Prova Italiano Classi V (A.S. 2008/2009) - "E. Fermi"

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Prova Italiano Classi V (A.S. 2008/2009) - "E. Fermi"
LICEO SCIENTIFICO STATALE “E. FERMI”
SIMULAZIONE DEGLI ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE - PROVA DI ITALIANO
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO:
Luigi Pirandello, Distrazione (I edizione 1907) , da Novelle per un anno, a c. di M. Costanzo, Milano, Mondatori,
1986-1990.
Nero tra il baglior polverulento d'un sole d'agosto che non dava respiro, un carro funebre di terza classe si fermò
davanti al portone accostato d'una casa nuova d'una delle tante vie nuove di Roma, nel quartiere dei Prati di Castello.
Potevano esser le tre del pomeriggio.
Tutte quelle case nuove, per la maggior parte non ancora abitate, pareva guardassero coi vani delle finestre
sguarnite quel carro nero.
Fatte da così poco apposta per accogliere la vita, invece della vita - ecco qua - la morte vedevano, che veniva a far
preda giusto lì.
Prima della vita, la morte.
E se n'era venuto lentamente, a passo, quel carro. Il cocchiere, che cascava a pezzi dal sonno, con la tuba
spelacchiata, buttata a sghembo sul naso, e un piede sul parafango davanti, al primo portone che gli era parso accostato
in segno di lutto, aveva dato una stratta1 alle briglie, l'arresto al manubrio della martinicca2, e s'era sdraiato a dormire
piú comodamente su la cassetta.
Dalla porta dell'unica bottega della via s'affacciò, scostando la tenda di traliccio, unta e sgualcita, un omaccio
spettorato3, sudato, sanguigno, con le maniche della camicia rimboccate su le braccia pelose.
- Ps! – chiamò, rivolto al cocchiere. - Ahò! Piú là...
Il cocchiere reclinò il capo per guardar di sotto la falda della tuba posata sul naso; allentò il freno; scosse le briglie
sul dorso dei cavalli e passò avanti alla drogheria, senza dir nulla.
Qua o là, per lui, era lo stesso.
E davanti al portone, anch'esso accostato della casa piú in là, si fermò e riprese a dormire.
- Somaro! - borbottò il droghiere, scrollando le spalle. - Non s'accorge che tutti i portoni a quest'ora sono accostati.
Deve esser nuovo del mestiere.
Così era veramente. E non gli piaceva per nientissimo affatto, quel mestiere, a Scalabrino. Ma aveva fatto il
portinajo, e aveva litigato prima con tutti gl'inquilini e poi col padron di casa; il sagrestano a San Rocco, e aveva
litigato col parroco; s'era messo per vetturino di piazza e aveva litigato con tutti i padroni di rimessa, fino a tre giorni
fa. Ora, non trovando di meglio in quella stagionaccia morta, s'era allogato in una Impresa di pompe funebri. Avrebbe
litigato pure con questa - lo sapeva sicuro - perché le cose storte, lui, non le poteva soffrire. E poi era disgraziato, ecco.
Bastava vederlo. Le spalle in capo; gli occhi a sportello; la faccia gialla, come di cera, e il naso rosso. Perché rosso, il
naso? Perché tutti lo prendessero per ubriacone; quando lui neppure lo sapeva che sapore avesse il vino.
- Puh!
Ne aveva fino alla gola, di quella vitaccia porca. E un giorno o l'altro, l'ultima litigata per bene l'avrebbe fatta con
l'acqua del fiume, e buona notte.
Per ora là, mangiato dalle mosche e dalla noia, sotto la vampa cocente del sole, ad aspettar quel primo carico. Il
morto.
O non gli sbucò, dopo una buona mezz'ora, da un altro portone in fondo, dall'altro lato della via?
- Te possino... (al morto) - esclamò tra i denti, accorrendo col carro, mentre i becchini, ansimanti sotto il peso
d'una misera bara vestita di mussolo nero, filettata agli orli di fettuccia bianca, sacravano4 e protestavano:
- Te possino... (a lui) – e pij n'accidente5 – O ch'er nummero der portone non te l'aveveno dato?
Scalabrino fece la voltata senza fiatare: aspettò che quelli aprissero lo sportello e introducessero il carico nel carro.
- Tira via!
E si mosse, lentamente, a passo, com'era venuto: ancora col piede alzato sul parafango davanti e la tuba sul naso.
Il carro, nudo. Non un nastro, non un fiore.
Dietro, una sola accompagnatrice.
Andava costei con un velo nero trapunto, da messa, calato sul volto; indossava una veste scura, di mussolo rasato,
1
Tirata energica.
È il freno a mano dei veicoli a trazione animale.
3
Col petto scoperto (neologismo).
4
Imprecavano.
5
“Che ti possano… [sott. ammazzare] Che ti prenda un accidente – O che il numero del portone non te l’avevano
dato?” (la frase è in dialetto romanesco)
2
a fiorellini gialli, e un ombrellino chiaro aveva, sgargiante sotto il sole, aperto e appoggiato su la spalla.
Accompagnava il morto, ma si riparava dal sole con l'ombrellino. E teneva il capo basso, quasi piú per vergogna
che per afflizione.
- Buon passeggio, ah Rosi'! - le gridò dietro il droghiere scamiciato, che s'era fatto di nuovo alla porta della
bottega. E accompagnò il saluto con un riso sguaiato, scrollando il capo.
L'accompagnatrice si voltò a guardarlo attraverso il telo; alzò la mano col mezzo guanto di filo per fargli un cenno
di saluto, poi l'abbassò per riprendersi di dietro la veste, e mostrò le scarpe scalcagnate. Aveva però i mezzi guanti di
filo e l'ombrellino, lei.
- Povero sor Bernardo, come un cane, - disse forte qualcuno dalla finestra d'una casa.
Il droghiere guardò in su, seguitando a scrollare il capo. - Un professore, con la sola servaccia dietro... - gridò
un'altra voce, di vecchia, da un'altra finestra.
Nel sole, quelle voci dall'alto sonavano nel silenzio della strada deserta, strane.
Prima di svoltare, Scalabrino pensò di proporre all'accompagnatrice di pigliare a nolo una vettura per far piú
presto, già che nessun cane era venuto a far coda a quel mortorio.
- Con questo sole... a quest'ora...
Rosina scosse il capo sotto il velo. Aveva fatto giuramento, lei, che avrebbe accompagnato a piedi il padrone fino
all'imboccatura di via San Lorenzo.
- Ma che ti vede il padrone?
Niente! Giuramento. La vettura, se mai, l'avrebbe presa, lassú, fino a Campoverano.
- E se te la pago io? - insistette Scalabrino.
Niente. Giuramento.
Scalabrino masticò sotto la tuba un'altra imprecazione e seguitò a passo, prima per il ponte Cavour, poi per Via
Tomacelli e per Via Condotti e per Piazza di Spagna e Via Due Macelli e Capo le Case e Via Sistina.
Fin qui, tanto o quanto, si tenne su, sveglio, per scansare le altre vetture, i tram elettrici e le automobili
considerando che a quel mortorio lì nessuno avrebbe fatto largo e portato rispetto.
Ma quando, attraversata sempre a passo Piazza Barberini, imboccò l'erta via di San Niccolò da Tolentino, rialzò il
piede sul parafango, si calò di nuovo la tuba sul naso e si riaccomodò a dormire.
I cavalli, tanto, sapevano la via.
I rari passanti si fermavano e si voltavano a mirare, tra stupiti e indignati. Il sonno del cocchiere su la cassetta e il
sonno del morto dentro il carro: freddo e nel buio, quello del morto; caldo e nel sole, quello del cocchiere; e poi
quell'unica accompagnatrice con l'ombrellino chiaro e il velo abbassato sul volto: tutto l'insieme di quel mortorio,
insomma, così zitto zitto e solo solo, a quell'ora bruciata, faceva proprio cader le braccia.
Non era il modo, quello, d'andarsene all'altro mondo! Scelti male il giorno, l'ora, la stagione. Pareva che quel
morto lì avesse sdegnato di dare alla morte una conveniente serietà. Irritava. Quasi quasi aveva ragione il cocchiere che
se la dormiva.
E così avesse seguitato a dormire Scalabrino fino al principio di Via San Lorenzo! Ma i cavalli, appena superata
l'erta svoltando per Via Volturno, pensarono bene d'avanzare un po' il passo: e Scalabrino si destò.
Ora, destarsi, veder fermo sul marciapiedi a sinistra un signore allampanato, barbuto, con grossi occhiali neri,
stremenzito6 in un abito grigio sorcigno7, e sentirsi arrivare in faccia, su la tuba, un grosso involto, fu tutt'uno!
Prima che Scalabrino avesse tempo di riaversi, quel signore s'era buttato innanzi ai cavalli, li aveva fermati e,
avventando gesti minacciosi, quasi volesse scagliar le mani, non avendo piú altro da scagliare, urlava, sbraitava:
- A me? a me? mascalzone! canaglia! manigoldo! a un padre di famiglia? a un padre di otto figliuoli? manigoldo!
farabutto!
Tutta la gente che si trovava a passare per via e tutti i bottegai e gli avventori s'affollarono di corsa attorno al carro
e tutti gl'inquilini delle case vicine s'affacciarono alle finestre, e altri curiosi accorsero, al clamore, dalle prossime vie, i
quali, non riuscendo a sapere che cosa fosse accaduto, smaniavano, accostandosi a questo o a quello, e si drizzavano su
la punta dei piedi.
- Ma che è stato?
- Uhm... pare che... dice che... non so!
- Ma c'è il morto?
- Dove?
- Nel carro, c'è?
- Uhm!... Chi è morto?
- Gli pigliano la contravvenzione!
- Al morto?
- Al cocchiere...
- E perché?
- Mah!... pare che... dice che...
Il signore grigio allampanato seguitava intanto a sbraitare presso la vetrata d'un caffè, dove lo avevano trascinato;
6
Striminzito.
Color grigio topo (da ‘sorcio’).
8
Carrozzella, nel parlato romanesco.
7
reclamava l'involto scagliato contro il cocchiere; ma non s'arrivava ancora a comprendere perché glielo avesse
scagliato. Sul carro, il cocchiere cadaverico, con gli occhi miopi strizzati, si rimetteva in sesto la tuba e rispondeva alla
guardia di città che, tra la calca e lo schiamazzo, prendeva appunti su un taccuino.
Alla fine il carro si mosse tra la folla che gli fece largo vociando; ma, come apparve di nuovo, sotto l'ombrellino
chiaro, col velo nero abbassato sul volto, quell'unica accompagnatrice - silenzio. Solo qualche monellaccio fischiò.
Che era insomma accaduto?
Niente. Una piccola distrazione. Vetturino di piazza fino a tre giorni fa, Scalabrino, stordito dal sole, svegliato di
soprassalto, si era scordato di trovarsi su un carro funebre: gli era parso d'essere ancora su la cassetta d'una botticella8
e, avvezzo com'era ormai da tanti anni a invitar la gente per via a servirsi del suo legno, vedendosi guardato da quel
signore sorcino fermo lì sul marciapiedi, gli aveva fatto segno col dito, se voleva montare.
E quel signore, per un piccolo segno, tutto quel baccano...
La novella appartiene alla seconda delle cinque sezioni delle Novelle per un anno, intitolata “La vita nuda”. Nella
prima produzione novellistica sono ancora visibili tecniche rappresentative desunte dal verismo, utilizzate però insieme
ad altre per raggiungere esiti nuovi.
Consegne:
Comprensione del testo
a) Leggi con attenzione la novella e riassumine brevemente il contenuto.
b) Spiega il significato del titolo.
Analisi e interpretazione del testo
c) Individua ed illustra le parole chiave, i loro ambiti semantici ed il tema centrale, argomentando le tue scelte.
d) Analizza le tecniche narrative (struttura dell’intreccio; narratore esterno/ interno/…; focalizzazione; tempi e spazi del
racconto; caratterizzazione dei personaggi e tecniche di presentazione dei loro pensieri e parole - dialoghi,
narrazione, descrizione, discorso indiretto libero ecc. ) e il lessico, individuando i termini e le espressioni di registro
alto e/o colloquiale, l’uso delle eventuali figure retoriche e gli effetti di queste scelte.
e) Interpreta il racconto, anche alla luce della teoria pirandelliana sull’Umorismo (1908).
Approfondimento
f) La cultura italiana ed europea sin dalla fine dell’Ottocento è ricca di testi, letterari, artistici e filosofici che si
concentrano sul degrado dell’io e/o della realtà. Scegline qualcuno fra quelli che conosci per contestualizzare la
novella proposta.
Puoi elaborare un testo unitario oppure dividerlo in paragrafi. Puoi dare un titolo alla tua trattazione. Non superare, di
norma, le 5 colonne di foglio protocollo.
***
TIPOLOGIA B Redazione di un "SAGGIO BREVE" o di un "ARTICOLO DI GIORNALE"
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di "saggio breve" o di "articolo di giornale ", utilizzando i documenti e i dati
che lo corredano e facendo ferimento alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Dà un titolo alla tua trattazione. Se
scegli la forma del "saggio breve ", indica la destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di
ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se scegli la forma dell’"articolo di giornale", indica
il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro). Per
attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di
rilievo). Non superare le quattro o cinque colonne di foglio protocollo.
B 1) ARTISTICO - LETTERARIO.
Argomento: La ricerca dell’identità nella poesia di Ungaretti, Saba e Montale.
DOCUMENTI:
Testi critici:
1) Il poeta d’oggi ha il senso acuto della natura, è poeta che ha partecipato e che partecipa a rivolgimenti fra i più
tremendi della storia. Da molto vicino ha provato e prova l’orrore e la verità della morte. Ha imparato ciò che vale
l’istante nel quale conta solo l’istinto.
E’ uso a tale dimestichezza con la morte che senza fine la vita gli sembra naufragio. Non c’è oggetto che non glielo
rifletta, il naufragio: è la sua vita stessa, da capo a fondo, quell’uno o quell’altro oggetto qualsiasi sul quale gli cade a
caso, lo sguardo. Non è, in realtà, la sua, vita, più che oggettiva – non è vita che resista al caso più del primo oggetto
venuto…
(da G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, 1974, pp. 757-8 )
2) Quando i critici rimproverano a Saba di avere solo pochi schemi a sua disposizione, penso che siano abbagliati dalla
frequenza del ricorso al tema del “bambino” nel discorso di Saba. Non già del “fanciullino” pascoliano naturalmente –
se mai in Saba vi sono “fanciullacci” - ma di quella parte della psiche la quale rimane fissata ai suoi sei anni d’ infanzia
… Si tratta indubbiamente del fulcro della visione dinamica che Saba si costituito per capire l’uomo e l’umanità. Il suo
narcisismo gli consentiva di identificarsi facilmente con gli altri…
(da M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, 1966, pp. 420-423 )
3) Psicologicamente ideologicamente gli Ossi sono dominati da una volontà di negazione (“ciò che non siamo, ciò che
non vogliamo”) e di imperterrito confronto con la “necessità” che ci stringe…..su posizioni che non è azzardato
definire pre-esistenzialistiche, e nelle quali si riflette anche, rovesciata in superbo autoisolamento, l’emarginazione
della buona borghesia liberale da parte di una società che stava per divenire fascista; ed ecco allora i motivi del “male
di vivere”, dell’indifferenza e atonia vitale, del “delirio d’immobilità” della passività e automatismo dell’io…
(da P. V. Mengaldo, Poeti italiani del ‘900 , pp. 523-524)
Testi poetici:
5) Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
4) Pellegrinaggio
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace - uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
A me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai.
(G.Ungaretti, da Allegria )
(E.Montale, da Ossi di seppia )
Valloncello dell’Albero Isolato il 16 agosto 1916
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’ illusione
per farti coraggio
6) Il borgo
Fu nelle vie di questo
Borgo che nuova cosa
m’avvenne.
Fu come un vano
sospiro
il desiderio improvviso d’uscire
di me stesso, di vivere la vita
di tutti,
d’essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni.
Non ebbi io mai sì grande
gioia, né averla dalla vita spero.
Vent’anni avevo quella volta, ed ero
malato. Per le nuove
strade del Borgo il desiderio vano
come un sospiro
mi fece suo.
Dove nel dolce tempo
d’infanzia
poche vedevo sperse
arrampicate casette sul nudo
della collina,
sorgeva un Borgo fervente d’umano
lavoro. In lui la prima
volta soffersi il desiderio dolce
e vano
d’immettere la mia dentro la calda
vita di tutti,
d’essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni.
La fede avere
di tutti, dire
parole, fare
cose che poi ciascuno intende, e sono,
come il vino ed il pane,
come i bimbi e le donne,
valori
di tutti. Ma un cantuccio,
ahimè, lasciavo al desiderio, azzurro
spiraglio,
per contemplarmi da quello, godere
l’alta gioia ottenuta
7) René Magritte, Decalcomania, 1966
di non esser più io,
d’essere questo soltanto: fra gli uomini
un uomo.
Nato d’oscure
vicende,
poco fu il desiderio, appena un breve
sospiro. Lo ritrovo
- eco perduta
di giovanezza - per le vie del Borgo
mutate
più che mutato non sia io. Sui muri
dell’alte case,
sugli uomini e i lavori, su ogni cosa,
è sceso il velo che avvolge le cose
finite.
La chiesa è ancora
gialla, se il prato
che la circonda è meno verde. Il mare;
che scorgo al basso, ha un solo bastimento,
enorme,
che, fermo, piega da una parte. Forme,
colori,
vita onde nacque il mio sospiro dolce
e vile, un mondo
finito. Forme,
colori,
altri ho creati, rimanendo io stesso,
solo con il mio duro
patire. E morte
m’aspetta.
Ritorneranno,
o a questo
Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni
del fiore. Un altro
rivivrà la mia vita,
che in un travaglio estremo
di giovanezza, avrà pur egli chiesto,
sperato,
d’immettere la sua dentro la vita
di tutti,
d’essere come tutti
gli appariranno gli uomini di un giorno
d’allora.
(U. Saba, dal Canzoniere )
B2. AMBITO SOCIO – ECONOMICO.
Argomento: La nuova realtà cittadina tra Ottocento e Novecento
DOCUMENTI:
1) Parlare delle folle che animano le grandi città, significa in fondo occuparsi dell’individuo che si nasconde in esse. Il
fenomeno delle grandi folle cittadine nasce insieme alla rivoluzione industriale, è il suo inseparabile compagno.
Intorno alla metà del sec XIX, città come Londra e Parigi diventano, come mai prima era accaduto, un mercato della
mano d’opera, un luogo di produzione e di smercio dei manufatti. Come contraltare di quest’umanità indaffarata a
sopravvivere o arricchirsi, nasce la figura del flâneur, del perditempo la cui principale attività consiste nel passeggiare
osservando, senza compiti precisi, le attività degli altri. (Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, II, 1939, in Angelus
novus, 1962)
2) Il Cigno (dedicata a V. Hugo)
sfregando con i piedi palmati l’arido selciato,
[...] La vecchia Parigi è scomparsa (ahimè, più veloce
trascinava le bianche piume sul suolo accidentato.
d’un cuore cambia l’aspetto d’una città);
Presso un secco rivolo la bestia, aprendo il becco,
solo in spirito vedo quel campo di baracche,
bagnava nervosamente le ali nella polvere,
erbe, blocchi inverditi da acque stagnanti,
e diceva, il cuore colmo del suo bel lago natale:
capitelli appena sbozzati e colonne a mucchi,
«Acqua, quando scenderai? Quando tuonerai, folgore?»
e confuse cianfrusaglie in vetrine luccicanti.
Rivedo quell’infelice, mito strano e fatale,
Là c’era un serraglio; là un mattino,
tendere la sua testa sul collo agitato,
nell’ora in cui il Lavoro si ridesta
talvolta verso il cielo, come l’uomo d’Ovidio,
e sotto un freddo e chiaro cielo lo spazzino,
verso il cielo ironico, d’un azzurro spietato,
nell’aria silente, alza una cupa tempesta,
come a rivolgere il suo rimprovero a Dio!
vidi un cigno fuggito dalla sua gabbia;
(Charles Baudelaire, I fiori del male, 1857)
3) L'interesse dell'arte nei confronti della città e del suo sempre più complesso sviluppo è stato uno dei temi principali
del XX secolo; è verso la fine degli anni Ottanta che si evidenzia un'attenzione particolare degli artisti nei confronti
dello spazio urbano inteso soprattutto come paesaggio disarticolato, in cui confluiscono - con una tensione quasi
naturale verso l'omogeneizzazione e la perdita di una identità specifica - i "nuovi migranti" portatori di nuove esigenze,
di nuove forze ma anche di comportamenti, abitudini e desideri diversi. La città sembra divenire oggetto di ricerca
soltanto nella misura in cui esprime i conflitti, evidenzia le diversità, puntualizza la propria disgregante dimensione
metropolitana. È la bad city - già resa mitica da Ridley Scott in Blade Runner e prima da John Carpenter in 1997. Fuga
da New York - il modello a cui attinge, con i suoi conflitti, le sue accelerazioni, il senso di perdita di qualunque centro.
La città contemporanea nei suoi imprevedibili percorsi è ormai un enorme territorio incontrollabile, come dimostra
anche il tragico attentato alle Twin Towers. Non esiste una razionalità idonea a governare la città moderna, eppure la
megalopoli si presenta con i suoi grattacieli come un corpo organico capace di espandersi secondo un progetto logico e
prevedibile: grattacieli, nuove strade e anelli di cemento che circondano la periferia.
(Achille Bonito Oliva, “Skira”, 14 /02/2005)
4) Proclamo: 1. Che l'architettura futurista è l'architettura del calcolo, dell'audacia temeraria e della semplicità;
l'architettura del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno,
della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza;[...] 3. - Che le linee
oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura hanno una potenza emotiva mille volte superiore a
quella delle perpendicolari e delle orizzontali, e che non vi può essere un'architettura dinamicamente integratrice
all'infuori di esse; [...] 8. Da un'architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché
i caratteri fondamentali dell'architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le case dureranno meno di noi.
Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell'ambiente architettonico contribuirà
alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con le Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la Musica senza
quadratura e l'Arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista.
(Antonio Sant’Elia, Architettura futurista, manifesto pubblicato su “Lacerba”, 01/08/1914)
5) L'edificio destinato a una falange non ha alcuna somiglianza con le nostre costruzioni, di città o di campagna [...]
Gli alloggi, le piantagioni e le stalle di una società che opera per serie di gruppi devono differire prodigiosamente dai
nostri villaggi o sobborghi occupati da famiglie che non hanno alcuna relazione societaria e agiscono
contraddittoriamente; al posto di questo caos di casette, che rivaleggiano fra loro in sporcizia e difformità nelle nostre
borgate, una Falange si costruisce un edificio regolare per quanto il terreno lo permette [...] Il centro del Palazzo o
Falansterio dev'essere destinato alle funzioni pubbliche, alle sale da pranzo, di borsa, di consiglio, di biblioteca, di
studio. In questo centro sono collocati il tempio, il telegrafo, i piccioni da corrispondenza, la sala delle cerimonie,
l'osservatorio, la corte d'inverno ornata di piante sempreverdi e situata dietro la corte di parata. Una delle ali deve
riunire tutti i laboratori rumorosi, come il falegname, il fabbro, e tutte le riunioni di ragazzi, che sono comunemente
assai rumorosi [...]Per risparmiare muratura e terreno, e accelerare le relazioni sociali, converrà che il Palazzo guadagni
in altezza, avendo almeno tre piani e il sottotetto, oltre il piano terreno e il mezzanino, dove saranno situati gli alloggi e
le sale di riunione dei bambini e dei vecchi, isolati dalla strada-galleria, che è il principale ambiente del Palazzo [...]
Una Falange è veramente una piccola città, ma non possiede strade esterne e scoperte, esposte alle intemperie; tutte le
parti dell'edificio possono essere raggiunte per una larga galleria situata al primo piano
(Charles Fourier, Trattato dell’associazione domestico - agricola, 1822)
6) Ogni programma per migliorare le condizioni dei lavoratori deve comprendere mezzi per prevenire i loro figli
dall'acquistare cattive abitudini e per dar loro buone abitudini; deve prevedere per loro un insegnamento e un
addestramento opportuno; deve dare un lavoro appropriato agli adulti; deve dirigere il loro lavoro in modo da produrre
i massimi benefici per loro e per la società; deve metterli in condizioni che li tengano lontani dalle tentazioni inutili, e
uniscano strettamente i loro interessi e i loro doveri. Questi benefici non possono essere procurati agli individui e alle
famiglie separate, né a masse troppo numerose. Possono invece essere messi in pratica riunendo in una sola
organizzazione un gruppo compreso fra 500 e 1500 persone, in media 1200 persone circa [...].Ogni villaggio
comprende un quadrato di edifici, sufficiente a ospitare 1200 persone, e circondato da un terreno di 1000-1500 acri.
Dentro il quadrato sono collocati gli edifici pubblici, che lo dividono in settori. L'edificio centrale contiene la cucina
pubblica, i depositi, e tutti i servizi necessari per cucinare e riscaldare in modo efficiente. A destra v'è un edificio con
la scuola dei bambini più piccoli al piano terreno, una sala di lettura e un luogo di preghiera al primo piano. L'edificio a
destra comprende a pianterreno la scuola per i ragazzi più grandi e una sala di riunione; sopra la biblioteca e i locali per
gli adulti. Nello spazio sgombro dentro il quadrato sono sistemati gli spazi per gli esercizi fisici e la ricreazione, che si
devono supporre alberati. Tre lati del fabbricato perimetrale sono destinati alle case, soprattutto per le persone sposate,
ciascuna composta di quattro alloggi. Il quarto lato è riservati ai dormitori per tutti i bambini che eccedano i due per
famiglia, o che abbiano più di tre anni. (Robert Owen, Report to the County of Lanark, 1820)
7) La notte durava venti secondi, e venti secondi il GNAC. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di
nuvole nere, la falce della luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi stelle che più le si guardava
più infittivano la loro pungente piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo visto in fretta, ogni
particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell'insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e
cominciava il GNAC. Il GNAC era una parte della scritta pubblicitaria SPAAK-COGNAC sul tetto di fronte, che stava
venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient'altro. La luna improvvisamente sbiadiva, il
cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle perdevano il brillio, e i gatti e le gatte che da dieci secondi
lanciavano gnaulii d'amore muovendosi languidi uno incontro all'altro lungo le grondaie e le cimase, ora, col GNAC,
s'acquattavano sulle tegole a pelo ritto, nella fosforescente luce al neon.
(Italo Calvino, Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, 1963)
B3. AMBITO STORICO-POLITICO
ARGOMENTO: La seconda guerra mondiale
DOCUMENTI
1) “Il Trattato non comprende alcuna clausola che miri alla rinascita economica dell’Europa, nulla che possa
trasformare in buoni vicini gli Imperi centrali disfatti, nulla che valga a consolidare nuovi Stati dell’Europa, nulla che
chiami a novella vita la Russia; esso non promuove neppure, in alcuna guisa, una stretta solidarietà economica fra gli
stessi alleati. A Parigi non si riuscí a concretare alcun programma per la restaurazione delle finanze disordinate della
Francia e dell’Italia o per dare un riassetto ai sistemi del Vecchio e del Nuovo Mondo.”
(Cit. in J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, trad. di T. Tasco, Treves, Milano 1946, p. 208)
2) “Il decennio 1920-1930 fu opaco, borghese e senza impulsi di sentimento. «L’affare dell’America sono gli affari»:
diceva sbrigativamente Coolidge, e l’affermazione era esatta, anche se non profonda. Stanchi di idealismo, e delusi
della guerra e dei suoi risultati, gli americani si diedero con entusiasmo sfacciato a far denaro e a spenderlo. Mai nel
passato, neppure al tempo di McKinley2, la società americana era stata cosí materialistica, dominata cosí
completamente dagli ideali mercantili o dal tecnicismo. Fu l’età della grandiosità e dell’efficienza, e a esse si volse
l’ammirazione popolare; costruttori, agenti di cambio, grossi commercianti, agenti pubblicitari, stelle e divi del cinema
erano gli eroi dell’ora. La popolazione crebbe di diciassette milioni, e in modo ancor piú straordinario aumentò la
ricchezza nazionale; sebbene la ricchezza fosse inegualmente ripartita, sembrava ce ne fosse abbastanza per tutti e la
gente parlava volubilmente della «nuova era», con un pollo in ogni pentola e due automobili in ogni rimessa.”
[A. Nevins – H.S. Commager, Storia degli Stati Uniti, trad. di E. Mattioli e P. Soleri, Einaudi, Torino 1960, p. 445)
3) “Il sistema di Versailles in una situazione di disordine crescente, e di disimpegno americano, nulla poté, a partire
dagli anni '30, contro il macrorevisionismo tedesco, contro il macrorevisionismo giapponese e contro tutti i rissosi
microrevisionismi. Guerre politiche, guerre civili, scontri sociali, crollo verticale di gran parte delle democrazie
europee, avvento di dittature, crisi economiche di enorme portata, nascita dei movimenti anticolonialisti, avventure
coloniali fuori tempo: questo fu lo scenario del periodo che si definisce "tra le due guerre" e che in realtà si trovò a
essere collegato, certo in modo non rettilineo, alle due guerre mondiali, tanto da giustificare appunto l'espressione
"guerra dei trent'anni del XX secolo" ]…]. Il sistema di Versailles, che certo moderò beneficamente per alcuni anni
l'attitudine a risolvere i conflitti con la violenza, non riuscì insomma a governare in modo duraturo questo periodo. Si
trovò cioè a convivere, pur proponendosi come ordine mondiale, con una pronunciata anarchia internazionale.
(B. Bongiovanni, Storia della Guerra fredda, Laterza, Bari-Roma, 2001, pp. 3-7)
4) Uno dei pochi uomini che dalla parte alleata si resero conto in tempo del pericolo fu il primo ministro francese
Reynaud.Già prima della guerra, nella veste di critico di opposizione, egli aveva sollecitato i suoi compatrioti a
dedicare maggiore attenzione alle forze corazzate. Avendo compreso anche troppo chiaramente la gravità di quanto era
accaduto nelle prime ore del 15, egli telefonò a Churchill e gli disse: “abbiamo perso la battaglia”. La replica di
Churchill fu: “tutte le esperienze del genere stanno a dimostrare che l'offensiva dovrà esaurirsi presto. Mi ricordo del
21 marzo 1918. Dopo cinque o sei giorni devono fermarsi in attesa dei rifornimenti e allora si offre l'occasione del
contrattacco”...
(B. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori 1970)
5) Le perdite della seconda guerra mondiale sono letteralmente incalcolabili, anche stime approssimate sono
impossibili, poiché, diversamente dalla prima guerra mondiale, la seconda uccise i civili non meno dei militari e le
peggiori stragi si ebbero in tempi e in luoghi nei quali nessuno poteva registrarle né si prendeva cura di farlo. Si è
stimato che le morti direttamente causate dal conflitto ammontino a una cifra dalle tre alle cinque volte più alta di
quella stimata per la prima guerra mondiale; in altre parole, essa comprende dal 10% al 20% della popolazione
complessiva dell'URSS, della Polonia e della Jugoslavia; dal 4% al 6% della popolazione della Germania, dell'Italia,
dell'Austria, dell'Ungheria, del Giappone e della Cina. Le vittime in Gran Bretagna e in Francia furono molto più basse
che nella prima guerra mondiale, circa l'1%, ma furono più alte negli USA. Tuttavia queste sono supposizioni. Le
vittime sovietiche sono state stimate variamente, anche da organismi ufficiali, nell'ordine di sette milioni, undici
milioni o venti o perfino trenta. In ogni caso che cosa significa l'esattezza statistica quando gli ordini di grandezza sono
così elevati? Forse che l'errore dell'Olocausto si attenuerebbe se gli storici concludessero che furono sterminate non sei
milioni di persone, ma solo cinque o quattro? E che cosa cambia se i novecento giorni dell'assedio tedesco a
Leningrado (1941 – 44) causarono la morte per fame e per sfinimento di un milione di uomini o solo di settecentomila
o di mezzo milione? Possiamo davvero comprendere cifre che oltrepassano la nostra capacità di intuire una realtà
fisica? Che cosa significa per il lettore medio di questa pagina che dei 5,7 milioni di russi prigionieri di guerra in
Germania, ne morirono 3,3 milioni? Il solo fatto certo riguardo alle vittime della guerra è che essa uccise più uomini
che donne. Nel 1959 c'erano ancora in URSS, tra le generazioni di età tra i trentacinque e i cinquant'anni, sette donne
per ogni quattro uomini. Dopo la guerra è più facile ricostruire gli edifici distrutti che le vite dei sopravvissuti.
(E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, 2000).
6) S. Quasimodo, da Giorno dopo giorno, 1947
Milano, agosto 1943
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
E' morta: s'è udito l'ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l'usignolo
è caduto dall'antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.
7) Lui era già nel deposito della carne,ed era la notte che Dresda venne distrutta. Sopra si sentivano come dei passi di
giganti: erano bombe ad alto esplosivo che cadevano...Così va la vita...Non c'era nulla da dire. Una cosa era chiara:
nella città dovevano proprio essere morti tutti, e se c'era ancora qualche anima viva, rappresentava un'incrinatura in
questa immagine. Non c'erano altri lunari...E poi venne la primavera. Le miniere di cadaveri furono chiuse, i soldati se
ne andarono tutti a combattere i russi...La seconda guerra mondiale in Europa era finita... Non c'era nulla là fuori, non
c'era traffico di alcun genere. C'era solo un veicolo, un carro abbandonato con due cavalli. Il carro era verde e a forma
di bara.
(K. Vonnegut, Mattatoio n.5, Milano, Mondadori 1991)
B4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Alimentazione e cibi transgenici
DOCUMENTI
1) Il cibo transgenico è un alimento proveniente da un organismo geneticamente modificato, più adatto per le esigenze
dell'agricoltura e della zootecnia. In pratica si tratta di animali transgenici e piante transgeniche particolarmente robusti
e produttivi. Notevole è la diffusione nei Paesi industrializzati anglosassoni e in Estremo Oriente: negli USA, in
Canada, in Giappone sono già in vendita la colza, il tabacco, la soia, il mais, il cotone, le patate ed i pomodori
transgenici. L'UE ha autorizzato sinora 16 organismi geneticamente modificati: tabacco, soia e colza resistenti a
erbicidi; mais resistente a erbicidi e insetticidi; radicchio reso più fertile. Gli animali transgenici sono nati da una
cellula uovo fecondata, in cui è stato inserito un gene proveniente da un'altra specie, allo scopo di modificarne le
caratteristiche e far loro sviluppare capacità che non avrebbero mai potuto acquistare spontaneamente. In genere
servono per l'alimentazione umana, per la produzione di farmaci e per i trapianti. Le piante vengono modificate
geneticamente per ottenere una maggiore resistenza all'ambiente o per incrementare la produzione di raccolti del 10%.
(dal sito dell'Associazione pazienti con Disturbi Alimentari, ADA ONLUS, 1999)
2) Quando si utilizzano piante e animali transgenici, che vengono immessi nell'ambiente naturale, il processo è
irreversibile e non controllabile come avviene in ambiente confinato. Il problema riguarda il fatto che ancora non si è
in grado di prevedere che cosa succederà all'ambiente inserendovi piante ed animali transgenici. Lo spettro,
costantemente invocato dalle associazioni ambientaliste, è l'inquinamento genetico con un carattere che intacca gli
equilibri ambientali e che, trasferendosi in direzioni non prevedibili e non volute, può avere effetti sconvenienti. Ne
consegue un rischio per la biodiversità del pianeta, la sua vera ricchezza. La prospettiva, piuttosto inquietante (e al
momento fantascientifica, per la verità) è quella di un pianeta dove tutti sono uguali, clonati, nel quale per una singola
malattia si rischia l'estinzione della specie, in quanto tutti hanno le stesse difese immunitarie.
Oltre ai rischi ambientali potrebbero presentarsi rischi diretti per la salute dell'uomo con il consumo di cibi transgenici.
Per esempio, inserendo nei cibi nuove proteine a cui è possibile reagire con intolleranze e allergie; o ancora potrebbe
accadere che, insieme al gene per il carattere desiderato (per esempio, la resistenza agli insetti), si inserisca anche un
gene marcatore (quello che serve a verificare se la modificazione è andata a buon fine) che potrebbe dare resistenza
agli antibiotici. Infine, il rischio potenziale più inquietante riguarda l'instabilità del patrimonio genetico, aumentando la
ricombinazione, fenomeno per ora riscontrato solo nelle piante.
Dal punto di vista legislativo in Europa è stata sottoscritta una Convenzione che prevede il principio di precauzione, in
base al quale di fronte a un processo tecnologico si stabilisce la necessità di valutare se i rischi connessi sono
prevedibili e, una volta previsti, se è possibile controllare e minimizzare gli eventuali inconvenienti. Questo principio è
oggetto della disputa attualmente in corso; ma esso non è riconosciuto negli USA, che infatti non hanno sottoscritto la
Convenzione sulla Biodiversità del '92. Succede così che dal '96 arrivano sulle nostre sponde soia mista, sia naturale,
sia transgenica e dal '97 anche il mais. Una possibile salvezza risiede nel ricorso all'etichettatura dei cibi transgenici,
ormai diventata legge, un modo per rendere il consumatore informato e in grado di scegliere.
(M. Malagutti, I rischi delle manipolazioni genetiche, 2000)
3) L'introduzione delle nuove colture dovrebbe stare a cuore principalmente ai Paesi in via di sviluppo, perchè esse
resistono in condizioni climatiche sfavorevoli, cioè nelle terre aride, così afferma il professor Claudio Peri,
dell'Università di Milano, uno dei maggiori esperti europei di tecnologia alimentare. E' vero che, tra vent'anni, gli
attuali 750 milioni di esseri umani sottonutriti diventeranno quasi tre miliardi, ma, se i terreni coltivati con sementi
transgeniche, dai tre milioni di ettari del 1996, passeranno, entro il 2000, a 60 milioni di ettari in tutto il mondo, non c'è
dubbio che l'aiuto dell'ingegneria genetica può essere considerato decisivo nella lotta alla fame nel mondo.
“Le biotecnologie rappresentano un'opportunità importante. Tanto più che le applicazioni di cui si parla non pongono
per ora alcun rilevante rischio né alla salute dei consumatori, né all'ambiente”, spiega Peri. Ma un ragionamento del
tipo “finalmente, grazie all'ingegneria genetica cacceremo la carestia dal pianeta”, è troppo semplicistico e anche poco
sincero. “La fame nel mondo” dice “ha ragioni diverse e molto complesse. A dire la verità, se il mondo fosse capace di
darsi un'organizzazione adeguata, la fame potrebbe essere sconfitta anche subito, con le conoscenze e le risorse già
disponibili. Quando si mette a punto una coltura di elevata produttività, le varietà indigene, patrimoni genetici
potenzialmente interessanti, vengono emarginate, e talora si perdono. Ecco una questione che le agenzie mondiali dello
sviluppo, come la FAO, debbono considerare con la dovuta attenzione, prendendo le necessarie contromisure”.
Tra i 75 Paesi che a Cartagena, in Colombia, reclamavano un accordo internazionale sulla biodiversità, la maggioranza
non nascondeva la propria opposizione all'oligopolio dell'agricoltura mondiale, che le biotecnologie stanno creando. I
paesi in via di sviluppo non protestano perchè temono i rischi biologici dell'ingegneria genetica applicata nei campi,
ma si ribellano alle multinazionali che pretendono di brevettare, ritoccandole geneticamente, le piante di mezzo mondo
e di rivenderle – a prezzi di monopolio – alle popolazioni che quelle piante avevano coltivato da tempo immemorabile.
(L. Dell'Aglio, dal sito di “Avvenire”, 2002)
4) Montreal – Ogni Paese avrà il diritto di respingere l'importazione di cibi geneticamente modificati se vi è timore che
possano danneggiare la salute umana o l'ambiente. I Paesi esportatori dovranno fornire informazioni sui prodotti e
segnalare sull'etichetta la presenza di organismi geneticamente modificati. Il protocollo – che riguarda cibi, sementi e
mangimi – avrà lo stesso status dei regolamenti dell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO).
Dopo una nottata di estenuanti discussioni, i delegati dei 131 Paesi partecipanti alla Convenzione sulla biodiversità
delle Nazioni Unite hanno raggiunto l'accordo su un testo di Protocollo della biosicurezza, che è stato annunciato
all'alba dal presidente di turno dei lavori, il ministro colombiano Juan Mayr. Questi ha annunciato che il documento era
stato accettato da tutti i Paesi. “La sua adozione – ha detto – è una vittoria per l'ambiente. Ma non dimentichiamoci che
questo è solo l'inizio. Abbiamo ancora un grande lavoro da svolgere”.
Il Protocollo della biosicurezza contempla una complessa normativa intesa a tutelare l'ambiente dal pericolo di danni
che potrebbero derivare da organismi geneticamente modificati dall'uomo: piante, animali o batteri. Il Protocollo
autorizza un governo a vietare l'importazione qualora ritenga che non esistano prove scientifiche sufficienti a
dimostrarne l'innocuità. E' anche prevista una normativa per il trasporto e l'etichettatura, che impone l'applicazione
della dicitura:”Potrebbe contenere organismi viventi modificati” su tutte le spedizioni di merci geneticamente alterate,
compresi il frumento ed il cotone. (dal sito di “Repubblica”, 29/1/2000).
C. TEMA STORICO
Il XX secolo vede irrompere le masse sulla scena pubblica, le ideologie diventano una forma di fede religiosa che vede
nell’affermazione della tecnologia, derivante dal credo scientista di stampo positivista, lo strumento per raggiungere
l’eden sulla terra, realizzando i principi alla base del credo illuminista. La democrazia, sia pure con tutte le sue
imperfezioni, è considerata la forma di governo ideale per il conseguimento di tali fini. Quali ritieni siano le
prospettive della democrazia all’inizio del XXI secolo?
D. TEMA GENERALE
Alla luce delle tue conoscenze ed esperienze, commenta questa frase: “Per l’uomo, essere libero significa essere
riconosciuto e trattato come tale da un altro uomo, da tutti gli uomini che lo circondano” (Michail Bakunin – 18141876, cit. da H. Arvon, La vita, il pensiero, i testi esemplari di M.B.)