero di famiglie dal 1957 al 2007
4.500
4.000
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
Previsione esponenziale
Previsione lineare
1957 1961 1965 1969 1973 1977 1981 1985 1989 1993 1997 2001 2005 2009 20132017
Numero di residenti dal 1941 al 2007
10.000
9.000
8.000
7.000
6.000
5.000
4.000
3.000
Previsione esponenziale
Previsione lineare
1941 1946 1951 1956 1961 1966 1971 1976 1981 1986 1991 1996 2001 2006 20112016
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23
INTERNI ripresa a rischio
per via del fatto che gli investimenti immobiliari dei privati sono rimasti invariati.
Poi, certamente, con la crisi c’è stato un rallentamento brusco. Ma è difficile dire cosa
accadrà». Nelle previsioni non si può tenere
conto solo delle statistiche demografiche. Il
mercato è determinato anche dalla finanza.
Non è detto, infatti, che la domanda abitativa venga solo dalle nuove famiglie: «Molti
privati, soprattutto durante la crisi, hanno
investito negli immobili. Inoltre, si sono sviluppati i mercati del molto piccolo, perché
i risparmiatori comprano case di metrature
moderate per salvaguardare il proprio patrimonio, e del molto grande, dato che esiste
la variabile statistica dell’imprevedibilità di
cui bisogna sempre curarsi quando si fanno
«Ma è l’offerta a essere distorta»
progetti grandi e di lungo periodo. L’impreSecondo Maurizio Monteverdi, manager vedibilità, che crea domanda nel lungo terdella finanza immobiliare, «il quadro è mine, è infatti una variabile “sicura”, si caldavvero complesso. Tralasciando separati cola sempre, anche qualora si temesse un
e immigrati, che aumentano solo nelle armageddon». Se poi è vero che in un periometropoli e soprattutto al Nord, tra 2006 e do di crisi planetaria bisogna essere cauti
2010 la domanda abitativa non è diminuita nella pianificazione, è anche giusto procedere nella progettazione per
rispondere a chi usa l’immoIl trend descritto da Rizzini si può osservare
bile come bene rifugio. «Per
in qualsiasi comune italiano che non sia una
quanto riguarda la vendigrande città, dove la concentrazione degli
ta da parte delle compagnie
immigrati copre i buchi della domanda di case assicurative – aggiunge Mon-
teverdi – è vero che sia Generali sia Allianz
sia Fonsai (le tre più grandi italiane) hanno
venduto immobili per miliardi di euro, ma
lo hanno fatto solo per recuperare denaro
ed evitare il fallimento, non tanto perché il
bene casa non valga più».
È quindi verosimile che la domanda abitativa inghiottita dai “buchi” della piramide siano coperti dagli investimenti finanziari. «Anche perché – ricorda il manager –
Foto: ap/Lapresse
cambieranno i bisogni e la domanda abitativa, esiste pure un fattore imprevedibile per
cui la società, anche in una crisi tale, potrebbe ripartire». Anzi, questo travaglio sarebbe positivo «perché, se la mia generazione
ha dovuto costruire secondo i diktat della
politica e dell’ideologia, ora con una società liquida, con l’immigrazione e le famiglie
di composizioni e modelli sempre più differenziati, saremo obbligati a essere creativi, a reinventare la città per rispondere alle
esigenze reali che nascono dal basso. Si può
generare un movimento di libertà maggiore, che viene proprio dalla caduta di vecchie
politiche ideologiche: è come fosse tutto da
rifare e questa è una sfida affascinante».
Milano, popolazione residente con e senza stranieri (1991-2007)
1,40
dati in milioni
1,35
Popolazione
1,30
1,25
1,20
1,15
1,10
1,05
1,00
Fonte: elaborazione Sistema su dati Settore Statistica del comune di Milano
Foto: AP/LaPresse
’91 ’92 ’93 ’94 ’95 ’96 ’97 ’98 ’99 ’00 ’01 ’02 ’03 ’04 ’05 ’06 ’07
l’imprevedibilità è davvero un dato statistico
“certo”. Chi lo dice, per assurdo, che domani Bill Gates non decida di investire in Italia
producendo lavoro e attirando nuova popolazione? Inoltre, e questo è un dato storico
preciso, dopo ogni crisi si rigenera sempre
una domanda, per via del fattore umano ineliminabile, l’istinto di sopravvivenza. Come
quando in una famiglia accade qualcosa di
tragico: tutti si scervellano per sopravvivere
e trovare una soluzione. L’autoconservazione è un altro elemento statistico ineliminabile». Il vero problema, conclude Monteverdi, «è che pianificatori, statistici ed economisti si parlano di rado, perciò non si tiene conto delle dinamiche del mercato reale».
Antonio Perruzza, direttore di Confcooperative-Federabitazione, osserva invece
come in Italia la domanda abitativa ci sia,
«ma l’offerta è del tutto distorta, quindi
l’esigenza di case (sia di proprietà sia per
la locazione) non trova risposte compatibili. Anche se è vero che la casa italiana, per i
costi che comporta, non può generare prezzi tanto esigui». Oggi sarebbero piccole famiglie a reddito basso a cercare un’abitazione
senza trovare il bene adatto. «È vero, però,
che non è colpa dei produttori: l’offerta non
può cambiare senza sussidi che aiutino le
imprese ad “aggiustarla”. Fino a ieri esisteva un Fondo per la locazione da 500 milioni di euro circa, l’ultimo decreto del ministero delle Infrastrutture, dell’ottobre 2010,
ha stanziato appena 141 milioni. Non basta
l’impegno delle imprese e l’attenzione dei
pianificatori: senza una politica adeguata
sarà difficile correggere la stortura».
Quindi, aggiunge Monteverdi, «se la
denatalità è un fattore gravissimo insieme
a una famiglia in stallo, perché senza un
appiglio la gente non può rischiare, non è
detto che le cose non cambino, innanzitutto dal punto di vista antropologico, nel lungo periodo. Per ora, comunque il “danno” è
ancora ammortizzato dagli investimenti e
dagli altri fattori di cui dicevo (i progetti di
lungo periodo e la variabile imprevedibile),
che permetteranno al mercato di continuare a reggere per i prossimi anni».
BenedettaFrigerio
INTERNI BIOTECNOLOGIE
Il piano
anti-cancro?
Approvato
U
no è il presidente in carica di Farmindustria, l’Associazione delle imprese
del farmaco, ed è stato vicepresidente di Assobiotec, l’altro è il presidente
dell’azienda al primo posto tra gli investitori italiani in Ricerca e Sviluppo del comparto farmaceutico. Difficile riunire due
personalità più autorevoli di Sergio Dompé e Alberto Chiesi, massime guide dei
gruppi industriali che da loro prendono
il nome, per commentare le questioni centrali sollevate dal nostro servizio di copertina dell’8 dicembre scorso: “Cancro – C’è
un piano per batterlo”.
Entrambi sono d’accordo che il momento per la costituzione di un grande fondo
d’investimento per le biotecnologie, con
una particolare attenzione a quelle destinate a contribuire alla lotta al cancro, è
arrivato. Secondo Dompé sarebbe il tassello perfetto che farebbe decollare insieme
la competitività internazionale delle industrie farmaceutiche e la qualità della Sanità, già molto alta: «In Italia, rispetto ad altri
paesi, aree come la Salute e la Ricerca rappresentano eccellenze di assoluto rilievo –
in particolare la Lombardia, come riconosciuto recentemente anche dal Wall Street Journal – con un rapporto qualità/prezzo fra i migliori al mondo. Le due aree geo-
26
| 26 gennaio 2011 |
|
grafiche maggiormente competitive in termini di ricerca, di brevetti e di farmaci prodotti sono
quella nordamericana e dei paesi
emergenti, ma nessuna delle due
può vantare sistemi socio-sanitari solidali paragonabili a quello italiano. Per rendere ancora
più competitivo il nostro sistema
sanitario, nell’ambito dell’economia della conoscenza, occorre
rafforzare la sinergia fra sistema socio-sanitario solidaristico,
ricerca e investimenti».
Secondo Dompé gli investimenti non dovrebbero riguardare solo le biotecnologie genericamente intese, ma si dovrebbe puntare soprattutto su aree come quella oncologica dove l’Italia – e la Lombardia in particolare – hanno ottenuto buoni risultati.
«Abbiamo già un network di livello internazionale sulle patologie con maggiore
storia clinica e farmacologica degli ultimi
30-40 anni. La cura del cancro è senza dubbio una di queste. Più che sulle biotecnologie in generale, punterei sulla possibilità di fare cross-fertilization fra le singole
eccellenze esistenti. La biotecnologia ci ha
obbligato a rivoluzionare il sistema di lavoro, puntando sul network. Ed è grazie a
questo sistema che anche la
ridotta massa critica dell’in«La candidatura di Bsi Healthcapital quale
dustria farmaceutica italiaadvisor finanziario è un ottimo indicatore. Ma na può tornare in gioco. Peroltre alla valorizzazione dei distretti regionali tanto la risposta alla domanè importante mantenere un’ottica nazionale» da “a quando un fondo d’in-
Foto: AP/LaPresse, Simon Palfrader
Un centro di ricerca all’avanguardia nella lotta
contro il male del secolo c’è. Il patrimonio
scientifico pure. Quello che manca è un fondo
di investimento dedicato. Per gli industriali
del farmaco Dompé e Chiesi è ora di crearlo
LA SVOLTA POSSIBILE
Il volto di Pierotti e Jankovic
Può la Lombardia diventare l’epicentro
della lotta al cancro nel ventunesimo
secolo? La risposta è sì, secondo Marco
Pierotti, direttore scientifico della
Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei
Tumori di Milano e Momcilo Jankovic,
responsabile dell’unità
operativa day hospital
di ematologia pediatrica dell’ospedale San
Gerardo di Monza, che
hanno prestato il loro
volto alla copertina di
Tempi (n. 48 del dicembre 2010). Il sogno è
possibile sfruttando gli
“asset” presenti sul territorio: il centro di ricerca
C’è un piano per batterlo
oncologica di Nerviano
(alle porte di Milano)
e la Rete oncologica lombarda, ossia
l’esperienza più avanzata di unificazione delle raccomandazioni cliniche e dei
protocolli terapeutici, delle banche dati
e dei tessuti nella cura del cancro.
anno 16 | nuMero 48 | 8 DiCeMBre 2010 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, DCB Milano
settiManaLe Diretto Da Luigi aMiCone
MOMCILO
JANKOVIC
MArCO
pIerOttI
oncologo,
ambrogino
d’oro 2010
Direttore
scientifico
istituto
nazionale
dei tumori
Cancro
L’IDEA DI BSI HEALTHCAPITAL
«200 milioni di euro per partire»
Secondo Davide Gai, ceo di Bsi Healthcapital, società svizzera di investimenti
biotech e anche advisor di Nerviano,
il centro di ricerca va messo nelle
condizioni di interagire con le realtà
che ha intorno e di far nascere nuove
start-up. Come? Gai lancia una sfida
ai grandi nomi della farmaceutica italiana: «Serve un fondo di investimento
biotecnologico, che si dia l’obiettivo di
raccogliere 100/200 milioni di euro».
Foto: AP/LaPresse, Simon Palfrader
A sinistra, in piccolo, Sergio Dompé,
presidente di Farmindustria e a fianco
Alberto Chiesi, presidente del gruppo
farmaceutico Chiesi.
Nella pagina seguente, il centro di ricerca
oncologica Nerviano Medical Sciences
vestimento per le biotecnologie?” è: “adesso, subito, non perdiamo un attimo”; ma
stiamo molto attenti a proteggere la massa
critica qualitativa e a cercare di incrementarla e renderla compatibile con il sistema,
altrimenti potremmo perdere un elemento essenziale».
Anche Alberto Chiesi vede necessario
l’intervento di un fondo d’investimento, ma
ci tiene a sottolineare che accanto alla valorizzazione dei distretti d’eccellenza regionali è importante mantenere un’ottica nazionale: «L’esperienza della Baviera e quella,
più recente, della regione di Parigi insegnano che è possibile valorizzare in molti modi
i distretti di eccellenza per lo sviluppo delle scienze biomediche e delle imprese non
solo biotecnologiche ma, più in generale,
farmaceutiche. La Lombardia esprime tradizionalmente una leadership riconosciuta a livello internazionale nella cura delle
malattie oncologiche, di cui la stessa Rete
oncologica lombarda rappresenta un esempio, e dispone delle competenze scientifiche necessarie ad attivare un fondo d’inve-
stimento specifico per le biotecnologie. La
candidatura di Bsi Healthcapital quale advisor finanziario per un fondo del genere è
un indicatore dell’interesse che il progetto
ha in sè. Voglio però sottolineare che anche
altre regioni d’Italia, tra cui l’Emilia Romagna, il Veneto e la Toscana, contribuiscono
in modo apprezzabile allo sviluppo delle
conoscenze in questo ambito biotecnologico: credo sarebbe importante far convergere su un simile progetto tutte le eccellenze
che il nostro paese è in grado di esprimere».
ca dei nuovi farmaci. Secondo Chiesi sono
necessarie entrambe le formule, che di fatto interagiscono e si completano. «La ricerca ha bisogno di una massa critica adeguata per esprimere al meglio le sue potenzialità. Ciò comporta la creazione di strutture
adeguate a sostenere i programmi di ricerca
e sviluppo articolati e complessi richiesti da
un sistema regolatorio sempre più esigente.
Per identificare un nuovo candidato farmaco e svilupparlo nella fase preclinica e in
quelle cliniche occorrono numerose competenze, spesso assai diverse tra loro: farmaLe forze che si completano
cologi, tecnici di laboratorio, biologi, mediL’altro tema sollevato dal servizio del dicem- ci specializzati nella patologia che si vuobre scorso era la convivenza fra i grandi cen- le combattere, esperti di affari regolatori e
tri di ricerca (come quello lombardo di Ner- di farmacoeconomia, solo per citare alcune
viano) e le piccole imprese start-up che oggi figure. Questa complessità è una delle prinspesso sembrano avere la bacchetta magi- cipali ragioni che ci ha indotto a progettare il nuovo Centro Ricerche
Chiesi, che sarà inaugurato a
«La ricerca ha bisogno di una massa critica
Parma la prossima estate: ci
adeguata per esprimere le sue potenzialità.
attendiamo che questa strutE questo vuol dire creare strutture adeguate
tura, all’avanguardia per la
a sostenere i programmi di ricerca richiesti»
sua concezione e dimensio|
| 26 gennaio 2011 |
27
ECCELLENZALOMBARDA
IlNervianoMedicalSciences
A metà degli anni Settanta il
Centro ricerche di Nerviano
entra a far parte di Farmitalia
Carlo Erba, azienda farmaceutica che ha dato i natali ad
alcuni dei farmaci antitumorali,
ancora oggi presenti sul mercato internazionale. Dopo una
serie di passaggi di mano e di
acquisizioni da parte di grandi
multinazionali, il Centro di ricerche si stacca da Pfizer nel 2004
e assume il nome di Nerviano
Medical Sciences, di proprietà
della Congregazione dei Figli
dell’Immacolata Concezione.
Nel 2009, a seguito di una crisi
di liquidità, Regione Lombardia
salva il centro che impiega oltre
500 persone. Il nuovo management rescinde il contratto che
ancora legava Nms a Pfizer per
lo sviluppo di alcune molecole.
28
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|
nata per accogliere tutti i «Lestart-uppossonosvolgereunbuonlavoro
ricercatori del Gruppo Chieapattochedisponganoditreelementi:un
si attivi in Italia, crei le condizioni migliori per lo svi- progettovalido,unteamaffiatatoedegli
luppo dei nostri futuri far- investitoridispostiadattendereirisultati»
maci». Però non si può fare a
meno nemmeno delle start-up. «Allo stesso va permettersi di allocare il know-how e
tempo, vi sono casi in cui organizzazioni di di sostenere i costi per una gestione in prodimensioni limitate, quali il più delle volte prio di una macchina così complessa. Quesono le start-up, possono svolgere un lavoro sto sistema oggi è stato superato perché nesbrillante, a patto che dispongano di alme- suno può più permettersi di investire 150
no tre elementi fondamentali: un progetto milioni di euro all’anno per 10 anni senvalido, un team affiatato e degli investitori za avere una prospettiva di ritorno econodisposti ad attendere abbastanza prima di mico oltre che scientifico. Nerviano si presenta ora come un elemento strutturale del
riscuotere la remunerazione del capitale».
nuovo sistema perché ha avuto il coraggio
La direzione da seguire
e la capacità di rompere con il proprio pasDompé difende i grandi centri alla Ner- sato, anche se in modo traumatico. Immaviano, purché non si ripetano gli errori gino il suo futuro, simile alla realtà creata
del passato: «Nerviano ha una sua eccezio- da Glaxo Verona con Aptuit. Anche lì c’era
nalità: ha dentro di sé gli anelli culturali il problema di un centro che, così come
che servono a formare tutta la catena del- era organizzato, non aveva prospettive perla conoscenza e dello sviluppo dei farmaci ché comportava un livello di investimenrelativi a molte patologie tumorali. Valori to troppo alto per l’output effettivo. Aptuit
che interfacciati con le eccellenze cliniche è un’organizzazione che ha portato avanti
ospedaliere farmacologiche presenti in Ita- circa 3 mila progetti di ricerca e quindi ha
lia, possono essere un importante motore. le masse critiche riproporzionate a quello
Ma che deve funzionare con criteri molto che il centro di Verona può dare. Nerviano
diversi rispetto al passato, quando esisteva dovrebbe prendere la stessa direzione».
la singola impresa farmaceutica che pote- RodolfoCasadei
Foto: AP/LaPresse, Simon Palfrader
INTERNI BIOTECNOLOGIE
PLAUSI
E BOTTE
GIOCARE SULLE OSSESSIONI E SUI PREGIUDIZI ANTISEMITI
«Le dimensioni non contano»
Nessuno lo sa meglio di Israele
di Yasha Reibman
Foto: AP/LaPresse
V
o dei riflessi condizionati che non
SE TI
sembrano mai passare
DIMENTICO
GERUSALEMME
di moda. Perché non utilizzarli a nostro vantaggio?, si sono chiesti in Israele
quando al ministero del Turismo hanno pianificato la prossima campagna pubblicitaria. L’intento è anche quello di promuovere un’immagine del paese allegra e rilassata, più adatta a un
viaggio rispetto alle scene di guerra. Esempi di riflessi condizionati riguardo a Israele e agli ebrei
non mancano di certo e si può prendere spunto
dalla cronaca. Ad esempio, quando si parla di denaro, spesso dopo poco compaiono riferimenti
agli ebrei. È successo pochi giorIl ministero
ni fa nella vicenda della lista di
del Turismo
di Israele ha
italiani più o meno illustri che
lanciato l’ironica
avrebbero dei ricchi conti bancampagna
cari segreti in Svizzera. Oltre a
promozionale
«Le dimensioni
segnalare i personaggi noti del
non contano»
mondo dello spettacolo contenuti nell’elenco (come hanno fatto tutti gli altri giornali), il quotidiano la Repubblica evidenziava nel suo articolo anche «i nomi di origine
ebraica». Una sottolineatura priva di interesse
mediatico e che si spiega solo con un tic (consapevole o meno) del giornalista.
Altro riflesso riguarda la grandezza di Israele,
che secondo un’alta percentuale di europei sarebbe un paese potente e grande quanto l’Italia.
È questo, in particolare, il tic utilizzato in modo implicito dal ministero del Turismo israeliano, che esplicitamente invece gioca sulla perenne preoccupazione maschile. La pubblicità di
quest’anno infatti strizza l’occhio al potenziale
turista e annuncia che «le dimensioni non contano». Israele è un paese particolarmente piccolo,
pari a una regione italiana, ma contiene al proprio interno numerosi microclimi e un concentrato di storia, arte e divertimento. Inoltre in un
posto tanto piccolo abitano persone provenienti dai più diversi angoli del pianeta con le più diverse tradizioni culinarie. Dal deserto alle montagne, dal lago alle spiagge sabbiose sul mare,
dai luoghi santi adatti a quasi ogni “gusto” alle
discoteche di Tel Aviv, chi viaggia in Israele può
vedere, incontrare e mangiare di tutto.
i sono dei tic
PROVINO A LEGGERE IL PAPA SENZA ISTERISMI
Il mondo è sotto un diluvio
e se la prende coi soccorsi
di Bruno Mastroianni
S
iamo alle solite.
Benedetto XVI parla di libertà
religiosa in modo serio e profondo e qui diventiamo isterici sull’educazione sessuale. Parla
RECENSIRE
del senso della sessualità umana e della libertà conRATZINGER
nessa e noi ci fermiamo alle polemiche sui contraccettivi. È una musica che sta andando avanti da un po’ troppo tempo. Nel suo libro intervista il Papa ha delinato per filo e per segno i
pericoli dello svilimento della dignità umana dovuta al sesso superficiale e consumistico e noi ci siamo fermati ai prostituti, al preservativo e ai problemi di quando metterlo o non metterlo. Ha riguardato gli anglicani in ritorno a Roma che abbiamo dipinto come un
covo di conservatori tradizionalisti pronti a invadere la Chiesa; ha riguardato la remissione della scomunica ai lefebvriani che abbiamo
ridotto a una specie di premio alla carriera per filonazisti; ha interessato il problema della pedofilia che abbiamo trasformato in una
caccia al dossier per inchiodare il Papa (tra l’altro uno dei primi a interessarsi alla risoluzione dell’annosa questione).
Questa persistente collana di isterismi non è un problema della comunicazione vaticana, è uno svantaggio per l’umanità. Infatti
noi informati lettori e commentatori ci facciamo una pessima figura: possibile che mentre là fuori il diluvio si sta abbattendo violento
sulla vita umana e il Papa è impegnato a costruire la barca che porterà all’asciutto, noi ci ostiniamo a fermarci sull’uscio a discutere se
è meglio usare l’ombrello o mettere l’impermeabile?
|
| 26 gennaio 2010 |
31
ESTERI
LA PERSECUZIONE CONTINUA
Il Pakistan non rinuncia alla legge antiblasfemia.
Timide condanne per l’omicidio del governatore
del Punjab che aveva osato proporre modifiche
della norma. Minacce ai suoi seguaci, piazze piene
per l’assassino. E le istituzioni stanno a guardare
32
| 26 gennaio 2011 |
|
I
mmaginate un paese democratico, il cui
governo in carica è stato scelto dal
popolo in libere elezioni, dove il
governatore della regione più popolosa
ed economicamente importante, affiliato al partito che ha vinto le elezioni, venga assassinato a tradimento da una delle
Foto: AP/LaPresse
Chi dice
libertà
muore
La conferenza stampa
del governatore del
Punjab Salman Taseer
per la liberazione di
Asia Bibi (a sinistra
nella foto), la donna
detenuta da oltre un
anno in Pakistan per
presunte offese al
Profeta e condannata
a morte in base alla
legge sulla blasfemia.
Dopo la conferenza
Taseer è stato ucciso
dalla sua stessa
guardia del corpo.
Nella foto grande,
una marcia a Karachi
per la libertà religiosa
Foto: AP/LaPresse
A una marcia a Karachi contro qualunque
riforma della legge antiblasfemia, il leader di
un partito islamista ha esaltato l’attentatore:
«C’è un Mumtaz in ogni famiglia pachistana»
sue guardie del corpo. Cosa succederà nei
giorni immediatamente successivi? Manifestazioni di cordoglio, solidarietà bipartisan, partecipazione di massa ai funerali
della vittima, esecrazione del delitto, penserete voi. E invece no. Succede che l’assassino viene onorato come un eroe in mani-
festazioni di piazza con migliaia di persone e suscita pagine di fan su Facebook, che
autorevoli leader religiosi vietano di pregare per l’anima del defunto o partecipare al
suo funerale, che né il capo dello Stato né
il primo ministro né altri ministri rilasciano dichiarazioni di solidarietà, e che altre
pubbliche minacce di morte contro personalità del partito di governo vengono formulate senza che la magistratura intervenga. Pura fantasia? Per niente.
Gli avvenimenti sopra elencati sono
accaduti veramente in Pakistan, nelle due
settimane successive all’omicidio di Salman Taseer, il governatore del Punjab
abbattuto nel parcheggio di un supermercato con 27 colpi di arma da fuoco esplosi da Mumtaz Qadri, poliziotto addetto alla
sua sicurezza personale, senza che nessun
altro membro della scorta intervenisse. La
colpa dell’uomo politico, che l’ha trasformato in un bersaglio da abbattere da vivo e
in un appestato da morto, è una sola: aver
preso le difese di Asia Bibi, la contadina cristiana accusata di aver profanato il nome
di Maometto e condannata a morte in un
primo grado di giudizio, e aver proposto la
riforma della legge sulla blasfemia in base
alla quale vengono denunciate e arrestate centinaia di persone ogni anno in Pakistan. E infatti una delle rarissime personalità religiose che hanno avuto l’ardire di
commemorare il musulmano Taseer è stato l’arcivescovo cattolico di Lahore, monsignor Lawrence Saldanha, che in un messaggio di condoglianze a nome di tutti i
vescovi pachistani lo ha definito «martire
della giustizia e della libertà religiosa che
ha pagato con il suo sangue», e ha espresso la sua ammirazione «per la sua coraggiosa azione in favore della signora Asia
Bibi, condannata per la cosiddetta “blasfe-
mia”». Invece il primo ministro Yousuf Raza Gilani del
Partito popolare pachistano (Ppp, quello di Benazir
Bhutto), che pure ha partecipato con alcuni ministri
al funerale di Taseer, quando il governatore del Punjab si era esposto contro la legge antiblasfemia aveva precisato che «questo è il punto di vista personale del governatore, io sono un syed (discendente diretto
di Maometto, ndr) e il mio governo non ha
nessuna intenzione di annacquare la legge
antiblasfemia». Il leader del principale partito di opposizione ed ex primo ministro,
Nawaz Sharif della Lega musulmana del
Pakistan-Nawaz, dopo l’omicidio si è limitato a dichiarare che Taseer «avrebbe dovuto
essere più prudente» e «adottare un approccio più equilibrato»; quello del principale
partito islamico radicale, Fazl-ur-Rehman,
del Jamiat-e-Ulema-e-Islam, ha apostrofato il governo: «E adesso che voi avete fatto
diventare quello di Taseer un caso giudiziario, anche noi abbiamo il diritto di difendere Mumtaz Qadri (l’assassino, ndr)».
Petali di fiore sul killer fanatico
L’exploit di Fazl-ur-Rehman, il cui partito
fino a poche settimane fa faceva parte della compagine governativa e che in passato
più volte aveva sostenuto Benazir Bhutto,
non è affatto isolato. A una manifestazione
a Karachi affollata da 50 mila partecipanti
contrari a qualunque riforma anche minima della legge antiblasfemia, un leader di
un altro partito islamista, Jamiat-e-Ulemae-Pakistan, ha esaltato la figura dell’attentatore come quella di un eroe e affermato: «C’è un Mumtaz Qadri in ogni famiglia
pachistana». La pensano come lui le centinaia di persone che hanno atteso l’apparizione del pregiudicato in manette all’ingresso del palazzo di giustizia di Islamabad per manifestargli la loro solidarietà e
ricoprirlo letteralmente di petali. E i quasi mille avvocati che si sono resi disponibili per il gratuito patrocinio dell’imputa|
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ESTERI LA PERSECUZIONE CONTINUA
to e che hanno convocato una conferenza stampa nel corso della quale hanno illustrato la loro strategia difensiva: dimostrare che l’accusato ha agito da solo e motivato dai suoi forti sentimenti religiosi, senza informare preventivamente alcuno dei
suoi colleghi come invece è stato sostenuto, e che è innocente fino a quando non
sarà provata la sua colpevolezza. Nelle settimane precedenti alcuni di loro avevano creato un’associazione di avvocati dal
nome Movimento per proteggere la dignità del Profeta. Per non parlare di quegli
otto amici di Qadri autori di sms, trovati
sul suo cellulare sequestrato, che incitavano la guardia del corpo a uccidere Taseer.
Vietato il funerale dell’infedele
La stampa di lingua inglese ha condannato
l’omicidio (d’altra parte il Daily Time, uno
dei maggiori quotidiani del paese, era di
proprietà di Taseer); non così quella di lingua urdu. Su Ummat la sua vicenda è stata così descritta: «Salman Taseer aveva fatto dichiarazioni controverse su una questione religiosa, aveva ferito il sentimento
religioso di molte persone; non c’è dubbio
che farsi giustizia da sé è una cosa sbagliata, tuttavia simili incidenti possono accadere, come reazioni alla provocazione». Un
editoriale di Nawa-e-Waqt, un altro quotidiano in lingua urdu, loda un leader religioso di Peshawar, Yusuf Qureshi, e scrive
che se la sharia fosse pienamente applicata in Pakistan, non si sarebbe più costretti ad assistere a dibattiti come quello sulla
legge antiblasfemia. Cosa aveva fatto Qureshi? Aveva promesso una ricompensa di
500 mila rupie pachistane (pari a 4 mila
euro) a chiunque avesse ucciso Asia Bibi
qualora il governo l’avesse rimessa in libertà. I musulmani della corrente principale
dell’islam sunnita pachistano, quella detta
“barelvi”, sulla questione della blasfemia
non risultano molto più moderati: oltre
cinquecento studiosi affiliati alla Jamaat-eAhl-e-Sunnat hanno consigliato ai musulmani di non partecipare ai funerali di Salman Taseer e tanto meno di guidare le preghiere al funerale. L’effetto di ciò è stato
che nessun maulvi (l’equivalente pachistano dell’imam) di rilievo ha accettato di presiedere la cerimonia, a cominciare da quello governativo ufficiale, che pure sarebbe
pagato per farlo.
In realtà Taseer, laico di formazione ma
tuttavia musulmano, non s’è mai sognato
di proporre l’abolizione della legge antiblasfemia o di attaccare l’islam: tutto quello che proponeva, a volte con toni provocatori, era una riforma della legislazione vigente che eliminasse la pena di morte fra le punizioni previste dalla legge ed
estendesse la sua competenza anche alle
offese contro le altre religioni presenti in
Pakistan. Ma nel paese tanto basta per pro34
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Per il prossimo 26
gennaio diverse
associazioni, fra
cui i Parlamentari
Amici del Pakistan e i
Pachistani cristiani in
Italia, hanno indetto
una manifestazione a
Roma per chiedere la
libertà per Asia Bibi
(nella foto sopra)
e l’abolizione della
legge pachistana
sulla blasfemia,
usata di fatto per
perseguitare
le minoranze religiose
o per realizzare
vendette personali
Bibi prima che si sia concluso l’iter giudiziario della sua causa e, atto molto discutibile, per rifiutare al parlamento il diritto di
emendare la legge antiblasfemia. L’ultimo
exploit della giustizia pachistana riguarda la liberazione di uno dei più pericolosi leader jihadisti in circolazione, indicato in vita da Benazir Bhutto come una delle persone che dovevano essere considerate
responsabili del suo eventuale assassinio.
Qari Saifullah Akhtar era stato incarcerato dopo essere sopravvissuto mesi fa all’attacco di un drone americano nel nord del
paese che lo aveva lasciato ferito. Questa
è la terza volta che l’uomo esce di prigione dopo esservi entrato per accuse di terIl jihadista scarcerato
rorismo: la prima volta era accaduto nel
La cosa più sconcertante di questa lunga 1996, dopo essere stato arrestato per comcatena di dichiarazioni incendiarie, minac- plicità in un tentativo di colpo di Stato. La
ce di morte e apologie di reato è che su nes- seconda volta nel 2008, quando era stato
suna di esse l’autorità giudiziaria è interve- sospettato dell’attentato che aveva causanuta non diciamo con arresti, ma nemme- to 130 morti fra i militanti del Ppp il giorno aprendo inchieste. Tranne, pare, per le no del ritorno di Benazir Bhutto dall’esilio.
otto persone che avrebbero incitato Qadri Ha scritto Declan Walsh, inviato del Guarall’assassinio del governatore del Punjab dian in Pakistan: «Moltissime inchieste si
coi loro sms. L’Alta Corte di Lahore è invece concludono con un nulla di fatto perché la
intervenuta per impedire al presidente Asi polizia non trova le prove, i giudici temono
Ali Zardari di concedere la grazia ad Asia di essere assassinati e le decisioni, si pensa, sono influenzate dai desideri dell’Isi, l’intelligence
«Moltissime inchieste si concludono con un
pachistana, che vanta leganulla di fatto perché la polizia non trova le
mi storici con la maggior
prove e i giudici temono di essere assassinati», parte dei gruppi militanti».
Alessio Falsavilla
ha scritto Declan Walsh, inviato del Guardian
durre la reazione violenta di una parte della società, cui fa da contrappunto il silenzio impaurito di tutti gli altri. A proporre
emendamenti migliorativi della legge (sulla linea di quanto proponeva Taseer) ora
rimane solo una deputata del Ppp, Sherry
Rehman, ex giornalista ed ex ministro delle Telecomunicazioni. A una recente preghiera del venerdì il maulvi della Moschea
del sultano a Karachi, una delle più importanti della città, ha chiamato “kaafir” (infedele) la Rehman e l’ha dichiarata “wajib-ulqatl”, che significa “passibile di morte”, a
motivo del suo impegno per la riforma della legge antiblasfemia.
ComeabbiamofattodiSakinehil
simbolodellanostrasetedidiritti
perledonneneipaesiislamici,così
AsiaBibicicostringeamobilitarci
perchél’ingiustaleggepachistana
sullablasfemiasiacancellata
Quisotto,ilministro
perlePariopportunità
MaraCarfagna
APPELLOAISLAMABAD,LERAGIONIDELMINISTRO
Salvate Asia Bibi
o non ci sarà pace
«Quel processo è stato una farsa. La fede non è mai
una colpa». Mara Carfagna in difesa della cristiana
condannata a morte per presunte offese al Corano
diMaraCarfagna*
Foto: AP/LaPresse
A
BiBi è una donna. Una donna cristiana, con il dono più prezioso,
quello della Fede. Una madre di
quarantacinque anni e cinque figli. Nessuna di queste caratteristiche peculiari
dovrebbe poterle costare la vita. Invece
Asia Bibi è condannata a morte. Un tribunale pachistano ha emesso la sentenza.
Asia Bibi non ha commesso alcun reato,
la sua “colpa” è il suo credo, il nostro credo, cioè la Fede in Dio. Lo dimostra l’accusa con la quale è stata trascinata in tribunale: blasfemia nei confronti di Maometto. Poco importa se i racconti di questa presunta blasfemia sono confusi, se il processia
so è probabilmente una farsa, fondato solo
su quanto affermato dalla polizia locale: di
fronte al dramma di Asia Bibi non possiamo restare in silenzio. Le ragioni della politica, anche quella – delicatissima – internazionale, non possono sopire il nostro senso
di repulsione nei confronti di una persecuzione che rischia di trasformare una contadina del Pakistan in una martire, nell’anno domini 2011. Questa esile donna che
vive in un paese lontano, così diverso dal
nostro, è un simbolo. Asia è la prima donna
a essere incriminata e a rischiare la vita per
una presunta profanazione del Corano dal
1986, anno di introduzione della legge contro la blasfemia in Pakistan; uno strumento che, neppure in maniera troppo velata,
è utilizzato per colpire la minoranza cristiana nel paese, tiene sotto scacco una comunità
di quattro milioni di persone.
Asia, rinchiusa in carcere vicino a Lahore da oltre un anno,
è il simbolo al quale ci aggrappiamo per chiedere al Pakistan
che apra i confini alla libertà. Libertà religiosa, innanzitutto. Così come abbiamo fatto di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione, il simbolo della nostra
sete di diritti per le donne nei paesi islamici, Asia Bibi ci costringe tutti a mobilitarci
perché questa legge ingiusta sia cancellata,
affinché sia consentito di professare la propria Fede anche in Pakistan.
Quella donna è in costante pericolo
Io l’ho fatto, personalmente, sottoscrivendo l’appello inviato al governo pachistano
e invitando tante altre persone a farlo. L’Italia si sta impegnando al massimo. Il collega ministro degli Esteri si è recato a Islamabad per cercare una soluzione diplomatica, ha schierato un paese – convintamente
– dalla parte della vita; il Parlamento è riuscito a convergere, in un momento politico non facile, su un testo che condanna la
persecuzione nei confronti dei cristiani, in
ogni angolo del mondo; il capo dello Stato
ha messo in campo tutta la sua autorevolezza, invitando «la comunità internazionale
a una profonda riflessione, anche rispetto
alle azioni da intraprendere nei confronti
di quei paesi che negano ai loro cittadini la
libertà di professare il proprio credo».
Le autorità pachistane hanno dato rassicurazioni sulla sorte di Asia Bibi. Ora,
dopo il barbaro assassinio di Salman Taseer,
musulmano laico e governatore del Punjab,
ucciso dalla sua stessa guardia del corpo
per il solo fatto di aver preso le difese della
povera donna e di aver auspicato una riforma della legge contro la blasfemia, apprendiamo che anche Asia Bibi si trova in costante pericolo a causa delle minacce di morte e
addirittura delle taglie sulla sua testa offerte da estremisti e terroristi. Perciò, fino a
quando Asia non sarà libera, libera soprattutto di professare la propria Fede, non possiamo abbassare la guardia. Nessuno, poi,
può rimanere indifferente di fronte alle
parole del Santo Padre, Benedetto XVI, per il
quale «negare o limitare in maniera arbitraria la libertà religiosa significa coltivare una
visione riduttiva della persona umana» e
«rendere impossibile l’affermazione di una
pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana». Inviare una e-mail al governo
pachistano, rispondere a un appello, anche
semplicemente raccontare a qualcuno che
non la conosce la terribile storia di Asia Bibi,
dunque, significa lavorare – concretamente
– per la pace nel mondo, quella vera.
*ministro per le Pari opportunità
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35
esteri UNO STATO SOTT’ACQUA
Dal tredicenne che muore per salvare madre
e fratello alla famiglia intrappolata per ore
sul tetto della propria auto. Nell’alluvione
devastante che l’ha colpita, l’Australia cerca
la speranza nelle storie dei suoi eroi per caso
i
Mark keMpton lascia la sua
famiglia tra gli sfollati appena in salvo
prima di ributtarsi nella bolgia dei soccorsi. L’acqua non si ferma, come una lava
fangosa ha già deciso la sorte di mezza Brisbane e di mezzo Stato. Mark e la sua squadra salvano 28 persone. Sono eroi. Per tutti, ma non per se stessi. «Non importa quante vite hai salvato, vuoi sempre raggiungerne un’altra», raccontano ai giornalisti tra le
lacrime. Sull’elicottero della salvezza Mark
e i suoi hanno issato una donna incinta che
36
l pilota
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la salvezza non la voleva più. Pochi minuti prima di essere raggiunta dai soccorritori ha perso la stretta dell’altro figlio, quello
che teneva aggrappato a sé. Chissà da quanto tempo, chissà resistendo a quali ondate.
Non è bastato. Se fossero arrivati prima. Se
l’avessero vista prima. È un martirio provare a immaginare cosa sarebbe successo se
soltanto quell’attimo fosse bastato a stringere ancora di più il bambino, a far accelerare l’elicottero. Eppure non c’è spazio
adesso per queste cose nella capitale dello
Stato del Queensland, Australia. Un altro
emisfero, un altro mondo. Qui siamo in piena estate, è tempo di vacanze e nello Stato
dove sorge la terza città più grande del continente piove da novembre, ma sono le ultime due settimane che hanno dato il colpo
di grazia. Sotto la marea d’acqua in tutto il
Queensland sono morte 16 persone, ma ci
sono ancora decine di dispersi. Tutta l’Australia è appesa alle televisioni che in diretta documentano il disastro. Più di 26 mila
abitazioni allagate, 11.900 delle quali completamente invase dall’acqua. Migliaia di
case prive di energia elettrica e molte strade ancora bloccate. Mentre conta i danni la
città tira un sospiro di sollievo. Il livello delle acque esondate dal fiume Brisbane si è
fermato, la settimana scorsa, a 4,46 metri:
un metro in meno di quello che si temeva
e che invece raggiunse nel terribile disastro
del 1974. «È uno scenario di guerra», ha det-
Foto: Contrasto, AP/LaPresse
Gente
del Queensland
Foto: Contrasto, AP/LaPresse
Sono 16 i morti e decine i dispersi dell’alluvione che ha colpito lo Stato del Queensland,
nel Nord-Est dell’Australia. Oltre ventimila le case danneggiate, soprattutto a Brisbane
to il primo ministro dello Stato Anna Bligh.
In questa guerra l’Australia si nutre delle
storie di eroi inaspettati, zattere di umanità
non travolte dalla marea marrone.
James Perry era nel lungo elenco dei
dispersi fino alla settimana scorsa. La
moglie Jenny si è dovuta arrendere quando il suo cadavere è stato restituito da una
pietosa corrente di fango. L’ultima volta che
James (39 anni) e Jenny si sono visti erano
sul tetto della loro auto, insieme al figlio
Ted, 9 anni. L’acqua li ha sorpresi al ritorno
delle vacanze trascorse sulla Costa dell’Oro.
Stavano attraversando un fiume nei pressi
della città di Grantham quando uno “tsunami terrestre” li ha sorpresi. La foto che
ha fatto il giro del mondo li ritrae appollaiati sull’utilitaria bianca circondata dall’acqua, mentre il muso comincia già ad affondare. All’arrivo dei soccorsi James ha messo in salvo prima Jenny e Ted. Loro lo han-
no aspettato all’ospedale ma lui non è mai
arrivato. Prima che l’elicottero riuscisse a
tornare a recuperarlo era già scomparso nel
girone fangoso. Centinaia di persone hanno
chiamato per giorni alle redazioni delle tv:
volevano sapere dov’era finito quell’uomo,
come stava quella famiglia.
L’eroe bambino, invece, si chiama Jordan Rice, 13 anni. Era per strada a piedi con
la madre Donna e il fratello Blake (10 anni)
nella città di Toowoomba. Stavano andando a casa a preparare la torta di compleanno per il padre. Pensavano di essere al sicuro nonostante l’emergenza, ma l’acqua aveva altri piani. Nel giro di pochi minuti lo
“tsunami terrestre” è arrivato anche lì: case
sommerse, alberi sradicati, auto trascinate dalla piena come detriti. Jordan, Blake e
Donna si sono aggrappati a un albero che
sembrava resistere, fino a che un camion
dei Buoni Samaritani non è apparso come
un angelo all’orizzonte. L’autista getta una
corda, Jordan è il primo ma cede il posto al
fratello più piccolo. Aspetta il secondo lancio insieme alla madre. Vengono trascinati
lentamente quando l’ultimo pezzo di corda si spezza improvvisamente. Il viso del
bambino biondo si inabissa in un attimo,
la madre lascia per un momento la corda
nel tentativo di raggiungere il figlio. Nessuno dei due riemerge più. «Jordan non sapeva nuotare, era terrorizzato dall’acqua», ha
raccontato il padre, John Tyson, a un giornale locale, The Toowoomba Chronicle. «Ma
quando quell’uomo è andato a salvarlo, lui
ha detto “prima mio fratello”».
In Australia sono allenati a tentare di
addomesticare la natura, ma sono anche
allenati a vederla spiegare tutta la sua tremenda potenza. A Perth, oltre 4.200 chilometri di distanza da Brisbane, è la stagione
degli incendi. Il fuoco ci mette un attimo a
divorare boschi e rasentare le abitazioni. I
bambini australiani a scuola imparano una
poesia di Dorothea McKellar. L’autrice spiega che conosce, ma non riesce ad amare la
dolce Inghilterra, terra dei suoi padri. Quello che lei ama «è un paese bruciato dal sole,
una terra di pianure spazzate dal vento»,
«siccità e terribili alluvioni, bellezza e terrore». Come atterrita ma attratta da quella maestosità la nazione cerca di reagire e
di costruire. «Noi siamo la gente del Queensland, la gente del Nord – ha detto la settimana scorsa la premier Bligh parlando in
tv tra le lacrime. Quelli che quando vengono buttati giù si rialzano». Anche grazie
alle storie dei loro eroi per caso.
[lb]
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| 26 gennaio 2011 |
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PANE AL PANE
UN’INCREDIBILE INTERPRETAZIONE
L’ultima sulla guerra santa?
È colpa di ebrei e cristiani
di Giorgio Israel
I
l Grande imam della moschea di al azhar, ahmed al Tayyeb, dopo aver ammoni-
to che l’appello del Papa Benedetto XVI in difesa dei cristiani poteva «creare INTELLETTUALE
CURA
malintesi», allo scopo di dissipare i medesimi e «ristabilire i ponti della fiduTESTESSO
cia» ha proposto al Papa di inviare un messaggio di pace ai musulmani. Una richiesta invero singolare – visto che l’attentato di Alessandria era diretto contro
i cristiani – che il rappresentante delle vittime rivolga un messaggio di pace ai
musulmani, come se essi fossero gli aggrediti. Se esiste ancora la logica, il messaggio di pace doveva inviarlo l’imam al Tayyeb. Non risulta che il Papa abbia
aderito a questa richiesta. Ci ha pensato però qualcun altro al suo posto, e si tratta di una personalità cattolica del calibro di Vittorio Messori. In un articolo sul
Corriere della Sera e in vari interventi sul suo nuovo giornale informatico, egli si
è sbracciato in varie ricostruzioni storiche con il classico sistema di comporre notizie parzialmente vere in un quadro tendenzioso; il tutto allo scopo di spiegare che l’islam, dovunque è arrivato, non è mai stato “cattivo”, non ha mai avuto un attegPer Messori «i governi delle nazioni islamiche
giamento invadente, oppressivo o imperiale, ma è stato,
per così dire, costretto alla conquista dalla dabbenaggisono sotto lo tsunami che ha avuto come
ne, dall’incapacità, dai conflitti interni e persino dai midetonatore l’intrusione violenta del sionismo,
sfatti dei conquistati, in particolare dei cristiani. Quingiunto a porre la sua capitale a Gerusalemme, di, siccome tutto è sempre andato nel migliore dei modi
città santa per i fedeli quasi quanto la Mecca» nel migliore dei mondi possibili, salvo qualche sbavatura
marginale, Messori si è chiesto desolato: «Sino a tempi recenti la convivenza, cementata da tanti secoli, non è mai stata messa seriamente in discussione.
Che è avvenuto, dunque, da qualche tempo?». E la risposta l’ha trovata in un battibaleno: la colpa
è degli ebrei e del sionismo. Difatti, «tutti i governi di tutte le nazioni islamiche sono sotto lo tsunami che ha avuto come detonatore l’intrusione violenta del sionismo che è giunto a porre la sua
capitale a Gerusalemme, città santa per i credenti, quasi alla pari della Mecca».
Si prova quasi vergogna a dover ricordare che Gerusalemme è la prima città santa
per gli ebrei, e una delle prime due per i cristiani mentre nel Corano non è neppure menzionata. Ma questo pare non conti. La santità di Gerusalemme vale soltanto
per i musulmani, non per gli ebrei e – si noti – neppure per i cristiani. Viene da ridere pensando al Messori che anni fa bacchettava Giovanni Paolo II, colpevole di chiedere troppe scuse a destra e a manca per le colpe storiche del cristianesimo, e che ora
parla dell’occupazione islamica della Spagna medioevale come di una “liberazione”,
rimprovera gli eccessi antimusulmani delle repubbliche marinare e cancella il diritto
degli ebrei a considerare Gerusalemme città santa. Ma più che ridere nasce un sentimento di pena di fronte all’immagine di un signore che supplica il coccodrillo di mangiarlo per ultimo. E, oltretutto, lo fa mentre il coccodrillo gli sta mangiando un piede.
Forse Messori si illude che una via per sfangarla sia di offrire gli ebrei come agnello sacrificale in pasto all’islam – si badi, gli ebrei, non soltanto il sionismo, perché la
questione di Gerusalemme è religiosa, a detta dello stesso Messori. È da augurarsi che il mondo cristiano, e cattolico in particolare, non lo segua su una simile
via. Oltre ad essere una scelta moralmente riprovevole sarebbe anche inefficace. Con simili demonizzazioni si farà di certo molto male agli ebrei e si attizzerà un antisemitismo sempre più virulento, ma alla fine il conto verrà pagato da
tutti e sarà un conto salato, come insegna la storia (quella autentica,
non i fumetti di Messori).
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| 26 gennaio 2011 |
39
CULTURA
KILL ME PLEASE
Vietato
agli aspiranti
suicidi
«Mica si può decidere come farla finita
scegliendo tra le offerte di un catalogo Ikea».
Il regista Olias Barco spiega perché la sua
commedia dark ambientata in una clinica
per l’eutanasia è diventata «un inno alla vita»
I
n ItalIa dal 14 gennaIo, il film diretto e
sceneggiato da Olias Barco è stato il
vincitore del Marc’Aurelio d’oro all’edizione 2010 del Festival di Roma. Un trionfo a sorpresa ma meritato perché Kill me
Please è una pellicola interessante e girata
bene (anche se con mezzi limitati), e affronta una tematica difficile con un umorismo
dark che conquista. Il Dr. Kruger, psichiatra
di decennale esperienza, ha messo in piedi una struttura terapeutica che accoglie
le persone desiderose di porre fine alle loro
vite, concedendogli un “suicidio assistito”.
A questa clinica sperduta tra le montagne
si rivolge l’umanità più disparata: la cantante un tempo famosissima che a causa di
un cancro ai polmoni ha perso tutta la sua
potenza vocale, un noto comico che dice di
40
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soffrire di un male incurabile, una ragazza
tanto bella quanto fragile che vive grazie a
una puntura al giorno, un commesso viaggiatore con molti segreti, un ragazzo che
detiene il triste primato di più giovane suicida di Francia (la prima volta ci provò a 7
anni) e un uomo che ha perso la moglie al
tavolo da poker. Tutti i protagonisti sono
accomunati dalla volontà di mettere fine
alle loro vite. Sono venuti a conoscenza della clinica attraverso internet e hanno spedito un videomessaggio al dottore per convincerlo ad accettare le loro richieste ed esaudire il loro ultimo desiderio.
Da qui si sviluppa l’assurda e dissacrante trama del film, scritta a quattro mani dal
regista francese e da uno dei protagonisti,
Virgile Bramly. Barco racconta così a Tem-
Kill me Please, pellicola diretta
e sceneggiata dal regista francese
Olias Barco (qui sopra) è stata
premiata con il Marc’Aurelio d’oro
all’edizione 2010 del Festival di Roma
IlfilmdiBarco
raccontaungruppo
diaspirantisuicidi
chesirivolgono
aun’immaginaria
clinicadelsuicidio
assistito.Ognunodi
loroscopriràchela
mortenonpuòmai
essereprogrammata
e poi abbiamo potuto utilizzare dei semplici espedienti. Uno su tutti, la realizzazione
del sangue. Quando si gira a colori il sangue
dev’essere di un tono particolare, un rosso
molto vivo, mentre nel bianco e nero è facilmente riproducibile utilizzando del cacao
sciolto nell’acqua, e così abbiamo fatto».
pi la non facile genesi del film: «È un film
realizzato in Belgio, le riprese sono durate
tre settimane e ci siamo avvalsi della produzione della casa indipendente Le Parti, che
ha prodotto lavori come Panique au village (film d’animazione presentato con successo a Cannes, ndr) e ama cimentarsi con
pellicole difficili. La scelta di girare in bianco e nero non è stata voluta ma necessaria, dato il budget ridotto e la tematica che,
nonostante fosse trattata con ironia, rappresentava uno scoglio difficile da superare per ottenere un finanziamento. Il bianco
e nero ci ha permesso di risparmiare soldi e
risorse: abbiamo ridotto il numero di giorni di riprese, perché non avevamo la necessità di riprendere con una luce particolare
come invece accade quando si gira a colori;
Una storia (quasi) vera
L’idea di una clinica del suicidio assistito nasce da un riferimento ben preciso
alla realtà: «Ci siamo ispirati all’associazione svizzera Dignitas, fondata dal dottor
Minelli, che offre l’assistenza sanitaria di
accompagnamento alla morte», spiega Barco. «Non è una vera clinica, spesso opera nelle case dei pazienti, ma ci siamo chiesti cosa
succederebbe un giorno se davvero nascesse
una struttura lussuosa dove le persone possano pagare per scegliere la propria fine».
Facile immaginare che un film del genere
avrebbe sollevato accesi dibattiti. Il regista
racconta che dopo l’uscita francese del film
era convinto che i giornali di area cattolica
lo avrebbero distrutto, invece «un noto giornale cristiano ne ha parlato benissimo, è
stata una delle migliori recensioni ricevute
in Francia. Non so quale potrà essere la reazione in Italia, ma ci tengo molto a dire che
il mio film non intende difendere nessun
tipo di posizione su queste tematiche, è una
riflessione sul suicidio assistito e alla fine
quello che emerge è che non siamo in grado di scegliere come morire. È la morte che
sceglie quando e come arrivare».
Durante le riprese Barco ha aperto un
blog per raccontare il film e moltissime
sono state le persone che hanno lasciato
pensieri e testimonianze sull’argomento.
Una in particolare lo ha molto scosso: «Mi
scrisse il fratello di una persona che aveva deciso di rivolgersi a Dignitas. Si ritrovarono a vivere, il paziente e la sua famiglia,
una situazione molto diversa da quella che
gli era stata proposta in questo fantomatico pacchetto. E la scelta della morte, tra le
varie opzioni possibili, non fu assolutamente rispettata né presa in considerazione. È
stato toccante leggere queste parole».
Nonostante l’argomento difficile, il film
è stato perfettamente reso in maniera grottesca, con toni da commedia nera e con un
umorismo surreale (anche perché, ha spiegato Virgile Bramly alla proiezione stampa
a Milano, «altrimenti sarebbe stato un film
troppo cupo e quindi non vendibile») e il
suo messaggio si spinge al di là del dibattito
etico e abbraccia problematiche più ampie.
«Ciò che mi premeva sottolineare – aggiunge Barco – è la deriva a cui ci porta la nostra
società dei consumi. È una società che ci
spinge a comprare tutto. Fino a che punto possiamo desiderare di voler conquistare
qualunque cosa semplicemente pagandola?
Davvero potremo comprare anche il nostro
modo di morire, scegliendo tra le varie possibilità come su un catalogo Ikea? La verità è che il mio film è in fondo un inno alla
vita, sono sicuro che gli aspiranti suicidi
guardandolo cambieranno idea».
«Il prossimo film? In Italia»
Intanto Kill me Please ha conquistato un
premio, esce in 25 copie in Italia e ha portato fortuna al suo regista, che ci svela in anteprima qualche dettaglio del nuovo film: «Lo
girerò a Roma, spero con Claudia Gerini,
attrice che amo e stimo, peccato sia già sposata. La prima scena sarà in
«Miscrisseilfratellodiunapersonachesiera Vaticano e per quanto riguarda la trama posso solo dirvi
rivoltaaDignitas.Siritrovaronoavivere,
che parlerà di politica, sesso
ilpazienteelasuafamiglia,unarealtàmolto
e vita… dell’Italia insomma!».
diversadaquellapropostanel“pacchetto”»
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PaolaD’Antuono
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CULTURA IL POETA BARBARICO
Ateo e divino
Delacroix
Andare per chiese tra le vie di Parigi e scoprire
le opere “dimenticate” del massimo pittore
del romanticismo francese. Così i suoi soggetti
religiosi rivelano la grandezza di un miscredente
alla disperata ricerca di un abbraccio del Padre
E
Delacroix (1798-1863) era solito
dire che «La prima virtù di un dipinto
è essere una festa per gli occhi». Lo
diceva descrivendo il suo stile, che gli ha
permesso di divenire il padre di alcuni dei
capolavori più celebri della storia dell’arte.
È il principale esponente del romanticismo francese, noto soprattutto per essere l’autore del Massacro di Scio (1824) e La
Libertà che guida il popolo (1830), opere
che riflettono il contesto politico del tempo
in cui erano forti le istanze rivoluzionarie e
l’instabilità politica.
Delacroix è stato anche uno dei più
grandi pittori di soggetti religiosi. Molte
sono le composizioni sacre che ci ha lasciato, alcune delle quali sembrano essere state
quasi dimenticate nei transetti e nelle volte
delle chiese parigine. Può capitare di passarci davanti e riscoprirle per caso, ma la loro
importanza è fondamentale per comprendere la lezione di questo grande maestro e
lasciarsi stupire dal suo modo originale di
interpretare il sentimento religioso.
Pur essendosi definito per tutta la vita
un non credente, fin da giovane Delacroix
aveva riflettuto sull’esistenza di Dio, come
si evince nel suo diario, in data 12 ottobre
1822: «Ho appena visto Orione brillare per
un momento nel cielo fra le nuvole nere
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ugene
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e il vento tempestoso. Dapprima ho pensato alla mia vanità, di fronte a questi mondi sospesi. Poi ho pensato alla giustizia,
all’amicizia, ai sentimenti divini impressi
nel cuore dell’uomo, e non ho più trovato
niente di grande nell’universo se non lui e
il suo creatore. Questa idea mi ha folgorato.
È possibile che lui non esista? (…) Se il caso
avesse creato l’universo, cosa significherebbero mai parole come coscienza, rimorso e
dedizione? Oh, se tu potessi credere con tutta la forza del tuo essere a questo Dio che ha
stabilito il dovere, ogni tua incertezza sparirebbe. Perché, ammettilo, è pur sempre
questa vita, il timore di perderla o di veder
turbata la sua tranquillità, a segnare i tuoi
giorni fugaci, che invece scorrerebbero nella pace se tu vedessi, al termine, il seno del
Padre divino pronto ad accoglierti». Sono
proprio queste domande, unite al bisogno
umano e universale di certezze, che conducono il pittore a interpretare le tematiche sacre facendo leva sulle sue sensazioni
più profonde. Una delle prime opere sacre
a essere eseguita è Il Cristo nell’orto degli
ulivi, che adorna il transetto sinistro della chiesa di Saint-Paul-Saint-Louis. Commissionatagli nel 1824 dal prefetto del Dipartimento della Senna, la tela fu terminata nel
1826 ed esposta al Salon del 1827.
Il momento che precede l’arresto e la
cattura di Cristo ci viene presentato in tutta la sua drammaticità. Colto nel suo massimo turbamento, Cristo è rappresentato
insieme a tre angeli che, con espressione
grave, presagiscono la sua morte. È straordinario il modo in cui il pittore rende la
scena, comprendendo e interpretando, in
modo totalmente cristiano, il significato
della Passione.
Come provocare emozione
Ma è soprattutto dopo il viaggio in Africa
(1832) che lo stile di Delacroix comincia a
prendere forma. Il pittore comprende l’importanza della luce e dei colori e scopre
che questi non servono solo a dare forma e
consistenza al soggetto, ma possono diventare veri e propri protagonisti dell’opera, provocando
«È il timore di perder la vita a segnare i tuoi
profonde emozioni. Ne è un
giorni fugaci, che invece scorrerebbero
esempio la Pietà eseguita per
nella pace se tu vedessi, al termine, il seno
la Cappella della Vergine neldel Padre divino pronto ad accoglierti»
la chiesa di Saint-Denys-du-
In questa pagina alcuni quadri e affreschi di Eugene Delacroix.
A sinistra, La lotta di Giacobbe con
l’angelo (1849), chiesa di Saint Sulpice.
Sopra, Il Cristo nell’orto degli ulivi
(1826), chiesa di Saint-Paul-Saint-Louis.
Più in alto, la Pietà (1843-44), chiesa
di Saint-Denys-du-Saint-Sacrement
Saint-Sacrement, nella quale i colori, insieme a una forte espressività dei soggetti,
cominciano a giocare un ruolo fondamentale. L’incarico fu affidato a Delacroix dal
prefetto della Senna Rambuteau dopo che il
pittore Robert Fleury aveva rifiutato il lavoro. Il pittore si mette al lavoro nell’inverno 1843-44 e nell’arco di 17 giorni porta a
compimento la tela che il critico d’arte Paul
Mantz descrive ne L’Artiste con queste parole: «Non è una Pietà come se ne sono già fatte tante (…) è la verità stessa, qui non ci sono
più né abilità acquisita, né procedimenti
accademici, è meglio dell’arte, se è possibile, perché è il cuore, l’umanità e la vita».
La perfezione delle forme viene abbandonata a favore di una più intensa espressività.
La Vergine viene resa con le braccia levate
l’immagine del Figlio di Dio». In realtà Delacroix attraverso la cruda umanità di quel
corpo è riuscito a esprimere perfettamente
il concetto di Cristo che si fa carne.
Ma il punto di arrivo di tutte le sue composizioni religiose è il ciclo pittorico commissionatogli nel 1849 per la chiesa di Saint
Sulpice, considerato il suo testamento spirituale. Il pittore, che lo porta a termine nel
1861, affresca direttamente sulle pareti della Cappella degli Angeli La lotta di Giacobbe
con l’angelo, Eliodoro cacciato dal tempio e
come se fosse in croce, in un atteggiamen- San Michele che atterra il demonio. Qui, i
to di totale abbandono al dolore. Allo stesso forti contrasti cromatici, il colore e i profimodo il corpo di Suo figlio perde la solen- li tratteggiati, la chiara influenza orientanità tipica delle contemporanee deposizio- le, la potenza del messaggio religioso non
ni e ci viene mostrato emaciato e sofferente. lasciano alcun dubbio: Delacroix ha ragNumerose le critiche rivolte al pittore giunto il suo vertice e, come scrive il saggiper questa sua scelta espressiva, come quel- sta Paul de Saint-Victor nel 1862 sulla rivista
la di un anonimo cronista del Journal des La presse: «Il maestro è tutto nella sua opeArtistes, che scrive: «Inginocchiatevi davanti ra, coi suoi pregi straordinari, coi suoi difeta questa Vergine crocifissa, inanimata, dura ti dovuti ai suoi eccessi, con la sua grande
e sfigurata; davanti a questo corpo ributtan- fantasia e il suo disordine plastico, ricercante, orribile, che egli osa presentarci come do la struttura e il carattere mentre dispregia la bellezza e la correttezza formale, rivestendo di un
La sua Pietà abbandona la perfezione
colore splendido delle forme
delle forme a favore della cruda umanità:
incolte, simile insomma a un
il corpo di Cristo perde la tipica solennità grande poeta barbarico».
e ci viene mostrato emancipato e sofferente
Mariapia Bruno
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| Foto: Fotogramma
La LomBardia
di fronte ai
taGLi deLLa
finanZiaria
L
a legge finanziaria, altrimenti detta manovra economica, è il documento con cui il Governo italiano propone
e pianifica come impegnare le risorse economiche del
nostro paese. Vi sono enumerate le necessità e le disponibilità
dello Stato in un arco temporale di un anno. Prima dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri e quindi della
presentazione ufficiale, vengono analizzati i dati economici
più aggiornati sulla situazione del paese sia dal punto di vista
macroeconomico che da quello finanziario.
La legge finanziaria attua le politiche regionali individuate
nel documento politico programmatico traducendole in ambiti di interventi, e costituisce l’anello di congiunzione con il
bilancio di previsione dell’anno di riferimento.
In particolare, autorizza le spese relative agli interventi di
parte corrente e qulle di investimento necessarie per la realizzazione degli obiettivi programmati; provvede a finanziare
le leggi regionali di settore; determina, per le leggi regionali
che disciplinano spese a carattere pluriennale, le quote
destinate a gravare su ciascuno degli anni considerati nel
bilancio pluriennale.
La manovra finanziaria del ministro Tremonti ha previsto un
taglio ai trasferimenti alle Regioni a statuto ordinario pari
a 4 miliardi di euro per l’anno 2011 e a 4,5 a decorrere dal
2012. Uno dei fronti più colpiti è stato sicuramente quello
del trasporto pubblico locale. Le risorse per questo settore
continuano a essere corrisposte come trasferimenti (anziché
essere trasformati in fiscalità) e rientrano perciò – in assenza di esplicita esclusione – nell’ammontare complessivo su
cui vengono effettuati i tagli.
In particolare, nei confronti della Lombardia, la manovra
finanziaria ha cancellato circa un miliardo e 200 milioni di
euro di trasferimenti statali diminuendo il tetto di spesa del
patto di stabilità da 4.500 a 3.950 milioni di euro per gli impegni e da 4.340 a 3.700 milioni di euro per i pagamenti.
risorse autonome deL BiLancio LomBardo
22 miliardi e 854 milioni, di cui 16 miliardi 864 milioni per la sanità e
le politiche sociali. 3.500 milioni per il Fondo perequativo di solidarietà
nazionale per le Regioni. 1.068 milioni per le spese di investimento.
i taGLi Ponderati
La Lombardia, per far fronte ai tagli previsti, è intervenuta sulle spese
di funzionamento (rappresentanza, incarichi di consulenza, legali,
affitto e missioni) aumentando in questo modo i risparmi previsti, che
consentiranno di finanziare politiche di investimento.
riduZione dei temPi di PaGamento
Una norma inserita nell’attuale manovra impone, entro la fine del
2011, il pagamento dei fornitori di beni e servizi di tutto il sistema
regionale entro 60 giorni, anticipando le indicazioni delle normative
europee in materia.
taGLi aL trasPorto PuBBLico LocaLe
Nel corso delle votazioni, l’Assemblea consiliare ha approvato un
emendamento alla Finanziaria proposto dall’assessore al Bilancio
Romano Colozzi, che riequilibra i fondi destinati al trasporto pubblico
locale in seguito ai più recenti accordi tra Stato e Regioni. In questo
modo il taglio di 300 milioni di euro inizialmente previsto dalla manovra si è ridotto agli attuali 99 milioni di euro.
I dati sono stati discussi in sede di Bilancio nel dicembre 2010
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la qualità
dei nostri
servizi non
verrà meno
S
ubito dopo l’approvazione del bilancio
pluriennale 2011-13 e di previsione
2011, Moody’s, l’agenzia internazionale più prestigiosa nella valutazione del
rating (il grado di affidabilità di un soggetto
pubblico e privato nel settore finanziario) ha
confermato a Regione Lombardia il massimo
apprezzamento (rating Aa1). Un giudizio più
alto rispetto a quello delle altre regioni italiane (compreso tra Aa2 e A3) e dello Stato italiano (Aa2) dando ragione alle sagge politiche
regionali adottate negli ultimi quindici anni.
L’analisi Moody’s ha esaltato la dinamicità,
la ricchezza dell’economia regionale, l’elevata qualità della
gestione finanziaria, l’equilibrio della sanità, il basso indebitamento (in continua diminuzione) e un buon profilo di liquidità.
Grazie all’esercizio della Giunta regionale, è stato possibile
ridurre i tagli imposti dal Governo al bilancio regionale, continuando così a garantire la qualità dei servizi offerti.
La manovra nazionale, pur legittima e corretta negli intenti
di risanamento della finanza pubblica, colpisce significativamente la Lombardia (minori trasferimenti statali per
1,2 miliardi di euro rispetto al 2010) perché il criterio di
virtuosità affermato nel testo della finanziaria non è stato
adeguatamente riconosciuto. I tagli dovrebbero, infatti, avere un’incidenza differenziata da regione a regione. Sarebbe
stato meglio applicare un criterio di valorizzazione e non di
ulteriore penalizzazione. L’efficienza gestionale raggiunta in
Regione Lombardia è dimostrata, ad esempio, dal fatto che
l’indicatore relativo alla spesa per il personale su mille abitanti è di 0,55 rispetto alla media nazionale che raggiunge l’1,7.
Considerato il taglio dei trasferimenti autorizzati dal Governo, la manovra di bilancio regionale si caratterizza per una
ancora più attenta razionalizzazione delle spese, messa in
atto per poter destinare maggiori risorse agli investimenti
e alla ripresa economica. Per far questo sono state ulteriormente ridimensionate le spese di rappresentanza, quelle per
incarichi di consulenza, le spese legali, di affitto, per le missioni e per i rimborsi spese ai componenti della Giunta.
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Un altro importante risultato, ottenuto grazie agli incontri
svolti durante le Conferenze Stato-Regioni, è stata la riduzione dei tagli per i fondi destinati al trasporto pubblico locale
che sono passati dagli iniziali 300 agli attuali 99 milini di euro.
È stato approvato un emendamento presentato dall’assessore Romano Colozzi (assessorato al Bilancio, finanze e
rapporti istituzionali) che istituisce, in via sperimentale, una
compartecipazione delle Province al gettito della Tassa automobilistica, la cui quota sarà definita dalla Giunta regionale.
Nel contempo sarà avviato con le stesse Province un percorso
per l’individuazione delle tasse da sopprimere.
È un provvedimento che anticipa le disposizioni legate all’attuazione del federalismo fiscale, fondamentale per la Giunta
regionale del presidente Roberto Formigoni e per le forze politiche che lo sostengono. L’auspicio e l’augurio che formulo è
che il passaggio dalla spesa storica a quella standard possa
avvenire in tempi rapidi.
Non è più possibile per il paese, oggi, cadenzare il passo sul più
lento: quindi chi può correre, e la Lombardia lo ha già dimostrato, deve poterlo fare e sollecitare tutti. Il nostro gruppo
politico continuerà a impegnarsi, come ha fatto fino a oggi,
stimolando il Governo nazionale a spingere sull’acceleratore
perché l’attuazione del federalismo non può più attendere.
Paolo Valentini
Presidente del gruppo Pdl-Il Popolo della Libertà
nel Consiglio regionale della Lombardia
In alto, a sinistra,
Paolo Valentini,
presidente
del gruppo consiliare
del Popolo della
libertà in Regione
Lombardia.
Nella pagina
precedente,
particolare
del nuovo palazzo
della Regione
Sopra, una seduta del Consiglio
regionale lombardo.
Sotto, Roberto Alboni,
vicepresidente del gruppo
consiliare Popolo della libertà
in Regione Lombardia
l’obiettivo
è offrire
eccellenza
È
innegabile che la Finanziaria ha avuto una portata
tale da imporre, come logica conseguenza, dei tagli a
cascata, partendo dal Governo centrale arrivando fino
ai Comuni. In uno scenario come questo, di fronte al quale non
possiamo e non vogliamo sottrarci a una valutazione equilibrata e onesta, l’obiettivo di Regione Lombardia è stato quello
di alleggerire i contraccolpi di questa manovra economica.
Che tradotto vuol dire usare i soldi in maniera responsabile e
con le capacità che abbiamo dimostrato di avere in questi anni. Nonostante i tagli, sono sicuro che tutti gli assessori della
Giunta regionale sapranno portare avanti e poi concretizzare
un valido programma di lavoro. È molto probabile che tutti
vorrebbero far di più, ma per farlo bisogna avere a disposi-
zione più soldi. Quest’analisi non rappresenta però il passo
d’addio ai buoni propositi e alla buona amministrazione che
stanno caratterizzando la Lombardia sotto la guida del presidente Roberto Formigoni. Durante questo mandato abbiamo
iniziato un nuovo percorso e poco alla volta ogni tassello del
nostro programma elettorale verrà messo al suo posto.
In particolare modo sarà fondamentale non trascurare le
esigenze dei cittadini, i servizi (come sanità e trasporti) che
offriamo loro, le opere pubbliche e le infrastrutture, da quelle
già esistenti, ma che necessitano di manutenzioni o potenziamenti, a quelle che verranno realizzate.
In questo contesto, se confidiamo in una ripresa generale e
non solo di Regione Lombardia, l’obiettivo dell’Expo 2015 è un
traguardo assolutamente da centrare e sono certo che verrà
colto in tutte le sue opportunità e potenzialità. Sotto questo
punto di vista il nostro garante è proprio Roberto Formigoni
che è stato capace di portare la nostra Regione a un virtuosismo riconosciuto da tutti. Tanto che, fin dall’estate dopo
aver visto le prime indicazioni sulla Finanziaria, il presidente si
è rapportato con il Governo centrale e il ministro Giulio Tremonti. E proprio guardando a Roma, di fronte a una situazione generale del paese che chiede sacrifici a tutti, pur cercando
di tutelare gli interessi della Lombardia, ci siamo adeguati alla
manovra, facendo di necessità virtù.
Del resto, in questi anni l’operato del nostro Governo ha permesso all’Italia di “tenere botta” alla crisi economica mondiale, con difficoltà certo, ma senza le scosse telluriche che hanno
colpito Grecia, Spagna e ultimamente Irlanda. Un risultato
che è stato riconosciuto anche dai sindacati e, anche se a corrente alternata, da associazioni industriali e imprenditori.
Anzi, l’ulteriore sfida per la nostra Regione potrebbe essere
proprio questa: distinguerci ancora una volta per la nostra
efficienza e le nostre eccellenze, cogliendo l’invito a ridurre
gli sprechi e ad avere più responsabilità come ente locale. Un
importante traguardo da centrare attraverso una “politica del
fare” che è da sempre quella che ci ha contraddistinto.
Roberto Alboni
Vicepresidente vicario del Popolo della Libertà
nel Consiglio regionale della Lombardia
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l’italia
che lavora
Un gusto
che si
conserva
La prima bottega a Milano nel 1872,
il marchio pensato dal signor Fausto e poi
le sfide più recenti, dalla grande distribuzione
al mercato estero. Storia della famiglia Polli,
che ha imparato a mettere al sicuro i sapori
«Q
uando mi chiedono di raccontare
la storia della mia azienda, cioè
in fondo la storia della mia
famiglia, mi piace sempre dire che si tratta di una storia romantica. Sei generazioni di Polli che hanno portato avanti l’idea
di offrire un prodotto di altissima qualità, cinque generazioni quasi tutte maschili
che sono sempre state ai vertici, fino all’ultima. Ora siamo alla sesta di cui fa parte
mia cugina che si occupa del settore commerciale del mercato estero, mia sorella,
del settore commerciale italiano e infine io,
che mi occupo del marketing». A parlare è
Manuela Polli, 28 anni, arrivata nell’azienda di famiglia dopo una breve esperienza in altre grandi aziende. Un ritorno atteso e voluto qui, nella sede di Monsummano Terme, in provincia di Pistoia, una delle
tre sedi di Polli, azienda leader nel settore
delle conserve alimentari vegetali. In questi 27 mila metri quadri ogni giorno vengono inflaconati 38 mila vasi all’ora e altri 50
mila vengono confezionati. Dentro ci sono
i prodotti tipici della tradizione culinaria
italiana, pronti a essere inviati in giro per
lo stivale o fuori. Allo stabilimento toscano si aggiungono quello di Eboli e quello di
Estormino, in Spagna. Ma la sede commerciale e legale rimane ancora oggi a Milano,
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Sopra, alcuni dei famosi e classici sott’olio
Polli, ideali per antipasti o condimenti.
A destra, le fasi della produzione
negli stabilimenti italiani
visto che è dal capoluogo lombardo che è
cominciato tutto.
Fu infatti in una bottega di via Broletto che, nel 1872, venne infissa la targa rossa con la scritta Polli, esattamente come
la immaginava e la voleva il signor Fausto, che qui cominciava a commerciare con
il proprio nome prodotti di vario genere,
dal tonno alle conserve. Negli anni Trenta in quella bottega, nel frattempo diventata sempre più celebre in città, serpeggia
la voglia di promuovere i prodotti anche
in altre città italiane. Per farlo serve però
una sede più grande e soprattutto vicina
alle coltivazioni. La scelta ricade sulla verde Toscana per i prodotti dedicati al mercato italiano. Oggi come allora i prodotti
sono realizzati in una grande molteplicità di varianti così da poter soddisfare ogni
palato, con 10 gamme intere di varianti,
dai condimenti per il riso ai sottaceti. In
totale, contando anche i prodotti appositamente pensati per il mercato estero, si arriva a 380 referenze. Fuori dai nostri confini, infatti, è particolarmente forte il settore
delle salse, frutto della passione extra italiana per la pasta. I tempi cambiano, ma i
gusti restano. «Il nostro prodotto più famo-
Sopra, una delle prime pubblicità di Polli.
Sotto, lo stabilimento dell’azienda
in Toscana, a Monsummano Terme
ti (come la linea “Antico casale”) che ricordano i sapori della nonna, quelli consumati ai pranzi della domenica con la famiglia.
so, il tonno in salsa di pomodoro con verdure miste è ancora quello di un tempo, e
lo stesso vale per i prodotti ritenuti classici,
come i funghetti o i carciofini. Ricordo che
ovviamente non mancavano mai in casa
mia: ne ero ghiotta e lo sono ancora oggi»,
racconta Manuela. «Certo anche le nostre
ricette devono variare sempre, continuare a
evolversi, anche se sarebbe tutto molto più
facile se ci occupassimo di innovazioni tecnologiche. Alla fine un funghetto rimane
sempre un funghetto, sia nel 1872 che nel
2011». Questo non significa che non serva
adeguarsi ai tempi, assecondare le tenden-
ze più recenti del mercato, prima su tutte quella del benessere e della forma fisica.
Sono nate così la linea “Senzolio”, verdure
al naturale, o le “Vaschette”, pratiche olive senza liquido pronte da mangiare ovunque o da condire a piacimento con maionese o succo di limone. Il packaging poi è
la strada da seguire nella guerra dello scaffale, ora che sempre più italiani pranzano
fuori casa e magari hanno necessità di trasportare alcuni prodotti fino all’ufficio, per
dare colore a uno spuntino o all’insalata
del pranzo. L’altra grande tendenza è quella di rievocare la tradizione, con prodot-
Le nuove opportunità
A dispetto di quanto è successo per altre
aziende, la “crisi” non ha colpito Polli, che
negli ultimi due anni ha registrato bilanci di esercizio del tutto soddisfacenti. «Un
periodo di grande difficoltà l’abbiamo passato e superato invece a metà degli anni
Novanta. Quando c’è stata la grande svolta compiuta dalle catene dei supermercati,
che da grandi corteggiatori delle marche
sono passati a essere dei concorrenti delle marche stesse, con le cosiddette private
label, quel tipo di merce cioè che è realizzata da terzi e venduta col marchio di chi
lo commissiona. Allora mio padre non si è
lasciato abbattere, per nulla, e ha sfoderato
il classico spirito della famiglia Polli, quello che tira fuori il positivo da una situazione svantaggiosa. Ad oggi, infatti, siamo il più grande fornitore in Italia di private label, per realtà come Coop e Iper ad
esempio, mentre sul mercato estero forniamo Tesco, Lidl e Reve. Un po’ come aveva
fatto mio nonno negli anni Ottanta, quando cominciavano a comparire sul territorio italiano i primi supermercati, che andavano lentamente a rimpiazzare le botteghe. In questo fenomeno lui non vide una
minaccia, ma un’occasione di sviluppo.
Così iniziò a promuovere i nostri prodotti nella grande distribuzione. Vedere certe
foto di famiglia, con file e file di scaffali tutti “rosso Polli” mi commuove ancora oggi»,
sorride la ragazza della sesta generazione.
Elisabetta Longo
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PER PIACERE
LA RICETTA
per 4 persone
Hummus
all’italiana
150 g di fagioli borlotti
di Lamon secchi, il succo di mezzo limone,
un cucchiaio di semi
di sesamo, olio, una foglia di alloro, sale, pepe, paprica dolce e uno
spicchio d’aglio (a piacere).
NEL CUORE DELLA CAPITALE CULTURA BENESSERE E RELAX
A teatro con papà e mamma
N
Lessare i fagioli per almeno un’ora in acqua
bollente salata con una
foglia di alloro. Scolarli, farli raffreddare e privarli della buccia.
Frullarli con il succo del
limone, i semi di sesamo,
un pizzico di pepe e uno
di paprica dolce, olio e
un filo d’acqua di cottura. Frullare a lungo fino
a ottenere una crema liscia e omogenea.
Farla riposare per una
mezz’ora con uno spicchio d’aglio sbucciato infilato al suo interno. Togliere l’aglio e servire.
Virginia Portioli
spilucchino.blogspot.com
i motivi per passare un piacevole week-end
a Roma con tutta la famiglia sono davvero tanti. Uno di questi è l’iniziativa “Bambini in giallo”: a partire da sabato 5 febbraio, al Teatro Stabile del Giallo di Roma (via Al Sesto Miglio, 78) si terrà uno spettacolo adatto
all’infanzia dal titolo “Sherlock Holmes e il mistero della mummia”. I piccoli
spettatori verranno coinvolti a risolvere una serie di misteri. Un modo simpatico per avvicinare i bambini al teatro. I genitori, invece, potranno rilassarsi
al Grand Hotel de La Minerve (Piazza della Minerva), il 5 stelle lusso alle spalle del Pantheon, che mette a disposizione dei suoi ospiti un kit benessere firmato Bulgari e una “beauty experience” nel centro hammam Acqua Madre,
nel cuore del ghetto ebraico oltre al suggestivo Roof Garden, la terrazza panoramica più alta di Roma, in cui si potrà prendere un aperitivo godendosi una
vista davvero speciale. E per la cena appuntamento al ristorante Chinappi (via
Valenziani, 19), un cult per il pesce e gli amanti della buona tavola.
onostante il grigio inverno
Per informazioni
stabiledelgiallo.com; grandhoteldelaminerve.com; chinappi.it
HUMUS IN FABULA
l’italia a due velocità
Premio eco-mobilità
alle città del nord
Venezia scalza Bologna (che
scende di cinque posizioni) dal
primo posto grazie a «un trasporto pubblico che funziona,
a innovazioni come car sharing
e bike sharing, a una riduzione dell’indice di motorizzazione
e a un aumento delle automobili a gas». Ad assegnare alla Serenissima la palma d’oro di città eco-mobile – quella cioè con
un sistema di mobilità urbana
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più sostenibile a livello nazionale – è stato il rapporto Mobilità sostenibile in Italia: indagine
sulle principali 50 città elaborato da Euromobility con il contributo di Assogasliquidi e Consorzio Ecogas e con il patrocinio del
ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Un’altra fotografia di un’Italia a due velocità che vede un
Nord decisamente più innovativo sul piano della mobilità sostenibile, dal noleggio auto e bici
al taxi condiviso, auto ecologiche e a trazione alternativa (Gpl
e metano), e un Sud più ingessato. Medaglia d’argento a Parma,
bronzo a Torino, balzata sul podio dalla tredicesima posizione.
Quattro le città emiliane che si
posizionano tra i primi dieci posti della classifica e quinto posto
per Milano, che supera Roma.
La capitale arretra infatti dal diciottesimo al ventesimo posto. A
Bari il titolo di città meno inquinata del Sud, con un quattordicesimo posto, mentre le peggiori
performance sono state registrate a Siracusa e Sassari, le
città più insostenibili d’Italia.
Riso a san valentino
Una ricetta imperiale
L’innovazione del packaging che
si sposa con un caposaldo dell’alimentazione completa ed ecologica, il San Valentino di Riso Gallo si festeggia così: in casa, con
Venere, il riso nero celebre nella
tradizione cinese per le sue proprietà afrodisiache, e la ricetta
dell’Imperatore. Una preparazione a base di ostriche, nata da un
aneddoto popolare, con cui Riso
Gallo vuole conquistare gli amanti della creatività in cucina grazie anche a una nuova confezione,
in vendita in esclusiva e in edizione limitata, presso i punti vendita
Esselunga e su risogallo.it
STILI DI VITA
IL MONDO A TESTA IN GIù
1
Il Giò vede tutto
come Chesterton
IL PRODOTTO
Fagiolo di Lamon Igp
Coltivato nella vallata Bellunese fin dal 1600, trova qui clima
e terreni ideali: le elevate escursioni termiche tra notte e giorno, la ventilazione e la ricchezza
di potassio nel suolo favoriscono
la formazione di buccia sottile e
polpa tenera. Prende il nome dal
comune di Lamon, zona di origine e produzione dei semi. Quattro le varietà ammesse dal Disciplinare di Produzione: Spagnolo,
Calonega, Canalino e Spagnolit,
quest’ultima la più ricercata per
gusto e delicatezza. In passato considerato prodotto povero,
è stato oggi riscoperto e valorizzato per le sue proprietà nutrizionali: ha effetti diuretici, emollienti e depurativi ed è ricco di
proteine, amido e sali minerali.
Consigliata la cottura da fresco
per aumentarne la digeribilità.
Lorenzo Ranieri
di Annalena Valenti
S
IL VINO
Lo chiamano “ il vino di una notte” perché nasce da uve nere
che hanno subìto una vinificazione con parziale contatto con le
bucce (il tempo di una notte). I
vitigni possono essere Groppello marezzino Barbera e Sangiovese. Parliamo del vino Chiaretto Molmenti 2009 azienda
agricola Costaripa di colore rosa. Invitante con
profumi di fiori bianchi,
piccoli frutti e leggera
vaniglia. Sapore avvolgente, sapido e persistente. Abbinamento
consigliato con zuppe di fagioli di Lamon,
con antipasti e con pesce di lago.
Carlo Cattaneo
IN BOCCA ALL’ESPERTO
S. FRUTTUOSO DI CAMOGLI
La tradizione ligure
è sbarcata a Milano
Cosa può fare un brianzolo con
padre pugliese, mamma ligure e la grande passione per la
cucina? Aprire un bel ristorante ligure a Milano. Flavio Lavanga, classe 1974, laurea in Bocconi, all’epoca dei suoi vent’anni
andò a svolgere il servizio civile a Genova, facendo riemergere una parte importante del
suo Dna. Oggi a Milano manda
avanti la sua piccola bombonie-
Rubrica in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole
Chiaretto del Garda
Costaripa Molmenti
i siede sul divano,
poi, con mossa
repentina, vedi
MAMMA
la sua testa prendere
OCA
il posto dei piedi: «Che
bello il mondo capovolto! È tutto bianco (frutto di recente
imbiancatura, penso), e in mezzo c’è un
fiore e tu hai due bocche e un occhio solo!». Chi, se non un bambino, potrebbe
vedere tutto secondo una prospettiva
altra, la realtà cambiata, il mondo capovolto, la terra vista dal cielo! Un bambino, oppure… E il pensiero va subito a
lui, e fa un po’ ridere pensarlo a testa in
giù, il nostro grande Chesterton, anche
se ha messo sottosopra i suoi personaggi e la realtà tutta, come le fontane di
Roma: «una fontana è come un paradosso: una specie di prodigioso capovolgimento destinato a mostrare che l’acqua
può cadere dall’alto e scorrere a monte» (Le preghiere dell’uomo vivo, Fede e
cultura). Ha capovolto il nostro guardare a persone, che parevano conosciute.
San Pietro, che venne crocifisso a testa
in giù: «Vide anche il paesaggio qual è
veramente con le stelle simili a fiori e le
nubi come colline e tutti gli uomini sospesi alla mercè di Dio». O San Francesco che «guardò il mondo così diversamente dagli altri uomini come se fosse
uscito da quell’oscura tana camminando a testa in giù» (San Francesco d’Assisi, Lindau). Ci scommetto, se fosse stato
lì, sul divano con il Giò, l’avrei trovato a
guardare il soffitto con i fiori.
mammaoca.wordpress.com
ra di 24 coperti col babbo Vito, cuoco di professione per una
vita. La carta è di stretta ortodossia ligure, e contempla soltanto piatti di pesce, o al massimo vegetariani. Si parte con
un appetizer di tipicissima farinata di ceci, per poi proseguire
con antipasti come la goduriosa
focaccia al formaggio di Recco
(da bis), o le acciughe ripiene e
fritte, per non dire delle frittelle di tonno fresco o del tortino
di alici. Di primo, trofie al pesto;
pansotti al sugo di noci; ravioloni ripieni di patate e olive taggiasche; commoventi testaroli
lunigianesi col ragù di tonno fresco. I piatti forti sono una celebrazione del pesce ligure: c’è il
polpo all’antica, ossia bollito con
le patate; l’orata alle mandorle; i
moscardini in guazzetto; le seppie “co-e articioche” (coi carciofi), fresche e leggere. Chiusa
dolcissima con le frittelle di mele alla genovese o il semifreddo bicolore ai frutti di bosco. La
cantina, non enciclopedica, contiene in ogni caso il meglio per
perfette bevute. Conto sui 50
euro per 4 portate.
Tommaso Farina
Per informazioni
ristorantepesce.com
Viale Corsica, 3 – Milano
Tel. 0276110558
Chiuso sabato a pranzo
e domenica
|
| 26 gennaio 2011 |
51
GREEN ESTATE
STRANE INTERPRETAZIONI
Le castronerie che circolano
i regola le statistiche fornite dagli assicuratori e dai riassicu-
ratori sono affidabili, fondate come sono su dati controllati dall’Amministrazione Pubblica, che li utilizza per stabiPRESA
lire i premi; e la precisione teutonica è proverbiale: tanto più mi
D’ARIA
ha stupito, quindi, la comunicazione di una delle più importanti
società di riassicurazione tedesche, che a chiusura d’anno ha stilato un consuntivo degli eventi catastrofici del 2010 e dei danni che
ne sono conseguiti. Nulla da eccepire sulla quantificazione: 915
eventi naturali, con oltre 300 mila morti e danni per 130 miliardi di dollari. Appare però assai singolare l’attribuzione della “responsabilità” di tali eventi, che viene ascritta all’impatto del cambiamento climatico. Considerato che ben oltre il 70 per cento delle
perdite umane e dei danni è stato causato dal terremoto di Haiti,
che fino a prova contraria non è stato causato dal riscaldamento globale, e più del 15
per cento dagli incendi boschivi in Russia, per i quali vale la stressa considerazione,
mi chiedo se gli assicuratori tedeschi non potessero risparmiarsi le ridicole considerazioni che hanno esposto.
C’è una giustificazione a queste imbecillità, perché sono inserite in una gara mondiale a chi attribuisce effetti peggiori alle variazioni di temperatura, dando per scontato che esse sono causate dall’irresponsabile attività dell’uomo. La voglia di convalidare tale stolido e ingiustificato assioma è propria di quel gruppo di impotenti che
hanno in odio la positività delle realizzazioni dell’uomo e la diffusioApprendiamo dalla Rai che nel
ne dei suoi effetti positivi, e che soPacifico si è formata un’isola
no disposti a qualunque impostura
di rifiuti grande il doppio del Texas
per mandare tutto a monte.
e spessa 30 metri. Invece, il satellite
Altre grandi castronerie circomostra che la dimensione è ridicola
lano in questi giorni con particolare virulenza: per esempio, un cened è spessa non più di 40 centimetri
tro di ricerche canadese sul clima,
dal nome troppo lungo e dalla natura troppo insignificante per menzionarlo, assicura che il riscaldamento globale durerà fino al 3000, anche se si cesserà di produrre gas serra entro il 2100. Chissà se sapranno se la settimana prossima pioverà o sarà
bel tempo? E ancora: apprendiamo da un’intervista della Rai (perché intervistano solo imbecilli?) che nel Pacifico settentrionale si è formata un’isola di rifiuti di plastica grande il doppio del Texas, spessa 30 metri. Bene, le rilevazioni satellitari la danno di una dimensione pari allo 0,1 per cento dello Stato della stella solitaria, e spessa
non più di 40/50 centimetri. Usando bugie e falsità di ogni sorta, i ladroni “ambientalisti” tirano a gestire quel potere che i sani di mente non gli delegheranno mai.
[email protected]
AMICI MIEI
LIBRI
Per conoscere meglio
la cultura yiddish
Il 27 gennaio si tarrà l’undicesima edizione della “Giornata della memoria”. Ricorrenza istituita
con la legge n. 211 del 20 luglio
2000 dal Parlamento italiano e
voluta per commemorare le vittime dell’Olocausto. La casa editrice Lindau propone per l’occasione
il nuovo libro di Paul Kriwaczek Yiddish. Ascesa e caduta di
una nazione (528 pagine, 34 euro). L’autore, austriaco di origine
52
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La versione di Barney,
di Richard J. Lewis
Grandi attori ma
storia complicata
di Paolo Togni
D
CINEMA
|
ebrea, è scrittore, regista e produttore televisivo di successo. Il
testo analizza il fitto intreccio fra
la cultura ebraica e la storia europea, analizzandolo in profondità,
ed esaminando le vicende interne del mondo yiddish: dall’organizzazione delle comunità nell’Europa centro-orientale, alle grandi
e piccole figure dell’ebraismo nel
Medioevo e nel Rinascimento, dal
difficile ma proficuo rapporto con
la modernità, allo spettro dell’assimilazione legata a una progressiva laicizzazione della società, e
infine la diaspora in Inghilterra e
negli Stati Uniti all’inizio del XX
secolo. Moni Ovadia che ha curato la prefazione, definisce il testo «una pietra miliare negli studi
sulla yiddishkeit, ovvero su quella umanità straordinaria che si
espresse nella lingua yiddish e
sulla spiritualità, e sulla cultura e i
modi di vita che la animarono».
NOVITà
I ristoranti su iPad
Impazza la moda per l’iPad e proprio all’insegna di questa tendenza tra le applicazioni di iTunes la
casa editrice Comunica ha reso
disponibili due strumenti utilissimi per i viaggiatori che hanno la
passione per l’enogastronomia. Si
tratta di due guide per iPad: I Ristoranti del Golosario (7,99 euro) e Golosario Negozi (gratuita)
che aiutano a scoprire ristoran-
La vita appassionata e tormentata del protagonista
Barney Panovsky.
In un brutto film si passa
il tempo a guardare il trucco degli attori o la scollatu-
ra delle ragazze, diceva un
grande regista. Ne La versione di Barney sono eccezionali tutti e due: il trucco
di Giamatti ma in generale è lui a essere eccezionale, uno dei migliori attori
americani in circolazione. E la scollatura di Rosamund Pike. Ma il film non
è un granché e il racconto sembra un bigino del romanzo di partenza. Che è
HOME VIDEO
Percy Jackson e gli dei
dell’olimpo,
di Chris Columbus
Percy meglio di Potter
Un ragazzo in mezzo alla contesa
tra Ade, Zeus e Poseidone.
Se c’è un tipo di film che manca
negli ultimi anni è quello d’avventura e riscatto per giovanissimi:
cose tipo I Goonies e Voglia di
vincere. Percy entra in quest’ottica, nonostante i debiti con Harry
Potter (rispetto al quale appare
ben più simpatico e umile) e i supereroi. Avventura, effetti speciali (non sempre all’altezza), un
certo ottimismo per il futuro e
l’idea che i difetti possano essere
un punto di forza.
ti, trattorie, aziende agrituristiche, ma anche negozi e cantine
dove poter acquistare prodotti di qualità. L’idea nata da Paolo Massobrio, sta riscuotendo un
successo inaspettato: già oltre 4
mila persone hanno scaricato le
due applicazioni e la rivista iPhone Magazine di questo mese ha
assegnato a questa applicazione innovativa un ottimo giudizio.
«Sono più di 2 mila recensioni di
ristoranti e viaggiando – dice Paolo Massobrio – appaiono su una
cartina i 30 locali più vicini, con
la possibilità di aprire la recensione del locale selezionato». E le novità non finiscono qui perché presto l’applicazione sarà disponibile
anche per gli iPhone.
PERLAPRIMAVOLTAAFORLì
Melozzo, il precursore
dei maestri rinascimentali
nista, interpretato da Dustin Hoffman, è poco più di
una macchietta. Solo nella
storia d’amore con Miriam
e nei rimpianti che ne scaturiscono si scorge qualcosa di veramente grande.
vistidaSimoneFortunato
Sopra,ilregista
RichardJ.Lewis
T
orna nella sua città natale insieme a tut-
te le sue opere “mobili” Melozzo degli
Ambrosi (1438-1494), il maestro forliveARTE
se senza il quale, a detta del direttore dei MuEDINTORNI
sei Vaticani Antonio Paulucci, «il Cinquecento
di Raffaello e Michelangelo non sarebbe mai
esistito». Dal titolo “Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero
della Francesca e Raffaello”, la mostra, che sarà inaugurata presso
i Musei San Domenico di Forlì il prossimo 29 gennaio, ci trasporta nell’universo pittorico di Melozzo, pictor papalis negli anni dei
pontificati di Pio II e Sisto IV e straordinario precursore dello stile rinascimentale per eccellenza. Sulla base della conoscenza della
lezione di Mantegna e Piero della Francesca riguardante la definizione matematica dello spazio pittorico, il pittore quattrocentesco intraprese una personale ricerca sulla bellezza della figura
umana anticipando, in questo modo, i vertici espressivi raggiunti
dai suoi successori Raffaello, Botticelli e Perugino.
Fulcro centrale dell’intera esposizione, insieme alle più note
teste di Angeli musicanti, è il grande affresco staccato (che lascia
per la prima volta i Musei Vaticani) intitolato Sisto IV nomina Bartolomeo Platina Prefetto della Biblioteca che il pittore esegue nel
1477. Accanto a queste belle opere saranno esposti i lavori dei pittori che in un modo o nell’altro hanno da questo grande maestro appreso il giusto
spunto per le loro opere. La
mostra che mette dunque
insieme i padri della stagione artistica più felice e fiorita del nostro paese, rimarrà
aperta fino al 12 giugno 2011.
MariapiaBruno
Foto: Studio Esseci
complesso, ha una miriade
di personaggi e tanti punti di vista che si intrecciano. Nel film che ne ricava
Lewis tutto è semplificato: le prime due mogli sono
ridotte ai minimi termini,
la trasferta a Parigi viene
spostata incredibilmente a
Roma; il personaggio di Boogie non ha un minimo di
drammaticità e anche
il papà del protago-
Per informazioni
mostramelozzo.it/
Dal 29 gennaio al 12 giugno 2011.
Forlì, Musei di San Domenico.
Da martedì a venerdì: 9,30 – 19.
Sabato, domenica, giorni festivi:
9,30 – 20. Lunedì chiuso.
Prezzo del biglietto 10 euro.
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
ASSISTENzAENONSOLO
Un sostegno concreto
ai senza lavoro
Congedomatrimoniale
Gentile redazione di Sportello
Inps, sono una lavoratrice dipendente in una società di gestione aeroportuale e fra poco mi
sposerò per la seconda volta. Mi
spiegate con precisione in che cosa consiste il congedo matrimoniale? Posso richiederlo ancora?
Quando devo chiederlo? Quanto
dura e quando mi spetta? Grazie.
Franca S.
inviailtuoquesitoa
[email protected]
Tutti i lavoratori dipendenti
hanno diritto a fruire di un congedo retribuito se contraggono
un matrimonio che ha validità
civile. Il congedo non può essere considerato nel periodo di ferie annuali ed è quindi aggiuntivo. Generalmente sono previsti
15 giorni di calendario complessivi e se ne ha diritto anche
nel caso di secondo matrimonio. Per essere più precisi, sono
i contratti di lavoro che disciplinano la concessione dei congedi di matrimonio ed è l’ufficio
del personale del proprio datore di lavoro il referente giusto. Può essere richiesto presentando il certificato di avvenuta
pubblicazione che viene rilascia-
to dal Comune di residenza. Solitamente la data del matrimonio deve essere compresa nei 15
giorni di congedo.
Indennitàdidisoccupazione
Sono stata licenziata dall’azienda
presso cui lavoravo da quindici
anni. Ora sono senza lavoro e abbastanza depressa. Cosa posso
fare? L’Inps concede qualche periodo di indennità mentre aspetto di trovare un altro lavoro?
Silvana S.
Gentile signora Silvana, in caso di licenziamento l’indennità di
disoccupazione spetta in presenza dei seguenti requisiti, da possedersi alla data di cessazione
del rapporto di lavoro: due anni
di anzianità assicurativa e almeno 12 mesi di contribuzione (52
contributi settimanali contro la
disoccupazione) nel biennio precedente il licenziamento. Occorre inoltre attestare, al competente Centro per l’impiego, il
proprio status di disoccupato.
Può fare quindi domanda di disoccupazione, rispettando il termine di scadenza della stessa 68° giorno successivo alla data
del licenziamento – compilando
il modulo on line che può trovare sul sito dell’Inps (www.inps.
it) e sottoscrivendo contestualmente la dichiarazione di immediata disponibilità all’accettazione di un nuovo lavoro (Did).
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| 26 gennaio 2011 |
53
Tempi.
Rinfresca la tua mente
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Abbonarsi
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DI NESTORE MOROSINI
MOBILITÀ 2000
LIFTING ALL’INOSSIDABILE SUV LAND ROVER
Il Defender si aggiorna
e diventa meno “spartano”
D
della suv
compatta Evoque, lussuosa e modaiola, sia con tre porte sia con cinque, ecco che Land Rover torna alle sue
origini storiche nel fuoristrada. Origini
che l’hanno resa celebre in tutto il mondo, ma soprattutto sulle montagne asiatiche e nei deserti dove si guadagnò il titolo
di regina d’Africa per la sua disponibilità
a viaggiare con ogni condizione di terreno e di tempo.
Land Rover ritorna al duro e puro dedicandosi all’inossidabile modello Defender, quello che in Italia è stato reso celebre
dall’Arma dei Carabinieri, con una serie
speciale denominata X-Tech Limited Edition esposta al recente salone di Detroit.
L’usura del tempo, così come quella degli agenti atmosferici e dei terreni, per la
X-Tech Limited Edition chiaramente non
esiste: ma il look si aggiorna, con una carrozzeria che mantiene le forme del classico e incassa colorazioni “urban” come il
grigio “Striking Zermatt” abbinato al nero del tetto, dei passasruota e dei cerchi in
lega da 16 pollici. Una novità storica, questa, per un mezzo nato per essere funzionale e diventato col passare degli anni sinonimo di “spartano”.
Abituati come siamo alle elaborazioni
anche estreme dedicate alla Range Rover,
come la RS 500 Cosworth da 500 Cv di potenza, riesce piacevole pensare che anche
opo il lancio in grande stile
tion mantiene le stesse due varianti di carrozzeria a cinque o
tre porte, quest’ultima perfino in una edizione autocarro con i
vetri laterali posteriori sostituiti da pannelli di lamiera.
Equipaggiata con il conosciuto “roccioso” turbodiesel common-rail di 2.4 litri da
122 cavalli di potenza e 360 Nm di coppia,
la Land Rover Defender X-Tech sarà disponibile anche in Italia da marzo a un prezzo orientativo di 30.000 euro.
In alto i modelli Defender X-Tech.
Qui sopra, in senso orario:
la fiancata del 5 porte, i gruppi
ottici posteriori e la ruota
di scorta attaccata al portellone.
A sinistra, particolare dell’interno
gli interni della Defender X-Tech Limited
Edition abbiano ricevuto un certo lifting,
con rivestimenti in color ebano o in grigio
chiaro, finiture in pelle per i sedili e perfino in elementi della plancia.
Cambia qualcosa, lo spirito diventa
più aggressivo, ma la X-Tech Limited Edi-
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| 26 gennaio 2011 |
55
molto più di un settimanale
È online il nuovo tempi.it
sU ITaCaLIbrI.IT
Un sito tutto da cliccare
di leone Grotti
d
17 gennaio è online il nuovo sito internet di tempi. Grafica più accattivante e organizzazione dei contenuti più agile per diventare un punto di riferimento della “libera circolazione
di idee” anche nella rete. Ma attenzione, perché tempi.it non si rifà solo il trucco: si arricchisce
di contenuti esclusivi rispetto al settimanale, per approfondire in tempo reale i fatti più importanti
di ogni giorno secondo lo stile e la vocazione della rivista. Non perdetevi le fotogallery, le interviste
audio e video, gli approfondimenti delle rubriche più seguite e una rilettura attenta e approfondita
delle cronache più curiose e importanti. Tutti da scoprire anche i blog dedicati a famiglia, cucina, arte, esteri e vita della Chiesa.
Si comincia al mattino con la rassegna stampa, in cui i giornalisti delle migliori testate italiane
commentano le notizie uscite sui quotidiani. Dai fatti principali di politica, esteri, economia, cultura, sport e attualità fino al tema del giorno, a cui è dedicato uno spazio di approfondimento. Il collegamento con l’edizione cartacea non si interrompe: ogni settimana sarà disponibile sul sito il numero di Tempi in edicola, in formato digitale sfogliabile. Le quattro uscite più recenti saranno riservate
agli abbonati, mentre l’archivio del 2011 e del 2010 sarà consultabile gratuitamente.
Una rilevanza particolare è riservata a uno degli spazi più amati dai lettori di Tempi: il Taz&Bao.
D’ora in poi sarà possibile scaricarlo in pdf e collezionarlo comodamente. Sempre sul sito si troveranno tutti gli speciali tematici di Più Mese e poi i libri, i cd e le iniziative editoriali. Non riuscite a
tenere tutto a mente? Registratevi al sito e iscrivetevi alla newsletter: penseremo noi a tenervi informati ogni settimana. Lo squaletto di Tempi sarà
la vostra bussola intelligente e arguta nel mare il meGlio della settimana
Giovanni Gobber, direttore del Centro di Linguistica della Catmagnum della rete.
a lunedì
il libro
L’In-Presa
di Emilia
Emanuele Boffi racconta
il centro In-Presa fondato
da Emilia Vergani a Carate Brianza. Qui attraverso
il lavoro si indica ai giovani una strada per scoprire
che la vita ha senso (Lindau, 160 pagine, 16 euro).
tolica di Milano, commenta l’“avversione” del Papa all’educazione sessuale riportata da tutti i giornali: «Benedetto
XVI sessuofobico? Ormai è l’unica agenzia rimasta a favore
dell’educazione sessuale». Con Mamma Oca, invece, entriamo
nel Museo del Novecento di Milano per scoprire che il nuovo
spazio espositivo a due passi dal Duomo supera brillantemente la “prova bambino”. Tutto su tempi.it.
il libro e il cd
Tutto il ritmo
made in Usa
La musica americana
cantata dagli OutofSize e
spiegata da Walter Gatti,
Walter Muto e Riro Maniscalco (libro Tap your
feet e cd, 15 euro).
IL ConCorso
vEnITECI a CErCarE
tempi e l’osservatore/1
Dove trovare
la strana coppia
Tempi ha iniziato il 2011 con un
regalo particolare ai suoi lettori.
Dal primo numero di gennaio, infatti, il nostro giornale ospita al
suo interno la versione settimanale dell’Osservatore Romano,
che raccoglie tutti i discorsi pro-
nunciati dal santo Padre Benedetto XVI. L’abbinata non ha alcun costo per i lettori: né per gli
abbonati né per chi compra il nostro settimanale in edicola. Tempi esce in tutta Italia il venerdì,
con alcune eccezioni: il giovedì lo
trovate a Milano città e Roma
città; il sabato in Puglia, Sicilia
e Sardegna. Il prezzo di copertina è di 2 euro; tranne a Napoli città, nelle Marche, in Puglia, in
Sicilia e Sardegna, dove è in vigore l’abbinata obbligatoria gratuita con il Giornale.
tempi e l’osservatore/2
Chi si abbona legge
più comodamente
Abbonarsi a Tempi e al settimanale dell’Osservatore Romano è
conveniente: 60 euro per un anno (49 numeri) e 100 euro per
due anni (98 numeri). Per informazioni e modalità di pagamento chiamare allo 02.31923730
da lunedì a venerdì (escluso il
mercoledì) dalle 9 alle 13; oppure visitare l’apposita sezione sul
sito tempi.it.
al volante
L’abbonato vince
Il direttore Amicone consegna la Citroën C3 Picasso a Massimo Caprotti di Muggiò, vincitore del
concorso indetto in occasione del Meeting 2010.
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a lunedì
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di Emilia
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tempi e l’osservatore/1
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Walter Muto e Riro Maniscalco (libro Tap your
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tempi e l’osservatore/2
Chi si abbona legge
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conveniente: 60 euro per un anno (49 numeri) e 100 euro per
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La missione
di padre Aldo
Il dvd Asilo de Dios (7 euro) racconta la missione
di padre Aldo Trento in
Paraguay. Tutti i libri, cd e
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LA ROSA DEI TEMPI
DOVE TIRA IL VENTO
Il cellulare che parla in tutte le lingue
Si chiama “conversation mode” ed è la nuova applicazione di
Google per il sistema operativo Android che permette di dialogare al telefono in tutte le lingue del mondo. Basta installarla sul telefonino e poi scrivere un sms o pronunciare una frase
perché questa sia “catturata”, tradotta e inviata al nostro interlocutore. Non solo in modalità scritta, ma anche orale. Per
ora, l’innovativa invenzione funziona solo per
fraSI Esempi di frasi utili. “Fare i froci col cuinglese, spagnolo e telo degli altri”, Do the other fag ass (inglese). “Abdesco, ma si spera di pobiamo una banca?”, Habemus adibis? (latino).
terla estendere ad altri
“Stamo a fa’ i furbetti del quartierino”, Prin50 tipi differenti di idioter a twò entelijan katye a (creolo haimi. «Presto – ha dettiano). “Ti darei un bacio in fronte”,
to Hugo Barra, Product
Unë do t’ju japë një puthje në balmanagement director di
lë (albanese). “Ho chiesto a SilGoogle – diventerà il più
vio cinque milioni”, Es jautaju
grande traduttore simulSilvio piecus miljonus (lettotaneo di tutti i tempi».
ne). “Bunga bunga”, Bunga bunga (in tutte le lingue del mondo).
AD
R
T
IO
UZ
NI
Una filiale Ikea vicino a Londra ha fornito alle proprie dipendenti islamiche una
versione aziendale dell’hijab – il tipico velo semi-integrale, per alcuni simbolo di
sottomissione. Le dipendenti Ikea potranno portare un velo blue navy (è il colore aziendale), con finiture giallo oro e la scritta “Ikea” sul retro. Il negozio sorge
in una zona ad alta intensità musulmana e lo sceicco Ibrahim Mogra, a capo del
Consiglio dei musulmani della Gran Bretagna, ha lodato Ikea «per essere venuta
incontro alle necessità culturali e reliburkea Galvanizzati dalla buona riuscita
giose delle proprie
della loro pensata iper-politicamente corretimpiegate».
ta, quelli di Ikea hanno lanciato sul mercato: Bill’Allah, la moschea portatile, componibile e montabile con una semplice chiave a
brugola; Skarglund, il tappetino con bussola
per non perdere mai la Mecca; Asfgaungson,
il pratico lavello per abluzioni provvisto di
acqua montabile; Muzzonsgstaff, il muezzin
pieghevole e satellitare che non sbaglia mai
l’orario di preghiera; Barbistan, la barba nera lavabile; Burkea, il burka griffato Ikea ottimo anche come paralume.
IN D U M EN TI
L’hijab islamicamente corretto dell’Ikea
Se c’è il cane, il gatto scende
Il Giornale ha sollevato il caso del discriminatorio regolamento dell’Atm (Azienza trasporti milanese) secondo cui sui mezzi pubblici, se sono presenti un gatto e
un cane, è il padrone del felino che deve abbandonare la
vettura, nel caso in cui i due animali litighino. «Il cane,
invece, – scrive il Giornale – rimane a bordo, anche se
è un botolo ringhioso e insolente. Questa è discriminazione bella e buona, anzi razzismo animale». Il
regoLamento Orbene, onde evitare che sui
celebre giornalista Alestorpedoni milanesi si verifichino zuffe e bisticci,
sandro Cecchi Paone, ind’ora in poi, il primo rimane e il secondo smamtervistato sulla scotma, in caso di simultanea presenza di: un milatante vicenda, sostiene
nista e un interista, un immigrato e un leghista,
che «bisognerebbe esseun palazzinaro e un verde, i due leocorni e l’arare equi: o si cacciano enba fenice, il cattolico integralista e quello protrambi o nessuno. Non
diano, il berlusconiano e il comunista, il vecchio e
c’è motivo di prenderseil bambino, l’embrione e la staminale adulta, mia
la solo con i gatti».
nonna e tua sorella, io e te. In ogni caso, basterebbe che scendesse il controllore per farci tutti
felici e contenti di viaggiare assieme.
TR
AS
P
58
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OR
TI
Dimmi cosa guardi
e ti dirò cosa voti
STU
D
Sulla rivista Attention, Perception
and Psychophysics è apparso uno
studio di alcuni psicologi dell’università del Nebraska che sostengono che le idee politiche hanno a che
fare col nostro modo di guardare.
Secondo gli esperti, se chi vi sta di
fronte guarda quello che osservano i vostri occhi è di sinistra; se, invece, continua a fissarvi, è di destra: «I conservatori danno
maggior peso all’autonomia personale; i liberal, invece, tengono
in maggior conto le indicazioni altrui».
IP
AZ
ZI
italiani Guida per decifrare l’orientamento politico degli italiani. Se parlate
con una persona che dice di
guardare a destra, ma in realtà fa l’occhiolino a sinistra
non significa che è strabica,
ma che vota Fini. Se guarda
su, giù, a destra e a sinistra
non significa che è epilettica,
ma che vota Casini. Se tiene
gli occhi chiusi, non è perché
ha il sole negli occhi, ma perché vota Pd. Se mentre parla con voi, guarda il sedere
della vostra fidanzata, vota
Berlusconi. Se guarda quello
del vostro fidanzato, è sicuro
che vota Vendola.
/1
Guardare la tv uccide, forse. Ma anche no
STUDI PAZZI/2
Il sito di Repubblica ha presentato una ricerca secondo cui «stare per 4 ore
davanti alla tv provoca un generico incremento delle malattie mortali pari
al 48 per cento e fa salire del 125 per cento il rischio di morire per malattie
cardiache». Il resto dell’articolo smonta la ricerca, dicendo che è inattendibile, farlocca e che è stata diffusa solo per fare notizia. Però Repubblica, anziché concludere che bisogna
coMunque Secondo una ricerca, chi
stare attenti alle fonti delle
dorme si ammala di scabbia. Secondo
notizie, conclude che, comunnoi è una sciocchezza, comunque cercate
que, la vita sedentaria fa male
di rimanere svegli. Secondo uno studio,
e che bisogna fare moto.
chi respira rischia di soffocare. Secondo
noi è una bufala, comunque limitate i vostri respiri. Secondo un’indagine, lavarsi fa diventare sordi. A noi pare una scemenza, comunque evitate di sciacquarvi
le orecchie la mattina. Secondo un esperimento chi scrive su Repubblica venderebbe sua madre per un titolo. Secondo
noi non è vero. Comunque se vostro figlio
ci lavora, iniziate a preoccuparvi.
Gli uomini inquinano
più delle donne
D
STU
AZ
P
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imperdibile
godibile
inutile
fetido
/3
I
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Esperti dell’Agenzia per la Difesa
svedese hanno condotto un esperimento che ha certificato che gli uomini inquinano più delle donne. Per
gli studiosi, i maschi inzaccherano il
pianeta più delle femmine, soprattutto se si prende in considerazione
il consumo energetico per i trasporti.
Al contrario, le donne inquinano più
degli uomini in altri
campi, consumando
sMoG Ergo l’inquinamento aumenta anche perché: una
più energia in seziovolta non ci si alzava da tavola finché non si aveva finini come igiene, salute,
to, qui una volta c’era il mare, i culturisti sono tutti drobeni per la casa e il cigati, il varietà è morto, quando c’era Carosello era meglio,
bo. Due luoghi comuni
Ciampi è stato il presidente migliore, il parquet è bello ma
(uomini-motori, donè delicato, il maschio moderno è in crisi però non lo vuole
ne-spese) che fanno
ammettere, la Smart la parcheggi ovunque, se non ti ama
male al pianeta.
non ti merita, mangia-tutto-pensa-ai-bimbi-dell’Africa, la
laurea è un pezzo di carta, per camminare sui marciapiedi
bisogna fare lo slalom tra le cacche dei cani.
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UN ALTRO MONDO
È POSSIBILE
IN VIAGGIO CON MARCOS E CLEUZA
Una Presenza
che cambia
anche le vacanze
di Aldo Trento
N
on avevo voglia di passare qualche gior-
no al mare, anche se il Signore mi offriva
la possibilità di stare in uno dei posti più
belli del mondo: Angra dos Reis, nello stato di
Rio de Janeiro. Nato e cresciuto sulle Dolomiti,
il mare, con la sua bellezza e fascino misterioso,
come l’infinito orizzonte che lo caratterizza, non
è mai riuscito neppure lontanamente a intaccare la passione per la montagna che, anche se oggi ne sono lontano, rimarrà nel mio patrimonio
genetico. La nostalgia per le montagne continua
ad accompagnarmi, perché, grazie ai miei genitori, sono stato educato a riconoscere la grande
presenza del Mistero. Quando ero piccolo, ogni
mattina al mio risveglio le montagne mi permettevano di riconoscere ciò che ora è la mia unica
ragione di vita: «Io sono Tu che mi fai». Con le
loro pareti massicce, rosate, scoscese, mi hanno
educato ad alzare ogni mattina lo sguardo verso
il cielo, quel cielo bellissimo di giorno e ancora
più bello e pieno di stelle la notte. Mi annunciavano il valore del sacrificio, perché niente come
le montagne è una metafora della vita.
Ricordo ancora con commozione quando i miei
genitori mi insegnavano a camminare per i sentieri. Ricordo la tentazione di fermarsi perché la
strada, la salita, erano difficili e il sudore bagnava la mia faccia, e mio padre mi diceva con voce
virile: «Bocia (ragazzo), alzati e cammina perché
nella vita non ci si può fermare». E con lo zaino
in spalla andavo avanti sino alla meta.
Ora tutto è diverso. Da 22 anni vivo ai tropici, fra la foresta subtropicale e la vasta savana
del chaco, detto anche “inferno verde”. “Inferno”
perché in estate la temperatura raggiunge, come percezione termica, oltre 50°C. “Verde” perché, le rare volte che piove, il “deserto” assume il
colore di un prato in primavera.
Ma torniamo ad Angra dos Reis, dove mi sono recato, all’inizio di malavoglia, per passare
qualche giorno con i miei grandi amici Marcos
e Cleuza, Bracco e Julián de la Morena. Avevo
bisogno di incontrarmi con loro, come dell’aria
condizionata per dormire nel torrido inferno
del Paraguay. Questo era l’unico motivo del mio
viaggio a San Paolo. Dicembre era stato un mese abbastanza duro e bello, ma a un certo punto
ho avuto bisogno di vedere quei volti che come
nessun altro mi riportano al Mistero, risvegliano
in me la coscienza di ciò che sono: «Io sono Tu
che mi fai». Circondato quotidianamente da tan-
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POST
APOCALYPTO
Padre Aldo
Trento ha
trascorso alcuni
giorni di vacanza
ad Angra dos
Reis (nella foto)
insieme a un
gruppo di amici
to dolore e accompagnato dall’amicizia di padre
Paolino, padre Daf, padre Oscar, Sergio Franco
e dagli amici che portano avanti il lavoro, la coscienza del Mistero è sempre viva, presente. Ma
è come se si avesse sempre bisogno di incontrare più frequentemente quegli amici che maggiormente vivono una sintonia particolare con
la profondità del proprio cuore. Sono persone
che guardano don Julian Carrón, lo seguono come figli; ed è come se il carisma di don Giussani,
dal quale siamo nati come uomini liberi e protagonisti della storia a cui apparteniamo, si rinnovasse ogni volta che ci troviamo, suscitando tra
di noi una passione impressionante per il destino
dell’altro e delle persone che incontriamo.
Il viaggio da San Paolo ad Angra, in compagnia
di Marcos e Cleuza, mi ha risvegliato dalla stanchezza che avevo addosso. Il fatto che per venirmi a prendere avevano fatto un viaggio di
oltre dieci ore, con la gioia che testimoniano soltanto gli amici, mi aveva lasciato stupefatto e
commosso. Solamente chi vive l’amicizia come
passione per il destino dell’altro è capace di cose
simili. Durante il viaggio il dialogo si è fatto subito interessante: come stiamo, come e che cosa significa seguire Carrón, che lavoro abbiamo fatto relativamente a quello che ha scritto
sull’Osservatore Romano del 23 dicembre scorso, ecc. Vi riporto il dialogo con Cleuza e Marcos
perché tutti possiamo imparare che cosa significa il lavoro che ci richiede Carrón e come la nostra amicizia si pone di fronte alla realtà.
La gioia di Bernardo
«Padre – è Cleuza che parla – l’ultima volta che
siamo stati in Paraguay ci ha molto sorpreso
Bernardo, quel malato terminale con la bocca e
una guancia consumate dal cancro (Bernardo è
morto il giorno di Natale) che durante la Santa
Messa ha suonato la chitarra con un entusiasmo impensabile in una persona così vicina alla
morte. Perché era contento, perché suonava in
Dicembre era stato un mese davvero
bello, ma allo stesso tempo durissimo.
A un certo punto ho avuto bisogno
di vedere i volti di quegli amici
che come nessun altro mi riportano
al Mistero e risvegliano in me la coscienza
di ciò che sono: «Io sono Tu che mi fai»
nardo ho toccato il mantello di Cristo. Ci sono
milioni di persone che pretendono di spiegare
tutto ma non riescono a spiegare perché là, nella loro clinica, le persone muoiono cantando o
suonando la chitarra. Nell’Associazione dei “Senza terra” c’è una ragazza che dopo essere stata violentata è rimasta traumatizzata al punto
da perdere la voce. Quando la incontro penso ai
bambini della Casita de Belén che dopo aver subìto la stessa violenza vivono contenti, allegri e
cantando. Loro sono contenti mentre per questa
ragazza la vita è finita, nonostante le continue
cure degli specialisti della mente umana. Perché
questa differenza? Perché questa ragazza è distrutta e i tuoi bambini no? Padre, se Cristo non
guarisce tutto, allora Cristo non esiste. Cristo o
guarisce o non guarisce. E se non guarisce non
possiamo credere in Lui. Io credo in Lui perché il
segno del fatto che guarisce è la gioia che testimoniano i tuoi bambini».
La differenza è appartenere
quel modo? Uno canta, suona la chitarra perché ama la vita, e come può amarla quando la
vita lo sta lasciando? Perché ha incontrato Cristo. Una cosa inspiegabile non solo per i medici,
ma per tutti, se Cristo non fosse stato contemporaneo, presente a Bernardo. In quelle condizioni non si potrebbe essere felici se Cristo appartenesse al passato, o fosse un racconto o un
discorso. Purtroppo in tanti non vedono questo miracolo, tanti che, pur avendo incontrato
il carisma di don Giussani, vivono da ottusi perché non vogliono guardare in faccia la realtà,
non seguono chi, oggi, non garantisce soltanto
la continuità del carisma, ma anche il suo approfondimento, ciò che lo rende possibile come
fatto contemporaneo, che cammina con noi. La
gente è ottusa perché non vuole vedere, non
prende sul serio la propria umanità.
Quando vado in Paraguay non posso non rendermi conto che anche uno sciocco, se vuole,
può toccare il mantello di Cristo. Toccando Ber-
«La gioia è il segno di Cristo resuscitato: è venuto fra noi perché avessimo vita, e ne avessimo in abbondanza. Ma solo quando si riconosce e si sperimenta la contemporaneità di Cristo
un’esperienza simile è possibile. Per questo il
problema è l’appartenenza di ognuno. A chi apparteniamo? La ragazza partecipa alla nostra
amicizia, ma non le appartiene. Bernardo e i tuoi
bambini appartengono all’amicizia con te e con
gli altri. Ecco il perché di risultati tanto diversi.
Si ripete ciò che accadde a Giuda e Pietro, Zaccheo, l’adultera, la samaritana. Giuda godeva
dell’amicizia di Gesù, ma non gli apparteneva e
per questo il suo peccato lo ha ucciso, anche se
era meno grave di quello di Pietro, perché Giuda non guardava Cristo come lo guardavano gli
altri. Pietro e gli altri peccatori appartenevano a Cristo e questa appartenenza veniva definita dallo sguardo di Cristo. Uno sguardo che ha
cambiato la loro vita, colmandoli di gioia. Pietro
apparteneva a Gesù, Giuda invece no. Chi non
guarisce è perché non appartiene.
I momenti più belli del 2010 sono stati quelli che ci hanno aiutato a vivere più intensamente la nostra amicizia, quei momenti che ci hanno
richiamato a quella Presenza, che ci hanno reso
evidente la memoria di Cristo oggi. La gente mi
domanda: “Perché vai in Paraguay? Forse a San
Paolo non ci sono ospedali, ricoveri per anziani,
orfanotrofi, dove c’è bisogno di voi?”. Io rispondo: “Perché Gesù è nato a Betlemme? Perché
i pastori sono andati a Betlemme e non a Gerusalemme? Io vado ad Asunción perché lì vedo quell’Avvenimento che i pastori hanno visto
a Betlemme. Vado in Paraguay per vedere questa Presenza che mi permette di tornare nella
mia città e raccontare a tutti quello che ho visto
e toccato con mano. Cristo poteva nascere in
qualche altro posto, ma ha scelto Betlemme. Io
vado in Paraguay, perché Cristo torni a essere
presente qui dove vivo. Andiamo là per vedere
e torniamo in Brasile, come i pastori e i re magi,
per testimoniare quello che abbiamo visto.
Padre, c’è un’altra cosa che voglio condividere con te. A volte molti mi ingannano e ci sono “amici” che si prendono gioco di me. Ma io
sono contenta perché ho il cuore di un bambino. La gente dice: “Cleuza, sei sciocca perché
non ti rendi conto che molti ti ingannano”. La
mia risposta però è sempre questa: “Voglio essere sciocca perché sono ancora una bambina
con un cuore semplice”. Per questo sono felice, perché il mio cuore è come quello dei bambini. Il nostro lavoro lo facciamo per Cristo e
per questo mi possono odiare, ingannare, o applaudire e per me è lo stesso. Preferisco morire da stupida piuttosto che essere diffidente.
Il mio cuore è quello dei bambini che hanno fiducia nei genitori, anche se li ingannano. Questo atteggiamento, questo livello di coscienza
è impossibile senza una compagnia. Chi non vive con gli uomini non vive con Cristo. A Cristo
non piace la solitudine. Cristo non è mai stato
solo. Ha condiviso la compagnia degli apostoli,
gli piaceva pescare, mangiare, camminare con
loro. È vissuto gomito a gomito con i suoi amici. E come 2 mila anni fa vive gomito a gomito
con noi, condividendo tutto».
Qui termina il dialogo con Cleuza. Marcos ha
aggiunto solo una cosa: «Il sacrificio è il prezzo
da pagare per incontrare Cristo. Gli amici sono
le persone in cui sono evidenti i tratti del Mistero presente».
Cristo diventa contemporaneo e per questo
cambia la vita facendola diventare più umana,
più allegra. Quando siamo tornati a casa, in volto non avevamo più i segni della stanchezza, ma
un’allegria che deriva da una Presenza evidente
tra di noi. Anche i miei malati mi domandavano:
«Padre, da dove vieni?». Da Betlemme, ossia da
Angra dos Reis, dove sono stato con i miei amici. Quelli che nella mia vita quotidiana rendono
evidente la contemporaneità di Cristo.
[email protected]
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| 26 gennaio 2011 |
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LETTERE
ALDIRETTORE
Kinder, l’australiano
che vede meglio di un
prete attaché di Corte
chieste giudiziare e giornalistiche su Silvio Berlusconi e le famose ragazze del bunga bunga… Da una parte
mi pare chiaro che quest’uomo è un perseguitato (vorrei vedere quante persone al mondo resisterebbero a un assedio come
quello che sopporta lui). Dall’altra, però, mi pare onestamente indifendibile. Ma perché non la pianta coi festini e le donnine? Io sono quella che si dice una cattolica berlusconiana, nel
senso che ho sempre votato Berlusconi. Ma adesso, in quanto
cattolica e in quanto femmina, confesso
che ho più di una perplessità. RobertaPelizzi Roma
Puntoprimo.Seinunpaesedellashaariauntribunaleislamicoèinpossessodiintercettazioniariprovadellepraticheorgiasticheeadulterinedi
unacertasignora,iltribunaleconvocalefolleneglistadidicalcioenedà
comunicazionepubblica.Segueilgridodellefolle:“Amorte,amorte!”.
Nonèlastessacosa.Maèlastessa
logica.Comepotetedifenderevoiuna
personadicuisileggequelchesileggesulleintercettazionichehannodatoinpastoancheamammeebambini?Tutteleaccusesonofattesalve.
Trannelapresunzionediinnocenza
eildirittoadifendersiinunregolareprocesso.Ovvero:èfattosalvotutto,eccettoicardinidiunacivilltàdi
diritto.MatuttociòèlegaleinItalia.Ancheleleggirazzialieranolegali,
inItalia.Bisognagiudicareselalegge
siagiustaono.Secondome,pubblicarealcunchéprimadell’aperturadi
unregolareprocesso,nonègiustizia.
Ègogna,linciaggio.Èforzarel’opinio-
2
Noi di Perth siamo nell’estrema siccità,
bruciano case, fattorie, campi. Loro del
Queensland sono sott’acqua. Vi leggo da
molti anni via internet e, stando a quel
che si capisce da qui, voi siete sempre
sotto i giudici. Non so se ti può servire,
ma io penso che solo quando sei sott’acqua e dentro il fuoco cominci a capire
di che buona pasta sono fatti gli uomi-
CIVUOLESEMPREQUALCUNODABATTERE
SPORT
UBER
ALLES
L
| 26 gennaio 2011 |
2
Stimo Vittorio Messori non solo per la
sua grande fede ma anche perché è uno
storico di valore. Per questo motivo mi
ha sconcertato che scrivendo sul Corriere della Sera del 7 gennaio sul massacro
dei copti ha dato l’impressione di non
voler contestare – se non proprio di voler avallare – la tesi del rettore dell’università islamica del Cairo, per il quale la
violenza panislamista che dilaga contro
i cristiani in tante nazioni islamiche «ha
avuto come detonatore l’intrusione violenta del sionismo che è giunto a porre la sua capitale in Gerusalemme». È un
atteggiamento che contrasta con quanto Messori afferma in Pensare la storia,
antologia di suoi scritti con presentazione del cardinale Biffi. Sull’origine della
violenza islamica contro i cristiani scrive infatti (pagina 628) che quanti di essi «oggi si compiacciono al pensiero non
solo di un doveroso dialogo, ma anche di
una collaborazione fruttuosa e pacifica
con l’islamismo dimenticano tra l’altro
che questo divide il mondo in due parti: “territorio dei musulmani” e “territorio di guerra”. Quest’ultimo è ogni luogo
dove il messaggio di Maometto non sia
ancora accettato; e dove, dunque, è sacro dovere il portarlo con l’invasione armata. Guerra e Corano sono, dagli inizi ad oggi, un binomio ferreo». Messori
conclude (pagina 630): oggi che i “saraceni” li abbiamo, e sempre più li avremo,
in casa «dovremmo essere consapevoli (ad evitare illusioni e relative delusioni) di una realtà amara ma confermata
da 1.300 anni di storia: con l’islamismo
è impossibile dialogare davvero». Quandi FredPerri
Ho nostalgia di quando la Juve
era la Juve (e il Pci era il Pci)
o so, voi vorreste che affrontassi il tema del giorno.
E cioè: chi è la fidanzata di Berlusconi? Bella domanda, intrigante e ho qualche idea al proposito. Però c’è qualcosa che più mi preme, ed è un tema
che ci riguarda tutti, anche quelli che sono contro, anche quelli che, al solo pronunciare dei nomi, si voltano dall’altra parte: la crisi comune di Juventus e Parti-
62
ni, nonostante siano evidenti le nostre
brutture e i nostri peccati. Ma vi confermo: fa più bene al mondo un eroe per
caso che mille giudici per legge.
JohnKinder Perth, Australia
|
to democratico. Entrambi non esistono più. Cioè, mi
spiego. In un paese civile c’è bisogno di due schieramenti forti, di due partiti forti, di due squadre forti
(anche più partiti e più squadre). C’è bisogno di qualcuno da temere, da odiare, da guardare con un misto
di paura e rispetto. C’è bisogno di un avversario vero e
l’Inter non regge. Una volta avevamo il Pci e la Juve: in-
Foto: AP/LaPresse
N
on so cosa pensare di tutte queste voci, insinuazioni, in-
nepubblicaaprendereunaposizione
faziosa.Efaziosaperchénonpuòconoscerealtrochelecartedell’accusa.
Insomma,misiprecludelapossibilitàdisapereseadArcoreèstatocompiutouncrimine(cheèl’unicacosa
chemiinteressaechedeveinteressareuntribunale,masecriminec’è
stato,questolosapremodopo,moltodopochel’imputatoèstatosputatoeimpalatosullapubblicapiazza).
OseaArcoreèandatoinondauno
diqueifilmtrasgressivichevengonoapplauditieimpalmatidallacritica,aCannesoallaMostradelcinema
diVenezia.Ècosìcogentequelloche
stodicendochenonpotendovederenelleintercettazionipropalatesui
mezzistampaaltrochequellalibertà
diautodeterminazioneerelativismo
egemoneintuttalaculturaepraticasocialeodierne,cheMarcoPannellasospettadiuncomplottovaticano
perfarfuoriBerlusconiesostituirlo
conFormigoni.Secondo.LadimostrazionecheSilvioBerlusconièunperseguitatopoliticoèdatadallasemplice
constatazionecheeglihacominciato
acollezionareinchiestesoloilgiorno
dopocheèentratoinpolitica.Esono
17annidainumeri(dimagistrati,inchieste,perquisizioniaziendalieccetera)chehadatolostessoB.Terzo.Signora,sololuisasehabisognodiun
indirizzodaDavidDuchovny.
[email protected]
to alla odierna violenza dell’islam contro gli ebrei, per il Messori di Pensare la
storia non ha origine nella creazione dello Stato di Israele, ma in altre lontanissime vicende di natura religiosa. Richiamando infatti polemicamente «uno dei
tanti miti della vulgata dell’uomo medio
occidentale» che, per esempio, «dipinge la Spagna islamica come una sorta di
paradiso per gli ebrei, bruscamente finito quando la riconquista cristiana venne
a interrompere l’idillio», Messori fa sue
– citandole come «fonte insospettabile»
– le parole con cui si apre la ricerca Cronologia delle persecuzioni antiebraiche
nei paesi arabi, curata dalla Associazione per l’amicizia Arabo-cristiana (pagina 625): «La presenza ebraica nei paesi arabi risale a 500-600 anni prima di
Cristo. Per mille anni, sino alla comparsa di Maometto, gli ebrei vissero in condizioni di parità con le popolazioni locali. Ma, con il Profeta, le cose cambiarono
in modo tragico. Già nel 625-627 Maometto e i suoi annientarono le tribù giudaiche che rifiutavano la nuova fede.
Da quel momento insopportabili balzelli,
umiliazioni, saccheggi, distruzione e omicidi hanno costituito il filo conduttore
della storia ebraica nel mondo islamico».
Perché Messori sembra aver modificato
la sua opinione sulle due drammatiche
questioni della origine delle persecuzioni
islamiche contro cristiani ed ebrei?
NicolaGuiso via internet
2
Foto: AP/LaPresse
Seguo da anni gli interventi di Fabio Cavallari su Tempi. Premetto che sono anticomunista (per lo stesso motivo per
cui sono antifascista). Bene, noto che c’è
una evoluzione costante nel suo pensiero: anni fa mi aveva colpito un suo articolo in cui raccontava di una riunione
con imprenditori, lavoratori dipendenti e sindacalisti a Luino (Va) per discute-
re su cosa fare per la crisi locale. Alla fine un Cgil se ne era uscito con un geniale
«facciamo uno sciopero»: già allora era
evidente il disgusto del nostro per questi
inutili stereotipi ideologici. Per inciso, mi
domando quanto sia forte, nel suo percorso, l’influsso di don Giussani trasmesso dai suoi sodali di Tempi. Tuttavia vorrei che questo comunista (ex?) in buona
fede e quindi intellettualmente onesto,
concludesse il suo percorso ammettendo
che il problema della sua ideologia (come di ogni altra) è che non tiene conto
dei fatti, della realtà. In particolare della
natura umana. Gli esseri umani possono
essere esortati a essere migliori, si può
dare loro il buon esempio e dimostrare
che è conveniente per la qualità della loro vita (come fa la parola di Cristo), ma
non serve a niente obbligarli. Neanche,
al limite, incarcerarli e ammazzarli (Urss
docet). Giusto avere leggi che impediscono abusi ed eccessi nel mondo del lavoro
e farle rispettare (giusto che la paga minima permetta di vivere almeno decentemente), ma è sempre meglio avere imprenditori privati ambiziosi, egoisti e non
paterni, che però creano posti di lavoro e
ricchezza distribuita (pur facendo prima
di tutto il loro interesse), che “imprenditori burocrati” di partito e di Stato “collettivo” demotivati dal mancato riconoscimento del merito individuale (Urss
ri-docet). L’egualitarismo (e il “pauperismo”), se imposto, è disumano e fa disastri. Poi uno, se vuole, può imitare san
Francesco ed essere felice.
SilvioRiva Milano
2
È tutta colpa dei cristiani. Proprio i fedeli di un credo di tolleranza sono i più
intolleranti della storia. È stato così da
subito, con Paolo che raccomandava di
non mischiarsi agli “altri”. È stato così
verso l’esterno (l’Apostata, chiamarono
il povero Giuliano, liberale mai capito)
ed è stato così verso l’interno: sempre
pronti a dilaniarsi tra di loro, preoccupati più di imporre la loro versione della dottrina che non di predicare Gesù. Hanno sempre fatto così, curando la
struttura più della parola: i domenicani, i francescani e via via fino a oggi. E
le guerre peggiori vengono sempre da
questa tigna. Di tal genere, se non tali
appunto, sono stati i pensieri sentiti dal
misero peccatore. Era il 19 dicembre,
era Milano, San Pietro in Gessate, era il
parroco durante l’omelia. Non so se ha
presente, direttore: è la chiesa proprio
di fronte al Palazzo di Giustizia. VirgilioBurazzi Milano
2
Il Capo dello Stato, dopo aver manifestato sgomento per le decisione del presidente brasiliano Lula di negare l’estradizione in Italia del terrorista Battisti,
ha fatto considerazioni più generali sugli
“anni di piombo”, di cui l’Italia non sarebbe stata in grado di rappresentare, anche nei confronti di paesi amici, l’esatta
portata. Napolitano ha ragione. Qualcuno ha inteso regolare con troppa superficialità i conti con quegli anni, concedendo agli autori dei crimini, una volta
a piede libero, prebende pubbliche che
hanno mortificato i familiari delle vittime (penso al caso D’Elia). Mi domando se il diritto al riscatto, che dinanzi alla collaborazione attiva del condannato
è un atto dovuto, implichi necessariamente il ritagliare per gli autori di certi crimini ruoli di rilevanza pubblica, arrivando anche ad aprire loro le porte di
qualche ateneo. La mia risposta è negativa, e penso che sia anche questo atteggiamento spesso adottato da sinistra ad
aver concorso a non farci comprendere
dagli altri paesi. Anche da quelli “amici”.
DanieleBagnai Firenze
fatti i grandi capi comunisti erano tutti tifosi bianconeri. Così, anche chi vinceva non si distraeva in feste e
stupidaggini e doveva stare all’occhio perché rischiava
di perdere le elezioni-campionato.
Ma ora? Ora la Juve è stata cancellata e questa cosa
qui non c’entra niente con quella vera. E il Partito democratico? Bersani è insidiato da Vendola, da Di Pietro, i veltroniani mugugnano. Il Pd arranca, ogni volta
che schiera un candidato per le primarie, quello perde.
Ora il Pd è come la Juve, punta alla zona Champions, al
quarto posto, se ce la fa.
Non va bene, così, la competizione ne risente. Si
stava meglio con i comunisti e la Juve, datemi retta.
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taz&bao
Un mestiere
da dio
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I giudici hanno deciso che saranno i giudici a decidere
se il presidente del Consiglio sarà impedito a recarsi
dai giudici. I giudici hanno deciso che la legge sul biotestamento praticamente già esiste. I giudici hanno deciso che una bambina di Varese chiamata Andrea, nome maschile tedesco, non potrà chiamarsi Andrea, ma
dovrà chiamarsi – hanno deciso – Sara. I giudici hanno
deciso se una persona sia un uomo o una donna. I giudici arrestano o no, sequestrano conti bancari, fermano cantieri, giudicano se stessi e cioè altri giudici, non
pagano per i propri errori, decidono se questo articolo
sia diffamatorio, se una conversazione debba finire sui
giornali, se un bambino possa vedere il padre.
I giudici rappresentano l’unico potere non
riformato di questo paese e sono palesemente corresponsabili della propria invasività nella vita pubblica, indisposti
tuttavia ad ammettere un benché minimo ruolo nei malfunzionamenti che
li coinvolgono. I giudici sono in grado
di neutralizzare, svuotare, piegare
qualsiasi legge che li riguardi e che
riguardi le velleità originarie del legislatore su qualsiasi problema. Cambiare la magistratura con l’aiuto di certa
magistratura è impossibile, concertare
una riforma «ampiamente condivisa» è
impraticabile. Non ci sarà nessuna riforma, seria, senza cambiare la Costituzione e
senza scatenare l’inferno. Un uomo solo poteva farcela: Silvio Berlusconi. Non ce la sta
facendo, sta solo riuscendo a sopravvivere.
Filippo Facci Libero, 14 gennaio 2011
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
LA CITTÀ CHE SI TRASFORMA
Il respiro di Milano
tra cento voci straniere
di Marina Corradi
U
Giù dalle scale, trascinata dal cane. La portinaia canticchia, con il suo accento dell’Est, una canzone italiana, mentre spazza l’ingresso. Fuori, l’aria umida fa rabbrividire. Sa di nebbia: la vedo, in fondo alla via, con la sua lingua bianca, che arretra mentre si alza, pallido, il sole.
Per primo mi imbatto nel vecchio signore sempre solo, sempre con due borse
colme nelle mani, e dolci occhi tondi e neri, da gufo gentile. Lo vedo ogni mattina qui attorno alla Bullona, la vecchia stazione delle Ferrovie Nord: costantemente avanti e indietro, senza una meta. Al bar dei cinesi già a quest’ora qualche avventore gioca alle slot machines, e ogni tanto il fragore di una cascata di monete
copre il ritmico battito dei fondi dell’espresso svuotati e riempiti di nuovo – il rumore della giornata che comincia. La signora al banco viene da Shanghai, e davvero dice “glazie”, con la elle. Sorride anche a quei clienti che già a quest’ora chiedono una grappa, a scaldarsi il sangue, o forse il cuore.
Usciamo, io e il cane. Nella tintoLa signora al banco del bar dei cinesi
ria filippina ci investe una buona folata calda di vapore, di amido, di pulito.
viene da Shanghai, e davvero dice “glazie”,
Poi il panettiere, con la parata fragrancon la elle. Sorride anche a quei clienti
te di pane appena sfornato. La bottega
che già a quest’ora chiedono una grappa,
del Cesare, il barbiere che taglia i capelli a mio figlio, e sa tutto del quartiea scaldarsi il sangue, o forse il cuore
re. Anche il cartolaio è già in negozio.
L’edicolante saluta, dal fondo della sua casa di giornali.
Cara via di Milano, né centrale né periferica; alberata, e tranquilla, un sottomondo dove lombardi e ucraine e cinesi si ritrovano accanto; e la città si trasforma, e però resta in fondo quasi come era. Perfino il mio cane, un randagio raccattato in Puglia, si è ottimamente ambientato. Ama – purtroppo non ricambiato – la
maestosa labrador del primo piano. E incrociamo un vicino che ha sottobraccio la
Padania, mentre il padrone del labrador è, mi dicono, un radicale militante; ma ci
salutiamo cordiali, qui nell’enclave quieta attorno alla Bullona.
In chiesa, alle nove c’è Messa. Al Vangelo, una vibrazione sotterranea percorre
le fondamenta, come un sisma appena percettibile; è un treno delle Nord che va a
Cadorna. Lo immagino carico di pendolari assonnati, colmo di storie e di desideri,
mentre corre nelle viscere di Milano. (Il crocefisso accanto all’altare nella penombra, le braccia come spalancate sulla città attorno).
Esco, e di nuovo ecco il signore con i gentili occhi tondi da gufo. Solo, e sempre con quelle borse. Chissà dove se ne va tutti i giorni, mi
domando, con quel fardello. L’altra mattina era seduto al bar, e ho
gettato l’occhio dentro alle sporte: erano colme di giornali vecchi,
appallottolati. Carta straccia. Con questo misterioso tesoro il vecchio sconosciuto peregrina per il quartiere, ogni mattina. Mentre
noi corriamo al lavoro; e lui rimane, enigmatico, a osservarci,
gli occhi gentili e spersi, come di uno che sia già lontano. Cosa
sarà quel peso di carta: ricordi, rimorsi, dolori, ormai a tutti
ignoti? Ma anche al vecchio la signora del bar cinese sorride,
se entra a scaldarsi, la mattina. Milano è, talvolta, anche questo: come un certo respiro, che resta, dentro a cento voci straniere.
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n quarto alle otto.
DIARIO