La proposta di legge sul cyberbullismo

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La proposta di legge sul cyberbullismo
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La proposta di legge sul cyberbullismo: la censura
corre sul web
Roberto Acquaroli
Sommario : 1. Premessa. – 2. Uno sguardo al testo. – 3. Hate speech, satira e libertà di opinione. – 4. Il
ruolo del Garante. – 5. Una nuova circostanza.
1. Premessa.
È all’esame del Senato il progetto di legge volto ad introdurre norme di contrasto ai
fenomeni del bullismo e del cyberbullismo1. Si tratta di un testo normativo che, a dispetto
della sua brevità (appena otto articoli, nella versione licenziata dalla Camera), apre la porta a nuove forme censorie, rafforzate da un inedito modello sanzionatorio, formalmente
extrapenale, ma in grado di incidere in maniera rilevante sulla libertà di opinione, in nome
della lotta ai discorsi di odio che trovano cittadinanza e diffusione sul web.
Ad alimentare l’allarme sociale per questa modalità comunicativa, l’eco ripetuta di
episodi, caratterizzati dalla pubblicazione online di immagini e filmati relativi alla sfera
privata di persone inconsapevoli o, comunque, non consenzienti all’uso dell’immagine
stessa; oppure il ricorso sui social a espressioni improntate al dileggio, a sfondo sessuale
o razziale, con conseguenti esiti drammatici per la vita dei destinatari. Vicende amplificate da campagne massmediatiche (il fattore M2) cui il legislatore si mostra sempre
più sensibile, lasciandosi convincere dell’inadeguatezza degli strumenti di prevenzione
e controllo già esistenti3 e della necessità di nuove misure in grado di neutralizzare il
cyberbullo.
1
Disegno di legge n. 3139 A.C., “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”, trasmesso al Senato in data 22.9.2016 (1261-B).
2
Secondo M. Calise, La democrazia del leader, Bari, 2016, 56 e ss., i media (il fattore M) sono uno degli elementi scatenanti la crisi
degli equilibri tra i poteri costituzionali.
3
Significative, al riguardo, le affermazioni dell’on. Buttiglione durante la discussione del progetto di legge: “Ma avete letto che una
ragazza si è suicidata perché oggetto di persecuzione drammatica attraverso Internet? Aveva trentuno anni, si chiamava T. e aveva
trentuno anni. Non merita protezione? Si dice: ma la legge già offre strumenti di protezione. T. ha usufruito di tutti gli strumenti di
protezione che la legge le dava; evidentemente, non è bastato” (discussione Camera dei Deputati progetto di legge A.C. 3139-A,
20.9.2016).
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2. Uno sguardo al testo.
La proposta di legge, nel testo approvato alla Camera, si rivolge ad una platea più
ampia, proponendosi di contrastare non solo il cyberbullismo ma anche il bullismo tout
court, identificato come una deriva patologica delle relazioni adolescenziali, soprattutto in
ambito scolastico. Il testo, per la verità, nell’incipit appare rassicurante e poco propenso
ad una prospettiva di tipo repressivo. Al comma 1 dell’articolo 1 il legislatore si ripromette
di privilegiare azioni di carattere formativo ed educativo rivolte “anche agli infraventunenni” (sic!) che frequentano le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, con un
impegno economico, per la verità, assai contenuto.
Ma già il comma 2 dell’articolo suscita le prime riserve. Esso si incarica di definire la
figura del “bullo”, con un linguaggio a cavallo tra la descrizione di tipo sociologico e
una più tradizionale fattispecie di impronta penale. La condotta tratteggiata consiste nell’
“aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di
persone, a danno di una o più vittime”. Il legislatore prevede la reiterazione delle condotte descritte, rivelando l’affinità del tipo d’autore con quella dello stalker (art. 612 bis c.p,
reato abituale a reiterazione necessaria); prossimità che, vedremo, si disvela in maniera
inequivocabile nell’ultima norma del progetto di legge, contenente l’immancabile cadeau
penalistico.
Il legislatore ha, inoltre, inserito un ulteriore elemento, finalizzato ad ancorare la
condotta ad una dimensione concretamente offensiva. Così, non qualsiasi “aggressione
o molestia reiterate” è in grado di configurare il comportamento da bullo, ma solamente
quelle “idonee a provocare… sentimenti (corsivo nostro) di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione”. Infine, l’aggressione (o la molestia) deve avvenire secondo
una serie di modalità alternative, tra cui si rinvengono condotte penalmente rilevanti,
(pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese), accanto ad altre, di incerta determinazione (comportamenti
vessatori, derisioni). Rileva, ai fini dell’identificazione della figura del bullo, l’elemento
motivazionale, l’essere cioè tali comportamenti “determinati da ragioni di lingua, etnia,
religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e
sociali della vittima”. Si evocano, in tal modo, i recenti interventi di contrasto a condotte
discriminatorie, riconducibili alla tutela del bene giuridico dell’ordine pubblico, secondo
un filo rosso che dalla legge Reale (legge n. 152/1975), giunge fino alla legge n.85/2006,
passando per la legge Mancino (legge n. 122/1993). Iniziano, così, ad intravedersi (sopratutto nel richiamo alle condotte consistenti in offese o derisioni) i segni di un inequivocabile scivolamento verso la repressione di condotte sostanzialmente riconducibili a
reati d’opinione, categoria di cui, periodicamente, si ripropone l’ampliamento, nonostan-
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te l’evidente contrasto con l’art. 21 Cost., e le consolidate4 e rinnovate5 posizioni critiche.
Il rischio di introdurre norme sostanzialmente censorie rispetto alla libertà di opinione
si manifesta, in maniera evidente, quando l’attenzione si sposta sul tema centrale della
proposta di legge. Il comma 3 dell’art.1 definisce il cyberbullismo, cioè quelle condotte
ritenute vessatorie ed offensive che viaggiano nel web, trasformandolo in una sorta di
“gogna telematica”, in cui si esibiscono immagini e filmati relativi a momenti della vita
privata; oppure si aggrediscono, con espressioni e linguaggi particolarmente aggressivi, le
vittime designate. La traduzione legislativa del fenomeno, tuttavia, avviene con la tecnica
del rinvio integrale al comma 2 (“con il termine cyberbullismo si intende qualunque comportamento o atto rientrante tra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo
di istrumenti telematici ed informatici”). Occorre, dunque, procedere ad una necessaria
operazione di cernita.
Va da sé che il rinvio al comma precedente, contenente la poliforme descrizione delle
condotte riconducibili al bullismo, va depurato da tutte le condotte materiali, (es. furto e
danneggiamento, violenza fisica) non riproducibili online. Residuano le condotte riconducili ad offese, minacce, derisioni e violenze psicologiche che appaiono compatibili con la
comunicazione web. Condotte che devono risultare connotate da quella idoneità a provocare quei sentimenti (di ansia, isolamento ecc.) descritti al primo comma.
Il cyberbullismo ripropone il tema della legittimità dei limiti alla libertà di pensiero, innanzitutto per quanto riguarda i cd. discorsi d’odio. Si tratta di una categoria difficilmente
delimitabile, per la varietà delle espressioni linguistiche utilizzate, che vanno dalle etichette denigratorie agli scherzi di odio, agli insulti, alle tradizionali ipotesi dei delitti contro
l’onore. Sono riconducibili ai discorsi d’odio anche le strategie argomentative cui l’autore
fa ricorso per mascherare una discriminazione: dalla banalizzazione, alle dubbie equiparazioni, al negazionismo6. Elemento caratterizzante è l’intenzione di aggredire la dignità
della vittima7. Tuttavia, una simile connotazione non aiuta a tracciare una linea di confine
sufficientemente netta con il diritto di critica o, ancora, la satira, per sua natura corrosiva
ed irrispettosa, dissacrante rispetto al comune sentire, destinata – diremmo istituzionalmente – a generare fastidio e sofferenza nei confronti di colui cui è rivolta, soprattutto se
4
Fondamentale resta, sull’argomento, la riflessione di C. Fiore, I reati di opinione, Padova, 1972. Sull’attuale stato del conflitto tra
libertà di espressione e reati di opinione si rinvia a: La criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti, Atti del IV Convegno
Nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (Genova 13/14 novembre 2015), in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2016,
859 ss.
5
Sul tema, segnala i pericoli sottesi alla repressione dei cd. discorsi d’odio A. Pugiotto, Le parole sono pietre, in www.penalecontemporaneo.it.
6
A. Pugiotto, Le parole sono pietre?, cit., 5
7
A.Tesauro, La propaganda razzista tra tutela della dignità umana e danno ad altri, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 961 ss.
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3. Hate speech, satira e libertà di opinione.
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quest’ultimo ricopre una posizione politica o è al centro del dibattito pubblico. A titolo di
esempio: è un discorso d’odio quello di chi, di fronte a vicende drammatiche, fa ricorso
ad espressioni derisorie, “politicamente scorrette” o a circostanze storiche non condivise
dalla comunità scientifica, ma comunque frutto di una attività di ricerca? Per quali ragioni, in questi casi, non dovrebbe valere l’ombrello rappresentato dall’art. 33 Cost, oltre
che la libertà di espressione?8 Rientra nella categoria delle immagini destinate a creare
sentimenti di ansia nelle vittime degli eventi sismici che hanno colpito il centro Italia, la
recente vignetta pubblicata dal giornale satirico Charlie Hebdo che ironizza su quei tragici
avvenimenti? È evidente che la risposta a tali interrogativi passa, necessariamente, per la
soluzione che si intende offrire all’irrimediabile contrasto tra i reati di opinione, volti a
reprimere giudizi di valore, espressi anche in maniera sgradevole o aggressiva, e la libertà
di manifestazione del pensiero, fondata sull’art. 21 Cost., una delle colonne portanti della
democrazia liberale. Secondo la proposta di legge in esame, la decisione sulla accettabilità/liceità del contenuto della comunicazione, andrebbe rimessa ad una decisione di chi
è considerato destinatario/vittima del cyberbullo; dimenticando che, spesso, la comunicazione online, al pari delle più tradizionali mezzi di informazione, si rivolge a soggetti o
poteri tutt’altro che deboli, che mal sopportano il dissenso; ma, soprattutto, che la stessa
libertà di opinione contribuisce alla piena espressione della dignità umana di colui che la
esercita.
In realtà, anche in questa proposta di legge sembra prevalere, ancora una volta, una
(ingiustificata) fiducia nella funzione educativa e comunque di promozione culturale dei
meccanismi disciplinari e sanzionatori. Il legislatore opta, così, per la compressione della
garanzia costituzionale, dimenticando che la libertà di espressione è per sua natura individualistica, e prescinde da qualsiasi finalità, positiva o negativa, che possa derivare dal
suo esercizio, sia esso la negazione di un fatto, storicamente accaduto e verificabile, sia
l’affermazione di un pregiudizio, altrettanto razionalmente infondato9. Dunque, se si vuol
essere fedeli al principio dell’art. 21 Cost., dovremmo giungere alla conclusione che, per
quanto riprovevole, non può essere represso penalmente un ragionamento, un’affermazione o un’invettiva, dettati magari da pregiudizi razziali o dal più becero sessismo. La
storia legislativa recente si è incaricata di smentire questa conclusione, con la sostanziale
conservazione dei reati di opinione, fino all’introduzione dell’aggravante del negazionismo, facendo leva sull’idoneità offensiva della condotta10 rispetto al bene giuridico or-
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Sul punto, E. Fronza, Criminalizzazione del dissenso o tutela del consenso. Profili critici del negazionismo come reato, in Riv. it. dir.
proc. pen., 20161016 ss.
9
A. Pugiotto, Le parole sono pietre? cit., p. 14.
10
Art. 1 l. 115/2016: “All’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente: «3-bis. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in
modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio,
dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale,
ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232».
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dine pubblico. Nel caso del cyberbullismo, la violazione del principio di offensività e la
compressione della libertà di pensiero sono giustificati, apparentemente, dalla necessità
di tutelare l’integrità psicofisica della vittima, poiché la condotta da censurare richiede la
problematica valutazione degli effetti che il discorso d’odio provoca sui sentimenti della
vittima. Ciò tuttavia, non mette al riparo il gestore del web dal rischio di una ingiustificabile
censura. Infatti, tanto più l’argomentazione sarà penetrante e persuasiva, tanto maggiore
sarà il grado di sofferenza inflitto ai sentimenti del destinatario: solamente i discorsi innocui ed orientati al “sentire comune” potranno trovare spazio sul web.
Nell’economia della proposta di legge il ruolo della vittima riveste, in effetti, un ruolo
decisivo, soprattutto per quanto riguarda l’attivazione di un inedito meccanismo sanzionatorio. L’art. 2 prevede un doppio livello di intervento censorio. Il primo, già consolidato nella prassi, consente al destinatario delle espressioni o dei contenuti di rivolgere “al
gestore del sito internet o del social media, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione, il
blocco dei contenuti specifici rientranti nelle condotte di cyberbullismo”. In caso di inerzia del gestore, il rimedio è stato, finora, il ricorso all’Autorità giudiziaria. La proposta di
legge apre ad una diversa prospettiva. Il comma 2 prevede, infatti, che “qualora entro le
ventiquattro ore successive al ricevimento dell’istanza… il soggetto responsabile non abbia comunicato di aver assunto l’incarico di provvedere all’oscuramento, alla rimozione o
al blocco richiesto ed entro ventiquattro ore non vi abbia provveduto… l’interessato può
rivolgere analoga richiesta… al garante per la protezione dei dati personali il quale entro
quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi degli artt. 143 e 144 del
d.lgs. 196/2003”11.
Il progetto di legge trasforma, dunque, la natura ed il ruolo del Garante della privacy. In
linea con le tendenze del momento, (Anticorruzione docet), l’Autorità indipendente diventa un organismo di prevenzione e repressione di condotte considerate pericolose, secondo
11
Art. 143.(Procedimento per i reclami) - 1. Esaurita l’istruttoria preliminare, se il reclamo non è manifestamente infondato e sussistono
i presupposti per adottare un provvedimento, il Garante, anche prima della definizione del procedimento:
a) prima di prescrivere le misure di cui alla lettera b), ovvero il divieto o il blocco ai sensi della lettera c), può invitare il titolare,
anche in contraddittorio con l’interessato, ad effettuare il blocco spontaneamente;
b) prescrive al titolare le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti;
c) dispone il blocco o vieta, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto anche per effetto della mancata adozione delle misure necessarie di cui alla lettera b), oppure quando, in considerazione della natura dei dati o, comunque, delle modalità
del trattamento o degli effetti che esso può determinare, vi è il concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante per uno o
più interessati;
d) può vietare in tutto o in parte il trattamento dei dati relativi a singoli soggetti o a categorie di soggetti che si pone in contrasto con
rilevanti interessi della collettività.
2. I provvedimenti di cui al comma 1 sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana se i relativi destinatari non
sono facilmente identificabili per il numero o per la complessità degli accertamenti.
Art. 144. (Segnalazioni) - 1. I provvedimenti di cui all’art. 143 possono essere adottati anche a seguito delle segnalazioni di cui all’art.
141, comma 1, lettera b), se è avviata un’istruttoria preliminare e anche prima della definizione del procedimento.
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4. Il ruolo del Garante.
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il classico schema indiziario delle misure di prevenzione:. Non vi è, cioè, l’accertamento
della responsabilità (penale o amministrativa) per il fatto; piuttosto, una valutazione sommaria di alcuni elementi indiziari, rimessa ad un organo amministrativo. L’Autorità opera,
infatti, al di fuori di qualsiasi garanzia di un effettivo diritto di difesa per il gestore del sito
web in cui è stata pubblicata l’espressione o l’immagine incriminata, senza bisogno di alcun previo accertamento processuale. Con un’espressione oggi di moda, si rottama qualsiasi lungaggine procedurale e ogni parvenza di garanzia, sinonimi ormai di inefficienza e
di inadeguatezza di fronte all’urgenza di offrire una risposta efficace. La prescrizione viene
impartita nel giro di poche ore: lo esige la natura stessa della rete, oltre che l’esigenza di
contrastare efficacemente il caso mediatico. Durante il breve lasso di tempo previsto dalla
norma, il Garante dovrà valutare l’idoneità offensiva della condotta e la sussistenza delle
ragioni previste dall’art. 1 che hanno spinto il cyberbullo all’inserimento del messaggio o
dell’immagine incriminata ed ordinarne l’oscuramento al gestore del sito stesso.
Un simile meccanismo, mentre trasformerà il Garante nel destinatario di un numero
probabilmente assai elevato di segnalazioni12, alimenterà l’autocensura da parte dei titolari
di blog e pagine web. Infatti, il vero punto dolente della proposta di legge si nasconde nel
sistema sanzionatorio previsto dal d.lgs. n. 96 del 2003. Nel caso di inadempimento dell’ordine di oscuramento dell’espressione o dell’immagine ritenuta idonea a ledere i sentimenti
della vittima, è prevista l’inflizione di una sanzione fino ad euro 180.000 per il titolare del
sito telematico inadempiente (art. 162 comma 2 ter del d.lgs. n. 196 del 2003).
La prospettazione di una sanzione economica così elevata, eserciterà una funzione di
deterrenza quasi terroristica, soprattutto nei confronti di blogger e gestori di siti telematici
di piccole dimensioni. È di palese evidenza che, ancor prima di sottostare alle valutazioni
(per forza di cose affrettate) di un Garante trasformato dalla legge in occhiuto arbitro della
rete, chi pensa di mettere online scritti dal contenuto polemico o aggressivo se ne asterrà,
per il timore di dover poi tornare sui suoi passi, aderendo alla prescrizione del Garante; o,
qualora ritenga di disattendere la prescrizione impartita, di esporsi al rischio di una pena
patrimoniale la cui misura è, forse, la migliore garanzia per indurre il cybernauta ad un
prudente silenzio.
8. Una nuova circostanza.
In cauda venenum: la proposta di legge era giunta all’esame della Camera priva (caso
più unico che raro) di qualsiasi previsione di natura penale. L’Assemblea, in nome di un
diritto penale pervasivo, ha prontamente provveduto a colmare il vuoto, modificando il
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Significative, al riguardo, le parole dell’on. Capezzone durante la discussione in Assemblea: “Cosa accadrà? Migliaia, decine di migliaia
di segnalazioni, che arriveranno sul tavolo del garante, un collo di bottiglia, un imbuto: fatalmente situazioni simili saranno trattate in
modo diverso, fatalmente ogni decisione del Garante innescherà un pazzesco dibattito in rete, perché si, perché no” (A.C., 20.9.2016,
p.45).
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Art. 8: « …b) dopo il secondo comma è inserito il seguente: “La pena è della reclusione da uno a sei anni se il fatto di cui al primo
comma è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La stessa pena si applica se il fatto di cui al primo comma è commesso utilizzando tali strumenti mediante la sostituzione della propria all’altrui persona e l’invio di messaggi o la divulgazione di
testi o immagini, ovvero mediante la diffusione di dati sensibili, immagini o informazioni private, carpiti attraverso artifici, raggiri o
minacce o comunque detenuti, o ancora mediante la realizzazione o divulgazione di documenti contenenti la registrazione di fatti di
violenza e di minaccia».
dal parlamento / al parlamento
secondo comma dell’art. 612 bis c.p. ed aggiungendone uno di nuovo conio, che trasforma
in circostanza ad effetto speciale, con l’autonoma previsione della pena da uno a sei anni,
la commissione del delitto attraverso strumenti informatici o telematici; integrando tale
previsione con una ulteriore specificazione, costituita da alcune modalità di utilizzazione
dello strumento informatico o telematico13. La circostanza, in particolare, l’espressa criminalizzazione della condotta di chi diffonde “dati sensibili immagini o informazioni private,
carpiti attraverso artifici o raggiri o minacce o comunque detenuti, o ancora mediante la
realizzazione o divulgazione di documenti contenenti la registrazione di fatti di violenza
e di minaccia”.
La previsione di una apposita circostanza consente al legislatore di recuperare una
serie di condotte inserite nella definizione originaria di cyberbullismo e poi rimosse; ma,
soprattutto, formalizza la responsabilità – questa volta – penale del cyberbullo (che resta,
invece, estraneo al meccanismo sanzionatorio previsto per il gestore del sito web, descritto nell’art.2 della proposta di legge, qualora non sia anche l’autore del documento o
dell’espressione oggetto dell’istanza) per condotte che, a tutti gli effetti, costituiscono una
limitazione della libertà di comunicazione e di espressione. Infine, lo stesso gestore del
sito web rischia di rispondere, in qualità di concorrente, dello stesso delitto nella forma
aggravata, una volta raggiunto dall’istanza di oscuramento della (presunta) vittima e decidesse di rimanere inerte.
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