La vicenda del Gattopardo è ambientata in Sicilia e prende avvio nel

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La vicenda del Gattopardo è ambientata in Sicilia e prende avvio nel
La vicenda del Gattopardo è ambientata in Sicilia e prende avvio nel 1860, nel
momento del collasso del Regno dei Borboni. Don Fabrizio, principe di Salina
e proprietario terriero di una tenuta vicino Palermo1, è il classico
rappresentante della ceto aristocratico, ovvero di quella classe sociale che sta
assistendo impassibile al proprio inesorabile declino. La vicenda si apre
infatti nel maggio di quell’anno, durante la spedizione dei Mille: il principe
Salina saluta con scetticismo e malcelato disprezzo l’arrivo delle truppe di
Garibaldi, che consegneranno il potere ai Savoia e che segnano la fine di
un’epoca e la rapida ascesa della classe borghese. Se Don Fabrizio
contempla con disincanto questo passaggi storico, suo nipote, Tancredi
Falconeri, esponente di una gioventù più dinamica e cinica al tempo stesso,
si arruola volontario tra le fila dell’esercito sabaudo. Quando lo zio esprime
delle riserve in merito, Tancredi risponde con la celebre frase:
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
Questo motto - emblema del trasformismo politico e appunto dell’abitudine
gattopardesca della classe politica - spiega da subito che, di fronte al
cambiamento epocale che sta per avvenire, Tancredi incarna l’abilità della
vecchia classe dirigente nel conservare i propri privilegi, sfruttando le nuove
opportunità della modernità. Se infatti Don Fabrizio (intellettuale colto ed
appassionato di astronomia) può solo rammaricarsi della scalata sociale dei
borghesi, che egli considera alla stregua di parvenus, Tancredi si innamora
della bellissima Angelica, figlia di Don Calogero Sedara, un mezzadro
rapidamente arricchitosi e divenuto sindaco di Donnafugata, residenza estiva
dei Salina. Qui la scena si sposta nel mese di agosto, quando, benché Don
Calogero sfoggi già la fascia tricolore, Don Fabrizio si illude dell’immutabilità
della Storia. A smuovere queste sue convinzioni arriva la passione amorosa tra
i due giovane. Questo legame, pur fondato su una bruciante passione, è anche
funzionale alla conservazione del potere dei Salina: Tancredi (che non dispone
di grandi beni personali) troverà nelle ricchezze della famiglia Sedara un ottimo
strumento per coltivare le proprie ambizioni politiche. Simbolicamente, la
loro unione segna il tramonto dei Salina: Concetta, figlia di Don Fabrizio ed
innamorata di Tancredi, vedrà deluse tutte le proprie aspettative. In effetti,
Tancredi ed Angelica si assomigliano molto: sono giovani e belli, esponenti
rampanti di una nuova società in cui passione e calcolo si sposano alla
perfezione.
Emblematica la scena in cui Don Fabrizio, assecondando i desideri del nipote,
chiede per lui in sposa Angelica: il discorso di Don Calogero Sedara, aprendosi
con un iniziale elogio della potenza dell’amore, passa a più venali
considerazioni economiche circa la dote della figlia. Al trionfo di Tancredi,
che fa rapida carriera nell’esercito regolare e gode dell’amore di Angelica
(celebre la scena del loro inseguimento nel palazzo di Donnafugata), fa da
contraltare l’immobilismo, voluto e distaccato al tempo stesso, del principe
Salina. Quando il cavaliere piemontese Aimone de Chevalley, segretario della
prefettura, esponente del parlamento sabaudo gli offre la nomina regia a
senatore (e quindi l’ingresso nella “nuova” Italia unita), Don Fabrizio rinuncia,
indicando Don Calogero al proprio posto. Da questo incontro hanno origine le
sue riflessioni sul “desiderio di immobilità voluttuosa” che caratterizzerebbe
l’animo siciliano e che, nel caso del protagonista, lo fa tendere, con piacere e
dolore, al passato e alla morte. Nonostante tutti i dubbi, il principe invita i
concittadini a votare per l’annessione.
La vicenda si sposta per seguire il ritorno a casa di padre Pirrone, cappellano
dei Salina ed esponente del clero reazionario e conservatore del regno
borbonico: questa parentesi è funzionale a rappresentare i cambiamenti
storici intervenuti nel Regno delle Due Sicilie in seguito al moto unitario.
Al vento della Storia sembra sempre insensibile: la narrazione delle vicende
principali riprende con la descrizione di una futile e fastosa scena di ballo 2, che
diventa simbolo del desiderio sotterraneo di oblio e di morte del principe;
Don Fabrizio, infatti, morirà nel 1883, in una camera d’albergo di ritorno da un
viaggio napoletano. Per il principe, la Morte ha le fattezze di una bellissima
donna, giovane e velata, vagheggiata da sempre. Nel frattempo, Tancredi è
divenuto deputato.
Con uno stacco temporale di molti anni, l’ultima scena è ambientata nel
1910: le figlie di Don Fabrizio (Concetta, Caterina e Carolina, tutte rimaste
nubili) sono intente a rivendicare il valore delle mille reliquie false accumulate
nella cappella di famiglia, simbolo del potere ormai vuoto dei Salina. Dopo una
visita del cardinale, tutto verrà buttato tra i rifiuti. Subisce la stessa sorte
anche la pelliccia del cane alano Bendicò, amico fedele di Don Fabrizio e
ultimo segno della decadenza dell’antica casata. Il romanzo si chiude con
l’arrivo in automobile di Angelica, pronta a organizzare i festeggiamenti per il
cinquantesimo anniversario della spedizione dei Mille.
1
Il gattopardo che dà il titolo al romanzo è appunto lo stemma araldico
della casata dei Salina e compare anche su quello dei Tomasi di Lampedusa.
Dal punto di vista zoologico, si tratta di un servalo (Leptailurus serval) o
gattopardo africano, un felino selvatico di media corporatura (il maschio
adulto pesa tra i 10 e i 18 chilogrammi), il cui habitat prevalente è la savana.
2
Questa scena è diventata il simbolo del Gattopardo dopo il film di Luchino
Visconti con Claudia Cardinale, Burt Lancaster e Alain Delon del 1963.