A000891 - Fondazione Insieme onlus

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da Psicologia Contemporanea pag. 16, n.195 mag-giu06 <<#DONNE AL TIMONE. I
NUCLEI FAMILIARI A GUIDA FEMMINILE. LE MADRI SINGLE.>> di Jolanda Stevani,
psicologa clinica e di comunità, Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma
“La Sapienza”.
per la lettura completa del testo si rinvia al periodico citato.
Le famiglie monoparentali si distinguono per l’evento che le ha originate.
Può trattarsi di un lutto, con conseguente vedovanza, oppure di una scelta di
separazione e divorzio.
In questo secondo caso, nel nucleo monoparentale
dove sono presenti i figli, oggi prevale decisamente la figura femminile, e ciò
soprattutto perché separazioni e divorzi sono regolati, quantomeno in Italia, da
un orientamento giuridico che potremmo definire “matricentrico”, per cui succede
che nel 90% circa dei casi il genitore affidatario decretato dal Tribunale sia
la madre.
Ma non è solo una questione di giurisprudenza.
Il nucleo monoparentale
gestito dalla donna dopo la separazione o il divorzio costituisce oggi anche il
frutto di una profonda innovazione ed evoluzione del ruolo femminile, che si
pone in maniera sempre più autonoma e meno complementare rispetto a quello
maschile.
Come vivono le madri single la responsabilità della famiglia e dei figli?
Nella famiglia guidata dalla madre single i bambini non crescono in presenza
di una coppia.
Questo comporta, nel caso della rottura del matrimonio, la necessità che i
ruoli parentali vengano ridefiniti, ovviamente dopo che gli eventuali conflitti
di coppia che hanno portato alla separazione siano stati risolti.
Il rischio
principale è rappresentato, in questo caso, dal senso di solitudine dal quale
può sentirsi assalita una donna che, anche se indipendente, dinamica e matura,
si trova a dover affrontare in toto le responsabilità genitoriali, se non
proprio un’intera gravidanza, senza la presenza di un partner.
Nel caso in cui invece il compagno sia morto, il sentimento predominante è
l’insicurezza.
La mamma viene spesso assalita da mille dubbi circa la sua capacità di
crescere un bambino in maniera adeguata, garantendogli tutto l’affetto e il
sostegno di cui ha bisogno.
Nel corso di una ricerca di carattere esplorativo, conclusasi pochi mesi fa
ed effettuata mediante interviste semistrutturate, abbiamo incontrato 44 madri
single di età compresa fra i 30 ed i 75 anni.
Le riflessioni che seguono sono state stimolate da questi contatti.
Il rischio fusionale.
Ci ha detto Lorenza, impiegata di 35 anni, vedova: <<C’è solitudine, la paura
di non farcela, di non riuscire ad educare bene il figlio, c’è il sospetto di
trasmettergli insicurezze ed ansie tali da impedirgli di raggiungere un
equilibrio>>.
Possono diventare problematici anche i rapporti col mondo esterno, anche
perché molto spesso lo scomparso viene idealizzato.
Prosegue Lorenza: <<Si
ricordano gli eventi gioiosi, si prega per lui, gli si invia il bacio della
buonanotte prima di addormentarsi, lo si ricorda ... >>.
Il rischio maggiore è che la madre instauri con il figlio un rapporto di tipo
fusionale e compensatorio, realizzando una “partnerizzazione” del bambino che,
privato del suo ruolo, si troverà ad occupare la posizione del genitore
mancante, con tutto il peso che ne può derivare, soprattutto quando sia dello
stesso sesso.
Michela, operatrice sociale di 38 anni, anch’essa vedova, dichiara con
franchezza: <<Ne so abbastanza di psicologia per riconoscere gli errori che ho
commesso ... per cui, senza peli sulla lingua, dico “rapporto simbiotico”.
Mio figlio dorme ancora con me e la nostra relazione è particolarmente intensa.
Ha anche i nonni materni come figure di riferimento ma sono io il centro>>.
Anche nel caso in cui l’altro genitore sia assente per separazione o
divorzio, oppure perché non è stato capace di assumersi gli oneri della
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genitorialità, il rischio di stabilire un rapporto simbiotico col figlio o la
figlia è sempre presente (Oliverio Ferrarsi, 2006).
Il figlio, maschio o femmina, rappresenta un’enorme fonte di sicurezza e, a
poco a poco, viene trasformato in partner e confidente: <<Siamo felici
insieme>>, dice Chiara, dirigente d’azienda di 43 anni, divorziata, <<ognuna di
noi ha una propria vita e propri impegni, ma sappiamo che il primo “altro” in
cui cercare conforto, amore compagnia e felicità, siamo rispettivamente io per
lei e lei per me.
Francesca è protettiva nei miei confronti, mi stima e mi
ascolta anche se prova sempre di forzare il limite>>.
E Federica, impiegata di 36 anni, divorziata: <<E’ un rapporto normale, tutto
sommato.
Credo che si mischi un po’ il rapporto fra madre e figlia con il
rapporto fra madre-amica e figlia-amica, non so se riesco a spiegarmi ... >>.
Allo stesso tempo, però, i figli possono anche essere visti come incarnazioni
di tutti gli aspetti detestati dell’ex compagno, suscitando nella mamma
sentimenti più o meno intensi di ambivalenza.
Quando poi la carriera di madre viene intrapresa in maniera del tutto
autonoma fin dal concepimento, anche la più audace delle donne può sentirsi
assalita dal senso di colpa, sentimento perfettamente comprensibile, visto che
il modello dominante resta sempre quello della famiglia tradizionale, composta
da entrambi i genitori.
Ciò può generare svariati dubbi.
La madre single
si chiede se è davvero in grado di non far mancare niente al proprio figlio o
figlia, se non sarebbe stato più giusto che crescesse in una famiglia
tradizionale, come potrà sentirsi al momento del confronto con gli altri bambini
allevati da coppie integre e via dicendo.
Spiega Laura, impiegata di 38 anni che non è stata mai sposata: <<Sicuramente
all’inizio molto stress e sensi di colpa.
Ora vivo con un’esperienza molto
coinvolgente, oserei dire molto più coinvolgente di quella che avrei vissuto se
fossi stata “normalmente” sposata.
Molto faticosa, certo, ma questo lo sarà
sempre.
Ora i sensi di colpa si sono molto attenuati, se non proprio
scomparsi del tutto.>>.
Anche Giulia, infermiera professionale di 41 anni, divorziata, parla di colpa
e fatica: <<Pesano le decisioni, che sono solo a carico tuo e hai paura di
sbagliare ... ma devi agire in buona fede, senza dover mai dire: se avessi
fatto, se avessi detto ... >>.
Terzo assente.
Come appare evidente dai brani riportati, il tratto comune e costante è
rappresentato dall’assenza del “terzo”, ossia del partner, che tra le sue
funzioni principali dovrebbe svolgere la simbiosi tra madre e figlio o figlia,
porsi come modello di riferimento e favorire, con la sua “normatività”, lo
sviluppo del processo di socializzazione della prole.
Tale mancanza tuttavia può essere aggirata se si cerca si svolgere anche le
funzioni del “terzo”.
Certo le difficoltà ci sono, in primo luogo dovute al
fatto che la madre single si trova a dover gestire contemporaneamente un duplice
ruolo, materno e paterno.
Le donne che hanno raggiunto una corretta integrazione degli aspetti maschili
e femminili della loro personalità saranno però avvantaggiate nel riuscire a
trovare un compromesso tra la normatività tipica della funzione paterna e
l’amorevolezza che contraddistingue il ruolo materno.
Esiste tuttavia anche la tentazione di assumere un atteggiamento di
onnipotenza: a furia di prendere decisioni da sola, la madre single rischia di
caricarsi di responsabilità che nel caso della famiglia tradizionale vengono
ripartite tra i due coniugi e, tesa al raggiungimento del mito del genitore
perfetto, può colpevolizzarsi per ogni minima mancanza.
I genitori solo hanno
spesso sentimenti contraddittori dipendenti anche dal fatto che non sempre
parenti e amici sono solidali e supportivi.
E’ dunque necessario convincersi
della che le perfezione non esiste: oltre ad essere salutare per la madre,
questo atteggiamento mentale è positivo anche per i figli, che impareranno ad
accettare le inevitabili debolezze proprie e altrui.
Per evitare il rischio di una relazione fusionale, è importante che la madre
mantenga un’apertura con l’esterno, favorendo relazioni con parenti (nonni, zii)
e amici, persone prossime che possano servire anche da figure sostitutive e da
modelli di identificazione per il bambino, facilitando la costruzione della sua
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personalità.
Educare un bambino significa infatti avviarlo sulla strada
dell’autonomia e aiutarlo a sviluppare l’autostima sufficiente a prendere le
dovute distanze dal genitore.
L’assenza dell’altro genitore non sarà necessariamente patogena se la madre
saprà anche inserire il padre nella storia familiare riuscendo, anche nel caso
di una sua totale mancanza, a garantirne una presenza almeno simbolica.
Dice ancora Michela: <<Il bambino ne sente la mancanza, dice che è stanco di
parlare sempre del cielo dove ora si trova, poi però prima di dormire mo chiede
di raccontargli la storia del babbo>>.
Alle domande circa le sue origini, che
inevitabilmente il bambino porrà quando si troverà a confronto con i suoi pari,
sarà importante che la mamma sappia rispondere attraverso la costrizione di una
sorta di “romanzo familiare”, nel quale il bambino possa trovare quel senso ci
continuità e appartenenza su cui fondare la sua identità.
Lo stile educativo.
Una madre single tende ad oscillare tra atteggiamenti permissivi e
atteggiamenti autoritari: da una parte desidera mantenere un buon rapporto col
proprio figlio e tende ad adottare uno stile educativo permissivo o addirittura
privo di limiti.
In tal modo, però, lascia il figlio privo di contenimento,
non ne favorisce la socializzazione, lo rende dipendente e refrattario a
investimenti esterni.
Dice Marcella, casalinga di 34 anni, divorziata: <<Beh ... sicuramente sento
il peso completo della responsabilità, le decisioni, quel che devono fare i miei
figli ... tutto ricade su di me.
Sono diventata molto protettiva nei loro
confronti ... ho molte più paure rispetto al passato ... e forse è per superarle
che sono diventata così permissiva>>.
D’altra parte la mamma single può assumere anche un atteggiamento di
eccessiva rigidità e pretesa con l’imposizione di una severa disciplina.
Dice ancora Giulia: <<Penso unicamente a una cosa: che mi sia stata amputata
un po’ di dolcezza ... quella dolcezza che in genere c’è nelle mamme e mi
aumentata la severità>>.
In entrambi i casi i figli potranno facilmente
diventare disubbidienti, aggressivi e insicuri.
La difficoltà principale è
insomma costituita dalla necessità di svolgere un ruolo educativo bipolare, che
sappia conciliare autorevolezza e affettuosità.
Sintetizza Laura: <<Il genitore solo deve essere più autoritario, più
protettivo, più disponibile ... insomma più tutto!>>.
La madre che sa accettare le sue vulnerabilità e incertezze, riconoscendosi e
accettandosi nella sua umana imperfezione, riuscirà più facilmente a trovare il
giusto equilibrio tra le due modalità, che consentirà al bambino di confrontarsi
con istanze ugualmente importanti per il suo processo di crescita.
Dice Elisabetta, segretaria di 43 anni, divorziata: <<Non sono mai stata né
troppo autoritaria né troppo permissiva ... quando sbagliavano, o sbagliano
adesso, gli faccio notare qual è l’errore, ne parliamo insieme ... Li lascio
abbastanza liberi di prendere le loro decisioni, io mi limito a dare loro dei
consigli, ma sono loro a decidere>>.
Pere la madre single, la tentazione di onnipotenza è sempre in agguato e un
mezzo per sventare tale rischio è accettare il sostegno che può venire
dall’esterno, abituandosi anche a delegare, ove possibile.
Il problema più
grosso che incontrano le madri sole è infatti relativo alla difficoltà di
svolgere il loro compito educativo senza sostegni di alcun tipo: l’impegno
lavorativo, più o meno pressante ma comunque sempre costante, non consente loro
di seguire i figli in tutte le attività che svolgono e sono prive del confronto
con un partner per quanto concerne le scelte educative.
Quotidianità.
Molto spesso le madri single si collocano nell’area della povertà.
La
ragione di tale svantaggio è da ricercare in primo luogo nelle difficoltà di
queste donne incontrano in ambito lavorativo, dove non raggiungono una posizione
di concorrenzialità e quindi restano lontane anche dalla possibilità di
migliorare economicamente.
Ma ci sono anche molti ostacoli nell’inserimento
stesso della donna sola nel mondo del lavoro: spesso la scolarità non è
sufficiente, la formazione professionale non è idonea, manca l’esperienza
lavorativa, i figli sono troppo piccoli.
Poi ci sono le difficoltà abitative,
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per quel che riguarda l’affitto o l’acquisto della casa, e soprattutto la
mancanza di politiche sociali che contribuiscano a sostenere la madre sola.
L’ingresso nella monoparentalità combacia con una diminuzione delle risorse
economiche e la condizione più disagiata è vissuta dalla madre che si separa dal
compagno dopo un’unione di fatto.
A quali aiuti e a quali risorse può attingere la mamma sola?
In un primo
momento si può rivelare prezioso il sostegno fornito dai parenti, principalmente
i genitori, e ciò vale anche per quel che concerne la custodia dei figli.
Alcuni studi hanno evidenziato che le strategie cui ricorrono le madri single
per fronteggiare l’impoverimento economico sono tre:
1__ la cosiddetta “intensificazione”, che consiste in un maggior impegno
lavorativo, eventualmente distribuito su più fronti,
2__ la “rivendicazione”, per beneficiare al massimo degli aiuti pubblici (o,
eventualmente, dei famosi “alimenti” da parte del partner),
3__ il “lavoro su se stesse”, cioè il tentativo di interpretare la propria vita
attuale come passaggio positivo dalla dipendenza all’indipendenza.
Chiaramente la situazione lavorativa della donna provoca delle ripercussioni
sulla relazione con il figlio: quanto maggiore sarà la criticità delle
condizioni professionali, tanto maggiore sarà la possibilità di ambivalenza di
sentimenti nei suoi confronti.
La donna sola deve poi riuscire a conciliare
l’impegno lavorativo con l’allevamento della prole; la parola d’ordine è
“trovare un compromesso”, impresa non certo facile per chi si trova a dover
combinare il ruolo di capofamiglia procacciatore di reddito con le mansioni
interne di accadimento della prole.
La vita di madre single è così scandita
da un ritmo totalizzante che molto spesso le impedisce di ritagliarsi spazi
personali e aggrava la sua condizione di isolamento.
Dice Laura: <<Noi genitori unici siamo veramente soli se alle spalle non
abbiamo una rete amicale o parentale che ci aiuta ... Ma è più difficile fare
amicizie, sia per me che per mio figlio.
Viviamo in un piccolo paese e sono
rare le famiglie “normali” che ci invitano a cena o accettano la nostra amicizia
... forse perché in qualche modo la mia condizione di “sola” viene associata
dalle mogli a una possibile minaccia per i loro mariti, o perché le famiglie
“normali” hanno paura di confrontarsi con questa realtà>>.
Per molte madri single la baby-sitter è un lusso che non si possono
permettere.
Allora un importante sostegno può derivare dall’aiuto reciproco.
Tra le risorse che si stanno diffondendo anche da noi vi è il cosiddetto
“scambio delle competenze”, o “banca del tempo”: ogni donna contribuisce con una
parte del proprio tempo e con le abilità di cui dispone allo svolgimento di
attività e mansioni a favore di altre madri single, intrecciando in questo modo
una rete di baratti che alla fine risulta perfino gratificante, dal momento che
ogni mamma partecipa con le capacità in cui si sente più preparata e che
preferisce.
Un’altra forma di aiuto che si sta sviluppando è quella degli “asili a
domicilio”: i bambini vengono accuditi in casa, a costi contenuti rispetto agli
asili comuni e senza rigidità d’orario, da donne particolarmente sensibili e
volenterose.
Gli spazi della donna.
Il motto della madre sola è “scendere a patti”.
E’ ciò non solo
nell’educare i figli e nel conciliare lavoro esterno e lavoro interno alla
famiglia, ma anche e soprattutto nella gestione di sé stessa.
Una delle imprese più complicate che questa mamma deve affrontare è cercare
di ritagliarsi degli spazi personali che le consentano di percepirsi non solo
come madre (madre-padre), ma anche come donna, spazi dove si valorizzino le
altre componenti della sua personalità, diverse da quelle strettamente
genitoriali.
E’ indispensabile chela mamma single coltivi questa sana forma
di egoismo: il risultato delle sue “boccate d’ossigeno” sarà un rinnovata
soddisfazione di sé, che porterà degli effetti benefici anche nella relazione
con i figli.
Esclama Michela: <<Non ci sono più esigenze personali, non ci sono più spazi
per me da quando è nato mio figlio!>>.
Certo, l’impresa può essere ardua per una lunga serie di motivi che
discendono proprio dallo status di madre single.
Ma anche in questo caso la
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parola d’ordine è sempre la stessa: “scendere a patti”.
Non pretendere troppo
da sé stessa, non cadere nella trappola del mito della perfezione e
dell’onnipotenza.
Il proprio ambito di libertà personale può essere
costruito a piccoli passi, ritagliandosi dapprima piccoli spazi, per arrivare
poi ad una pianificazione più vasta della propria libertà, evitando il sempre
incombente e minaccioso senso di colpa, vera e propria spada di Damocle di ogni
mamma che cresce i figli da sola: <<Lascio mia figlia a dormire una o due volte
la settimana dalla nonna e io esco>>, dice Federica, <<comunque cerco sempre di
coinvolgerla, di presentarla ai miei amici o colleghi ... lei è molto socievole,
le piace>>.
Quando la mamma riesce ad assaporare l’innocente normalissimo piacere di
dedicare un po’ del suo tempo ad attività sociali o comunque esterne alla
famiglia, il bambino probabilmente si sentirà in un cero senso “alleggerito” di
un peso, quello di condizionarne l’esistenza.
Concedersi spazi rappresenta
per la donna sola una sorta di decentramento che autorizza il bambino, da un
lato, a non sentirsi il centro assoluto della vita di sua madre e che gli
permette, dall’atro di assaporare anche lui con gioia e senza sensi di colpa i
momenti che trascorre lontano da lei, momenti che gli sono necessari per un
corretto processo di socializzazione.
Laura è contenta quando racconta: <<Appena ha avuto l’età giusta l’ho subito
mandato a fare lo scout, una cosa che adora ... è una specie di mondo allargato,
che io da sola non potrei costruirgli.
L’ho anche iscritto ad un coro ...
spero che la musica e il canto possano aiutarlo ad esprimere i sentimenti che ha
nell’animo>>.
Ce la puoi fare, ce la devi fare e ce la farai.
La maternità è di per sé foriera di ansie e preoccupazioni relative sia alle
proprie capacità, sia la futuro del bambino, ma queste incertezze di base,
implicite nella funzione materna, assumono una tonalità particolarmente intensa
nel caso delle madri che allevano i figli da sole.
Gli interrogativi sono una miriade, in gran parte accentuati e resi più
inquietanti dal confronto con una realtà sociale che tende a privilegiare e a
considerare normale la struttura tradizionale, stigmatizzando il nucleo
monoparentale come probabile, se non sicura, fonte di futuri disagi psichici nei
figli.
La vita di mamma single è costantemente ritmata da interrogativi sul figlio e
su di sé.
Laura è angosciata: <<E se io sto male?
Non sto parlando di un raffreddore
o di un’influenza, naturalmente!
E se sta male il mio bambino e io non ho più
ferie per stargli accanto?
E se non ho i soldi per una baby-sitter?
Quando
morirò, sarà già autonomo?
Andrà dai nonni che non vede mai e che abitano in
un’altra regione?
O dal padre, che l’ha deliberatamente abbandonato, che sono
anni che non lo vede e che si rifatto una famiglia?
Appena mi sono separata
ho fatto testamento e ho nominato mia sorella tutore, ma se capitasse qualcosa
anche a lei?
Domande, domande ... Tutte senza risposta.
E’ possibile che in certi momenti sorga una grande insicurezza che nessuna
parola riesce a dissolvere.
Poi la forza vitale torna a prevalere.
Ancora
una volta, alla mamma single non rimane che accettarsi in queste sue umane
debolezze, da una parte perdonandosi per quelle che potranno essere la sue
inevitabili paure (la perfezione non esiste), ma dall’altra godendosi anche il
meritato orgoglio di chi non è schiacciato dalle esperienze della vita, ma le
padroneggia per mezzo delle sue competenze.
Ecco la filosofia di Giulia, che
ci sentiamo di condividere appieno: <<Bisogna vivere attimo per attimo, nel modo
più intenso.
Può capitare che ti guardi indietro e ti chieda come hai fatto.
Quello è il momento di congratularti con te stessa, anche solo perché sei
arrivata fin lì.
Non bisogna mai dare nulla per scontato, tutto può accadere
a tutti.
Ma tu cela puoi fare, ce la devi fare e ce la farai ... >>.
Box 1.
LA FEMMILIZAZIONE DELLE RESPONSABILITA FAMILARI.
L’attuale tessuto sociale del mondo occidentale è caratterizzato dalla
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presenza di una pluralità di tipologie familiari.
La famiglia nucleare di tipo tradizionale è affiancata da nuove strutture (in
Italia circa 5 milioni, il 23% del totale, secondo il rapporto Istat 2004), per
cui oggi si parla di famiglie allargate, di fatto, ricostituite, adottive,
monoparentali e persino omosessuali.
In tal senso, la cosiddetta crisi dell’istituto familiare di cui molto si
discute riguarda non tanto l’esistenza stessa della famiglia, quanto la sua
diversificazione.
I fattori che hanno favorito questo processo sono vari, ma
complessivamente riconducibili ad una sempre minore distanza, in termini di
differenziazione, tra ruolo maschile e ruolo femminile.
In particolare nella famiglia monoparentale, che rappresenta una delle nuove
realtà familiari più diffuse (i genitori “unici” sono circa 930.000) e nella
maggioranza dei casi, dalle madri e dalla prole (9 casi su 10).
Tale tipologia di famiglia non è una novità assoluta dei nostri tempi, dal
momento che nuclei vedovili, conseguenti alla morte di uno dei due coniugi, sono
sempre esistiti.
Lo stereotipo secondo cui la realizzazione della femminilità passa
obbligatoriamente attraverso la relazione col maschile, in una precisa
complementarietà di funzioni, è stata progressivamente superata dall’assunzione
da parte della donna di caratteristiche considerate in precedenza di stretta
spettanza dell’area della mascolinità.
Le donne di oggi sono più intraprendenti, volitive, audaci, determinate nella
realizzazione di obiettivi non più confinati al solo ambito familiare, ma
orientati anche all’esterno, nel senso di un’autonomia e di un’indipendenza
sempre maggiori, grazie anche ad una più consistente partecipazione al mercato
del lavoro.
L’uscita dalla coppia non ha portato la donna ad abdicare alle proprie
aspirazioni materne, vissute oggi in una cornice di maggiore autonomia, sia
decisionale che gestionale.
Per indicare questa nuova tendenza si parla di “femminilizzazione delle
responsabilità familiari”.
Anche in Italia il fenomeno delle madri single sta assumendo proporzioni
consistenti, sebbene sia ancora meno diffuso rispetto ad altri Paesi dell’Europa
Occidentale.
Qualcuno parla di una “realtà sociale emergente”, definizione che mette in
evidenza l’incremento della loro numerosità.
Tuttavia, nonostante
rappresentino ormai una parte integrante del tessuto sociale, le madri single si
trovano ad affrontare molteplici difficoltà.
Nella maggior parte dei casi queste madri vivono in condizioni economiche
ristrette.
I dati internazionali relativi al mondo occidentale evidenziano
che i nuclei monoparentali si collocano frequentemente nell’area della povertà e
non ricevono un’adeguata tutela a livello di politiche sociali.
Nonostante
il fatto che nei confronti della famiglia monoparentale si stia instaurando un
diverso atteggiamento, nel senso di una maggiore accettazione di soluzioni
familiari meno conformistiche, permangono tuttavia notevoli riserve, anche
quando la famiglia monoparentale gode di un discreto benessere economico.
La società italiana tende infatti a prendere in considerazione come ideale
familiare la coppia e a pensare alla gravidanza soltanto all’interno del
matrimonio.
La famiglia composta da un unico genitore è valutata in termini
di carenza ed incompetenza educativa, è ritenuta responsabile di importanti
disagi nei figli e ne viene data una definizione negativa, fondata sull’aspetto
di mancanza e di inadeguatezza.
Oltre alla difficoltà di accettazione e tutela a livello sociale, le mamme
single spesso si trovano ad essere emarginate anche nelle loro frequentazioni,
perché viste come potenziale minaccia dalle donne coniugate.
Esse devono inoltre affrontare una serie di problematiche e di conflitti di
ordine psicologico all’interno della stessa famiglia, generalmente riconducibili
all’assenza di un partner.
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JOLANDA STEVANI, psicologa clinica e di comunità, esperta in psicoterapie
brevi e psicologia giuridica, collabora con la cattedra si Psicologia dello
Sviluppo (di Anna Oliverio Ferrarsi) della Facoltà di Psicologia dell’Università
di Roma “La Sapienza” sui temi della famiglia e del disagio infantile.