Anteprima - Parallelo45 Edizioni

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Anteprima - Parallelo45 Edizioni
Prologo
Afghanistan, 17.00 ora locale.
La giornata era calda e assolata. All’orizzonte si profilavano nembi scuri, ma erano molto distanti e in ogni caso non
erano quelli a preoccupare i quattro soldati che viaggiavano
sulla camionetta militare. L’autoveicolo si muoveva lentamente lungo le strade dissestate e polverose della periferia di
Kabul, evitando le carcasse dei veicoli bruciati che nessuno
si preoccupava di rimuovere. In quella zona della città, ai lati
delle vie, c’erano solo bassi edifici fatiscenti con il tetto in pietra o in lamiera arrugginita e cumuli di macerie.
L’autista della camionetta era un uomo di colore di nome
Brown e aveva il grado di caporale. Al suo fianco sedeva il
sergente maggiore O’Hara. Era il più anziano del gruppo, sia
per età che per permanenza in Afghanistan, oltre che il più
alto in grado. Dietro, sul pianale rialzato del veicolo, sedeva il
soldato McKinney addetto alla mitragliatrice, rosso di capelli
e con la pelle particolarmente chiara e lentigginosa. Muoveva l’arma nervosamente, facendola girare continuamente sul
supporto snodabile, puntandola ovunque gli sembrasse di
vedere movimento. Poco discosto da lui si trovava il tiratore
scelto Ramirez, il più giovane del gruppo, arrivato nella compagnia solo da qualche mese. Teneva il fucile appoggiato al
braccio e gli occhi semichiusi per ripararsi dal riverbero del
sole, non avendo portato gli occhiali con le lenti protettive.
Guardava con curiosità, più che apprensione, quel paesaggio desolato, punteggiato dagli scheletri dei veicoli bruciati,
bidoni arrugginiti e macerie, pensando che con le tenebre
avrebbe assunto un aspetto sinistro mentre, alla luce del
giorno, risultava solo squallido.
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Per la strada si incrociavano poche persone e ancor meno
mezzi di trasporto. L’uomo alla mitragliatrice si sarebbe sentito maggiormente a proprio agio se si fosse trovato nel centro
di una colonna militare. Una fila di mezzi avrebbe richiamato
tuttavia l’attenzione dei guerriglieri talebani mentre il piccolo veicolo non rappresentava un obiettivo particolarmente
interessante e, dando meno nell’occhio, aveva maggiori possibilità di passare inosservato. Questo però non rassicurava
il mitragliere che continuava ad assillare i compagni manifestando ad alta voce le proprie inquietudini.
Il veicolo continuava ad avanzare lentamente, anche
quando la strada si presentava sgombra da detriti, per non
sollevare troppa polvere che avrebbe potuto rivelarne la presenza anche a distanza. La lenta andatura consentiva inoltre
al sergente di osservare gli edifici lungo la strada e verificarne
corrispondenza sulla mappa stradale che teneva aperta sulle ginocchia. Venne superata una casupola meno malconcia
delle altre. Era leggermente rientrata rispetto alla strada e
dotata di un basso porticato che appariva buio rispetto al resto dell’edificio sulla cui pietra chiara si rifletteva abbacinante la luce del sole. Non c’era anima viva in vista, se non si
considerava in lontananza un asino legato ad un palo infisso
al suolo. L’animale stava perfettamente immobile tanto da
sembrare finto.
«Ferma qua!» ordinò il sergente maggiore all’autista. Il
mezzo si arrestò quasi istantaneamente facendo slittare le
gomme sullo sterrato. La busca frenata fece piegare i passeggeri prima in avanti e poi indietro.
«Non mi piace questo posto» si lamentò l’uomo alla mitragliatrice «e poi sta per calare il sole, dovremmo già essere
alla base.»
«Manca più di un’ora al tramonto e poi vedi qualcuno in
giro oltre all’asino? O forse pensi che sia un guerrigliero travestito?» lo prese in giro il caporale alla guida.
«Ho la sensazione che decine di occhi ci stiano spiando»
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borbottò McKinney asciugandosi il sudore dal viso con un
fazzoletto.
«E’ solo suggestione» commentò il sergente maggiore con
un’alzata di spalle «Adesso scendo a prendere la merce e ci
allontaniamo subito. Non avremo altre occasioni per guadagnare qualche soldo in più. Quando saremo in patria ci faranno comodo.»
Era arrivato alla fine della ferma in Afghanistan. Con i soldi che era riuscito a mettere da parte e quelli che avrebbe racimolato da quel lavoro extra, continuava a ripetere di volere
aprire un negozio di residuati bellici. Aveva già preso i contatti necessari in patria. Prevedeva un buon avvio commerciale. Scese dall’automezzo chiudendo piano la portiera. Dal
momento in cui l’autista aveva spento il motore non si era
sentito più alcun rumore se non il leggero fruscio del vento.
Sembrava di stare in una città abbandonata. O’Hara fece un
cenno al soldato Ramirez che sedeva con il tronco piegato in
avanti, come gli era stato consigliato di fare per non costituire un facile da bersaglio per un eventuale cecchino. L’uomo,
dal fisico asciutto, scese con un balzo elastico tenendo stretto
in mano il fucile e gli si avvicinò. La differenza di corporatura fra i due era evidente: il sergente sembrava un armadio e
dava l’idea di lentezza mentre il soldato di origine portoricana era minuto e scattante.
O’Hara parlò sottovoce ma la mancanza di rumori e l’aria
tersa rendevano ben udibili le parole. «Seguimi e non prendere iniziative. Tieni il dito sul grilletto per essere pronto a
sparare. Ti porgerò lo zaino dopo averci infilato dentro la
merce. Mettilo subito in spalla in modo da avere le mani libere. Non smettere mai di guardarti intorno. Il momento della
consegna sarà il più pericoloso, intesi?»
Il soldato annuì. A O’Hara piaceva Ramirez perché era
pronto a capire gli ordini ed era di poche parole. L’aveva scelto per quella impresa proprio per questi motivi anche se era
ancora un novellino. Non doveva raggiungere i vent’ anni ma
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dimostrava di essere più maturo della sua età. S’inoltrarono
uno dietro l’altro nel cortile della casa ad unico piano dirigendosi verso l’ ingresso. La camionetta militare era ferma poco
più avanti. Mentre i due uomini si allontanavano, l’autista
scartò con indolenza una gomma da masticare e se la infilò in
bocca. Faceva ancora molto caldo a quell’ora del pomeriggio.
Il sapore di mentolo sprigionato dal chewing-gum gli diede
una fuggevole sensazione di freschezza. Si adagiò sul sedile
meglio che poteva dato che, fino al momento di tornare alla
base, non aveva che da attendere.
McKinney non aveva trovato di meglio che rivolgere la
mitragliatrice contro l’asino sempre immobile. «Tatatatatà!»
sussurrò, parodiando il rumore dello sgranare dei colpi «sei
morta bestiaccia!» Dopo qualche minuto da quando gli altri due erano entrati nella casupola sbuffò: «Quanto cazzo di
tempo ci mettono quei due!» Il caporale non si curò di rispondere. Guardava la fotografia di una indossatrice seminuda che aveva applicato all’aletta parasole e immaginava di
poterle toglierle il perizoma che era l’unico indumento che
indossava. La donna sembrava guardarlo con un sorriso pieno di promesse.
«Che farai con i soldi che prenderai?» chiese dopo poco
McKinney e continuò senza attendere risposta «Io ho in
mente di comprarmi un auto nuova. Ho un cugino che lavora
in una concessionaria Lexus, mi dice che i giapponesi fanno
macchine che sono una meraviglia.»
«Non ci ho ancora pensato» rispose Brown. In realtà lo
sapeva benissimo, si sarebbe regalato una prostituta e l’avrebbe fatta battere per lui unendo l’utile al dilettevole, ma
non sarebbe certo andato a raccontarlo a McKinney che era
un gran pettegolo.
Ai due soldati entrati nella casupola si fece incontro un
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uomo anziano vestito di un kurta1 marrone sopra un paio
di calzoni larghi e chiari. In testa aveva un turbante a strisce verdi e nere. Dietro di lui stava quella che sembrava una
guardia del corpo. Un uomo più giovane, alto e barbuto a
cui le folte sopracciglia e gli occhi piccoli ed infossati davano
un’espressione brutale. Anche lui indossava un paio di brache larghe, ma le sue erano sporche e consumate. Una camicia altrettanto sudicia gli fuoriusciva da sotto il gilet consunto che una volta doveva essere stato nero ma adesso aveva
una tonalità indefinibile. In vita si intravedeva l’impugnatura
di un coltello. A Ramirez ricordò vagamente la figura di un
pirata che aveva visto una volta in un film sulla filibusta con
Johnny Depp. Il pavimento della stanza in cui erano entrati
era in terra battuta e non c’erano finestre. Di fronte alla porta
d’ingresso c’era solo un’altra apertura chiusa da una tenda
lacera che portava sul retro della casa. L’unico arredo consisteva in un tavolo malandato appoggiato al muro e tre sedie
in un angolo. I quattro uomini si squadrarono per un attimo,
poi l’anziano fece loro un inchino tenendo le mani giunte e
iniziò a parlare in afgano.
«Non capisco un cazzo di quello che dici, vecchio! - ringhiò
il sergente mostrando il fascio di banconote che aveva tirato
fuori da una tasca - Qui ci sono i soldi, dammi la merce!»
L’ uomo, mostrando un sorriso artificioso, indicò il tavolo
dove stavano alcune tazze ed una teiera. «The?» offrì.
Quella fu l’unica parola che i due soldati capirono. Il sergente scosse con impazienza la testa in segno di diniego. Non
gli importava fare la parte del maleducato, ma non avrebbe
bevuto quella brodaglia neanche se fosse stato sul punto di
morire di sete. Mostrò nuovamente i dollari americani con
un gesto di insofferenza pensando che, se quell’uomo continuava a tergiversare, era pronto ad andarsene via anche senza concludere l’acquisto.
1 Camicia lunga fino al ginocchio
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L’ uomo sorridente sembrò comprendere l’intenzione del
militare. Fece un altro inchino e poi diede un ordine secco al
suo gorilla che uscì dalla stanza scostando la tenda e portandosi nella parte posteriore della casa. Tornò subito con un
sacco all’apparenza pesante. Lanciò uno sguardo all’anziano
che gli fece un cenno d’ assenso con il capo. L’uomo gettò allora il fardello verso il sergente che non fece alcun tentativo per
afferrarlo. Lasciò che cadesse a terra ai suoi piedi e continuò
a fissare l’uomo. Non voleva che approfittasse di un attimo
di disattenzione per impugnare un’ arma. Si chinò poi lentamente, gli occhi puntati sugli afghani, e aprì il sacco senza
guardarne il contenuto. Inumidì di saliva un dito e ve lo inserì. Lasciò che un po’ di polvere bianca gli rimanesse attaccata
sopra e lo mise in bocca. Se lo passò lentamente nel palato.
Annuì soddisfatto e il suo atteggiamento si fece più rilassato.
Sollevò il sacco e lo infilò con una certa difficoltà, data la dimensione ed il peso, nello zaino che si era portato appresso e
che passò subito a Ramirez. Questi se lo mise faticosamente
in spalla senza distogliere gli occhi dagli afghani come gli era
stato raccomandato di fare. Il sergente porse le banconote
all’ uomo anziano che le prese con un breve inchino. Iniziò a
contarle senza smettere di sorridere. Quando terminò, corrugò la fronte e le contò nuovamente. La sua espressione si
fece seria e disse alcune parole in tono minaccioso. La sua
guardia del corpo si irrigidì pronta a scattare. Non osò però
fare alcuna mossa perché vedeva il fucile di Ramirez puntato
su di lui. Il sergente appoggiò la mano sul calcio della pistola
senza tuttavia estrarla ancora dalla fondina.
«Che cazzo c’ è?» chiese rivolgendosi all’uomo anziano.
Questi gettò per terra i soldi con aria sprezzante. «Americani!» disse sputando con disgusto.
Il sergente estrasse la pistola e la tenne in mano con fare
minaccioso senza però spianarla contro l’uno o l’altro dei due.
Se l’uomo non si accontentava dei soldi che gli aveva dato sarebbe stato peggio per lui, non era sua intenzione restituire la
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merce dopo aver fatto tanta strada e con tutti i rischi che stavano correndo. Fece cenno con la canna dell’arma a Ramirez
di precederlo verso l’ uscita. Il soldato rinculò verso la porta
tenendo il fucile puntato in avanti. Si udì rumore di passi
in corsa provenire dal retro della casa. Una figura scostò la
tenda. Era armata. Il sergente sparò senza peraltro colpire
nessuno. L’ uomo anziano approfittò di quel momento per
sgattaiolare via dalla stanza. La sua guardia del corpo lanciò uno sguardo di odio verso gli americani. Avrebbe usato
volentieri il pugnale che aveva alla cintura per tagliar loro la
gola. Fece scivolare lentamente la mano lungo il fianco.
Ramirez, a cui il movimento non era passato inosservato,
si chiese che arma contasse di prendere. «Alza le braccia!»
gridò.
L’uomo non se ne diede per inteso e provò ad afferrare
con un guizzo improvviso qualcosa che nascondeva dietro la
schiena. Ramirez premette il grilletto del fucile. Il colpo scaraventò l’ uomo contro il muro da dove si afflosciò lentamente al suolo.
Era la prima volta che gli capitava di sparare a qualcuno.
Ramirez rimase a guardare istupidito la macchia rossa che
si allargava sul petto dell’ afgano. Sentì salirgli in bocca un
sapore amaro di bile e gli parve che le pareti della stanza gli
si stringessero addosso. Provò a giustificare il suo operato rivolgendosi al sergente. «Glielo avevo detto di non muoversi!» La voce gli uscì stridula.
«Via! Via!» urlò il sergente maggiore uscendo più in fretta
possibile dalla casupola.
Appena furono all’aperto fecero fuoco verso la porta da
cui erano appena transitati per impedire che qualcuno dalla
casa li prendesse di mira. Si udì un urlo di dolore provenire
dall’interno. I due soldati si precipitarono verso la camionetta. Vedendoli sopraggiungere di corsa e avendo sentito gli
spari, il mitragliere iniziò a sgranare colpi di copertura contro la casa. Mentre il sergente apriva in fretta lo sportello del
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veicolo, l’ altro si arrampicò velocemente sul cassone. In quel
momento uomini armati si levarono gridando da dietro le
macerie di un muro diroccato.
«E’ una imboscata!» urlò Brown che aveva già avviato il
motore.
«Lo dicevo che ci stavano spiando, lo dicevo io!» ripeteva sparando McKinney ,in tono pieno di rimprovero verso i
compagni che non avevano voluto credere alle sue sensazioni. Recitando quella litania, gli sembrava di poter scaricare
la responsabilità sugli altri e rimanere al di fuori dalla brutta
situazione in cui si trovava.
«Vai! Vai!» gridò il sergente.
«Che cazzo è successo? Hai preso quello per cui siamo
venuti?» gli chiese il caporale ingranando in tutta fretta la
marcia.
«E’ nello zaino.»
«Perché avete sparato?» chiese ancora Brown, tenendo
premuto il pedale dell’acceleratore e lasciando slittare le ruote del veicolo senza più preoccuparsi di sollevare la polvere.
«Abbiamo dovuto sparare perché ci lasciassero andare.
Pare che i soldi non fossero quelli concordati. Quel pezzo di
merda di Bennet,» ringhiò dopo un attimo «quando lo vedo
gli rompo il culo!»
Mentre il veicolo acquistava velocità, il sergente O’ Hara si
mise in contatto via radio con la base. Da dietro le mura delle case intorno si affacciarono altri uomini con armi pesanti.
La mitragliatrice sopra il veicolo sgranò una sventagliata di
colpi verso di loro e gli assalitori si nascosero sparacchiando
a caso.
«Attenti ai lanciarazzi!» urlò il sergente «Guardatevi intorno!»
Una granata in quel momento scoppiò di fianco alla camionetta che fece un salto atterrando peraltro sulle quattro
ruote e continuando la corsa.
Il sergente O’Hara si attaccò alla radio. «May day, may
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day! Pattuglia bravo undici, periferia nord di Kabul. Siamo
stati attaccati da un gruppo di guerriglieri. Chiediamo fuoco
di copertura.»
La risposta non si fece attendere. «C’è un elicottero già in
volo a pochi chilometri da voi, lo facciamo arrivare.»
Il sergente respirò di sollievo e pensò che ce la potevano
fare a portare a casa la pelle e la merce. Avrebbe preferito non
dover chiedere l’aiuto alla base per non dover giustificare la
sua uscita, ma con l’avallo del tenente, a cui la parentela con
il senatore Bennet garantiva quasi l’ immunità, sarebbe riuscito a trovare una scusa plausibile, senza bisogno di rivelare
il vero motivo della missione. Fece una smorfia che voleva
essere un sorriso rassicurante all’ autista e in quel momento
un razzo centrò in pieno la cabina di guida che prese fuoco. Il veicolo, fuori controllo, si arrestò andando a sbattere
contro un muro di recinzione che si disintegrò nell’ impatto
sollevando una nuvola di polvere. McKinney attaccato alle
maniglie della mitragliatrice riuscì a non cadere e continuò a
sparare disordinatamente.
Nello scontro Ramirez, che non aveva un buon appiglio,
cadde invece di schiena dal cassone del veicolo. Sulle spalle
aveva ancora lo zaino che aveva contribuito a sbilanciarlo ma
che ammorbidì l’ impatto con il terreno. Si raddrizzò con difficoltà, coperto di polvere e detriti. Un rivolo di sangue prese
a colargli dalla fronte, deviò al contatto con il sopracciglio
sinistro e scese a lambirgli l’occhio. L’adrenalina era tale che
non avvertiva il dolore della ferita. Si pulì distrattamente con
il dorso della mano e iniziò a sparare agli assalitori, parzialmente protetto dal muro diroccato da una parte e dal fianco
del veicolo dall’altra. Si sforzò di mirare con precisione prima
di lasciar partire il colpo. I guerriglieri erano più interessati
a cercare di ridurre al silenzio la mitragliatrice e non pareva
si fossero accorti della sua presenza. Aveva solo un angolo di
tiro limitato, ma notò con soddisfazione di aver colpito due
degli attaccanti. Uno si trascinò urlando per qualche metro
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prima di rimanere disteso immobile. Si chiese che fine avessero fatto i compagni in cabina. Morti probabilmente, visto
che non li sentiva. Il sergente O’Hara era l’unico con cui aveva stretto amicizia e gli dispiaceva di non poter fare nulla per
aiutarlo. Mirò attentamente e riuscì a colpire un’altro uomo
armato che si era sporto da dietro un riparo. Diresse la propria attenzione ai guerriglieri che rimanevano più defilati nel
timore delle sventagliate della mitragliatrice. Di uno intravedeva l’ombra lunga che il sole calante proiettava a terra. Sentì
McKinney gridare qualcosa da sopra il cassone senza peraltro capire il senso delle parole. Sperò che il compagno non
fosse rimasto ferito. Forse avrebbe fatto bene a risalire sul
veicolo anche se sarebbe stato più esposto. Fino a quel momento sembrava che nessuno degli attaccanti si preoccupasse di rispondere al suo fuoco nonostante le perdite che aveva
loro inflitto. Intuì che le grida di McKinney volevano avvisarlo dell’arrivo dell’elicottero quando udì il rumore del rotore
delle eliche. Pensò che forse erano in salvo ma, in quell’attimo, i guerriglieri balzarono fuori dai loro ripari e assalirono
la camionetta da tutti i lati. Anche loro avevano capito che, se
non fossero riusciti ad eliminare subito i soldati superstiti, il
veivolo avrebbe fatto in tempo a soccorrerli ed erano decisi
a rischiare il tutto per tutto per chiudere la partita. Ramirez
riuscì a colpire tre talebani che gli correvano incontro uno
di seguito all’ altro. Quando la mitragliatrice smise di sgranare colpi e udì grida e rumore di colluttazione provenire
dal cassone, comprese che i guerriglieri erano riusciti a salire
sul veicolo. Fu tentato di fingersi morto con la speranza che
gli uomini che avevano sopraffatto il compagno non si accanissero anche contro di lui, poi il senso di solidarietà ebbe il
sopravvento. Si alzò in piedi per cercare di aiutare McKinney,
ma in quell’attimo l’ elicottero iniziò a mitragliare. Fece appena in tempo ad abbassare la testa prima che il fuoco amico
lo falciasse. Il serbatoio del veicolo esplose. Il soldato si sentì
scagliare in aria. Durante la frazione di secondo che durò il
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volo, l’ultima cosa che gli rimase impressa prima di perdere i
sensi fu la vista in lontananza dell’asino riverso su un fianco
in una pozza di sangue.
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