Quaderno n. 6/2010 - Università degli Studi di Foggia

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Quaderno n. 6/2010 - Università degli Studi di Foggia
Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche,
Merceologiche e Geografiche
Università degli Studi di Foggia
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LA FISCALITA’ AMBIENTALE
Giuseppina Fulghesu
Quaderno n. 6/2010
Quaderno realizzato presso il
Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche
nel mese di giugno 2010
e depositato ai sensi di legge
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Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali, Giuridiche, Merceologiche e Geografiche
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esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della legge 15 aprile 2004 n. 106
il presente contributo è disponibile al seguente indirizzo:
http://www.dseagmeg.unifg.it/pubblicazioni/quaderni.asp
I più sinceri e sentiti ringraziamenti per l’opportunità
concessami vanno ai miei Maestri, il Prof. Pietro Boria,
autorevole ed illuminante studioso, e il Prof. Mario Cardillo,
costante guida e prezioso riferimento di questo percorso di
ricerca e di vita.
Giuseppina Fulghesu
1
“LA FISCALITÀ AMBIENTALE”
GIUSEPPINA FULGHESU
Dottoranda di Ricerca in Diritto Tributario
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’evoluzione della politica ambientale in ambito
internazionale e comunitario. - 2.1. La tutela dell’ambiente in Italia - 2.2. Gli strumenti della
politica ambientale. - 3. La nozione di tributo ambientale. - 4. Il principio “chi inquina
paga” e i suoi riflessi sulla fiscalità ambientale. - 5. Fiscalità ambientale e principio di
capacità contributiva. - 6. I tributi ambientali nell’ordinamento tributario italiano. - 6.1. La
tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) e la tariffa per l’igiene ambientale
(Tia). - 6.2. Il tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene
dell’ambiente. - 6.3. Il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica. - 6.4. La
tariffa per la raccolta e la depurazione delle acque di rifiuto. - 6.5. L’imposta sulle emissioni
di anidride solforosa. - 6.6. L’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. 6.7. La carbon tax. - 7. Considerazioni conclusive alla luce delle nuove prospettive aperte
nella tassazione ambientale dal federalismo fiscale.
1. Premessa.
Il presente lavoro si propone di fornire un quadro conoscitivo organico delle
principali tematiche attinenti la fiscalità ambientale, evidenziando il legame
intercorrente tra imposizione fiscale e tutela dell’ambiente.
Il tema analizzato, multidisciplinare e di grande attualità, ha rivestito negli
ultimi anni notevole importanza a seguito della sempre maggiore attenzione tributata
alla protezione dell’ambiente dagli ordinamenti nazionali e sovranazionali, in
considerazione dei rilevanti costi sociali derivanti dal degrado ambientale.
2
La tematica della tassazione ambientale, tradizionalmente affrontata sotto i
profili politico ed economico-finanziario, è qui colta nei suoi aspetti più
spiccatamente giuridici 1 .
La presente indagine dà conto dell’evoluzione della normativa tributaria nel
settore in esame, nonché delle prospettive evolutive della stessa, anche alla luce dei
nuovi scenari aperti dal federalismo fiscale negli ambiti e nei modelli di tassazione
ambientale degli enti territoriali.
Il lavoro si sofferma criticamente sulla nozione di “tributo ambientale”, così
come enucleata in ambito internazionale, comunitario e nazionale, e sui possibili
riflessi nella materia tributaria del principio comunitario “chi inquina paga” (sul
quale l’Unione Europea fonda la propria politica ambientale), prospettando le
problematiche connesse con l’utilizzo della fiscalità quale strumento di tutela
dell’ambiente.
Il contributo affronta, altresì, la dibattuta questione teorica della compatibilità
dei tributi ambientali con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53
della Costituzione, e si conclude con l’analisi di alcune fattispecie di tributi
ambientali che hanno trovato regolamentazione nell’ordinamento tributario italiano,
tra i quali possono annoverarsi la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani
(Tarsu) e la tariffa di igiene ambientale (Tia), il tributo provinciale per l’esercizio
delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente, il tributo speciale per il
conferimento dei rifiuti in discarica, la tariffa per la raccolta e la depurazione delle
acque di rifiuto, l’imposta sulle emissioni di anidride solforosa, l’imposta regionale
sulle emissioni sonore degli aeromobili, la carbon tax.
2. L’evoluzione della politica ambientale in ambito internazionale e comunitario.
Le politiche ambientali 2 , volte alla salvaguardia del bene ambiente 3 ,
seriamente compromesso da fenomeni di degrado (inquinamento, effetto serra, etc.) -
1
Come evidenziato da PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, in Trattato di Diritto
tributario, diretto da AMATUCCI, Padova, 2001, 163 ss., l’economista propone soluzioni al problema
ambientale considerato sotto il profilo degli effetti distorsivi che l’inquinamento determina sul
funzionamento del mercato e dal quale discende una inefficiente allocazione delle risorse, mentre il
giurista si prefigge l’obiettivo di contemperare l’interesse alla preservazione dell’ambiente con quello
di un adeguato sviluppo delle attività economiche.
3
effetto collaterale prodotto dai sistemi di produzione, modelli di consumo e stili di
vita delle società capitalistiche - hanno solitamente portata sovranazionale, in quanto,
tanto più in un contesto economico-sociale globalizzato, quale è quello attuale, la
maggiore o minore efficacia degli interventi in materia di salvaguardia dell’ambiente
dipende dal coordinamento in sede internazionale delle politiche intraprese
autonomamente dai singoli Stati in tale settore.
La “questione ambientale” è emersa con chiarezza negli anni Settanta del
secolo scorso ed ha assunto crescente rilevanza nel diritto internazionale con la
Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenutasi a
Stoccolma dal 5 al 16 giugno del 1972, la quale ha definito l’ambiente “patrimonio
comune dell’umanità”.
Ad essa ha fatto seguito il Primo programma di intervento della Comunità
Europea sull’ambiente, approvato con la Dichiarazione del Consiglio del 22
novembre del 1973, che ha segnato l’inizio della politica ambientale comunitaria.
Quest’ultima si è caratterizzata per la scarsa incisività fino alla entrata in
vigore, nel 1987, dell’Atto Unico, sottoscritto a Lussemburgo nel 1986.
Nella sua versione originaria, infatti, il Trattato istitutivo della Comunità
economica europea non conteneva disposizioni specificamente destinate alla tutela
dell’ambiente. Gli scopi della Comunità erano inizialmente in prevalenza economici
e consistenti nella tutela della concorrenza e del mercato 4 .
Sicché, il fondamento della politica ambientale è stato rinvenuto nell’art. 2
del Trattato, che ha attribuito alla Comunità il compito di promuovere “uno sviluppo
armonioso delle attività economiche” ed “un’espansione continua ed equilibrata”,
2
Le politiche di protezione dell’ambiente possono essere definite come il complesso delle tecniche,
dei modelli e degli strumenti attraverso i quali si perseguono il contrasto al degrado e la conservazione
dell’ambiente in vista della sua fruizione da parte delle generazioni future.
3
“Il bene ambiente deve essere considerato come un bene unitario costituito da tutte le risorse
naturali e culturali che possono essere soggette ad esaurimento e che necessitano, dunque, di cura e
protezione”. Cfr. Corte Cost., 28 maggio 1987, n. 210.
4
Dal Trattato istitutivo della CEE potevano enuclearsi obiettivi e mezzi riconducibili essenzialmente
all’ordine economico: la costituzione di un mercato comune europeo nel quale potessero essere
garantite alcune libertà economiche fondamentali e il progressivo ravvicinamento delle politiche
economiche dei singoli Stati membri. Le norme principali del Trattato andavano, infatti, a tutelare e a
promuovere le libertà fondamentali di un assetto concorrenziale di mercato: libertà di circolazione
delle merci; libertà di circolazione delle persone; libertà di circolazione dei servizi; libertà di
circolazione dei capitali. Così, BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2005, 22.
4
obiettivi che, secondo l’interpretazione data alla disposizione in parola, avrebbero
potuto raggiungersi solamente attraverso la protezione dell’ambiente 5 .
Gli interventi comunitari in materia sono stati, peraltro, giustificati sotto il
profilo giuridico attraverso il richiamo degli artt. 100 e 235 del Trattato, relativo il
primo al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri ed il secondo ai c.d.
poteri impliciti della Comunità.
Pertanto, la Comunità era legittimata ad intervenire a tutela dell’ambiente
qualora il diverso grado di protezione ambientale riconosciuto dalle legislazioni
nazionali dei paesi membri fosse considerato discriminatorio e dunque distorsivo del
funzionamento del mercato comune.
In assenza di una specifica norma volta a riconoscere in seno alla Comunità il
valore ambiente, la protezione ambientale era garantita in via mediata, in quanto
strumentale alla realizzazione degli obiettivi di carattere economico 6 .
Negli anni Settanta sono state emanate, tra le altre, le prime direttive
comunitarie concernenti la tutela ambientale (ad esempio le n. 70/157/CEE e n.
70/220/CEE, sull’inquinamento rispettivamente acustico e atmosferico derivante dai
veicoli a motore) e le prime quattro importanti direttive sui rifiuti (la n. 75/442/CEE
sull’eliminazione degli oli usati, la n. 75/442/CEE sui rifiuti in generale, la n.
76/403/CEE sullo smaltimento dei policlorodifenili e policlorotrifenili e la n.
78/319/CEE sui rifiuti tossici e nocivi) 7 .
Di grande rilievo è stato in questo periodo il ruolo svolto dalla Corte di
Giustizia Europea, la quale ha riconosciuto nella tutela dell’ambiente una “esigenza
5
Le espressioni “sviluppo armonioso” ed “espansione equilibrata” possono essere considerati “gli
embrioni del concetto di <<sviluppo sostenibile>> e del relativo principio, che costituisce ormai da
tempo un principio cardine del diritto dell’ambiente non solo comunitario, ma prima ancora
internazionale”. In tal senso, RENNA, Ambiente e territorio nell’ordinamento europeo, in Riv. It.
Dir. Pubbl. Comunitario, 2009, 3-4, 652.
6
Come evidenziato da SELICATO, Imposizione fiscale e principio “chi inquina paga”, in Rass. Trib.,
2005, 4, 1159, fino alla entrata in vigore del Trattato di Maastricht, “Il problema ambiente veniva (…)
filtrato dalla valutazione degli aspetti, ritenuti predominanti, della tutela dello sviluppo economico,
del mercato e della concorrenza ed era ben lontano dall’assumere quei contorni di rilevante interesse
sociale che esso riveste negli ordinamenti interni degli Stati membri”.
7
La più recente direttiva quadro sui rifiuti è la 2008/98/CE del 19 novembre 2008, che dovrà essere
recepita dagli Stati membri entro il 12 dicembre 2010.
5
imperativa” tale da giustificare il ricorso a misure nazionali derogatorie delle libertà
fondamentali, purché rispondenti all’interesse comunitario 8 .
In concomitanza con l’emanazione delle prime direttive sono stati varati i
primi tre programmi di azione comunitaria (1973 9 , 1977, 1983) in materia di
ambiente, i quali hanno tracciato le linee fondamentali della politica ambientale
comunitaria di quel periodo, anticipando il contenuto del Titolo VII (artt. 130R,
130S, 130T) del Trattato specificamente dedicato all’ambiente, introdotto con l’Atto
Unico Europeo.
Con l’Atto Unico si è attribuita in maniera esplicita alla Comunità una
competenza specifica in materia ambientale; conseguentemente, gli interventi
normativi comunitari nel settore si sono moltiplicati, anche alla luce della sempre
maggiore gravità dei fenomeni di degrado ambientale 10
11
.
E’, tuttavia, con il Trattato di Maastricht, firmato nel 1992 ed entrato in
vigore nel 1993, che la tutela dell’ambiente ha trovato esplicito riconoscimento
nell’art. 2 del Trattato istitutivo12 , divenendo valore guida del processo di sviluppo
europeo, seppur non assurgendo ancora al ruolo di obiettivo prioritario della
Comunità.
Il Trattato de quo ha modificato l’art. 130R, affiancando ai principi della
prevenzione e della correzione quelli della precauzione e del livello elevato di tutela
8
Si vedano, tra le altre, Corte di Giustizia, 20 febbraio 1979, causa 120/78, Cassis de Dijon; Corte di
Giustizia, 7 febbraio 1985, causa 240/83, Oli usati. Sul ruolo svolto dalla Corte di Giustizia, in
dottrina: PILLITU, Profili costituzionali della tutela ambientale nell’ordinamento comunitario
europeo, Perugia, 1992, 1 ss.; FOIS, Il diritto ambientale nell’ordinamento dell’Unione europea, in
CORDINI-FOIS-MARCHISIO, Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Torino,
2005, 51 ss.
9
Tale programma ha previsto che “qualsiasi spesa connessa alla prevenzione ed all’eliminazione
delle alterazioni ambientali è a carico del responsabile”, anticipando così il principio “chi inquina
paga”.
10
Con l’Atto Unico sono stati sanciti i principi dell’azione preventiva, della correzione, anzitutto alla
fonte dei danni causati all’ambiente e del “chi inquina paga”. Sono stati altresì riconosciuti il principio
di integrazione e il principio di sussidiarietà. L’art. 130T ha indicato la regola secondo la quale i
provvedimenti di protezione ambientale adottati in ambito comunitario costituiscono soltanto lo
standard minimo obbligatorio per gli Stati membri, lasciando a questi ultimi la possibilità di prevedere
livelli di protezione più elevati.
11
Nello stesso anno di entrata in vigore dell’Atto Unico ha visto la luce il Quarto programma d’azione
comunitaria in materia ambientale nel quale, per la prima volta, è stato prospettato l’utilizzo di
strumenti economici per la protezione dell’ambiente. Esso fa esplicito riferimento allo “sviluppo di
strumenti economici efficaci quali tasse, canoni, aiuti statali, autorizzazioni di scarico negoziabili ai
fini dell’applicazione efficace del principio <<chi inquina paga>>”.
6
in materia ambientale, estendendo, peraltro, la portata del principio di sussidiarietà,
precedentemente circoscritta alle competenze attinenti la tutela dell’ambiente, a tutte
quelle concorrenti della Comunità 13
14
.
Con il Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999,
l’ambiente è divenuto valore fondamentale, obiettivo diretto (non più mediato) delle
politiche ed azioni comunitarie. All’ambiente è stato dedicato il Titolo XIX,
contenente gli artt. 174, 175,176 (ex artt. 130R, 130S, 130T).
L’art. 174 15 ha indicato tra gli obiettivi della Comunità in materia ambientale:
la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, la protezione
della salute umana, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, la
promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi
dell’ambiente a livello regionale o mondiale.
Esso ha statuito che “La politica della Comunità in materia ambientale mira
ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle
varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e
dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte,
dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio <<chi inquina paga>>” 16 .
Il Trattato di Amsterdam ha fatto ampio riferimento al principio dello
sviluppo sostenibile richiamato espressamente nel preambolo, nell’art. 2 TUE 17 -
12
L’art. 2 del Trattato ha statuito l’obiettivo della promozione di “uno sviluppo armonioso ed
equilibrato delle attività economiche” e “una crescita sostenibile (…) che rispetti l’ambiente”.
13
Il Trattato di Maastricht ha fatto propri gli orientamenti emersi a livello internazionale nel corso
della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 ed è
stato seguito dal varo del Quinto programma d’azione comunitaria in materia ambientale (1993)
basato sui principi di integrazione e di sviluppo sostenibile, il quale raccomandava un maggiore
ricorso agli strumenti economici ed in specie alla tassazione ambientale a livello comunitario.
14
Con il Trattato di Maastricht si è introdotta in materia ambientale la procedura di cooperazione con
decisione a maggioranza, salvi i casi eccezionali in cui è richiesta l’unanimità (c.d. settori delicati,
concernenti la materia fiscale, le misure relative all’assetto del territorio, la destinazione dei suoli, la
gestione delle risorse idriche, le misure incidenti sulle scelte nazionali di politica energetica).
15
L’art. 191 TFUE (ex art. 174 del TCE), quale unica novità rispetto all’art. 174 TCE aggiunge
nell’elencazione degli obiettivi dell’Unione in materia ambientale la lotta ai cambiamenti climatici.
16
L’art. 176 ribadisce che i provvedimenti adottati in materia ambientale in virtù dell’art. 175 non
impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione
ancora maggiore, purché compatibili col Trattato (maggiore protezione).
17
L’Unione promuove “(…) uno sviluppo equilibrato e sostenibile” (art. 2 TUE).
7
relativo agli obiettivi dell’Unione - e nell’art. 2 CE 18 , che elenca i compiti della
Comunità.
L’evoluzione della politica ambientale comunitaria può essere considerata il
portato delle elaborazioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della entrata
nella Comunità di paesi, quali l’Austria, la Svezia, la Finlandia, da sempre molto
attenti ai problemi ambientali 19 .
Va ricordato che nel periodo in questione la Comunità Europea ha aderito alla
Convenzione quadro sui cambiamenti climatici del 1992 - entrata in vigore nel 1994
e ratificata dall’Italia con la legge 14 gennaio 1994, n. 65 - il cui obiettivo consiste
nella “stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera ad un livello
tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umane con il sistema
climatico”.
E’ stata così stabilita una serie di impegni da rivedere periodicamente a
seguito di nuove scoperte scientifiche e della efficacia dei programmi climatici
nazionali.
Al fine di controllare l’applicazione della Convenzione è stato previsto lo
svolgimento di conferenze tra le parti (COP), con la partecipazione dei paesi
industrializzati, emergenti e sottosviluppati.
Tra queste vanno menzionate le Conferenze tenute a Berlino nel marzo-aprile
1995, a Roma nel dicembre 1995, a Kyoto nel dicembre 1997 20 , etc.
Con il Protocollo di Kyoto sono stati assunti impegni concreti con la
fissazione di target e tempi di raggiungimento degli stessi: i paesi firmatari si sono
impegnati a raggiungere determinati obiettivi di riduzione delle emissioni di gas
serra, responsabili del riscaldamento globale del Pianeta, differenziati per i paesi
18
“La Comunità ha il compito di promuovere (…) uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile
delle attività economiche” (art. 2 CE).
19
Il Trattato di Amsterdam ha sostituito alla procedura di cooperazione quella di codecisione, al fine
di valorizzare il ruolo del Parlamento. Resta ferma la procedura di voto all’unanimità per i settori c.d.
sensibili. Ha altresì istituito il Fondo di coesione, strumento finanziario per i progetti in materia
ambientale.
20
L’art. 25 del Protocollo prevedeva che lo stesso sarebbe entrato in vigore entro il novantesimo
giorno successivo alla data in cui un numero non inferiore a 55 Stati firmatari, responsabili almeno del
55% delle emissioni di biossido di carbonio, avessero ratificato l’accordo.
8
industrializzati ed in via di sviluppo 21 , in applicazione del principio della
“responsabilità comune ma differenziata”, secondo il quale i paesi industrializzati si
assumono una maggiore responsabilità nella riduzione delle emissioni di gas serra,
tenuto conto delle specifiche esigenze economiche dei paesi in via di sviluppo 22 .
Resta ferma la facoltà dei singoli paesi di adottare le politiche e le misure ritenute più
confacenti al proprio ecosistema complessivo.
Al momento della firma del Protocollo la Comunità europea ha dichiarato
l’impegno congiunto di tutti i paesi membri al raggiungimento degli obiettivi ivi
fissati 23 .
Diversamente dai paesi europei, tuttavia, la Russia, l’Australia e gli Stati
Uniti - paesi maggiormente responsabili dell’inquinamento atmosferico - si sono
rifiutati di rispettare obiettivi e date, minando ab origine il raggiungimento degli
obiettivi fissati.
L’interesse della Comunità per il coordinamento delle politiche energetiche
ed ambientali degli Stati membri si era manifestata nel 1992 anche attraverso la
presentazione
da
parte
della
Commissione
di
un
progetto
di
direttiva
sull’introduzione di un’imposta mista atta a colpire i consumi specifici delle diverse
fonti energetiche e le emissioni di CO2 da parte dei grandi impianti termici, con
l’obiettivo di ridurre l’emissione di gas ad effetto serra nell’area del mercato comune.
Alla proposta di direttiva non è stato dato seguito a causa della ostilità
manifestata dai paesi produttori di petrolio, nonché dagli stessi paesi membri
convinti della necessità che una siffatta forma di imposizione dovesse trovare
regolamentazione a livello internazionale e non solo comunitario, onde evitare i
21
L’Unione si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra dell’8% (l’Italia del 6,5%) - rispetto ai
livelli del 1990 per i gas da combustione (anidride carbonica, metano e ossidi di azoto) e del 1995 per
quelli di origine chimica (perfluorocarburo, idrofluorocarburo ed esafluoruro di zolfo) nel periodo
2008-2012. Gli Stati Uniti si sono impegnati ad una riduzione del 6%, il Giappone del 7%. La Cina ed
altri paesi in via di sviluppo hanno ottenuto l’esenzione da qualsiasi impegno in tal senso.
22
Gli obiettivi sanciti dal Protocollo di Kyoto consistono: nel miglioramento dell’efficienza
energetica; nell’intervento correttivo delle imperfezioni del mercato attraverso l’impiego di incentivi
ed agevolazioni fiscali; nella promozione dell’agricoltura sostenibile; nell’abbattimento delle
emissioni nel settore dei trasporti; nell’informazione rivolta a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese
(c.d. comunicazioni nazionali); nell’utilizzo di campagne nazionali di sensibilizzazione e
comunicazione sulle azioni intraprese e da intraprendere.
23
Come evidenziato in un recente contributo da POZZO, Le politiche comunitarie in campo
energetico, in Riv. Giur. Ambiente, 2009, 6, 841, l’accordo raggiunto a Kyoto ha rappresentato un
9
riflessi negativi che l’introduzione del tributo avrebbe prodotto sulla competitività
dei loro prodotti al di fuori del territorio dell’Unione e soprattutto nei confronti di
Stati Uniti e Giappone.
La mancata introduzione della carbon tax comunitaria ha lasciato ai paesi
membri la libertà di disciplinare differentemente il tributo sia per quanto concerne il
campo di applicazione che le modalità di applicazione e le aliquote 24 .
Ulteriori tappe nella evoluzione della politica ambientale europea sono
rappresentate dal Trattato di Nizza del 2001, entrato in vigore nel 2003, dal Trattato
costituzionale del 2004 25 e dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre del 2007
ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 26 .
In verità, i Trattati summenzionati hanno lasciato inalterato il quadro
normativo in materia ambientale sotto il profilo sostanziale, intervenendo per lo più
sugli aspetti procedurali 27 .
Il trattato di Lisbona presta una specifica attenzione alla questione energetica,
dedicando un apposito Titolo, il XXI, all’energia e statuendo all’art. 194 TFUE che
“(…) tenendo conto dell’esigenza di preservare e migliorare l’ambiente, la politica
dell’Unione nel settore dell’energia è intesa, in uno spirito di solidarietà 28 tra Stati
membri, a: a) garantire il funzionamento del mercato dell’energia, b) garantire la
sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione, c) promuovere il
passo importante verso il rafforzamento della dimensione ambientale della politica energetica
comunitaria con specifico riguardo alle energie rinnovabili.
24
La carbon tax europea avrebbe probabilmente garantito un gettito elevato e avrebbe incoraggiato
comportamenti virtuosi diretti al conseguimento della efficienza energetica: l’aumento dei prezzi dei
combustibili inquinanti ne avrebbe determinato la sostituzione con “energie pulite”, oltre a produrre
una riduzione della tassazione sui redditi e sul lavoro, così come hanno dimostrato i risultati in termini
di riduzione di emissioni inquinanti raggiunti in quei paesi (Danimarca, Finlandia, Olanda, Norvegia e
Svezia) che negli anni Novanta hanno impresso una svolta alla fiscalità ambientale attraverso
l’introduzione della tassazione sulle emissioni di carbonio. Si veda, ROODMAN, La ricchezza
naturale delle nazioni. Come orientare il mercato a favore dell’ambiente, Milano, 1998, 106.
25
La delicata fase della ratifica nei singoli Stati si è interrotta nel momento in cui i cittadini di Francia
e Paesi Bassi hanno espresso il loro voto negativo alla ratifica della Costituzione in due consultazioni
referendarie svoltesi il 29 maggio e il 1° giugno 2005.
26
Nel 2002 è stato adottato il Sesto programma di azione comunitaria in materia ambientale,
incentrato sui principi di integrazione, sviluppo sostenibile, che ha puntato, come il precedente
programma, sugli strumenti volontari di protezione ambientale, attribuendo grande risalto al problema
del cambiamento climatico derivante dalle emissioni di gas ad effetto serra.
27
Si è affermato che questi atti abbiano deluso le aspettative di quanti confidavano in un ulteriore
progresso dei valori ambientali nell’ambito delle politiche comunitarie. Si veda RENNA, Ambiente e
territorio… , cit., 660.
10
risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e
rinnovabili, d) promuovere l’interconnessione delle reti energetiche” 29 .
E’ evidente come la politica energetica debba tener conto delle esigenze di
tutela ambientale.
Al termine di questo breve excursus, è bene passare sinteticamente in
rassegna il significato dei principi fondanti il diritto ambientale europeo, che sono
stati precedentemente enunciati.
La tutela dell’ambiente nell’Unione è retta dai seguenti principi cardine:
-
sussidiarietà: si tratta di un principio sancito per la prima volta in ambito
ambientale dall’Atto Unico all’art. 130R, poi esteso a tutti i settori di intervento che
non sono di competenza esclusiva della Comunità, in virtù del quale l’Unione agisce
nella misura in cui gli obiettivi individuati possono essere meglio realizzati in sede
comunitaria piuttosto che a livello dei singoli Stati membri (art. 4 TUE);
-
differenziazione: principio enunciato per ben due volte nell’art. 174 del
Trattato (oggi art. 191 TFUE, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona), dove
si prevede che la politica comunitaria ambientale tiene conto della diversità delle
situazioni e delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni della Comunità;
-
integrazione: in ragione di questo principio, riconosciuto il carattere
trasversale della materia ambientale, ogni intervento normativo o azione
amministrativa, attinente a qualsiasi materia, deve farsi carico delle esigenze di tutela
dell’ambiente;
-
sviluppo sostenibile: principio secondo il quale l’obiettivo dello sviluppo
deve essere realizzato in modo da non compromettere la qualità dell’ambiente e la
disponibilità delle risorse naturali, la qualità della vita e le future possibilità di
sviluppo tanto delle generazioni presenti quanto di quelle future;
28
E’ stato per la prima volta previsto il principio di solidarietà affinché un paese che si trovi in gravi
difficoltà nell’approvvigionamento energetico possa contare sull’aiuto degli altri Stati membri.
29
Il 10 gennaio 2007 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure relative al settore
dell’energia sotto forma di una serie di Comunicazioni al Consiglio e al Parlamento europeo,
contenente le nuove proposte per “Una politica energetica per l’Europa” (COM (2007)1 def.). Sulla
scorta di quanto indicato da quest’ultima Comunicazione i tre obiettivi strategici che l’Unione
Europea deve impegnarsi a raggiungere entro il 2020 sono: la riduzione del 20% delle emissioni di
CO2 rispetto ai livelli del 1990; una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 20% dei
consumi energetici europei; una quota di consumi da biocarburanti pari al 10% dei consumi europei
dei combustibili per i trasporti.
11
-
elevato livello di tutela: questo principio richiede che il contemperamento
degli interessi ambientali con gli altri interessi debba avvenire riservando alla
protezione dell’ambiente una considerazione “elevata”;
-
prevenzione
(o
azione
preventiva):
questo
principio
impone
la
predisposizione di misure atte a prevenire (eliminare o ridurre) il rischio che si
verifichino dei danni ambientali, anche in considerazione del fatto che le misure di
riparazione ex post dei danni cagionati all’ambiente hanno un costo di gran lunga
superiore a quelle di prevenzione;
-
proporzionalità: si tratta di un principio di portata generale, applicabile
pertanto anche alla materia ambientale, secondo cui l’azione della Comunità non può
andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi (art. 4 TUE);
-
precauzione: principio sancito dall’art. 174, par. 2 del Trattato CE (ora art.
191 par. 2), consistente nell’antecedente logico del principio di prevenzione, in virtù
del quale gli Stati membri devono adottare misure di protezione ambientale anche
quando non vi siano prove sufficienti a dimostrare che una determinata condotta o
omissione sia dannosa per l’ambiente, ma sussista un dubbio scientificamente
attendibile che possa esserlo;
-
correzione dei danni innanzitutto alla fonte: secondo questo principio, in caso
di fallimento dell’obiettivo di prevenzione dei danni all’ambiente, è necessario
intervenire ex post per il ripristino dello status quo ante;
-
“chi inquina paga”: chi produce danni all’ambiente è chiamato a risponderne
nei confronti della collettività.
2.1. La tutela dell’ambiente in Italia.
Per quanto attiene più specificamente alla politica di protezione ambientale in
Italia, merita di essere innanzitutto rimarcato che la tutela dell’ambiente ha stentato
ad affermarsi nel nostro paese, oltre che per la lenta e difficile maturazione di una
cultura sensibile alla sostenibilità ambientale delle attività umane e delle politiche di
sviluppo economico, anche per la mancanza di una norma costituzionale che
affermasse chiaramente il principio della tutela dell’ambiente.
12
Molti paesi membri della Comunità europea, contrariamente all’Italia, hanno
rapidamente recepito nelle loro Carte costituzionali o attraverso provvedimenti
normativi di portata generale i principi comunitari in materia ambientale 30 .
La giurisprudenza costituzionale ha supplito alla inerzia del legislatore
costituzionale rinvenendo, a partire dagli anni Settanta, il fondamento della
salvaguardia dell’ambiente - e dunque anche della fiscalità ambientale - in Italia nel
combinato disposto degli artt. 9 31 e 32 Cost. 32 , nonché nell’art. 117 Cost.
La lettura congiunta dell’art. 9 e dell’art. 32 ha consentito di enucleare il
diritto ad un “ambiente salubre”, estendendo la tutela della salute fino al punto di
ricomprendervi la salubrità ambientale 33 , così garantendo la configurabilità di un
diritto tutelabile in giudizio e tale da indirizzare la politica ambientale attraverso una
gestione globale delle risorse naturali 34 .
Una tappa fondamentale nell’evoluzione della normativa ambientale in Italia
è rappresentata dalla legge costituzionale del 2001, n. 3, la quale ha riformato il
Titolo V, Parte II, della Costituzione 35 , introducendo significative novità nel riparto
di competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali, nell’ottica del rafforzamento delle
30
CORDINI, Principi costituzionali in tema di ambiente e giurisprudenza della Corte Costituzionale
italiana, in Riv. Giur. Ambiente, 2009, 5, 611 ss., evidenzia come in Italia è stata la giurisprudenza di
merito, in particolare quella pretoriale, a dedicare attenzione alla questione ambientale, ricorrendo
all’applicazione delle norme di diritto civile sulla proprietà e sul risarcimento del danno, nonché alle
norme penali che tutelano l’incolumità della persona e l’integrità dei beni. Solo successivamente il
legislatore è intervenuto attraverso l’istituzione del Ministero dell’ambiente, delle Agenzie ambientali
ed emanando normative di settore (aria, acqua, rifiuti, etc.) per la protezione delle risorse ambientali
dall’inquinamento, traendo impulso dalla normativa comunitaria.
31
L’art. 9 Cost. inserisce tra i principi fondamentali della nostra costituzione la tutela del paesaggio e
del patrimonio storico e artistico.
32
L’art. 32 Cost. è dedicato alla tutela della salute. Osserva CHIARELLI, Lo Stato e l’assistenza
sanitaria, in Scritti di diritto pubblico, Milano, 1977, 654, che la norma costituzionale non riconosce
un diritto alla salute, bene naturale per il quale non possono aversi diritti, bensì afferma il diritto alla
tutela della salute, cioè all’azione pubblica diretta alla sua protezione.
33
In tal senso, CORDINI, Principi costituzionali… , cit., 612.
34
Sulla interpretazione evolutiva delle norme contenute negli artt. 9 e 32 Cost. si veda, Corte Cost., 30
dicembre 1987, n. 641, nella quale la Consulta afferma che la tutela dell’ambiente assurge a “valore
primario ed assoluto” in quanto elemento determinante la “qualità della vita”. In dottrina, ex multis,
CAPACCIOLI-DAL PIAZ, Ambiente (tutela dell’). Parte generale e diritto amministrativo, voce
Appendice Novissimo Dig. It., Torino, 1980, I, 257 ss.; ALMERIGHI-ALPA, Diritto e ambiente.
Materiali di dottrina e giurisprudenza, Padova, 1984; DELL’ANNO, Manuale di diritto
dell’ambiente, Padova, 2000.
35
Sulla riforma operata con la legge del 18 ottobre 2001, n. 3, si vedano CARAVITA, La costituzione
dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002, 19; MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano,
Torino, 2002, 40; FORLENZA-TERRACCIANO, Regioni ed enti locali dopo la riforma
costituzionale, Milano, 2002, 19.
13
attribuzioni delle Autonomie locali nei settori che non siano di esclusiva competenza
dello Stato, all’interno di un rapporto sostanzialmente paritetico tra tutti gli enti
territoriali 36 .
L’art. 117 37 , comma 2, lett. s, così come novellato, attribuisce allo Stato la
competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali”, mentre colloca tra le materie di legislazione concorrente la
“valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “tutela della salute”,
competenze certamente afferenti alla tutela ambientale38 .
Esso amplia il quadro costituzionale della protezione dell’ambiente già
delineato, sebbene flebilmente, dagli artt. 9 e 32 Cost.
Non va, tuttavia, sottaciuto che in Italia, diversamente da quanto avvenuto in
altri paesi, la revisione costituzionale non si è tradotta nella costituzionalizzazione di
un principio fondamentale che sancisse esplicitamente la tutela dell’ambiente.
L’art. 117, sembrerebbe attribuire, prima facie, allo Stato, in una visione
centralistica dei rapporti tra i vari livelli di governo, ogni competenza in materia
ambientale, marginalizzando così il ruolo delle Regioni.
Ma una tale interpretazione del testo costituzionale va respinta in quanto
contraria alla ratio della riforma.
L’esegesi più coerente della norma contenuta nell’art. 117 Cost., avallata
dalla giurisprudenza della Consulta, è quella che riconosce nella tutela dell’ambiente
una materia trasversale, che coinvolge ed intreccia vari interessi, pervadendo le
36
Cfr. BORIA, Il sistema tributario, Milano, 2008, 911.
L’art. 117, nella sua versione post riforma, statuisce che “La potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Come evidenziato dalla dottrina, la norma de qua fa riferimento ad una generale soggezione del nostro
ordinamento a quello comunitario, non a specifici obblighi. Cfr. FERRARI-PARODI, Stato e regioni
di fronte al diritto comunitario ed internazionale, in FERRARI-PARODI (a cura di), La revisione
costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo. Problemi applicativi e linee
evolutive, Padova, 2003, 429 ss.
38
VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass.
Tributaria, 2003, 5, 1632, evidenzia che la scelta operata dal legislatore di distinguere tra la
competenza in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema - attribuita allo Stato - e la
competenza concorrente in materia di valorizzazione dei beni ambientali e culturali, suscita più di
qualche perplessità, stante la difficoltà di distinguere i confini tra l’una e l’altra attività.
37
14
competenze legislative, regolamentari e amministrative ad ogni livello, sia centrale
che periferico 39 .
Pertanto, è possibile affermare, alla luce dell’interpretazione della Corte
costituzionale, che quando il legislatore ha attribuito allo Stato la competenza in
ordine alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, ha inteso
riservare alla legislazione esclusiva dello Stato la fissazione di standard minimi di
tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, al fine di stabilire livelli “adeguati e
non riducibili di tutela” 40 , ferma restando la facoltà delle Regioni di predisporre
misure di protezione più rigorose 41 , e non escludendo la competenza regionale in
materie collegate alla salvaguardia dell’ambiente, che rientrano nella legislazione
concorrente (ad esempio, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali
e ambientali, la tutela della salute).
Del resto, anche in ossequio al principio di sussidiarietà 42 , oramai
costituzionalizzato all’art. 118, comma 1, Cost., l’intervento sugli ecosistemi locali
andrebbe più correttamente riconosciuto alle Regioni e agli Enti locali.
Sotto il profilo più propriamente tributario, posto che la tutela dell’ambiente
resta certamente affidata allo Stato, le Regioni, tenuto conto delle caratteristiche del
territorio, potranno istituire tributi ambientali, realizzando una competenza regionale
in materia di ambiente, seppur in coordinamento con lo Stato, al fine di garantire
l’unitarietà del sistema.
2.2. Gli strumenti della politica ambientale.
I Paesi industrializzati hanno destinato negli ultimi anni quote crescenti del
proprio reddito nazionale alla tutela dell’ambiente.
39
Cfr. Corte Cost., 26 luglio 2002, n. 407; Corte Cost., 20 dicembre 2002, n. 536; Corte Cost., 16
giugno 2005, n. 232; Corte Cost., 5 maggio 2006, nn. 182 e 183.
40
Così, Corte Cost., 5 marzo 2009, n. 61.
41
Cfr. Corte Cost., 15 aprile 2008, n. 102; Corte Cost., 23 gennaio 2009, n. 12; Corte Cost., 06
febbraio 2009, n. 30; Corte Cost., 5 marzo 2009, n. 61.
42
“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regione e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” (art. 118, comma 1, Cost.).
15
La compromissione dell’ecosistema, infatti, produce costi sociali la cui
copertura richiede l’adozione di specifiche politiche economiche dirette al
reperimento di consistenti risorse finanziarie.
Gli strumenti a tal fine utilizzabili sono molteplici e oggi si ritiene che i
migliori risultati siano raggiungibili adottandoli in un ben determinato mix.
Inizialmente le politiche ambientali si sono avvalse in via esclusiva di
strumenti di regolamentazione diretta a carattere giuridico-amministrativo (c.d.
strumenti di command and control), che si sostanziano nella fissazione di limiti al
comportamento degli operatori economici che producono inquinamento (fase di
command) e nel successivo controllo del rispetto da parte degli stessi soggetti delle
norme restrittive poste a tutela dell’ambiente (fase di control), con conseguente
previsione, in caso di inadempimento, di sanzioni amministrative o, nei casi più
gravi, del blocco delle attività inquinanti.
Essi si fondano sulla previsione di standard uniformi, ossia di limiti di
accettabilità di inquinamento sostenibile, calcolati in base ad un compromesso tra
esigenze di salvaguardia ambientale e costi del disinquinamento 43 , vale a dire sulla
fissazione di obiettivi di second best.
Le misure di regolamentazione diretta hanno avuto larga diffusione a motivo
della loro semplicità, ma si sono rivelate inefficaci ai fini della tutela ambientale.
Tali sistemi incidono in misura limitata sulla formazione dei prezzi, pertanto
non incentivano l’adozione di processi produttivi innovativi e meno inquinanti, né
consumi di prodotti sostitutivi rispetto a quelli che determinano il deterioramento
delle risorse naturali: non producono, dunque, significativi effetti sui modelli di
produzione e consumo.
43
La stima dei danni cagionati all’ambiente è piuttosto complessa e non può che essere
approssimativa per diversi motivi: l’entità del danno non è direttamente proporzionale alla quantità del
singolo inquinante immesso nell’ambiente, in quanto i diversi agenti interagiscono tra di loro
moltiplicando il proprio effetto dannoso (sinergie); i danni alla salute, all’ambiente non hanno prezzo
di mercato e la loro stima è il risultato di giudizi di valore di natura politica e sociale. Cfr.
OSCULATI, La tassazione ambientale, Padova, 1979, 13.
16
Essi scontano, poi, da un lato una elevata rigidità, che non consente di tener
conto delle differenze esistenti tra i diversi produttori, e dall’altro una eccessiva
burocratizzazione, soprattutto in riferimento alla fase del controllo 44 .
Constatata l’inadeguatezza degli strumenti giuridici, si è diffusa, a partire
dagli anni Settanta, la convinzione che la salvaguardia dell’ambiente dovesse
realizzarsi attraverso l’impiego di strumenti economico-finanziari, che secondo la
definizione fornita dall’OCSE consistono in “tutte quelle misure che incidono sulle
scelte tra diverse alternative tecnologiche o di consumo, attraverso la modificazione
delle convenienze in termini di costi e benefici privati”.
La considerazione del problema ambientale in termini economici ha condotto
alla utilizzazione di strumenti idonei alla “internalizzazione delle esternalità
ambientali”, partendo dal presupposto che l’inquinamento, in quanto effetto esterno
al mercato, rappresenta una diseconomia esterna 45 e produce dei costi sociali: gli
effetti dannosi per l’ambiente derivanti dallo svolgimento di un’attività economica
(produzione o consumo) non si traducono, in assenza di appositi correttivi, in
maggiori costi per coloro i quali la pongono in essere, ma ricadono su soggetti terzi
(la collettività) che devono sopportarne le conseguenze 46 .
La supposta gratuità delle risorse naturali, rinnovabili e non, ne determina un
uso improprio, che non tiene conto del loro valore d’uso, al quale può porsi rimedio
attraverso una politica di differenziazione dei prezzi diretta a contenere gli sprechi e
44
PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 158 ss., individua un esempio di
regolamentazione inefficace nella legge n. 319 del 1976 (legge Merli) sulla disciplina degli scarichi: le
disposizioni contenute nella legge presentavano una certa rigidità, non prevedendo distinzioni tra
scarichi di inquinanti biodegradabili e tossici, e i controlli si sono rivelati inefficienti. Sicché, la legge
ha prodotto esiti fallimentari in termini di efficacia della tutela ambientale.
45
Si verifica una esternalità quando un soggetto (impresa o individuo), nello svolgimento della
propria attività, arreca ad altri un beneficio per cui non può pretendere un compenso (economia
esterna) o un danno per il quale non deve alcun risarcimento (diseconomia esterna) in un ammontare
di uguale valore dei benefici e dei danni arrecati. Le esternalità determinano uno scostamento tra il
beneficio netto privato e quello sociale e rappresentano, pertanto, una causa di fallimento del mercato.
Quest’ultimo non riesce a raggiungere una posizione di ottimo, in quanto il singolo non è obbligato a
tener conto nel proprio calcolo economico delle conseguenze esterne del suo agire, delle quali non è
chiamato a rispondere o per le quali non può esigere un compenso. Cfr. LECCISOTTI, Lezioni di
Scienza delle Finanze, Torino, 1997, 37 ss.
46
Il danno prodotto genera un onere per la collettività la cui misura è data dalla minore fruibilità delle
risorse ambientali da parte degli individui.
17
a trasferire sui diretti responsabili delle diseconomie esterne (produttori e
consumatori) i costi del disinquinamento47 .
Invero, la nozione di strumenti economico-finanziari in ambito ambientale ha
portata piuttosto ampia, ricomprendendo tanto strumenti incentivanti, quali i
contributi per l’innovazione tecnologica, le facilitazioni creditizie, le agevolazioni ed
esenzioni fiscali, quanto misure che incidono direttamente sul sistema dei prezzi, tra
le quali possono annoverarsi i tributi, i diritti di inquinamento, i depositi cauzionali
rifondibili.
L’OCSE individua le seguenti categorie di strumenti economici finalizzati
alla tutela dell’ambiente: tasse 48 (o imposte) e tariffe, che possono avere funzione
incentivante/disincentivante o di gettito o entrambe; sussidi, che consistono in aiuti
finanziari aventi la finalità di incentivare l’adozione di misure o lo svolgimento di
attività dirette alla riduzione dell’inquinamento; depositi cauzionali, ossia
sovrapprezzi sulla vendita di prodotti inquinanti che possono essere restituiti in caso
di riciclaggio dei prodotti stessi; penalità o altre misure di deterrenza quali le
fideiussioni applicabili ai soggetti che svolgono attività inquinanti; permessi
negoziabili e altri interventi sul mercato volti a determinare la sostituzione dei
processi produttivi inquinanti con processi produttivi innovativi a minore impatto
ambientale 49 .
47
Il rapporto tra ambiente e attività economiche produce un caso tipico di “fallimento del mercato”,
che può essere risolto solamente con articolati interventi statali diretti a controllare le crescenti
diseconomie ambientali al fine di garantire un più efficiente funzionamento del mercato stesso.
48
Come puntualmente evidenziato da GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione
ambientale, in Rass. Trib., 1999, 1, 116, nota 4, le espressioni “tassazione ambientale” e “tassa
ambientale” sono proprie del linguaggio economico e vengono utilizzate nei documenti internazionali.
Dal punto di vista giuridico, più correttamente, deve parlarsi di tributo ambientale sia che si faccia
riferimento ad imposte o tasse aventi una mera “funzione ambientale” sia che si vogliano indicare
tributi aventi un “presupposto ambientale”.
49
TURNER-PEARCE-BATEMAN, Economia ambientale, Bologna, 1996, classificano gli strumenti
economici di controllo dell’inquinamento in tre tipologie: tasse ambientali, sussidi e sistema depositorimborso, nel quale rientrano i permessi ad inquinare, le assicurazioni contro i rischi di responsabilità
civile dell’inquinatore, etc. I sussidi sono finanziamenti concessi al fine di orientare la produzione in
senso ambientale e possono assumere la forma di sovvenzioni, prestiti agevolati, sgravi fiscali. Tra i
permessi si può annoverare il sistema proposto dall’economista Kenneth Boulding nel 1964, che
prevede la messa all’asta da parte dello Stato di un dato numero di permessi ad inquinare che le
imprese possono acquistare e successivamente trasferire ad altre imprese. Si tratta di un sistema
diffusosi negli anni Ottanta soprattutto negli Stati Uniti, mentre in Europa ha prevalso il ricorso alla
tassazione quale strumento finalizzato all’internazionalizzazione delle esternalità.
Entrambi i sistemi trasformano il mercato in “un servizio per l’ambiente”, con la differenza che
attraverso i permessi ad inquinare si stabilisce a monte l’ammontare dei danni e poi si demanda al
18
Risulta evidente come nella classificazione dell’OCSE la fiscalità ambientale
rappresenti solamente uno degli strumenti economici utilizzabili ai fini della
salvaguardia dell’ambiente.
Il rinnovato approccio economico alla questione ambientale si è risolto, a
partire dagli anni Ottanta, per lo più nell’utilizzo di strumenti incentivanti50
(agevolazioni fiscali 51 e contributi economici per l’ammodernamento degli impianti)
piuttosto che di imposte o tasse ambientali.
Gli incentivi mirano ad incidere sulle convenienze dei produttori spingendoli
ad investire in sistemi produttivi meno inquinanti.
Essi si sono rivelati di efficacia limitata, poiché non si prestano ad un impiego
generalizzato - tendendo a far gravare sulla collettività, piuttosto che sugli
inquinatori, i costi delle politiche di disinquinamento - e devono essere impiegati,
così dimostra l’esperienza, in abbinamento con sistemi di regolamentazione diretta 52 .
La Comunità europea, ai fini della armonizzazione degli interventi nazionali
in campo ambientale, ha più recentemente spinto verso la diffusione di tributi
ecologici, con l’intento di far gravare sui soggetti responsabili dei danni provocati
all’ambiente, i relativi costi, in applicazione del principio “chi inquina paga”.
mercato la determinazione del prezzo, viceversa con la tassazione si fissa il prezzo lasciando al
mercato la determinazione dell’ammontare dei danni ambientali.
50
L’impiego in ambito europeo degli strumenti di incentivazione fiscale deve risultare rispettoso dei
principi di “non discriminazione” e di “proporzionalità”; ciò sta a significare che non è possibile
introdurre discriminazioni tra prodotti nazionali e comunitari, che deve sempre sussistere un rapporto
di proporzionalità tra gli obiettivi prefissati ed il contenuto economico della misura fiscale adottata e
che deve essere rispettata la disciplina degli aiuti di Stato. Invero, la nuova disciplina comunitaria
degli aiuti di Stato per la tutela ambientale (Comunicazione del 1° aprile 2008, n. 2008/C82/01),
considera gli stessi, poste determinate condizioni, quale misura idonea a correggere i fallimenti del
mercato e a promuovere lo sviluppo sostenibile.
51
Per LAROMA JEZZI, I tributi ambientali, in RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte speciale,
Milano, 2002, 321, l’obiettivo della salvaguardia dell’ambiente può essere efficacemente perseguito
attraverso le agevolazioni, strumento di carattere tributario che presenta il duplice pregio di non avere
costi di gestione e di eliminare il pericolo di evasione, gravando sullo stesso soggetto beneficiario
l’onere di fornire la prova della sussistenza del presupposto per l’applicazione della agevolazione
stessa.
52
E’ di tutta evidenza che gli strumenti incentivanti producono effetti positivi solamente se rendono i
processi produttivi sostitutivi, la cui adozione intendono promuovere, realmente più convenienti dei
processi che si intende sostituire.
19
Il primo a proporre l’introduzione di tasse ambientali al fine di correggere le
distorsioni che l’inquinamento provoca sul funzionamento del mercato, nella
letteratura economica, è stato l’economista Arthur Cecil Pigou 53 .
Le tasse pigouviane producono un aumento dei costi a carico dei responsabili
del degrado ambientale, ottenendo il pareggio tra costi di produzione e costi sociali.
Internalizzando, così, le diseconomie esterne causate dal danneggiamento
dell’ecosistema, si ottiene come effetto la traslazione dei maggiori costi di
produzione sui prezzi di offerta con conseguente riduzione, in ragione della elasticità
della domanda 54 , delle quantità domandate ed offerte dei prodotti inquinanti 55 , a tutto
beneficio della salute dell’ecosistema.
L’impiego degli strumenti economici, ed in particolare della fiscalità, per
fronteggiare il problema ambientale risulta più efficace dell’impiego di misure di
regolamentazione diretta 56 , poiché minimizza i costi connessi al raggiungimento dei
prefissati obiettivi di politica ambientale: la regolamentazione diretta implica lo
svolgimento di un’attività amministrativa più complessa rispetto a quella richiesta
dalla introduzione di tasse ecologiche, nonché la conoscenza da parte del regolatore
della funzione dei costi di disinquinamento delle imprese al fine della fissazione
degli standard, ciò che non è necessario nel caso delle tasse 57 .
53
PIGOU, The economics of Welfare, Londra, 1932. Traduzione italiana di EINAUDI, L’economia
del benessere, Torino, 1968.
54
L’elasticità della domanda e le possibilità effettive di traslazione condizionano pesantemente
l’efficacia della tassazione ambientale, che pertanto dipende dalle condizioni del mercato.
55
La teoria pigouviana è stata poi ripresa e perfezionata da altri economisti che hanno collegato
all’introduzione delle tasse ambientali la riduzione di altre forme di imposizione, perseguendo
l’obiettivo di riformare i sistemi fiscali in senso ambientale. In tal senso, SANDMO, Optimal
Taxation in the Presence of Externalities, Swedish Journal of Economics, vol. 77, 1975.
Tra i Paesi che per primi hanno sperimentato una riforma fiscale in senso ambientale va ricordata la
Svezia (1992), in cui, grazie alle maggiori entrate derivanti dalla introduzione di due tributi
sull’energia (sulle emissioni di carbonio e sulle emissioni di anidride solforosa), si è potuta operare
una riduzione dell’imposizione sui redditi, riducendo contestualmente le emissioni di gas inquinanti.
56
Uno dei casi in cui evidentemente la fiscalità ecologica ha mostrato la sua efficacia è quello della
imposta applicata all’inquinamento delle acque dei canali, dei fiumi, dei laghi nei Paesi Bassi,
introdotta nel 1970, che ha condotto le imprese inquinanti a ridurre volontariamente gli scarichi
industriali ed ha determinato una sensibile riduzione degli scarichi di cadmio, cromo, rame, piombo,
etc.
Hanno poi sortito importanti effetti sulla riduzione dell’inquinamento delle acque le tasse applicate
sulle vendite di fertilizzanti in Svezia nel 1982 e 1984, tanto che le stesse, avendo raggiunto
l’obiettivo di orientare l’agricoltura in senso ambientale, sono state poi abolite.
57
PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 164 ss., osserva che la riduzione
dell’inquinamento non avviene in maniera uniforme tra tutte le imprese, le quali realisticamente
20
E’ stata, altresì, proposta l’introduzione di tributi ecologici in combinazione
con strumenti di command and control: da un lato l’imposta rappresenta un elemento
di flessibilità, in quanto modificabile a seconda degli obiettivi ambientali, il che
riduce le critiche di eccessiva rigidità delle misure di regolazione diretta; dall’altro si
superano le critiche all’utilizzo dello strumento fiscale, considerato una sorta di
licenza ad inquinare 58 .
Stante la complessità delle problematiche ambientali, si è prospettato un
approccio integrato alle stesse che faccia leva su di un mix di misure piuttosto che su
di un singolo strumento 59 .
Nonostante la predilezione manifestata dalla teoria economica per lo
strumento fiscale e gli indubbi successi dallo stesso raggiunti nei paesi che hanno
riformato il proprio sistema tributario in senso ecologico, le tasse ambientali
scontano una sorta di diffidenza, che ne ha frenato la diffusione, sia perché tacciate
di attribuire una sorta di diritto ad inquinare ai soggetti inquinatori sia perché
accusate di favorire l’inasprimento della pressione tributaria, già piuttosto elevata in
molti paesi 60 .
Spesso, poi, al fine di rendere l’introduzione di nuovi tributi più tollerabile da
parte dei contribuenti se ne proclama la natura ambientale, sebbene la finalità
ambientale sia del tutto estranea alla fattispecie tributaria o assuma un ruolo del tutto
marginale.
Invero, si ritiene auspicabile, anche alla luce degli indirizzi comunitari, che
l’introduzione di imposte e tasse ecologico-ambientali
sia accompagnata dalla
riduzione del prelievo sui redditi di lavoro di modo da lasciare invariata la pressione
presentano una funzione dei costi di disinquinamento differente, come invece accade con l’impiego
delle misure di regolamentazione diretta.
58
BAUMOL-OATES, The theory of environmental policy, Cambridge University press, 1991.
59
OECD, Instrumentt Mixes for Environmental policy, 2007, passim.
60
Lo scarso successo delle tasse ecologiche è probabilmente da attribuire anche al fatto che esse sono
state impiegate in modo improprio, vale a dire con aliquote insufficienti a garantirne l’efficacia in
relazione al trasferimento dei costi sociali di inquinamento in capo al produttore: un livello di
tassazione non adeguato non è in grado di eliminare le distorsioni prodotte dall’inquinamento sul
funzionamento del mercato. Cfr. PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 166.
21
fiscale complessiva, ottenendo conseguentemente un maggiore consenso e
stimolando la partecipazione dei cittadini alle politiche ambientali 61 .
È prospettabile, in tal modo, una ristrutturazione del sistema tributario in
chiave ambientalistica in cui l’imposizione ambientale si presenti non come
incrementativa, bensì sostitutiva di altre forme di prelievo (riduzione dei livelli di
tassazione su salari e redditi familiari in generale), e conseguentemente scevra da
impatti negativi sulla competitività internazionale, secondo la logica comunitaria
della “neutralità fiscale”.
Tale riforma fiscale non potrà che essere varata tenendo conto delle
differenze geofisiche del territorio e nell’ottica della valorizzazione delle risorse
naturali locali al fine di assicurare, nell’ambito delle politiche ambientali
sovranazionali e nazionali, una più equilibrata distribuzione dei carichi fiscali tra le
varie articolazioni territoriali 62 .
Nel quadro del federalismo fiscale, i tributi ambientali potrebbero essere
introdotti autonomamente dagli enti territoriali, tenendo conto delle specifiche
esigenze ambientali e di gettito locali, valorizzando così l’autonomia di entrata delle
regioni e degli enti locali.
3. La nozione di tributo ambientale.
Nell’ambito delle misure economiche dirette alla salvaguardia dell’ambiente,
l’OCSE annovera la fiscalità ambientale definita come il complesso di strumenti 61
PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 189; TREMONTI-GERELLI, Tassazione,
consumo e ambiente, Milano, 1991.
62
L’azione dell’Unione europea è volta a perseguire una razionale ed armonica politica di tassazione
ambientale, seppure nel rispetto delle esigenze e delle istanze locali. Invero, i paesi membri, in
applicazione del principio di sussidiarietà, sono liberi di scegliere le metodiche e i principi attraverso
cui armonizzare la propria legislazione fiscale in campo ambientale con le direttive comunitarie. Se
un’armonizzazione tra le legislazioni nazionali risulta auspicabile per le grandi questioni, per i
problemi ambientali risolvibili a livello nazionale è opportuno che viga il principio della sussidiarietà,
demandando agli Stati membri la determinazione autonoma delle imposte. Si tratta di una soluzione
necessaria stante la diffusa varietà di condizioni ambientali e tecnologico-produttive caratterizzanti le
diverse aree territoriali dell’Unione. Ciò implica l’utilizzo di un ventaglio estremamente articolato di
strumenti fiscali, contraddistinti da flessibilità e diversificazione, che si esplica non solo negli Stati
membri, ma anche al loro interno, nell’ambito di una visione decentrata e non più centralistica degli
indirizzi di politica ambientale UE, esaltante la peculiarità ambientale delle politiche fiscali
comunitarie. I singoli paesi dovranno però esercitare la propria sovranità tributaria adottando
diversificazioni che non si traducano in discriminazioni ovvero in aiuti e sussidi statali che alterino il
corretto funzionamento del Mercato Unico. Così, ESPOSITO DE FALCO, L’armonizzazione fiscale e
le tasse ecologiche, in Riv. Giur. Ambiente, 2004, 5, 643 ss.
22
imposte, tasse, tariffe, canoni, contributi, etc. - dovuti dal produttore inquinatore
ovvero dall’utilizzatore, al fine di contribuire a prevenire, eliminare o ridurre una
determinata attività inquinante 63 .
Il tributo ambientale, pertanto, è finalizzato a ridurre l’effetto dannoso di
attività produttive e di consumo aventi un impatto negativo sull’ambiente
(produzioni inquinanti, consumi di prodotti inquinanti o consumi di risorse naturali
scarse), incidendo essenzialmente sui prezzi dei prodotti inquinanti.
La nozione di tributo ambientale, così come delineata dall’OCSE, risulta
piuttosto ampia ed è utilizzata in senso atecnico, essendovi ricompresi anche gli
strumenti tariffari.
Ciò è il risultato della difficoltà di pervenire ad una ricostruzione unitaria del
concetto in parola, stante il differente significato che nei diversi paesi è attribuito ai
termini imposta, tassa, etc., soprattutto in campo ambientale 64 .
È poi evidente come la nozione di tributo ambientale accolta dall’OCSE
focalizzi l’attenzione esclusivamente sulla finalità politico-sociale di tutela
dell’ecosistema perseguita dallo strumento tributario, rimanendo la funzione
ambientale al di fuori del presupposto impositivo e rilevando solamente come finalità
extrafiscale 65 : è possibili configurare in tal modo solamente un tributo con funzione
ambientale, ossia un tributo di scopo 66 .
In ambito comunitario, a seguito degli studi volti alla elaborazione di una
nozione unitaria di tributo ambientale 67 , si è affermato che “una tassa rientra nella
63
Il concetto di fiscalità ambientale coincide solo parzialmente con quello di fiscalità in senso stretto.
Ciò in quanto le nozioni di imposta, tassa, contributo, tariffa, prezzo pubblico, che hanno regimi
giuridici distinti, non sono sufficientemente differenziati nel campo delle ecotasse. Così,
MAFFEZZONI, voce Imposta, in Enciclopedia del diritto, XX, Milano; SACCHETTO, voce Tassa,
in Enciclopedia del diritto, XLIV, Milano.
64
Dagli studi condotti in seno all’OCSE emerge chiaramente come i paesi aderenti utilizzino in modo
disomogeneo lo strumento tributario ai fini ambientali.
65
MARTUL ORTEGA, I fini extrafiscali dell’imposta, in Trattato di Diritto tributario, diretto da
AMATUCCI, Padova, 2001, 655 ss., sottolinea che “la distinzione tra l’imposta extrafiscale e quella
fiscale non è agevole, poiché, come osservava Micheli, per vero ogni fenomeno tributario produce, in
maggior o minor misura, effetti economici oltre l’entrata, o come nota Lejeune, l’esistenza di imposte
fiscali chimicamente pure (…) non è riscontrabile in alcun ordinamento tributario”.
66
In tal senso GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 118, che
definiscono i tributi di scopo come quei tributi che “rispondendo nella loro costruzione giuridica solo
a canoni tributari, perseguono anche finalità extrafiscali di tutela dell’ambiente”.
67
Cfr. ATW RESEARCH, Statistic on Environmental taxes, commissioned by European Commission,
Bruxelles, 1996.
23
categoria delle tasse ambientali se l’imponibile è una unità fisica (o un suo sostituto
o derivato) di qualcosa di cui si abbia prova scientifica di effetti negativi
sull’ambiente quando è usato o rilasciato” 68 .
L’unità fisica che produce effetti negativi sull’ambiente può consistere in una
unità di sostanza emessa, in una unità sostitutiva o consequenziale per emissioni (ad
esempio, un litro di benzina impiegato in un motore standard) oppure in una unità di
specifiche risorse naturali.
Gli effetti negativi sull’ambiente possono essere intesi in termini di
deterioramento di beni ambientali liberi oppure di riduzione della offerta di tali beni.
Perché, dunque, sia possibile configurare un tributo ambientale è necessario
che sussista una relazione causale tra l’unità fisica che determina un danno
scientificamente dimostrato all’ambiente e l’imponibile del tributo, là dove il termine
imponibile deve essere inteso, rifacendosi ad una terminologia più tecnica, quale
presupposto impositivo.
Come evidenziato da autorevole dottrina 69 , gli studi comunitari hanno avuto
certamente il pregio di operare una distinzione tra il tributo strutturalmente
ambientale (tributo ambientale in senso stretto) 70 , che incorpora nella fattispecie
tributaria la finalità di protezione dell’ambiente, dal tributo con mera funzione
ambientale, il quale persegue una finalità extrafiscale quale è l’internalizzazione dei
costi ambientali 71 , senza che ciò rilevi ai fini della ricostruzione in termini ambientali
del presupposto impositivo 72 .
68
SELICATO, Imposizione fiscale… , cit., 1158, sottolinea come la trasformazione ambientale rientri
nella fattispecie tributaria solamente in termini di base imponibile, non già come presupposto.
69
GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 118 ss., secondo i quali
l’unità fisica che determina il danno ambientale non può essere una funzione del tributo ambientale,
ma è un fatto materiale e oggettivo, sussumibile, poste determinate condizioni, nel presupposto del
tributo ambientale.
70
Il tributo ambientale in senso stretto può atteggiarsi ad imposta o a tassa.
71
Il tributo con mere finalità ambientali può agire sulla struttura dei prezzi, modificando le
convenienze degli operatori economici, così promuovendo comportamenti virtuosi sotto il profilo
ambientale oppure può destinare tutto o parte del gettito ad opere di risanamento ambientale piuttosto
che alla fiscalità generale. Qualora il tributo abbia la funzione di finanziare i servizi ambientali erogati
nei confronti degli utenti, esso si qualifica più propriamente come tassa.
72
Si tratta di un approccio definitorio di tipo funzionale.
24
Va detto che l’Unione Europea ha raccomandato l’utilizzo dello strumento
fiscale in campo ambientale, compatibilmente con le norme sul funzionamento del
mercato unico, ben conscia degli effetti che questo può produrre sulla concorrenza 73 .
In particolare, con il Libro Bianco di Delors, pubblicato nel 1994, l’Unione
europea ha individuato nella tassazione ambientale uno strumento volto, oltre che
alla tutela dell’ambiente, allo sviluppo dei livelli occupazionali.
Spostando, infatti, la tassazione “dalle persone all’ambiente” si potrebbe
ottenere una riduzione della pressione fiscale sui redditi di lavoro, stanti le maggiori
entrate derivanti dalla tassazione ambientale.
Lo sviluppo sostenibile, con le correlate attività di riciclaggio, l’impiego delle
biotecnologie e delle energie rinnovabili avrebbe, poi, un effetto positivo
sull’occupazione.
Il risultato sarebbe il conseguimento del cosiddetto “doppio dividendo”, ossia
la
contestuale
promozione
della
tutela
dell’ambiente
e
dell’incremento
dell’occupazione.
La fiscalità ambientale viene valutata per gli effetti che produce in termini di
redistribuzione del carico fiscale e non più solamente per i suoi effetti promozionali
della tutela dell’ambiente.
Va tuttavia evidenziato che l’aver ricostruito la nozione di tributo ambientale
includendo l’ambiente nel presupposto impositivo non significa che il tributo
strutturalmente ambientale non possa avere finalità extrafiscali di tutela ambientale,
oltre a quelle di gettito 74 .
73
Ci si riferisce in particolare: alla Risoluzione del Consiglio del 23 gennaio 1987, n. 485, contenente
il Quarto Programma di azione delle Comunità Europee in materia di ambiente; alla Risoluzione del
Consiglio del 1° febbraio 1993, contenente il Quinto programma di azione ambientale dell’Unione
Europea, che tra gli strumenti per l’attuazione delle politiche ambientali indica le ecotasse e la
“promozione della riforma fiscale quale mezzo per la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente”;
al Libro Bianco di Delors su Crescita, competitività e occupazione del 1993; alla Comunicazione della
Commissione su “Tasse e imposte ambientali nel mercato unico” (COM (97) 9), in cui si precisa che
la fiscalità ambientale deve essere compatibile con le regole di concorrenza, il mercato unico e la
politica fiscale, e che, nell’introdurre tasse o imposte ambientali, gli Stati membri devono tener conto
delle norme contenute nel Trattato, del diritto comunitario derivato, della giurisprudenza della Corte
di Giustizia, nonché delle decisioni e delle iniziative di carattere giuridico intraprese dalla stessa
Commissione.
74
Il tributo ambientale in senso stretto quanto più è efficace tanto meno produce gettito (c.d.
“paradosso centrale” dell’imposizione ambientale). Vi è, infatti, una relazione inversa tra effetti
positivi sull’ambiente ed effetti fiscali. Ciò rende il tributo ambientale “puro” poco funzionale alle
sole esigenze di cassa. I tributi con funzione ambientale hanno, invece, prevalentemente finalità di
25
L’Unione distingue, sulla base della tipologia dell’imponibile, tra tributi
ambientali sulle emissioni inquinanti e tributi ambientali sui prodotti.
Nei primi la base imponibile si calcola misurando le emissioni di uno
specifico inquinante (ad esempio CO2) o stimando il potenziale inquinante.
Nei secondi la base imponibile è data dalla unità fisica di materie prime,
fattori produttivi incorporati in prodotti finiti (ad esempio, concimi, pesticidi, etc.) o
di prodotti consumati (ad esempio, pneumatici, sacchetti di plastica).
Tra i possibili indicatori attraverso i quali si sarebbe potuto qualificare un
tributo come ambientale, vale a dire l’imponibile, l’azione incentivante sulla
protezione dell’ambiente, lo scopo dichiarato di tutela ambientale, la Commissione
ha correttamente scelto il primo, che è oggettivamente misurabile, gli altri due
essendo solamente elementi soggettivi ed esteriori dipendenti dai giudizi di valore
della collettività.
Gli studi condotti in sede europea non definiscono il danno ambientale ma
precisano che esso non dovrebbe mai provocare una compromissione irreversibile
dell’ambiente: il danno deve essere “sostenibile”; diversamente lo strumento atto a
colpire i comportamenti inquinanti non sarebbe quello tributario ma quello
sanzionatorio, essendo necessario vietare e reprimere senz’altro le produzioni e/o i
consumi che cagionano un deterioramento ambientale “non sostenibile” 75 .
cassa. Cfr. PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 167 ss.; CIPOLLINA,
Osservazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del federalismo fiscale, in Riv. Dir. Fin.,
2009, 4, 567 ss.
75
GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 122 ss., osservano che
l’assunzione a presupposto del tributo ambientale in senso stretto di unità fisiche che determinano un
deterioramento ambientale irreparabile sarebbe una inaccettabile giustificazione morale a produrre
danni irreversibili all’ambiente.
Criticamente LAROMA JEZZI, I tributi ambientali, cit., 321 ss., evidenzia che sarebbe certamente in
contrasto con le finalità incentivanti del tributo ambientale colpire fatti dai quali discendono in via
generale conseguenze irreparabili per l’ambiente. Tuttavia, “l’assunto che una certa attività
(produttiva o di consumo), proprio in ragione della sua attitudine ad arrecare danni all’ambiente,
possa assurgere a presupposto di un tributo non ha nulla a che vedere con la valutazione etica di
quella stessa attività: quest’ultima, semplicemente, è tassabile o non tassabile. Laddove poi la
medesima, siccome intollerabile, venga vietata, la sua rilevanza impositiva non interferirà certo con
le conseguenze civili, amministrative o penali della violazione di quel divieto”. Diversamente, ossia
escludendo la imponibilità di tali attività, se e nella misura in cui producano un deterioramento “non
sostenibile”, si incorrerebbe nello stesso errore che è alla base della pretesa non imponibilità dei
redditi derivanti da attività illecita oppure della asserita indeducibilità delle somme corrisposte a titolo
di sanzione penale o amministrativa dal reddito di impresa per mancanza del requisito dell’inerenza.
26
La dottrina italiana ha continuato a classificare i tributi ambientali in base alla
loro funzione 76 in tributi con funzione incentivante/disincentivante e in tributi con
funzione redistributiva. I primi aventi lo scopo di scoraggiare i comportamenti
dannosi per l’ambiente attraverso i maggiori oneri derivanti dalla introduzione
dell’imposta, la cui efficacia è strettamente correlata alla previsione di misure volte
alla riduzione delle possibilità di traslazione dell’imposta, onde evitare che il peso
dell’imposizione gravi su soggetti diversi dagli inquinatori; i secondi volti al
finanziamento di servizi ambientali 77 o di opere di risanamento ambientale 78 .
4. Il principio “chi inquina paga” e i suoi riflessi sulla fiscalità ambientale.
Uno dei cardini della politica ambientale comunitaria è rappresentato dal
principio “chi inquina paga”, che costituisce, altresì, il fondamento della istituzione
di tributi ambientali in ambito europeo.
Secondo il principio in esame le diseconomie esterne prodotte da attività
umane che cagionano danni all’ambiente devono essere poste a carico dei soggetti
responsabili dell’inquinamento.
È evidente, dunque, la matrice economica del precetto “chi inquina paga”,
volto a legittimare l’adozione di strumenti idonei alla internalizzazione dei costi
ambientali.
L’enunciazione del principio è avvenuta per la prima volta in ambito
internazionale ad opera della Raccomandazione OCSE del 26 maggio 1972 , n. 128,
secondo la quale “all’inquinatore devono imputarsi i costi della prevenzione e delle
azioni contro l’inquinamento come definite dall’Autorità pubblica al fine di
mantenere l’ambiente in uno <<stato accettabile>>”.
76
Si vedano PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 170 ss., secondo il quale al fine
di verificare l’efficacia della tassazione ambientale, “non ci si può limitare ad una indagine
formalistica sul presupposto, ma si deve tener conto dei diversi orientamenti che il tributo determina
in concreto non solo dal punto di vista distributivo, in relazione ai possibili effetti traslativi, ma anche
sull’offerta di beni sostitutivi, sull’impiego dei fattori produttivi, sui condizionamenti che il gettito può
avere su alcune scelte pubbliche ecc.”; PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente, profili
ricostruttivi, Milano, 1996.
77
In questo caso lo strumento fiscale punta a realizzare il corrispettivo della fruizione da parte dei
contribuenti di un servizio ambientale. Esso risulta più efficace di misure non tributarie (tariffa/prezzo
pubblico) stante la sua coattività, anche se il prezzo pubblico, a ragione della sua maggiore flessibilità,
si presta ad adattarsi più celermente alle mutate esigenze connesse al servizio ambientale.
27
In sede comunitaria, il principio è stato esplicitato nel Primo programma
d’azione per la protezione dell’ambiente CEE del 1973, nel quale si è previsto che
“qualsiasi spesa connessa alla prevenzione ed alla eliminazione delle alterazioni
ambientali è a carico del responsabile” 79 e successivamente nella Raccomandazione
3 marzo 1975, n. 436, concernente “l’imputazione dei costi e l’intervento dei
pubblici poteri in materia di ambiente”, la quale ha statuito che “le persone fisiche o
giuridiche, di diritto pubblico o privato, responsabili di inquinamento, devono
sostenere i costi delle misure necessarie per evitare questo inquinamento o per
ridurlo, al fine di rispettare le norme o le misure equivalenti che consentono di
raggiungere gli obiettivi di qualità fissati dai pubblici poteri” 80 .
La suddetta Raccomandazione individua tre tipologie di strumenti atti alla
realizzazione della politica ambientale comunitaria; si tratta di “norme” volte a
disciplinare la qualità dell’ambiente, “canoni”, quali tributi commisurati all’entità del
danno prodotto, “aiuti economici statali”, intesi come misure transitorie dirette
all’adeguamento dei processi produttivi alla normativa comunitaria del settore.
Con l’Atto Unico Europeo del 1987 – che, come è stato precedentemente
evidenziato, rappresenta un importante spartiacque nella politica ambientale
comunitaria - il principio in parola ha fatto il suo ingresso, quale valore fondante il
diritto ambientale europeo, nel Trattato, all’art. 130R (oggi art. 191 TFUE, dopo
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona).
Si è già sottolineato (v. note nn. 10 e 12), poi, come la regola del “chi inquina
paga” sia stata ribadita dal Quarto e dal Quinto programma d’azione, che hanno
evidenziato l’importanza dell’adozione dello strumento fiscale per l’attuazione della
stessa.
78
Un tributo siffatto rappresenta la più evidente applicazione del principio “chi inquina paga” e si
connota giuridicamente come imposta di scopo.
79
Il Secondo e il Terzo programma d’azione per la protezione per l’ambiente ribadiscono
essenzialmente quanto già affermato nel Primo programma, senza apportare novità sostanziali.
80
La dottrina ha evidenziato come, attraverso il principio “chi inquina paga”, la Comunità abbia
voluto far gravare in maniera effettiva sugli operatori economici i costi dell’inquinamento, così
evitando che gli stessi gravassero sullo Stato direttamente o attraverso aiuti che avrebbero favorito
alcuni paesi o regioni a danno di altri con effetti lesivi della concorrenza. Cfr. MELI, Le origini del
principio “chi inquina paga” e il suo accoglimento da parte della Comunità Europea, in Riv. Giur.
Ambiente, 1989, 218; TARANTINI, Il principio“chi inquina paga” tra fonti comunitarie e
competenze regionali, in Riv. Giur. Ambiente, 1989, 732.
28
In ordine all’interpretazione del principio in esame la dottrina non si è
espressa uniformemente.
Alcuni autori hanno posto l’accento sulla connotazione economica del
principio quale strumento di internalizzazione delle diseconomie ambientali, con
finalità di disincentivazione delle attività economiche aventi un impatto ambientale
negativo 81 . Altri ne hanno evidenziato la valenza giuridica, ed in particolar modo la
natura risarcitoria dei prelievi ad esso connessi 82 .
Parte della dottrina ha poi prospettato un approccio tributario alla regola 83 ,
stante l’idoneità dello strumento fiscale ad incidere sulla struttura dei prezzi delle
merci e servizi e a realizzare il principio “chi inquina paga” attraverso la conseguente
funzione di incentivazione/disincentivazione di determinate condotte.
Sembra, tuttavia, da preferire la tesi degli studiosi che - considerata la
genericità della formulazione - riconoscono al principio “chi inquina paga” una
“valenza aperta”.
Ciò a significare che al fine dell’attuazione del canone comunitario e
conformemente al principio di sussidiarietà, gli Stati membri - tenuto conto delle
peculiarità territoriali, economico-sociali e giuridiche - sono legittimati ad utilizzare
strumenti variegati sia di natura economico-finanziaria sia di carattere giuridico
(tributo 84 , sanzione, compensazione finanziaria, risarcimento del danno) 85 .
È evidente come il precetto comunitario in parola rappresenta, pertanto, la
fonte di legittimazione ad adottare, quale strumento di intervento in materia di
ambiente, la leva fiscale.
Il canone del “chi inquina paga” è stato oggetto di critiche da parte degli
autori che ne offrono una lettura in termini esclusivamente riparatori.
81
Cfr. BARDE-GERELLI, Economia e politica dell’ambiente, Bologna, 1990, 125 ss.
PATTI, La tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979, 178 ss.; CORDINI, Diritto ambientale
comparato, Padova, 2002, 188 ss.
83
In tal senso, PICCIAREDDA-SELICATO, I tributi e l’ambiente, Milano, 1996, 72 ss.; SELICATO,
Imposizione fiscale… , cit., 1161, evidenzia che il principio “chi inquina paga” può avere un notevole
impatto nella definizione del presupposto di un tributo a carattere ambientale, fino a legittimare
l’assunzione delle condotte inquinanti a fatti-indice di capacità contributiva.
84
Si ritiene che il principio “chi inquina paga” debba essere applicato tanto ai tributi ambientali in
senso stretto quanto a quelli con sola funzione ambientale.
85
Così, DE CESARIS, Le politiche comunitarie in materia di ambiente, in AA.VV., Diritto
ambientale comunitario, a cura di CASSESE, Milano, 1995, 46 ss.; VERRIGNI, La rilevanza del
principio “chi inquina paga”… , cit., 1619 ss.
82
29
Tale tesi non è condivisibile alla luce della stessa formulazione dell’art. 191
TFUE, che tra i cardini della politica comunitaria in materia di ambiente annovera i
principi della prevenzione, della precauzione e della correzione in via prioritaria alla
fonte dei danni ambientali, nonché, in combinazione con i precedenti, quello del “chi
inquina paga”. Sicché, quest’ultimo va interpretato tanto quale fondamento della
introduzione di strumenti di prevenzione e di correzione ex ante (ad esempio,
fissazione di livelli di tollerabilità dell’inquinamento) quanto di quelli volti alla
riparazione, ex post, del danno ambientale (ad esempio, risarcimento dei danni,
tributi, sanzioni, etc.) 86 .
Va, poi, respinta l’interpretazione riduttiva che individua nel canone
comunitario in parola un’autorizzazione ad inquinare verso un corrispettivo ovvero
una sanzione.
Invero, tanto in ambito OCSE quanto in sede comunitaria, l’interpretazione
del principio sembra aver subito una evoluzione: si è infatti passati da una
ricostruzione economica ad una giuridica del “chi inquina paga”, ampliandone,
peraltro, la portata, di modo da ricondurvi non solo misure a carattere preventivo,
bensì anche a carattere riparatorio87 .
Il passaggio fondamentale verso tale nuova impostazione è rappresentato dal
Trattato di Maastricht, che ha aperto una nuova prospettiva nella politica ecologica
comunitaria, e dal Quinto programma d’azione comunitaria, nel quale si specifica
che “l’imputazione di responsabilità civile sarà l’ultima arma cui ricorrere per
punire il saccheggio dell’ambiente” 88 .
86
In riferimento alla prospettiva preventiva, considerano il principio “chi inquina paga” residuale
rispetto agli altri principi in materia ambientale, CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela
dell’ambiente, Milano, 2000, 161; TARANTINI, Il principio“chi inquina paga” tra fonti
comunitarie… , cit., 733.
87
MELI, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, in Danno e responsabilità, 8-9,
2009, 811 ss., sottolinea che, in origine, tanto nei documenti OCSE quanto in quelli comunitari non vi
era alcun accenno alla tecnica riparatoria, posto che, essendo contemplata esclusivamente l’ipotesi
dell’inquinamento continuo, si poneva l’accento sulle misure a carattere preventivo. La prospettiva è
cambiata con i primi incidenti ambientali da idrocarburi e la susseguente considerazione del danno
accidentale. In ambito comunitario, il collegamento tra la tecnica riparatoria ed il principio “chi
inquina paga” è stato operato per la prima volta dalla Direttiva relativa alla responsabilità civile per i
danni causati dai rifiuti e nel Libro verde sul risarcimento dei danni all’ambiente. Entrambi
costituiscono “l’antecedente logico” della Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità per danno
ambientale.
88
Il Quinto programma, infatti, predilige il ricorso a strumenti economici e fiscali, aventi la finalità di
“incorporare tutti i costi ecologici sostenuti durante tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla fonte alla
30
Il collegamento tra la tecnica riparatoria ed il principio “chi inquina paga” è
stato operato, altresì, dalla Direttiva relativa alla responsabilità civile per i danni
causati dai rifiuti (Doc. COM (89) 282 def.) e dal Libro verde sul risarcimento dei
danni all’ambiente (Doc. COM (93) 47 def.).
Entrambi possono essere considerati il precedente della Direttiva 2004/35/CE
sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno
ambientale, che è dichiaratamente finalizzata all’applicazione del principio in
questione attraverso un ampio ventaglio di misure, che comprendono ma non si
esauriscono nel solo risarcimento del danno 89 .
Secondo quanto previsto dalla Direttiva su indicata, l’operatore - definito
come colui che esercita o controlla un’attività economica, industriale, commerciale,
artigianale, agricola, etc., avente rilevanza ambientale - è chiamato a rispondere del
danno effettivamente prodotto, attraverso l’adozione di strumenti di ripristino dello
status quo ante, nonché della “imminente minaccia” che esso si verifichi, mettendo
in campo misure di prevenzione. Ciò in ottemperanza al principio “chi inquina paga”
ed ai principi di precauzione e dell’azione preventiva, contestualmente enunciati
dall’art. 191 TFUE 90 .
Si fa gravare in capo all’operatore una responsabilità oggettiva, che discende
dalla mera sussistenza del nesso di causalità tra l’attività espletata e l’evento
dannoso, a prescindere dal suo comportamento doloso o colposo.
Può affermarsi, pertanto, che la figura del danno ambientale così come
elaborata dalla disciplina in questione si discosta dal modello della responsabilità
aquiliana disciplinata dall’art. 2043 c.c. 91
produzione e distribuzione, all’utilizzazione e allo smaltimento finale, affinché i prodotti realizzati nel
rispetto di criteri ecologici non si trovino in una posizione concorrenziale svantaggiosa sul mercato
rispetto ai prodotti inquinanti e che creano inutili rifiuti”.
89
L’art. 1 della Direttiva statuisce che “La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità
ambientale basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno
ambientale”.
90
La disciplina dettata dalla Direttiva 35/2004 può essere considerata l’esito finale della estensione
dell’ambito di operatività del principio “chi inquina paga” alle ipotesi di inquinamento accidentale,
che avevano inizialmente riguardato solo la materia dei danni causati dai rifiuti. In tal senso, MELI, Il
principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, cit., 814.
91
Come evidenziato da SELICATO, Imposizione fiscale… , cit., 1163 ss., la responsabilità
dell’operatore è subordinata alla sola circostanza che il danno ambientale sia il risultato di una delle
attività espressamente elencate in apposito allegato, prescindendo da comportamenti dolosi o colposi
di questi, che invece rilevano solamente nel caso in cui i danni ambientali derivino da attività diverse
31
Il principio “chi inquina paga” è stato richiamato espressamente dal
legislatore nel più importante testo legislativo italiano in materia ambientale, il
Codice dell’ambiente (D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), che all’art. 3-ter statuisce che
“La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve
essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche
pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi
della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla
fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché del principio “chi inquina paga” che,
ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la
politica della comunità in materia ambientale”, così riproponendo la previsione già
contenuta nell’art. 174, comma 2, del Trattato92 .
Va infine fatto un cenno alla questione della efficacia del canone de quo e
degli altri principi regolatori della politica ecologica comunitaria.
Ebbene, a parere di alcuni autori il canone comunitario “chi inquina paga”,
così come gli altri principi cardine della politica ambientale comunitaria, avrebbe
natura di norma programmatica, come tale priva di immediata precettività, tuttavia
vincolante la successiva attività normativa della Comunità.
Per quanto attiene l’efficacia degli stessi nei confronti dei legislatori degli
Stati membri, va detto che, prima facie, questa andrebbe negata, posto che i principi
in materia ambientale sono dettati dal Trattato al fine di indirizzare l’azione della
Comunità, e conseguentemente avrebbero efficacia solamente nei confronti di questa.
da quelle contemplate. La responsabilità disciplinata dalla Direttiva “ha contenuti molto diversi da
quella disciplinata dall’art. 2043 del nostro codice civile, poiché (…) essa non copre i casi di lesioni
personali, i danni alla proprietà privata e le perdite economiche, limitandosi unicamente (…) a
sancire l’obbligo di riparare il danno di carattere prettamente ambientale, con esclusione del
risarcimento dei danni subiti a livello individuale, per i quali restano in vigore le norme generali in
materia di responsabilità aquiliana”. La Direttiva ha così voluto regolare i soli casi di “danno
pubblico ambientale”, demandando alla legge nazionale la disciplina del risarcimento del danno
subito individualmente.
92
I principi che informano la politica ambientale comunitaria sono stati inseriti nel Codice
dell’ambiente ad opera del D.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (c.d. decreto correttivo), che ha ampiamente
innovato le disposizioni dello stesso.
32
Per contro, parte della dottrina attribuisce rilevanza ai principi suddetti negli
ordinamenti nazionali pure in mancanza di direttive o regolamenti comunitari volti a
dare loro attuazione 93 .
Va evidenziato, infatti, che la realizzazione degli obiettivi cui sono
preordinati i principi regolatori della politica ambientale comunitaria, non sarebbero
perseguibili se non si tenesse conto delle scelte operate dai singoli Stati membri, i
quali, già dal Primo programma d’azione comunitario, sono stati investiti del ruolo di
attori primari delle politiche ecologiche, al pari della Comunità intesa nel suo
complesso.
Il principio di sussidiarietà impone, poi, il coordinamento delle politiche
ambientali intraprese dai singoli Stati con i canoni enunciati in sede comunitaria 94 ,
privilegiando le misure intraprese attraverso gli interventi legislativi nazionali 95 .
Oggi, con il richiamo del principio “chi inquina paga” nel Codice
dell’ambiente, così come novellato dal D.lgs. n. 4 del 2008, non sembra più possibile
93
Così, MELI, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, cit., 813 ss., per la quale il
valore normativo del principio in questione e degli altri dettati in materia ambientale, che si riassume
nella loro natura di “direttiva guida” verso cui deve tendere la successiva azione legislativa, discende
dalle previsioni del Trattato, senza che sia necessaria la mediazione di un testo normativo interno. I
principi affermati dal legislatore comunitario “sono insuscettibili di operatività immediata e rinviano
la determinazione del loro contenuto alle successive scelte operate in sede politico legislativa (…)
non soltanto dal legislatore comunitario, ma (…) da tutti gli Stati membri”; Contra DELL’ANNO,
Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Milano, 2004, 122 ss., a parere del quale i
principi comunitari in campo ambientale sarebbero dotati di “un’efficacia mediata, di natura
programmatica e di valore ermeneutico, che si realizza solo attraverso l’emanazione di atti
comunitari di diritto derivato, che si conformano ai principi generali”.
94
VIDETTA, La tassa sui rifiuti e il principio comunitario <<chi inquina paga>>, in Foro amm.
TAR, 2005, 6, 1969 ss., evidenzia come l’efficacia diretta dei principi ambientali nei confronti dei
legislatori dei singoli Stati membri possa consentire di colmare le lacune esistenti in quegli
ordinamenti, come il nostro, in cui mancano, a livello costituzionale, dei principi generali in materia
ambientale.
95
Non esiste una competenza esclusiva dell’Unione Europea in materia ambientale; essa è
concorrente con quella degli Stati membri. L’Unione deve agire solo qualora l’ambito europeo risulti
inadeguato per la realizzazione degli obiettivi di politica ambientale individuati in sede comunitaria.
Se la tutela dell’ambiente può essere realizzata più efficacemente a livello del singolo Stato membro,
le misure di diritto interno devono essere preferite a quelle comunitarie.
È, pertanto, attraverso il principio di sussidiarietà che il canone comunitario “chi inquina paga”
assume rilevanza generalizzata e vincolante per tutti gli Stati membri, anche in riferimento a settori
della materia ambientale non oggetto di specifico intervento comunitario. Vale a dire, con specifico
riguardo ai tributi ambientali che, il problema della efficacia vincolante del principio in questione non
si pone né per i tributi di derivazione comunitaria disciplinati da specifiche direttive - poiché in questo
caso la normativa nazionale di recepimento dovrà tener conto del principio “chi inquina paga” posto
dal Trattato e richiamato dalle norme di diritto comunitario derivato - né per quelli non contemplati
dalla normativa comunitaria, che possono essere liberamente istituiti dai legislatori nazionali. In tal
senso, VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1629 ss.
33
dubitare della giuridicità del canone comunitario, nonché della sua valenza
precettiva 96
97
.
5. Fiscalità ambientale e principio di capacità contributiva.
Una delle questioni più interessanti e dibattute sotto il profilo giuridico in
materia di fiscalità ambientale è rappresentata dalla compatibilità dei tributi
ambientali in senso stretto 98 con il principio di capacità contributiva sancito dall’art.
53, comma 1, Cost.
Ci si è chiesti, infatti, se sia possibile legittimare sul piano costituzionale
l’introduzione di prelievi tributari il cui presupposto impositivo - rappresentato dal
“fatto di inquinare” ovvero, riprendendo la definizione di tributo ambientale
elaborata nell’ambito dell’Unione europea, dall’unità fisica che determina o può
determinare un danno ambientale - non è riconducibile ad uno degli indici
96
Cfr. Cons. Stato, Sez. cons., 5 novembre 2007, n. 3838, che nel rendere il suo parere sul D.lgs. n. 4
del 2008, ha dichiarato di apprezzare la valorizzazione, all’art. 3-ter, dei principi comunitari in materia
ambientale, in quanto idonea a rendere gli stessi - ritenuti, prima della novella, precettivi solo nei
confronti delle istituzioni comunitarie - vincolanti per i soggetti dell’ordinamento nazionale sia
pubblici che privati.
97
Come evidenziato da GOISIS, Caratteri e rilevanza del principio “chi inquina paga”
nell’ordinamento nazionale, in Foro amm. CdS, 2009, 11, 2711 ss., il principio “chi inquina paga”
avrebbe una accezione positiva ed una negativa. La prima dotata di valenza programmatica, la
seconda avente una più marcata portata precettiva. Se intesa nel primo senso, quale fonte di
responsabilità per l’inquinatore, la regola risulterebbe troppo generica e non sufficientemente chiara,
pertanto dovrebbe trovare specificazione in un’apposita norma, traducendosi in un criterio guida per il
legislatore. Nel secondo senso, inteso nel significato per cui non si può colpire un soggetto diverso da
quello effettivamente responsabile dell’inquinamento, il principio sarebbe suscettibile di immediata
applicazione in concrete fattispecie, senza che sia possibile invocare la sua presunta genericità. “E’
dunque bene ipotizzabile che, per esempio, un cittadino a cui si chiede di sopportare i costi di una
bonifica per un danno ambientale che non ha provocato, possa invocare il principio, quale scudo
contro una richiesta che non solo ingiustamente lo colpisce, ma, altresì, è in grado di inceppare il
meccanismo di internalizzazione e i suoi obiettivi di interesse generale”. Quanto detto emerge
chiaramente dall’analisi della giurisprudenza comunitaria. Cfr., in tema di responsabilità per lo
smaltimento dei rifiuti, le conclusioni presentate il 13 marzo 2008 dall’avvocato generale Kokott,
nella causa C-188/07, Commune de Mesquer contro Total France Sa e Total International LTD, punto
120 e le conclusioni presentate il 23 aprile 2009, dall’avvocato generale, nella causa C-254/08.
98
Il problema non si pone con riferimento ai tributi solamente con funzione ambientale, il cui
presupposto è costruito secondo i canoni tributari, non ricomprendendovi, però, la tutela del bene
ambiente, quest’ultima rilevando solo come finalità extrafiscale. Come osservato da FEDELE,
Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 31 ss., “l’art. 53 Cost. non risulta
necessariamente violato da quelle norme che delimitano o estendono l’ambito di applicazione di
determinati tributi individuando indici di potenzialità economica in ragione di considerazioni
ulteriori rispetto alla mera capacità patrimoniale dei soggetti passivi e, in specie, in funzione della
incentivazione o disincentivazione di determinati comportamenti dei consociati. In queste ipotesi, il
cui tipico esempio è quello dei c.d. tributi extrafiscali (…), le norme tributarie concorrono a
34
tradizionalmente considerati espressivi di forza economica, di ricchezza, ossia di
capacità contributiva.
Quest’ultima nozione è, infatti, interpretata dalla dottrina maggioritaria quale
limite alla discrezionalità del legislatore, il quale non è legittimato ad introdurre
tributi il cui presupposto non includa elementi patrimoniali (patrimonio, reddito,
consumo), suscettibili di valutazione economica, intesa come scambiabilità delle
situazioni di cui un soggetto ha la titolarità-disponibilità sul mercato contro denaro 99 .
Stando così le cose, risulta piuttosto arduo ravvisare nel rilascio di emissioni
inquinanti un indice di “potenzialità economica” e dunque un presupposto impositivo
inclusivo di componenti patrimoniali.
Al contrario, il tributo che colpisce il consumo di prodotti inquinanti o di beni
ambientali scarsi, presenta un presupposto apprezzabile sotto il profilo patrimoniale
(il consumo, per l'appunto), e dunque suscettibile di valutazione economica.
Il fondamento delle considerazioni finora svolte è ravvisabile nella
concezione “classica” del principio di capacità contributiva sostenuta dalla dottrina
prevalente 100 , che non è in grado, tuttavia, di risolvere in maniera univoca la
questione della legittimità costituzionale dei tributi ambientali “puri” ex art. 53,
comma 1, Cost.
Qualora si accogliesse l’impostazione di cui sopra, i tributi ambientali in
senso stretto, diversi dalle imposte di consumo, sarebbero qualificabili come
soddisfare ulteriori e specifiche esigenze, riconosciute e tutelate dall’ordinamento, con le quali la
funzione fiscale può essere coordinata”.
99
Se si intendesse la capacità contributiva solamente come attitudine a concorrere alle pubbliche spese
in funzione di un “presupposto-forza economica” che contiene necessariamente in sé elementi di
patrimonialità, si interpreterebbe l’art. 53, comma 1, Cost. non partendo dalla sua lettura neutrale,
posto che esso si limita a prescrivere il concorso di “tutti” alle pubbliche spese “in ragione della loro
capacità contributiva”, ma dall’assunto, riflesso di un mero giudizio di valore, che il sistema tributario
è e deve essere costituito solo da tributi aventi presupposti a contenuto patrimoniale. Chi pone
l’accento solamente sulla funzione garantista dell’art. 53, comma 1, Cost., negando perciò la
possibilità di assumere una nozione di capacità contributiva priva di elementi patrimoniali, restringe
oltremodo la sfera di discrezionalità del legislatore ordinario, caricando tale articolo di “contenuti
conservativi delle ideologie liberali <<prima maniera>> fondate sul primato assoluto dei valori
proprietari e di mercato, precludendo allo Stato di svolgere pienamente la sua funzione di equo
ripartitore dei carichi contributivi”. Così, GALLO, L’imposta regionale sulle attività produttive e il
principio di capacità contributiva, cit., 131 ss.
100
Si vedano, tra gli altri, MANZONI, Il principio della capacità nell’ordinamento costituzionale
italiano, Torino, 1965; DE MITA, Capacità contributiva, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Torino,
1987; MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973; ID., Capacità
contributiva, in Enc. Giur., Roma, 1988.
35
prestazioni indennitarie, prive di natura tributaria ed insindacabili ai sensi dell’art. 53
Cost.
Secondo la tesi propugnata da autorevole seppur minoritaria dottrina, la
questione potrebbe essere risolta superando l’interpretazione più tradizionale e
“garantistica” del principio di capacità contributiva ed approdando ad una lettura
“razionalistica” dello stesso, in conformità della quale il precetto espresso dall’art. 53
Cost. andrebbe interpretato come criterio di riparto dei carichi pubblici in capo ai
consociati 101 .
Alla luce di quest’ultima impostazione, il presupposto impositivo potrebbe
anche essere privo di componenti patrimoniali scambiabili sul mercato, purché
espressivo dell’attitudine del soggetto passivo a concorrere alle pubbliche spese in
virtù di “situazioni, condizioni e differenze sociali”, che incidono sulla sua maggiore
o minore capacità di soddisfare i propri bisogni ed interessi.
In tale ottica “cooperativa e solidaristica”, condizione imprescindibile è che
tali posizioni siano pur sempre misurabili in denaro e che gli indici di capacità
contributiva prescelti rispondano a criteri distributivi equi, coerenti e ragionevoli 102
103
.
La capacità contributiva potrebbe, pertanto, essere qualificata come “capacità
economica” solo a patto che per economicità si intenda la valutabilità in denaro del
presupposto impositivo.
101
In tal senso, FEDELE, Prime osservazioni in materia di Irap, in Riv. Dir. Trib., 1998, I, 472 ss.;
GALLO, Ratio e struttura dell’Irap, in Rass. Trib., 1998, 3, 627 ss.
102
Cfr. FEDELE, Prime osservazioni in materia di Irap, cit., 472, “L’art. 53 Cost. definisce la
funzione fiscale come funzione di “riparto” di carichi pubblici, imponendo, con la formula “capacità
contributiva”, equi e ragionevoli criteri distributivi fra i consociati. Il riparto richiede
l’individuazione di posizioni differenziate dei singoli contribuenti, cui collegare nell’an e nel
quantum, il concorso alle pubbliche spese”. Interpretando il riferimento al canone della capacità
contributiva contenuto nell’art. 53 Cost. in un’ottica meramente distributiva, quale criterio di riparto
dei carichi pubblici tra i consociati, come osservato da GALLO, L’imposta regionale sulle attività
produttive e il principio di capacità contributiva, in Giur. Comm., 2002, 2, 131, si consente al
legislatore ordinario di scegliere quali soggetti passivi di imposta, idonei a concorrere alle pubbliche
spese, coloro che pongono in essere presupposti dotati di valenza economico-sociale, ma non
necessariamente anche patrimoniale, affidando il raggiungimento dell’obiettivo della “giusta imposta”
al solo rispetto del principio di ragionevolezza previsto dall’art. 3 Cost. e “presupposto” dall’art. 53,
comma 1, Cost.
103
Come evidenziato da VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1627 ss.,
relativamente ai tributi ambientali un criterio equo e ragionevole di riparto potrebbe essere
rappresentato dal principio comunitario “chi inquina paga”.
36
Considerando
l’economicità
come
“<<misura>>
di
un
potere
di
modificazione ambientale” idoneo ad incidere nei rapporti intersoggettivi, anche gli
“ecotributi” potrebbero permanere nell’area della fiscalità 104 .
In questa prospettiva, la posizione di vantaggio in cui un individuo può
trovarsi per effetto del “potere di comando” sulle risorse naturali, che gli deriva
dall’esercizio di attività aventi un impatto deleterio sull’ambiente, può essere
considerato un fatto-indice di capacità contributiva valutabile economicamente,
anche in assenza di qualsivoglia consistenza patrimoniale del presupposto del tributo,
e tale da giustificare l’istituzione di un imposta ambientale a carattere generale 105
106
.
La relazione tra scelta del presupposto e capacità contributiva risulta meno
complessa se si assume che sia possibile realizzare l’imposizione ambientale
attraverso l’istituzione di imposte ambientali di consumo e di tasse ambientali.
Nel primo caso, la compatibilità del tributo con il principio di capacità
contributiva è assicurata dal consumo di un prodotto inquinante o di un bene
ambientale scarso, economicamente valutabile, che assurge a presupposto dello
stesso.
104
In tal senso, FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit., 23.
GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 139 ss., affermano
l’impossibilità di addivenire ad una soluzione unitaria della questione relativa alla compatibilità dei
tributi ambientali con il principio di capacità contributiva, anche accogliendo la lettura in termini
“razionalistici” del dettato dell’art. 53, comma 1, Cost., in quanto quest’ultima richiede pur sempre
“una valutabilità ed una misurabilità economica del presupposto” che sembra mancare nell’ipotesi di
tributi ambientali. L’emissione inquinante non è infatti suscettibile di valutazione economica in sé
considerata.
106
La tesi sopra riportata in ordine all’esegesi dell’art. 53, comma 1, Cost., è stata elaborata dalla
dottrina con riferimento all’Irap ed estesa anche all’ipotesi dei tributi ambientali “puri”. Tuttavia,
criticamente, MARONGIU, Irap, lavoro autonomo e costituzione, in Dir. Prat. Trib., I, 2000, si
esprime nel senso della non assimilabilità dei problemi di costituzionalità afferenti l’Irap e le imposte
ambientali, rilevando la diversità dei problemi attinenti la legittimità costituzionale delle due tipologie
di tributo. L’Irap è, infatti, un’imposta avente come unica finalità quella di ripartire tra i consociati il
costo dei servizi pubblici indivisibili a domanda collettiva; quindi, la questione di costituzionalità si
pone nei termini classici dell’idoneità della ricchezza colpita ad esprimere capacità contributiva. Nella
sua base imponibile rientrano “costi di produzione che in capo all’attività produttiva stessa si
presentano certi e determinati come, con specifico riguardo alle attività professionali, gli interessi
passivi e le spese per il lavoro dipendente, assimilato, autonomo occasionale, nonché per le
collaborazioni coordinate e continuative”. Le imposte ambientali, invece, sono nate con il precipuo
scopo di concorrere a realizzare la tutela dell’ambiente, valore di rilevanza costituzionale, che può
realizzarsi solo facendo gravare in capo all’impresa un costo, quello derivante dall’utilizzo di
importanti beni ambientali da tutti usufruibili (come è l’aria) che non è interno all’attività produttiva,
ma un costo diffuso. Pertanto la questione di costituzionalità di questa tipologia di imposte presenta
caratteri del tutto peculiari e differenti da quelli che attengono all’Irap.
105
37
Il presupposto di una siffatta tipologia di imposta non è il mero consumo,
bensì il consumo se e in quanto produttivo di danno ambientale.
Solo così si realizza quella relazione causale fra danno ambientale e
presupposto impositivo valevole a qualificare un tributo ambientale “puro” piuttosto
che un tributo con mera funzione ambientale 107 .
Per quanto attiene all’ipotesi di una fiscalità ambientale fondata sullo
strumento della tassa, va evidenziato che il problema della compatibilità del
presupposto impositivo con il principio di capacità contributiva potrebbe essere
superato laddove si considerassero le tasse quali tributi commutativi e non
contributivi 108 .
In tal caso, il presupposto della tassa ambientale consisterebbe nella
erogazione da parte dello Stato o di altro ente pubblico di un servizio di risanamento
del danno cagionato all’ambiente da una determinata attività inquinante posta in
essere dal soggetto passivo del tributo, di cui questi abbia fatto richiesta.
Invero, le tasse hanno incontrato una certa ostilità nell’ambito della
imposizione ambientale sia in quanto si ritiene che esse attribuiscano al soggetto
passivo un diritto ad inquinare sia perché esse esplicherebbero la loro efficacia solo
in relazione ad un deterioramento ambientale già verificatosi e per il quale sia stato
predisposto un servizio di risanamento 109 .
107
Per quanto attiene ai tributi ambientali che colpiscono la produzione di emissioni inquinanti, a
parere di GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 145 ss., al fine di
garantire la legittimazione del tributo sotto il profilo costituzionale, lo stesso andrebbe ricostruito
secondo lo schema dell’imposta di fabbricazione o accisa. E, come nell’ipotesi dell’imposta
ambientale sui consumi, per il tributo de quo è possibile affermare che affinché sussista un’imposta
ambientale di fabbricazione è necessaria una valutazione economica del danno ambientale prodotto
dalle emissioni inquinanti, da effettuare secondo “oggettive risultanze tecnico-scientifiche”. Qualora
manchi tale valutazione economica, ci troveremmo dinanzi ad una “normale” imposta di
fabbricazione.
108
In ordine alla distinzione tra entrate commutative e quelle contributive si veda DEL FEDERICO,
Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000, 7 ss., il quale rileva che
tradizionalmente “si afferma che soltanto per le seconde il prelievo deve essere giustificato dalla
capacità contributiva, in quanto esse concretano una reale diminuzione del patrimonio del
contribuente, mentre le prime si risolvono in una pura e semplice trasformazione di alcuni beni
(spesso il denaro) in altre utilità, e quindi sono caratterizzate da un qualche equilibrio tra le
prestazioni, che di per sé ne offre adeguata giustificazione razionale”.
109
Secondo GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 137, “Costruire
un tributo che abbia come fine quello di finanziare servizi di risanamento ambientale significherebbe
non tanto interpretare in termini di tassa il principio “chi inquina paga”, quanto autorizzare il
soggetto inquinatore ad inquinare, salvo poi sopportare le spese dell’attività di risanamento”. I
servizi di risanamento ambientale non dovrebbero, pertanto, essere finanziati con strumenti tributari di
38
Si tratterebbe, pertanto, di uno strumento inidoneo a svolgere una funzione di
prevenzione del danno ambientale, contrariamente a quanto richiesto dalla normativa
comunitaria.
6. I tributi ambientali nell’ordinamento tributario italiano.
Va preliminarmente rilevato che il sistema tributario italiano ha trascurato, e
continua a farlo, la questione ambientale.
Il legislatore tributario nazionale ha mostrato interesse quasi esclusivamente
per la problematica delle emissioni inquinanti rappresentate dai rifiuti, tralasciando di
considerare altre, seppur rilevanti, forme di inquinamento 110 .
Tuttavia, sono rinvenibili nell’ordinamento tributario italiano alcuni tributi
che possono essere definiti “ambientali” 111 , dei quali si fornirà di seguito una breve
trattazione.
6.1. La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) e la tariffa per
l’igiene ambientale (Tia).
tipo para-commutativo. Ci si deve poi chiedere se lo strumento per finanziare i servizi di prevenzione
del danno ambientale debba essere tributario o se non sia meglio ricorrere ad uno strumento non
tributario quale la tariffa o il canone (intesi nel senso di prezzo pubblico).
110
La legislazione tributaria nazionale non presta alcuna considerazione né ai prodotti inquinanti,
come vetro, plastica, batterie (ha fatto eccezione in passato l’imposta sui sacchetti di plastica, istituita
con l’art. 1 della L. 9 novembre 1988, n. 475 e poi abrogata per la sua inefficienza) né al consumo di
beni ambientali scarsi.
111
Tra questi vanno annoverati l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili, il tributo
provinciale per l’esercizio di funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente, il tributo speciale
per il deposito in discarica dei rifiuti, nei quali l’ambiente connota le relative fattispecie impositive.
“Non hanno alcuna finalità ambientale, neppure indiretta, l’imposta di fabbricazione e relativa
sovrimposta sull’energia elettrica, i tributi per l’immatricolazione e circolazione degli autoveicoli né
la differenziazione delle aliquote Iva. In materia di prodotti inquinanti per l’agricoltura (pesticidi,
fertilizzanti azotati) esistono addirittura aliquote agevolate Iva”. Così, GALLO-MARCHETTI, I
presupposti della tassazione ambientale, cit., 124. Le accise sui prodotti energetici vigenti in Italia e
armonizzate a livello europeo non possono essere qualificate come tributi ambientali, in quanto sono
state introdotte esclusivamente per ragioni di gettito. L’effetto disincentivante di comportamenti
ambientali dannosi che può derivare dalla loro applicazione è solo collaterale ed eventuale rispetto
all’esigenza di garantire celermente ed efficacemente delle entrate fiscali. Si pensi, ad esempio,
all’accisa sulla benzina e all’effetto potenzialmente benefico sull’inquinamento atmosferico derivante
da un incremento dell’aliquota, che finora non sembra essere mai stato dettato da ragioni di tutela
ambientale. Nulla esclude, tuttavia, che esse possano assumere “attraverso una rimodulazione del
prelievo che orienti i consumi nel senso di privilegiare le fonti energetiche meno inquinanti, sia la
caratteristica di imposte orientate in senso ambientale sia, mediante opportuni adattamenti in
relazione alla capacità contributiva incisa, quella di vere e proprie imposte ambientali”. Cfr.
PERRONE CAPANO, L’imposizione e l’ambiente, cit., 168.
39
La problematica ambientale delle emissioni inquinanti è stata oggetto di
importanti, seppur caotici, interventi legislativi nello specifico settore dei rifiuti
solidi urbani.
La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) rappresenta una
delle più significative esperienze legislative italiane in materia di tutela ambientale e
può essere definita come un tributo di derivazione comunitaria espressione del
principio “chi inquina paga”, in quanto la normativa nazionale ha dovuto uniformarsi
alle disposizioni contenute nelle direttive comunitarie relative ai rifiuti, che
richiamano tale canone 112 .
Essa è dovuta a fronte del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi
urbani.
Il suo presupposto è costituito dalla occupazione o detenzione di locali ed
aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui
il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani è attivato (art. 62, D.Lgs.
n. 507/1993) 113 .
Sono esclusi dal campo di applicazione della tassa i locali e le aree che non
possono produrre rifiuti per la loro natura o per la loro stabile destinazione d’uso o
per le obiettive condizioni di non utilizzabilità in cui si trovino nel corso
dell’anno 114 .
La Tarsu deve essere commisurata alla quantità e qualità medie ordinarie dei
rifiuti solidi urbani producibili per unità di superficie imponibile nei locali ed aree
112
La disciplina della Tarsu è dettata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, attuativo dell’art. 4 della
L. 23 ottobre 1992, n. 421, recante delega al Governo per la revisione e l’armonizzazione della
disciplina di diversi tributi locali, tra cui la tassa in discorso. La Tarsu era inizialmente regolata dal
R.D. 14 settembre 1931, n. 1175 (recante il “Testo unico per la finanza locale”, come modificato
dall’art. 27 della L. 20 marzo 1941, n. 366). La relativa disciplina è stata poi rimodulata dal D.P.R. 10
settembre 1982, n. 915 (recante “Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n.
76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai
rifiuti tossici e nocivi”), e ancora dall’art. 8 del D.L. 2 marzo 1989, n. 66 (recante “disposizioni
urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale”).
113
Affinché il tributo sia applicato è, pertanto, essenziale che lo stesso sia attivato dal comune, a
prescindere dalla fruizione da parte del contribuente. L’attivazione del servizio di smaltimento dei
rifiuti solidi urbani è subordinato alla adozione di un regolamento comunale che ne stabilisca le
modalità di espletamento.
114
Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto dei locali e delle aree scoperte in
cui si producono rifiuti speciali, tossici o nocivi, il cui smaltimento è effettuato a spese dei soggetti
che li producono e non mediante il servizio ordinario (art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507/1993).
40
tenuto conto dell’uso cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento (art.
65, comma 1, D.Lgs. n. 507/1993) 115 .
La base imponibile è, pertanto, determinata secondo criteri forfetari, ritenuti
tuttavia conformi al principio “chi inquina paga”, se ed in quanto rispondenti ad
esigenze di semplificazione del prelievo.
È bene evidenziare che la conformità alla clausola comunitaria impone che
l’inquinatore corrisponda il tributo in quanto produce un danno ambientale, non in
quanto beneficia del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
La Tarsu si qualifica quale tributo commutativo (tassa) 116 , come dimostrato
dalla previsione secondo la quale il suo gettito complessivo non può superare il costo
di esercizio del servizio di smaltimento dei rifiuti (art. 61, comma 1, D.Lgs. n.
507/1993) 117 .
L’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto “Ronchi”) aveva
sostituito alla Tarsu la tariffa di igiene ambientale per la gestione dei rifiuti (Tia).
Tuttavia, in virtù delle difficoltà applicative connesse a tale sostituzione, la
vigenza della Tarsu è stata prorogata fino alla entrata a regime del nuovo sistema dal
D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 118 .
Un ulteriore intervento normativo ha disposto l’abrogazione del decreto
“Ronchi” e la sostituzione della Tia con una nuova tariffa per la gestione dei rifiuti
urbani disciplinata dall’art. 238 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice
dell’ambiente) 119
120
.
115
La tassa è determinata in base a tariffa da deliberarsi annualmente.
DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., 207, definisce la tassa
come “prestazione imposta, nella quale il concorso alle pubbliche spese ha come presupposto un fatto
per il cui verificarsi rileva il godimento di un bene pubblico o una specifica correlazione tra l’attività
dell’ente pubblico ed il vantaggio che da essa posa ritrarre il contribuente”.
117
Risulta evidente l’essenzialità del collegamento tra fruibilità del servizio ed applicabilità del tributo
secondo lo schema tipico del principio del beneficio. Cfr. BORIA, Il sistema tributario, cit., 986.
118
Restano, pertanto, in vigore entrambe le discipline: quella dettata dall’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22, unitamente alla normativa attuativa contenuta nel D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 sia il D.
Lgs. n. 507/1993, nel caso di mancata approvazione da parte del comune del regolamento
disciplinante la Tia.
119
Il legislatore ha subordinato l’applicazione della nuova tariffa alla emanazione di un apposito
regolamento ministeriale, che ad oggi non risulta approvato. Nelle more dell’emanazione del predetto
regolamento restano in vigore le normative vigenti. Il c.d. decreto “milleproroghe” (D.L. n. 194/2009,
convertito in L. n. 25/2010) ha previsto che qualora il regolamento disciplinante la tariffa di gestione
dei rifiuti solidi urbani non dovesse essere emanato entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendono
applicare la tariffa di igiene ambientale possono farlo ai sensi della disciplina vigente.
116
41
A questo quadro già piuttosto confuso si è successivamente aggiunta la
previsione del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (c.d. “decreto correttivo”), che
nell’innovare le disposizioni contenute nel Codice dell’ambiente, ha previsto all’art.
195, comma 2, lett. e), l’applicazione esclusiva di una nuova tipologia di tariffazione
valevole per i soli operatori economici 121 .
La ratio delle norme che hanno disposto il passaggio dalla Tarsu alla Tia va
ricercata nella esigenza di accentuare la correlazione tra l’entità del prelievo e la
quantità e qualità dei rifiuti conferiti; ciò che rende la nuova tipologia di prelievo
maggiormente rispondente al principio “chi inquina paga” 122 .
La Tia 123 , così come la Tarsu, ha natura di prelievo coattivo a fronte
dell’erogazione di un servizio ambientale e presenta, dunque, carattere spiccatamente
commutativo 124 .
La differenza tra le due tipologie di entrata risiede essenzialmente nei criteri
che presiedono alla commisurazione del prelievo.
La Tarsu è calcolata sulla base dei metri quadrati dei locali e delle aree
occupate dal contribuente, a prescindere dal numero degli occupanti; la tariffa è
articolata in due parti: una fissa, prevista a copertura delle spese generali del servizio
(ammodernamento impianti e relativi ammortamenti, spazzamento strade) e in una
120
Con una disposizione successiva (art. 5, comma 2-quater del D.L. n. 208 del 2008) la tariffa per la
gestione dei rifiuti urbani è stata denominata “tariffa integrata ambientale (Tia)”.
121
Con l’entrata in vigore di questo regime, la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani sarà applicabile
alle sole utenze domestiche.
122
In tal senso, VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1642. DEL
FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., 290, individua tra le motivazioni
che hanno portato alla sostituzione della tassa con la tariffa la “scarsa significatività della superficie
dei locali al fine di un’equa e corretta commisurazione del concorso alla copertura dei costi del
servizio”, il che ha riflessi sulla corretta applicazione del principio “chi inquina paga”.
123
L’art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, statuisce che la tariffa deve essere applicata nei
confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti
accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nel territorio comunale.
124
Il termine tariffa può essere inteso nel suo significato tecnico di strumento normativo per la
determinazione della misura di un tributo ovvero nel significato (proprio del linguaggio comune) di
prezzo pubblico imposto per il pagamento di un servizio pubblico. I prelievi che hanno queste
caratteristiche sono sottratti al sindacato di costituzionalità ex art. 53 Cost. Nel caso di specie, a parere
di GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 125, il termine tariffa non è
significativo della natura extratributaria del prelievo: non è detto che la Tia si qualifichi come prezzo
pubblico piuttosto che come tributo. Per DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi
pubblici, cit., 5, il termine tariffa è spesso usato impropriamente al solo fine di enfatizzare la
defiscalizzazione del prelievo, a fronte di una “persistente autoritatività del prelievo in assetto
marcatamente pubblicistico”.
42
variabile, stabilita in relazione alla quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito e
all’entità dei costi di gestione 125 .
Va precisato, che in ordine alla natura giuridica della tariffa tanto la dottrina
quanto la giurisprudenza non si sono espresse uniformemente.
Parte della dottrina ha riconosciuto la natura tributaria del prelievo, pur
evidenziandone marcati tratti “para privatistici” 126 ; altra parte si è espressa in
termini opposti, attribuendo alla tariffa natura di “corrispettivo dovuto dagli utenti
per il godimento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
assicurato dal comune” 127 ; una tesi mediana è stata sostenuta da recente dottrina, che
ha affermato la natura mista del prelievo in questione 128 .
Sembra corretto aderire a quella tesi che, definendo la tariffa “prelievo
coattivo attuato mediante lo schema dell’obbligazione ex lege”, la riconduce
nell’ambito delle entrate tributarie, qualificandola nello specifico come tassa129 ,
nonostante la volontà del legislatore, così come emerge dall’art. 49 del D.Lgs. 5
125
Come sottolineato da VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1642, la
quota fissa assolve una funzione redistributrice in quanto svincolata dalla quantità dei rifiuti conferiti e
dal tipo di attività svolta dall’utente. La quota variabile rende il prelievo maggiormente conforme al
principio “chi inquina paga”.
126
DEL FEDERICO, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, cit., 293 ss., evidenzia come
dal dato normativo emerga una sostanziale identità di presupposto tra la Tarsu e la Tia. L’aspettativa
della individuazione di un rapporto diretto tra prelievo e servizio comunale, emergente dalla struttura
della fattispecie della Tia, è rimasta inevasa. A fondamento della tariffa non vi è, infatti, alcun
rapporto commutativo tra prestazione amministrativa e prestazione del privato. Essa è finalizzata al
riparto delle pubbliche spese e presenta evidenti i tratti della sua natura tributaria. Non mancano,
tuttavia, nella Tia forti connotati privatistici, i quali emergono anche con riferimento all’assenza di
norme in materia di accertamento, liquidazione, sanzioni, etc.
127
In tal senso, MARONGIU-TUNDO, La riforma dei tributi comunali, Milano, 1999, 88, a parere
dei quali tra l’utente del servizio e l’ente locale si instaura un rapporto sinallagmatico. TOSI,
Considerazioni sulla fiscalità degli enti locali nel disegno di legge di riforma federalistica
dell’ordinamento tributario, in Riv. Dir. Trib., 2008, 11, 941 ss., ritiene più ragionevole che il servizio
di igiene ambientale sia finanziato mediante apposita tariffa, avente caratteri di corrispettività, in
quanto “Il ritrasferimento della Tia all’area della fiscalità rappresenterebbe un passo indietro
rispetto alla volontà di raggiungere l’obiettivo della massimizzazione dell’autonomia finanziaria
degli enti locali. Si passerebbe, infatti, da una tariffa - in quanto tale sottratta alla riserva di legge e
gestibile dai Comuni in modo snello - ad un tributo vero e proprio, sia pure locale”.
128
Cfr. AMATUCCI, Le prestazioni patrimoniali locali ed ampliamento della giurisdizione
tributaria, in Rass. Trib., 2007, 2, 365, il quale afferma che “Le particolari caratteristiche della
tariffa di igiene ambientale ed in particolare la doppia componente di elementi di natura fiscale e
privatistica che risulta dalle recenti modifiche, mettono in luce la natura mista che va assumendo tale
entrata comunale, che potrebbe comportare la sua scissione in due diverse prestazioni particolari
scorporabili collegate alle due quote (fissa e variabile) di cui una soltanto, la prima, obbligatoria e
avente natura tributaria”.
129
La qualificazione della Tia come tassa consente di recuperare in via analogica la disciplina formale
(accertamento, liquidazione, etc.) dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993 per la Tarsu.
43
febbraio 1997, n. 22, paia propendere, prima facie, per una ricostruzione in termini
privatistici della tariffa 130 .
In argomento, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è mostrata
discordante.
Solo al fine di ricordare alcune delle pronunce più recenti, va rilevato che la
Suprema Corte, Sezione V, chiamata a pronunciarsi sulla giurisdizione in materia di
Tia, con la sentenza 9 agosto 2007, n. 17526 si è espressa a favore della natura
tributaria della tariffa, affermando che il prelievo in parola non presenta elementi di
diversità rispetto alla Tarsu, e che la conversione della tassa in tariffa avrebbe
accentuato i caratteri pubblicistici del prelievo, stante l’obbligatorietà della tariffa e il
concorso della stessa non solamente alla copertura dei costi di smaltimento dei rifiuti
prodotti dal contribuente, ma anche alle spese riferentisi all’erogazione del servizio
all’intera collettività.
In senso contrario si sono poi pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza n.
25551 del 7 dicembre 2007 131 .
Va, da ultimo, ricordata, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 238
del 24 luglio 2009, che ha riconosciuto la natura tributaria della Tia, attribuendo le
relative controversie alla cognizione delle Commissioni tributarie 132 .
6.2. Il tributo provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene
dell’ambiente.
L’art. 19 del D.Lgs. 30 dicembre del 1992, n. 504 ha istituito il tributo
provinciale per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene
dell’ambiente, il cui gettito è attribuito alle province a fronte dell’esercizio delle
130
GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 126, sostengono che il
riconoscimento della natura tributaria della Tarsu avrebbe il pregio di scongiurare le obiezioni di
eccesso di delega sollevate con riferimento alla trasformazione della tassa in tariffa (prezzo pubblico),
posto che l’art. 43 della legge delega n. 52 del 1996, aveva previsto solamente la possibilità di
introdurre “modifiche alle disposizioni in materia di tasse sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani”.
131
La risoluzione del 17 giugno 2008 n. 250/E dell’Agenzia delle entrate, con riferimento alla
sentenza di cui sopra, ha chiarito che occorre distinguere la tassa, che ha natura tributaria, da canoni,
tariffe, diritti speciali, prezzi pubblici, che rientrano nella categoria delle <<entrate patrimoniali
extratributarie>>, affermando che la Tia si configura alla stregua di un corrispettivo.
132
La Consulta ha affermato nella sentenza sopra richiamata che “le caratteristiche strutturali e
funzionali della Tia rendono evidente che tale prelievo costituisce una mera variante della Tarsu,
conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima”.
44
funzioni amministrative ambientali (smaltimento rifiuti, protezione del suolo,
controllo degli scarichi e delle emissioni) di competenza provinciale.
Il prelievo ha natura di tributo di scopo con vincolo di gettito, in quanto
finalizzato al finanziamento di opere di risanamento ambientale.
Il tributo in parola condivide con la Tarsu/Tia il medesimo presupposto
impositivo (possesso di locali ed aree situate nel territorio comunale) e si applica agli
stessi soggetti passivi; essendo privo di profili di autonomia, esso può essere
considerato un’addizionale sulla tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani 133 .
L’ammontare del prelievo è determinato con delibera della giunta provinciale
in misura non inferiore all’1% e non superiore al 5% della tariffa per unità di
superficie stabilita ai fini della Tarsu.
Per quanto attiene alla compatibilità del tributo in parola con il principio “chi
inquina paga” valgono le considerazioni svolte in merito alla Tarsu, stante la
coincidenza delle fattispecie imponibili134 .
6.3. Il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica.
Il tributo speciale per il conferimento dei rifiuti in discarica è stato istituito
dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549 al fine di favorire la minore produzione di rifiuti
ed il recupero degli stessi come materia prima ed energia.
Si tratta di un tributo locale 135 con funzione disincentivante e a parziale
vincolo di gettito.
Quest’ultimo, che risulta ripartito tra Regione (90%) e Provincia (10%), è
devoluto per il 20% della quota di spettanza della Regione ad un fondo destinato ad
incentivare la minore produzione di rifiuti e al finanziamento di attività di recupero
di materie prime ed energia - con particolare riguardo per i soggetti che realizzano
133
È fatta salva dal D.Lgs. n. 22 del 1997, anche a seguito della sostituzione della Tarsu con la Tia, la
vigenza del tributo provinciale de quo.
134
Cfr. VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1644, la quale evidenzia,
peraltro, profili di illegittimità delle norme disciplinanti il tributo provinciale: il contribuente è gravato
da un prelievo addizionale, così compromettendo la correlazione dell’an e del quantum
dell’imposizione alle unità inquinanti attribuibili al soggetto in capo al quale si realizza il presupposto.
135
Il soggetto attivo è la Regione. La legge nazionale si limita a regolare gli elementi essenziali della
fattispecie impositiva, riservando alla Regione la disciplina dell’accertamento, della riscossione, dei
rimborsi, del contenzioso e degli altri aspetti non espressamente regolati. L’attività di accertamento è,
tuttavia, demandata alla Provincia.
45
sistemi di smaltimento alternativi alle discariche -, di bonifica dei suoli inquinati,
etc. 136
Il presupposto del tributo è costituito dal deposito in discarica dei rifiuti
solidi, compresi i fanghi palabili 137 .
Soggetto passivo è il gestore dell’impresa di stoccaggio definitivo dei
rifiuti 138 , in capo al quale è posto l’obbligo di rivalsa nei confronti di colui che
effettua il conferimento.
La base imponibile è calcolata con riferimento alla quantità dei rifiuti
conferiti in discarica, mentre le aliquote sono differenziate in ragione dell’impatto
ambientale delle diverse tipologie di rifiuti.
Dalle caratteristiche generali del tributo in questione emerge la natura
contributiva e non commutativa del prelievo, qualificabile come imposta.
Esso è peraltro classificabile come tributo ambientale in senso stretto, stante
l’inclusione della funzione ambientale nel presupposto impositivo, e risulta conforme
al principio “chi inquina paga”, in quanto, da un lato la rivalsa obbligatoria fa sì che
il soggetto inciso dal tributo sia colui il quale produce i rifiuti da depositare in
discarica dando luogo alle diseconomie ambientali, dall’altro l’entità del prelievo è
commisurata al diverso impatto ambientale dei rifiuti depositati 139 .
6.4. La tariffa per la raccolta e la depurazione delle acque di rifiuto.
Si deve all’art. 16 della L. 10 maggio, n. 319 (c.d. “legge Merli”) l’istituzione
di un canone o diritto per la raccolta e la depurazione delle acque di rifiuto, dovuto
agli enti gestori del relativo servizio di raccolta, allontanamento, depurazione e
scarico delle acque.
136
A parere di MENTI, Ambiente e imposizione tributaria - Il tributo speciale sul deposito dei rifiuti,
Padova, 1999, 11, il parziale vincolo di gettito disposto dall’art. 3, comma 27, L. n. 549/1995 si pone
in contraddizione con la finalità del tributo (riduzione dei rifiuti e il loro utilizzo come materia prima e
per produrre energia), così come enunciata dal comma 24 del medesimo articolo.
137
Il presupposto si realizza non solo con il conferimento in discarica dei rifiuti, ma anche con lo
smaltimento in discarica abusiva, con lo smaltimento in impianti di incenerimento senza recupero di
energia.
138
Ma anche il gestore dell’attività di discarica abusiva, chiunque abbandoni in modo incontrollato
rifiuti, il gestore dell’impianto di incenerimento dei rifiuti senza recupero di energia.
139
In tal senso, LAROMA JEZZI, I tributi ambientali, cit., 326; VERRIGNI, La rilevanza del
principio “chi inquina paga”… , cit., 1647. Contra, GALLO-MARCHETTI, I presupposti della
46
Tale canone era articolato in due parti: la prima relativa al servizio di
fognatura (determinata in funzione della quantità delle acque scaricate), la seconda al
servizio di depurazione (determinata in dipendenza della qualità e quantità delle
acque scaricate).
I soggetti passivi erano coloro che utilizzavano uno scarico nella pubblica
fognatura.
Le modalità di determinazione della tariffa differivano a seconda che gli
scarichi provenissero da insediamenti civili o produttivi.
In merito alla natura giuridica del prelievo, la giurisprudenza si era espressa
in favore di una ricostruzione teorica in termini di tassa, stante la determinazione
autoritativa e la obbligatorietà della prestazione imposta ai privati a fronte della
erogazione del servizio pubblico 140 .
Con la L. 5 gennaio 1994, n. 36 (cd. “legge Galli”) la disciplina suddetta è
stata innovata, introducendo il concetto di “servizio idrico integrato”, inteso quale
insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione, distribuzione di acqua ad usi
civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, a fronte del quale è stata
prevista la corresponsione da parte degli utenti di una quota di tariffa 141 .
Il presupposto della tariffa 142 è costituito dal fatto oggettivo del collegamento
alla rete fognaria 143 e la sua commisurazione è correlata al quantitativo di acqua
consumata 144 .
Il gettito della quota di tariffa relativa al servizio di pubblica fognatura e di
depurazione affluisce in un fondo vincolato finalizzato alla realizzazione e alla
gestione di opere e impianti centralizzati di depurazione.
tassazione ambientale, cit., 128, per i quali la funzione ambientale risulta esterna al presupposto,
rilevando solamente come finalità extrafiscale.
140
Cfr. Cass. 9 marzo 1992, n. 2800; Cass. 11 aprile 1992, n. 4461; Cass. 11 novembre 1994, n. 9434.
In dottrina, tra gli altri, DI PIETRO, Tributi comunali, in Enc. Giur., Roma, 1994, 16.
141
Il canone per la raccolta e la depurazione delle acque è stato abrogato dall’art. 24, comma 1, D.Lgs.
n. 258 del 2000.
142
VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1648, ritiene che il presupposto
della tariffa vada individuato nella creazione di diseconomie esterne prodotte dagli scarichi idrici
inquinanti, quindi nella produzione di effetti dannosi per l’ambiente che la collettività è tenuta ad
accollarsi.
143
La tariffa è dovuta anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di
depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
144
Si presume che l’acqua consumata sia poi scaricata nella rete fognaria.
47
Il prelievo in esame è rispondente al principio “chi inquina paga”, in quanto i
costi relativi al danno ambientale prodotto dallo scarico di acque reflue sono posti a
carico del soggetto inquinatore, responsabile per la spesa pubblica specificamente
causata.
Esso ha natura tributaria 145 e si atteggia come tassa avente funzione di
finanziamento del servizio di raccolta e depurazione delle acque reflue.
La finalità ambientale è inclusa nella fattispecie impositiva, considerato che
l’entità del prelievo dipende dal livello di inquinamento prodotto dall’attività
inquinante posta in essere dal soggetto passivo.
6.5. L’imposta sulle emissioni di anidride solforosa.
Il prelievo sulle emissioni di anidride solforosa (SO2) e di ossidi di azoto
(NOX) è stato istituito dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449 (art. 17, commi da 29 a
33) 146 .
Il tributo colpisce le emissioni prodotte dai grandi impianti di combustione 147
destinati alla produzione di energia elettrica 148 , ed è determinato nella misura di 106
euro per tonnellata/anno di anidride solforosa e in 209 euro per tonnellata/anno di
ossidi di azoto.
Soggetti obbligati al pagamento sono gli esercenti i grandi impianti di
combustione.
Essi sono tenuti a presentare agli Uffici dell’Agenzia delle Dogane
competenti territorialmente, entro la fine del mese di febbraio di ogni anno, una
145
In tal senso, TRIMELONI, I tributi locali e regionali: le prospettive di riforma e le problematiche
attuali, in Fin. Loc., 1996, 1266 ss.; LOVISETTI, Il servizio idrico integrato: profili gestionali e
tariffari, in Fin. Loc., 1998, 807; LAROMA JEZZI, I tributi ambientali, cit., 328.; Di parere contrario,
GALLO-MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, cit., 129, per i quali si tratta di un
prelievo obbligatorio non tributario.
146
La relativa regolamentazione è stata dettata dal D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416.
147
Si considerano grandi impianti di combustione, secondo la definizione fornita dalla Direttiva
88/609/CEE del 24 novembre 1988, quelli localizzati in un medesimo sito industriale ed appartenenti
ad un unico esercente, purché almeno uno degli stessi abbia una potenza termica nominale pari o
superiore ai 50 megawatt.
148
Il tributo non si applica ai grandi impianti che utilizzano i prodotti di combustione nei procedimenti
di fabbricazione.
48
dichiarazione apposita contenente i dati relativi alle emissioni inquinanti dell’anno
precedente 149 .
La finalità ambientale del tributo è costituita dalla riduzione delle emissioni
inquinanti.
Il costo del danno ambientale derivante dal rilascio di emissioni inquinanti è
posto a carico del soggetto inquinatore (i grandi impianti di combustione), sicché il
tributo de quo può essere considerato conforme al principio “chi inquina paga”.
Il tributo in esame si configura come un’imposta, avendo natura contributiva,
e come un tributo ambientale in senso stretto, incorporando nel presupposto l’unità
fisica che determina il deterioramento dell’ambiente.
6.6. L’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili.
L’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili è stata istituita
dall’art. 90 della L. n. 342 del 2000, a decorrere dal 1° gennaio 2001 150 .
Il gettito del presente tributo spetta ad ogni regione o provincia autonoma ed è
prioritariamente vincolato ad interventi di disinquinamento acustico e all’eventuale
indennizzo delle popolazioni residenti nelle vicinanze degli aeroporti.
Il fatto al verificarsi del quale si rende dovuto il tributo è rappresentato dal
decollo e dall’atterraggio dell’aeromobile civile negli aeroporti civili 151 .
Il
soggetto
obbligato
al
pagamento
dell’imposta
è
l’esercente
l’aeromobile 152 , il quale provvede al versamento su base trimestrale.
Sono esclusi dal pagamento i voli di Stato, sanitari e di emergenza.
L’imposta è determinata sulla base delle emissioni sonore dell’aeromobile
civile, in funzione del peso di ciascun velivolo e delle caratteristiche tecniche delle
149
Il tributo è versato, a titolo di acconto, in rate trimestrali calcolate sulla base delle emissioni
inquinanti dell’anno precedente. Il conguaglio è effettuato, unitamente al versamento della prima rata
di acconto, alla fine del primo trimestre dell’anno successivo. In caso di versamenti effettuati in
eccedenza, questa potrà essere portata in detrazione dalla prima rata di acconto e, se necessario, dalle
successive, oppure restituita mediante rimborso.
150
La disciplina delle modalità applicative dell’imposta è demandata a fonti di formazione secondaria.
151
Sono implicitamente esclusi dal campo di applicazione del tributo i voli militari.
152
L’esercente l’aeromobile civile si identifica in colui che, ai sensi dell’art. 874 del codice della
navigazione, assume l’esercizio dell’aeromobile. In mancanza di apposita dichiarazione si considera
esercente il proprietario dell’aeromobile, salvo prova contraria.
49
emissioni sonore, così come indicate dalle norme sulla certificazione acustica
internazionale 153 .
Il prelievo in esame non presenta alcuna connotazione commutativa: si tratta,
infatti, di un tributo contributivo (imposta).
L’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili è qualificabile
quale tributo locale ambientale in senso stretto con parziale vincolo di gettito 154 .
L’unità fisica responsabile dell’inquinamento (l’emissione sonora) connota il
presupposto impositivo ed incide sull’entità del prelievo, commisurata alla maggiore
o minore rumorosità degli aeromobili.
L’imposta in parola è rispondente, peraltro, al principio “chi inquina paga”.
6.7. La carbon tax.
Con l’intento di revisionare il sistema di tassazione dei prodotti energetici, la
legge finanziaria per il 1999 (L. 23 dicembre 1998, n. 448) aveva istituito la
cosiddetta carbon tax ed aveva nel contempo rimodulato le aliquote delle accise sugli
oli minerali 155 , al fine di ridurre le emissioni di anidride carbonica, in ossequio alle
statuizioni del Protocollo di Kyoto.
La carbon tax era un’imposta sui consumi di carbone, coke di petrolio e
bitume di origine naturale emulsionato con il 30% d’acqua (orimulsion), impiegati
nei grandi impianti industriali di combustione con potenza termica nominale pari o
superiore a 50 megawatt.
Erano tenuti al versamento del tributo i titolari degli impianti suddetti.
153
VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1652, rileva come “la
<<rumorosità>> assunta quale elemento causativo del tributo mal si concilia con la concezione
solidaristica della capacità contributiva. Le emissioni sonore che provengono dagli aeromobili sono
tuttavia configurabili come fatto suscettibile di valutazione economica (…). Pertanto tale tributo pur
non rispondendo alla concezione tradizionale della capacità contributiva, risulta agevolmente
giustificabile in base al principio <<chi inquina paga>>, concepito come uno dei possibili razionali
criteri di riparto”.
154
Parte della dottrina ritiene che la finalità ambientale sia estranea al presupposto impositivo, con la
conseguenza che il prelievo sarebbe qualificabile come tributo di scopo con funzione indennitaria,
piuttosto che come tributo ambientale vero e proprio. In tal senso, FICARI, Prime note sull’autonomia
tributaria delle regioni a Statuto speciale (e della Sardegna in particolare), in Rass. Trib., 2001,
1307.
155
VERRIGNI, La rilevanza del principio “chi inquina paga”… , cit., 1654, qualifica le accise sugli
oli minerali come imposte propriamente ambientali, in quanto la relativa fattispecie imponibile si
caratterizza per la presenza di un elemento, quale è il consumo di un bene inquinante, avente un
significativo impatto ambientale.
50
Il prelievo in discorso poteva considerarsi un’accisa (pari a 0,52 euro per
tonnellata sui consumi dei prodotti energetici suddetti) non armonizzata 156 , nonché
un’imposta ambientale in senso proprio, in quanto avente un presupposto, costituito
dal consumo di beni inquinanti, fortemente connotato in senso ambientale.
Il tributo, uno dei principali strumenti di fiscalità ambientale che il nostro
ordinamento abbia adottato, risultava perfettamente conforme alla clausola
comunitaria del “chi inquina paga”.
La carbon tax è stata abrogata dall’art. 7 del D.Lgs. n. 26 del 2007 con il
quale si è data attuazione alla Direttiva 2003/96/CE.
Quest’ultima ha, infatti, previsto la tassazione nell’ambito delle accise
armonizzate a livello comunitario anche del carbone, del coke di petrolio, della
lignite, degli oli vegetali, del gas naturale, dell’energia elettrica, etc., prodotti che
erano sfuggiti all’armonizzazione del 1992 157 .
7. Considerazioni conclusive alla luce delle nuove prospettive aperte nella
tassazione ambientale dal federalismo fiscale.
In queste brevi note conclusive è legittimo chiedersi se all’alba della riforma
in senso federalista del sistema tributario italiano158 ci sia spazio per una
caratterizzazione dello stesso in termini ambientali.
L’intervento riformatore potrebbe, infatti, presentarsi come un’opportunità
per una revisione della fiscalità che, tenendo conto delle esigenze ambientali, sia in
grado di produrre benefici effetti redistributivi, ad esempio a favore dei redditi di
lavoro, secondo la succitata logica del doppio dividendo.
156
L’art. 3, comma 3, della Direttiva 92/12/CEE, secondo cui gli Stati membri dell’Ue possono
prevedere forme di prelievo che colpiscano prodotti diversi da quelli per i quali sussiste un’accisa
armonizzata, purché ciò non si sostanzi in un ostacolo alla realizzazione degli scambi tra gli Stati
membri.
157
La tassazione di questi prodotti era stata rimessa alla discrezionalità dei paesi membri, mentre le
accise armonizzate colpivano prodotti quali gli oli minerali, gli alcolici e i tabacchi lavorati.
Attualmente l’armonizzazione delle accise attiene ai “prodotti energetici”, categoria più ampia di
quella degli “oli minerali”. L’obiettivo del legislatore comunitario è quello di garantire, attraverso il
raggiungimento di livelli minimi uniformi di tassazione dei prodotti energetici, il buon funzionamento
del mercato comune, nonché il rispetto degli obiettivi di tutela ambientale posti dalla ratifica da parte
dell’Unione del Protocollo di Kyoto.
158
Cfr. Legge delega 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119
della Costituzione.
51
Attraverso la valorizzazione dell’autonomia di entrata delle regioni e degli
enti locali, potrebbero aprirsi più ampi margini di manovra in ordine alla istituzione
di tributi rispondenti a specifiche esigenze ambientali e di gettito locali, mantenendo
invariata la pressione fiscale complessiva 159
160
.
Orbene, le possibilità sono due, e non necessariamente alternative: da un lato
la rimodulazione in senso ambientalista dei tributi locali esistenti 161 , dall’altro
l’introduzione a livello sub-statale di nuove tipologie di prelievo, che siano
finalizzate ad esigenze di gettito o al compimento di opere di risanamento
ambientale.
Con riferimento alla seconda ipotesi, vanno menzionati il tributo sui flussi
turistici e quello sulla mobilità urbana (road pricing), idonei a dispiegare positivi
effetti su due profili critici della finanza locale162 .
Un esempio di tributo sui flussi turistici è rappresentato dall’imposta di
soggiorno, la cui introduzione è stata sperimentata in tempi recenti dalla regione
Sardegna 163 .
159
A tal proposito vanno ricordati tra i principi e criteri direttivi generali dettati dall’art. 2 delle legge
n. 42/2009 quelli di: “autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa,
finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo” (lett. a)); “razionalità e coerenza dei singoli tributi e
del sistema tributario nel suo complesso” (lett. c)); “attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle
province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il
principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei principi sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza di cui all’art. 118 Cost.” (lett. e)).
160
Come osservato da CIPOLLINA, Osservazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del
federalismo fiscale, cit. 567 ss., molti tributi “ecologici” hanno ontologicamente una scala territoriale
superiore a quella regionale o locale. Se il problema ambientale ha una dimensione globale, la
soluzione deve essere globale e non può frammentarsi e concentrarsi solo in aree specifiche, poiché
ciò sarebbe un fattore di inefficienza del prelievo, che si ritorcerebbe contro l’ente impositore come
svantaggio competitivo.
161
A parere di CIPOLLINA, Osservazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del federalismo
fiscale, cit. 567 ss., si potrebbe pensare alla “riqualificazione” di un tributo certamente non ambientale
come l’Irap, le cui aliquote dovrebbero essere rimodulate sulla base delle performance ambientali
delle imprese.
162
Un’imposta di soggiorno potrebbe “sostenere le finanze dei Comuni ad alta vocazione turistica,
che tradizionalmente soffrono degli scompensi finanziari derivanti dalla raccolta di tributi in capo ai
residenti ed al sostenimento di spese anche per i non residenti, non contribuenti del Comune.
Analogamente, gli enti locali che soffrono dell’andamento dei flussi di mobilità urbana potrebbero
realizzare politiche volte a contenere i relativi effetti dannosi mediante l’introduzione di un prelievo
legato al transito nel proprio territorio”. Così, TOSI, Considerazioni sulla fiscalità degli enti locali
nel disegno di legge di riforma federalistica dell’ordinamento tributario, cit., 941 ss.
163
Tale tributo, istituito con la legge della regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (art. 5) ha un
antecedente storico nella tassa di soggiorno comunale istituita dalla L. 11 dicembre 1910, n. 863,
soppressa dall’art. 10 del D.L. 2 marzo 1989, n. 66.
52
Questa, dopo essere sopravvissuta alle censure di illegittimità costituzionale
sollevate in relazione all’art. 3 Cost., in quanto applicata ai soli non residenti 164 , è
stata poi soppressa dall’art. 2, comma 14, della legge della regione Sardegna 14
maggio 2009, n. 1 165 .
L’imposta di soggiorno è generalmente finalizzata ad incorporare nei prezzi
l’utilizzo di beni ambientali (culturali, paesaggistici), al fine di finanziarne la
conservazione e la valorizzazione 166 .
Per quanto attiene il road pricing (pedaggio urbano), si tratta di uno
strumento consistente nella previsione dell’obbligo di munirsi di un ticket di ingresso
per accedere a determinate aree urbane.
Esso è volto alla razionalizzazione del traffico privato, ha un impatto positivo
sulla qualità dell’aria e risulta rispondente al principio “chi inquina paga”.
Se il gettito del pedaggio è poi destinato alla realizzazione di interventi
destinati al miglioramento della mobilità urbana (nuovi parcheggi, miglioramento
trasporto pubblico), allora il road pricing può qualificarsi come una imposta di
scopo, idonea a rappresentare un’alternativa all’aumento delle imposte sui carburanti
per i mezzi di trasporto.
164
Cfr. Corte Cost. 15 aprile 2008, n. 102.
Il suo gettito era destinato “ad interventi nel settore del turismo sostenibile con particolare
riguardo al miglioramento dei servizi rivolti ai turisti e alla fruizione della risorsa ambientale”.
166
Il ricorso ai tributi gravanti sulle attività turistiche è molto dibattuto. Si veda in proposito,
BURATTI, Ragioni e limiti dell’imposizione sui “non residenti”, in Federalismo fiscale, 2008, 2, 223.
165
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