A000891 - Fondazione Insieme onlus
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A000891, 1 A000891 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da Psicologia Contemporanea pag. 16, n.195 mag-giu06 <<#DONNE AL TIMONE. I NUCLEI FAMILIARI A GUIDA FEMMINILE. LE MADRI SINGLE.>> di Jolanda Stevani, psicologa clinica e di comunità, Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza”. per la lettura completa del testo si rinvia al periodico citato. Le famiglie monoparentali si distinguono per l’evento che le ha originate. Può trattarsi di un lutto, con conseguente vedovanza, oppure di una scelta di separazione e divorzio. In questo secondo caso, nel nucleo monoparentale dove sono presenti i figli, oggi prevale decisamente la figura femminile, e ciò soprattutto perché separazioni e divorzi sono regolati, quantomeno in Italia, da un orientamento giuridico che potremmo definire “matricentrico”, per cui succede che nel 90% circa dei casi il genitore affidatario decretato dal Tribunale sia la madre. Ma non è solo una questione di giurisprudenza. Il nucleo monoparentale gestito dalla donna dopo la separazione o il divorzio costituisce oggi anche il frutto di una profonda innovazione ed evoluzione del ruolo femminile, che si pone in maniera sempre più autonoma e meno complementare rispetto a quello maschile. Come vivono le madri single la responsabilità della famiglia e dei figli? Nella famiglia guidata dalla madre single i bambini non crescono in presenza di una coppia. Questo comporta, nel caso della rottura del matrimonio, la necessità che i ruoli parentali vengano ridefiniti, ovviamente dopo che gli eventuali conflitti di coppia che hanno portato alla separazione siano stati risolti. Il rischio principale è rappresentato, in questo caso, dal senso di solitudine dal quale può sentirsi assalita una donna che, anche se indipendente, dinamica e matura, si trova a dover affrontare in toto le responsabilità genitoriali, se non proprio un’intera gravidanza, senza la presenza di un partner. Nel caso in cui invece il compagno sia morto, il sentimento predominante è l’insicurezza. La mamma viene spesso assalita da mille dubbi circa la sua capacità di crescere un bambino in maniera adeguata, garantendogli tutto l’affetto e il sostegno di cui ha bisogno. Nel corso di una ricerca di carattere esplorativo, conclusasi pochi mesi fa ed effettuata mediante interviste semistrutturate, abbiamo incontrato 44 madri single di età compresa fra i 30 ed i 75 anni. Le riflessioni che seguono sono state stimolate da questi contatti. Il rischio fusionale. Ci ha detto Lorenza, impiegata di 35 anni, vedova: <<C’è solitudine, la paura di non farcela, di non riuscire ad educare bene il figlio, c’è il sospetto di trasmettergli insicurezze ed ansie tali da impedirgli di raggiungere un equilibrio>>. Possono diventare problematici anche i rapporti col mondo esterno, anche perché molto spesso lo scomparso viene idealizzato. Prosegue Lorenza: <<Si ricordano gli eventi gioiosi, si prega per lui, gli si invia il bacio della buonanotte prima di addormentarsi, lo si ricorda ... >>. Il rischio maggiore è che la madre instauri con il figlio un rapporto di tipo fusionale e compensatorio, realizzando una “partnerizzazione” del bambino che, privato del suo ruolo, si troverà ad occupare la posizione del genitore mancante, con tutto il peso che ne può derivare, soprattutto quando sia dello stesso sesso. Michela, operatrice sociale di 38 anni, anch’essa vedova, dichiara con franchezza: <<Ne so abbastanza di psicologia per riconoscere gli errori che ho commesso ... per cui, senza peli sulla lingua, dico “rapporto simbiotico”. Mio figlio dorme ancora con me e la nostra relazione è particolarmente intensa. Ha anche i nonni materni come figure di riferimento ma sono io il centro>>. Anche nel caso in cui l’altro genitore sia assente per separazione o divorzio, oppure perché non è stato capace di assumersi gli oneri della A000891, 2 genitorialità, il rischio di stabilire un rapporto simbiotico col figlio o la figlia è sempre presente (Oliverio Ferrarsi, 2006). Il figlio, maschio o femmina, rappresenta un’enorme fonte di sicurezza e, a poco a poco, viene trasformato in partner e confidente: <<Siamo felici insieme>>, dice Chiara, dirigente d’azienda di 43 anni, divorziata, <<ognuna di noi ha una propria vita e propri impegni, ma sappiamo che il primo “altro” in cui cercare conforto, amore compagnia e felicità, siamo rispettivamente io per lei e lei per me. Francesca è protettiva nei miei confronti, mi stima e mi ascolta anche se prova sempre di forzare il limite>>. E Federica, impiegata di 36 anni, divorziata: <<E’ un rapporto normale, tutto sommato. Credo che si mischi un po’ il rapporto fra madre e figlia con il rapporto fra madre-amica e figlia-amica, non so se riesco a spiegarmi ... >>. Allo stesso tempo, però, i figli possono anche essere visti come incarnazioni di tutti gli aspetti detestati dell’ex compagno, suscitando nella mamma sentimenti più o meno intensi di ambivalenza. Quando poi la carriera di madre viene intrapresa in maniera del tutto autonoma fin dal concepimento, anche la più audace delle donne può sentirsi assalita dal senso di colpa, sentimento perfettamente comprensibile, visto che il modello dominante resta sempre quello della famiglia tradizionale, composta da entrambi i genitori. Ciò può generare svariati dubbi. La madre single si chiede se è davvero in grado di non far mancare niente al proprio figlio o figlia, se non sarebbe stato più giusto che crescesse in una famiglia tradizionale, come potrà sentirsi al momento del confronto con gli altri bambini allevati da coppie integre e via dicendo. Spiega Laura, impiegata di 38 anni che non è stata mai sposata: <<Sicuramente all’inizio molto stress e sensi di colpa. Ora vivo con un’esperienza molto coinvolgente, oserei dire molto più coinvolgente di quella che avrei vissuto se fossi stata “normalmente” sposata. Molto faticosa, certo, ma questo lo sarà sempre. Ora i sensi di colpa si sono molto attenuati, se non proprio scomparsi del tutto.>>. Anche Giulia, infermiera professionale di 41 anni, divorziata, parla di colpa e fatica: <<Pesano le decisioni, che sono solo a carico tuo e hai paura di sbagliare ... ma devi agire in buona fede, senza dover mai dire: se avessi fatto, se avessi detto ... >>. Terzo assente. Come appare evidente dai brani riportati, il tratto comune e costante è rappresentato dall’assenza del “terzo”, ossia del partner, che tra le sue funzioni principali dovrebbe svolgere la simbiosi tra madre e figlio o figlia, porsi come modello di riferimento e favorire, con la sua “normatività”, lo sviluppo del processo di socializzazione della prole. Tale mancanza tuttavia può essere aggirata se si cerca si svolgere anche le funzioni del “terzo”. Certo le difficoltà ci sono, in primo luogo dovute al fatto che la madre single si trova a dover gestire contemporaneamente un duplice ruolo, materno e paterno. Le donne che hanno raggiunto una corretta integrazione degli aspetti maschili e femminili della loro personalità saranno però avvantaggiate nel riuscire a trovare un compromesso tra la normatività tipica della funzione paterna e l’amorevolezza che contraddistingue il ruolo materno. Esiste tuttavia anche la tentazione di assumere un atteggiamento di onnipotenza: a furia di prendere decisioni da sola, la madre single rischia di caricarsi di responsabilità che nel caso della famiglia tradizionale vengono ripartite tra i due coniugi e, tesa al raggiungimento del mito del genitore perfetto, può colpevolizzarsi per ogni minima mancanza. I genitori solo hanno spesso sentimenti contraddittori dipendenti anche dal fatto che non sempre parenti e amici sono solidali e supportivi. E’ dunque necessario convincersi della che le perfezione non esiste: oltre ad essere salutare per la madre, questo atteggiamento mentale è positivo anche per i figli, che impareranno ad accettare le inevitabili debolezze proprie e altrui. Per evitare il rischio di una relazione fusionale, è importante che la madre mantenga un’apertura con l’esterno, favorendo relazioni con parenti (nonni, zii) e amici, persone prossime che possano servire anche da figure sostitutive e da modelli di identificazione per il bambino, facilitando la costruzione della sua A000891, 3 personalità. Educare un bambino significa infatti avviarlo sulla strada dell’autonomia e aiutarlo a sviluppare l’autostima sufficiente a prendere le dovute distanze dal genitore. L’assenza dell’altro genitore non sarà necessariamente patogena se la madre saprà anche inserire il padre nella storia familiare riuscendo, anche nel caso di una sua totale mancanza, a garantirne una presenza almeno simbolica. Dice ancora Michela: <<Il bambino ne sente la mancanza, dice che è stanco di parlare sempre del cielo dove ora si trova, poi però prima di dormire mo chiede di raccontargli la storia del babbo>>. Alle domande circa le sue origini, che inevitabilmente il bambino porrà quando si troverà a confronto con i suoi pari, sarà importante che la mamma sappia rispondere attraverso la costrizione di una sorta di “romanzo familiare”, nel quale il bambino possa trovare quel senso ci continuità e appartenenza su cui fondare la sua identità. Lo stile educativo. Una madre single tende ad oscillare tra atteggiamenti permissivi e atteggiamenti autoritari: da una parte desidera mantenere un buon rapporto col proprio figlio e tende ad adottare uno stile educativo permissivo o addirittura privo di limiti. In tal modo, però, lascia il figlio privo di contenimento, non ne favorisce la socializzazione, lo rende dipendente e refrattario a investimenti esterni. Dice Marcella, casalinga di 34 anni, divorziata: <<Beh ... sicuramente sento il peso completo della responsabilità, le decisioni, quel che devono fare i miei figli ... tutto ricade su di me. Sono diventata molto protettiva nei loro confronti ... ho molte più paure rispetto al passato ... e forse è per superarle che sono diventata così permissiva>>. D’altra parte la mamma single può assumere anche un atteggiamento di eccessiva rigidità e pretesa con l’imposizione di una severa disciplina. Dice ancora Giulia: <<Penso unicamente a una cosa: che mi sia stata amputata un po’ di dolcezza ... quella dolcezza che in genere c’è nelle mamme e mi aumentata la severità>>. In entrambi i casi i figli potranno facilmente diventare disubbidienti, aggressivi e insicuri. La difficoltà principale è insomma costituita dalla necessità di svolgere un ruolo educativo bipolare, che sappia conciliare autorevolezza e affettuosità. Sintetizza Laura: <<Il genitore solo deve essere più autoritario, più protettivo, più disponibile ... insomma più tutto!>>. La madre che sa accettare le sue vulnerabilità e incertezze, riconoscendosi e accettandosi nella sua umana imperfezione, riuscirà più facilmente a trovare il giusto equilibrio tra le due modalità, che consentirà al bambino di confrontarsi con istanze ugualmente importanti per il suo processo di crescita. Dice Elisabetta, segretaria di 43 anni, divorziata: <<Non sono mai stata né troppo autoritaria né troppo permissiva ... quando sbagliavano, o sbagliano adesso, gli faccio notare qual è l’errore, ne parliamo insieme ... Li lascio abbastanza liberi di prendere le loro decisioni, io mi limito a dare loro dei consigli, ma sono loro a decidere>>. Pere la madre single, la tentazione di onnipotenza è sempre in agguato e un mezzo per sventare tale rischio è accettare il sostegno che può venire dall’esterno, abituandosi anche a delegare, ove possibile. Il problema più grosso che incontrano le madri sole è infatti relativo alla difficoltà di svolgere il loro compito educativo senza sostegni di alcun tipo: l’impegno lavorativo, più o meno pressante ma comunque sempre costante, non consente loro di seguire i figli in tutte le attività che svolgono e sono prive del confronto con un partner per quanto concerne le scelte educative. Quotidianità. Molto spesso le madri single si collocano nell’area della povertà. La ragione di tale svantaggio è da ricercare in primo luogo nelle difficoltà di queste donne incontrano in ambito lavorativo, dove non raggiungono una posizione di concorrenzialità e quindi restano lontane anche dalla possibilità di migliorare economicamente. Ma ci sono anche molti ostacoli nell’inserimento stesso della donna sola nel mondo del lavoro: spesso la scolarità non è sufficiente, la formazione professionale non è idonea, manca l’esperienza lavorativa, i figli sono troppo piccoli. Poi ci sono le difficoltà abitative, A000891, 4 per quel che riguarda l’affitto o l’acquisto della casa, e soprattutto la mancanza di politiche sociali che contribuiscano a sostenere la madre sola. L’ingresso nella monoparentalità combacia con una diminuzione delle risorse economiche e la condizione più disagiata è vissuta dalla madre che si separa dal compagno dopo un’unione di fatto. A quali aiuti e a quali risorse può attingere la mamma sola? In un primo momento si può rivelare prezioso il sostegno fornito dai parenti, principalmente i genitori, e ciò vale anche per quel che concerne la custodia dei figli. Alcuni studi hanno evidenziato che le strategie cui ricorrono le madri single per fronteggiare l’impoverimento economico sono tre: 1__ la cosiddetta “intensificazione”, che consiste in un maggior impegno lavorativo, eventualmente distribuito su più fronti, 2__ la “rivendicazione”, per beneficiare al massimo degli aiuti pubblici (o, eventualmente, dei famosi “alimenti” da parte del partner), 3__ il “lavoro su se stesse”, cioè il tentativo di interpretare la propria vita attuale come passaggio positivo dalla dipendenza all’indipendenza. Chiaramente la situazione lavorativa della donna provoca delle ripercussioni sulla relazione con il figlio: quanto maggiore sarà la criticità delle condizioni professionali, tanto maggiore sarà la possibilità di ambivalenza di sentimenti nei suoi confronti. La donna sola deve poi riuscire a conciliare l’impegno lavorativo con l’allevamento della prole; la parola d’ordine è “trovare un compromesso”, impresa non certo facile per chi si trova a dover combinare il ruolo di capofamiglia procacciatore di reddito con le mansioni interne di accadimento della prole. La vita di madre single è così scandita da un ritmo totalizzante che molto spesso le impedisce di ritagliarsi spazi personali e aggrava la sua condizione di isolamento. Dice Laura: <<Noi genitori unici siamo veramente soli se alle spalle non abbiamo una rete amicale o parentale che ci aiuta ... Ma è più difficile fare amicizie, sia per me che per mio figlio. Viviamo in un piccolo paese e sono rare le famiglie “normali” che ci invitano a cena o accettano la nostra amicizia ... forse perché in qualche modo la mia condizione di “sola” viene associata dalle mogli a una possibile minaccia per i loro mariti, o perché le famiglie “normali” hanno paura di confrontarsi con questa realtà>>. Per molte madri single la baby-sitter è un lusso che non si possono permettere. Allora un importante sostegno può derivare dall’aiuto reciproco. Tra le risorse che si stanno diffondendo anche da noi vi è il cosiddetto “scambio delle competenze”, o “banca del tempo”: ogni donna contribuisce con una parte del proprio tempo e con le abilità di cui dispone allo svolgimento di attività e mansioni a favore di altre madri single, intrecciando in questo modo una rete di baratti che alla fine risulta perfino gratificante, dal momento che ogni mamma partecipa con le capacità in cui si sente più preparata e che preferisce. Un’altra forma di aiuto che si sta sviluppando è quella degli “asili a domicilio”: i bambini vengono accuditi in casa, a costi contenuti rispetto agli asili comuni e senza rigidità d’orario, da donne particolarmente sensibili e volenterose. Gli spazi della donna. Il motto della madre sola è “scendere a patti”. E’ ciò non solo nell’educare i figli e nel conciliare lavoro esterno e lavoro interno alla famiglia, ma anche e soprattutto nella gestione di sé stessa. Una delle imprese più complicate che questa mamma deve affrontare è cercare di ritagliarsi degli spazi personali che le consentano di percepirsi non solo come madre (madre-padre), ma anche come donna, spazi dove si valorizzino le altre componenti della sua personalità, diverse da quelle strettamente genitoriali. E’ indispensabile chela mamma single coltivi questa sana forma di egoismo: il risultato delle sue “boccate d’ossigeno” sarà un rinnovata soddisfazione di sé, che porterà degli effetti benefici anche nella relazione con i figli. Esclama Michela: <<Non ci sono più esigenze personali, non ci sono più spazi per me da quando è nato mio figlio!>>. Certo, l’impresa può essere ardua per una lunga serie di motivi che discendono proprio dallo status di madre single. Ma anche in questo caso la A000891, 5 parola d’ordine è sempre la stessa: “scendere a patti”. Non pretendere troppo da sé stessa, non cadere nella trappola del mito della perfezione e dell’onnipotenza. Il proprio ambito di libertà personale può essere costruito a piccoli passi, ritagliandosi dapprima piccoli spazi, per arrivare poi ad una pianificazione più vasta della propria libertà, evitando il sempre incombente e minaccioso senso di colpa, vera e propria spada di Damocle di ogni mamma che cresce i figli da sola: <<Lascio mia figlia a dormire una o due volte la settimana dalla nonna e io esco>>, dice Federica, <<comunque cerco sempre di coinvolgerla, di presentarla ai miei amici o colleghi ... lei è molto socievole, le piace>>. Quando la mamma riesce ad assaporare l’innocente normalissimo piacere di dedicare un po’ del suo tempo ad attività sociali o comunque esterne alla famiglia, il bambino probabilmente si sentirà in un cero senso “alleggerito” di un peso, quello di condizionarne l’esistenza. Concedersi spazi rappresenta per la donna sola una sorta di decentramento che autorizza il bambino, da un lato, a non sentirsi il centro assoluto della vita di sua madre e che gli permette, dall’atro di assaporare anche lui con gioia e senza sensi di colpa i momenti che trascorre lontano da lei, momenti che gli sono necessari per un corretto processo di socializzazione. Laura è contenta quando racconta: <<Appena ha avuto l’età giusta l’ho subito mandato a fare lo scout, una cosa che adora ... è una specie di mondo allargato, che io da sola non potrei costruirgli. L’ho anche iscritto ad un coro ... spero che la musica e il canto possano aiutarlo ad esprimere i sentimenti che ha nell’animo>>. Ce la puoi fare, ce la devi fare e ce la farai. La maternità è di per sé foriera di ansie e preoccupazioni relative sia alle proprie capacità, sia la futuro del bambino, ma queste incertezze di base, implicite nella funzione materna, assumono una tonalità particolarmente intensa nel caso delle madri che allevano i figli da sole. Gli interrogativi sono una miriade, in gran parte accentuati e resi più inquietanti dal confronto con una realtà sociale che tende a privilegiare e a considerare normale la struttura tradizionale, stigmatizzando il nucleo monoparentale come probabile, se non sicura, fonte di futuri disagi psichici nei figli. La vita di mamma single è costantemente ritmata da interrogativi sul figlio e su di sé. Laura è angosciata: <<E se io sto male? Non sto parlando di un raffreddore o di un’influenza, naturalmente! E se sta male il mio bambino e io non ho più ferie per stargli accanto? E se non ho i soldi per una baby-sitter? Quando morirò, sarà già autonomo? Andrà dai nonni che non vede mai e che abitano in un’altra regione? O dal padre, che l’ha deliberatamente abbandonato, che sono anni che non lo vede e che si rifatto una famiglia? Appena mi sono separata ho fatto testamento e ho nominato mia sorella tutore, ma se capitasse qualcosa anche a lei? Domande, domande ... Tutte senza risposta. E’ possibile che in certi momenti sorga una grande insicurezza che nessuna parola riesce a dissolvere. Poi la forza vitale torna a prevalere. Ancora una volta, alla mamma single non rimane che accettarsi in queste sue umane debolezze, da una parte perdonandosi per quelle che potranno essere la sue inevitabili paure (la perfezione non esiste), ma dall’altra godendosi anche il meritato orgoglio di chi non è schiacciato dalle esperienze della vita, ma le padroneggia per mezzo delle sue competenze. Ecco la filosofia di Giulia, che ci sentiamo di condividere appieno: <<Bisogna vivere attimo per attimo, nel modo più intenso. Può capitare che ti guardi indietro e ti chieda come hai fatto. Quello è il momento di congratularti con te stessa, anche solo perché sei arrivata fin lì. Non bisogna mai dare nulla per scontato, tutto può accadere a tutti. Ma tu cela puoi fare, ce la devi fare e ce la farai ... >>. Box 1. LA FEMMILIZAZIONE DELLE RESPONSABILITA FAMILARI. L’attuale tessuto sociale del mondo occidentale è caratterizzato dalla A000891, 6 presenza di una pluralità di tipologie familiari. La famiglia nucleare di tipo tradizionale è affiancata da nuove strutture (in Italia circa 5 milioni, il 23% del totale, secondo il rapporto Istat 2004), per cui oggi si parla di famiglie allargate, di fatto, ricostituite, adottive, monoparentali e persino omosessuali. In tal senso, la cosiddetta crisi dell’istituto familiare di cui molto si discute riguarda non tanto l’esistenza stessa della famiglia, quanto la sua diversificazione. I fattori che hanno favorito questo processo sono vari, ma complessivamente riconducibili ad una sempre minore distanza, in termini di differenziazione, tra ruolo maschile e ruolo femminile. In particolare nella famiglia monoparentale, che rappresenta una delle nuove realtà familiari più diffuse (i genitori “unici” sono circa 930.000) e nella maggioranza dei casi, dalle madri e dalla prole (9 casi su 10). Tale tipologia di famiglia non è una novità assoluta dei nostri tempi, dal momento che nuclei vedovili, conseguenti alla morte di uno dei due coniugi, sono sempre esistiti. Lo stereotipo secondo cui la realizzazione della femminilità passa obbligatoriamente attraverso la relazione col maschile, in una precisa complementarietà di funzioni, è stata progressivamente superata dall’assunzione da parte della donna di caratteristiche considerate in precedenza di stretta spettanza dell’area della mascolinità. Le donne di oggi sono più intraprendenti, volitive, audaci, determinate nella realizzazione di obiettivi non più confinati al solo ambito familiare, ma orientati anche all’esterno, nel senso di un’autonomia e di un’indipendenza sempre maggiori, grazie anche ad una più consistente partecipazione al mercato del lavoro. L’uscita dalla coppia non ha portato la donna ad abdicare alle proprie aspirazioni materne, vissute oggi in una cornice di maggiore autonomia, sia decisionale che gestionale. Per indicare questa nuova tendenza si parla di “femminilizzazione delle responsabilità familiari”. Anche in Italia il fenomeno delle madri single sta assumendo proporzioni consistenti, sebbene sia ancora meno diffuso rispetto ad altri Paesi dell’Europa Occidentale. Qualcuno parla di una “realtà sociale emergente”, definizione che mette in evidenza l’incremento della loro numerosità. Tuttavia, nonostante rappresentino ormai una parte integrante del tessuto sociale, le madri single si trovano ad affrontare molteplici difficoltà. Nella maggior parte dei casi queste madri vivono in condizioni economiche ristrette. I dati internazionali relativi al mondo occidentale evidenziano che i nuclei monoparentali si collocano frequentemente nell’area della povertà e non ricevono un’adeguata tutela a livello di politiche sociali. Nonostante il fatto che nei confronti della famiglia monoparentale si stia instaurando un diverso atteggiamento, nel senso di una maggiore accettazione di soluzioni familiari meno conformistiche, permangono tuttavia notevoli riserve, anche quando la famiglia monoparentale gode di un discreto benessere economico. La società italiana tende infatti a prendere in considerazione come ideale familiare la coppia e a pensare alla gravidanza soltanto all’interno del matrimonio. La famiglia composta da un unico genitore è valutata in termini di carenza ed incompetenza educativa, è ritenuta responsabile di importanti disagi nei figli e ne viene data una definizione negativa, fondata sull’aspetto di mancanza e di inadeguatezza. Oltre alla difficoltà di accettazione e tutela a livello sociale, le mamme single spesso si trovano ad essere emarginate anche nelle loro frequentazioni, perché viste come potenziale minaccia dalle donne coniugate. Esse devono inoltre affrontare una serie di problematiche e di conflitti di ordine psicologico all’interno della stessa famiglia, generalmente riconducibili all’assenza di un partner. A000891, 7 JOLANDA STEVANI, psicologa clinica e di comunità, esperta in psicoterapie brevi e psicologia giuridica, collabora con la cattedra si Psicologia dello Sviluppo (di Anna Oliverio Ferrarsi) della Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma “La Sapienza” sui temi della famiglia e del disagio infantile.