- Latinitas or Europa

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- Latinitas or Europa
PROGETTO COMENIUS
“Latinità o Europa,
dal passato al presente, dal presente al passato”
IL CONCETTO DI ROMANIZZAZIONE, DEFINIZIONE TERRITORIALE
DELLA X REGIO E SVILUPPO DELLA COLONIA CONCORDIESE:
Suddivisione dei settori di approfondimento:
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Il concetto di romanizzazione
La romanizzazione nella decima regio
Une esempio chiave, la città di Concordia
Un soggetto interessante
La romanizzazione come un’antica globalizzazione
Vetrina immagini riguardo il museo nazionale concordiese
• il concetto di romanizzazione
Romanizzare una provincia significava acquisire in quel territorio i tratti caratteristici della
cultura e della civiltà romana, sentita come creatrice e conservatrice di valori universali
della civiltà umana generale. La romanizzazione era un processo lento e graduale esteso
in un impero enorme di migliaia di chilometri e diversi fusi orari, ed a volte sconfinava
anche oltre l’impero, e gli stessi romani non sapevano per buona parte che stava
avvenendo. Ovunque il modello romano iniziava ad essere imitato, realizzando l’augurio
generale che Plinio il Vecchio riassume cosi’: “tante nazioni, una sola patria”.
I tratti caratteristici della romanizzazione dell’impero e della provincie erano questi,
corrispondenti alle caratteristiche principali della “civitas” romana, e gli stessi tratti che
dunque erano riscontrabili in qualsiasi città dell’impero, o anche se fosse stata una città
provinciale:
- in primo luogo la lingua di comunicazione principale era la medesima ovunque: il latino.
Un viaggiatore che girasse per tutto l’impero poteva comunicare in latino con le
popolazioni locali ovunque si trovasse, anzi in molte regioni esterne all’impero il latino era
comunque una delle lingue principali. Strettamente connessa era dunque la scrittura, che
anche se in modo molto minore era praticata ed “esportata” da funzionari e magistrati e
soldati che venivano inviati nella provincie: era insegnata, dove ve ne erano, nelle scuole e
divulgata tramite maestri privati. Alcune famiglie delle provincie locali addirittura
abbandonavano gradualmente i nomi nella propria lingua a favore dei nomi romani (come
mostrano per esempio delle iscrizioni sulle rovine di Dugan, in Tunisia, dove i grandi clan
locali abbandonavano i nomi africani sostituendoli via via con quelli latini).
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- l’ urbanistica di ogni città si uniformava
gradualmente al modello latino, e in ogni città erano
presenti gli edifici o le opere caratteristiche di Roma
e della tipica città romana:
il foro, nucleo dell’attività dei cittadini, piazza centrale
di scambio, commercio, conversazione, luogo dove
venivano proclamati gli editti imperiali o della città,
dove avvenivano affari, processi, elezioni, condanne,
cerimonie civili e religiose, tutta la vita della città: nel
foro si affacciavano inoltre molti edifici religiosi come
i templi, edifici pubblici come la Curia, il Comitium o
la Rostra, e infine molte botteghe e bancarelle.
Il teatro o l’anfiteatro, luogo di intrattenimenti che si diffusero in molte provincie, come i
combattimenti tra gladiatori, o le corse dei carri.
Le terme, con tutta la suddivisione e la nomenclatura latina delle varie parti dell’edificio,
riportata in molte terme di città provinciali.
Tutti edifici questi che svolgevano anche un’importante funzione sociale, dove i cittadini si
riunivano e si rendevano partecipi della vita cittadina.
Infine nell’urbanistica delle provincie si fa avanti la “domus” romana come modello adottato
da molti ceti benestanti dei paesi conquistati.
- la legge ed il diritto dell’impero era la stessa ovunque, ed era quella imposta da Roma,
a cui tutti i cittadini, e non, dovevano sottostare e la quale veniva insegnata in tutte le
scuole imperiali.
- per ciò che riguarda la religione, il culto dei romani non era imposto alle provincie con il
fine di subordinare le religioni locali, ma era proposta come religione nuova a cui aderire,
con il fine di accomunare gli dei di queste ultime con gli dei romani, e l’unica regola da
rispettare era quella di offrire sacrifici all’imperatore, alla gloria di Roma e a tutte le divinità
ufficiali dello stato romano. Sarebbe errato infatti dire che i romani imponessero la loro
religione alle provincie, infatti uno degli aspetti positivi più rilevanti e caratterizzanti della
religione romana era il sottile approccio ai culti ed alle credenze indigene. Tanto che in
molti casi questo approccio comportava nel tempo una sottomissione indiretta e volontaria,
attraverso l’intersecarsi delle divinità indigene con quelle nuove romane.
- l’esercito romano era presente ovunque con
legioni, distretti e molti soldati e mercenari che in
seguito dalle provincie si assoldavano facendo il
soldato come un mestiere: i soldati romani stessi a
volte si stabilivano nelle provincie trovando moglie
straniera e creando nuova forza lavoro nelle
campagne del posto.
- un altro aspetto fondamentale era l’immensa
rete stradale che i romani ampliavano. Non si
trattava delle solite strade polverose dell’epoca ma
di veri e propri larghi camminamenti lastricati (la
parola strada deriva appunto da stratum =
lastricato) che collegavano ogni parte dell’impero.
Nelle immagini qui a lato sono riportate le lastre
rimanenti della via Annia ancora oggi visibili nella
piazza centrale a Concordia, in dislivello rispetto al
terreno di circa cinque metri.
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Durante questi camminamenti, a 30-40 chilometri l’una dall’altra, si potevano trovare le
stationes, dove i corrieri incaricati di portare lettere importanti potevano cambiare i cavalli.
La capillare rete stradale romana estesa a buona parte dell’impero serviva anche per
fornire una divisione reticolare dei campi delle campagne circostanti alle strade, divisione
che accomunava le campagne di tutto l’impero o quasi. Grazie alla rete stradale inoltre i
prodotti alimentari venivano scambiati con più facilità e dunque si potevano riscontrare in
tutto l’impero: per esempio il grano dell’Egitto, il vino della Grecia e delle Gallie o l’olio
d’oliva di Spagna ed Italia si ritrovavano in tutti i mercati di un impero che era come un
grande corpo unico, dove ogni provincia svolgeva una funzione precisa.
- infine in tutte le provincie la moneta adottata era la stessa: tutti gli scambi ed i pagamenti
avvenivano in sesterzi, la moneta ufficiale di Roma, e le varie monete locali, se
esistevano, erano di secondaria importanza: addirittura, come succedeva per i mercanti di
India e Russia, il sesterzo veniva impiegato anche fuori dai confini romani. Attenzione
perché il sesterzo di allora fu molto simile come innovazione all’euro che da pochi anni
circola come unica moneta nella comunità europea.
In genere perciò le popolazioni accettavano di buon grado la dominazione romana in
quanto chi si sottometteva all’impero godeva dei grandi vantaggi citati sopra, quali
l’introduzione della moneta di scambio, la sicurezza della protezione di un forte esercito, la
costruzione di una rete stradale e molte opere pubbliche utili come acquedotti o ponti ed
una costituzione precisa. Soprattutto la grande caratteristica che aveva Roma era
l’accondiscenza a introdurre le popolazioni conquistate nelle strutture del potere (non
come nel colonialismo): dalla periferia dell’impero le elites locali convergevano a Roma
dove diventavano soldati o senatori o magistrati ed in alcuni casi imperatori.
• la romanizzazione nella Decima Regio
La terra veneta fu l’ultima regione a far parte dell’Italia romana propriamente detta: il
“Venetorum angolus”, per usare l’espressione di Livio, si aggiunse al resto della penisola
solo con Cesare, o ancor meglio con Augusto: è noto che Augusto divise l’Italia in undici
territori; “Venetia et Histria” era appunto la decima. Le regiones augustee non avevano
valore amministrativo né giudiziario né militare, ma servivano probabilmente a facilitare le
operazioni di censo. Il territorio veneto divenne quindi la X regio Italica, dopo averne
analizzato la propria funzione nella grande macchina dell’impero, vediamo cos’era la
decima regio.
Plinio, storico romano, la descrive così:
“Sequitur decima regio Italiae, Hadriatico mari adposita, cuius Venetia, fluvius Silis ex
montibus Tarvisanis, oppidum Altinum, flumen Liquentia ex montibus Opiterginis et
portus eodem nomine, colonia Concordia, flumina et portus Reatinum, Tiliaventum
Maius Minusque, Anaxum, quo Varamus defluit, Alsa, Natisaa cum Turro, praefluentes
Aquileiam coloniam XV p. a mari sitam.”
" Segue la decima regione dell’Italia, quella che è posta lungo il mare Adriatico, della quale
fanno parte la Venezia, il fiume Sile che proviene dai monti Trevisani, la città di Altino, il
fiume Livenza che proviene dai monti Opitergini e il porto con lo stesso nome, la colonia di
Concordia Sagittaria, i fiumi e il porto di Rieti, il Tagliamento maggiore e minore, l’Anasso
in cui confluisce il Varano, l’Also, il Natisone con il Turro, che bagnano Aquileia, colonia
collocata a quindici miglia dal mare."
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Nel Veneto in particolare le popolazioni indigene si allearono spontaneamente a Roma
per difendere il proprio territorio dalle continue invasioni celtiche, ed a partire dalla
mobilitazione delle truppe romane nel Veneto durante il periodo che va dal 200ac. Al
180ac. inizia la romanizzazione della regione, accentuata poi con lo sviluppo di una rete
stradale sufficientemente estesa e ramificata ( per le vie principali ricordiamo che nel
148ac. Venne tracciata la via Postumia e nel 132ac. La via Popilia) e la costruzione
successiva di molti centri urbani. Dopo la definitiva concessione della cittadinanza ai
veneti nel 49ac., le città locali cambiarono presto aspetto con la costruzione delle mura in
mattoni e il rifacimento dell’impianto urbanistico. I centri base per le operazioni romane
nell’alto adriatico, la cui saldatura con il resto della penisola avviene soprattutto attraverso
un mirabile reticolo di vie di terra e di mare, furono Altino, Aquileia (prima colonia romana
in Veneto fondata nel 181 ac.), Padova ed Oderzo.
Altino è definita oppidum (cioè era inizialmente solo ed esclusivamente una fortezza) ed
è un importante nodo stradale alle foci del Sile, punto di passaggio della via Annia verso
Aquileia e Grado di partenza della via Claudia Augusta verso i territori danubiani. Non a
caso sulla Tabula Peutingeriana la statio di Altino è indicata con due torri. Va anche
sottolineato il fatto che si tratta di un municipium, non di una colonia.
Ed è noto che mentre le coloniae erano insediamenti con compiti di controllo militare su
un territorio che necessitava di tale funzione, il municipium era l’istituto cui Roma ricorreva
come riconoscimento di un precedente centro autonomo del quale però si fidava. E gli
scavi archeologici hanno messo in luce i resti di una Altino paleoveneta. La città raggiunse
grande sviluppo nella prima età imperiale. Un municipium era anche Padova, Patavium, la
città principale della regione, che poteva vantare in sé la presenza di ben cinquecento
equites, fatto che la rendeva sede della più numerosa borghesia che si trovasse allora in
Italia, eccettuata naturalmente Roma. Aquileia, Cividale, Concordia erano invece delle
coloniae. Mentre però per queste città, soprattutto per Altino ed Aquileia, abbiamo una
ricca documentazione che ne rivela l’importanza durante l’impero romano, sulla Venetia di
cui parla Plinio nel brano sopra citato non possediamo notizie. L’autore della Naturalis
Historia la cita come una località della X regio, che affianca a nomi di città come Altino,
Aquileia, Concordia e a nomi di fiumi o di porti. Ciò farebbe pensare che Plinio con Venetia
intendesse riferirsi ad una realtà territoriale ben circoscritta e ben individuabile all’interno
della X regio stessa. E che altro potrebbe essere questa realtà se non la laguna veneta?
Attraverso Plinio le isole della laguna veneta entrano dunque per la prima volta nella storia
con il loro nome. La Venetia di Plinio costituiva infatti una entità geografica ben
individuabile e non deve essere confusa né con la Venetia (et Histria) augustea, né con
quella che sarebbe stata poi la grande Venetia del basso impero, dalle Alpi all’Adriatico.
Essa era costituita dalle isole lagunari che già allora dovevano essere abitate, e si
configura come il primo nucleo di quella che poi sarebbe diventata la civitas Rivoalti e più
tardi ancora la civitas Veneciarum.
• un esempio chiave, la città di Concordia Sagittaria
Iulia Concordia fu un’importante colonia romana fondata nel 42 a.C. all’incrocio della Via
Annia con la via Postumia; particolarmente fiorente nei primi due secoli dell’Impero, il
nome di sagittaria le fu attribuito alla rilevazione durante gli scavi di una fabbrica di frecce
(sagittae) che era la principale attività della città. Fu particolarmente attiva nei primi due
secoli dell’impero e funse da baluardo, insieme ad Aquileia, del confine orientale dell’Italia
conquistata dai Romani allora. Solo con il susseguirsi delle invasioni longobarde
Concordia iniziò a declinare di splendore verso la sua decadenza.
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Analizziamo in breve la nascita e lo sviluppo della colonia:
Prima della fondazione ufficiale di Concordia come colonia romana, il terreno utile della
regione (cioè solo quello compreso tra il Livenza e il Tagliamento) venne suddiviso tra
veterani delle guerre civili, e il terreno delle risorgive venne diviso in 20 ACTUS di terra
che vennero distribuiti ai coloni dell’Italia centrale. Subito in questa parte di regione, grazie
all’abbondanza di fiumi, argilla e legname, nacquero numerose fabbriche e industrie
laterizie, che grazie allo sbocco sull’adriatico dato grazie ai fiumi profondi, esportavano
questi materiali in tutta Italia. Addirittura venne costruito un porto, il PORTUS REATINUM,
sul luogo dell’odierna Caorle.
L’agro sud venne lasciato in disparte dal popolamento, perché considerato paludoso e
malsano.
A partire dall’anno della sua fondazione, il 42 a.C., invece, e durante il periodo in cui
regnava Ottaviano Augusto, l’agro sud venne recuperato e vi furono costruite abitazioni e
poderi di lusso (tra cui una bellissima villa rustica di un privato nei pressi dell’odierna
Bibione) e prosperò la coltivazione di vigneti. In quel tempo la città comprendeva circa 40
ettari di terreno all’interno della cinta muraria eretta con l’arrivo dei Romani, e contava
15000 – 20000 abitanti tra indigeni, soldati romani stabilizzati e coloni provenienti dal
centro Italia.
La centuriazione del territorio venne completata nel 2 a.C. insieme alla costruzione di
un’altra strada che collegava la colonia a Norico, in Austria, ricca di miniere di ferro, in
modo da agevolare i commerci e i traffici delle fabbriche di armi.
Resti della centuriazione romana della nostra zona si possono ancora vedere oggi dalle
nostre parti (soprattutto a Zelarino o Spinea o Zeanigo), anzi, costituiscono l’ossatura
fondamentale di tutte le strade e della divisione dei campi nelle campagne italiane. Nel 3°
secolo d.C. la città cambiò radicalmente con la costruzione delle terme pubbliche e di
quelle private, ciò perché Concordia iniziava a diventare una cittadina dove sostavano o
permanevano molte legioni romane, composte di cittadini romani che avevano permeato
Concordia ormai completamente con i loro usi, costumi, festività ed edifici.
Nel 4° secolo d.C., con la riforma di Diocleziano, che prevedeva per la Decima Regio la
costruzione di più fabbriche statali militari, venne edificata in Concordia la famosa fabbrica
di frecce che negli scavi archeologici odierni le donò l’appellativo di “sagittaria”. In questo
periodo inoltre la città divenne sede stabile di ben 22 reparti dell’esercito imperiale romano
volto a fronteggiare le invasioni longobarde al confine alpino-orientale. Con l’arrivo dei
soldati in Concordia (ogni legione contava 1000 uomini e 500 SCHOLAE, le guardie
palatine), il centro urbano ebbe una grande crescita demografica e un grande benessere
economico, dovuto ai fiorenti commerci, che comportò la costruzione di numeroso templi,
edifici religiosi e opere pubbliche.
Alcune impronte della civiltà romana in Concordia sono ancora oggi visibili: rovine
riguardanti case romane o le terme private (nelle foto, terme private, di cui resta il
calidarium absidato, visitabili su richiesta sotto la banca Friuladria in via !° maggio a
Concordia), il ponte (costruito in epoca augustea e restaurato in epoca giulio-claudia,
originariamente il monumento era a tre arcate ma ora ne resta una, la centrale e più
ampia, il ponte era costituito in blocchi squadrati di trachite senza legante e si collocava
all’entrata occidentale al centro urbano), il teatro, molte, i pozzi romani (in Via dei Pozzi
romani sono visibili i resti della Domus dei Signini per la presenza di tre pavimenti in
battuto a fondo bianco con tessere sparse ed emblema centrale in mosaico a motivi
geometrici, che risalgono all’epoca di costruzione della casa, cioè la fine del primo secolo
dopo Cristo), le mura (resti di un tratto della cinta muraria costruita in epoca augustea, la
quale cingeva, con profilo irregolarmente esagonale, la città; di solido conglomerato
cementizio rivestito di mattoni sesquipedali, esse poggiano su delle palafitte), un grande
sepolcreto sulla sinistra del Lemene (di circa 260 sarcofagi originari, di cui i resti si
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trovano a Portogruaro oggigiorno), le terme della città (come illustrano le immagini, in via
delle terme a Concordia, in parte visibili dall’esterno e in parte protette sotto coperture del
museo nazionale Concordiense, dove si ritrovano resti del calidarium e del tepidarium, che
sovrabbondano di pavimentazioni a mosaico come quella nella sesta immagine) e infine il
foro situato al centro delle due vie principali romane, il cardine ed il decumano.. Tutti
questi sono segni a noi noti, mentre incerta resta l’esistenza reale o no della fabbrica di
frecce da cui prende il nome la città.
• un soggetto interessante
Uno dei reperti più significativi e che destano maggiori sospetti di tutto il repertorio del
museo nazionale Concordiense è la scultura di questo volto maschile (figura nella pagina
seguente, foto C Mella, M. Torresin della soprintendenza archeologica veneta), cosi’ come
tante altre che sono state ritrovate nel territorio circostante.
Tra tutte però questa è forse una delle pochissime che possono essere datate alla prima
romanizzazione, mentre prima invece la critica la attribuiva al secondo secolo dopo Cristo.
Questo sbaglio è dovuto al fatto che nella testa vi è la presenza (da parte di uno scultore
veramente abile, in quanto le forme sono asciutte e molto realistiche) di una forte volontà
ritrattistica che porrebbero l’opera al secondo secolo dopo Cristo. In realtà questa
caratteristica molto recentemente è stata attribuita a tutti gli scultori della prima
romanizzazione di Concordia, e non dell’età avanzata della colonia.
La testa è infatti priva di ogni volontà descrittiva del personaggio, il quale si riconosce
forse solamente dallo sguardo serio orientato verso il basso e dalla sottile linea labiale, è
lontana dal naturalismo che i romani copiarono dai greci dal primo secolo dopo Cristo in
poi: è databile invece al secondo secolo A.C., e se cosi’ realmente è, si tratta di una delle
prime testimonianze romane dell’insediamento delle famiglie dei primi coloni,
perlopiù soldati. Si parla di soldati, una classe piuttosto agiata e soprattutto composta di
uomini con la cittadinanza romana, in quanto il diritto allo ius imaginum (il diritto ad avere
un’immagine scolpita del defunto) era concesso solo a famiglie dallo status sociale
veramente alto.
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Il volto scolpito costituisce perciò una delle prime attestazioni dell’uso del ritratto nella
storia di tutta Concordia, ricorrenza che è stata introdotta regolarmente solo con l’arrivo
delle elites romane. Non si sa se il ritratto fosse funerario o privato, ciò che è certo è che
resta un’opera incredibilmente antica per la storia di Concordia: la massa indistinta del
volto (di chiara forma cubica), la fronte squadrata, l’ampia stempiatura, l’indistinta
accentuazione degli zigomi, il pesante mento e l’attaccatura al collo tozza e cilindrica sono
tutti elementi caratteristici delle statue della prima romanizzazione di Concordia.
• la romanizzazione come la globalizzazione antica
Nel mondo antico si è verificato un processo di unificazione simile per tanti aspetti alla
globalizzazione odierna, ma per altri aspetti diversa: questo è la romanizzazione.
E’ necessario però fornire prima una definizione di globalizzazione almeno per i suoi tratti
fondamentali. Il termine, comparso per primo in Inghilterra nel secondo dopoguerra, veniva
definito come «l'atto di rendere qualcosa globale in estensione o in applicazione». Oggi il
concetto è notevolmente cambiato: la globalizzazione moderna è il fenomeno per cui
mercati, culture, abitudini, costumi e pensiero di diverse nazioni diventano sempre
più dipendenti e collegati tra loro fino al raggiungimento di un unico modello
stereotipato e generale. Ora è quello del paese avanzato e sviluppato come possono
essere Francia, America, Germania, Spagna, Italia, ecc.; una volta era per molti aspetti il
modello romano.
Presentiamo per primi gli aspetti comuni ai due processi, romanizzazione e
globalizzazione. Ecco i motivi che ci autorizzerebbero ad assimilare i due processi:
1. L'inglese, attualmente parlato da oltre un quinto della popolazione mondiale, è un
elemento essenziale della nuova cultura globale. Analogamente, il latino, duemila
anni fa, assieme al greco, era la lingua più parlata nel bacino mediterraneo. Il latino
era la lingua dei dominatori e dell'amministrazione, quella che pian piano soppiantò
le parlate di altri popoli (accogliendone, tuttavia, alcuni termini).
Sul latino, inoltre, si basava buona parte del frasario della cosiddetta "lingua
franca", quel linguaggio ibrido adoperato dai mercanti e dai marinai del mondo
classico.
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2. Come internet e gli altri mass media e i vari mezzi di comunicazione e di
trasporto hanno reso il nostro pianeta un villaggio globale, funzione simile ebbero il
Mediterraneo e le strade, cui i romani profusero parecchie risorse per la loro
costruzione e manutenzione. La rete stradale e le rotte marittime furono a lungo il
tessuto connettivo dello Stato romano. «L'aspetto più pesante e brutale dell'impero
romano appare nello sforzo costante che doveva fare per mantenersi unito. Soldati,
amministratori, corrieri, e i rifornimenti a loro necessari, dovevano essere
continuamente in movimento da provincia a provincia. Visto dagli imperatori nel
200, il mondo romano era diventato una rete di strade, intercalata dalle stazioni di
posta dove ogni piccola comunità doveva raccogliere tributi sempre maggiori di
alimenti, abiti, animali e mano d'opera per soddisfare le necessità della corte e
dell'esercito». (P. Brown, Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto,
Torino, Einaudi, 1974, p. 11)
3. Oggi come allora si assiste alla scomparsa di culture "altre" rispetto a quelle più
forti e portatrici di determinati valori. Se per Roma il mezzo per romanizzare il suo
impero era la conquista militare, la deduzione di colonie e di diritto romano e latino,
la deportazione di popolazioni, la costruzione di strade, lo stesso esercito, il sistema
scolastico pubblico (particolarmente funzionante nell'alto impero), la società
moderna si avvale dei mass media e delle politiche di mercato.
4. La nuova cultura globale è in generale un variegato cocktail di culture e
tradizioni, in cui vengono a fondersi elementi e contaminazioni provenienti da
culture percepite come "esotiche". È vero che per la romanità il maggior referente fu
la cultura ellenistica, ma come dimenticare alcuni indumenti di origine celtica
penetrati nella moda romana? Allo stesso modo vediamo fiorire, ad esempio, la
diffusione del mehndi, dell'arte del tatuaggio indiano realizzato con una pasta
ricavata dalle foglie di henné.
Passiamo invece ad analizzare gli aspetti divergenti dei due fenomeni: cosa ci autorizza
a porre una forte distanza tra il fenomeno di globalizzazione e quello di romanizzazione:
1. La cultura e la lingua latina non riuscirono a soppiantare del tutto il prestigio
della cultura ellenistica e della lingua greca. Roma nel bacino orientale del
Mediterraneo non riuscì a sostituire la koinè ellenistica, anzi fin dall'inizio della sua
storia si trovò invischiata in essa. In questo modo in Oriente il greco fece da tramite
tra il dominatore romano e le popolazioni, anche con quelle non ellenizzate. Alla
lunga, questo stato di cose si sarebbe rivelato nella sua gravità.
2. La romanizzazione lasciava comunque
una netta differenza tra usi e costumi di
provincie diverse (immagine a lato: moda
centro-romana e moda dei veneti preromani
al tempo)
Un ipotetico viaggiatore che
attraversasse provincia per provincia l’impero,
al varcare di ogni confine riscontrava
comunque popoli profondamente diversi, a
volte differenziazione di pesi e misure,
addirittura
della
moneta,
anche
se
teoricamente il sesterzo doveva essere la
moneta primaria ovunque, o comunque
diversità di pensiero, religione, usanze e costumi. La romanizzazione attuava una
omologazione parziale di civiltà.
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Dunque la differenza tra romanizzazione e globalizzazione è presto spiegata:
il processo della globalizzazione moderna in riassunto adotta una sorta di “logica del
controllo” a tutti i livelli della vita di un essere umano, nel comportamento nei vari luoghi,
nel modo di affrontare i problemi, nella necessità di fornirsi di strumenti magari secondari
ma stereotipati di casa in casa come possono essere la televisione o la radio o il computer
o internet, nel tipo di vestiario, condizionato dall’evolversi della moda, in ogni aspetto della
giornata. Tende in generale ad un’omologazione di comportamenti, eliminando quelli
considerati dal pensiero comune inadatti.
Nel processo di romanizzazione invece questo controllo era decisamente limitato a solo
alcuni aspetti della vita dei popoli conquistati: era un impero unico di nome, ma in realtà la
caratterizzazione delle varie nazioni e della vita dei loro popoli era molto più accentuata
rispetto ai diversi stati che ci sono ora, di cui però i cittadini sembrano un unico modello di
persona molto più stereotipato.
• vetrina immagini riguardo il museo nazionale concordiese
Vi proponiamo ora un piccolo campionario di immagini che presentano alcuni oggetti di
uso quotidiano per il tipico cittadino concordiese del tempo, che potrete trovare negli
interni del museo nazionale concordiese:
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Bibliografia:
- www. globalizzazione2000.it
-
-
www. Regioneveneto / storia.it
http: // spazio.in.wind / libero.it / popoli antichi…
Giovanni Caselli, “le grandi civiltà del mondo antico”, Giunti ed.
Plinio il vecchio, Naturalis Historia
A cura di:
Martino Rossi,
Brosadola Alvise,
Di Palma Luca,
Nazzari Filippo,
Colombo Andrea,
Fiorese Alessandro.
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