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In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa all'ufficio di Varese - Via S. Luigi Gonzaga, 8 -21013 GALLARATE (VA)
Spedizione: Poste Italiane SpA in abb. post. 45% art.2, comme 20/b, legge 662/96 - Autorizzazione Filiale P.T. VARESE
Dicembre 2013 - n° 76
Pubblicazione Trimestrale
Gesuiti missionari italiani
Dicembre 2013 - n° 76
Pubblicazione Trimestrale
Spedizione: Poste Italiane SpA - in abb. post. 45% art.2, comma 20/b, legge 662/96
Autorizzazione Filiale P.T. - VARESE
PROPRIETARIO
Casa di Procura dei Seminari delle Missioni Estere
della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù
via Donatello, 24 - 35123 Padova
in persona di P. Alessandro Mattaini S.I. - Con Approv. Eccles.
TIRATURA DI QUESTO NUMERO
10.500 copie
Entrato in tipografia il 04 - 11 - 2013
DIRETTORE RESPONSABILE
P. Giuseppe Bellucci S.I.
Via Borgo S. Spirito, 4 - Tel. 06/689771288 - 00193 Roma
REDAZIONE
P. Davide Magni SI
Grazia Salice
STAMPA
Arti Grafiche Baratelli s.n.c. - via Ca’ Bianca, 32 - Busto Arsizio - VA
Autoriz. del Tribunale Civile e Penale di Milano - n. 558 del 23/12/’93
Autoriz. Dir. Prov. VARESE del 6/10/1983
in copertina
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Scuola Benin: “Ogni bambino ha il diritto di apprendere”
Editoriale
Cambiare il MAGIS
di P. Nicola Gay SI Presidente MAGIS
C
ari Amici,
dopo una serie di cambiamenti interni, il
MAGIS ha un nuovo Presidente.
Vi sono giunto in modo inatteso. Il Provinciale mi ha chiesto la disponibilità
ad una maggiore assunzione di responsabilità: attualmente vice-provinciale
per il nord, ho assunto, infatti, l’incarico di continuare a traghettare il movimento missionario verso una nuova fisionomia. In questi anni, infatti, ci
siamo resi conto che una serie di situazioni che ci toccano da vicino stanno
cambiando e che, quindi, è necessario cambiare anche il MAGIS.
Lo faccio con interesse, incuriosito dalla sua storia e attività. Mi inserisco in
un contesto in cui è già in corso un ripensamento, per di più orientato.
Infatti, dopo il grosso lavoro di potenziamento del MAGIS (trasformazione
in ong e poi da associazione a Fondazione) portato avanti dal Presidente
Petrini con i Pp. Libralato e Di Gennaro, negli ultimi anni sono stati avviati
ulteriori aggiornamenti con il contributo di alcuni nostri missionari cui il Provinciale ha chiesto di aiutarci ad aiutare meglio i missionari stessi: P. Franco
Martellozzo per alcuni periodi e P. Agide Galli, presidente negli ultimi 18
mesi. Inoltre il rinnovamento del Consiglio e l’arrivo di alcuni giovani Padri
quali Renato Colizzi, Davide Magni, oltre a Guglielmo Pireddu, destinati
a tempo pieno o parziale, ha reso più concreta tale evoluzione.
Mi inserisco, ultimo in ordine d’arrivo, in questo rinnovamento, che esprime
la continuità dell’impegno e dell’interesse della Compagnia in Italia per la
missione, invitando però anche ciascuno di voi a mettersi in gioco, a scendere con me in campo, perché MAGIS non sia solo una parola.
Avverto, infatti, il bisogno di una maggiore conoscenza, stima e collaborazione reciproca.
Abbiamo forse perso, strada facendo, in questi 25 anni il suo significato?
I suoi progetti hanno camminato anche grazie a voi, arrivando lontano:
donne, bambini, uomini ne hanno raccolto i frutti. Ora, però, sentiamo l’esigenza di crescere ancora nel rendere sempre più ignaziano il MAGIS, avvalendoci del contributo delle forze giovani ed entusiaste che sono
arrivate, ma anche di tutti voi che ci leggete e ci sostenete.
Una priorità del MAGIS è lavorare qui con i Gesuiti (con tutti i Gesuiti) poiché – lo ricordo – il MAGIS è l’opera missionaria della Compagnia di Gesù
e rappresenta l’espressione unitaria dello slancio missionario dei Gesuiti
italiani.
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Indice
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EDITORIALE
Cambiare il MAGIS - di P. Nicola Gay SI - Presidente MAGIS
Formazione alla leadership in Africa - di P. Agide Galli SI - Italia
Il CDA del MAGIS ringrazia P. Agide Galli SI - Italia
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EMERGENZA SIRIA
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PROGETTI MAGIS
Campagna educazione 2014 - Investi nel futuro del Benin
Il percorso del cittadino - Benin
Progetto Licei CEI - di Lea Lombardo - Italia
Per stare bene a scuola - di Ernesto Zaccaria - Albania
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INTERVISTE
Con i giovani in cammino - a P. Giustino Béthaz SI - di Grazia Salice
- Brasile-Madagascar
Non fare di tutt’erba un fascio - di P. Dorino Livraghi SI - di Grazia Salice
- Repubblica Centrafricana
La scuola? Un posto in paradiso! a P. Renato Corti SI - di Grazia Salice - Ciad
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TESTIMONIANZE
La cattedrale St. Ignazio di Mongo - di Mons. Henri Coudray SI - Ciad
Una cattedrale nel deserto? - di P. Franco Martellozzo SI - Ciad
Una formazione nel solco della tradizione - di P. Gino Picca SI - Taiwan
Quanti siamo? - di P. Ippolito Chemello SI - Brasile
40 anni: i silenzioni benefattori - di P. Gigi Muraro SI - Brasile
L’incendio di São Jorge 27 novembre 2012 - di P. Gigi Muraro SI - Brasile
Andare dove non desidero - di P. Fernando Lopez SI - Brasile
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INSERZIONI
Il tuo lascito al MAGIS
POPOLI
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LE SEDI DEL MAGIS - Elenco e Indirizzi
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Agisce per il servizio della fede e la promozione della giustizia attraverso lo
sviluppo integrale dei popoli più svantaggiati, per la promozione del dialogo interculturale e interreligioso.
In questa direzione, oggi, vuole costituire o potenziare dei gruppi per collaborare con i Gesuiti africani, nelle opere delle nostre province africane,
di preferenza nel campo della formazione dei giovani che frequentano i
nostri collegi, scuole professionali, centri sociali e culturali, per prepararli ad entrare nella società dove, più tardi, nella loro vita professionale,
possano testimoniare i valori del rispetto del bene comune e del servizio
del loro paese, ispirandosi alla fede cristiana.
La nostra parola chiave – l’avrete già capito - è FORMAZIONE.
Il nostro obiettivo è puntare maggiormente alla formazione, consapevoli che
per questi progetti è più difficile trovare finanziamenti. Ma l’ignazianità consiste anche nel fare quelle cose che risultano più difficili, come l’attenzione a far crescere cristianamente le persone. È quello che ci chiede il
Papa: andare verso le periferie, nelle situazioni più difficili
Proprio per condividere questi obiettivi e farli maturare, P. Renato Colizzi
ha preso, la scorsa primavera, contatti con alcuni padri Gesuiti, responsabili di centri di formazione per i ragazzi in età scolare in alcuni Paesi dell’Africa centro-occidentale, come il Senegal, il Togo, il Benin e il Burkina
Faso. Questa scelta è stata presa alla luce dell’esperienza maturata da P.
Agide Galli che ha lavorato per molti anni nel campo della formazione dei
giovani in questi paesi.
Questo progetto del MAGIS vuole contribuire all’apertura della nostra Provincia alla dimensione mondiale della nostra missione.
Chiunque appartenga ad uno dei molteplici movimenti, animati e guidati dai
Gesuiti in Italia, deve sentirlo come cosa propria, operare per farlo conoscere, desiderare di entrarvi con un contributo personale di idee e proposte.
Il MAGIS non è un gruppo in concorrenza o che si aggiunge a quelli già esistenti, ma una realtà che tutti li dovrebbe comprendere e dai quali attingere
energie, essere arricchito per arricchirli di una prospettiva di più ampio respiro, ancorata nel progetto della Provincia.
A questo scopo il MAGIS sta lavorando su tre fronti:
1. Qui in Italia, nel rispetto dei gruppi legati ai missionari, alla Lega Missionaria o altro, deve loro fornire una formazione ignaziana alla mondialità.
2. Sempre in Italia deve penetrare licei, università, parrocchie e altre istituzioni per condividere la visione ignaziana alla mondialità e costituire, dove
è possibile, dei gruppi MAGIS, capaci di condivisione con le opere dei Gesuiti nazionali in Africa o altrove, cominciando dalla provincia della PAO (ex
Africa Francese).
3. Approfondire e meglio strutturare i contatti con i Gesuiti africani e le loro
opere a partire da quelli della PAO.
Il lavoro non manca. Il Signore ci aiuti a compierlo secondo il suo volere.
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Italia
Formazione alla
leadership in Africa
di P. Agide Galli SI
P. Galli, destinato nel 1961 al Ciad, vi arrivò nel 1965, al temine di 4 anni di
teologia a Lione, dove per 5 anni svolse un lavoro pastorale (parrocchia) nel
sud del pase; dal 1970 al 1979 diresse il Centro di formazione di catechisti.
Dal 1979 al 1985 fu Provinciale della PAO con sede a Douala (Cameroun).
Dal 1985 al 1996 rientrò a Roma in qualità di assistente del P. Generale per
l’Africa, dove ritornò dal 1996 al 2001 come rettore del Seminario Maggiore
di N’Djamena in Ciad. Dal 2001 al 2011 ricevette l’incarico di iniziare la presenza della Compagnia in Togo, a Lomé, la capitale. Dal 2011 al 2013 è stato
presidente “pro tempore” (ad interim per 1 anno e ½) del MAGIS.
S
ono vissuto in Africa o al servizio dell’Africa in quella cinquantina
d’anni che hanno visto l’indipendenza di un numero importante di
paesi africani (anni ‘60). Non parlo da esperto in qualche disciplina
come potrebbe farlo un etnologo, un economista o un esperto in politica
africana. Parlo da missionario, per il quale gli africani sono persone alle
quali sono stato inviato ad annunziare il Vangelo con parole ma anche attraverso relazioni di stima reciproca, di condivisione e di solidarietà. Sono
un prodotto del Concilio Vaticano II che si svolgeva mentre mi preparavo
al sacerdozio.
La generazione di missionari che ci ha preceduto, ha avuto come ideale e
motivazione religiosa di annunziare il Vangelo e convertire delle popolazioni
che bisognava salvare. Si sentivano in dovere di fare tabula rasa di quanto
trovavano per costruire l’uomo cristiano. Erano delle persone meravigliose,
di una grande generosità, pronte a dare l a vita per salvare delle anime,
senza disprezzo, ma orientati da una teologia che sottovalutava i valori
umani e religiosi delle persone che erano venuti ad evangelizzare.
Dico questo senza neanche troppo generalizzare.
Il Concilio Vaticano II aprì prospettive nuove che hanno dato origine a un
comportamento pastorale molto diverso, a volte anche a degli eccessi:
esperienze nel volersi identificare con le popolazioni locali, assumendo il loro
modo di vita, spesso conclusesi con grande disillusioni e scoraggiamenti.
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Il mio professore di storia delle religioni (J. Goetz) mi aveva insegnato che
ciò che conta è saper istaurare un dialogo, mantenendo un’alterità nel rispetto reciproco dei valori propri e altrui.
Era anche inevitabile che la presenza dei missionari che servirono prima
delle indipendenze potesse dare adito al sospetto di connivenza con il potere coloniale, anche se quest’ultimo non è stato sempre favorevole alla
presenza missionaria dei cattolici (il governo francese durante la 3° Repubblica).
Arrivato in Africa in un contesto post-coloniale, ho assistito all’evoluzione di
questi paesi. In realtà l’occupazione coloniale non aveva fatto che cambiare
pelle: i processi di evoluzione verso le indipendenze erano stati pilotati dalle
potenze coloniali attraverso ingerenze profondamente ingiuste e disoneste.
Le conseguenze naturali sono state le dittature favorevoli alle potenze coloniali cui sono succedute, ancora oggi l’espressione della volontà del
paese colonizzatore di mantenere un’influenza determinante sulla vita politica ed economica dei vari paesi. I paesi coloniali hanno difficoltà a capire
che la colonizzazione è perversa in se stessa, un’ingiustizia grave che non
ha giustificazioni (bisognerebbe invece domandare perdono come faceva
Giovanni Paolo II). Lo spirito coloniale nasce dall’ignoranza e dal disprezzo
dell’identità e del diritto di libertà e di essere diverso dell’altro, istaura un
rapporto di superiorità e di sudditanza indebiti. Senza voler idealizzare le
culture dei diversi paesi dell’Africa, un contatto rispettoso e profondo permette di costatare l’esistenza di grandi valori umani e di scoprire un grande
equilibrio all’interno di ogni cultura. È evidente che tutto non è positivo nelle
culture africane: come per tutte le altre culture, anch’esse hanno bisogno di
confrontarsi con il Vangelo e di lasciarsi purificare. La colonizzazione si è
manifestata attraverso una superiorità tecnologica, militare, organizzativa
che ha sedotto le popolazioni africane. Per la verità, la colonizzazione ha incontrato anche delle resistenze in difesa dei valori tradizionali che sono stati
soffocati con la forza. Malgrado la seduzione del modo di vita della potenza
colonizzatrice, l’ingerenza violenta ha provocato una grave ferita e inferto
un’umiliazione profonda, ancora oggi risentite con grande sofferenza. È innegabile, però, che questa ingerenza abbia dato origine a un nuovo modo
di essere - la francofonia e il common wealth -, a una nuova appartenenza.
Qual’è la situazione dopo 50 anni d’indipendenza?
In questo periodo la parola magica è stata “lo sviluppo”. All’inizio si designavano questi paesi come “sottosviluppati”; in seguito come “in via di sviluppo”. Poi si è parlato di sviluppo durevole che in seguito è diventato
sostenibile. Adesso si preferisce parlare di paesi “emergenti”.
Ma quale sviluppo? È uno sviluppo tecnologico, economico, scolastico,
sanitario, della qualità di vita che implica uno spopolamento delle campagne e un gigantismo delle città (e che poi questo sviluppo non si improvvisa per cui tutte le strutture si det eriorano e la vita in città diventa
pericolosa). Tutto ciò è accompagnato dallo sfruttamento delle materie
prime (petrolio, minerali più o meno rari, diamanti, legno delle foreste,
adesso anche i terreni per culture per i bio carburanti ecc). Le percentuali
dei profitti che restano in Africa, anche se non sono molto elevate, rappresentano delle cifre importanti e sono un’improvvisa ricchezza a disposi zione di persone che non hanno avuto una preparazione adeguata ad un
uso in favore del bene comune. Ne è sortita:
- una élite, una minoranza che condivide il potere con il dittatore, che si è
arricchita con dei metodi corrotti, che non ha nessuna sensibilità per le sofferenze del resto della popolazione
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- una maggioranza della popolazione, povera (quella nei cui confronti gli
occidentali sono sensibili), che vive di un’economia di sussistenza (agricoltura tradizionale, artigianato, espedienti oppure delinquenza)
- una fascia intermedia di popolazione che ha ricevuto una certa formazione intellettuale, artigianale, professionale, costituita da funzionari, insegnanti, commercianti, ma sempre alla mercé dei cambiamenti politici
- la gente vive sul clientelismo, la solidarietà etnica, la solidarietà familiare
e ricercando lavoro all’estero: per molti paesi l’introito più importante proviene dal lavoro all’estero, in Europa, in America ma anche in Africa: Africa
del Sud, Gabon, Nigeria, Angola...
E lo sviluppo umano?
Che ne è di quei valori che sono insiti nella natura umana, di onestà, senso
di responsabilità, rispetto del bene comune, servizio alla società, l’accettazione della diversità dell’altro, la vera solidarietà familiare, la valorizzazione
della donna? Purtroppo un bilancio su questo tipo di sviluppo sarebbe largamente fallimentare. I soldi, la carriera politica, un posto importante nella società, anche a scapito degli altri, sono i nuovi dei e ideali e, per ottenerli, tutto
è permesso. Si vive in una società che non si scandalizza di niente, che accetta di subire le conseguenze della disonestà e della corruzione.
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Quali scelte fare sul piano apostolico?
A 71 anni sono stato inviato in Togo insieme ad un altro gesuita francese
dove, in accordo con il Vescovo di Lomé, abbiamo scelto di aprire un Centro Culturale in un quartiere in piena espansione, multi etnico e di famiglie appartenenti a tutti gli strati sociali. In quartieri di questo tipo, i problemi si
complicano per il fatto che i gruppi etnici portano con loro delle eredità pesanti che li oppongono gli uni agli altri (rancori che risalgono nel tempo o,
come in questa regione, a causa della tratta degli schiavi) ai quali si sovrappongono delle opposizioni per ragioni politiche, come il caso di un padre di
famiglia che voleva imporre l’aborto a sua figlia, avendo saputo che il padre
del bambino era un ragazzo appartenente ad un gruppo etnico rivale. In un
contesto come questo i giovani rischiano di essere immersi in un mondo dove
si sono persi i punti di riferimento tradizionali, sostituiti da proposte di una
società che non ha niente di costruttivo da proporre e nella quale i genitori o
sono estremamente autoritari o rinunciano o sono incapaci di dare un’educazione ai loro figli (altra complicazione è la poligamia). Ci siamo messi all’opera, non da soli ma in collaborazione con persone togolesi e africane
competenti e capaci (gesuiti e laici) sia nella realizzazione delle infrastrutture
che nella direzione e gestione delle opere. È stata costruita una residenza
con lo scopo di proporre in collaborazione con i sacerdoti togolesi della parrocchia, ai cristiani di questo quartiere (circa il 30%) l’opportunità di una vita
sacramentale, un accompagnamento spirituale, gli Esercizi spirituali, pastorale vocazionale, gruppi CVX, MEJ, servizio liturgico, la corale ecc... In seguito, abbiamo costruito un centro culturale con lo scopo di offrire ai giovani
una formazione complementare a quella che ricevono sia nelle scuole pubbliche o private del quartiere che nelle famiglie. Più tardi ci è stato possibile
acquisire due terreni sui quali abbiamo creato le infrastrutture di un complesso sportivo. E, per finire, in seguito ad una proposta venutaci dalla rete
di lotta contro l’AIDS della Compagnia in Africa (AJAN), abbiamo costruito
mamma con il suo bimbo
al CEL di Lomé
un centro di lotta
contro l’AIDS che si
occupa di dépistage
(screening), accompagnamento psicologico
e spirituale degli ammalati, attività di prevenzione, sostegno
degli orfani di genitori
morti a causa dell’AIDS.
Quando dico “che abbiamo...” è perché
quanto è stato realizzato è frutto di una
vera collaborazione
nella quale l’apporto di togolesi e africani di altri paesi è stato determinante.
Mentre vivevo questa mia piccola esperienza in Togo, negli altri dieci paesi
che compongono la Provincia dell’Africa Occidentale (PAO) di espressione francese, si facevano esperienze analoghe in altre opere che nella quasi
totalità sono dirette e gestite ormai da gesuiti africani: 2 collegi, 2 centri sociali, 6 centri culturali, 3 centri per la lotta contro l’AIDS, Cappellanie universitarie, Parrocchie, un Seminario, case di formazione. Questa provincia è
composta di 257 gesuiti in grande maggioranza africani, mentre in Africa esistono 8 province religiose con un totale di circa 1500 gesuiti.
Al temine di 10 anni di lavoro in Togo, sono stato richiamato in Italia per collaborare al MAGIS, la forma giuridica mediante la quale si esprime lo spirito
missionario “Ad Gentes” al servizio della Chiesa Cattolica. È una struttura
che ha dato aiuto e sostegno al lavoro missionario, impegnandosi nella ricerca di fondi che hanno permesso la realizzazione di un numero molto importante di progetti in numerosi paesi al Sud del globo. Un lavoro molto
meritevole e utile che si potrebbe protrarre all’infinito, perché di bisogni ce ne
saranno sempre, ma non si ha il diritto di dimenticare il dovere di essere attenti a non mortificare, anche se le intenzioni sono buone, la dignità delle persone che si vogliono aiutare. È indispensabile saper leggere i segni dei tempi.
E l’Africa, in questi ultimi 50 anni, è veramente cambiata. C’è stata una rapida evoluzione delle relazioni culturali e finanziarie tra i paesi al Nord e al
Sud del mondo, come pure un cambiamento delle mentalità in seno alle popolazioni. Ciò ha indotto il MAGIS a intraprendere un’evoluzione dell’espressione missionaria della Provincia d’Italia, ad adeguarsi alle nuove realtà,
orientandosi verso una proposta di collaborazione con opere della nostre
Province africane, di preferenza nel campo della formazione dei giovani che
frequentano le nostre opere (collegi, scuole professionali, centri sociali e culturali) preparandoli ad entrare nella società per testimoniare più tardi nella
loro vita professionale i valori del rispetto del bene comune e del servizio del
loro paese, ispirandosi alla fede cristiana.
In quanto espressione dello spirito missionario della provincia d’Italia, MAGIS
si pone come scopo di partecipare alla promozione di attività apostoliche che
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rispondano alle priorità tradizionali della Compagnia attraverso la realizzazione di progetti, ispirati alle caratteristiche della spiritualità ignaziana. Noi
pensiamo che lo spirito missionario si dovrebbe esprimere oggi per mezzo di
una collaborazione piuttosto che attraverso un’assistenza caritativa a senso
unico. Davanti alla costatazione dell’assenza nelle nostre società, in Africa
come pure in Europa, di uomini e di donne che nell’esercizio delle responsabilità pubbliche e professionali si ispirino alla fede cristiana, MAGIS si propone di orientare il sostegno finanziario che sarà necessario, verso la
realizzazione di programmi specifici di formazione alla leadership che si
ispirino alla spiritualità ignaziana.
Un programma non di carattere accademico ma di formazione teorica di buon
livello, in parallelo con un accompagnamento spirituale (individuale e di
gruppo), che proponga a dei giovani, su loro libera adesione, anche delle
esperienze apostoliche per sensibilizzarli alle ingiustizie presenti nella società.
Questi percorsi di formazione avrebbero una durata di due o tre anni e potrebbero far sorgere delle vocazioni al servizio del bene comune e della società.
È una pista di ricerca che potrebbe favorire la nascita, nelle nostre comunità
cristiane, di una tradizione e una cultura della solidarietà e disponibilità ad
assumere delle responsabilità nella gestione della cosa pubblica.
Nell’organizzazione di questi programmi, si dovrebbe tener conto di un’esigenza propria alla pedagogia ignaziana di alternanza tra l’insegnamento
e l’azione sociale e apostolica per formare i giovani alla responsabilità civile. S. Ignazio ha voluto dei collegi che fossero capaci di formare giovani che
potessero e volessero partecipare con intelligenza e efficacia al bene della società. Dei giovani capaci di fare della loro azione e del loro impegno una decisione nel senso del “magis”, d’un migliore servizio di Dio, dei fratelli e delle
sorelle. Dei servitori che sappiano amare non a parole ma con dei fatti. Nello
stesso tempo, un tale orientamento, potrebbe contribuire a mettere meglio in
evidenza lo scopo ultimo delle istituzioni di formazione della Compagnia.
L’eccellenza accademica è certo un aspetto di primaria importanza nelle nostre istituzioni, ma essa deve essere in funzione di altri aspetti della formazione integrale che deve essere impartita ai giovani, perché diventino, come
ce lo ha insegnato P. Arrupe, uomini e donne di servizio secondo il Vangelo
o, secondo una sua altra espressione, “uomini e donne per gli altri”.
Questo modo di collaborare con le nostre istituzioni di formazione in Africa,
potrebbe produrre le condizioni favorevoli a degli incontri tra giovani africani
e italiani interessati alle stesse problematiche. Compito del MAGIS proporre
questo tipo di incontri interculturali e offrire l’opportunità di un approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, creando ad un tempo legami interpersonali che favoriscono il superamento dei pregiudizi reciproci esistenti.
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I primi passi, in collaborazione con i gesuiti africani della PAO, sono già stati
fatti e un primo progetto di formazione ad una leadership al servizio della società è appena stato avviato. P. Renato Colizzi ha già incontrato in Africa P.
Koulyo Dalroh, direttore dell’Ufficio per le Opere Sociali della PAO. In un secondo incontro, programmato per il mese d’ottobre 2013, oltre a P. Koulyo,
P. Colizzi incontrerà alcuni direttori di Opere della Compagnia, con i quali già
ha avuto dei contatti in occasione del suo primo viaggio, per precisare i termini della nostra collaborazione e accelerare la realizzazione.
Italia
Un grazie a P. Agide Galli
G
razie, semplicemente grazie sono le parole con le quali Padre Nicola
Gay SI (Presidente), Renato Scalia (Vicepresidente), Padre Renato
Colizzi SI, Laura Coltrinari, Pietro Covini, Romolo Guasco e Antonio Rampinini – membri del CdA del MAGIS – esprimono a P. Agide Galli
la stima e la riconoscenza per l’opera da lui prestata in qualità di presidente
ad interim negli scorsi diciotto mesi di attività della Fondazione.
A loro si uniscono Antonio Landolfi, Segretario generale, e tutti i collaboratori di Roma, Palermo, Milano e Gallarate.
Un grazie a P. Agide per essere un esempio di disponibilità e di servizio in
una non facile fase, a volte scomoda, di cambiamento, per aver saputo con
ponderatezza e fondata esperienza ascoltare, valutare e indicare il cammino da intraprendere per il futuro.
I collaboratori dell’ufficio MAGIS di Gallarate che con lui hanno condiviso
più assiduamente il lavoro e le difficoltà, scoprendo nella frequentazione
quotidiana la sua disponibilità, sono lieti di poterlo avere ancora al fianco
nel loro lavoro, in particolare nell’accoglienza dei Missionari.
Aloisianum - P. Agide Galli
attorniato dai giovani
del corso di missiologia
di P. Davide Magni
con alcuni collaboratori
di Gallarate e Milano
Emergenza
Siria
G
razie a tutti i donatori che nei mesi scorsi hanno risposto all’appello del
MAGIS per la Siria. Oltre 7.000 euro sono stati raccolti e distribuiti ai
campi profughi, al Monastero Mar Musa, ai rifugiati siriani in Italia.
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Il tuo e il nostro impegno non può fermarsi qui!
Circa un anno fa i rifugiati registrati o in attesa di registrazione erano oltre
200.000 (dati JRS).
Oggi occorre far fronte a oltre due milioni di rifugiati siriani che cercano
aiuto in modo diverso.
Il MAGIS chiede a tutti di aumentare insieme gli aiuti.
Che cosa puoi fare tu con una donazione:
• Sostenere i campi profughi in Sira con il Jesuit Refugee Service
• Aiutare le famiglie siriane rifugiate in Italia con il Centro Astalli
• Provvedere al sostegno economico del monastero Deir Mar Musa
con l’Associazione Al Khalil
Come donare:
• CCP 909010
intestato a MAGIS Movimento e Azione Gesuiti Italiani per lo Sviluppo
Causale: Emergenza Siria
• CONTO CORRENTE BANCARIO:
IBAN: IT 07 Y 03069 03200 100000509259
intestato a MAGIS Movimento e Azione Gesuiti Italiani per lo Sviluppo
presso INTESA-SANPAOLO SPA - Causale: Emergenza Siria
• Online su www.magisitalia.org
Per maggiori informazioni: UFFICIO CAMPAGNE
email: [email protected] Tel. 06/69700280
COSA FACCIAMO CON UNA DONAZIONE
Supporto ai campi
profughi in Siria e Libano
Sostegno al Monastero
Deir Mar Musa
Aiuto alle famiglie siriane
rifugiate in Italia
Investi nel futuro del Benin
Campagna educazione 2014
“Voglio andare a scuola...”
Q
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ualche mese fa, Padre Elphège Quenum SI, mentre si recava al
CREC (Centre de Recherche, d’Étude et de Créativité) dei padri Gesuiti di Cotonou, in Benin, vede avvicinarsi Eric, ragazzo di 12 anni,
che con la voce spezzata dalla vergogna lo saluta e gli lascia un foglio con
scritto: “voglio andare a scuola”.
Eric è figlio di una famiglia numerosa che vive a Godomey, quartiere dormitorio di Cotonou dove vivono famiglie emarginate, sofferenti, in balia di
sette, dove molti ragazzi e giovani vivono allo sbando.
Il padre di Eric è solo e con molti figli da accudire; non riesce più a garantire ad Eric l’iscrizione scolastica.
La situazione di Eric è comune a molti ragazzini in Benin che si trova al
166° posto su 187 Paesi nell’Indice di Sviluppo Umano (dati UNDP 2012).
Nonostante l’istruzione sia un diritto fondamentale e inalienabile sancito
dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, esso non è
ancora garantito a tutti i bambini.
INSIEME POSSIAMO GARANTIRLO
Che cosa facciamo con una donazione:
1) garantiamo la frequenza scolastica a ragazze e ragazzi che vivono in condizioni familiari svantaggiate,
2) sosteniamo le attività formative e culturali del CREC.
Come donare
c/c postale 909010
causale: Educazione 2014
c/c bancario
IBAN: IT 07 Y 03069 03200 100000509259
intestato a MAGIS Movimento e Azione Gesuiti Italiani per lo Sviluppo
presso INTESA-SANPAOLO SPA
Online su www.magisitalia.org
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali.
L'istruzione elementare deve essere obbligatoria.
L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti
e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base
del merito.
L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità
umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia
fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle
Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.
(Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Art. 26)
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Progetti
Benin
Il percorso del
cittadino
I
l Benin, antico regno del Dahomey,
è oggi una repubblica presidenziale,
la capitale è Porto-Novo, ma Cotonou ne è il cuore economico. Si affaccia a sud sul Golfo di Guinea e confina
ad Ovest con il Togo, a nordovest con
il Burkina Faso, a nord con il Niger e a
est con la Nigeria. Nel paese convivono più di cinquanta differenti gruppi
linguistici e quasi altrettante etnie. La
maggior parte dei vari gruppi etnici ha
una propria lingua; tra le più diffuse il
fon e lo yoruba. Il francese è utilizzato
come lingua ufficiale (il paese è parte
dell'Africa francofona) ed è parlato soprattutto nelle aree urbane.
Con i suoi 78 abitanti per kmq, il Benin
è tra i Paesi più densamente popolati
dell’Africa occidentale e presenta una
situazione economica fortemente condizionata dai debiti contratti nel corso degli anni nei confronti della comunità internazionale, unita ad una debole capacità produttiva che espone il
paese a frequenti crisi.
La religione indigena è il Vodum (o Voodoo, come è conosciuto comunemente) poi introdotto in Brasile, nelle isole caraibiche e in parte del Nord
America dagli schiavi prelevati da questa zona della Costa degli Schiavi. Dal
1992 il Vodun è stata riconosciuta come una del le religioni ufficiali del
Benin, e una Festa Nazionale del Vodun è celebrata il 10 gennaio. Nel 2011
il Benin ha celebrato il 150° della sua evangelizzazione: era il 18 aprile
1861 quando i Padri Francesco Borghero e Francisco Fernandez, tra i fondatori della Società delle Missioni Africane, sbarcarono a Ouidah.
I Cristiani sono oggi stimati attorno al 42,9%: un 27,2% i Cattolici, i Cristiani
celesti il 5%, i Metodisti 3,2%, altri cristiani 7,5%. Vudù 17,3% e Musulmani
24,4%.
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La presenza dei Gesuiti in Benin
Risale al 1985, quando l’allora arcivescovo di Cotonou, Mons. de Souza,
espresse al Provinciale della Provincia dell’Africa Occidentale (PAO),
P. Agide Galli SI, il desiderio di affidare la responsabilità della parrocchia
rurale di Sèhouè, a 90 Km a nord di Cotonou, a un’équipe di Gesuiti, perché diventasse un modello d’attività propriamente pastorali con opere di
svi luppo agricolo e di formazione professionale. Trascorsi 16 anni di servizio, la parrocchia passò al clero diocesano e la Compagnia accettò la richiesta di Mons. Nestor Assogba, arcivescovo di Cotonou, di continuare a
lavorare nel settore dell’accompagnamento spirituale di giovani e adulti, in
stretta collaborazione con il clero locale.
Una democrazia prigioniera della corruzione
Raggiunta l’indipend enza nel 1960, il Paese conobbe un’instabilità politica
e se queste turbolenze furono superate felicemente, tanto del merito è dovuto all’intelligenza e alle capacità personali di Mons. Isidore de Souza, arcivescovo di Cotonou, deceduto nel 1999. La Conferenza nazionale delle
forze vive del paese, che egli presiedeva nel 1990, riuscì a far passare il
paese da un regime a partito unico di stampo mar xista-leninista, ad un regime democratico, durato fino al presente. Esempio di transizione riuscita
cui si sono riferiti a quell’epoca vari altri paesi africani. Ciò nonostante,
oggi, la democrazia del Benin è afflitta da molti mali tra cui corruzione, crisi
sociali, problemi riguardanti la gestione dei beni pubblici, mal funzionamento della giustizia, solo per citarne alcuni. È anche uno tra i Paesi dell’Africa che sta attraversando una trasformazione culturale senza
precedenti: tra una decina d’anni, infatti, più della metà della popolazione
sarà urbana il che, com’è prevedibile, comporterà un cambiamento se non
uno stravolgimento dei valori tradizionali di cui già si colgono i segnali.
17
Il CREC una missione di frontiera
I Gesuiti, fatto discernimento sui profondi cambiamenti in atto nella vita,
nelle relazioni umane e sull’organizzazione sociale del Paese, hanno deciso
di privilegiare l’accompagnamento e la formazione dei giovani e degli adulti.
È nato così il CREC (Centro di Ricerca, Studi e Creatività) di Cotonou: una
missione alle frontiere delle sfide lanciate dal mondo urbano, per offrire una
formazione religiosa, accademica, psicologica, umana e civica di alta qualità, in sinergia con le parrocchie, i gruppi e le aggregazioni laiche e cattoliche in tutto il Benin.
Con questo progetto si rivolge agli studenti delle scuole superiori e agli universitari e, attraverso di loro, ai genitori, residenti a Godomey, quartiere
dormitorio di Cotonou, dove una comunità sovrappopolata aggrega una
gioventù strumentalizzata, economicamente esclusa, socialmente emarginata, in balia di movimenti esoterici e sette, umanamente sofferente: una
gioventù allo sbando, i genitori disorientati. C’è una recrudescenza della
delinquenza giovanile: almeno tre giovani - così dicono le statistiche dei
centri di repressione della delinquenza - sono incarcerati ogni due ore!
Il CREC si propone da un lato di rendere i giovani capaci e informati nonché di fornire loro gli strumenti per esercitare una cittadinanza attiva per lo
sviluppo del paese e formati ai valori evangelici per un effettivo coinvolgimento nelle decisioni sociopolitiche del loro paese; dall’altro, sostenere
anche i genitori nel loro compito educativo.
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“Il percorso del cittadino” è il progetto di Formazione che il MAGIS,
dopo la missione di P. Renato Colizzi SI in alcuni paesi della Provincia
dell’Africa centro-occidentale, ha deliberato di sostenere come partner del
CREC per l’accompagnamento dei giovani (innalzamento del livello scolastico e universitario) e la formazione di una leadership adulta in una società
cosmopolita, al fine di
preparare una nuova generazione che sappia affrontare la vita pubblica
del paese nel rispetto dei
valori della democrazia,
contrastando la corruzione dilagante. Il progetto è stato volutamente
strutturato attorno ad un
programma flessibile e di
breve durata per poter essere facilmente rimodulato per un maggior
numero di destinatari. Si
inscrive in una riflessione
più ampia, legata al coinvolgimento anarchico dei
giovani nel processo elettorale.
Un’educazione tra pari
Mira a preparare dei giovani volontari ad agire, in modo responsabile e rispettoso, con un’attenzione speciale alla sensibilizzazione e al sostegno rivolto alle ragazze, future donne e auspicabili leader in ambito politico ed
economico. Coinvolgerà cento giovani: i primi quattro mesi dedicati alla formazione, i restanti otto per consentire loro di mettere in pratica la formazione ricevuta, confrontandosi con i loro pari.
Un’identità ignaziana
Due le dimensioni fondamentali che lo identificano come un progetto al
quale partecipa il MAGIS, espressione dello spirito missionario della Provincia d'Italia. Il MAGIS, infatti, non è una ONG come le altre ma è uno
strumento di evangelizzazione che non può prescindere dall'annuncio
esplicito del Vangelo e di quei valori che il Vangelo aiuta a portare a compimento.
Intende perciò proporre a quei giovani, tra i cento che seguono il "percorso del cittadino", una proposta ulteriore che presenti le caratteristiche
della società alternativa che il Vangelo chiede di animare.
Questo approfondimento dovrebbe comportare lo studio della dottrina
sociale della Chiesa, un accompagnamento spirituale di gruppo e individuale, attività apostoliche regolari rivolte ai poveri e agli emarginati e 1 o
2 campi nei periodi delle vacanze scolastiche che associno attività ricreative a momenti di studio e riflessione o magari incontri con giovani di altre
culture.
Questo programma dovrebbe avere come scopo esplicito la preparazione
di giovani a diventare nella società dei servitori del bene comune, dando
alla parola "servizio" il senso dato da Gesù Cristo, quando ha detto ai suoi
apostoli: "Sono in mezzo a voi come colui che serve".
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Italia
Diamo il magis attraverso il MAGIS
di Serena Bulgarella e Lea Lombardo
P
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resso il settore dei Licei del Centro Educativo Ignaziano di Palermo,
il MAGIS propone attività di Educazione allo Sviluppo per promuovere
la comprensione e sensibilizzazione sulle diverse realtà vissute dalle popolazioni del mondo, gli squilibri esistenti tra Paesi industrializzati e Paesi in
via di sviluppo, la tutela dei diritti umani e la solidarietà internazionale.
La formula è questa: formare ed informare studenti che poi, a loro volta, formano ed informano i coetanei, le famiglie, … Gli alunni aderenti alle attività
sono i veri protagonisti della sensibilizzazione di tutte le classi riguardo le
Campagne annuali proposte dal MAGIS ed i progetti di sostegno a distanza
di gruppi-classe di bambini dell’India; loro, infatti, ricoprono il ruolo principale
nella fase di promozione ed in quella di raccolta delle offerte per il rinnovo
annuale delle adozioni. Inoltre, anche quest’anno, saranno coinvolti nella partecipazione concreta ed attiva alla Giornata Missionaria, organizzata dall’Istituto per raccogliere fondi a sostegno della cooperazione internazionale. In
particolare, per l’anno scolastico in corso, il progetto ha voluto puntare l’attenzione sui temi di LIBERTÀ e EDUCAZIONE, sensibilizzando gli studenti
attraverso un incontro di riflessione, guidato da P. Gianni Di Gennaro SI; un
incontro di approfondimento sul ruolo di una ONG come il MAGIS nei Paesi
in Via di Sviluppo, sui progetti internazionali e in modo particolare sulla Campagna Educazione 2013 ed il progetto a sostegno del Centro “St. Pierre
Claver” in Senegal accompagnato dal successivo coinvolgimento dei ragazzi nella diffusione delle matite con lo slogan della Campagna; un incontro
presso la sede di Palermo del Centro Astalli per imparare a conoscere realtà
diverse ed aprirsi al mondo; un incontro sui progetti di adozione a distanza
quali strumento di cooperazione allo sviluppo. Con questo progetto e con le
varie attività che lo compongono ci proponiamo quindi di formare cittadini
del mondo, uomini e donne responsabili del futuro della società, pronti a
mettersi in cammino per la costruzione di una realtà mondiale più unita ed
equa secondo il motto ignaziano “en todo amar y servir”.
Proponiamo alcune riflessioni scritte dai ragazzi a conclusione delle attività.
Il progetto proposto dalla Fondazione MAGIS nella nostra scuola fornisce un
itinerario formativo che consiste in un coinvolgimento attivo di noi studenti
attraverso nuovi spunti di riflessione. Questo progetto fa parte dell’attività di
educazione allo sviluppo (EAS) presente in Italia, che cerca di informare e
sensibilizzare noi ragazzi, creando itinerari che approfondiscono temi su realtà diverse dalla nostra. Lavorando sulla nostra cultura e sulla nostra mentalità, attraverso la conoscenza di problematiche quali la questione dello
sviluppo, la promozione dei diritti umani, la distribuzione della ricchezza, il
MAGIS ci aiuta a prendere coscienza e ci rende persone più consapevoli.
Inoltre questo progetto, attraverso la
partecipazione attiva di tutti noi ragazzi, ci incoraggia
ad agire come cittadini e ci aiuta a
capire che ognuno
di noi può giocare
un ruolo fondamentale nella società
anche attraverso
piccoli gesti quotidiani. Nel primo incontro
abbiamo
avuto il piacere di
accogliere P. Gianni Di Gennaro SI con cui abbiamo discusso sulla libertà
di scelta, un diritto fondamentale, spesso negato nei Paesi in via di sviluppo.
In alcune realtà del mondo, infatti, sia gli uomini sia le donne vivono senza
potere attuare delle scelte individuali nella realizzazione delle loro aspirazioni per motivi culturali, politici ed economici. Abbiamo anche trattato il
tema dell’accettazione delle diversità, fondamento di una società civile
pacifica e egualitaria. Infine abbiamo parlato della distribuzione iniqua
delle opportunità, oggi, nel mondo, nei paesi, nelle città, causa di condizioni di vita molto diverse tra loro. Padre Gianni ci ha spiegato il vero significato delle iniziative del MAGIS, che non vogliono “aiutare”, ma mirano
alla cooperazione, affidando alle persone locali un ruolo attivo nei progetti
di sviluppo, sostenuti dalla Fondazione. Come ha detto egli stesso, bisogna
“alzarsi insieme”: è necessario uno scambio reciproco per costruire qualcosa di nuovo. Con la nostra partecipazione a questo progetto e l’impegno
consapevole nella sensibilizzazione dei nostri coetanei, speriamo di essere promotori di un mondo nuovo in cui ciascuno, agendo nella vita di tutti
i giorni, possa diventare un vero cittadino del mondo aperto all’altro.
Carla Failla e Marchese Valeria - III classico A
Nel corso dei diversi incontri del progetto MAGIS, siamo entrati in stretto contatto con le attività proposte dalla Fondazione. Si è creato un rapporto proficuo tra il MAGIS e noi studenti: infatti, ci è stato possibile “fare i volontari” e
diventare portavoce di progetti, come le adozioni a distanza, e di Campagne
di sensibilizzazione attraverso la diffusione delle matite per la Campagna
Educazione 2013. Inoltre, durante il terzo incontro, che si è tenuto al Centro
Astalli, siamo stati spettatori delle storie di coloro che non hanno più una casa,
una famiglia, una vita. “magis” in latino significa “di più”, e quello che possiamo apprendere sin dal primo momento è che bisogna sempre puntare al
“magis”, perché anche con piccoli gesti si può fare molto non solo per la tutela dei diritti fondamentali di base, ma anche per la costruzione di una società
migliore. Per me la bellezza di questa esperienza di cooperazione attuata con
e grazie al MAGIS sta proprio nell’essere riusciti a dare valore ai piccoli gesti.
Carola Sciarrino III classico A
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Albania
Per stare bene a scuola
di Ernesto Zaccaria
I
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l progetto “Formazione dei docenti delle scuole superiori albanesi in
una prospettiva europea”, cofinanziato dal MAE, è entrato nel suo terzo,
ed ultimo, anno di implementazione.
Dopo aver accolto i docenti del nord (I anno) e del centro Albania (II anno),
quest’anno il focus è rivolto ai provveditorati del sud del Paese: 47 docenti,
provenienti dalle scuole di Valona, hanno già preso parte ai corsi l o scorso
11 ottobre; a loro seguiranno altri docenti di Pogradec, Korcë, Berat, Fier
e Lishnjë.
Durante le due passate annualità di progetto, il Liceo “Pjetër Meshkalla”
di Scutari – ove vengono svolti i corsi – ha accolto 769 docenti provenienti
da 78 scuole differenti del centro-nord Albania.
Oltre all’aggiornamento in campo didattico e pedagogico, rivolto agli insegnanti, il progetto si pone l’obiettivo di realizzare 60 incontri nelle scuole
con gli studenti per sensibilizzarli sugli effetti di droga ed alcool, avvalendosi della collaborazione della Komuniteti Emanuel di Tirana.
Ad oggi, gli incontri in classe hanno visto la partecipazione di 1871 studenti delle scuole superiori, ma l’attività svolta ha potenzialmente raggiunto
indirettamente quasi 26.000 studenti (tramite distribuzione di depliant, manifesti e banchetti informativi).
Non ci resta che proseguire con fiducia, impegno ed onestà le attività di
progetto sperando di riuscire, come da più parti richiesto, a dare continuità
alle stesse, dopo la conclusione prevista per aprile 2014.
All’inizio di questo ciclo di incontri - ha detto Antonio
Landolfi, Segretario Generale del MAGIS - desidero rivolgere a ciascuno di voi un
caloroso benvenuto e un grazie riconoscente per la vostra
partecipazione al Corso
presso la Scuola “Ate Pjeter
Meshkalla”. Noi docenti dovremmo essere costantemente attraversati dalla
seguente domanda: la scuola è accogliente, è un posto
per tutti? Per molti educatori
l’interrogarsi su questo tema
ha rappresentato il filo conduttore di tutto il loro impegno. Ma, contemporaneamente, penso a tutti
quelli attivamente impegnati, in ogni parte del mondo, nel fare in modo che
la scuola sia un luogo realmente accessibile agli alunni. Ciascuno di voi
possa fare tutto il possibile affinché la scuola in cui spende le sue energie e
competenze sia un luogo inclusivo, in grado di far posto alle differenze, di
qualunque ordine esse siano: fisiche, mentali, culturali o relazionali; capace
di ascoltare, interpretare, “pensare al plurale” per realizzare percorsi educativi coerenti e significativi per la vita dei vostri ragazzi. Grazie, infine, a P.
Lello e a tutti i suoi collaboratori, ad Ernesto, Aleksandra e Nevila, ai docenti
del Corso e a tutti coloro che collaboreranno per la riuscita diell’iniziativa.
P. Alberto Remondini SI, Delegato del P. Provinciale in Albania,
Aleksandra Kumbuli, Ufficio MAGIS a Scutari, P. Lello Lanzilli SI,
Direttore del Liceo "Ate Pjeter Meshkalla", Antonio Landolfi,
Ernesto Zaccaria Capoprogetto, P. Ronny Alessio SI.
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Interviste
Brasile - Madagascar
Con i giovani in cammino
a P. Giustino Béthaz SI
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Lei che è un “testimone” di questo pellegrinaggio di giovani attraverso
i continenti in occasione delle Giornate mondiali della Gioventù,
avendo avuto l’occasione di incontrare in un arco di tempo relativamente breve ben tre Papi, che cosa ha percepito di novità – se c’è
stata – in quest’incontro di Papa Francesco in Brasile?
Papa Giovanni Paolo II ebbe una geniale e profetica intuizione, lanciando
nel 1985 la Giornata Mondiale della Gioventù da celebrarsi ogni due/tre
anni in un determinato Paese a livello internazionale. Come Papa Benedetto XVI, dopo la sua elezione, nel 2005 partecipò alla GMG a Colonia in
Germania, così Papa Francesco si è immediatamente impegnato per la
celebrazione della Giornata a Rio dal 23 al 28 luglio. Il tema «Andate e fate
discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) corrispondeva bene a una delle priorità
di Papa Francesco: “tutti missionari per annunciare Cristo a tutti e ovunque!”. Se confronto le ultime 7 GMG - Parigi 1997, Roma 2000, Toronto
2002, Colonia 2005, Sydney 2008, Madrid 2011 e Rio 2013 - ritrovo delle
convergenze spirituali: la gioia, il desiderio di incontrarsi, di dar vita a nuove
amicizie, di andare gli uni verso gli altri, come chiede con insistenza Papa
F rancesco. Tornando con il pensiero a questi eventi, posso testimoniare
che il contatto con i giovani mi ha aiutato a seguire il loro processo evolutivo, i loro cambiamenti, mantenendo un cuore giovane, aperto alla mondialità. Aggiungo che anche in Madagascar si celebrano le GMG locali,
l’anno successivo a quello delle internazionali. Dal 2002 ci sono stati sette
incontri ed io ho partecipato a quelli di Antananrivo, Toamasina, Toliara
e Antsiranana; l’anno prossimo, a Dio piacendo, sarò a Fianarantsoa. La
novità? A Rio ho avuto la gioia di partecipare in un modo nuovo, calato in
mezzo ai giovani provenienti da 175 Paesi e inserito nella vita reale dei brasiliani grazie all’ospitalità generosa di una famiglia. Ero associato ad un
gruppo di giovani italiani e partecipavo alle catechesi con i giovani del
“Magis” movimento d’ispirazione ignaziana, guidati da padri gesuiti e alloggiati presso il Collegio sant’Ignazio. Ho partecipato ai grandi raduni d’apertura e di chiusura, alle messe, alle marce a piedi per raggiungere la mitica
spiaggia di Copacabana: testimone dell’accoglienza gioiosa rivolta al Papa
da parte di migliaia di giovani e del loro ascolto, in silenzio, dei suoi messaggi: giovani, pellegrini, missionari, testimoni della fede in Cristo, inviati
alle genti, di tutte le appartenenze religiose o non credenti, soprattutto ad
incontrare altri giovani. Quando ripenso ai bei momenti della GMG a Rio,
cerco di vivere secondo gli orientamenti dati da Papa Francesco: giovani
missionari, vicini ai poveri e agli anziani! Ogni giorno un’apertura nuova,
sempre alla sequela di Gesù, “Amico di Gesù”. Se dovessi sintetizzare i
n umerosi discorsi del Papa, brevi e precisi, direi questa frase: “Amare Gesù
Cristo nei poveri!” e posso dire, in tutta sincerità, che ho percepito quanto
la gente amasse il Papa.
Vivendo a contatto con le comunità malgasce espatriate in Francia e
con i malgasci in occasione dei suoi rientri in Madagascar, che cosa
avverte dei loro bisogni, anche delle loro domande rivolte alla Chiesa?
L'espatrio di un certo numero di Malgasci, specialmente giovani in Francia
è innanzitutto per ragioni di studio. La preferenza per la Francia è dovuta
25
Rio - un gruppo di giovani del MAGIS
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al fatto che già ne conoscono, sommariamente, la lingua. Spesso hanno già
dei legami familiari che ne facilitano l'ammissione come stranieri, sempre
però più controllata. Un certo numero cerca di sistemarvisi, specialmente
quando finiscono per sposarsi ed avere figli nati qua che sono considerati
come francesi. Ma sussistono tre grosse difficoltà: il permesso di soggiorno, difficile, l'alloggio molto caro, il contratto di lavoro indispensabile e
non facile da ottenere. Un certo numero però preferisce rientrare, per nostalgia, per i legami familiari, perché la vita è meno cara. Anche perché le
pratiche per ottenere la nazionalità francese durano circa 10 anni, se tutto
va bene!
Circa le domande rivolte dai giovani migranti alla Chiesa, conviene fare alcune precisazioni. La maggioranza dei giovan i che vengono in Francia per
studi sono figli di famiglie (un po' agiate) cattoliche o protestanti (in parità
numerica) e spesso figli di matrimoni misti (cattolici/protestanti).
I cattolici li assistiamo con le "cappellanie" presenti in quasi tutte le grandi
città (25) con un cappellano (o assistente ecclesiastico malgascio o ex- missionario), quasi sempre inserite presso una parrocchia o congregazione religiosa che ha dei membri missionari in Madagascar. Da notare che la liturgia
usa normalmente la lingua e i canti malgasci (e non in francese o in italiano).
È questo un elemento essenziale e molto più comunitario: tutti cantano e non
solo la cantoria o la corale! Assistere alle nostre messe “europee” è per loro
un impoverimento! Per cui rischiano di abbandonare la "pratica religiosa". Rimaniamo in contatto con le due Conferenze episcopali francese e malgascia
e quando un vescovo o un responsabile ecclesiale passa - a Parigi - lo invitiamo. La situazione religiosa nel Madagascar è molto differente perché, per
ora, tutti (o quasi tutti) vanno in chiesa la domenica: è una gioia ritrovarsi in
un clima di festa, anche perché non ci sono tante attrazioni "diversive"! Un
punto debole (e il Papa Francesco non lo amerebbe) è purtroppo una tradizione introdotta da noi missionari di far considerare il prete o parroco o vescovo come un essere superiore che bisogna venerare, invece che un
peccatore come tutti (come dice Papa Francesco). Da notare però che c'è
uno sforzo di essere vicini ai poveri con le scuole nelle campagne, i dispensari, la cura dei senza tetto, come P. Pedro e Fr Fazio. Finora la Chiesa (le
Chiese cattolica, protestante, anglicana) è considerata come un punto di riferimento e di fiducia per l'avvenire del Paese, specialmente in questi anni di
prolungata crisi politica.
I protestanti sono pure ben organizzati, talvolta meglio di noi, specialmente
per il fatto che i cristiani debbono sostentare almeno in parte il loro pastore.
Tra noi e loro, si vive bene l'ecumenismo: abbiamo almeno due incontri di
preghiera ogni anno: 1° la settimana per l'unione dei cristiani che cade in gennaio e la Festa nazionale in giugno. Talvolta ci si invita a vicenda per le celebrazioni: matrimoni, festa patronale, lutti…
Lei che tante volte ha attraversato le “frontiere” non solo geografiche
ma soprattutto umane per incontrare, conoscere, comprendere, riportare a “casa” e restituire (ad esempio con le edizioni), che cosa ha ricevuto da quest’esperienza?
Si! Ne ho attraversato di "frontiere" geografiche, umane e spirituali. P. Nicolas, nostro Generale, ci ha invitato più volte ad andare alle "frontiere" (dove
nessuno va, e anche ad oltrepassarle) come quando lo incontrai a Roma
quattro anni fa.
Le frontiere geografiche! Penso avere posto il piede su tutti i cinque continenti. L'Africa ha avuto la precedenza fin dal 1973, quando feci un viaggio
in una decina di Paesi, cominciando dal Ciad per finire in Tanzania. Ho praticamente visitato tutto il Madagascar dal centro al nord e al sud, dall'est all'ovest.
Le frontiere umane! Purtroppo non ho imparato bene né l'inglese, né lo spagnolo né il portoghese! Invece ho "sprecato" tanti anni a studiare e parlare il
latino! Per cui in tanti incontri internazionali, sia di giovani sia di professionisti nella stampa e nell'edizione, mi sono sempre sentito isolato non potendo
comunicare con tante le persone che ho incontrato. Ammiravo il Card. Martini che poteva recarsi in Germania, in Inghilterra…
Però ho avuto contatti ricchi di contenuto con varie persone, coi giovani soprattutto!
Le frontiere spirituali! Ebbi molti incontri, esercizi spirituali, con vari padri, francesi in particolare, così col Card. Martini, già mio professore di teologia! Ho
sempre avuto una tendenza spontanea a vedere subito in ogni persona,
anche piccola e povera, un lato umano e spirituale positivo, per scoprirne i
valori sia grandi che piccoli.
Sì, anche le edizioni, di migliaia (anzi milioni!) di libri stampati soprattutto in lingua malgascia, da ormai 33 anni (dal 1980) mi hanno permesso di superare
le frontiere soprattutto culturali, d'imparare, di formarmi e di contribuire a salvare una cultura e a farla conoscere meglio a migliaia di ragazzi, di giovani,
di adulti sia laici che religiosi.
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Papa Francesco ha recentemente detto che “Le Chiese più giovani rischiano di sentirsi autosufficienti, quelle più antiche rischiano di voler
imporre alle più giovani i loro modelli culturali. Ma il futuro si costruisce assieme.” Qual è il suo giudizio maturato attraverso la sua lunga
esperienza?
Sono d'accordo col Papa e come non potrei esserlo? Sì, "le Chiese più giovani rischiano di sentirsi autosufficienti", dato il numero considerevole di vocazioni sia al sacerdozio sia alla vita religiosa. Però sentono anche la
mancanza di formatori e di formazione. Inoltre la globalizzazione purtroppo
presenta "modelli" negativi di riuscita economica: il che tenta i giovani a pensare all'avanzamento delle loro famiglie, a prendersi certe libertà mondane di
indipendenza… Purtroppo, c'è ancora la dipendenza economica dai Paesi
più ricchi nonché dalle Chiese di questi paesi per affrontare tante spese per
le costruzioni, l'equipaggiamento, la salute, gli studi… chi stende la mano
deve anche piegare il ginocchio. Purtroppo, c'è ancora un certo paternalismo che vuole imporre i modelli culturali e linguistici. Questo è vero specialmente per i Paesi africani con centinaia di lingue dialetti, per cui
l'insegnamento si fa praticamente tutto in inglese o in francese. Anche alcuni
Paesi asiatici come la Corea, il Vietnam, le Filippine, l'India soffrono di dovere "ingoiare" la cultura occidentale, la francese in particolare nel settore
teologico e filosofico, senza tener conto delle finezze asiatiche meno intellettuali. Il Madagascar ha il vantaggio di avere una lingua unica, ricca di pensiero
proprio. Per certo, "il futuro si costruisce insieme", non c'è via di scampo, sia
nel campo economico, sia politico e soprattutto religioso. Per questo è necessaria molta apertura, molta reciproca conoscenza dei valori e dei limiti,
molto amore e desiderio di avanzare insieme con Gesù Via Verità e Vita.
di Grazia Salice
IL TUO LASCITO AL MAGIS
PER CONTINUARE L’AZIONE
MISSIONARIA DEI GESUITI
Per maggiori informazioni:
Tel. 06 69700327
[email protected]”
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Repubblica Centrafricana
Non fare di tutt’erba un fascio
di P. Dorino Livraghi SI
Ci eravamo lasciati con un’invocazione di
pace per la Repubblica Centrafricana.
Sono trascorsi da allora circa sei mesi:
che cosa è cambiato?
Nulla, anzi le violenze si sono aggiunte alle
violenze. Credo che a rendere testimonianza
non siano tanto le mie parole ma quanto dichiarato nel rapporto - settembre 2013 - di
Human Richts Watch: Posso ancora sentire l’odore dei morti - La crisi dimenticata
della Repubblica centrafricana: “La Séléka
(coalizione, in Sango, la principale lingua nazionale) ha assicurato di aver
avuto il fine di liberare il paese e di portare la pace e la sicurezza alla popolazione. Ma, per la maggior parte dei centrafricani il 2013 è stato un anno
cupo, segnato da una crescente violenza e da attacchi brutali da parte della
Séléka nei confronti dei civili a Bangui e nelle province… le forze della Séléka hanno distrutto numerosi villaggi rurali, saccheggiato in tutto il paese
e violentato donne e ragazze… I civili, vittime di violenze, non hanno a chi
rivolgersi: l’apparato amministrativo civile dello stato è al collasso, nella
maggior parte delle province non c’è né polizia né tribunali. Numerosi ospedali su tutto il territorio non funzionano più e, almeno in una città, un ospedale è stato occupato dalla Séléka, la maggior parte delle scuole è chiusa.
Il presidente a interim Djotodia ha negato che i combattenti abbiano commesso esazioni, insistendo nel far ricadere la colpa delle violenze sui partigiani di Bozizé, sui falsi appartenenti alla Séléka, e sui banditi, benché
qualche responsabile della Séléka abbia riconosciuto la propria responsabilità per certi attacchi”.
Da ogni parte del paese giungono notizie sempre più allarmanti: almeno
60 persone sono state uccise in questo mese d’ottobre in scontri tra combattenti musulmani Séléka e gruppi di autodifesa locali nella zona mineraria di Garga, villaggio a nord-ovest della capitale Bangui. Secondo alcune
testimonianze, gli abitanti si stanno rifugiando nella foresta per sfuggire alla
ferocia delle milizie. Si calcola che su 5.000.000 di abitanti, 1.500.000 siano
nascosti in condizione di fame, senz’acqua, vestiti, medicinali. A 300 km
dalla capitale, nella città settentrionale di Bossangoa, la crisi ha raggiunto
il suo apice nelle ultime settimane di ottobre. Più di 2000 case sono state
distrutte e 37.000 persone si sono rifugiate nella locale missione cattolica,
dove la situazione umanitaria è sempre pi ù critica: malnutrizione cronica e
malattie mietono tra quattro e cinque vittime al giorno. Io mi sento spiaz-
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zato quando, parlando di
questa situazione qui in
Italia, mi sento rispondere
che anche qua c’è la crisi!
Michel Djotodia, presidente di transizione, alla
fine non è riuscito a tenere sotto controllo la
situazione?
No, gli è completamente
sfuggita di mano o non
l’ha mai avuta. In realtà lui
prende decisioni ma nessuno gli obbedisce, non
ha pacificato il Paese che
versa nel caos più totale,
troppo eteroge nea è la
compagine
all’interno
della coalizione: ai ribelli
della prima ora, si sono
aggregati i vari banditi di
ogni regione e stranieri la
cui mira è il bottino.
Due settimane dopo l’ultimatum del presidente, i ribelli della coalizione, già
villaggio bruciato
sciolta, si rifiutano ancora
di consegnare armi e di ritirarsi nelle caserme. Per
reagire ai loro soprusi, in molte località si sono formati gruppi di autodifesa.
D a qui le ritorsioni sanguinose degli uomini Séléka, molti dei quali originari
del Ciad e del Sudan, che attaccano la popolazione civile nei villaggi più
isolati, uccidendo e dando alle fiamme. Non possiamo più quantificare il
numero di abusi commessi - ha denunciato mons. Nzapalainga, arcivescovo di Bangui - riferendo che i ribelli della coalizione sono passati da
3.500 lo scorso marzo a 25.000 oggi, hanno arruolato bambini e le armi di
piccolo calibro in circolazione sono sempre più numerose. Dal canto suo la
popolazione ha cominciato ad organizzarsi in milizie di autodifesa dotate di
armi rudimentali – frecce, sassi, machete, vecchi fucili da caccia … - per resistere ai ribelli.
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Accennava a notizie dell’ultima ora arrivate dal suo superiore di Bangui …
Sì, ad aggravare la tragedia, si sta sempre più insinuando il sospetto che
alla radice ci sia qua e là anche una connotazione religiosa di un attacco
efferato contro i cristiani. Di fronte all’incombere di questa minaccia, l’arcivescovo di Bangui in una sua omelia ha ricordato che nessuno, cristiano
o musulmano, è stato risparmiato da saccheggi, violenze e violazioni,
invitando i centrafricani a evitare di fare di tutta un’erba un fascio tra Sé-
léka e comunità musulmana.
Però, anche se le cause remote del conflitto hanno ben
altra origine, è innegabile che
si siano verificati comportamenti mai visti in passato:
sparare all’interno della cattedrale a Bangui durante una
celebrazione liturgica, aggredire preti, suore e religiosi. Gli
uomini appartenenti ai gruppi
di autodifesa sono cristiani,
gli uomini della Séléka, musulmani, con al loro interno
elementi radicali anche di
tendenze estremiste di fede
sunnita- wahabita, convinti di
voler fare del Centrafrica con
le sue ingenti ricchezze (oro,
diamanti e uranio, nonché
petrolio: solo alcune delle risorse naturali del Paese) oggi
sotto il controllo diretto dei
miliziani, una repubblica
islamica, piattaforma di
collegamento tra il Mali e la Somalia. C’è poi da ricordare che le zone
musulmane dell’estremo est, trattate molto ingiustamente da Bozizé,
hanno versato benzina sul fuoco della Séléka. La logica oggi è perciò
quella dell’occhio per occhio, dente per dente; se in un quartiere o in un
villaggio qualcuno reagisce, scatta la rappresaglia: l’intero villaggio deve
essere distrutto! Il vero problema - dice mons. Aguirre, vescovo di Bangassou - non è uno scontro di religione, cristiani contro musulmani, ma i
continui abusi nei confronti della popolazione da parte dei ribelli. Quello
che sta accadendo in questo momento a Bangassou avviene anche in altre
città del paese, perché la popolazione è veramente esasperata di essere
derubata ogni giorno dai ribelli.
E la popolazione a chi rivolge l’ultima speranza?
Dopo aver visto l’inefficacia dell’intervento dell’Unione Africana, l’ultima
umana speranza è riposta in un intervento della Francia!
E, per far meglio comprendere ciò di cui abbiamo parlato, racconto questa testimonianza che ho personalmente ricevuto. Da un po’ di tempo,
nella zona di Bossangoa, la popolazione della città e dei villaggi ha cominciato a rivoltarsi contro le esazioni degli uomini della Séléka e a costituire
dei comitati d’autodifesa per proteggersi contro le loro scorrerie. Le autorità governative hanno insinuato l’idea che, dietro i comitati d’autodifesa,
ci fossero degli uomini di Bozizé, sempre desideroso di nuocere al governo
attuale e di fare di tutto, anche con le armi, per riprendersi la sua poltrona
presidenziale. Si è parlato anche, e questo fin dall’inizio, di conflitto a co-
31
quello che è rimasto della chiesa di Yangoumara dopo il fuoco
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lorazione religiosa, tra cristiani e mussulmani. Negli ultimi scontri intorno a
Bossangoa è circolata la notizia di Imam uccisi con tutta la loro famiglia,
appunto per vendicare l’uccisione dei cristiani da parte della Séléka. Circa
un mese fa, in certi villaggi della zona, la Séléka ha perduto, per opera dei
Comitati di autodifesa, vari uomini. Si è parlato soprattutto del villaggio di
Mbong, dove 27 suoi uomini sarebbero stati uccisi. La reazione è stata terribile. Militari in armi della Séléka sono giunti da Bangui e da altre zone del
paese. Interi villaggi sono stati saccheggiati e bruciati, molte persone
sono state uccise, molte altre hanno dovuto cercare rifugio nella savana
circostante.
A Bossangoa molte famiglie hanno cercato rifugio presso la residenza del
vescovo. La maggior parte dei mussulmani si sono riuniti in una scuola,
ma alcuni sono andati pure loro al vescovado. In questo contesto si colloca
la storia delle famiglia Ysinga.
“Lui si chiamava Ysinga David, lei Ysinga Joséphine. Avevano quattro figli:
Sidonie di diciassette anni, Gloria di otto, Rock di sette e Patricia di otto
mesi. Lui, di origine ciadiana, era venuto a stabilirsi, da una quarantina
d’anni, a Kébé, vicino alla città di Bossangoa, in Repubblica Centrafricana.
Aveva, con il suo lavoro, creato una piccola azienda agricola, dove allevava dei buoi e delle capre e dove coltivava qualche ettaro di manioca, di
fagioli, di arachidi e di mais. L’azienda funzionava bene, anche perché lui
non si risparmiava.
Il papà David si è opposto quando hanno voluto portarsi via il suo bestiame. È stato abbattuto davanti ai suoi, dopo essere stato obbligato a
scavarsi la fossa. Quelli che l’hanno vista ci hanno detto che la sepoltura
è stata molto sommaria, le sue braccia uscivano da terra … Sidonie, la ragazza di diciassette anni, è stata sequestrata da un ‘colonnello’ della Seleka, che l’ha caricata sulla sua (?) moto e ne ha fatto la sua schiava
sessuale.
La moglie Joséphine e i tre altri figli sono fuggiti verso Bozoum. Un fratello del marito, che abita a Bouar è andato a cercare di ritrovare la
mamma e i bambini e con loro si è avviato verso casa sua, a Bouar. Ma
lungo il cammino Joséphine, estenuata dal lungo digiuno e dalla lunga
marcia e senz’altro anche dalla preoccupazione per la piccola Patricia, è
crollata a terra ed è morta. Hanno dovuto seppellirla sul posto, senza cerimonie. La bambina di otto mesi, molto sofferente, è stata condotta a
Maigaro e affidata a delle suore che hanno un centro medico, che cercano di rimetterla in sesto.
Gli altri due bambini, Gloria e Rock, sono presso lo zio a Bouar. Per giorni
Gloria ha rifiutato di mangiare, continuando a piangere. Rock continua a
chiamare il papà. Quanto a Sidonie, lo zio di Bouar ha saputo che era
stata condotta nel villaggio di Beson. L’uomo che l’aveva rapita l’aveva
messa in una casetta fuori dal villaggio e ne faceva quello che voleva. Un
giorno l’ha anche ferita alla spalla con il suo coltello, perché lei aveva cercato di andarsene. È grazie all’astuzia e alla complicità di un giovane del
villaggio che è stato possibile strapparla dalle mani del suo colonnello. La
ragazza ha detto al militare che doveva andare al fiume ad attingere
acqua. Là ha trovato il giovane del villaggio e insieme sono fuggiti verso
Bouar. Ora anche Sidonie è ricoverata al centro medico di Maigaro,
presso le suore che cercano di prodigarle le cure necessarie, fisiche e psicologiche. Sanguinava molto, non si sapeva ancora se fosse incinta …
Ma bisognerà portarla presto più lontano, perché Maigaro è ancora troppo
vicino a Beson e anche i feriti della Séléka vengono a farsi curare in questo centro medico.
Il giovane del villaggio, che ha aiutato Sidonie a fuggire, non è più tornato
nel suo villaggio: teme per la vita.
Credo che la storia della famiglia Ysinga assomigli a quella di tante altre famiglie centrafricane.
E voi che pensate di fare?
Cercare di rimanere! Da parte mia sono impaziente di poter ripartire e raggiungere la mia comunità. Bisogna rimanere, la gente deve, anche attraverso di noi, vivere la speranza di un cambiamento - non solo di un
intervento militare francese! - avere il coraggio di rimanere salda nella fede.
Solo rimanendo e cercando di aiutarli a portare la croce, a condividerla
possiamo essere parte della Chiesa del Centro Africa.
di Grazia Salice
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Ciad
La scuola?
Un posto in paradiso!
a P. Corrado Corti SI
Ecco l’occasione propizia per un buon aggiornamento! È trascorso,
infatti, parecchio tempo dall’ultimo incontro.
Sono in Italia, nonostante il mio desiderio di essere in Ciad, dove mi attende
tanto lavoro: anche là le scuole sono iniziate, la mia preoccupazione ...
Purtroppo al mio rientro in Italia per i controlli di routine, ho avuto qualche
disturbo piuttosto serio. Un intervento tempestivo mi ha rimesso in carreggiata: questo mi fa sperare, dopo questa convalescenza, di poter ripartire,
anche se mi dicono che ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Mi era giunta notizia che fosse in procinto di lasciare la missione di
Békamba per trasferirsi a Sarh da dove avrebbe continuato a seguire
i progetti in corso.
Mi ero accordato con il Provinciale per trasferirmi a Sarh, continuando a
trascorre a Békamba una settimana al mese. Di fatto ho invertito le previsioni: una settimana a Sarh e il resto a Békamba. Ai primi di giugno sono
partito per l’Italia per un periodo di congedo e per ... cercare aiuti. Ho
chiuso a Békamba il 3 giugno, memoria dei Santi Martiri dell’Uganda, protettori della nostra parrocchia, perché era stata organizzata una festa, ancora più grande del solito, per salutare il mio cong edo, dopo 18 anni, e
l’insediamento del nuovo parroco. C’era anche il vescovo di Sarh, mons.
Edmond Djitangar, che ha presieduto la celebrazione e, con la sua presenza, ha voluto significare la riconoscenza per l’azione svolta dai gesuiti
nella sua diocesi.
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È vero: il sud del Ciad è la terra fecondata dalla Parola e dall’azione di
molti dei gesuiti missionari italiani. Qual è il rapporto tra la Chiesa locale e i missionari?
Mons. Djitangar ha ricordato che la nostra regione è stata evangelizzata
dai gesuiti dopo la seconda guerra mondiale, e la diocesi, creata in pieno
Concilio Vaticano II, non ha una lunga tradizione cristiana. Ha sottolineato
come l'attenzione e la prudenza dei missionari gesuiti verso le pratiche
religiose della popolazione locale siano state in grado di evitare a questa
giovane Chiesa i conflitti con l'ambiente tradizionale, come invece è accaduto altrove e come anche i missionari abbiano cercato d’integrare tutto ciò
che nella religione tradizionale africana c’è di positivo, rispettando ciò che
fa la differenza con la concezione cristiana della vita e dei rapporti con Dio,
in attesa che i figli di questa terra arrivino ad una comprensione più profonda. La giovane Chiesa ha mantenuto questo orientamento pastorale positivo verso l'ambiente tradizionale per essere "sale" e "luce"; non ci sono,
infatti, villaggi o quartieri solo cristiani. Siamo la prima generazione di battezzati di questa Chiesa - ha detto - e Dio ci ha dato la grazia di essere i
primi sacerdoti. La grande sfida è, perciò, quella di evangelizzare la nostra
cultura.
Un apprezzamento molto lusinghiero per l’opera svolta da tutti voi! Ma
come l’hanno salutata!
C’è stata una solenne processione nel corso della quale i parrocchiani
hanno presentato i loro doni, semplici, ma molto significativi del cammino
percorso assieme. La mia gente va sempre più immiserendosi: ad una povertà atavica si aggiungono condizioni socio-culturali ed economiche
molto serie. Se, infatti, la mortalità infantile è stata affrontata con le vaccinazioni, la creazione di numerosi dispensari e la facile reperibilità dei medicinali (gli antibiotici e gli antimalarici si acquistano anche al mercato!),
adesso ci sono altri rischi: il più grave è una seria malnutrizione infantile.
I villaggi brulicano di bambini: una donna, dai 18 anni dà alla luce, in media,
un figlio ogni due anni. Ci si trova ad affrontare il problema di come aiutare queste famiglie e questi bambini a vivere, a crescere, partendo da
quello che la loro terra può offrire, ma il lavoro dei campi non è amato, il
piccolo allevamento praticato senza entusiasmo. Si fa molta fatica ad aiutarli ad uscire da una mentalità che li induce persino a vendere il miglio, ancora in spiga, per acquistare oggetti voluttuari, e poi, prima del raccolto
successivo, rimanere senza scorte. Vendono i terreni che danno scarsi rac-
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colti per cui poi sono costretti ad andarsene o
forse hanno trovato la
giustificazione per farlo. È
un’amara constatazione,
perché proprio nel sud
del Ciad, dove un tempo
il terreno era fertile, oggi
l’agricoltura non interessa
più. I missionari si sono
molto impegnati, hanno
investito tante risorse
umane e materiali, ma gli
abitanti, pur avendo appreso la tecnica, non
hanno saputo metterla in
pratica. In realtà gli anni
‘60/’70 hanno portato dei
cambiamenti: l’introduzione dell’aratro e dei
buoi, nuovi strumenti per
lavorare la terra, necessità di pezzi di ricambio,
disporre di sementi, un allevamento stanziale con
la necessità dell’accudimento (la stalla) e del nutrimento degli animali, prima lasciati a brado… C’è da dire che in 20 anni
le famiglie sono triplicate, mentre la produzione agricola è sempre più
bassa: cambiamenti climatici, siccità, un terreno troppo sfruttato (si è passati da 12 sacchi di miglio per ettaro a 3/4 sacchi). Anche per questo se ne
vanno, attirati dalle città, dove finiscono per sentirsi estranei, in mezzo a
gente di altre etnie e dove le speranze lavorative frustrate generano precariato, disoccupazione o sfruttamento, in particolare per le donne. E, parlando delle donne, assistiamo al fenomeno grave della loro urbanizzazione:
la capitale, trasformatasi in questi anni in una metropoli internazionale, le
attrae come la luce le falene e, il più delle volte, le brucia.
Motore di una rapida trasformazione è stato il petrolio il cui reddito, pur
fruttando solo un 10% al paese – il restante 90% è risucchiato dalle compagnie petrolifere - costituisce comunque un’ingente ricchezza che ha
cambiato radicalmente faccia alla città, immagine della visione grandiosa
del Presidente, Ydris Déby, non però all’ambiente rurale, dove pochi sono
stati gli investimenti e dove però manca anche uno spirito imprenditoriale,
che invece abbonda tra le etnie arabe del centro del paese: formidabili
mercanti, a volte anche aggressivi, immettono sul mercato o esportano
merci provenienti dall’Arabia Saudita o dagli Emirati. Hanno liquidità di denaro il che dà loro potere d’acquisto anche dei terreni del sud che, una
volta venduti, per i vecchi proprietari, magari pentiti, non c’è più nessuna
speranza di ricomprarli. Nel sud la capacità commerciale è annientata sul
nascere, perché, quando qualcuno timidamente ci ha provato, tutti i familiari arrivavano alla sua bancherella, prendendo merce a credito senza però
mai pagare! E il piccolo commerciante va in malora.
Etnie diverse: qual’è la distinzione tra le popolazioni del Ciad?
I gruppi etnici sono centinaia, altrettanti gli idiomi linguistici. Possiamo
grosso modo dividere il territorio in tre aree da nord a sud. A nord, zona
scarsamente popolata e desertica – altipiano del Bornou, dell’Ennedi e del
Tibesti – vivono in oasi i Goran, gli Zakawa e altre etnie, qualche centinaio
di migliaia - dati dell’ultimo censimento - su 11 milioni di abitanti dell’intera
nazione: combattenti coraggiosi, guerrieri implacabili, nei cinque anni della
guerra civile – 1979/84 – hanno “ripulito” l’intero territorio da ogni dissidente al potere centrale, acquisendo di fatto il controllo militare, politico ed
economico, ormai senza concorrenza alcuna. Di religione musulmana, non
sembrano particolarmente preoccuparsi dell’aspetto religioso.
Al centro, regione arida, dove nell’estremo ovest c’è la capitale, vive una
popolazione, originariamente seminomade, a maggioranza musulmana
che, soprattutto a est, attraverso le relazioni religiose e commerciali con il
Sudan e l'Egitto, si è più o meno arabizzata, parla la lingua araba e sta assumendo molte pratiche della cultura araba. Dediti al commercio anche
internazionale, gestiscono i trasporti su strada, sanno investire in modo attivo, a volte anche aggressivo, i loro soldi. Il sud, dove risiede più di metà
della popolazione tra cui i Sara (quelli della nostra diocesi di Sarh) di religione cristiana animista - regione tradizionalmente agricola - vede sfruttare i giacimenti petroliferi presenti nel suo territorio dalle etnie del nord.
Tra le popolazioni del centro Ciad e quelle del sud c’è una netta differenza:
tanto i primi fanno commercio, al sud non sanno farlo, sono consumatori,
non sanno mettere da parte, trovandosi così in un perenne stato di dipendenza ... dal miraggio del denaro. Questa realtà possiamo chiamarla la maledizione del petrolio che ha mietuto e miete molte vittime. Va, infatti,
ricordato: la guerra civile esplose proprio per il petrolio, quando ci fu la certezza dei giacimenti e sorse il problema del loro sfruttamento. Ecco la corsa
all’oro nero, al potere politico con l’uso delle armi per averne il controllo.
E la storia non è finita … basta girare lo sguardo appena oltre i confini.
Il petrolio, che gli americani hanno cominciato a sfruttare dal 2002, con
l’interessamento dei francesi, poi adesso sono arrivati i cinesi, ha portato
strade, ospedali, anche scuole, dove però non ci sono insegnanti. Ydris
Déby, il presidente, ha mantenuto solo in parte gli impegni di investire i
proventi delle risorse petrolifere per ridurre la povertà.
Dopo tanti anni, un bilancio di amaro pessimismo?
No: ci sono aspetti positivi e quello che a noi sembra di maggiore interesse
e di cui vorrei parlare più dettagliatamente è la fiducia che la gente del sud
ha nella scuola. La frequentano volentieri anche se il sistema scolastico
pubblico si sta molto degradando. Rispetto alle etnie arabe che stanno
scoprendo la scuola, la gente del sud ne ha sempre riconosciuto l’importanza, i genitori fanno anche sacrifici, le scuole si sono moltiplicate nei villaggi, e non solo le primarie.
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la scuola deve offrire un ambiente dignitoso per l’apprendimento
Da dove nasce questo amore per la scuola?
La scuola è considerata l’ascensore per il paradiso! Perché il paradiso in
terra è un posto fisso, con busta paga a fine mese. Andare a scuola per diventare un maestro vuol dire un posto assicurato e retribuito che dà rispettabilità nel proprio ambiente e per perseguire questo scopo sono disposti
a sacrifici anche grandi. Ci son poi ragioni storiche: fino agli anni ’80 la
scuola funzionava bene e gli abitanti del sud che l’avevano frequentata – gli
arabi l’avevano rifiutata perché scuola degli stranieri - quando il paese raggiunse l’indipendenza, grazie alla buona conoscenza del francese, trovarono facilmente un impiego. Con la guerra civile la gente del sud fu
schiacciata, perse tutto, lo scenario cambiò completamente, gli arabi occuparono ogni posto disponibile e gli altri, depredati della loro ricchezza, si
scoraggiarono, ma la scuola rimase, nelle loro vene, come una linfa vitale.
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E, allora, tutti a scuola! Ma, forse, è qui il problema? Come funziona la
scuola?
La scuola primaria in Ciad è costruita sul modello di quella francese e va
ricordato che due sono le lingue ufficiali del paese: il francese e l’arabo
e che ogni lingua è l’espressione di una cultura, di un modo di sentire.
Allora, ci sono 6 anni di scuola primaria e 7 di secondaria, conseguito il
baccalaureato (la nostra maturità) si può accedere all’università. Si può dire
che bambini/e frequentino al 75% la scuola primaria, almeno per i primi tre
anni, dopo i quali, se non mostrano attitudine, vengono mandati a lavorare.
Nel sud ci sono tre tipi di scuola primaria: ufficiale o governativa, comunitaria, ECA (= écoles catholiques associées). Quelle governative dovrebbero
avere un direttore per scuola, un maestro per classe (6 classi = 6 maestri),
poi un ispettore, un segretario e un consulente pedagogico per un distretto.
Attualmente l’organico dirigenziale è quasi intatto e i funzionari godono di
buoni stipendi, purtroppo in ogni scuola oltre al direttore c’è un solo maestro su sei; gli altri cinque mancano, perché non sono stati nominati, e il
direttore li assume tra i ragazzi del distretto che hanno frequentato qualche
classe di scuola secondaria. Lascio immaginare in quali condizioni versi
l’insegnamento pubblico! Mentre chi ha conseguito il diploma – 2 anni
d’università a indirizzo pedagogico – è disoccupato, in attesa d’essere assunto dallo Stato, i “supplenti” sono pagati con i soldi delle iscrizioni degli
allievi, su cui fanno la cresta anche i dirigenti. E i risultati scolastici? Disastrosi!
Al temine del primo ciclo, pochis simi sanno leggere e scrivere sotto
dettatura. Anche la scuola secondaria versa in analoghe condizioni: anno
dopo anno promuovono per non affrontare la realtà e gli studenti arrivano
impreparatissimi alla maturità. Perché accade questo? Mancano i soldi?
I soldi ci sono, eccome! La Banca Mondiale aveva chiesto e ottenuto come
garanzia che una percentuale degli interessi sull’estrazione petrolifera
fosse destinata allo sviluppo del paese, alle infrastrutture portanti: scuola,
sanità, servizi … ma non è stato esattamente così! Anche le ECA hanno i
loro problemi ma ottengono migliori risultati innanzitutto perché sono legate ad una parrocchia: al massimo una per parrocchia che ha un contratto
di partenariato con il governo che dovrebbe fornire insegnanti formati e a
pagarli; la parrocchia, da parte sua, mette a disposizione i locali, gli arredi,
il materiale d’uso e … controlla! Il problema è che il governo non dà gli insegnanti – 2 su 6 se va bene – e allora la parrocchia deve provvedere. Se
riesce a mettere una religiosa come insegnante o, meglio ancora, come direttrice, allora i risultati sono decisamente diversi.
Accennava, all’inizio, alle sue preoccupazioni scolastiche?
A Békamba siamo riusciti a creare un modello di scuola primaria che,
partendo dall’esperienza di 20 anni di lavoro e dai bisogni, ha raggiunto
un’efficienza riconosciuta dallo stato. Ci sono 20 scuole primarie con
5.300 alunni e 100 insegnanti (uomini e donne che hanno frequentato la
scuola superiore ma che erano sprovvisti di una formazione pedagogica),
2 animatori pedagogici, regolarmente assunti e stipendiati, e un coordinatore, Arnaud Bertrand, un francese laureato in Francia, che ha preso in
mano la nostra rete di scuole, costituita dall’unione delle APE (associazione dei genitori degli alunni). L’avventura ebbe inizio nel ’94: nel villaggio
di Nangnda, 120 alunni con un solo maestro facevano lezione sotto un
grande albero. I genitori vennero a chiedermi una scuola cattolica. Impossibile accontentarli per il rifiuto del vescovo: ne esisteva già una nella parrocchia. Venivo da Goundi e descrissi loro l’esperienza della scuola
comunitaria: i “padroni” sono i genitori - dissi – riuniti in associazione, loro
compito è raccogliere i soldi delle iscrizioni per pagare i maestri. Pensateci! Due mesi e l’associazione fu fatta, non solo, ma i nomi dei genitori depositati, il regolamento interno e lo statuto stilati per il riconoscimento
governativo.
I primi risultati furono incoraggianti così, nel giro di pochi anni, le scuole
furono 7...12 poi 20 e ancor più...
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una scuola in costruzione
Un onere finanziario non da poco
per un complesso
di scuole notevole!
Come sostenerlo?
È un peso gravoso
da gestire; 10 anni
fa presi contato con
Arnaud Bertrand, un
competente pedagogista e ottimo organizzatore: riunioni
di inizio e fine anno
per i genitori, due
animatori che da
Békamba in motocicletta vanno a visitare regolarmente tutte le scuole, sorvegliando se funzionano secondo le
decisioni prese, c ontrollano i versamenti… Nello statuto il parroco è consigliere (anche finanziatore) dell’Unione delle APE, paga gli animatori, i loro
viaggi, il coordinatore, le riunioni di formazione durante l’anno sc. e durante
le vacanze. Gli stipendi, infatti, attingono per il 75% al fondo iscrizioni, ma
per il 25% dalla contribuzione del consigliere; nell’anno sc. 2011-12 le iscrizioni hanno fruttato 8.000.000 franchi CFA e ne abbiamo aggiunto altri
2.000.000 per integrare i salari troppo bassi più, a fine aprile, un premio riconosciuto a chi nel corso dell’anno è stato regolarmente presente, di
950.000 fr. CFA. Altra spesa: la retribuzione degli insegnanti esterni impegnati nella valutazione di fine anno. Do l’idea della mia preoccupazione?
Preoccupazione più che legittima, ma questa struttura che a vete
creato potrebbe continuare senza di lei o senza il signor Arnaud?
Questa domanda solleva un problema già presente fin nel lontano 1994.
Allora l’aspetto più
un gruppo di maestri al corso di formazione
urgente era il bisogno dei ragazzi che
non potevano andare a scuola: la formazione
passa
innanzitutto attraverso un luogo di
apprendimento accogliente e degno di
questo nome. I genitori erano interessati e la domanda
veniva da loro. Da
parte nostra ci sostituivamo a un’inadempienza
dello
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Stato, che non voleva o non riusciva a rispondere a questo bisogno della
popolazione, anche se con il timore di causare un danno. Ben presto, però,
si vide che queste scuole mettevano in campo la competizione, uno stimolo per un generale miglioramento. Fin dall’inizio e poi con il passare del
tempo, abbiamo sempre sostenuto che avremmo voluto cedere allo Stato
questa struttura, non ci sono mai stati conflitti con la scuola pubblica o con
i suoi insegnanti bensì collaborazione. Oggi, il nostro desiderio si è fatto
volontà di trovare sempre più spazi di collaborazione con la scuola pubblica
per giungere ad una vera e propria integrazione di tutte le scuole comunitarie nel sistema statale. Passi concreti sono già stati fatti soprattutto
con il progetto ACRA-UNAPE di questi ultimi due anni. L’altra ragione che
ci stimolava a continuare era che, se non fossimo intervenuti noi, la percentuale dei ragazzi analfabeti sarebbe aumentata pesantemente e, tra i perdenti, tanti sarebbero stati i figli delle nostre famiglie diventate cristiane.
Inoltre, con il passare degli anni, ci incoraggiava vedere tanti genitori coinvolti e uniti in quest’esperienza per affrontare i problemi e risolverli, per destinare una parte delle loro pochissime risorse ad un’opera che conferisse
loro dignità e fierezza. Ogni anno le APE si riuniscono in assemblea generale di due giorni in due sessioni - una all’inizio e una a fine anno scolastico – in cui affrontano i problemi, uno dei quali, al momento, è appunto
quello dell’integrazione di tutte queste scuole nel sistema pubblico. Per il
governo la richiesta è se nza dubbio interessante, perché le scuole comunitarie sono un’associazione ben strutturata ed efficiente, alquanto rara da
quelle parti.
Oltre all’alfabetizzazione, sono state sviluppate altre attività?
Grazie al cielo, posso rispondere positivamente. Cominciammo con attività
modeste che però aprirono gli occhi sulla possibilità di affrontare il problema della fame che era e rimane un problema gravissimo. Durante le vacanze demmo vita alla cooperativa degli scolari: lavoro nei campi di sorgo,
arachidi e fagioli e il raccolto conservato e consumato poi dai ragazzi. Più
impegnativo il progetto delle aree di rimboschimento – 13 in questi 20
anni – per educare ad affrontare il gravissimo aspetto della desertificazione
ormai in corso, già affrontato da molte Ong ma con scarsi risultati.
Le nostre scuole hanno preso, come si dice, il toro per le corna e sono riuscite a mettere a punto un progetto - il risultato è da vedere! - che ha coinvolto 12 scuole. Ogni area di un ettaro, recintata con robusta rete metallica,
ogni metro di recinzione un robusto palo in legno, è stata poi seminata e innaffiata per 5 mesi, vi sono state scavate buche per accogliere le piantine
germogliate da sorvegliare per cinque anni perché i nemici sono ahimè,
molti: capre, pecore, maiali alla ricerca di nutrimento, poi uomini e donne
alla ricerca di legna per il loro focolare… C’è stato perciò bisogno della presenza di un guardiano, semi volontario, scelto tra i genitori dei ragazzi al
quale però si è dovuta assicurare una qualche retribuzione: la sua sorveglianza deve essere, infatti, senza interruzione! Risultato: un “fazzoletto” di
un ettaro di verde in luoghi ormai brulli che stupisce gli abitanti e fa dire
ai visitatori, ma come avete fatto? Così, quest’anno, con il nuovo progetto
ACRA/UNAPE 5 scuole avviano 5 giardini scolastici: coltivare all’interno
di un’area di rimboschimento, vicino ad un pozzo già esistente, delle aiuole
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per produrre verdure - pomidoro, insalata, patate dolci, fagioli, granturco … - destinate alla vendita o al
consumo. La resa dei conti dell’operazione, in pieno svolgimento, sarà
nel mese d’aprile 2014.
Quanto Lei dice fa intravedere
un’altra possibilità: lanciare delle
attività che diventino fonte di reddito per autofinanziare, almeno in
parte, le scuole, indipendentemente dall’aiuto esterno?
Su questa domanda mi sono arrovellato per ore e ore e ho speso notti
insonni. La risposta virtuale è chiara:
sì, però con altra gente! Con la nostra gente pur se possibile, senza
farci troppe illusioni, molto difficile.
A ricordarcelo, tanti piccoli tentativi
frustrati! Tuttavia, proprio facendo
tesoro dell’esperienza, penso che si
possa fare qualcosa; recentemente
ACRA che lavora in altre zone del
Ciad meridionale ci sollecita, tenendo conto anche dei risultati ottenuti.
Come ho già detto, conto di assicurare, fin che posso, una settimana al
mese a Békamba. Nel corso degli anni, infatti, questo progetto delle scuole
non si è limitato alla scuola elementare, ma si è fatto più corposo. Grazie
al sostegno di un’associazione ginevrina è nata una Scuola Normale (Magistrale) dove, per quattro anni (2004-08), 15 insegnanti ogni anno sono
stati immessi in un percorso di formazione pedagogica. Con le loro famiglie si sono trasferiti a Békamba per 8 mesi l’anno. Docenti del corso delle
persone molto valide, già in pensione, diplomate all’Ecole Normale della
capitale. Problema: questi 60 neo diplomati dovevano essere meglio retribuiti. Con ACRA abbiamo presentato un progetto biennale all’Unione Europea che lo ha approvato: il primo anno si è già concluso e terminerà nel
2014. Ma l’aiuto più importante richiesto è per i due foyer che abbiamo
aperto a Sarh, uno femminile e uno maschile, ciascuno può accogliere fino
a 30 ragazzi - attualmente sono 22 - che avendo ottenuto risultati brillanti
vogliono frequentare, sostenuto un esame d’ammissione, per 7 anni al Collegio Charles Lwanga. La selezione è sulla base del merito scolastico,
senza distinzione di appartenenza confessionale. Il costo per ogni ragazzo
è di 180.000 fr. CFA l’anno. E quando, al baccalaureato, ottengono un giudizio di eccellenza, allora si aprono le strade per l’università. Le facoltà più
ambite sono Medicina, Giurisprudenza, Pedagogia.
Il mio sogno? Trovare delle borse di studio che coprano l’iscrizione al 1°
anno d’università: 400.00 0 fr. CFA.
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di Grazia Salice
Testimonianze
Ciad
La Cattedrale St. Ignazio di Mongo
di Mons. Henri Coudray SI
A
44
bbiamo una grande gioia da condividere
con voi: la nostra Cattedrale è finita!
S’innalza, solida e bella, con il suo elegante
campanile, e ci invita ad entrare per adorare il Signore. All’interno, ci si sente avvolti da un’atmosfera, direi mistica, che induce spontaneamente
alla preghiera.
La nostra cattedrale è anche la vostra. Voi avete
collaborato a quest’opera e il vostro cuore, attraverso i v ostri doni, è qui
presente in ogni pietra e in ogni dipinto, una cattedrale davvero di “pietre
vive”. Grazie a ciascuno di voi che avete reso possibile la realizzazione del
nostro desiderio e del nostro sogno. Il Signore è stato grande con noi e …
lo è stato grazie a voi!
E, arrivati a questo punto, devo ricordare con una certa emozione l’esperienza di “cattolicità” molto concreta che abbiamo vissuto i n quest’avventura! La moltitudine, immensa, dei donatori, piccoli e grandi … L’équipe
bavarese del nostro amico Herman, l’architetto, e dei suoi colleghi; l’ingegnere e il carpentiere, che hanno lavorato come volontari … L’équipe parigina degli “Amici di Mongo”, cuore ardente e … indispensabile interfaccia
amministrativa! Il gruppo di amici valtellinesi venuti ad insegnare l’antica
arte dei tagliatori di pietre. Una mobilitazione senza frontiere per la nostra
“Chiesa delle frontiere”: muratori musulmani, tagliatori di pietre cristiani, un
gesuita hadjeray e i suoi aiutanti: dei volontari lionnesi…
Grazie a voi! Grazie a tutti! Grazie al Signore della Bellezza e dell’Unità che
ha permesso che si realizzasse questa bella avventura!
Il tintinnio cristallino dei bulini che tagliavano il granito delle nostre montagne
ormai tace, così anche il rombo dei camion provenienti da Mongo per caricare e trasportarvi sui loro cassoni i blocchi granitici. I valloni di Dadouar sono
tornati al loro silenzio. A 25 Km a est, coprendo l’ottagono di granito della
cattedrale, la struttura autoportante lancia ardita la sua croce verso il cielo di
Mongo, 17 mt. al di sopra delle case del quartiere. La grande opera è terminata e, per celebrarla, lo scorso 13 aprile, gli operai del cantiere hanno organizzato una festa. Hanno riletto, con l’aiuto di centinaia e centinaia di
fotografie, tutte le tappe della costruzione: ognuno ha toccato con mano l’immensità del lavoro compiuto e constatato come, veramente, l’unione faccia
la forza. Dopo il tradizionale riso in salsa, i dolciumi
e il thè, si è dato il via ai discorsi. Raphaël, un
amico saldatore venuto dalla capitale, lui un “Cristiano del sud”, ha esaltato con fervore, la mobilitazione, l’unità e la fede della quarantina d’operai,
tutti mussulmani che hanno costruito questa cattedrale con un cuore solo, come se avessero edificato una moschea! La sua voce, in un crescendo
di tono, si è fatta lirica: «Non si discute! Credenti
come guidati da un’unica Parola!».
I ponteggi esterni sono stati smontati. All’interno,
il coro è ormai terminato. Nella penombra color
ocra dell’ottagono di granito - sotto la luce soffusa proveniente dall’enorme (15 ton.) ma apparentemente leggera struttura poggiante a circa 2
mt. sopra l’ultima incatenatura – le fiamme del roveto ardente del tabernacolo in rame sbalzato invitano all’adorazione, parlano della nostra
comunione fraterna con i monaci di Tamié (comunità cistercense di trenta monaci trappisti, situata nell’Alta Savoia in Francia, ndr): durante i
lavori di restauro del coro della loro abbazia, infatti, si sono privati del loro antico tabernacolo per
offrirlo a noi.
Anche l’immenso affresco di 24 storie bibliche (12
dell’Antico e 12 del Nuovo Testamento) che si sviluppa sugli otto architravi delle finestre del deambulatorio interno, è ormai compiuto: frutto d’una
collaborazione islamo-cristiana, poiché Idriss, il
pittore, nativo di Baro, a 50 Km a est di Mongo, è
… musulmano! Alle spalle, una lunga collaborazione con p. Franco Martellozzo lo ha fatto diventare il nostro artista preferito per illustrare gli
opuscoli per la catechesi o quelli socio-educativi
e affrescare le nostre cappelle.
Ci stiamo adesso preparando all’inaugurazione e alla sua consacrazione.
L’inaugurazione avverrà il 30 novembre. Il mattino di quello stesso giorno,
Padre Erbi Alkali S.J., originario di Baro, là sarà ordinato prete.
La sera, a Mongo, si terrà la cerimonia protocollare dell’inaugurazione alla
presenza delle autorità civili. La consacrazione è prevista per l’indomani
mattina, 1° dicembre.
Voi, con i vostri sacrifici, siete stati presenti nel corso di questi mesi durante
i quali, pietra su pietra, noi abbiamo visto innalzarsi la cattedrale. Adesso vi
invitiamo a unirvi alla gioia di tutta la popolazione cristiana di Mongo con le
vostre preghiere e il vostro gioioso ringraziamento. Saremmo felici di accogliervi tra noi se questo vi fosse possibile.
A nome di tutti i cristiani, ancora una volta, grazie!!!
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Ciad
Una cattedrale
nel deserto?
di P. Franco Martellozzo SI
Q
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uando mia sorella Angela ha visto la foto della cattedrale finita, non
ha mostrato segni d'entusiasmo e ha mormorato: "Per una cattedrale mi sembra piccola!" La sua osservazione mi ha fatto quasi
piacere, perché una cattedrale immensa e fastosa sarebbe stata una stonatura nel contesto. C'è anche qualche grande funzionario proveniente dai
paesi dell'AFRICA RICCA, scandalizzato, perché i banchi so no delle semplici panche senza schienali. ALLELUIA !!!!!!!
Ciò detto, la nostra cattedrale è un gioiello da tutti i punti vista: un ottagono
perfetto in pietre di granito purissimo e un tetto metallico autoportante, frutto
dell'ultima tecnica tedesca. Ma andiamo con ordine, prima di tutto le pietre
di granito. In vista di questa opera, già due anni fa, è arrivato dalla Valtellina
capitan Giordano Angel, che di mestiere è impresario e guida alpina. È arrivato a più riprese con una squadra di arditi – li ricordo in ordine alfabetico Davide Angel, Gualtiero Colzada, Fausto Copes, Marco De Stefani, Emanuele Locatelli, Pietro Oregoni, Plinio Pedrana, che hanno dato una forma-
il patriarca Abramo in cammino verso la Terra Promessa
zione a un bel gruppo di giovanotti locali, capitanati dal prode Adam, un responsabile catechista di Dadouar. Dopo aver loro fatto apprendere la tecnica
del taglio a mano, hanno anche tentato con le perforatrici elettriche, ma il calore tropicale e ... le braccia troppo vigorose degli apprendisti le hanno messe
in fretta fuori uso. Il taglio a mano si è rivelato vincente e lentamente delle
montagne di pietre sono state caricate sul camion e trasportate a Mongo,
dove nel frattempo fratel Seni aveva lanciato il cantiere. Seni è un fratello
gesuita originario della regione che aveva imparato a costruire dal famosissimo fratel Mariani e ne aveva anche adottato il metodo: disciplina ferrea
ma ottimo trattamento dei lavoratori a tutti i livelli. Seni aveva già costruito con
P. Galli il seminario della capitale e col suo metodo riusciva, dixit Galli, a costruire in metà tempo e a metà prezzo in rapporto agli altri costruttori della capitale. Questo si realizzò anche per la cattedrale, senza arganelli e senza
betoniere, tutto a mano con una miriade di manovali come al tempo dei faraoni, con vari piani di semplici impalcature tradizionali. Il fratello era in piedi
tutti i giorni alle cinque del mattino, alle 13 mangiava la polenta con i suoi lavoratori e spesso uccideva per loro il caprone per poi riprendere sotto il sole
cocente fino a sera. Insomma un lavoro da lager per lui ma che gli ha dato
l'immensa soddisfazione di terminare senza il minimo incidente in un anno
quello che a un’altra impresa avrebbe richiesto due anni con spesa tripla. In
questo momento il pittore locale Idriss Bakai sta ultimando gli affreschi che
daranno alle pietre granitiche il sorriso dei colori come il cacio sui maccheroni. Abbiamo già cominciato a celebrare la Messa nella nuova struttura e
posso dirvi che il numero dei cattolici è immediatamente aumentato, non
solo, ma molti mussulmani vengono a farci i complimenti e anche a fare la loro
offerta come partecipazione alle spese. La cattedrale non è un vuoto trionfalismo, ma è anche diventata un simbolo di unità.
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Taiwan
Una formazione nel
solco della tradizione
di P. Gino Picca SI
S
ono in Italia e, passando dall’Aloisianum a Gallarate, non voglio lasciare sfuggire l’occasione per darvi qualche breve notizia sulla nostra
missione cinese. Perché, se è vero che siamo all’Estremo Oriente,
non per questo dovete dimenticarci, anche se, ahimè, i primi a non dare notizie siamo proprio noi! E, prima che di me, mi piace un po’ parlare anche
di chi, partito dall’Italia, ci ha preceduto in questa amata e lontana terra
che, soprattutto allora, poteva davvero sembrare un po’ alla fine del mondo.
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I gesuiti italiani che avevano lavorato nella Missione di Pengpu, nella provincia di Anhwei, fino alla loro espulsione da parte dei comunisti cinesi, furono destinati nella parte nord-ovest dell’isola di Taiwan, nel distretto di
Hsinchu, contea di Hukou, distesa su di un altopiano attraversato dalla ferrovia e dalla strada statale. La città centrale era Hukou, o New Hukou, con
30.000 abitanti e una stazione ferroviaria. Nei primi mesi del 1953, i padri
Mario Francesconi, l'ultimo Vice Superiore della Missione di Pengpu, Domenico Gras, Pietro Donatelli e fr. Augusto Ciminari arrivarono a Hukou.
Un giovane sacerdote, Adamo Naldini si unì a loro alcuni mesi dopo, e fr.
Eugenio Cerutti, un infermiere professionale che aveva lavorato nella Missione di Pengpu, arrivò nel mese di ottobre di quello stesso anno. Il 16
aprile, i padri Francesconi e Gras, con fr. Ciminari, si trasferirono in una
casa a due piani, presa in affitto, proprio di fronte alla stazione ferroviaria,
trasformando il piano terreno in una cappella, con una grande croce di
legno sulla terrazza, molto ben visibile a tutti, anche ai viaggiatori dei treni
in transito.
La missione cattolica di Hukou fu inaugurata il 3 maggio 1953, la cappella benedetta da mons. Fahy, accompagnato dai padri Alonso e Onate,
molti padri di Taichung e da oltre un centinaio di cristiani di Hsinchu, Chutung e Hsinpu. Una Messa alta in latino fu cantata da mons. Fahy, e il sermone predicato in mandarino da p. Gras, che parlò anche ai fedeli in dialetto
Hakka! I gesuiti italiani furono molto attivi nel coinvolgere le persone, invitandole a diventare catecumeni. Immagini sacre sulle pareti e stanze con libri e
articoli cattolici richiamarono una grande attenzione. P. Naldini formò un coro
di ragazzi e signore, preparò anche un gruppo di quattro giovani donne, insegnanti nella scuola cattolica in Hukou, insegnando loro religione, pedagogia e musica: tutti gli studenti diventarono catecumeni e furono battezzati. P.
Francesconi decise di aprire nel territorio di Hukou 16 asili infantili, dal momento che erano graditi alle famiglie. Un altro apostolato che ebbe molto
successo fu il dispensario, avviato
da p. Gras, per assistere malati e
poveri. L'estate del 1953, dopo aver
ricevuto una partita di medicinali inviati dal Foreign Welfare Societies,
p. Gras rifornì il suo piccolo dispensario, che ben presto si rivelò insufficiente per accogliere i pazienti in
numero vieppiù crescente. L’ottobre
dell'anno successivo, 1954, fr. Cerutti, con la sua gentilezza unita alla
competenza, sostituì p. Gras come
responsabile del dispensario. Il numero dei pazienti, da 20 a 50 al
giorno, rese necessario trovare una
nuova e più ampia sistemazione
dove fr. Cerutti fu aiutato quotidianamente da due infermieri, addestrati presso l'Ospedale di S. Maria
dei Camilliani a Lotung (Taiwan).
Da allora, più di mezzo secolo è trascorso, ma noi siamo gli eredi di quanto
loro hanno seminato. Questa è forse la ragione dell’affezione, dell’interesse
che riscuote la nostra proposta di formazione ignaziana. Dopo 6 anni di accompagnamento spirituale al “Manresa Center of Spirituality” a Changhua, Ching Shan, nel cuore dell’Isola e la responsabilità come Superiore
dei Gesuiti della zona centro-sud dell’Isola, posso testimoniare la grande
gioia di avere accompagnato molte persone tra cui sacerdoti, seminaristi,
suore e laici, nel fare esperienza degli Esercizi spirituali nella tradizione ignaziana. Nel nostro Centro passano ogni anno circa 2000 persone, metà delle
quali protestanti di varie denominazioni. Dopo un’attività molto energica per
l’evangelizzazione, sentono il bisogno di un incontro personale con Gesù e
chiedono di fare il cammino degli Esercizi che può essere di 3, 5, 8 giorni; alcuni sono anche disponibili a calarsi nell’intero mese ignaziano. Per avere
una preparazione più adeguata, molti di essi hanno partecipato anche ai 7
Workshos di fine settimana per imparare a fare la contemplazione e la meditazione ignaziana, con l’esame di coscienza per il discernimento spirituale
giornaliero. L’impegno di un intero mese non è cosa da poco! Un giorno, mi
contattò una “donna manager” attiva nel mondo editoriale, esprimendo l’intenzione di fare un mese di Esercizi. Le domandai come le fosse possibile allontanarsi da un lavoro di responsabilità: era la presidente della casa editrice.
Con molta serenità rispose che aveva programmato già da tre mesi il suo lavoro in vista di questa assenza e preparato a sostituirla alcuni collaboratori
di fiducia. Che coraggio! Mi commosse! Ricordo una signora protestante che
nel 2000 venne al Centro per fare il mese ignaziano con un padre canadese
e fare discernimento, se andare o no in Corea per un lavoro di evangelizzazione. Andò e la sua esperienza durò 8 anni. Al ritorno a Taiwan, le proposero
di dirigere un Centro di Spiritualità per la comunità dei protestanti. Nel 2008
venne ancora al Centro per un altro mese di preghiera in cui fece un bellissimo cammino di discernimento e accettò. Persone, anche non cattolici, che
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hanno partecipato a questo cammino, sono poi partite per la Cina continentale... e per altre zone dell’Oriente per testimoniare la loro fede in Gesù. Ricordo anche una docente di Spiritualità al Teologato dei Protestanti di
Taichung: avvertendo il bisogno di andare oltre, ha frequentato corsi di spiritualità all’università di Creighton (USA) e fatto gli Esercizi spirituali nella vita
di ogni gior no (EVO) con Retreat Online della Creighton University: adesso,
al nostro Centro, accompagna negli esercizi spirituali di fine settimana, ogni
mese, 20 studenti, in turni diversi! Solo alcuni esempi, però significativi: forte
è il senso ecumenico che si fonda sulla preghiera. Durante questi 6 anni di
lavoro molto intenso come direttore del Centro spirituale del Manresa Center a Changhua, in collabora zione con il direttore del Centro di Spiritualità di
Taipei e di Hong Kong, abbiamo formato dieci “direttori spirituali”. Questi laici
(uomini e donne) e due suore sono pronti l’accompagnamento spirituale. Aiuteranno il nuovo direttore del nostro Centro, P. John Wu Puo-jen, un taiwanese, che ha già incominciato ad alleggerirmi del mio impegno ormai
gravoso. Continuerò come superiore della Comunità dei gesuiti, avendo
maggior tempo a disposizione per dedicarmi ad un lavoro di evangelizzazione diretta: per questo, a Milano, desidero prendere contatto con le “cellule di evangelizzazione” di Sant’Eustorgio, per capire meglio la loro linea
d’azione. Una volta al mese continuo ad andare a Taipei, alla Facoltà di Teologia della Fu Jen University, per l’accompagnamento spirituale dei giovani
gesuiti. Nella Facoltà sono aumentati gli studenti, più di 200: sono sacerdoti,
suore, seminaristi e laici di varie regioni di Taiwan e vicinanze.
A Tainan, nella regione sud-occidentale dell'isola di Taiwan, la città più antica sotto l’aspetto culturale, c’è una nostra parrocchia del S. Cuore con
una fondazione che è lo sviluppo di un Centro per studenti, avviato nel
‘63/’64 e intitolato a Beda Chang, martirizzato nel ’55. La nostra parrocchia
è circondata da nove scuole che distano dieci minuti, tra loro. Tra queste,
due Università, e una di esse, tra le migliori di Taiwan, ha più di 27.000 studenti. Ci sono poi 4 Scuole Superiori, 3 Elementari e una “English International Village”. È un caso unico, forse in tutto il mondo, avere così tanti
istituti educativi in una stessa zona. Sarebbe un campo molto fertile per
qualsiasi giovane gesuita dotato di fantasia e d’amore per i giovani!
Il Centro Beda Chang, sorto per dare alloggio, vitto e formazione a studenti frequentanti le Scuole Superiori, oggi è condotto da un gruppo di ex
alunni, organizzatisi in fondazione con questo logo “IO per gli Altri e con
gli Altri” perché ciò che hanno ricevuto possa continuare a vivere e a dare
frutti nel servizio pe r gli altri. Al Centro hanno la loro sede 9 diverse opere
sociali, che fanno servizio ai non cristiani, creando così un’occasione molto
buona per una testimonianza di fede. Tra di esse opera p. Davide Yen-ji SI,
in questo momento professore nell’Università Cattolica Fu Jen e animatore
del “Service Learning”, un programma di educazione attraverso il servizio. Attualmente abbiamo due studenti universitari che stanno compiendo
il processo di discernimento spirituale e pregano per discernere la volontà
di Dio nella loro vita e accettare l’invito di Gesù a diventare sacerdoti.
Termino qui. Mi riprometto di continuare un dialogo con voi quando torno
al mio lavoro. Vi lascio la mia E-mail: [email protected]
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Brasile
Quanti siamo?
di P. Ippolito Chemello SI
S
ono stato trasferito a Salvador (BA); da 15 anni ero residente a Feira
de Santana (BA): 9 anni come parroco e 6 anni nel noviziato. Là vissero P. Fabio Bertoli e P. Mario Rocchi, già partiti per l’eternità.
Quanti siamo i gesuiti italiani missionari in Brasile?
“Appena”18, e molti già anziani.
Nella residenza “Padre Antonio Vieira” (dove sono adesso) siamo:
P. Domenico Mianulli (73 anni ) da 11 anni r ettore del grande Collegio “Antônio Vieira”, P. Giuseppe Antonio Pecchia (68), P. Licurgo Tamiozzo (79).
Nell’infermeria: P. Ippolito Chemello (81), P. Angelo Imperiali (89) e P. Gino
Raisa (89).
Nella Casa di Ritiro, nell’isola di Mar Grande: P. Beniamino Bartolic (90).
A Capim Grosso (Statio Missionaria): P. Saverio Nichele (75).
A Fortaleza (Ceará): P. Adriano Pighetti (86), e nell’infermeria, Fr. Luigi Cremonese (85).
A Teresina (Piauí): P. Antonio Baronio (73), P. Umberto Pietrogrande (83),
P. Fiorenzo Lecchi (85), P. Pietro Maione (87).
Nel “carissimato”, a Recife (PE), P. Ilario Govoni (77).
Nella Regione Amazzonica: P. Giampietro Cornado (59), P. Luigi Muraro
(75), P. Bruno Schizzerotto (72), Fr. Gianfranco Zanelli (69) e a Belém, il vescovo, Mons. Alessio Saccardo (73).
Com’è la situaz ione della Compagnia di Gesù in Brasile?
Nel 1958, quando vi arrivai, 55 anni fa, in Brasile c’erano 5 province (includendo le vice-province) e 4 noviziati.
Ora, 2013, abbiamo un unico noviziato (a Feira de Santana) e 3 province:
stiamo preparando la nuova provincia: “Provincia del Brasile”.
Notate che il Brasile ha una superfície di 8.514.876 km 2, equivalente a 28
volte l’Italia!
Negli anni che trascorsi a Feira de Santana in uno dei due noviziati, i novizi
che emettevano i “primi voti” erano otto, dieci, perfino quindici!
Quest’anno, sono solo due! Vi supplico: pregate per le vocazioni alla Compagnia di Gesù, anche per questo immenso Brasile!
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Perché il P. Generale dei Gesuiti è venuto a Salvador?
Come a Madrid, in preparazione alla G.M.G. (Giornata Mondiale della Gioventù), P. Adolfo Nicolas ha voluto incontrarsi con i giovani del “Magis”
che avrebbero partecipato alla G.M.G. in Brasile.
Noi gesuiti della residenza “P. Antonio Vieira” abbiamo avuto il privilegio
di ospitarlo per 3 giorni. “Magis” è lo slogan di questi gruppi: Magis = il d i
più, il Meglio ignaziano, diverso dal M.A.G.I.S Italiano = Movimento e azione
dei gesuiti italiani per lo sviluppo”.
Quest’anno, l’incontro del “Magis” fu qui a Salvador.
P. Domenico Mianulli, con un gruppo di volontari, aveva trasformato il collegio “Antonio Vieira” in un ambiente (per incontri, pasti e dormitori) che
accolse piu 2000 giovani del Magis venuti da 56 paesi.
Il P. Generale è stato presente in tre momenti: all’incontro con i 200 gesuiti
che avrebbero accompagnato i giovani dei vari paesi; alla conferenza per i
giovani, alla Messa di invio.
Dopo quattro giorni di convivenza, i giovani, in gruppi internazionali, sono
partiti in “missione” in diverse parti del Brasile, fino ad incontrarsi a Rio de
Janeiro, con gli altri participanti alla G.M.G.
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Voi, attraverso i mass media, avrete vis to la straordinaria G.M.G. 2013, con
la presenza di Papa Francesco. Ciò che ha detto e ciò che ha fatto, qui,
in Brasile, darà molti frutti!
Brasile
40 anni: i silenziosi benefattori
di P. Gigi Muraro SI
Q
uanti Missionari lavoravano in tutti i paesi del mondo! Ma, accanto ai
Missionari, sono necessari i collaboratori: che sono i benefattori.
Sin dal tempo di Gesù, ci furono alcune benefattrici: Susanna, Giovanna e varie altre. San Paolo – nonostante lavorasse tessendo stuoie – fu
aiutato da una negoziante di porpora, Lidia.
Con il mondo moderno, i sistemi sono organizzati con gruppi o nazioni.
In modo speciale la Germania, benché i cattolici siano una minoranza, ha parecchi organi: ADVENIAT (per chiese e Seminari), MISEREOR (aiuti sociali),
MEDEOR (aiuti sanitari). Nel mio caso, posso portare questi esempi: il primo
è stato la chiesa di Morros (Maranhão) e quella della famosa Macaxeira (l’accampamento dei Senza-Terra); il secondo, mi sembra, le varie Mitsubishi nel
Pará e attrezzature per il mio ospedale, senza dimenticare, nel 1973-74, la
grande ristrutturazione del Lebbrosario in Campo Grande (Mato Grosso); e
infine, nel corso di parecchi anni, il rifornimento di molti, utilissimi medicinali.
Purtroppo, un malaugurato giorno, il governo del Brasile bloccò queste forniture: due volte potei ancora riceverle grazie a un mio ex-compagno della
Filosofia, segretario del Presidente, Fernando Henrique. Poi quel canale fu
chiuso. Ricordo ancora i meravigliosi unguenti per le ustioni!
Ma anche la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) parecchie volte ha inviato
vari aiuti, come per costruire il centro parrocchiale di Laranjeiras (Marabá),
sale per la catechesi e, nel caso del “Massacro di Eldorado”, un ingente
aiuto in denaro per soccorrere i 70 feriti dei Senza-Terra. Bisogna ricordare
anche l’associazione milanese ACCRA impegnatasi in varie grandi costruzioni di Marabá (Pará): la casa “Sacro Cuore dei Ritiri”; il centro parrocchiale
dell’Indipendência e del Novo Horizonte; il laboratorio della Kolping il cui
merito va all’allora dirigente, il gesuita missionario Padre Colzani.
Eppure tra le varie e molteplici azioni di aiuto, bisogna dire che moltissime,
infinite, sono venute da piccoli e grandi benefattori le cui offerte continue e
sostanziose ci hanno accompagnato nel nostro impegno missionario. Tanti
gruppi missionari, diocesi e singole persone hanno fatto miracoli. Cito parecchi esempi. Nella mia parrocchia di Morros, negli anni 1981-82, ci furono
siccità ... fame e ci furono inviate più di 40 tonnellate di riso, che continuarono fino alla mia permanenza nel 1994. I chicchi di riso furono donati da
centinaia e centinaia di benefattori italiani. Nella diocesi di Marabá sono state
costruite ex novo circa 25 chiese o ristrutturate quelle già esistenti ma in
cattivo stato. Come? Sempre con i denari che giungevano in piccole o grandi
offerte dai benefattori. Bambini o ragazzi, poveri, sono stati aiutati da famiglie italiane attraverso il sostegno scolastico e le adozioni a distanza per di-
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verse decine anni. Alcuni di questi benefattori ancora oggi perseverano.
Ugualmente varie persone hanno aiutato i “giardini d’infanzia”. Nonostante
le attuali difficoltà e ristrettezze economiche in Italia, le generose offerte
continuano. Nel presente anno, 2013, posso ricordare: ad una Missionaria,
che lavora nell’interno di Bahia, è stata offerta una Fiat; le centinaia di haitiani che tentano di trovare una speranza di vita nella nuova terra, il Brasile,
sono accompagnati dai gesuiti; alcune Suore Cappuccine sostengono una
“Scuola Famiglia Agricola” dove insegnano a migliorare la tecnica nei lavori
agricoli, nello Stato del Maranhão, a Morros.
Brasile
L’incendio di São Jorge
27 novembre 2012
di P. Gigi Muraro SI
T
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anti e tanti anni fa, nel 1900, a Manaus, i terreni edificabili diventarono
così cari che la povera gente risolse che per avere una casa altro non
c’era che l’acqua. Così, sopra l’acqua, tra i fiumi e i canali, alzò le sue
palafitte. All’inizio le abitazioni erano così miserabili che si chiamarono “favelas”, cioè disprezzate. Ma i poverini, pian piano, cominciarono a industriarsi,
facendo sì che le casette migliorassero: prima tracciarono delle “stradette”;
poi vi portarono l’acqua potabile (prelevata dagli acquedotti), e alla fin fine
anche l’elettricità (la modalità, la stessa: un prelievo “forzoso”, cioè rubando
la luce alla rete cittadina). Quanto al resto, ad esempio la rimozione dei rifiuti
sin dall’inizio fu gratuita, lasciando che vi provvedessero i fiumiciattoli, a dire
il vero, un po’ inquinati.
Fra i tanti insediamenti sulle palafitte, sorse così anche il “bairro São Jorge”,
quasi al centro di Manaus: così vicino che la maggior parte della gente lo raggiungeva a piedi, senza bisogno di pagare i bus. Insomma, un luogo “ ideale”
per abitarci, anche se rimaneva alquanto discutibile il fatto che ci si appropriasse dell’acqua e dell’elettricità che erano del Governo, cioè di quei cittadini che ne pagavano il consumo. Quel tipo d’insediamento piacque anche
alle suore e ai gesuiti dell’equipe che ne fecero la base da cui partire per visitare gli indios e i ribeirinhos, finendo per stabilirsi a São Jorge, nel 2006. Io
arrivai a Manaus, al Noviziato, e li conobbi. Confesso che le loro abitazioni non
erano malaccio, anzi, oltre al fatto che tutto era gratis. Nel 2011 sulle palafitte
si costruì una Cappella destinata anche a sala comunitaria per gli incontri.
Tutto in pace, o quasi. Il 16 settembre 2009, andai al “bairro São Jorge”
quando, di pomeriggio, un bandito sparò vari colpi, ammazzando un uomo,
un trafficante, e, per sbaglio, colpì a morte anche un ragazzo. Dopo questo
fattaccio tutto andò avanti senza guai.
Purtroppo, il mattino del fatale 27 novembre 2012, il fuoco si appiccó a una
casa, passando dall’una all’altra, con la forza delle fiamme. Il vento era debole, ma attraverso i roghi, il vortice prese violenza e fu un inferno. Centinaia
di persone caricavano tutto: materassi, cucine, frigoriferi, trasportandoli dalla
parte delle strade o anche sull’altra sponda del fiume, il Mindú. Circa quattrocento abitazioni furono carbonizzate!
A est, verso la parte estrema del bairro, si salvarono un centinaio di casette,
tra cui quella delle Suore e quella dei Gesuiti. Ma senza passarelle, acqua ed
elettricità, era impossibile continuare ad abitarci.
Fu così che tutti, tutte le famiglie, in un modo o nell’altro, dovettero abbandonare, tristemente, l’ex-quartiere del São Jorge.
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Brasile
Andare dove non desidero
di P. Fernado Lopez SI, Arizete Mirando cns-csa
Graca Gomes cf - Equipe Itinerante
“Uscire da una zona di comodità… Solo per Amore”
Ringraziamo il compagno e amico P. Claudio Perani SI nel 5° anniversario
(8/8/08) della sua Itineranza definitiva alla Casa del Padre. Celebriamo
anche il 12° incontro Interistituzionale e i 15 anni di vita nella missione dell’Equipe Itinerante (EI) (1998-2013). Claudio fu il padre di questa proposta
missionaria, ricca di sfide. A lui la nostra gratitu dine e preghiera, perché
continui ad accompagnare, ispirare e animare questa piccola e fragile
“canoa itinerante”, al servizio dell’Amazzonia, a partire dall’ascolto vicino,
rispettoso e solidale della sua gente, là dove le ferite sono più aperte e la
vita più minacciata.
“Cambia, tutto cambia”
Il cantante cileno Julio Numhauser, costretto a fuggire dal suo paese per la
dittatura militare, compose nel 19 82 la canzone “Tutto cambia”, un poema
di valore universale che trasmette, con immagini di grande bellezza, le sue
emozioni nell’esilio di fronte ai continui cambiamenti. I mutamenti sono
qualche cosa di “naturale” e, soprattutto necessari, nella vita. Sempre
disposti ad uscire e camminare, nella continua dinamica del cambiamento,
sperando – come canta Numhauser - che “quello che è cambiato ieri, cambierà domani”. La realtà continuamente muta, anche se noi non siamo
mai completamente preparati ad accettarla. I vescovi latino-americani
ad Aparecida (CELAM, Brasil/2007) ci sollecitano a cambiare e ad attraversare le frontiere. “Per non cadere nella trappola di chiuderci in noi
stessi, dobbiamo formarci come discepoli missionari senza frontiere, disposti ad andare all’altra riva.”
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Il Papa e la Chiesa sono cambiati in modo significativo in questi ultimi
mesi. Benedetto XVI consegna umilmente la sua rinuncia e Francesco,
primo Papa latino-americano e Gesuita, assume questo servizio con
gesti affettuosi, profondamente evangelici e parole semplici che tutto il
mondo capisce.
Per Papa Francesco le parole cammino e camminata sono fondamentali.
Si è presentato come “Vescovo di Roma” nel giorno della sua elezione
con queste parole: “E adesso cominciamo questo cammino: vescovo e
popolo. Questo camino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le chiese, un cammino di fraternità, di amore di
fiducia tra noi”.
Nella sua prima omelia, durante la celebrazione della Santa Messa per la
Chiesa con i Cardinali, insiste nell’idea di movimento: “In queste tre letture
vedo qualche cosa in comune: il movimento. Nella prima lettura il movimento
è il cammino (…) Camminare. Casa di Giacobbe, “Venite, camminiamo nella
luce del Signore”. Questa è la prima cosa che il Signore disse ad Abramo
“Cammina alla mia presenza e sii irreprensibile”. Camminare: la nostra vita
è un cammino; quando ci fermiamo, qualche cosa non funziona. Camminare sempre, alla presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere in modo irreprensibile come Dio chiede ad Abramo, nella sua promessa.
Recentemente nella Giornata Mondiale della Gioventù, nella Messa di inizio della missione (Rio de Janeiro 28/7/2013) papa Francesco disse ai giovani: “Andate, senza paura, per servire”. E nell’incontro con i volontari:
“Abbiate coraggio di andare contro corrente e abbiate anche il coraggio di essere felici”.
Claudio credeva profondamente in questa dinamica: “Ciò che vale è la camminata, pestare la terra, andare anche nel fango, cercare perfino i cammini
periferici dove tutto il mondo passa. Alcuni preferiscono soltanto l’asfalto, i
posti centrali per poter pregare meglio, pensare alle cose del cielo… È questa la spiritualità del Vangelo?”. Per questo Claudio sempre insisteva con i
membri dell’E.I. “Andiamo per l’Amazzonia e ascoltiamo quello che il popolo
dice. Partecipiamo alla vita quotidiana del popolo”. L’E.I. è una chiamata continua a uscire interiormente e geograficamente per i diversi cammini, fiumi e
strade, per i vicoli e le periferie urbane, per i sentieri della foresta, ispirandosi
proprio a Gesù che “andava per città e villaggi annunciando la Buona Novella
del regno. I discepoli ed alcune donne lo seguivano” (Lc 24,13-5).
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La vita è cambiamento, cammino e camminata, traversata e
itineranza nella direzione della casa del
Padre - diremo in prospettiva cristiana -.
Nelle parole del poeta
Antonio Machado: “Il
viandante non ha
cammino, si fa cammino l’andare”. Ed è
nel cammino e nella
camminata che appare il Pellegrino, è
nelle strade e nei fiumi
dove la vita rinasce e
rifiorisce, come per i
discepoli di Emmaus
(Lc 24,13-35).
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Uscire dalla situazione comoda
In un suo ritiro spirituale del 2005 Claudio registrava nelle sue annotazioni:
“Un altro appello di Gesù, adesso che sono vecchio, è una disponibilità ad
andare dove non desidero, senza preoccuparmi. Seguire soltanto Gesù. Io
chiedo la grazia della disponibilità nel momento quando apparirà la croce”.
Egli non solo sentiva, ma viveva radicalmente fino alla fine dell’attraversata
della sua vita questa mozione spirituale che continuamente lo interrogava
e lo stimolava. “La mia preoccupazione sta nel considerare che ancora
non sono riuscito (per paura?) ad entrare in certi ambienti. Passo per
la strada di Cachoeira, ma non mi fermo nel bar delle prostitute, né nella
casa dei drogati. Anche lì ci sono i miei fratelli che soffrono. Che cosa devono dire quando vedono passare un padre?
Gesù cammina con i discepoli di Emmaus, va con gli uomini. Ricordo la
difficoltà che avevo di andare in certi luoghi della via Cachoeira.
“Andare dove non desidero” è l’appello del Signore che spinge Claudio ad
uscire, una volta o l’altra dalla sua situazione comoda. La situazione confortevole è lo spazio metaforico dove ci si trova comodamente in un contesto
che conosciamo e dominiamo. In essa noi ci sentiamo sicuri, le cose sono familiari e conosciute, ci è facile trattare con esse, siano gradevoli o no. Mantenersi nella nostra zona di conforto è ripetere, anno dopo anno, le stesse
cose: nel lavoro, parrocchia, pastorale, missione, famiglia, gruppo, associazione o comunità, mantenere le stesse abitudini e routine, abilità e conoscenze, comportamenti e atteggiamenti. È uno spazio che conosciamo bene,
ci sentiamo sicuri e per questo tendiamo ad installarci, impoverendoci.
Claudio visse fino all’ultimo momento questa dinamica di uscire dalla situazione di comodità. Conciliava i suoi servizi istituzionali come Superiore Regionale dei gesuiti in Amazzonia (DIA) e le diverse supervisioni come
Direttore del Sares
(Servizio di Azione, Riflessione ed Educazione Sociale) con le
visite periodiche alle
favelas. Durante gli
anni che trascorse a
Manaus, fin dall’inizio
(1996), Claudio divenne amico delle famiglie
della
Via
Cachoeira e delle comunità vicine alle palafitte Bodò e Iacarè,
nell’igarapè (piccolo
affluente) Cachoeira
Grande nel quartiere
S. Jorge, vicino alla
sede del DIA, dove viveva.
“Ho aspettato un anno prima di decidermi ad entrare in questo quartiere”
“In fondo prevaleva un certo timore, provocato dalla differenza sociale e
dal fatto di non sapere che cosa fare. La scusa erano gli altri impegni.
Dona Leonor mi aiutò e con lei entrai nel Bodò dove era ben conosciuta e
poi, anche nell’igarapè che da molto tempo nessuno visitava se non i
gruppi evangelici… Queste visite ai tre igarapè e alle famiglie continuano
anche oggi, senza la preoccupazione di “realizzare” alcuna cosa. Mi pareva importante una presenza, cercando di stringere la mano, salutare,
ascoltare, a volte consigliare le persone che lo desideravano.”
E tutti i venerdì, al mattino, quando Claudio era in città, andava alla cattedrale, nel centro, vicino al porto, per ascoltare, affettuoso e paziente, le
prostitute, gli alcolizzati, i mendicanti e i drogati che desideravano sfogarsi, conversare, confessarsi o un orientamento spirituale. Claudio riflette
sulla sua esperienza di “itineranza” nella “interiorità” di queste persone.
“Qual’è l’attitudine del confessore davanti a questa ricchezza di vita
umana? Il confessore è anche lui un peccatore, un uomo fragile con i suoi
complessi psicologici. Questa fragilità deve essere accolta per poter comprendere meglio la fragilità degli altri… Sintetizzando con due parole evangeliche: come Gesù, il confessore o orientatore è quello che appare nella
vita di qualcuno dicendo: Non avere paura, la pace sia con te. La consolazione che il confessore prova, abitualmente è molto grande. La persona
entra con un viso triste e angustiato. Dopo poco essa si apre ed esce sorridendo. Accade anche che alcune volte qualcuno ritorni semplicemente
per ringraziare della vita ricevuta. Mi ricordo il lebbroso del Vangelo. Serve
per sperimentare il potere di Dio”.
Purtroppo, una delle zone più difficili da oltrepassare è quella dell’efficacia.
Tutti cerchiamo di essere efficaci e produttivi, di non perdere il tempo nella
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nostra vita… E in questa trappola restiamo disorientati, lontano dal popolo,
perché non comprendiamo ancora l’efficacia della presenza gratuita.
Equipe Itinerante: la missione
Afferma il poeta Luis Gallero “Tutti i luoghi dove si apprende sono in situazione di conflitto fuori dalla situazione comoda!” L’Equipe Itinerante è una
proposta di vita e missione in tale situazione “sconfortevole” e per questo
un luogo esigente di apprendimento.
Claudio ha vissuto questi conflitti. Il suo spirito era quello di buttarsi, di lasciare i posti sicuri, di lasciarsi interpellare dalla gente e ascoltarla. Claudio
ha cercato di trasmettere questo spirito a tutte le sue attività e nelle sue
consulenze a gruppi, comunità e istituzioni che ha accompagnato nel corso
della sua vita. In modo particolare ha tentato di seminare questo spirito
“sconfortante” nell’EI. La sua proposta missionaria è molto esigente. L’EI
vive una costante tensione spirituale che la obbliga continuamente a uscire
da sé, dalle comodità e dagli spazi conosciuti di sicurezza personale e istituzionale, da una situazione di comodo, per andare dall’altra parte della
frontiera, all’incontro con l’altro diverso, solo confidando nella Provvidenza
del Padre - sono parole di Claudio - senza preoccuparmi. Soltanto seguendo Gesù. (…) Ci obbliga a dipendere dagli altri in alcune cose importanti e a porre tutta la nostra fiducia nell’Altro. Questa dipendenza dagli altri
è forte ed esigente, ci destabilizza profondamente e ci aiuta ad uscire da
noi stessi.
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Ispirandosi alla mobilità dei primi Gesuiti, propone la formazione di
un’équipe residente a Man aus, perché visitasse periodicamente le comunità dell’interno dell’Amazzonia. “Vuole anche essere un ponte – scriveva - con gli enti e gli intellettuali della città per scoprire i nuovi cammini
a favore della zona rurale e urbana dal punto di vista pastorale e socio-politico. L’obiettivo è ancora vago, ma si potrà concretizzare solo a partire
dalle sollecitazioni ricevute e dalla creatività dei gesuiti dell’équipe.”
La prospettiva interfrontiera, territoriale e geopolitica che svolge l’EI è
anch’essa una continua uscita da una situazione di comodo. È più sicuro
e più comodo stare dentro le proprie frontiere culturali, linguistiche, simboliche o geografiche. Uscire in un terreno sconosciuto, dove ci sono altre
persone, diverse e sconosciute, che controllano e conoscono il territorio (e
non io) è scomodo e genera molta insicurezza. La necessità di esprimersi
in una lingua che non si padroneggia, genera insicurezza; doverci confrontare con altri codici culturali, ci fa sentire che stiamo “camminando sopra
l’acqua”… Inoltre questa prospettiva di andare oltre le frontiere geografiche
e simboliche nei due sensi è una componente fondamentale del progetto
dell’EI che ci fa uscire dalla situazione di comodo nella quale ci sentiamo
sicuri.
La spiritualità itinerante è una spiritualità di conflitto nel senso che la persona resta nuda, senza molte strutture esterne alle quali appoggiarsi. Tutta
l’itineranza geografica porta con sé un’itineranza interiore ancora più esigente. Nelle itineranze, nell’isolamento comunicativo, nell’inserimento in
altri mondi culturali dove non si padroneggia né la lingua, né i modi di relazionarsi, in mezzo a fiumi e foreste, tra conflitti e tensioni che colpiscono
i poveri delle foreste e delle periferie urbane, nell’immensa Amazzonia ciò
che sostiene è la struttura spirituale personale, le convinzioni interne, la
stretta relazione di amicizia del gruppo e l’appoggio della gente. Le strutture esterne sulle quali si può contare nella vita di missione dell’EI sono
molto limitate e per questo la maturità e la struttura personale sono fondamentali. Dall’altro lato, la missione dell’EI ci destabilizza e ci sfida a stare:
“con chi nessuno desidera stare, dove nessuno desidera stare e come nessuno desidera stare”. Questa dinamica è molto esigente e ci chiede di vivere profondamente fiduciosi nella Provvidenza del Padre.
L’amore permane e ci trasforma!
L’ultima strofa della canzone “Tutto cambia” (Todo Cambia) di Julho Numhauser afferma che l’amore non muta, è l’unico che rimane. “Ma non cambia il mio amore, per quanto lontano mi trovi, né il ricordo, né il dolore del
mio popolo e della mia gente”.
Anche Claudio negli appunti finali dei suoi esercizi spirituali del 2005 scrive
che l’amore è l’essenziale: Termino gli esercizi spirituali con la meditazione
di Giovanni 21. Nell’intimità consolatrice di Gesù! “Claudio, mi ami tu?” È
chiaro! Però permane semp re un poco di tristezza, perché il mio amore è
fiacco e limitato. Ma Gesù fa la sua parte.
Uscire dalla situazione comoda non è frutto di un atteggiamento volontaristico. Lo sforzo è sempre necessario. Però, è a partire dall’esperienza profonda dell’amore, che la vita si trasforma e si dona in un servizio fino alle
estreme conseguenze, oltre le frontiere geografiche o simboliche. Solo a
partire dall’esperienza profonda e viscerale dell’amore di Dio nei poveri,
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negli esclusi e nei diversi si ottiene il miracolo della conversione della vita,
per amare e servire di più. E Claudio ci ricorda nelle sue annotazioni personali che, se noi amiamo, è perché Dio ci ama per primo (1 Giov. 4,19): “la
mia orazione va nella direzione di dire: Padre, ti amo, desidero amarti sempre più. Gesù, amico mio, che io possa aumentare sempre più la mia amicizia… Forse potrò cambiare un poco o radicalmente. Però in questo modo
io rimango sempre al centro. Non sarebbe meglio chiedere: Padre che io
possa riconoscere sempre più il tuo amore, la tua misericordia. Gesù fa
che io ami sempre più i miei fratelli, il mio prossimo”. E pregando sul testo
di Giov. 1,1-18, Claudio registrava “Il verbo che è Dio, è mia vita e mia luce.
Egli mi avvolge pienamente. Mi ricordo il proposito, a volte dimenticato, di
non chiedere di amare Dio, ma di lasciarmi invadere dall’amore di Gesù per
potere amare sempre più il mio prossimo”.
Ci sono persone che sono aperte, appassionate per l’Amore e per questo
stanno sempre cercando di uscire dalla loro situazione di comodo. Claudio
fu uno di questi. Sempre sognando con gli occhi ben aperti e i piedi per
terra, sempre attento, mai distratto come un mistico con gli occhi ben
aperti, cercando come attraversare le frontiere della ingiustizia socio-ambientale nei due sensi.
Anche se questo molte volte crea incomprensione e una certa solitudine
come hanno sopportato i profeti di tutti i tempi. Come lo stesso Gesù…
I profeti sono sempre spinti ad uscire dalla loro situazione di comodo e a
lasciarsi sorprendere da Dio alle frontiere, nelle situazioni di “sconforto”.
È un atteggiamento fondamentale della vita: essere attento e fiducioso, attraversare le frontiere e lasciarsi sorprendere dalla novità di Dio dall’altra parte. Come ricorda il profeta Dom Helder Camara: “Accetta le
sorprese che trasformano i tuoi piani, fanno cadere i tuoi sogni, danno una
direzione totalmente diversa alla tua giornata e, chissà, alla tua vita. Non
esiste nulla a caso. Dà libertà al Padre, perché Egli stesso conduca la trama
dei tuoi giorni”.
Così si esprimeva Claudio nelle ultime tre annotazioni del suo diario, due
mesi prima della sua dipartita alla casa del Padre: “Sto per essere offerto
in sacrificio, si avvicina il giorno della mia dipartita, ho combattuto un buon
combattimento, ho completato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora è
riservata per me la corona della giustizia”. “Sono i miei sentimenti. Solo
che non so quando sarà la mia dipartita: fra tre mesi? fra due anni, fra 10
anni? Questo sta nelle mani di Dio che guarda con affetto la mia situazione”.
“In questa situazione di ammalato è possibile rivedere la propria vita: i frutti,
gli errori. Se dovessi riassumere la mia missione, potrei usare le parole di
Gesù: “Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Mi identifico in questa affermazione di Gesù. Ho tentato di approfondirla e di viverla sempre più e confesso che ho ancora molta strada da fare”.
“Questa malattia crea un clima ideale per comprendere sempre più la vita
e il progetto di Dio. Ho più facilità nel comprendere queste affermazioni
della Scrittura, soprattutto il volto della giustizia e della misericordia di Dio.
Le lettere e la presenza di molti amici sono segni… Questo consola e dà
forza. Questa facilità è un dono di Dio”.
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