il bianchello del metauro
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il bianchello del metauro
C’è il bianchetto e... IL BianchellO del Metauro di Gualberto Compagnucci Il vino ducale Fossombrone, il fiume Metauro Il titolo non è un gioco di parole, tanto meno una provocazione, ma un modo per voler sottolineare il distinguo fra vini dove la parola bianco, bianchetto, bianchino ecc. non possano confondersi con la qualità e personalità della pregiata DOC pesarese Bianchello del Metauro. Eh sì, perché è molto in uso nel contesto popolare chiedere un calice di bianchetto, per voler intendere un qualsiasi più o meno banale vino bianco: basta che sia bianco; come molti blasfemi chiedono ancora “un prosecchino” per intendere un qualsiasi spumante senza nome. Qui signori, si fa sul serio. È dal bel lontano 1969 che nasce la DOC Bianchello del Metauro e la storia dei vini pesaresi si perde anchessa nei tempi, come quella delle altre realtà enologiche marchigiane. Territori dei Galli Senoni per eccellenza, valli e colline risalenti il Metauro erano il cuore dell’Ager Gallicus, dei municipi romani prima e durante l’Impero, delle pentapoli bizantine di mare e di terra e feudi di signorie come i Montefeltro, i Malatesta, i della Rovere e i diabolici Borgia. I vini del Metauro hanno quindi dissetato fin dal VI secolo a.C. popolazioni indigenti, barbari, grandi armate e truppe mercenarie, grandi condottieri, signorotti e nobiltà coronate. Nel cuore della sua vallata, presumibilmente, secondo lo storico Tacito, in prossimità del guado di Serrungarina, le truppe puniche di Amilcare composte da 45.000 uomini fra Africani, Iberici, Galli Senoni e Liguri apuani, con una decina di mastodontici 8 La Valle del Metauro elefanti africani e le circa dieci legioni dei consoli repubblicani romani Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone e del pretore Lucio Porcio Licinio, quindi al pari di forze, si danno cruenta battaglia (nel periodo della Roma consolare una legione si componeva di 4.300 fanti e arcieri e 350 cavalieri). I Punici vincono il primo tempo sfondando il centro dell’armata romana con i suoi enormi pachidermi, ma la ripresa del secondo si rivela una disfatta per loro. I Romani seguono il volo di alcune cornacchie che si poseranno su di una collina a destra del loro schieramento; successivamente al colle verrà dato il nome di “Mons avium” il monte degli uccelli, oggi Mondavio. Il volo viene interpretato come un segno di buon auspicio e i Latini riorganizzatisi contrattaccano, sfondando la linea dei disordinati Galli facendone strage; da li a poco tutto l’esercito punico subisce il massacro. Qualcuno ha colpa, dice Tacito, di questa inaspettata disfatta. Sono i soliti inaffidabili Galli, che avendo passato la notte a far bagordi e trovati ubriachi fradici produrranno più danni agli alleati Punici che ai Romani. E mi chiedo: Che cosa avran bevuto per poi ubriacarsi? Beh, la risposta mi viene facile, siamo sui Colli del Metauro, quindi non ci sono dubbi che fossero i vini raziati e prodotti allora in quei luoghi. Ed il pensiero mi passa ancora ai festeggiamenti romani dopo il fiondamento della testa recisa di Amilcare verso l’accampamento pugliese del fratello Annibale. Vogliamo che insieme alla truppa i due consoli non abbiano brindato all’importantissima vittoria? Gli stessi vini avranno dissetato sette secoli dopo Goti, Bizantini e Longobardi. Come ancora gli stessi, sicuramente più accettabili, avran bagnato per quasi mezzo millennio gli opulenti banchetti ducali dei Montefeltro, dei della Rovere e dei Malatesta e… volete che Cesare Borgia non abbia brindato, quasi certamente con un antenato del Bianchello, alla cacciata del duca Guidobaldo dal palazzo di Urbino!? Pur vero che all’epoca i vini non avevano ancora una identità ben precisa: tutto ciò che era uva, bianca e rossa, veniva spesso mescolata producendo una unica fermentazione, ma ad alcune uve ritenute di pregio si riservava già per tradizione la vinificazione separata, soprattutto quando destinate ai calici ducali. Anche i francesi di Napoleone avranno sicuramente apprezzato il vino del Metauro, che all’epoca poteva già chiamarsi, per lo meno ancora ufficiosamente, Bianchello; come non possiamo esimerci di pensare che la sfrenata ed epicureica golosità di Gioacchino Rossini non abbia avuto piacevoli approcci con il bianco di casa sua, magari portandoselo anche nella residenza parigina. 9 Fiorini - Vigna Sant’Ilario e Tenuta Campioli (Bianchello del Metauro DOC) Il Bianchello del Metauro dal 1969 ad oggi Relegato nel primo decennio dal conferimanto della doc ad un ruolo di Cenerentola dei bianchi marchigiani, del resto allora un po come tutti, negli anni ottanta incomincia una timida risalita. Toltosi il sassolino dalla scarpa, che lo rendeva, anche per il nome diminutivo e se vogliamo vezzeggiativo, comunque piccolo vino, ha incominciato piano piano a mostrare i muscoli. I produttori non erano ancora tanti e... veramente sono in pochi ancor oggi, ma, fra i componenti il Consorzio qualcuno decise di alzare la voce e qualcosa accadde. Fra le poche voci che si alzarono più in alto, ricordo quella del Dott. Valentino Fiorini. Le cose da discutere in Consorzio erano diverse, visto che si doveva dare l’ok alla nascita di nuove denominazioni come il Focara ed il Roncaglia, quando ancora non si riusciva a dare una più affermata identità al Bianchello. Io stesso fui coinvolto dal Dott. Fiorini a prestare ausilio affinche il Bianchello del Metauro potesse decollare e per un anno circa mi prodigai con una collaborazione consulenziale. Erano i primi anni novanta e con l’aiuto del bra- vissimo enologo Roberto Potentini studiammo attentamente le peculiari caratteristiche del vitigno Biancame e di conseguenza verificammo dove questi potesse arrivare. Eh sì, perché fin allora si diceva che il Biancame poteva essere coma la quercia che non fa le arance. Beh, fra noi e qualcun altro si riusci a dimostrare il contrario. Migliorando il rapporto frutto e territorio, come del resto avvenne per il Verdicchio, rivedendo le rese per ettaro, impostando migliori regole di cantina ed ottimizzando i blending fra le produzioni dei diversi vigneti, si è poco dopo giunti al successo. E che succeso! Eh sì, perché è passato il tempo della povera Cenerentola, ormai è già una pricipessa. Il Bianchello ad oggi è un bel vino di stile Mediterraneo, meravigliosamente godibile per le sue caratteristiche di vivace freschezza, con un accattivante fruttato di mela e pesca, incorniciato da piacevoli sensazioni amaricanti che si allungano al gusto. Caldo, abbastanza morbido e di ottima sapidità ha una poliedrica versatilità negli abbinamenti. E a proposito di poliedricità, sorprendenti sono le doti del Biancame nella spumantizzazione con il metodo Martinotti e nell’appasimento per ottenere interessanti Vin santi, che a detta dei produttori del luogo sembrano essere prodotti fin dai tempi più lontani. PESARO URBINO ANCONA MACERATA FERMO ZONA DEL BIANCHELLO DEL METAURO ASCOLI PICENO Provincia di Pesaro Urbino Negli abbinamenti Essendo la freschezza la caratteristica peculiare del Bianchello del Metauro gli abbinamenti migliori si ottengono con piatti grassi e a tendenza dolce e di buona sapidità. Eccelle sui frutti di mare, su crostacei e cefalopodi; perfetto quindi sulle insalate di mare. Ottimo anche sui salumi molli come il ciauscolo e sul prosciutto DOP di Carpegna, da solo, o melone e fichi freschi. Perfetto sui risotti e paste condite con ragù bianco di pesce. Caratteristiche organolettiche tipiche Il vitigno Biancame o Greco di Biancame o ancora Bianchello, nell’omonima DOC può essere vinificato in purezza o aggiunto di un solo 5% di Malvasia lunga. Le origini ampelografiche conducono a varietà naturalmente modificatesi di uve Greco o Trebulane (Trebbiani) e qualche storico ampelografo come il da tempo scomparso professor De Rosa li accomunava all’antichissimo Nuragus, introdotto in Sardegna dai Fenici Punici, per poi diffondersi nell’Italia continentale ed oltre. Ricordiamo che anche nel sud est francese Cartaginesi e Focesi introdussero il Grenache, il Syrah e quant’altro. Al primo anno dalla vendemmia il Bianchello del 10 Metauro si presenta all’occhio con un colore giallo paglierino scarico ed evidenti virgole verdoline. L’anno successivo ovviamente il colore paglierino matura di intensità. Al naso penetrano meravigliose sensazioni di pomacee mature e pesca, seguite da gradevoli percezioni floreali di pesco e mandorlo soprattutto nel periodo di maturità. Il gusto gode di tutta la sua piacevole freschezza, ricca spesso nei primi mesi da un leggero ma percettibile petillant. La minerale sapidità e il buon calore alcolico, ma sempre ben contenuto, completano l’elegante equilibrio. Il Bianchello del Metauro è perfettamente godibile fino al secondo anno di vita e rappresenta al meglio le caratteristiche dei così detti Vini Mediterranei. Degustare a 8/10°C nel primo anno dalla vendemmia; 10/12°C nel secondo anno di vita. Pesci bianchi di ogni genere: pescatrici in potacchio, San Pietro bolliti, spigole e rombetti al forno o bolliti, sogliole in gratella e grigliate miste ci vanno a nozze. Il Bianchello ama per tradizione incontrare anche carni di bassa corte come pollame e conigli al forno, in potacchio e questi ultimi in porchetta. Eccellente sulla Casciotta di Urbino e i caci pecorini freschi del nostro Appennino. Azienda Agricola Vignamato Contrada Battinebbia 4 - 60038 San Paolo di Jesi (AN) 11 Tel./Fax 0731 779197 - [email protected] - www.vignamato.com