Gennaio 2013 - Liceo Classico Lorenzo Costa

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Gennaio 2013 - Liceo Classico Lorenzo Costa
Gennaio 2013
Un anno nuovo è iniziato e la fine del quadrimestre è vicina…
Tradotto in termini scolastici significa che questo mese è un massacro totale per ogni studente,
che sarà sicuramente sommerso dai libri!
Così per tirarvi un po’ su il morale e distrarvi vi proponiamo articoli nuovi e interessanti che vi
portino a ricordare importanti personalità come Rita Levi Montalcini, riflettere sulla storia di
Alice Pyne e il nuovo progetto Waterfront della nostra città, ma anche affrontare l’allarmante
tema del femminicidio.
Dopo la ricorrente giornata della memoria di Libera e un articolo sul calciatore Alberto Boggio,
troverete inoltre il resoconto della partita del cuore e molto altro ancora.
In aggiunta, da questo mese ci sarà una nuova ed originale rubrica contenente l’articolo sulla
mostra fotografica che si terrà nell’archivio multimediale “Sergio Fregoso”.
Finiremo con un divertentissimo articolo per fornirvi tutti i consigli per catturare/ conquistare il
principe azzurro, in attesa del temutissimo San Valentino.
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Enjoy!
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Sommario
INTERVISTE
Alberto Boggio
ATTUALITA’
Libera
Waterfront
Alice Pyne
Femminicidio
Concerto Guillain
Rita Levi Montalcini
Libri e librerie
Censura sugli Anime
L’ANGOLO DI MUMU: FOTOGRAFIA E ATTUALITA’
Mostra fotografica
SPORT
La partita del cuore
RECENSIONI
De Andrè
Acciaio
SPAZIO CREATIVO E CURIOSITA’
San Valentino
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MENS SANA IN CORPORE SANO: CONSIGLI DI UN CALCIATORE
“Mens sana in corpore sano” dicevano i Latini. “Fila a studiare!” traducono genitori e
professori. Ma adesso anche gli scienziati confermano che svolgere attività fisica aumenta il
quoziente di intelligenza e permette di ottenere grandi risultati scolastici. L’ultima ricerca è
stata fatta in Svezia e rivela che lo sport, soprattutto se praticato entro i diciotto anni d’età,
è un toccasana per il cervello.
Lo sa bene Alberto Boggio, classe 1963, ex calciatore professionista, bandiera dello Spezia,
quindi allenatore ed attualmente osservatore (il suo compito consiste nel fare relazioni
tecniche sulle squadre che giocano contro lo Spezia, non è uno scopritore di talenti, ma non di
rado gli capita di notare giovani promettenti che si premura di segnalare alla dirigenza).
Nato alla Spezia da padre ammiraglio della Marina Militare e madre insegnante, il famoso
stopper, fin da ragazzo, ha coltivato il sogno di diventare calciatore, ma non si è mai illuso di
poter fare carriera senza investire nella propria formazione. Grazie all’educazione ricevuta,
ma anche ai buoni esempi forniti da miti dello sport come Sergio Borgo, Alberto Boggio ha
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dato calci al pallone e studiato, diventando un atleta completo, in grado di gestire il successo
senza perdere mai la testa.
- Perché, secondo lei, lo sport fa bene al cervello?
Ogni giorno escono sulle riviste scientifiche d’alto livello indicazioni sul fatto che l’attività
fisica, oltre al benessere generale che produce, ha un notevole effetto positivo sul sistema
nervoso centrale ed in una società che tende ad invecchiare sempre più, l’attività fisica
sportiva dovrebbe diventare un’abitudine irrinunciabile. Gli scienziati, “filmando” lo sviluppo
del cervello in bambini ed adolescenti fino all’età adulta hanno visto che quest’organo matura
fino ai 21 anni. Questo ci fa capire che l’attività fisica soprattutto fino ai 20 anni, ma anche
oltre, attiva dei circuiti neuronali che vengono poi utilizzati nei più svariati campi delle
conoscenze umane.
- A quale età si può cominciare a svolgere attività fisica?
Diciamo che non c’è un’età precisa, l’attività fisica è innata nella natura umana, ogni bambino o
bambina sperimenta le proprie estensioni sin nel ventre materno durante la gravidanza
(chiedete alle mamme come “scalciano” i bambini nelle loro pance). L’attività fisica è sinonimo
di energia e testimonia la perfetta salute del neonato. Tutti i genitori dovrebbero essere
informati sull’utilità ed i metodi migliori per svolgere un’attività fisica adeguata ad un
corretto sviluppo del corpo. Il primo approccio comunque ad una attività sportiva può essere la
“acquaticità” sin dai primi anni di vita, poi la ginnastica e la danza a tre anni e poi un’attività
sportiva a partire dai 5-6-7 anni, che deve essere scelta dal bimbo in base al suo gradimento e
le sue attitudini, è importante il divertimento e la gratificazione. Pallavolo, pallacanestro,
calcio, nuoto, judo, salti, lanci, corsa, ecc, ecc. ovviamente all’inizio procurano divertimento e,
mano a mano che si cresce, disciplina, applicazione e serietà.
- Si possono conciliare allenamenti e studio? Se è vero che lo sport fa bene al cervello,
è anche vero che il cervello (o meglio, la conoscenza) rende migliori gli atleti. Perché, in
Italia, tanti calciatori ancora non capiscono che la cultura è importante anche per loro?
C’è una responsabilità delle scuole di calcio?
Allenamenti e studio si possono conciliare con l’educazione innanzi tutto, sia da parte delle
famiglie, sia degli istruttori, che diventano importanti nell’insegnamento e nel sostegno al
ragazzo. In questo senso la scuola dovrebbe esercitare il proprio ruolo rendendo l’ora di
attività fisica il primo passo verso l’avviamento allo sport, dando gli strumenti giusti in termini
di qualità e motivazione per raggiungere obiettivi finalizzati al raggiungimento di una
formazione professionale. La volontà, l’abnegazione, i sacrifici portano a risultati nel mondo
del lavoro così come nello studio e nello sport. Certo, se si riuscisse ad unire un percorso
scolastico al percorso sportivo, sarebbe il completamento di una formazione eccellente per
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qualsiasi essere umano. Non sempre però nella pratica, è possibile conciliare uno e l’altro,
molto spesso per ragioni di tempo e denaro. Pensiamo ad esempio al lavoro e alla famiglia che
spesso, ad alti livelli agonistici, finiscono per essere sacrificati. Nelle scuole calcio, in ugual
misura, gli istruttori dovrebbero essere educatori prima e mentori dopo, dovrebbero seguire i
ragazzi nei risultati scolastici ed aiutare le famiglie nell’osservanza delle regole senza
perdere l’obiettivo di portare quanti più atleti possibili ad amare lo sport e nello specifico la
professione calcistica. Non sempre però il ragazzo più colto raggiunge risultati di eccellenza: a
volte gli istruttori devono riconoscere che il talento, spesso, non guarda al grado di cultura.
- A fine carriera, un calciatore che ha una base culturale ha maggiori opportunità
rispetto ad un collega che ha investito soltanto nel suo fisico?
A fine carriera un atleta che ha avuto un percorso professionale importante e ben remunerato
dovrà essere un buon amministratore ed un buon gestore della propria immagine. Viceversa chi
non ha raggiunto livelli eccelsi, dal momento la carriera di un atleta è notoriamente breve,
dovrebbe investire nella formazione personale attraverso corsi e studi. Certo, se possibile,
l’ideale sarebbe arrivare già a fine carriera con l’idea di cosa fare nel futuro e cercare di
perseguire con tenacia i propri obiettivi. La cultura certamente aiuta, ma non sempre è
sufficiente: per raggiungere l’eccellenza bisogna avere leadership, capacità, immagine e
talento.
- Che cosa consiglierebbe ad un ragazzo spezzino che, oggi, volesse diventare
calciatore?
Il mio consiglio, per un ragazzo spezzino che volesse diventare calciatore, è quello di credere
fortemente in se stesso e nei propri sogni, perché a volte si avverano e solo in questo modo
successivamente si può capire il motivo per cui si sono avverati. Quello che è certo è che
bisogna sempre portare con sé gli insegnamenti, la cultura, le proprie origini, così come la
serietà, la disciplina, la volontà, lo spirito di sacrificio e l’umiltà, che mai deve mancare.
Diletta Bufo II B
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GIORNATA DELLA MEMORIA E DELL’IMPEGNO
Quest’anno si svolgerà a Firenze, il 16 marzo, la diciottesima edizione della “Giornata della
memoria e dell’impegno” promossa da Libera e da Avviso Pubblico. Quel giorno il capoluogo
toscano accoglierà tutti i ragazzi come noi desiderosi di un paese libero dalla corruzione e
della mafie.. ma non solo. Il 16 marzo rappresenterà molto: oltre ad esserci i presidi di Libera
di tutta Italia, oltre ai magistrati, ai poliziotti, a tutti coloro che lottano con Libera e per
Libera, ci saranno le famiglie delle vittime di mafia. I nomi dei loro figli, fratelli, sorelle,
amici, cugini, nipoti, saranno letti uno a uno. Oltre novemila vittime innocenti, uccise perché
lottavano per ideali i quali oggi noi siamo impegnati a portare avanti, senza paura.
Nel pomeriggio sarà possibile partecipare a seminari in cui potrete toccare con mano la realtà
antimafiosa con personaggi del calibro di Nando dalla Chiesa, Salvo Borsellino, e tanti altri. Le
piazze di Firenze saranno riempite di fiori pieni di vita, cosi come lo erano state lo scorso
anno a Genova. A nome di tutto il presidio spezzino Antonino Agostino e Ida Castelluccio, vi
invitiamo a questa straordinaria manifestazione: chiunque voglia essere informato
maggiormente non esiti a contattarmi. Partiranno dei pullman dalla nostra città che
raggiungeranno Firenze per l’inizio del corteo, ma nel prossimo numero del giornalino saprò
darvi informazioni più dettagliate. Intanto, potete trovare informazioni utili nel sito
www.libera.it e nella pagina facebook
www.facebook.com/GiornataMemoriaEImpegnoVittimeInnocentiDelleMafie
E non dimenticate di seguire il lavoro del nostro presidio sempre su facebook
www.facebook.com/PresidioAntoninoAgostinoDiLiberaLaSpezia
Valeria La Mattina. II B
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Il Waterfront: cambiare è possibileSSIBILE?
Già da tempo si sentono ripetere le parole “Masterplan” , “Waterfront” , “Nuova Piazza Verdi”
e quant’altro, ma di cosa si tratta in realtà?
Il così detto “Masterplan” elaborato dal Sindaco della Spezia con la collaborazione degli
architetti Aldo Mazzanobile e Amedeo Schiattarella è un piano di riqualificazione,
ristrutturazione e rinnovamento dell’area portuale della città : questo si basa su un totale
rinnovamento non solo a livello ideologico, bensì anche a livello fisico del Golfo della Spezia e
di zone limitrofe, per esempio la Passeggiata Morin, il Molo Italia e la Calata Paita.
Dal punto di vista ideologico si può infatti notare l’avvicinamento progressivo ad una chiave di
formazione architettonica di stampo Post – Modernista, basti pensare che per la realizzazione
del progetto si vocifera sia stato chiamato uno dei più importanti e famosi artisti Modernisti
a livello internazionale : Daniel Buren, che si è occupato della realizzazione de “Les Deux
Plateaux” al Palais Royal de Paris e che ha ricevuto nel 1986 il premio Leone d’Oro per il
miglior padiglione alla Biennale di Venezia.
L’arte postmodernista si caratterizza per la perenne ricerca di ideali quali la razionalità,
l’oggettività ed il progresso, progresso che, almeno limitatamente alla nostra città, si vuole
ottenere proprio tramite un’assoluta deformazione e ricostruzione di ciò che è, è stato e si
presume (e spera) sempre sarà il Nostro patrimonio.
Ecco la Piazza Verdi storica, patrimonio culturale della città della Spezia e punto di incontro
fra giovani e adulti, Il Riferimento per eccellenza nel panorama Spezzino.
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Ed ecco, come mostra la didascalia, come sarà Piazza Verdi fra due anni.
Saltano immediatamente all’occhio elementi peculiari della “nuova Piazza Verdi” : archi
portanti fatti in metallo e plasmati dall’ideologia postmodernista, strutture architettoniche
occupanti il centro della Piazza la cui utilità non è meglio definita ma il cui rilievo artistico è
impeccabile per un amante di questa corrente innovativa, gradoni di cemento adibiti ad area di
relax al posto delle strade e un decisamente maggiore spazio di attraversamento.
Tutti questi cambiamenti solo in una Piazza. Ma ecco, inoltre, i cambiamenti che saranno
attuati nel resto della città : modifiche piccole ma pur sempre presenti alla struttura del Molo
Italia, ridisegno della Calata Paita (perché si suppone possa aver perso la fascinazione che un
tempo la caratterizzava) e conseguente riallineamento delle strade di collegamento ai Giardini
Storici, patrimonio inestimabile di questa città e attualmente in stato di quasi totale
abbandono.
Volendo discreditare l’opinione comune che La Spezia è una città di mentalità chiusa e
prettamente estranea al concetto di cambiamento ritengo che un progetto innovativo come il
Waterfront possa essere di sicuro un buon punto di inizio per una rivoluzione morale e fisica
della città in sé, ma in un periodo di crisi economica (il costo approssimativo del Waterfront è
di 250 – 300 milioni di euro) e soprattutto in un momento in cui i cittadini, in cui noi tutti
abbiamo bisogno di certezze, punti saldi, un patrimonio su cui fare affidamento, da osservare
e ammirare e a cui legarsi perché no, anche affettivamente, è davvero necessaria un’azione
così pervasiva?
Ritenendo inoltre che le idee di rivolta siano destinate a terminare nel nulla, concludo citando
il verso di una canzone di un gruppo musicale di Manchester “All we know is that we don’t
know, how it’s gonna be, please brother let it be, life on the other hand won’t let us
understand, we’re all part of the masterplan”.
Qual è il limite fra innovazione e distruzione?
La nuova Piazza Verdi dunque si farà, ma cosa ne pensano gli spezzini?Sono emozionati dall’aria
di rinnovamento che quasi si può palpare in questi giorni o sono un po’ delusi dalla poca
considerazione che si sta dando ad assetto della piazza che, nel bene come nel male, ha fatto
la Storia?
La città si divide: da una parte tutti coloro che credono non solo alla necessità di una
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ristrutturazione capace di portare, perché no, un’aria di rinnovamento alla città, ma che pure
apprezzano le decisioni in campo architettonico ed artistico, rimanendone affascinati;
dall’altra tutti coloro che invece sono contrari ad una ristrutturazione così radicale, la quale
richiederebbe tra l’altro circa 2 milioni e 800 mila euro e che inoltre “storgono il naso” di
fronte ad un opera post-moderna, cardine della nuova Piazza Verdi.
Molte sono le promesse dateci da questo progetto: un maggiore spazio pedonale e per la
cultura, tramite appunto l’inserimento di numerose opere post-moderne, maggior ordine ed
organizzazione e, soprattutto, molto più verde. Ecco cosa, anche se solo per adesso, si è
ottenuto: un mutuo di 999.635 euro contratto con la Cassa Depositi e Prestiti, lettere di
protesta e vani tentativi di impedire il progetto, tra cui una raccolta di firme. Il progetto
rimane in piedi, eppure non è perfetto (forse se lo fosse non ci sarebbe metà popolazione
contraria): non ha tenuto conto di un punto fondamentale, la sicurezza. Nel corso dei lavori,
destinati a durare almeno due anni, verranno inevitabilmente chiusi tutti gli accessi che il
Palazzo degli Studi, comprendente oltre che il nostro istituto anche la scuola media “Mazzini”,
ha su Piazza Verdi e ciò renderebbe impossibile il piano di evacuazione stabilito già da tempo
dagli organi competenti. «Qualsiasi modifica si voglia apportare deve tener conto in primo
luogo dell’assetto attuale della nostra piazza, ed in particolare della sicurezza. […] Le
mancanze verificate sono pertanto estremamente gravi e in contrasto con l’interesse generale
che è presupposto imprescindibile di ogni procedura amministrativa», queste la dichiarazione
di Giulio Guerri che, indignato, ha già provveduto ad indirizzare una lettera di protesta al
prefetto Giuseppe Forlani, anche a nome di molti nostri concittadini che non sono disposti a
considerarla come una semplice “svista”del nostro Comune.
Il progetto definitivo prevedrebbe il notevole aumento d’entrambi i marciapiedi,
fortunatamente a sfavore delle chiassose oltre che inquinanti corsie d’auto, che difatti
diverranno solamente due. Inoltre si vorrebbe dar spazio alla cosiddette “strutture leggere”
quali dehor, chioschi e le tanto amate pensiline dell’autobus e aggiungere, anche se non nelle
quantità sperate in relazione ad un così ambizioso progetto, piccoli alberi e siepi. Ad uno primo
sguardo sembrano tutte delle grandi migliorie, e allora per quale motivo quasi metà della
popolazione è così scettica se non contraria? C’è chi critica la necessità di abbattere dei pini
che, pur non essendo in tanti, danno un po’ di colore, c’è invece chi critica la scelte delle opere
post-moderne come ornamento, considerandole non solo inutili sia in termini pratici sia in
termini di fruizione, ma anche del tutto antiestetiche. D’altra parte l’arte post-moderna è
molto combattuta e difficile da apprezzare, risulta in quest’ottica ancora più coraggiosa, o
sciocca che dir si voglia, la scelta del sindaco Massimo Federici di puntare la buona riuscita
del programma interamente su essa. Forse l’errore è stato proprio qui: sono difatti in molti i
cittadini che non apprezzano questa “imposizione” da parte del Comune, sentendola come una
violazione del proprio potere decisionale, ma nonostante ciò il sindaco rimane fiducioso e
fedele al progetto esprimendo addirittura su Facebook la sua convinzione: «Si tratta di un
buon progetto che quando sarà realizzato piacerà a tutti». Infine c’è chi invece non si
preoccupa di come sarà Piazza Verdi, bensì di com’era e di com’è: le piazze in fondo sono molto
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più di semplici luoghi, al loro interno si animano storie intrecciandosi le une con le altre e
assumono così valori simbolici inimmaginabili. Le piazze sono simboli del carattere identitario
di una città, sono importanti e noi dovremmo sempre occuparci di loro con la dovuta attenzione
ed il dovuto rispetto. Ecco che forse è questo quello che a molti spezzini proprio non va giù:
dover dire addio a Piazza Verdi così come la si ricorda per dare spazio a qualcosa di nuovo che
dobbiamo imparare ad apprezzare col tempo.
Benedetta Arena, Giulia Berta VD
Hai solo una vita, vivila.
Alice Pyne, diciassette anni.
Linfoma di Hodgkin, il male incurabile di cui era affetta.
You only have one life, live it, il suo motto.
Si è alzata una mattina, a tredici anni, e ha scoperto di avere una delle forme di cancro più
rare, che colpisce tre persone su 100mila nei paesi Occidentali.
Non riesco nemmeno ad immaginare cosa significhi, proprio quando stai iniziando a capire e
vivere coscientemente la tua vita, sapere di avere ancora pochissimo tempo.
Poco tempo per innamorarsi, poco tempo per respirare l’aria fresca vicino al mare, poco tempo
per bere un succo di frutta, mangiare una pesca.
Poco tempo per ridere senza pensare a cosa farai domani, poco tempo per abbracciare tua
madre, per raccontare i segreti alla tua migliore amica, per correre.
Poco tempo per pensare a quale lavoro farai “da grande”, per ascoltare la musica sdraiata sul
letto, poco tempo per rigirarti tra le lenzuola la domenica mattina, perfino poco tempo per
piangere.
Che cosa fare?
Non lo so.
Però so cosa ha fatto lei e ne sono rimasta affascinata.
Ha guardato in faccia la realtà e ha… reagito.
Ha fatto questo con una forza, un coraggio, una vitalità fuori dagli schemi, ha lanciato un
messaggio di speranza a tante persone che si trovavano nella sua stessa situazione, e anche a
tutti gli altri.
Dopotutto la sua era una vita fuori dagli schemi e perciò ha deciso di prenderla in mano e di
trasformarla in un’esistenza favolosa.
Ha creato un blog su internet per condividere dapprima con i suoi amici, ed in seguito con
tutto il mondo, la sua esperienza e una “bucket list”, letteralmente una lista delle cose da fare
prima di morire.
È partita da questo ma è arrivata davvero molto in alto.
Tra i suoi sogni nel cassetto c’era la possibilità di incontrare i suoi idoli, da Paul McCartney a
Robbie Williams, di nuotare con le balene, di partecipare ad un ballo della scuola e di fondare
un’associazione benefica che portasse il suo nome.
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Tutto questo è stato esaudito ed Alice è riuscita a vivere molto di più di quanto si
aspettassero i medici.
Ha deciso di festeggiare il Natale a metà novembre quest’anno, perché aveva paura di non
arrivarci; ha fatto una gran festa e passato molto tempo con amici e familiari.
Così, quando è arrivato il Natale, quello vero, lei è stata doppiamente felice e nel giorno di
Capodanno ha scritto sul suo blog: “Non riesco a credere che sto dicendo davvero Buon Anno a
tutti voi! Credo che nemmeno uno dei medici che due anni fa mi avevano detto che non c’era
più niente da fare si aspettasse che io oggi fossi ancora qui”.
Tutto il mondo le si era in qualche modo affezionato, e molte persone lottavano al suo fianco
con amore e speranza.
Poi, un giorno, Alice si è spenta e ha lasciato un grande vuoto.
Un vuoto colmabile solo dal ricordo di tutto ciò che era, dalla sua forza, dalle sue parole
sempre allegre e piene di speranza nonostante le circostanze serie, dai suoi sorrisi e da tutto
ciò che ha creato.
Purtroppo noi pensiamo di avere tempo, tanto tempo, e così permettiamo ad ansia, malumore e
tristezza, spesso infondati, di prendere il sopravvento.
Ci dimentichiamo che la vita è davvero solo una e che dobbiamo viverla ogni giorno
respirandone fino in fondo l’essenza.
È difficile essere sempre allegri e sereni, è difficile fare il proprio dovere e stare dietro a
tutti i nostri ritmi frenetici, è difficile rialzarsi dopo che si è caduti.
È difficile perché la vita è difficile, ed è piena di imprevisti.
Ma Alice diceva che essere di malumore e troppo seriosi non porta a nulla di buono, e così
cercava di essere sempre positiva e di non smettere di sorridere.
Credo che una ragazzina fragile come lei ci abbia dato una grande lezione di vita; così
cerchiamo di ricordarci che siamo vivi, giovani, pieni di energie e che abbiamo una vita davanti
che deve essere vissuta perché purtroppo è una e abbiamo una sola possibilità.
Grazie Alice…
Ps: Keep smiling:)
Giulia Miele, II B
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Non è più il tempo di stare in silenzio
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In questi giorni si è molto discusso sul tema del femmincidio: ma cosa significa
effettivamente? E come reagiscono le persone sentendone parlare?Il termine
femminicidio si riferisce alle violenze che vengono compiute dagli uomini ai danni
delle donne in quanto tali. Questo comprende inoltre tutti quei casi di omicidio in cui
una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere. La
colpa delle donne è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale imposto dalla
tradizione, di essersi prese la libertà di decidere cosa fare della propria vita e di
essersi sottratte al potere del proprio partner: per questo sono state punite con la
morte! Ma si può morire anche a livello interiore, perché il femminicidio riguarda
tutte le forme di discriminazione e violenza, anche nella dimensione psicologica:
pensiamo a quelle donne che subiscono per anni molestie sessuali sul lavoro o violenza
psicologica dal proprio compagno e alla loro difficoltà di ricostruirsi una vita .
E’ significativa la storia, sconosciuta ai più, di alcune donne messicane attiviste e
femministe che grazie alla loro attività di denuncia alle istituzioni
per la
permanenza di questi crimini, sono riuscite a far eleggere Marcela Lagarde,
parlamentare che ha fatto costruire e presieduto una commissione
speciale
parlamentare sul femmincidio. In seguito hanno approvato una legge sul modello
spagnolo e hanno sancito l’introduzione nei codici penali del reato di femminicidio;
l’esempio delle donne messicane ha contagiato gli altri stati latino-americani e ne è
conseguita una maggiore consapevolezza generale della presenza di questi crimini.
E’ emblematico che all’Italia non sia stato chiesto di introdurre il reato
di
femminicidio com’è stato chiesto al Messico: qui da noi il problema è culturale e si
ripercuote sull’efficacia dell’azione istituzionale. Per sconfiggere questo tipo di
cultura è necessario una presa di posizione netta da parte di tutti i politici e i
personaggi pubblici ed una collaborazione forte con la società civile. Ci auguriamo
che il prossimo governo del nostro paese prenda provvedimenti seri riguardo a
questo terribile problema.
Noi crediamo, quindi, che accendere i riflettori costantemente
su questo tema
possa essere utile a rompere il muro di omertà e passiva accettazione che spesso
accompagna il fenomeno. Come dicono Michelle Hunziker e Giulia Buongiorno,
fondatrici dell’associazione
contro il femminicidio ‘’ Doppia difesa ‘’, NOI CI
SIAMO e diciamo basta al silenzio!
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Silvia Carassale – Erica Selvaggio II A
Ti presento Guillain
Si può trasformare un incubo in un sogno? Matteo Cidale, batterista jazz, 22 anni, l’ha fatto.
Tutto è iniziato due anni fa, quando Matteo ha contratto il cosiddetto virus di Guillan Barrè,
una malattia infima, che si insinua nel tuo corpo sotto forma di semplice influenza o infezione,
e che poi fa impazzire gli anticorpi, i quali, invece di eliminare il virus, attaccano il sistema
nervoso periferico: gambe e braccia si
paralizzano, nei casi più gravi anche
l’apparato respiratorio. E, attenzione,
questa è una malattia che colpisce
soprattutto i giovani. Fortunatamente è
rara, ma non per questo bisogna ignorarla.
Esiste anche una cura, certamente.
Consisterebbe nella sostituzione del plasma
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sanguigno del paziente con quello dei donatori, attraverso un processo chiamato plasmaferesi.
E’ una procedura lunga e faticosa, e per attuarla è necessaria una macchina costosa, un
separatore cellulare. Dopo due anni di questa terapia, Matteo sta affrontando la riabilitazione
ed ha già ripreso a usare le bacchette; così ha deciso di dare il via ad un progetto, ovvero
quello di organizzare un concerto jazz che riunisse tutti i maggiori esponenti italiani. Lo
scopo? Raccogliere fondi sufficienti per poter comprare un nuovo macchinario, più piccolo,
maneggevole e digitale, capace di svolgere sia la plasmaferesi che processi di cura per altre
patologie. La ASL di La Spezia ne possiede già uno, ma è datato 1998 ed è grande come un
figorifero, perciò difficile da trasportare, cosa invece fondamentale per curare i pazienti
paralizzati dalla malattia.
Il concerto si è svolto nel Teatro Civico il 17 gennaio 2013 e vi hanno partecipato Gegè
Telesforo, Roberto Gatto, Paolo Jannacci, Dado Moroni, Danilo Rea, Riccardo Arrighini, Aldo
Zunino, Alessio Menconi, Loredana D'Anghera, Gianni Cazzolla, Leonardo Corradi, Aldo Bassi,
Beppe Landi, Arnaldo Santoro, Daniele Raimondi, Daniele Gorgone, Claudio Chiara, Diego
Borotti, Alberto Marsico, Fabio Zeppetella, Lele Cerri e Dario Vergassola.
Non possiamo che essere orgogliose della nostra città che ha accolto questa iniziativa con
entusiasmo e non possiamo far altro che sperare che eventi del genere si ripetano.
Ylenia Parbuono IV B
Irene De Giorgi IV B
ADDIO A RITA LEVI MONTALCINI, SIGNORA DELLA SCIENZA
Se ne è andata per sempre una delle donne che, per dedizione alla ricerca e allo studio e per
massimo impegno civile, rendono grande il nostro paese: Rita Levi Montalcini, premio Nobel per
la Medicina, è deceduta all’età di 103 anni, nella sua abitazione romana, il 30 dicembre 2012.
Rita Levi Montalcini era nata a Torino il 22 aprile 1909. Figlia di un ingegnere ebreo, Adamo
Levi e della pittrice Adele Montalcini, passò gli anni fino all'adolescenza a Torino. Studiò
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medicina all'università di Torino e, durante tali studi, all'età di 20 anni, entrò nella scuola
medica dell'istologo Giuseppe Levi e iniziò gli studi sul sistema nervoso che proseguì per tutta
la sua vita, salvo alcune brevi interruzioni nel periodo della Seconda guerra mondiale. Si laureò
a pieni voti nel 1936. Nel 1938, in quanto ebrea , fu costretta dalle leggi razziali del regime
fascista a emigrare in Belgio con Levi, dove continuò le sue ricerche in un laboratorio
casalingo. I suoi primi studi (degli anni 1938-1944) furono dedicati ai meccanismi di
formazione del sistema nervoso dei vertebrati. Nel 1944 entrò come medico nelle forze
alleate. Nel 1947 accettò l'invito a proseguire le sue ricerche al dipartimento di Zoologia della
Washington University (nello stato Usa del Missouri), dove rimase fino al 1977. Nel 1951-1952
scoprì il fattore di crescita nervoso noto come Ngf (Nerve Growth Factor), che gioca un ruolo
essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Per
circa 30 anni prosegue le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d'azione,
per le quali nel 1986 viene insignita del Premio Nobel per la medicina insieme allo statunitense
Stanley Cohen. Nella motivazione del riconoscimento si legge: «La scoperta del Ngf all'inizio
degli anni '50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi
valide da un apparente caos. In precedenza, i neurobiologi non avevano idea di quali processi
intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo». Dal 1961 al
1969 dirige il Centro di ricerche di Neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr)
di Roma in collaborazione con l'Istituto di Biologia della Washington University, e dal 1969 al
1979 il laboratorio di Biologia cellulare. Dopo essersi ritirata da questo incarico "per raggiunti
limiti d'eta'" continua le sue ricerche come ricercatore e guest professor dal 1979 al 1989, e
dal 1989 al 1995 lavora presso l'Istituto di neurobiologia del Cnr con la qualifica di
superesperto. Le sue indagini si concentrano sullo spettro di azione del Ngf, utilizzando
tecniche sempre più sofisticate. Studi recenti hanno infatti dimostrato che esso ha
un'attività ben più ampia di quanto si pensasse: non si limita ai neuroni sensori e simpatici, ma
si estende anche alle cellule del sistema nervoso centrale, del sistema immunitario
ematopoietico e alle cellule coinvolte nelle funzioni neuroendocrine.
E forse il segreto della lucidità e vitalità fino all'ultimo giorno della sua scopritrice si celava
proprio nel Ngf: la scienziata lo assunse tutti i giorni in forma di gocce oculari per problemi
alla vista. Dal 1993 al 1998 presiede l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E' membro delle piu'
prestigiose accademie scientifiche internazionali, quali l'Accademia Nazionale dei Lincei,
l'Accademia Pontificia, di cui è stata la prima donna a farne parte, l'Accademia nazionale
delle scienze detta dei XL, la National Academy of Sciences statunitense e la Royal Society.
Viene nominata senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 1 agosto
del 2001 "per avere illustrato la patria con altissimi meriti nel campo scientifico e morale".
Riceve numerosi altri riconoscimenti: fra l'altro tre lauree ad honorem delle Università di
Uppsala (Svezia), Weizmann-Rehovot (Israele) e St. Mary (Usa). Ha vinto inoltre il Premio
internazionale Saint-Vincent, il Feltrinelli, e il premio "Albert Lasker" per la ricerca medica.
E' stata sempre molto attiva in campagne di interesse sociale, per esempio contro le mine
anti-uomo o per la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Nel 1992 ha
istituito, assieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Levi Montalcini, in memoria del
padre, rivolta alla formazione e all'educazione dei giovani, nonché al conferimento di borse di
studio a giovani studentesse africane a livello universitario, con l'obiettivo di creare una
classe di giovani donne che svolgano un ruolo di leadership nella vita scientifica e sociale del
loro paese. Sempre a favore dei giovani scienziati, nel marzo 2012 rivolge un appello al
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Governo Monti , “affinché non cancelli il futuro di tanti giovani ricercatori, che coltivano la
speranza di poter fare ricerca in Italia”. Rita Levi Montalcini è stata particolarmente
sensibile anche nei confronti dei temi della difesa dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile.
Nel 1998 fonda la sezione italiana di Green Cross International, organizzazione non
governativa riconosciuta dalle Nazioni Unite e presieduta da Mikhail Gorbaciov, di cui è
consigliere. Significativo l'impegno sulla prevenzione e sulle conseguenze ambientali e sociali
delle guerre e dei conflitti legati allo sfruttamento delle risorse naturali, con particolare
riferimento alla protezione e all’accesso alle risorse idriche. Quando compì 100 anni le fu
chiesto se fosse emozionata. “Emozionata?- rispose- No, non sono per niente emozionata, nè
spaventata. L’unica cosa che mi emoziona ancora è la vita. Arrivare a 100 anni è un premio per
me. Il segreto? Non pensare a se stessi, ma agli altri e lavorare con passione”. Come molti
sanno, l’essenza della ricerca e del progresso , è quella serendipity, che spesso assiste gli
scienziati che, mentre cercano qualcosa, fanno scoperte fondamentali, come fu per la
penicillina. Serendipity, è una delle parole più belle della lingua inglese, così come una delle più
difficili da tradurre. Significa l’arte di imbattersi in qualcosa per caso, o la capacità di
collegare fra loro fatti apparentemente insignificanti arrivando a una conclusione preziosa, o
più in breve, forse soltanto:”una felice coincidenza”. Serendipity, infatti, non vuol dire solo
fortuna, vuol dire, soprattutto, acume, curiosità e saper capire che dietro "l'insolito", ci può
essere un mondo da indagare.
E così è stato anche per Rita Levi Montalcini.
Ricorderemo sempre il suo straordinario valore, la sua grandezza, come scienziata e come
donna, e il suo sguardo intenso e profondo che preludeva ad un sorriso lieve e garbato, per
sempre impresso nella mente di tutti noi.
Luca Murer IV B
Libri e librerie: un commercio di idee
Solitamente gli amanti della lettura o anche semplicemente coloro che vogliono leggere un
libro, si recano alle grandi librerie, talvolta senza conoscere alcune delle tante piccole librerie
che si possono trovare nella propria città. Oggi non è più semplice come una volta trovare
librerie indipendenti, ossia che, pur essendo piccole, contengano libri particolari e scelti
minuziosamente dal libraio promuovendo la propria ‘’identità letteraria’’. Oggi questo tipo di
rapporto instaurato tra libraio, libri e cliente non è ben consolidato. Proprio per questo
smarrimento di passione per la letteratura e per la promozione di essa, si è fondata
un’associazione chiamata ‘’Fidare’’ (Federazione italiana editori indipendenti) che si impegna,
sia a livello nazionale sia internazione, in questo ‘’ritorno alle origini’’, a organizzare eventi
relativi alla letteratura ed inoltre a divulgare un ritratto editoriale italiano anche alle
comunità italiane all’estero. In quanto studentessa e lettrice accanita credo fortemente in
questa ‘’missione’’ perché le librerie e le biblioteche sono, e sono state, luoghi nei quali,
proponendo opere originali e autentiche, innescano quasi automaticamente un circolo di idee
che come un vortice trascina le menti in un mondo quasi parallelo sviluppando un aspetto molto
importante della nostra persona: l’immaginazione. L’arte di scrivere e di esprimersi è un’arte
che sin dalle origini era indispensabile all’uomo per lo sviluppo sociale e culturale. Un libro non
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è semplicemente un insieme di fogli macchiati di inchiostro, ma sono sia un commercio di idee
sia un veicolo di socialità, perché leggendo ci si può immedesimare nei personaggi, si possono
condividere pensieri dell’autore, si può viaggiare in tutt’altra dimensione spaziale.
Interessandomi a questo aspetto della letteratura, ho deciso, qualche mese fa, di andare ad
un evento che mi ha veramente sorpreso: il ‘Pisa Book Festival’.
Pisa Book Festival 2012
Dal 23 al 25 novembre, presso la Sala Congressi di
Pisa, si è tenuto il Pisa Book Festival, importante
evento che da ben dieci anni presenta case editrici
indipendenti organizzando anche interessanti
conferenze con personaggi di spicco nazionale ed
internazionale. Il Pisa Book Festival è da sempre un
evento di riferimento per tutti gli appassionati di
lettura dal romanzo storico ai gialli, dai fumetti ai
libri per bambini, insomma un festival che abbraccia
tantissimi generi letterari. Quest'anno si è cercato
di sposare l'editoria varia italiana con il panorama
letterario nazionale ed internazionale ospitando
come paese d'onore l'Olanda. Sono stati infatti
organizzati incontri con alcuni scrittori olandesi ed
in particolare domenica 25 novembre si è tenuta la
conferenza ''Olanda e Italia allo specchio’’
conversazione con Rosita Steenbeek, attrice e
scrittrice, Ilja Leonard Pfeijffer, poeta, e Marino
Magliani, scrittore di viaggi, condotta da Gabriella
Facondo.
In questa edizione si è anche svolto un evento nell'evento: la presentazione del nuovo libro di
Margherita Hack, che ha avuto un grande successo nella Sala Congressi.
La cosa che mi ha colpito è stata la presenza di un grande numero di piccoli editori
indipendenti che non si trovano facilmente nelle comuni librerie, perché le loro ''edizioni di
nicchia'' trovano difficoltà ad essere pubblicate e commercializzate. Questo festival è stato
anche, a mio parere, un modo per conoscere nuovi autori e nuovi editori che, attraverso i loro
libri, trovavano un loro ''stile'' e il loro riconoscimento. Ogni stand aveva una propria
''identità'', nel modo di rilegare nuovi romanzi e anche grandi classici e saggi e con il loro
modo di presentarsi, sono riusciti a trasmettere la passione per la letteratura.
Inoltre il Pisa Book Festival, tenendosi in un complesso universitario, cercava di coinvolgere i
giovani anche attraverso la trasmissione di Radioeco, radio universitaria.
E' bello vedere come la passione per i libri possa unire così tanti amanti ed editori, mostrando
l'altra faccia della medaglia dell'editoria italiana, la migliore, quella autentica, indipendente e
alternativa, spesso in netto contrasto con le maggiori case editrici nazionali schierate e
strumentalizzate da ideologie politiche e commerciali.
Serena Ariodante V D
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Censura negli anime: l’altra faccia della medaglia
Gli anime, i cartoni animati giapponesi,
sono stati e lo sono ancora un elemento fisso
nell’infanzia di moltissimi bambini dal 1980 quando fu trasmesso per la prima volta in Italia
Goldrake. Infatti chi non ha mai visto da piccolo un episodio di Dragon Ball o dei Pokèmon ? Ma
non tutti sono consapevoli di quanti tagli insensati sono stati apportati a cartoni come Naruto
o Georgie e quante accuse sono state rivolte dai genitori e dalla chiesa contro i propri anime
preferiti. Eccone alcune:
1. I cartoni animati giapponesi sono destinati ai bambini.
Non è assolutamente vero. In Giappone gli anime occupano il posto che in occidente è
dei telefilm. La maggior parte dei cartoni Giapponesi si rivolge ad un pubblico tra i 15 e
i 30 anni E’ vero esistono i “Kodomo“, gli anime per bambini, ma sono pochissimi di
quelli trasmessi sui palinsesti italiani, come Sugar Bunnies o Hamtaro. Quasi tutte le
serie animate giapponesi proposte in Italia sono destinate ad un pubblico adulto ma
vengono adattate tramite censure distruggendo opere meravigliose.
2. I cartoni animati giapponesi sono brutti
Esistono cartoni giapponesi di bassa o elevata qualità ma è quasi sempre l’insensato
adattamento italiano a modificare il nostro parere su una serie nipponica. Provate a
vedere Naruto sottotitolato in Italiano vi appassionerà di più rispetto alla versione
proposta in Italia.
3. I cartoni animati giapponesi sono un prodotto commerciale sviluppato per vendere i
relativi gadget ai bambini.
Certamente vi è anche un fine commerciale, la commercializzazione può essere più o
meno elevata,
ma in Giappone i cartoni vengono realizzati più come prodotto
televisivo dall’elevata audience che per vendere gadget ad essi collegati. Negli Stati
Uniti invece le industrie di giochi prima concepiscono i giocattoli, poi realizzano una
serie animata per promuovere il prodotto. Spesso qualsiasi cartone animato, se non è
Disney, viene etichettato
come giapponese. In realtà alcune
delle serie animate
trasmesse dalla televisione italiana sono di produzione europea o americana
“appaltando” poi in Giappone solo la realizzazione dell’animazione o delle immagini.
Tornando alla “commercialità
di alcuni anime dobbiamo pensare che certi cartoni
animati giapponesi prima di arrivare in Italia passano per l’America che crea tutti quei
giocattoli collegati ad una serie, i pupazzetti tanto in voga nel duemila dei Digimon,
che in Giappone non erano stati ideati.
4. I cartoni animati giapponesi sono diseducativi e violenti.
Due generazioni sono cresciute a “Pane e cartoni giapponesi” e il risultato non è stato
negativo anzi, infatti gli appassionati dell’animazione giapponese che hanno tra i 18 e i
30 anni
possiedono un livello culturale
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ed economico medio alto. In più
i valori
proposti negli anime sono quelli delle culture orientali: L’importanza
squadra
e dell’amicizia, la capacità
di vincere
del lavoro di
le avversità con l’impegno e
l’autocontrollo, la necessità di andare oltre le apparenze e la superiorità
dell’intelligenza sulla forza fisica. Il livello di violenza di una serie animata giapponese
è di gran lunga inferiore a quello dei telefilm americani , dove le sparatorie e i morti
sono normalissimi. Nella cultura americana la violenza è un mezzo per risolvere i
problemi e vi è un identificazione tra i buoni e forti. Nella cultura nipponica i buoni
utilizzano la forza soltanto se costretti e soltanto per difendere sé e chi li circonda.
Infine alcune serie giapponesi tra le più violente, come Ken il guerriero o l’uomo tigre
sono state comprate da piccole emittenti locali che per il costo dei diritto continuano
a mandarle in onda a ripetizione . A causa di queste eccezioni se tutti gli anime
vengono considerati violenti.
5. I cartoni animati giapponesi sono pieni di : donne nude e scene di sesso, travestiti e
personaggi sessualmente ambigui che spingono all’omosessualità, ragazzine attraenti e
provocanti che spingono alla pedofilia e alle violenze sessuali.
In alcuni cartoni animati compaiono personaggi femminili (vestiti) particolarmente
prosperosi, ma non certo più dei personaggi femminili di Baywatch. Non si ha invece
notizia di nudi, al di là di qualche scorcio di seni: in Giappone esiste persino una legge
molto
severa
che
vieta
di
mostrare
organi
sessuali
in
qualsiasi
forma.
Esistono comunque cartoni animati pornografici (i cosiddetti hentai), esattamente
come esistono film o fumetti pornografici di produzione italiana, ma non sono
ovviamente trasmessi in TV (neanche in Giappone).
I personaggi degli anime non sono sessualmente ambigui.
Esistono alcuni cartoni
animati molto famosi (ad esempio Ranma 1/2) in cui i personaggi cambiano forma o
sesso per un intervento "magico" indipendente dalla propria volontà; ma la magia è un
tema ricorrente nella cultura giapponese esattamente come lo è nella cultura fiabesca
occidentale. Tuttavia la sessualità dei personaggi è perfettamente normale; se mai,
trattandosi in molti casi di serie animate destinate agli adolescenti o agli adulti, si
parla spesso delle emozioni e dei problemi legati all'amore (normalmente non di sesso,
per quanto detto in precedenza).
E gli anime non contengono ragazzine provocanti. Esistono molti cartoni animati – gli
shōjo - che hanno come protagoniste delle ragazze; questo semplicemente perché il
loro pubblico naturale è costituito proprio dalle giovani adolescenti, che devono quindi
potersi immedesimare nelle protagoniste. Non si ha notizia di persone che, dopo aver
visto questi cartoni animati, siano andate in giro ad insidiare ragazze. Ma chi è che ha
divulgato
queste accuse ?
E’ stato il Moige
(Movimento Italiano Genitori) è
un'associazione di promozione sociale impegnata nell'ambito sociale ed educativo per
la salvaguardia dei ragazzi, che ritiene «minacciati dalla pedofilia, dal bullismo o da
spettacoli televisivi violenti e volgari»[, e per tutela dei diritti dei genitori e dei
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minori.
Il Moige afferma infatti che il proprio scopo associativo consiste nello
svolgimento di un'azione "apartitica e aconfessionale" «per la promozione e la tutela
dei diritti dei genitori e dei minori nell'ambito della vita sociale». Inoltre si propone di
promuovere il genitore come elemento fondante della società e il suo utilizzo della
potestà parentale in modo libero e responsabile. Prima di giudicare un anime quindi
provate a mettervi nei panni di un Otaku e non basatevi su un parere univoco .
Francesca Breschi I D
“Dal tempo dipende ogni cosa…”
L’11 gennaio a La Spezia, presso gli Archivi Multimediali “Sergio Fregoso” si è tenuta
l’inaugurazione della mostra fotografica dell’artista spezzino Gregorio Tommaseo intitolata
“Dal tempo dipende ogni cosa…”, che durerà fino al due febbraio. Tale mostra, che ha come
filo conduttore il verso iniziale di un celebre sonetto petrarchesco “la vita fugge e non
s’arresta un’ora”, come afferma Tommaseo stesso, è un percorso attraverso la vita, di cui il
fotografo ha cercato di immortalare con alcuni scatti momenti fondamentali, dall’infanzia, età
di giochi, alla vecchiaia, in cui “ci si può scoprire soli o confortati da vecchie amicizie”. Dopo un
primo momento di ambientamento generale del pubblico e uno sguardo d’insieme delle diverse
foto esposte, il fotografo, evidentemente emozionato, ha attirato su di sé l’attenzione dei
partecipanti innanzitutto per ringraziare il Gruppo Fotografico Obbiettivo Spezia (GFOS) a
cui è iscritto da un anno e grazie al quale è stata possibile la realizzazione della mostra, e la
moglie, Annalisa Raggio, compagna di viaggi nel suo percorso fotografico e notevole contributo
nell’organizzazione dell’evento, poi per dire due parole sulla sua mostra e per dare la chiave di
lettura al fine di una completa interpretazione del senso sia di ogni singola foto che del
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percorso in generale. Gregorio è stato attento a precisare, a scanso di equivoci, che la sua è
una mostra assolutamente ottimista e che quindi il suo intento non è quello di sottolineare la
fugacità e la brevità della vita, bensì quello di immortalarne frammenti fondamentali che
diventano tracce della nostra memoria. L’artista ha raccontato che il suo percorso parte dalla
foto dal cui titolo prende il nome l’intera mostra, quella da lui scherzosamente definita
“L’omino degli orologi” (foto in basso), che ritrae appunto un signore a fianco di numerosi
orologi che segnano incessantemente lo scorrere del tempo e ci ricordano che da esso dipende
ogni cosa. In seguito con una formale presentazione è stato nominato membro onorario del
GFOS Cesare Salvadeo, maestro di street photography, un particolare tipo di fotografia
spesso incompresa e sottovalutata. La street photography infatti si basa su scatti di vita
quotidiana che a primo impatto potrebbero risultare banali, magari fatti schiacciando per
sbaglio il pulsante dello scatto. Ma come sosteneva il pittore e fotografo ungherese Laszlo
Moholy-Nagy “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora il valore della fotografia
sarà l’analfabeta del futuro”, infatti questo tipo di immagini in realtà hanno dietro di loro un
grande valore, in quanto sono il luogo della nostra memoria storica sia dal punto di vista
personale che dal punto di vista degli elementi di vita quotidiana (abbigliamento, architettura,
tendenze..) e dunque ignorarne il profondo significato potrebbe essere sintomo di scarsa
sensibilità e di superficialità. Salvadeo inoltre ironicamente afferma che oggigiorno, per
praticare della street photography sia necessario essere seguiti da carabinieri e avvocati:
questo perché si è persa la genuinità e il buonsenso di una volta. Qualche decina di anni fa
infatti, se volevi fare delle foto a dei bambini che giocavano, per una semplice questione di
sensibilità artistica, non eri considerato pedofilo, così come se volevi fare delle foto ad una
coppia, non eri considerato un maniaco, come invece spesso accade di questi tempi.
Riguardando più volte i diversi scatti esposti, mi sono reso conto che Gregorio Tommaseo ha
un talento straordinario e innovativo, in quanto nelle sue foto notiamo il passaggio dal formato
classico delle reflex al formato 16:9, una sensibilità artistica invidiabile da cui tutti noi
fotografi emergenti abbiamo molto da imparare e consiglio a tutti, appassionati di fotografia
e non, di andare ad assistere alla mostra, in quanto potrebbe dimostrarsi una valida occasione
per avvicinarsi alla fotografia o perlomeno per iniziare ad apprezzarne e comprenderne il
valore.
Infine, uscito dalla sala della mostra con un’espressione febbricitante e gli occhi
ancora speranzosi di poter anch’io, un giorno, riuscire ad organizzare una mostra tutta mia, mi
ripetevo in testa il commento lasciato sul quaderno dell’artista:
“Sensibilità per la luce ammirevole. Scatti molto espressivi. Complimenti.
PS. Mi dispiace aver dimenticato la macchina fotografica a casa!!!!!”
Emanuele Piarulli VD
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UN COSTA DA FINE DEL MONDO
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Il 20 dicembre, il giorno prima della preannunciata (solo da Giacobbo n.d.r) fine del mondo, si
è disputata allo stadio Alberto Picco la molto più attesa partita tra l’ ottimo Liceo Classico e il
discreto Istituto Fossati Da Passano!
I bookmakers spezzini davano per scontata la vittoria della squadra capitanata da Dell’Ovo,
ma il campo ha regalato un verdetto inaspettato: i ragazzi del Costa si sono infatti battuti con
grande attaccamento alla maglia e mirabile verve agonistica, qualità che si sono rivelate
decisive per il pareggio a reti inviolate che sta più stretto al nostro Liceo.
La partita tanto tattica quanto fisica ha comunque scaldato il pubblico fremente sugli spalti:
non sono mancati cori di incitamento e simpatici sfottò in un’ atmosfera all’insegna di una sana
rivalità e nulla più. In un primo tempo piuttosto equilibrato in cui le squadre si studiano, va
segnalato un rigore solare reclamato dal Classico su un’ uscita a valanga di Massolo su
Moscatelli, mentre Brozzo, il nostro estremo difensore, si esibisce in una parata plastica su un
tiro insidioso di Salku. Nel secondo tempo, i favoriti fanno la partita, ma il Costa si difende
con ordine per poi ripartire pericolosamente, con il valoroso Dadà che sfiora il gol in zona
Cesarini, dopo aver guidato la nostra retroguardia con autorità.
Al 10 con cui valutiamo tutti i nostri gladiatori, ci sentiamo di aggiungere una lode al
solidissimo Auro Viola ( chi ha scritto l’articolo è sicuramente un suo omonimo! ) e a mister
Piermattei, abile nel disporre con sagacia tattica la nostra compagine e nell’attirare i favori
del pubblico che lo ha definito “ The Special Two” ( titolo che sicuramente merita più di Villas
Boas).
Daniele Calligaris e l’omonimo dell’uomo partita Auro Viola, ID
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NON AL DENARO, NON ALL’AMORE NE’ AL CIELO
È incredibile quante vite, quante storie si possano celare dietro i versi di una canzone, o
nascoste tra le pieghe di un disco, nelle immagini di una copertina; il disco in questione è Non
al denaro, non all’amore né al cielo, pubblicato nel 1971, e le vite raccontate sono quelle di
Herman, Bert, Tom, Charley e tutti gli altri che ora dormono sulla collina. Ma la vera storia
che troviamo narrata, tra le righe di ogni traccia, è quella di Fabrizio De André della sua vita
che egli forse non trovava così dissimile da quella degli anonimi, resi celebri (anche se spesso
tale celebrità non fu così tanto gradita) dalla loro presenza nella famosa antologia di Spoon
river di Edgar Lee Masters, perchè, dopotutto, così come già alla fine del Settecento
declamava Thomas Gray nella sua Elegy Written In A Country Churchyard dai cui versi trasse
sicuramente ispirazione Masters, ogni aspirazione umana non è che vana e inutile perché il
ricordo di servi e di contadini, così come quelle di generali e re, è destinato ad essere
cancellato totalmente dalla livella di Sorella Morte, che rende tutti uguali: per usare le parole
di Gray,”The paths of Glory Lead but to the grave “(il sentiero della gloria porta alla morte
soltanto); per usare quelle di De Andrè “dove sono i generali che si fregiarono nelle battaglie/
con cimiteri di croci sul petto? Hanno rimandato a casa le loro spoglie nelle bandiere/ legate
strette perché sembrassero intere”. E da questa constatazione deriva il desiderio di Masters,
e quindi poi di De André, di interessarsi non tanto della vita di uomini ed eroi del suo tempo
quanto piuttosto a quella di gente comune, semplice e sconosciuta, le cui tombe implorano dal
passante il tributo di un sospiro (Elegy, v.80) e che onorano con la loro presenza non tanto un
grande cimitero di una cattedrale o di un maestoso palazzo, ma un piccolo e umile
appezzamento di terra vicino ad una semplice chiesa di campagna; non a caso le poesie di
Masters, pubblicate sul Mirror tra il 1914 e il 1915 non sono altro che epitaffi, dediche nelle
quali il poeta cerca di esprimere al meglio l’essenza della vita dello scomparso. Il problema fu
che molte delle persone alle quali il nostro Edgar si era ispirato per i suoi testi erano, al
momento della pubblicazione della raccolta ancora in vita e si sentirono offese nel vedere le
loro faccende più segrete e private pubblicate in quelle poesie. La caratteristica saliente dei
personaggi di Masters infatti è che essendo per la maggior parte morti non hanno più niente
da perdere e quindi possono raccontare la loro vita in assoluta sincerità; ciò che erano non
importa più a nessuno perché la morte ha obliato il loro ricordo rendendoli solo ombre che ora
dormono su in collina: il loro nome è destinato a scomparire per sempre nei recesssi della
storia in maniera tanto anonima quanto lo furono le loro stesse vite. Tali tematiche
affascinarono fin da subito il diciottenne De Andrè che avvicinatosi alla lettura di Spoon river
rimase colpito di quanto ritrovasse i suoi giorni, i suoi pensieri, la sua vita nelle storie di vite
altrui; come Faber stesso racconta alla Pivano: “mi era piaciuto forse perché in quei
personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi
interessa di meno perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare, solo così il
discorso può essere produttivo”.
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Ed effettivamente tale sua convinzione è perfettamente esplicitata nell’album del ’71, che
prende il titolo da un verso della collina dall’antologia di Masters, che è suddiviso da un punto
di vista tematico, in due parti ben diverse: la prima parte, costituita dalle tracce Un matto,
Un giudice, Un blasfemo e Un malato di cuore, è incentrata sul tema dell’invidia, mentre la
seconda, della quale fanno parte Un medico, Un ottico e Un chimico, su quello della virtù. De
Andrè sceglie così i suoi personaggi da una rosa di oltre duecento epitaffi, dedicando il
rifacimento dei testi di Masters a Wendell Bloyood (il blasfemo), Selah Lively (il giudice),
Siegfied Iseman (il medico), Trainor (il chimico), Frank Drummer (il matto), Dippold (l’ottico),
Francis Turner (il malato di cuore) e al violinista Jones che si rivelerà essere figura centrale
dell’intero album. Differentemente da Masters, De Andrè decide però di non citare i nomi dei
suoi personaggi: dopotutto, questi non sono altro che parole, marchi destinati ad essere
anch’essi cancellati dalla mortale livella. L’unico nome che viene salvato è quello di Jones, che
per ragioni metriche, nei testi del Faber, diverrà un flautista: è lui il perno centrale attorno al
quale ruotano tutti i testi, capace di bilanciare equamente vizi e virtù, senza cadere preda
dell’invidia, ma neanche dell’ambizione e della ricerca di orizzonti irraggiungibili, simbolo della
potenza quasi salvatrice della musica , così come modello di vita di ogni singolo uomo; se la vita
del chimico terminerà senza un volto di donna da ricordare, quella del blasfemo a cause delle
botte di due guardie bigotte, mentre il malato di cuore mai riuscirà a sognare come le persone
sane, Jones vedrà l’ultimo dei suoi giorni con un flauto spezzato/ e un ridere rauco ricordi
tanti/ e nemmeno un rimpianto. La comprensione del Suonatore Jones è necessaria per
comprendere il messaggio che De Andrè lascia trasparire tra le note delle sue canzoni: è
inutile affannarsi in cerca di glorie e ricchezze perché la vera felicità sta nella capacità di
accontentarsi di vivere la gioia delle piccole cose quotidiane senza rivolgere mai un pensiero
non al denaro non all’amore né al cielo. Alla luce di tale considerazione sarà ora più semplice
capire il significato delle altre poesie che costituiscono il disco. La collina è davvero il
manifesto di tale concezione della morte e della vita ; per quanto l’uomo si affaccendi, il suo
destino è quello di riposare poi in eterno in questo palmo di terra su in collina , dove le spoglie
del rissoso Bert e del galeotto Tom sono gettate vicino a quelle di illustri re e generali che,
pur portando sul petto cimiteri di croci, confondono le loro ossa con quelle di esseri abietti.
Anche il matto riposa in collina, vittima delle prese in giro dei suoi compaesani, e vittima della
sua stessa invidia nei confronti di questi, che lo portò ad imparare la Treccani a memoria; lui,
metaforico simbolo della diversità e della ribellione a preconcetti e pregiudizi, terminerà la
sua vita in manicomio, sacrificato ai “valori” del conformismo e dell’appiattimento mentale: una
morte pietosa lo strappò alla pazzia. È sempre l’invidia il motore dell’agire e la causa della
trasformazione del giudice da ragazzo perseguitato a causa del suo nanismo a vera e propria
carogna, che riversa la sua frustrazione e odio nell’esercizio del suo mestiere, non conoscendo
affatto la statura di Dio.
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Simile a quello del matto è il ruolo che, metaforicamente, svolge nell’ambito dell’opera il
blasfemo, punito per non aver creduto in Dio e per aver affermato che questi imbrogliò il
primo uomo, e quando lo vide allungare le dita a rubargli il mistero di una mela proibita/ per
paura che ormai non avesse padroni,/ lo fermò con la morte, inventò le stagioni. Con la storia
del malato di cuore, De Andrè pone fine alla prima parte dell’album: l’invidia questa volta viene
sconfitta dall’amore per una donna e dalle emozioni che l’esperienza di un bacio dà al malato,
così forti da condurlo alla morte ( cominciai a sognare anch’io insieme al loro poi l’anima
d’improvviso prese il volo). La seconda parte è incentrata sul tema della virtù che, per quanto
possa essere esercitata, verrà sempre limitata e imbrigliata dalla dilagante malvagità e
inadeguatezza di un mondo destinato a vivere nell’anonimato: il medico, intrapresa questa
carriera per portare il suo aiuto ai più bisognosi (perché i ciliegi tornassero in fiore), si
troverà costretto ad essere ripudiato dalla sua famiglia e ad essere imprigionato per frode,
dopo aver tentato di porre rimedio alle sue difficoltà economiche creando un fantastico “elisir
di giovinezza”; il chimico passerà la sua intera esistenza in laboratorio, incapace di
relazionarsi con qualcosa di diverso da fiale ed esperimenti: la scienza dà certezze, l’uomo non
fa altrettanto ( fui chimico e non, non mi volli sposare, non sapevo con chi e chi avrei generato
/son morto in un esperimento sbagliato proprio come quei folli che muovo d’amore,/ e qualcuno
dirà che c’è un modo migliore); infine l’ottico che creerà strani occhiali, capaci di rendere il
mondo migliore agli occhi di chi li indossa e dietro le cui vesti si cela probabilmente la figura
metaforica della spacciatore di droga. È il suonatore Jones a chiudere questo vorticoso
turbine di emozioni; Jones, che fu sorpreso dai suoi novant’anni/ e con al vita avrebbe ancora
giocato; lui., che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero / non al denaro, non
all’amore né al cielo.
Manuel Apice, II E
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“ Acciaio “
Tratto dal romanzo di Silvia Avallone, “ Acciaio” è un film che racconta la storia di due
adolescenti piombinesi, il loro passaggio dalle scuole medie alle superiori. La loro vita e quella
delle loro famiglie ruota intorno all’acciaieria, l’ unica sicurezza rimasta agli abitanti della loro
città. Anna e Francesca si imbattono nelle difficoltà del crescere, sopportano ogni giorno i
problemi delle loro famiglie e la loro amicizia è la sola certezza che riesce a diminuire le loro
sofferenze. Vedono svanire i sogni dei loro coetanei, i quali terminano gli studi e si
rassegnano: il loro futuro è nell’ acciaieria. La maggior parte degli operai che vi lavorano
vorrebbe fuggire, abbandonare quella “ prigione” che non gli consente di realizzare i propri
desideri ma, allo stesso tempo, non ha la forza e il coraggio di andarsene e di lasciare l’ unica
realtà che conosce. Il padre di Anna, per il timore di trascorrere tutta la sua esistenza nell’
acciaieria, abbandona i figli e la moglie. Le ragazze vivranno un periodo di allontanamento,
durante il quale cercheranno di sopravvivere ognuna con le proprie forze superando molte
difficoltà e una grande disgrazia, la morte di Alessio, fratello di Anna. Alessio aveva dedicato
tutto sé stesso alla fabbrica ma questa, gli ha tolto la vita. “ Mi chiedo perché il futuro debba
essere altrove, da un’ altra parte”: questo è il grido d’ aiuto di Anna, la quale non vede alcuna
prospettiva per lei nella sua città. Attraverso questo film, il regista Stefano Mordini riporta
alla luce la dura realtà della “classe operaria” e le speranze piegate di molti giovani nel nostro
paese, il quale non concede molte possibilità a noi ragazzi.
Caterina Fabiano IIB
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COME RAPIRE ACCALAPPIARE CONQUISTARE IL PRINCIPE AZZURRO
AVVERTENZE: la lettura è sconsigliata ad un pubblico maschile non accompagnato, ai deboli di
cuore e a quelli che tutti i Natali si guardano la replica di Love Actually su canale 5.
Acquistabile senza ricetta medica, può contenere tracce di soia, uova o frutta a guscio.
Che guidi una Golf o un cavallo bianco, che abbia una folta chioma bionda o la piazzetta o
indossi un tupè, il Principe Azzurro è da sempre nell’immaginario femminile sinonimo di
romanticismo, perfezione e bla bla bla…
Giovani donne, il 14 Febbraio è il momento giusto per raccogliere tutte le nostre speranze
represse, agitarle per bene e sognare l’arrivo di un Principe Azzurro.
Sarà perché gli uccellini cantano, i ruscelli mormorano, i febbrili amori della stagione
primaverile esplodono in un turbine di cioccolato e fiori dall’ ambiguo colore … sentiamo che il
nostro Uomo Dei Sogni potrebbe essere dietro l’angolo, proprio dopo la rotonda tenendo la
destra.
“E come possiamo fare noi, Principesse Disperate®, ad attirare la Sua attenzione? La risposta
è una sola: catturandolo.”
“Noo, Martiii! Dai su. L’abbiamo ripassato insieme prima …”
“Quella della rete, il passamontagna e l’insetticida? ”
“No, quell’altra. Quella per gente semi-normale. Dai che ti ricordi... quella in cui la principessa
cerca di conquistare il principe e poi vivono felici e contenti … “
“… Fino a quando lei lo uccide con una mazza da baseball.”
“ Esatto! Con eventuali varianti per le principesse meno agguerrite …”
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Tornando a bomba, ecco dieci semplici punti da seguire per una sicura conquista:
1. Sapevatelo. Per prima cosa dovete conoscere la vostra vittima: esistono più di sessanta
specie diverse di Principe Azzurro, chiamato anche “Zzurro”. E’ fondamentale trovare quello
che più si abbina alle tende di casa propria, e ovviamente ai propri gusti, tuttavia noi ci
concentreremo sull’esemplare di “Zzurro Comune”.
2. Individuatelo. Animale complesso, lo Zzurro Comune ama aggirarsi in luoghi affollati e dal
clima continentale, ma non disdegna la montagna d’inverno e il mare d’estate. Ora che abbiamo
ristretto notevolmente il campo, non ci resta che mettere in pratica il nostro piano di
conquista.
3. Attiratelo. Frequentate il suo habitat naturale, passategli svariate volte davanti
guardandolo intensamente e piegando sensualmente la testa sulla spalla, mano destra sul giallo,
piede sinistro sul verde, mentre sventolate un pollo di gomma (potete trovarlo in qualsiasi
negozio per animali, anche in diversi colori). Sarà rapito dal vostro straordinario fascino.
Ovviamente ci sono tanti modi per farvi notare, noi abbiamo evidenziato i più gettonati. In
ogni caso, mentre attirate la sua attenzione cercate di non fare figuracce, è importante che
conserviate una certa dignità almeno per i primi periodi.
4. Confondetelo. Adesso ripetete il punto 3 con il suo amico, si sentirà spiazzato e comincerà a
fare cose strane: ridere, poi piangere, fare una giravolta, farla un’altra volta. Conquistarvi
ormai è diventato il suo unico scopo.
5. Storditelo. Cogliendolo alla sprovvista, presentatevi e iniziate a parlargli … anche in un’altra
lingua se non sapete cosa dire. Parlare serve a creare un punto d’incontro ed è importante per
capire se avete scelto l’esemplare giusto di Zzurro, magari siete inciampate su uno Zzurro
delle Alpi Apuane mentre il vostro tipo ideale è uno Zzurro Sapiens del Deserto. Adesso, il
nostro Principe, è pronto a subire il punto 6.
6. Abbandonatelo. Fuggite sul più bello con una scusa qualsiasi e lasciatelo solo a litigare con il
suo amico su chi vi conquisterà per primo. Ah, la forza della seduzione! Questione di poche ore
e lo Zzurro avrà appreso il vostro nome, cognome, luogo di residenza e condimento preferito
degli spaghetti di soia.
7. Aspettatelo … aspettatelo … aspettatelo … aspettatelo … aspesa… atsa e … as… p… DRIIIN!
Se le cose saranno andate per il verso giusto dopo ore e ore di intensa, isterica agonia
supportata dalla vostra migliore amica che cercava inutilmente di staccarvi la faccia dal
cellulare, lo Zzurro Comune non avrà tardato a farsi sentire in qualche modo.
8. Circuitelo . A questo punto dovete “chiedergli” di uscire. Fategli credere che in realtà è lui
a condurre il gioco: dategli indizi per fargli capire che siete interessate; siate esplicite, sennò
non ci arriva, ma non troppo. Cose classiche: frasi lasciate a metà, allusioni … teste mozzate di
cavallo, il suo ex giocattolo preferito sciolto in un barile d’acido.
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9. Uscitelo. Terrorizzato o abbindolato, sarete riuscite a strappargli un appuntamento. Dopo
tutto un pomeriggio passato a scegliere come vestirvi, un po’ per spirito di contraddizione, un
po’ per sfinimento, siete arrivate a pensare di uscire in mutande. Meraviglioso, adesso tornate
indietro e vestitevi. Mettetevi la cosa con cui vi sentite più a vostro agio, tanto il Principe
Azzurro non ci farà caso ed eviterete il dramma di aggiustarvi i collant che scendono ogni
quattro secondi. Sarete estremamente in anticipo, ma non importa, fate un giro dell’isolato e
fingete un ritardo, sempre molto scenico. Se piove, ricordate di dimenticarvi l’ombrello.
10. Finitelo. Ormai il gallo ha cantato tre volte, la carne è al fuoco e abbiamo già dato a Cesare
ciò che era di Cesare. Per concludere, fatevi riaccompagnare a casa che a Febbraio viene buio
presto e lanciatevi sul divano con un tuffo degno della Cagnotto. Avrete usato tutte le vostre
forze per rendere gradevole l’appuntamento, sarete sfinite, perciò struccatevi e tornate pure
a trascinarvi per la casa con l’esuberanza di un non-morto. Potete star sicure che vi scriverà
nel giro di qualche ora, ormai è fatta: fanciulle avete vinto!
Prendetevene cura, nutritelo e coccolatelo, fatene sfoggio con le vostre amiche fino al 14
Febbraio. Una volta ricevuta la cioccolata, eventualmente, scaricatelo.
FINE
Nota delle autrici: i consigli sopra riportati sono liberamente ispirati alla storia della nostra
vita. Lo sappiamo. Moriremo in solitudine attorniate da gatti.
“i gatti sono i migliori amici delle donne.”
(cit. rivisitata, Marilyn Monroe)
Martina Fabbri I A
Valentina Arecco I A
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