IL FASCINO DEL PALLONE ELASTICO

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IL FASCINO DEL PALLONE ELASTICO
IL FASCINO DEL PALLONE
ELASTICO
DI CORRADO OLOCCO
Chissà cos’avrà pensato il funzionario dell’immigrazione di New York che nell’aprile
del 1913 trovò nel bagaglio dell’emigrante
Cesare Porta e della moglie Fiorina, originari
di Feisoglio, quaranta strani palloni, più
grandi di quelli da baseball e più piccoli di
quelli da basket. Erano palloni da pallapugno
che, chissà per quali motivi, l’emigrante della
alta Langa decise di portare con sé dall’altra
parte dell’Oceano. Porta era già andato in
America sei anni prima, a trovare il fratello
Amabile, che viveva a San Francisco, e
sappiamo che sulla costa occidentale degli
Stati Uniti gli emigranti piemontesi mantennero viva la tradizione di quello che all’epoca
si chiamava pallone elastico, praticandolo
fino a pochi anni prima della seconda guerra
mondiale e organizzando persino campionati
regolari. Leggendo i nomi dei giocatori
“californiani” di quel tempo pare di scorrere
elenchi anagrafici di paesi del cuneese e
dell’astigiano. Si incontrano infatti cognomi
come Gallo, Pastorino, Pellegrino, Cavallo,
Giraudo, Boido e Schellino.
Forse, Porta sperava di poter praticare il
tipico sport della sua terra anche a New York
e magari c’è riuscito. In ogni caso, l’emigrante
langarolo, lasciando la Valle Belbo per
imbarcarsi in una cabina di terza classe
(quella che “costa dolore e spavento e puzza
di sudore dal boccaporto”, come cantava
Francesco De Gregori in Titanic) decise
di mettere 40 “balon” nel baule. Basta forse
questo aneddoto a spiegare il legame tra
la terra cuneese e la pallapugno, sport che
fino a pochi anni fa era noto come pallone
elastico, ma che in Piemonte e Liguria,
usando il dialetto, è detto semplicemente
“balon”. In certe zone delle Langhe, del
cuneese, del monregalese e dell’entroterra
ligure, se si parla di pallone,
molti (specie chi ha una certa
età) non pensano subito al
calcio, ma a questa disciplina
di origini antichissime e
ancora in parte ignote,
appartenente a una famiglia
di sport oggi diffusi in Spagna,
Belgio, Francia, Olanda,
Irlanda nei quali la palla
viene colpita col pugno
o con la mano aperta.
Disciplina sportiva di origini antichissime, la pallapugno
è praticata nel profondo Piemonte, in provincia di Cuneo,
in alcune zone dell’astigiano e dell’alessandrino
e nelle provincie di Savona e di Imperia.
Sopra e a destra:
Roberto Corino
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Discendente del pallone col bracciale diffuso
nelle corti rinascimentali, la pallapugno oggi
è praticata in parte della provincia di Cuneo,
in qualche nicchia astigiana e alessandrina
(Castagnole Lanze, Spigno Monferrato) e
nelle province di Savona e Imperia. Ormai,
questa disciplina vive ai margini delle grandi
città. È ancora diffusa a Cuneo, Imperia, Alba
e Mondovì, ma è sparita da Torino e Genova,
dove ci sono ancora i resti dei gloriosi
sferisteri Edmondo De Amicis e Zerbino.
Come tutti gli sport popolari la pallapugno
ha avuto i suoi eroi. Personaggi leggendari
come Giuseppe Filippa, di Cravanzana, detto
“Ghindo”, al quale nel 1909 venne dedicata
una ballata popolare e che morì in carcere
a Susa nel 1947. O come Paolo Rossi, di
Monesiglio, uno che non si sapeva se fosse
più bravo col pugno fasciato in uno sferisterio
o con la stecca in mano al tavolo da biliardo.
O come il campionissimo Augusto Manzo,
che tra la Juventus e il balon, scelse lo sport
delle sue colline riuscendo anche a vincere,
oltre a otto titoli italiani di pallone elastico,
anche due campionati di bracciale a
Livorno. O ancora, come il ligure Franco
Balestra, rivale storico di Manzo, che negli
anni ’50 divise i tifosi degli sferisteri come
accadeva nel ciclismo per Coppi e Bartali.
Quelli citati (ma se ne potrebbero aggiungere
molti altri) sono stati i campioni degli anni
ruggenti, di quando si andava in campo
coi pantaloni lunghi e le canottiere senza
sponsor, un’epoca in cui, come raccontava
il terzino di Manzo Antonio Porello, si
giocava al pomeriggio ad Alba e alla sera
a Torino (quello di via Napione è stato
il primo sferisterio con illuminazione
Roberto Corino
alla pantalera
storica 2004
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artificiale) e, sulla strada del ritorno,
capitava talvolta di doversi fermare in
qualche cascina per rubare una gallina
perché i soldi erano pochi e la fame
del dopoguerra, invece, era troppa.
Poi, anche il pallone elastico ha vissuto
un’evoluzione analoga a quella di altri
sport, con campioni come Felice Bertola
(il giocatore più titolato della storia:
12 scudetti, il primo a 21 anni e l’ultimo
a 42), che dopo aver scoperto il balon
nelle vie del suo paese (Gottasecca,
al confine tra alta Langa e Liguria),
è diventato il primo giocatore professionista e il primo giocatore a introdurre
la preparazione atletica in questo sport.
Anche Bertola, come accadde a Manzo,
ebbe un rivale storico, l’astigiano
Massimo Berruti, col quale divise tifosi
e scudetti per quasi un ventennio.
Oggi, la pallapugno è inserita tra le
discipline associate al Coni e sta cercando con fatica di darsi un assetto
più moderno e in linea con le esigenze
dello sport di oggi. Accanto all’attività
ufficiale, continua anche quella amatoriale, giocata nelle piazze dei paesi,
che però è sempre più difficile sottrarre
alle automobili e alle esigenze urbanistiche. Nei piccoli centri, la pallapugno
è praticata nella variante della pantalera,
nella quale il gioco inizia lanciando
la palla su un’assicella di legno lunga
un paio di metri, ma fino a qualche
decennio fa bastava addirittura una
A sinistra:
Corino e Bertola
alla pantalera
storica 2004.
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Sopra:
Giuliano Bellanti;
in alto a destra:
Messico Argentina
agli ultimi mondiali.
tettoia per dare il via al gioco, come
accadeva persino nel cuore di Alba,
nel cortile dell’osteria di Vigin Mudest.
Oggi, la pallapugno è riuscita ad avere
anche una ribalta internazionale assieme
ad alcune delle discipline simili ad essa
diffuse in Europa e Sudamerica.
Già negli anni ’60 e ‘70 Bertola e soci
andarono in Francia e Belgio per alcune
esibizioni nelle terre in cui era diffuso
il ballon au poing e la balle pelote.
Poi, a partire dalla metà del decennio
scorso si svolgono, con cadenza
regolare, campionati europei e mondiali.
L’ultima rassegna iridata si è disputata
in primavera in Italia e i giocatori colombiani di “pelota a mano” sono tornati
in patria con alcuni palloni da pallapugno nelle valigie. Il viaggio lo hanno
fatto in aereo e sono atterrati qualche
migliaio chilometri più a sud, ma in
fondo il tragitto è stato quasi lo stesso
di quei “balon” partiti da Feisoglio
novant’anni prima.
A CUNEO CON PAOLO DANNA
IL TITOLO TRICOLORE 2004
Quest’anno lo scudetto del balon è tornato nel capoluogo
provinciale. A riportare il titolo tricolore a Cuneo, dopo i
tre successi consecutivi targati Bellanti dal 1998 al 2000,
è stato il ventisettenne Paolo Danna, di Monastero Vasco,
affiancato nelle file dell’Acqua Sant’Anna da Michele
Giampaolo, Claudio Boetti ed Enrico Unnia. Danna, dopo
aver vinto il campionato allievi nel 1993 e quello juniores
nel 1994, ha esordito in C1 nel 1995 conquistando il titolo
al primo tentativo. In serie
B la carriera di Danna
ha anche incrociato,
nel 1996-97, quella del
leggendario Felice Bertola,
col quale ha giocato
a Mondovì, prima di
passare nel 1998 all’Astor
Ceva, con la quale ha
conquistato il titolo cadetto
che gli ha aperto le porte
della massima serie.
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