Bombe sul papa - Storia In Rete

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Bombe sul papa - Storia In Rete
ANTICIPAZIONI
Attentati al papa \ 1
«Sono cose
che accadono...»
Durante la Seconda guerra mondiale Roma fu bombardata
dagli angloamericani più volte. E non fu risparmiato nemmeno
il Vaticano, salvo gettare il sasso e nascondere la mano.
Lo scopo? Colpire la politica di neutralità del Papa – da un lato
– e incolpare i nazifascisti attraverso la propaganda dall’altro.
Un nuovo saggio, che «Storia in Rete» anticipa, consente ora
di ricostruire i retroscena «intelligenti» della pioggia di bombe
«stupide» che colpì la Santa Sede e l’Urbe fra 1943 e 1944.
Con una coda cinica che ricorda fin troppo certi debriefing
delle «missioni di pace» dei nostri giorni…
S
Una foto aerea del Vaticano scattata da un aereo USA il 5 giugno
1944, subito dopo l’occupazione di Roma. Sul verso della foto è
incollata una nota sui «bombardamenti di precisione» coi quali
gli «americani hanno lasciato intatto il Vaticano»
di Pietro Cappellari
e la vulgata ha abbondantemente,
quanto maldestramente, parlato
dell’incursione sul Vaticano del 5
novembre 1943, ben si è guardata
di citare un’altra incursione aerea
che pure colpì la Santa Sede durante la Repubblica Sociale Italiana.
Infatti, il 1° marzo 1944, il solito
«Oggetto Volante Non Identificato», sganciò alcune bombe nel perimetro del Vaticano. Questa volta non si riuscì
a mascherare l’operazione e tutti ebbero sentore che si
trattasse dell’ennesimo attentato contro l’Urbe compiuto
da un pilota alleato. Infatti, se nell’autunno 1943 Roma
era stata risparmiata da violente incursioni aeree, in alcuni vi furono dubbi nell’attribuire le responsabilità e la
propaganda antifascista ebbe ampi margini di manovra
per speculare sull’evento.
Nell’inverno 1944, le cose erano cambiate di molto,
visto che da diverse settimane si registravano numerosi
attacchi angloamericani alla Città Eterna e le vittime civili
si contavano nell’ordine delle migliaia. Erano i giorni in
cui ancora non si erano spente le polemiche per l’insensato sacrilegio della distruzione dell’Abbazia di Montecassino e gli Alleati arrancavano disperatamente sia sulla Linea Gustav, sia nella sacca di Nettunia [la «testa di
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Personale di terra carica le bombe
nel ventre di un Vickers Wellington.
Sarebbe stato un apparecchio
di questo tipo a colpire nei pressi
del Vaticano il primo marzo 1944
Giugno 2011
ponte» di Anzio e Nettuno, NdR]. I nervi erano alle stelle
e, in questo clima, «per la seconda volta un aereo americano sganciò alcune bombe nelle immediate vicinanze della
Città del Vaticano» [G. Angelozzi Gariboldi, «Il Vaticano
nella Seconda Guerra Mondiale», Mursia NdA]. La posizione neutralista della Santa Sede non andava certamente giù a chi si era arrogato di dipingersi come un nuovo
«crociato», della democrazia, ovviamente. Anzi, il Vaticano non faceva mistero di condannare la richiesta della
resa incondizionata fatta alla Germania dagli angloamericani, facendo comprendere come questo diktat avrebbe
costretto i tedeschi a combattere fino all’ultimo uomo. A
chi sosteneva che gli Alleati combattevano per evitare
un’egemonia germanica in Europa, la Santa Sede aveva
risposto che così facendo, però, si stava promuovendo
un’altra egemonia, quella sovietica. Si può ben capire allora l’imbarazzo degli angloamericani e la loro rabbia. In
questo clima di «incomprensione dei doveri del momento», maturò l’incursione del 1° marzo 1944. Questa volta
ci scappò pure il morto: Pietro Piergiovanni. Un operaio
sventrato da una scheggia, mentre cercava di rifugiarsi
nell’Oratorio di San Pietro. […]
Tuttavia, anche per questo bombardamento, c’è chi
sostiene la versione che furono i fascisti repubblicani
a colpire. A tal proposito, abbiamo già accennato alla
Giugno 2011
versione dell’IRSIFAR-ANPI [Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo Alla Resistenza NdR]. Ma non
solo. Ha scritto Raffaele Alessandrini su «L’Osservatore
Romano», nel gennaio 2011: «Meno dubbi ci sono invece sul fatto che proprio repubblichino fosse il secondo
velivolo che bombardò i confini del Vaticano il 1° marzo
1944. Lontani racconti della famiglia di chi scrive, allora residente nella zona, ricordavano l’aereo che portò
l’attacco alla stessa ora del precedente, intorno alle 20,
e che, nelle sue evoluzioni a bassa quota, dovette urtare
su un ostacolo, forse un albero o uno dei contrafforti
del Gianicolo, e pur liberandosi frettolosamente del suo
carico di bombe non riuscì a riprendere assetto di volo e
andò a schiantarsi al suolo dopo aver colpito con un’ala
una casa in Via del Gelsomino – vi morì un’anziana –
giusto dietro la Città del Vaticano. Tanto l’aereo quanto
l’aviatore morto furono rimossi frettolosamente». Quindi, sull’incursione del 1° marzo 1944, secondo Alessandrini – che evita, pur conoscendolo, di citare monsignor
Carrol nel commentare il bombardamento del 5 novembre – ci sarebbero addirittura «meno dubbi» nell’accusare i piloti dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana
(ANR). Che ci facesse un «acrobatico» aereo dell’ANR
su Roma, quel giorno, nessuno lo ha mai saputo. Che,
poi, velivolo e pilota morto siano stati fatti sparire…
Sembra una scena che richiama l’incidente di Roswell
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