Una nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma
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Una nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma
3 Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo Oncologia Gravidanza gemellare Sviluppo sessuale Uroginecologia Una nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma Management clinico della trasfusione feto-fetale Ambiguità genitale: approccio clinico e attribuzione del sesso Incontinenza urinaria: quale approccio terapeutico TRANIZOLO ITRACONAZOLO nelle Can Candidosi ndidosi vulvovaginali vulvo ovaginali 8 capsule 1 100 00 mg Classe A Prezzo Pr ezzo % 10,30 10 0,30 (secondo G.U. N° 245 24 45 del 20/10/2006) MEDICINALE PRESCRIZIONE MEDICINAL LE SOGGETTO A PRE ESCRIZIONE MEDICA A Posologia: per le e candidosi vulvovaginalili assumere assumere capsule mg) all m mattino capsule mg) 2c apsule ((200 200 m g) a attino e 2 c apsule ((200 200 m g) giorno. la sera per un gio or no. Depositato pr presso esso AIF AIFA A in data 17-04-2009 Tranizolo T ranizolo non contiene contiene né glutine né é lattosio Un soffio d’aria fres fresca sca www.finderm.it www .fin nderm.it S N O G 3 Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo Oncologia ommario Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo n. 3 Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007 presso il Tribunale di Milano Editore Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano telefono 02.67100800 fax 02.6704311 e-mail: [email protected] sito: www.hippocrates.it Direttore editoriale Manlio Neri Direttore responsabile Susan Redwood Redazione scientifica Lella Cusin, Simona Regondi, Andrea Ridolfi, Rossella Traldi Progettazione e impaginazione grafica Marzia Bevilacqua, Giovanni Carella, Daniela De Martin, Vittorio Resmi Segreteria di redazione Isabella Monza Coordinamento scientifico Giovanni Scambia Hanno collaborato a questo numero Marinella Dell’Avanzo, Rosa De Vincenzo, Alfredo Ercoli, Gabriella Ferrandina, Matilde Ferrario, Vito Iannone, Mariano Lanna, Monia Marturano, Pierluigi Paparella, Raffaele Paparella, Armando Pintucci, Marco Pitea, Gianni Russo, Maria Angela Rustico, Giovanni Scambia, Vito Schena, Paolo Scirpa, Luciano Sterpellone, Paola Veronese Pubblicità e marketing Silvia Cavalca Stampa _________________________ Chiuso in tipografia 16 settembre 2009 Referenze fotografiche in copertina, Fotolia.com - Cosmetic Surgeon Using Cauterizing Cutter © Corbis #12643529 pagine interne (immagini astratte), Fotolia.com, iStockphoto.com I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. 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Gravidanza gemellare Sviluppo sessuale Uroginecologia Una nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma Management clinico della trasfusione feto-fetale Ambiguità genitale: approccio clinico e attribuzione del sesso Incontinenza urinaria: quale approccio terapeutico Clinica Scienza e società di Luciano Sterpellone 4 Oncologia Una nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma di Rosa De Vincenzo, Paolo Scirpa Gravidanza gemellare Management clinico della trasfusione feto-fetale di Maria Angela Rustico, Mariano Lanna, Armando Pintucci, Marinella Dell’Avanzo, Paola Veronese, Vito Schena 6 17 Sviluppo sessuale Ambiguità genitale: approccio clinico e attribuzione del sesso di Gianni Russo, Matilde Ferrario, Marco Pitea Uroginecologia Incontinenza urinaria: quale approccio terapeutico di Alfredo Ercoli, Monia Marturano, Vito Iannone, Raffaele Paparella, Gabriella Ferrandina, Giovanni Scambia, Pierluigi Paparella 22 30 3 N O G S cienza e società di Luciano Sterpellone - Roma Il medico dello zio Vania Pur cominciando a fare il medico subito dopo la laurea, Anton Cechov non rinunciò alla sua passione di scrivere, raggiungendo presto una certa notorietà. Compì poi un lungo viaggio nelle steppe del Don, descrivendo le impressioni nel famoso racconto La steppa. Le sconvolgenti notizie che riportava sulle precarie condizioni di vita e di salute dei condannati ai lavori forzati non mancarono di scuotere profondamente le coscienze del tempo, con significative e immediate ricadute di natura politica e socio-sanitaria. Purtroppo però questo viaggio incise anche sulla salute del giovane medico, che formulò su se stesso la diagnosi di tubercolosi polmonare, ben conscio dell’assoluta inesistenza di una cura efficace. Continuò tuttavia a lavorare sia come medico che come scrittore, raggiungendo larga fama in ambedue i campi. In quasi tutte le opere di Cechov non manca la sua impronta di medico, il quale non di rado si sofferma a stigmatizzare i propri colleghi: come Ceputikin, il medico de Le tre sorelle, che confessa di non aver più letto nulla dopo la laurea (“se non i giornali”), che non sa niente, mentre i suoi pazienti lo credono chissà chi; oppure il medico de Lo zio Vania abituato ad alzare il gomito, il quale dichiara: “Bevo... bevo... e quando bevo affronto le operazioni più difficili e le compio mirabilmente...”. O come il medico de Il Gabbiano, che tratta indistintamente i suoi pazienti - tutta gente di teatro e intellettuali, perlopiù ipocondriaci - uniPer lungo tempo, è stata questa la domanda che ha agitato il soncamente con la valeriana. Ma i sucno degli scienziati che cercavano di dare risposte diverse da quelle cessi teatrali non fermano la sua atpartorite dalla fantasia popolare, da leggende, superstizioni, credenze magiche. Tutte idee e preconcetti che nelle varie Civiltà hanno sitività professionale. Cechov continua stematicamente preceduto, e certamente ostacolato, qualsiasi tena lavorare nonostante la tisi che sta tativo di un approccio razionale al problema. Basta pensare che fidistruggendolo: nel 1893 lo troviamo tra i contadini a elargire cure dual XVII-XVIII secolo, al quesito da dove provenisse il latte (sia nelno rante la terribile epidemia di colera. la donna che nei mammiferi), anche i medici erano giunti alla conAnnoterà le terribili condizioni di tratclusione - considerata inoppugnabile - che esso provenisse dal santamento e di assistenza: “Per ventigue (sic): questo, “sbiancandosi” nei vasi sanguigni delle mammelcinque villaggi ho un solo clistere, le, avrebbe assunto il suo aspetto caratteristico per poi emergere non un termometro, e appena mezdai capezzoli a beneficio del poppante. za libbra di acido fenico...”. Solo un Tra le tante altre “virtù” fantasiosamenpaio di decenni prima, erano stati te attribuite al latte, prevaleva quella di costituire un potente antidoto contro i pochi a intuire il suo grande talento: veleni: una virtù particolarmente opporil direttore del giornale cui collabotuna e vantaggiosa in tempi in cui i verava l’aveva addirittura esortato ad leni erano all’ordine del giorno. Testuaabbandonare l’arte medica; ma lui le: il latte avrebbe “legato il veleno, imaveva risposto: “Io sono un medico: pedendogli di esplicare qualsiasi sua subla Medicina è la mia moglie legittidola azione mortifera”. ma; la Letteratura la mia amante...” Da dove viene il latte? 4 Banane psichedeliche Secondo una “leggenda metropolitana”, la buccia di banana ridotta in polvere e fumata come sigaretta sarebbe dotata di potere allucinogeno. La notizia, lanciata originalmente negli anni Ottanta dai componenti di un gruppo punk (The Dead Milkman), che si rifacevano alla storia della cantante country Joe McDonald, fu addirittura motivo di un’inchiesta della severa Drug and Food Administration (FDA) statunitense. In realtà, durante l’intero processo di maturazione della banana, nel suo passaggio dal giallo al marrone e al bruno, la buccia aumenta la propria quota di serotonina, notoriamente dotata di effetto antidepressivo. Ma la successiva ricerca scientifica ha fugato gli entusiasmi di quanti credevano di aver risolto... a basso costo i propri desideri di “liberazione” psichica: si è visto difatti che, una volta che la buccia di banana viene fumata, la serotonina si decompone con la combustione e non può quindi essere trasmessa ai centri nervosi target sui quali dovrebbe agire. Ma, come ogni altra “favola”, anche questa è dura a morire, specie tra le nuove generazioni. Un alchimista nello stomaco In base ai ritrovamenti negli antichi siti precolombiani si sa oggi che il mais è originario del Sudamerica. Tale certezza fu però temporaneamente scossa verso la metà del 1800, quando alcuni archeologi reperirono in una tomba egizia alcuni grani di mais. La cosa suscitò enorme scalpore tra archeologi, paleontologi e storici di tutto il mondo, accendendo aspre e appassionate discussioni, talora sull’orlo della lite. Fu a questo punto che, spaventati per la brutta pie- Una protesi molto ingegnosa Nell’Europa rinascimentale le guerre, le tenzoni, i frequenti traumatismi, i reiterati duelli, e in particolare le severe leggi che in molti Paesi comminavano il taglio del naso per i delinquenti e i fedifraghi (!), ma che nello stesso tempo non proibivano di coprire con la chirurgia o le protesi le conseguenti mutilazioni, stimolarono in modo decisivo sia il miglioramento delle tecniche chirurgiche di rinoplastica che la costruzione di protesi. È rimasta celebre nella storia di questi progressi tecnici la protesi costruita nei Paesi Bassi da un certo Verchuylen di Anversa, applicata al viso di quel tale Alphonse Louis divenuto famoso come il “Moschettiere dalla Maschera d’argento”: questi, ferito da una scheggia di oltre due chili, riportò l’asportazione completa della metà sinistra della mandibola e parziale di quella destra, con perdita di tutti i denti e gravi sequele a carico della fonazione, della masticazione e della deglutizione. Il dottor Forjet fece allora costruire una maschera d’argento che copriva l’intera mutilazione, i cui margini erano camuffati da barba e baffi posticci, e i fili di sostegno tenuti nascosti dai lunghi capelli di Louis; inoltre, tutta la maschera venne dipinta con un colore simile alla pelle. Una cerniera posta in corrispondenza delle labbra ne permetteva l’apertura, previa una lieve pressione esercitata su di un bottone situato sulla parte destra della maschera. All’interno, questa era completa di denti metallici e di un piccolo imbuto comunicante con faringe e laringe. Una vera e ingegnosa opera d’arte, non c’è che dire, agevolmente rimovibile per consentirne la pulitura e l’eventuale riparazione. Un solo inconveniente: pesava più di un chilo... ga che la vicenda stava prendendo, alcuni scavatori si decisero a confessare che quei grani li avevano messi loro, così, tanto per tirare una burla agli archeologi e punire quella “scienza” che ostentavano ogni giorno con tanta superbia. 5 ONCOLOGIA U N O G na nuova era nella prevenzione del cervicocarcinoma Aumentano i test diagnostici disponibili per valutare il profilo di rischio individuale e quindi per calibrare in modo ottimale gli interventi di prevenzione secondaria, mentre sul fronte della prevenzione primaria i nuovi vaccini anti-HPV si propongono come strumento di grande potenzialità anche se restano da chiarire alcuni aspetti riguardanti la durata della protezione e le strategie vaccinali ottimali. Rosa De Vincenzo, Paolo Scirpa Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma I 6 l carcinoma della cervice è una neoplasia ancora molto frequente nel mondo: ogni anno vengono diagnosticati circa 510.000 nuovi casi di cervicocarcinoma invasivo, l’80% dei quali nei Paesi in via di sviluppo, mentre in quelli industrializzati, negli ultimi cinquant’anni, l’incidenza e la mortalità del tumore hanno fatto registrare una riduzione del 50%, grazie alla diffusione del Pap-test e allo screening organizzato. Tuttavia, nonostante questa neoplasia sia suscettibile di un’efficace azione preventiva, è tuttora associata a una mortalità elevata. Ancora oggi in Europa si registrano 35.500 nuovi casi/anno e in Italia sono stimati circa 3.500 nuovi casi/anno, con un’incidenza di 9/100.000 donne/anno e circa 1.300 morti/anno. Ultimamente, però, molto sta cambiando in ambito preventivo, grazie alla recente introduzione dei test biomolecolari nel procedimento diagnostico e dell’ancor più recente commercia- lizzazione dei vaccini profilattici per il Papilloma virus umano (HPV). Negli anni Novanta, gli studi epidemiologici supportati dalla tecnologia molecolare hanno chiarito il rapporto tra l’infezione da HPV e la neoplasia cervicale umana. Nel 1999 è stato dimostrato che la prevalenza del DNA di HPV ad alto rischio oncogeno in oltre 1.000 biopsie ottenute da carcinomi del collo dell’utero è pari al 99,7% (dati raccolti da 22 Paesi a livello mondiale) e nell’80% dei casi il virus risultava appartenere a uno dei seguenti tipi ad alto rischio oncogeno: 16, 18, 31 e 451,2. Allo stato attuale delle conoscenze, il ruolo causale dell’infezione persistente da HPV nello sviluppo del cervicocarcinoma e dei suoi precursori appare documentato oltre ogni ragionevole dubbio ed è stato definitivamente sancito nel 2008 dall’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Harald zur Hausen, scopritore dell’associazio- ne tra virus HPV e cancerogenesi cervicale3. L’infezione da HPV è inoltre strettamente correlata ad altre neoplasie umane; infatti, possono esserle attribuiti, approssimativamente, il 90% dei carcinomi squamosi anali a livello mondiale, il 70% delle neoplasie intraepiteliali vulvari di alto grado (VIN 2/3), circa il 40% dei carcinomi della vulva, della vagina e del pene, circa il 20% dei carcinomi orofaringei e il 10% dei carcinomi laringei e delle alte vie aeree4. La prevenzione secondaria La prevenzione secondaria del cervicocarcinoma si fonda principalmente sulla diagnosi e il trattamento delle lesioni intraepiteliali preneoplastiche della cervice. Il procedimento tradizionale si basa su una metodica in tre tempi: lo screening citologico, la valutazione colposco- ONCOLOGIA marker biomolecolari che dimostrassero una sensibilità e una specificità più elevate e una buona standardizzazione. pica e la biopsia mirata sotto guida colposcopica seguita, infine, dal trattamento personalizzato sulla base del grading istologico. Dal Pap-test … Lo screening del cervicocarcinoma ha utilizzato finora come test primario il Pap-test; tuttavia, esso, ha mostrato importanti punti deboli che hanno impedito di raggiungere gli obiettivi sperati in termini di riduzione dell’incidenza della neoplasia e della mortalità a essa correlata. La bassa copertura, la soggettività associata a una scarsa riproducibilità e, soprattutto, la ridotta sensibilità e quindi l’elevata incidenza di falsi negativi, sono i difetti fondamentali dello screening citologico (figura 1); essi hanno indotto i ricercatori a ricercare nuovi … all’HPV-DNA test La storia naturale del carcinoma cervicale è attualmente ben nota: sappiamo che l’infezione persistente da HPV ad alto rischio è responsabile dell’insorgenza di lesioni cervicali di alto grado che, se non trattate, possono evolvere nella neoplasia invasiva. Di conseguenza, in questi ultimi anni l’HPV-DNA test, ossia l’isolamento e la tipizzazione dell’HPV-DNA nel secreto cervicale, con individuazione dei tipi ad alto rischio, eseguito prevalentemente con Hybrid Capture II (HC II), si è sempre maggiormente inserito nel protocollo diagnostico delle lesioni intraepiteliali della cervice per l’ottima sensibilità, l’alto valore predittivo negativo e la buona standardizzazione. Infatti, la presenza di un HPV ad alto rischio a livello cervicale aumenta di 100 volte la probabilità che ci sia o che si sviluppi una lesione preneoplastica e neoplastica. Figura 1 Aspetti problematici dello screening del cervicocarcinoma Screening con Pap-test Bassa copertura Punti deboli Bassa riproducibilità Bassa sensibilità Attualmente in Italia la copertura è pari al 66%, con grandi differenze tra Nord e Sud L’HPV-DNA test ha una sensibilità molto elevata (93-94%) per le lesioni di alto grado e un valore predittivo negativo del 98%. Ciò indica che l’assenza dei sottotipi virali ad alto rischio è direttamente correlata alla mancanza di lesioni cervicali di alto grado. Tuttavia, questo test virale è caratterizzato da una bassa specificità, in particolare al di sotto dei 35 anni, il che porta a un valore predittivo positivo basso. Diversi studi controllati e randomizzati hanno recentemente confermato su grandi numeri che l’HPV-DNA test è significativamente più sensibile sia del Pap-test convenzionale (+40%), sia del Pap-test in fase liquida (+30%) nello screening delle lesioni cervicali di alto grado5-7. Per questo motivo, soprattutto nei paesi anglosassoni, viene prospettato il suo utilizzo in associazione al Pap-test nello screening delle lesioni cervicali di alto grado, strategia che è riuscita a ridurre i falsi negativi dal 30 al 2%8. Alcuni autori hanno proposto il ricorso al solo HPV-DNA test nello screening primario e la successiva esecuzione del Pap-test solo nei casi positivi all’HPV-DNA test per i tipi ad alto rischio. Con questa metodica si potrebbe escludere il 95% delle donne, ossia quelle risultate negative all’HPV-DNA test che, con elevata probabilità, non hanno lesioni di alto grado, ed eseguire il Pap-test sul 5% della popolazione femminile risultata positiva al test virale. Successivamente, andrebbero sottoposte a colposcopia solo le pazienti positive anche al Pap-test (1,5%)9. Che cosa suggeriscono le linee guida? Le linee guida nazionali e internazionali sostengono ormai da tempo l’affiancamento dell’HPV-DNA N O G 7 ONCOLOGIA N O G Figura 2 Impiego clinico dell’HPV-DNA test HPV-DNA test Nella gestione dell’ASCUS e dell’LSIL >35 anni 8 Come test di screening primario nelle donne >30 anni test al tradizionale Pap-test nel procedimento diagnostico delle lesioni squamose intraepiteliali (SIL), in particolare nel triage dell’ASC-US e nel follow-up delle pazienti trattate per lesioni di alto grado. A questo proposito, la Società Italiana di Colposcopia (SICPCV) e il Gruppo Italiano Screening del Cervicocarcinoma (GISCI), consigliano l’esecuzione dell’HPV-DNA test nei casi di citologia dubbia (cellule squamose atipiche di significato indeterminato o ASC-US) e nel follow-up delle pazienti trattate per lesioni squamose intraepiteliali di alto grado (H-SIL). Un recente studio italiano ha inoltre dimostrato che la specificità dell’HPV-DNA test è più elevata nelle donne di età superiore o uguale ai 35 anni con lesioni squamose intraepiteliali di basso grado (LSIL), rendendo pertanto possibile, con questo test, anche il triage della citologia LSIL nelle donne più anziane10 (figura 2). Oggi l’impiego clinico più diffuso dell’HPV-DNA test è nella gestione dell’ASC-US. In questa categoria di Pap-test, infatti, solo il 5- Nel follow-up delle pazienti trattate per HSIL 20% di donne presenta una lesione di alto grado all’esame istologico. Nel 50% dei casi di ASC-US il test virale risulterà negativo, per cui la paziente potrà ripetere la citologia a distanza di 12 mesi, per l’alto valore predittivo negativo del test. Nel restante 50% dei casi il test virale sarà positivo e queste pazienti dovranno eseguire la colposcopia con eventuale biopsia, perché il rischio di avere una lesione di alto grado è più elevato. Negli ultimi anni si è proposto di utilizzare l’HPV-DNA test come ausilio nel follow-up delle pazienti sottoposte a trattamento escissionale per lesioni preneoplastiche cervicali. Esso ha dimostrato di possedere una sensibilità significativamente superiore a quella della citologia (83-95% vs 53-86%) nell’individuare la persistenza o ricorrenza di queste lesioni dopo escissione. Pertanto, le pazienti trattate devono essere monitorizzate nel follow-up anche con l’HPV-DNA test, che deve essere eseguito ad almeno 6 mesi di distanza dal trattamento per consentirne la negativizzazione spontanea. Nuovi biomarcatori: mRNA test e p16INK4a È ormai noto che l’oncogenicità associata all’infezione da HPV è sostenuta dalle oncoproteine virali E6 ed E7 che, interagendo con le proteine cellulari p53 e pRB, alterano i normali meccanismi di controllo del ciclo cellulare e partecipano in maniera determinante al processo di trasformazione e immortalizzazione neoplastica. Sulla base di queste conoscenze, l’identificazione dell’RNA messaggero dell’HPV per l’E6 e l’E7 a livello cervicale (HPV-mRNA test) viene recentemente consigliata nelle lesioni dubbie o di basso grado (ASC-US e LSIL), nelle neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN) 1 e nel follow-up delle pazienti trattate dopo lesioni di alto grado positive al DNA. Si ritiene che l’HPV-mRNA test sia un indicatore di integrazione virale e di progressione oncogena dell’infezione da HPV; esso riconosce l’E6 e l’E7 mRNA per 5 tipi di HPV ad alto rischio (HPV-HR), ossia 16, 18, 45, 31 e 33, e li tipizza; è molto più specifico dell’HPVDNA test (87% vs 50%) e risulta caratterizzato da un miglior valore predittivo positivo, ma sembra meno sensibile11. L’utilizzo clinico di questo test potrebbe consentire di ridurre ulteriormente il numero delle pazienti con citologia borderline che devono essere sottoposte a colposcopia con biopsia mirata e, soprattutto, di stabilire quali lesioni di basso grado (CIN 1) hanno una maggiore possibilità di evolvere in lesioni di alto grado che devono pertanto essere trattate. Ultimamente è stato proposto un nuovo biomarcatore nello screening del carcinoma cervicale, ossia la proteina p16INK4a. Si tratta di una molecola che gioca un ruolo importante nella regolazione del ciclo cellulare normale poiché fa ONCOLOGIA parte del processo a cascata di segnali che provoca l’arresto della divisione durante la differenziazione cellulare. In condizioni fisiologiche la sua espressione è strettamente controllata: nelle cellule differenziate essa è ipoespressa, mentre in quelle cervicali displastiche la sua forte iperespressione indica l’inizio della trasformazione displastica conferita dall’oncoproteina E7 dei tipi di HPV-HR (figura 3). Recentemente è stato messo a punto un nuovo test di immunocito-istochimica per la rivelazione dell’iperespressione di p16INK4a sia nei preparati citologici che in quelli istologici e, nei diversi studi effettuati, questa proteina si sta rivelando un importante biomarca- tore, correlato non solo alla presenza dell’HPV-HR, ma anche alla disregolazione cellulare indotta dalla trasformazione oncogena. La positività del test p16INK4a, invece di predire il rischio di sviluppare la malattia nel tempo, indicherebbe la presenza di quest’ultima e sarebbe quindi un marcatore sensibile e specifico di malattia esistente. La sensibilità per lesioni di alto grado sembra confrontabile a quella dell’HPV-DNA test, ma con maggiore specificità12. Per questo motivo l’utilizzo della p16INK4a nella gestione del Pap-test anormale o borderline e dell’HPV-DNA test potrebbe aumentarne la specificità diagnostica rendendo lo screening più efficace. • Positività della p16INK4a in citologia: potrebbe aiutare a ridurre il numero delle pazienti con ASCUS e LSIL da sottoporre a colposcopia e a ulteriori indagini, facilitando l’identificazione di quella piccola percentuale di CIN di alto grado tra le pazienti con alterazioni citologiche di basso grado. • Positività della p16INK4a in istologia: potrebbe avere valore nel prevedere l’evoluzione della CIN 1, distinguendo i casi che presumibilmente regrediranno da quelli che progrediranno, indicando le donne da trattare o da sottoporre a un monitoraggio più stretto e riducendo, pertanto, i casi di overtreatment nelle lesioni di basso grado. N O G Figura 3 Regolazione del ciclo cellulare: ruolo della proteina p16 Meccanismo molecolare pRB E2F Regolazione del ciclo cellulare pRB E7 HPV-HR Progressione del ciclo cellulare E2F Promotore Gene p16INK4a La proteina p16INK4a gioca un ruolo importante nella regolazione del ciclo cellulare normale: fa parte del processo a cascata di segnali che provoca l’arresto della divisione durante la differenziazione cellulare. Promotore Gene p16INK4a p16INK4a p16INK4a p16INK4a p16INK4a p16INK4a In cellule epiteliali differenziate, la proteina p16INK4a è ipoespressa a un livello appena rilevabile; tuttavia, si è dimostrato che nelle cellule cervicali in cui gli oncogeni HPV-HR hanno dato inizio alla trasformazione cellulare, la proteina p16INK4a è altamente iperespressa. 9 ONCOLOGIA N O G La prevenzione primaria Il rapporto tra l’infezione da HPV e il cervicocarcinoma è certamente una delle più importanti scoperte nell’eziologia delle neoplasie umane: in termini di salute pubblica essa ha una rilevanza equiparabile a quella dell’associazione tra il fumo di sigaretta e il carcinoma polmonare oppure tra l’infezione cronica da HBV o HCV e il carcinoma epatico. La prevenzione primaria basata sui comportamenti individuali (evitare la promiscuità sessuale e l’uso del profilattico) non ha dato gli stessi risultati nei diversi contesti socioeconomici e culturali, portando a incidenze molto dissimili tra le differenti realtà dei Paesi industrializzati e in via di sviluppo. Negli ultimi anni, la disponibilità di vaccini profilattici anti-HPV ha permesso di ipotizzare una campagna di pre- venzione primaria di massa potenzialmente più efficace. Esistono diversi approcci al vaccino anti-HPV: i vaccini profilattici o di prevenzione primaria, che prevengono l’infezione iniziale, e i vaccini terapeutici, o di prevenzione secondaria, che prevengono la progressione delle lesioni cervicali. Dalla ricerca di base… La presenza di oncogeni virali nel genoma dell’HPV ha posto un ostacolo teorico alla costruzione di un vaccino profilattico anti-HPV contenente il DNA virale. Per tale motivo, gli sforzi sono stati orientati verso lo sviluppo di un vaccino a sub-unità. Studiando l’HPV nel modello bovino, si è osservato che la produzione in vitro di grandi quantità della proteina capsidica L1 era seguita da un processo automatico di autoassemblaggio adatto a costituire un involucro virale antigenicamente identico a quello del virus naturale. Quest’osservazione è stata in seguito confermata per l’HPV umano, e, a metà degli anni Novanta, l’acquisizione di tecniche d’ingegneria genetica ha reso possibile la costruzione di particelle virus-simili (VLP - virus like particles), immunologicamente attive, che, somministrate per via parenterale, inducono alti livelli di anticorpi IgG neutralizzanti i Papillomavirus tipo-specifici. Le VLP, pur essendo antigenicamente indistinguibili dai prodotti del virus naturale, sono prive di ogni capacità infettante e oncogenica, risultando pertanto sicure (figura 4). La scelta dei genotipi virali si è basata sui dati epidemiologici internazionali emersi negli anni Novanta. Poiché i genotipi virali 16 e 18 causano complessivamente il 70% dei carcinomi e delle lesioni di alto grado della cervice uterina e i tipi 6 e 11 sono responsabili del 90% dei condilomi anogenitali, la ricer- Figura 4 Sintesi del vaccino ricombinante Sintesi delle particelle virus-simili (VLP) HPV L1 HPV Gene L1 dell’HPV-DNA Capside virale vuoto (VLP) All’interno dell’HPV Induzione della risposta immune nell’ospite Gene L1 inserito in un plasmide Trascrizione Proteine capsidiche mRNA Traduzione Cellula eucariotica 10 ONCOLOGIA ca nell’ambito della prevenzione si è concentrata sullo sviluppo e sulla sperimentazione di un vaccino profilattico contenente sia due (16 e 18) sia quattro (6,11,16 e 18) genotipi virali. … alla sperimentazione clinica Oggi sono disponibili in commercio due vaccini per la prevenzione primaria dell’infezione da HPV: il quadrivalente per i ceppi 6/11/16/ 18 e il bivalente per i ceppi 16/18; essi sono simili per la tecnologia ricombinante utilizzata e differiscono per il tipo di adiuvante. Per entrambi i prodotti, il ciclo vaccinale consiste nella somministrazione per via intramuscolare di tre dosi nel- l’arco di 6 mesi (rispettivamente 0, 2 e 6 mesi per il vaccino quadrivalente e 0, 1 e 6 mesi per quello bivalente) (tabella 1). L’indicazione d’uso è basata sulla dimostrazione di efficacia e immunogenicità in donne adulte sessualmente attive (tra 16 e 26 anni per il quadrivalente e tra 15 e 25 anni per il bivalente) e sulla dimostrazione dell’immunogenicità in bambini e adolescenti (maschi e femmine tra 9 e 15 anni per il quadrivalente, solo femmine tra 10 e 55 anni per il bivalente)13-16. La sperimentazione clinica sull’uomo di fase I e II ha dimostrato l’elevata sicurezza e l’eccellente immunogenicità del vaccino composto da VLP e gli studi di fase III hanno valutato la sua efficacia nei confronti delle lesioni cliniche. Non è stato possibile condurre studi utilizzando come end-point il carcinoma della cervice invasivo perché il tumore si sviluppa a decenni di distanza dall’infezione e non può pertanto costituire un end-point, né realistico, né eticamente accettabile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la US Food and Drug Administration (US-FDA) hanno raccomandato di progettare studi di fase III finalizzati a dimostrare l’efficacia del vaccino nei confronti della displasia del collo dell’utero di alto grado (CIN 2/3) e dell’adenocarcinoma in situ (AIS), lesioni che precorrono il carcinoma invasivo e ne sono divenute il relativo end-point surrogato. End-point secondari sono l’infezione persistente da HPV (a 6 e 12 mesi), le CIN 1 e le lesioni genitali esterne. N O G Gli studi FUTURE e PATRICIA L’Italia ha partecipato a un trial multicentrico internazionale di fase III, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, denominato FUTURE I (Females United To Unilaterally Reduce Endo/Ectocervical Disease) per valutare l’immunogenicità, la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia del vaccino qua- Tabella 1 Composizione del vaccino anti-HPV umano Bivalente Quadrivalente Tipo di vaccino VLP contenenti il componente capsidico L1 dell’HPV 16/18 VLP contenenti il componente capsidico L1 dell’HPV 6/11/16/18 Concentrazione 20 μg HPV 16 20 μg HPV 18 Adiuvante 20 μg HPV 6 40 μg HPV 11 40 μg HPV 16 20 μg HPV 18 ASO4 • 500 μg di idrossido di alluminio • 50 μg di 3-deacilato monofosforil-lipide A AAHS • 225 μg di alluminio idrossifosfato solfato Sistema di espressione del baculovirus basato su cellule d’insetto (Trichoplusia ni) Sistema di espressione basato sui lieviti (Saccharomyces cerevisiae) Sistema con impiego di substrato (tecnologia del DNA ricombinante) HPV=papillomavirus umano; VLP=particelle virus-simili 11 ONCOLOGIA N O G Tabella 2 Vaccini anti-HPV: efficacia clinica nei confronti delle lesioni CIN2+ Numero partecipanti Tipo vaccino % Efficacia (IC 95%) Età Vaccinate Non Follow-up (anni) vaccinate medio Quadrivalente* 16-26 10.291 10.292 3 anni Bivalente** 7.788 7.838 1,25 anni (15 mesi) 15-25 PPE ITT ITT PrePost hoc tutti i tipi specificata di HPV 99 44 18 (36 mesi) (93-100) (31-55) – – – – (7-29) – 90 (53-99) 100 (74-100) * Adattato da Ault HA, 2007 ** Adattato da Paavonen J, 2007 12 drivalente nel ridurre l’incidenza delle lesioni da HPV17. I ricercatori di FUTURE I e II hanno pubblicato nel 2007 i risultati della fase III relativi a soggetti randomizzati a ricevere il vaccino quadrivalente o un placebo. L’efficacia del vaccino è stata valutata tramite l’analisi combinata dei risultati di quattro studi clinici randomizzati di fase II/III: complessivamente 20.583 giovani di età compresa tra 16-26 anni sono state randomizzate e sottoposte a follow-up medio di 3 anni18. L’end-point primario era valutare l’incidenza di CIN 2/3, AIS o carcinoma della cervice uterina da HPV 16/18. Tra le donne negative per i due tipi vaccinali di HPV durante il regime vaccinale (“popolazione per protocollo” o PPE, ossia soggetti sieronegativi e PCR-negativi per l’HPV a un mese dalla dose 3, che hanno completato il ciclo vaccinale previsto senza violazioni del protocollo, i casi di CIN 2/3 o AIS HPV 16/18 correlati (confermati istologicamente) sono stati 85 nel gruppo-placebo e solo 1 nel gruppo-vaccino, con un’efficacia del vaccino del 99% nei confronti dell’endpoint primario (IC 95% 93-100). Inoltre, l’analisi di tutti i soggetti randomizzati (“popolazione intention-to-treat - mITT”) ha evidenzia- to come la vaccinazione riduca l’incidenza delle CIN 2/3 e AIS causati da HPV 16 e 18 del 44% (IC 95% 31-55). Anche gli studi sul vaccino bivalente (PATRICIA - PApilloma TRIal against Cancer In young Adults) pubblicati da Harper e Paavonen, come analisi ad interim con un follow-up medio di 15 mesi, hanno arruolato circa 18.000 donne di età compresa tra 15-25 anni, in Europa, Nord America, America Latina e Asia e hanno dimostrato un’efficacia pari quasi al 100%19,20. I dati di efficacia clinica dei due vaccini anti-HPV verso le lesioni CIN 2+ sono sintetizzati nella tabella 2. Non solo cervicocarcinoma Joura et al hanno recentemente condotto un’analisi combinata di tre trial clinici randomizzati che hanno arruolato complessivamente 18.174 giovani donne tra 16 e 26 anni allo scopo di valutare l’efficacia del vaccino quadrivalente nei confronti delle lesioni preneoplastiche vulvari e vaginali di alto grado HPV 16 e 18 correlate (VIN 2/3, ValN 2/3)21. L’analisi primaria di efficacia nella popolazione PPE (soggetti che avevano completato il ciclo vaccinale previsto) dopo 3 anni di follow-up ha confermato il 100% (IC 95% 72-100) di attività del vaccino anche nei confronti delle lesioni VIN e ValN 2/3 HPV 16 e 18 associate. Nella popolazione ITT l’efficacia è stata del 71% (IC 95% 37-78) per lo stesso end-point correlato ai tipi vaccinali e del 49% (IC 95% 18-79) nei confronti delle lesioni vaginali e vulvari di alto grado, indipendentemente dal tipo del virus. È possibile che la tendenza all’aumento delle forme preneoplastiche (VIN e VaIN) in giovani pazienti si traduca, nei prossimi anni, in una variazione della distribuzione per età anche delle forme francamente invasive. Al momento attuale, purtroppo, siamo molto lontani dal concepire uno screening per il carcinoma della vulva e della vagina. In quest’ottica, i dati sull’efficacia dei nuovi vaccini contro l’HPV anche nella prevenzione delle lesioni precancerose di vulva e vagina appaiono estremamente interessanti. La pregressa infezione con uno o più tipi HPV vaccinali sembra non influenzare l’efficacia del vaccino quadrivalente; negli studi clinici, infatti, le partecipanti risultate infettate da uno o più tipi di HPV vaccinali prima della vaccinazione sono state protette dalle malattie ONCOLOGIA causate dagli altri tipi di HPV presenti nel vaccino22. Inoltre, la contemporanea presenza di tutti e quattro i ceppi vaccinali nella popolazione generale è molto bassa (dello 0,2%); per questo si ritiene non corretto prescreenare la popolazione in fase prevaccinale. Sono attualmente in corso studi per valutare l’efficacia dei vaccini anti-HPV nei giovani maschi (1626 anni), nelle donne adulte (2645 anni), in popolazioni immunodepresse (per esempio, pazienti HIV-positive) e in donne precedentemente esposte all’infezione, che chiariranno meglio le loro potenzialità anche in questi ulteriori gruppi target. Riscontri preliminari ottenuti somministrando il vaccino quadrivalente a donne tra i 24 e i 45 anni che al momento della vaccinazione non risultavano infettate dai tipi virali contenuti nel vaccino, sembrano confermare percentuali di efficacia sovrapponibili a quelli rilevati nelle donne tra 16-25 anni, ma al momento i dati disponibili non sono sufficienti per consigliare l’uso del vaccino in questa fascia d’età. Attualmente non esiste alcuna prova circa l’eventuale ruolo protettivo del vaccino nei confronti delle malattie causate da tipi di HPV non vaccinali; solo i dati sulla cross-reazione, cross-neutralizzazione e cross-protezione consentiranno di stabilire il suo reale beneficio nei riguardi di questi ultimi. La cross-protezione si basa sull’os- servazione che gli anticorpi diretti verso le proteine di superficie dei tipi contenuti nel vaccino (16 e 18) conferiscono una protezione anche contro altri tipi di HPV filogeneticamente simili (specie A7 e A9). Nei soggetti vaccinati con il vaccino bivalente anti-HPV 16/18, è stata riscontrata una cross-protezione nei confronti dell’infezione incidente sostenuta da altri tipi oncogeni di HPV non contenuti nel vaccino e, in particolare, HPV 31 e 45, filogeneticamente molto vicini al 16 e al 1823. Per quanto riguarda il vaccino quadrivalente, nel novembre 2008 l’EMEA ha espresso parere favorevole all’aggiunta dell’effetto di protezione crociata nei confronti delle lesioni precancerose al collo dell’utero (CIN 2/3 e AIS) dovute ad altri tipi di HPV oncogeni e non direttamente inseriti nel vaccino. La cross-protezione risulta particolarmente significativa nei confronti dell’HPV 31 che rappresenta, in Europa, il secondo tipo di HPV più comunemente responsabile (dopo l’HPV 16) delle lesioni precancerose cervicali e il quarto tipo di HPV (dopo l’HPV 16, 18 e 33) più comunemente in causa nel cancro del collo dell’utero. Questioni da chiarire Per la completa definizione della più corretta politica vaccinale, restano ancora da chiarire alcuni aspetti rilevanti riguardanti la durata della protezione, la sicurezza dei vaccini anti-HPV e le strategie vaccinali ottimali. Durata della protezione Al momento non conosciamo la durata della protezione vaccinale e, ancor meno, il titolo anticorpale minimo necessario per garanti- re l’effetto profilattico del vaccino (ossia il cosiddetto correlato immunitario di protezione). In tutti gli studi condotti fino a oggi, oltre il 99% dei soggetti tra i 9-26 anni ha presentato una sieroconversione per tutti i tipi di virus vaccinali 1 mese dopo la terza dose di vaccino. Complessivamente, il picco di risposta anticorpale si è rilevato decisamente più alto del titolo anticorpale dopo infezione naturale per entrambi i vaccini in termini di anticorpi neutralizzanti tipo-specifici, sia per l’HPV 16, sia per l’HPV 18. I titoli anticorpali declinano col passare del tempo dopo la terza dose, ma raggiungono il plateau entro 24 mesi. Non esiste alcuna comprovata diminuzione dell’efficacia tra i partecipanti divenuti sieronegativi nel corso del follow-up14. Il dosaggio degli anticorpi anti-HPV sierici, ottenuto attraverso il titolo geometrico medio (GMT), risente però della metodica di misurazione utilizzata; non esistono al momento test sierologici standardizzati. Negli studi clinici sono stati utilizzati il test cLIA - dosaggio immunologico competitivo - per il vaccino quadrivalente e il test ELISA per il bivalente, metodiche che non sono perfettamente paragonabili. È attualmente in corso una sperimentazione di confronto sulla risposta immunitaria dei vaccini bivalente e quadrivalente che misura le risposte anticorpali con il medesimo sistema di dosaggio. Inoltre, i dati ricavati da uno studio di rivaccinazione in cui alle donne vaccinate è stata somministrata una dose di booster del vaccino quadrivalente, a 5 anni dall’arruolamento nello studio hanno dimostrato un rapido e robusto aumento del titolo anticorpale, in linea con la memoria immunitaria24. Ulteriori dati relativi alla durata della prote- N O G 13 ONCOLOGIA N O G 14 zione saranno disponibili grazie al follow-up condotto su circa 5.500 donne arruolate in uno degli studi di fase III del vaccino quadrivalente nei Paesi Nordici. Queste donne saranno seguite per almeno 14 anni; a 5 e 10 anni dalla vaccinazione saranno sottoposte a test sierologici e gli esiti del Paptest saranno correlati ai dati dei registri dei vaccini per monitorarne i risultati. Infatti dal punto di vista clinico, sarà la persistenza nel tempo dell’efficacia dei vaccini, indipendentemente dal titolo anticorpale, l’end-point fondamentale da valutare. In conclusione, secondo quanto emerso dai dati pubblicati in letteratura il vaccino bivalente sembra offrire una protezione di durata maggiore, ma non siamo in grado di prevedere se la frequente esposizione a infezioni naturali funzionerà da richiamo spontaneo o se sarà necessario effettuare dosi booster. Migliorare le conoscenze su questo aspetto è particolarmente importante per l’impatto complessivo della vaccinazione, in quanto il rischio di acquisire una nuova infezione è massimo nei 10-15 anni successivi all’inizio dell’attività sessuale. È quindi fondamentale garantire la protezione almeno per questo intervallo di tempo. Sicurezza dei vaccini anti-HPV I dati derivati dagli studi clinici randomizzati mostrano che gli eventi indesiderati frequenti significativamente associati alla vaccinazione sono le reazioni locali nella sede d’iniezione (eritema, dolore e gonfiore) e la febbre. Come per tutti i farmaci, sono state raramente segnalate anche reazioni di possibile natura allergica (broncospasmo, orticaria). La presenza di un’infezione da HPV al momento della vaccinazione non modifica il profilo di sicurezza. In particolare, il vaccino quadrivalente, sul quale esistono più dati perché commercializzato da più tempo, ha mostrato un ottimo profilo di sicurezza e tollerabilità in 11 anni di studi clinici pre-registrativi effettuati in 33 Paesi, con più di 25.000 soggetti arruolati e oltre 5 milioni di dosi distribuite. Gli eventi avversi segnalati spontaneamente durante la sorveglianza post-marketing sono rappresentati da nausea, vomito e reazioni di ipersensibilità che comprendono reazioni anafilattiche/anafilattoidi e capogiri. Sono stati segnalati casi di svenimento post-vaccinazione. Per questo, le norme di buona pratica vaccinale prevedono che dopo la somministrazione del vaccino il paziente resti per almeno 15 minuti nell’ambulatorio medico. Non sono stati effettuati studi specifici sugli effetti del vaccino in gravidanza: nelle gravidanze insorte durante gli studi clinici non è stato rilevato alcun impatto negativo sulla fertilità in termini di incidenza di aborti spontanei, morti intrauterine e anomalie congenite; tuttavia, i dati disponibili non sono ancora sufficienti per raccomandarne l’uso in gravidanza. Nell’ottobre del 2008 l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) ha rivisto i dati relativi al profilo di sicurezza e tollerabilità del vaccino quadrivalente. In base ai risultati degli studi e delle valutazioni emerse dai 3 sistemi di monitoraggio statunitensi sulla sicurezza dei vaccini, ossia il Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS), il Vaccine Safety Datalink (VSD) e il Clinical Immunization Safety Assessment (CISA), il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e la FDA hanno confermato il buon profilo di sicurezza e tollerabilità del vaccino e, valutate le informazioni disponibili, il CDC ha concluso che esso è sicuro ed efficace nella prevenzione delle patologie causate dai 4 tipi vaccinali. In particolare, sono stati analizzati i vari eventi avversi gravi (decessi, trombosi venose, sindrome di Guillan-Barrè) rilevati attraverso il sistema VAERS ed è stato affermato che essi non hanno un rapporto causale con il vaccino quadrivalente e che la vaccinazione non aumenta il rischio di sindrome di Guillain-Barrè nei vaccinati rispetto alla popolazione generale. Strategie vaccinali ottimali Le informazioni scientifiche attualmente disponibili in merito ai vaccini anti-HPV sono derivate da un ONCOLOGIA numero ancora limitato di studi con un periodo di osservazione relativamente breve che non consente di disporre di dati robusti su efficacia e sicurezza a lungo termine. Sulla base delle evidenze attualmente disponibili, le fasce di popolazione target a cui destinare la vaccinazione raccomandate dall’OMS sono: • le pre-adolescenti tra 9-13 anni, che rappresentano il target primario (massimo beneficio prima dell’esposizione e con maggiore immunogenicità); • le ragazze tra i 14-26 anni che vengono considerate come target secondario. Al momento attuale, in Italia sono previsti un’offerta attiva e gratuita del vaccino per le dodicenni, un recupero gratuito non attivo (in alcune Regioni) per le tredicenni e un recupero con copayment (pagamento con tariffa agevolata) per la fascia d’età tra i 14 e i 26 anni. Un ulteriore aspetto da considerare è che l’uso del vaccino anti-HPV deve essere contestualizzato all’interno di interventi efficaci e non alternativi di prevenzione secondaria. Inoltre, è importante che la vaccinazione non crei un senso di falsa sicurezza che potrebbe portare a una pericolosa riduzione del ricorso alle altre misure di prevenzione primaria, utili per ridurre il rischio di tutte le malattie sessual- mente trasmesse. In questo contesto, un ruolo determinante e delicato è giocato da un corretto counselling e da un’adeguata informazione alla giovane interessata, soprattutto se minore, e al suo nucleo famigliare. In definitiva, le principali raccomandazioni sul vaccino anti-HPV delle maggiori Società Scientifiche Internazionali e Italiane sottolineano i seguenti aspetti: • il beneficio è massimo nel periodo pre-coitarcale, prima dell’esposizione al virus; • le donne sessualmente attive possono essere vaccinate, purché adeguatamente informate; • il vaccino non è terapeutico e le pazienti con patologie HPV-correlate devono essere trattate secondo le linee guida correnti; • non deve essere praticato alcun test pre-vaccinale; • il programma vaccinale dovrà integrarsi con lo screening citologico esistente. Un altro punto da sottolineare è che le conoscenze disponibili al momento non permettono di definire con chiarezza la politica da seguire relativamente alla somministrazione contestuale di altre vaccinazioni e l’efficacia del vaccino in persone con deficit immunitari, inclusa l’infezione da HIV. Infine, anche negli anni a venire, i capisaldi della strategia vaccinale saranno sempre le politiche di sorveglianza epidemiologica finalizzata al monitoraggio della diffusione dei vari tipi di HPV (compresi o meno nei vaccini) e di mantenimento dei programmi ottimali di screening nelle popolazioni vaccinate. N O G Conclusioni La vaccinazione anti-HPV rappresenta sicuramente una delle acquisizioni più importanti dell’attuale medicina preventiva. Tuttavia, la sua introduzione presenta ancora diversi aspetti critici, come i criteri decisionali, l’integrazione con altri programmi di prevenzione e la sorveglianza della possibile pressione selettiva dei vaccini sull’emergenza di nuovi ceppi di HPV prevalenti. Permangono, inoltre, rilevanti problematiche etico-culturali connesse all’offerta di una vaccinazione contro una malattia a trasmissione sessuale e rivolta prevalentemente a soggetti in età preadolescenziale e adolescenziale. Da quanto esposto appare chiaro che i risultati attesi dipendono anche dalla capacità dei servizi pubblici di individuare le coorti a cui offrire la vaccinazione, di verificarne l’adesione e di predisporre richiami attivi, sia per eventuali dosi di richiamo, sia per interventi successivi di informazione e invito allo screening. Bibliografia 1. Walboomers JM, Jacobs MV, Manos MM et al. Human papillomavirus is a necessary cause of invasive cervical cancer worldwide. J Pathol 1999; 189, 1: 12-19. 2. Bosch FX, Lorincz A, Muñoz N et al. The causal relation between human papillomavirus and cervical cancer. J Clin Pathol 2002; 55, 4: 244-65. 3. Zur Hausen H, de Villiers EM, Gissmann L. Papillomavirus infections and human genital cancer. Gynecol Oncol 1981; 12: S124-8. 4. Parkin DM. The global health burden of infection-associated cancers in the year 2002. Int J Cancer 2006; 118, 12: 3030-44. 5. Ronco G, Segnan N, Giorgi-Rossi P et al. 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GRAVIDANZA GEMELLARE N O G M anagement clinico della trasfusione feto-fetale Definizione della corialità prima delle 14 settimane e follow-up ecografico frequente: questi, in sintesi, i capisaldi del monitoraggio clinico della trasfusione feto-fetale che, una volta individuata, può avvalersi della laser-coagulazione di anastomosi placentari o dell’amniodecompressione nei casi insorti tardivamente. di Maria Angela Rustico, Mariano Lanna, Armando Pintucci, Marinella Dell’Avanzo, Paola Veronese, Vito Schena Unità di Ostetricia e Ginecologia - Medicina Materno-Fetale, Università degli Studi, Ospedale V. Buzzi - Milano L a trasfusione feto-fetale (TTTS) è una condizione esclusiva della gravidanza gemellare monocoriale. Complica il 10-15% di queste gravidanze e comporta un rischio elevato di mortalità perinatale. Le sue implicazioni cliniche sono note da tempo. La prima osservazione riportata nella letteratura medica risale al 1882 con la descrizione di una coppia di gemelli monocoriali discordanti per dimensioni, di cui uno edematoso e poliurico e l’altro ipotrofico e anurico. Fisiopatologia della trasfusione feto-fetale La placenta monocoriale possiede molteplici comunicazioni vascolari - dette anastomosi - che mettendo in comunicazione le circolazioni dei due feti vengono ri- tenute la base anatomica per lo monocoriali possiede queste anasviluppo della TTTS. Le anastomostomosi ma solo una quota limisi vascolari possono essere bidiretata di gravidanze si complica con zionali, e connettere vasi dello la TTTS dipende dalla direzione e dalla combinazione con cui le anastesso tipo (anastomosi artero-arstomosi si formano: ogni placenteriose o veno-venose) oppure ta ha una propria anatomia vaunidirezionali, e connettere vasi scolare e lo spettro di gravità deldi tipo diverso (anastomosi artela trasfusione dipende dall’angioro-venose) (figura 1). architettura di quella determinaEsse mediano un flusso unidireta placenta. zionale da un gemello all’altro, non si anastomizzano sulla superFigura 1 Placenta monocoriale e anastomosi ficie della placenartero-venosa ta ma in profondità nel letto capillare, e sono ritenute, da studi condotti in vivo e su modelli sperimentali, le responsabili della sindrome1. Il motivo per cui la maggior parte delle placente 17 GRAVIDANZA GEMELLARE N O G A seconda del numero e del tipo di anastomosi presenti, in alcuni casi il sistema si sbilancia e viene quindi favorito il passaggio di sangue da un gemello (donatore) all’altro (ricevente) attraverso una o più di queste anastomosi artero-venose, non controbilanciato dalla presenza di altre anastomosi in senso inverso. Di conseguenza, il gemello donatore diviene progressivamente ipovolemico e oligurico e sviluppa una restrizione della crescita con oligo-anidramnios. Al contrario, il feto ricevente diviene ipervolemico e poliurico e può sviluppare un quadro di insufficienza cardiaca da sovraccarico e polidramnios. Se questo processo si realizza in età gestazionale precoce, il tasso di aborto o parto pretermine sono molto elevati a causa del polidramnios. D’altra parte, se uno solo dei gemelli muore in utero, esiste un’elevata probabilità di danno neurologico o morte in utero del cogemello per ipovolemia acuta mediata dalle anastomosi vascolari2. Diagnosi e stadiazione della trasfusione feto-fetale La monocorialità è il prerequisito necessario perché si possa sviluppare la TTTS. La placenta unica, la membrana di divisione sottile, il sesso concordante sono gli indicatori ecografici essenziali per la diagnosi. La definizione di corialità per mezzo dell’ecografia è quindi di importanza vitale, e si è rivelata particolarmente sensibile e specifica prima della 14a settimana di età gestazionale (figura 2). Il decorso di una gravidanza monocoriale può essere complicato da TTTS a qualunque età gestazionale, ma con maggiore frequenza si genera tra le 15 e le 26 settimane. Considerato che a quest’epoca la nascita non è un’opzione, gli obiettivi clinici nelle settimane che precedono la possibilità di sopravvivenza sono la corretta identificazione e il trattamento di questa condizione. I criteri neonatali storici per la diagnosi (differenza di concentrazione di emoglobina tra i due gemelli >5 gr/100 ml e discrepanza di peso maggiore del 20%) non sono applicabili nella vita fetale. Nella maggior parte dei casi di TTTS, infatti, La monocorialità è il prerequisito per lo sviluppo della TTTS. non sono state dimostrate differenze significative nei livelli di emoglobina tra i due gemelli. Inoltre, anche se il rilievo di una discrepanza di crescita è frequente (il donatore è spesso più piccolo), questo non costituisce, di per sé, in assenza di altri segni, un criterio diagnostico. La diagnosi di TTTS si pone mediante l’ecografia, in base alle caratteristiche che esprimono lo squilibrio di flusso tra i gemelli. Figura 2 A. Gravidanza gemellare bicoriale (segno lambda: freccia). B. Gravidanza gemellare monocoriale (segno T: freccia) A 18 B GRAVIDANZA GEMELLARE Al fine di descrivere le loro condizioni cliniche al momento della diagnosi e di comunicare la sua severità ed evoluzione con una metodologia condivisa, si fa generalmente riferimento alla stadiazione secondo Quintero3. • Stadi I e II: il gemello ricevente presenta polidramnios, definito come tasca massima di liquido amniotico di almeno 8 cm prima delle 20 settimane o di 10 cm o più dopo la 20a settimana di età gestazionale, e una vescica distesa. Il gemello donatore è in oligoamnios (tasca massima di liquido amniotico inferiore a 2 cm) con vescica piccola o assente. • Stadio III: sono presenti anomalie Doppler, con flusso assente/reverse nell’arteria ombelicale del donatore e/o anomalie del compartimento venoso nel gemello ricevente (flusso reverse in dotto venoso, pulsazioni della vena ombelicale, insufficienza della valvola tricuspide). • Stadio IV: è caratterizzato dalla comparsa di versamento pleurico, ascite, edema sottocutaneo fino all’idrope franca. • Stadio V: descrive l’esito con la morte di uno o entrambi i gemelli. Esiti perinatali della trasfusione feto-fetale Se non trattata, la prognosi della TTTS è molto severa. I tassi di mortalità perinatale possono raggiungere l’80%, soprattutto quando la TTTS compare nel secondo trimestre, con un rischio elevato di esiti neurologici a distanza nei sopravvissuti4. Oltre alla prematurità, l’interdipendenza delle due circolazio- ni è il principale fattore anatomico e funzionale responsabile delle lesioni vascolari a carico di vari organi che possono coinvolgere sia il gemello ricevente che il donatore. Esse possono avvenire sia per una trasfusione acuta e massiva dovu- Il trattamento della trasfusione feto-fetale N O G L’esito perinatale sfavorevole e le complicanze descritte nei sopravvissuti da TTTS ha generato l’utilizzo di molteplici opzioni terapeutiche. Tra queste, l’amniodecompressione e la laser coagulazione di anastomosi placentari sono le sole che hanno dimostrato una certa efficacia nel ridurre la mortalità perinatale. Se non trattata, la prognosi della TTTS è molto severa. ta alla morte di un gemello, che crea un distretto a bassa pressione verso cui viene richiamata gran parte della massa circolante del cogemello sopravvissuto, con successivo danno ipossico-ischemico a carico dei suoi organi vitali (cervello, surreni, reni, fegato ecc.), sia in presenza di gemelli vivi, ma con instabilità emodinamica5. Altre complicanze descritte nei sopravvissuti da TTTS, da inquadrare nel gruppo delle lesioni vascolari, sono l’atresia intestinale da ischemia mesenterica, la gangrena delle estremità e l’aplasia della cute. Il coinvolgimento cardiovascolare del gemello ricevente, ipervolemico e iperteso, è un’ulteriore complicanza della TTTS. Con il progredire della condizione di sbilancio emodinamico il gemello ricevente sviluppa un’ipertrofia biventricolare con cardiomegalia, un’insufficienza valvolare che inizialmente coinvolge il ventricolo destro e successivamente può divenire bilaterale. In alcuni casi s’instaura un’ostruzione all’efflusso del ventricolo destro come effetto combinato dell’insufficienza valvolare e dell’ipertrofia miocardica che esita in una stenosi della valvola polmonare. Amniodecompressione L’amniodecompressione ripetuta è stata la terapia più utilizzata per il trattamento della TTTS: consente di ristabilire una normale quantità di liquido amniotico nel gemello ricevente, limitando così il rischio di parto pretermine e alleviando la sintomatologia materna. Il meccanismo d’azione ipotizzato è quello della decompressione placentare, che favorirebbe il ripristino della perfusione materno-fetale e un riequilibrio emodinamico tra gemello donatore e ricevente6. La procedura prevede l’impiego di un ago (18-20 gauge) introdotto sotto controllo ecografico nel sacco amniotico del ricevente, collegato a una cannula. L’aspirazione può avvenire manualmente o mediante un aspiratore automatico fino a ottenere una sensibile riduzione della falda massima di liquido amniotico, e quindi della pressione intramniotica. Generalmente una sola amniodecompressione non è sufficiente a contenere i sintomi e nella maggioranza dei casi è necessario ripetere la procedura una o più volte nelle set- 19 GRAVIDANZA GEMELLARE N O G timane successive. Il rischio di rottura delle membrane e aborto o parto pretermine è ritenuto inferiore al 5%. L’efficacia terapeutica dell’amniodecompressione è difficile da valutare. Una metanalisi della letteratura che ha studiato una serie di 1.253 casi trattati a un’età gestazionale compresa tra le 13 e le 35 settimane, riporta un tasso di sopravvivenza variabile dal 15 all’83% (media 60%). È possibile che le differenze nei tassi di sopravvivenza siano da correlare alla diversa severità della condizione al momento del trattamento7. Comunque, i dati clinici supportano l’ipotesi che l’amniodecompressione sia efficace negli stadi iniziali della sindrome e non abbia effetto nelle forme severe. Esiste inoltre un rischio significativo di sequele neurologiche (circa il 16%) nei gemelli sopravvissuti e trattati con questa procedura7. Laser-coagulazione di anastomosi placentari Figura 3 Laser-coagulazione di anastomosi arterovenosa La coagulazione delle anastomosi placentari, in quanto responsabili della sequenza polidramnios/oligoamnios, è ritenuta la terapia causale della trasfusione feto-fetale. La procedura prevede, dopo anestesia materna (generale o loco-regionale), di introdurre sotto guida ecografica un fetoscopio nel sacco del gemello ricevente. Il piatto coriale viene sistematicamente esplorato per individuare le inserzioni dei cordoni ombelicali seguendo il percorso di arterie e vene e riconoscere le anastomosi vascolari tra i due distretti. A questo punto si agisce con una fibra laser (figura 3), con l’obiettivo di separare completamente le due circolazioni, e trattare la condizione proteggendo un gemello nel caso di morte dell’altro feto. Nelle prime serie riporta- te veniva applicata una tecnica definita “non selettiva”, che implica la coagulazione di tutti i vasi che si incontrano lungo la linea di demarcazione dei due territori vascolari, che alcuni autori fanno coincidere con il punto di inserzione del setto interamniotico. Successivamente, si è preferita la tecnica definita “selettiva” che interessa le anastomosi presenti all’equatore vascolare e solo quelle artero-venose, in quanto responsa- Tabella 1 Laser-coagulazione di anastomosi placentari: esito perinatale mediante tecnica selettiva/coagulazione all’equatore vascolare Autore Robyr e Ville, 2006* Quintero, 2000 Chang e Quintero, 2006 Hecher, 1999 Hecher, 2000 Huber e Hecher, 2006 Becker e Gratacos, 2006 Nostra esperienza 20 EG=età gestazionale N. casi (periodo) EG (sett.) procedura EG (sett.) parto 101 (2001-03) 71 (1997-99) 428 (1999-2004) 73 (1995-97) 127 (1997-99) 200 (1999-2003) 31 (2004) 100 (2004-2008) 21 20,8 (16-25) 20,1 (16-26) 20,7 (17-25) 20,7 (16-26) 20,7 (16-25) 19,7 (16-26) 20,6 (16-25) Sett.=settimane Feti vivi dopo procedura (%) 2 1 >1 0 32,1 66 22 88 12 32,7 (24-39) 32 39 43 83 17 66 29 95 5 42 37 79 21 54 27 81 19 59 24 83 17 – – 81 19 36 73 68 27 33,7 (25-40) 34 (23-40) 34,3 (23-40) 32,3 (26-37) 32 (23-40) * Studio multicentrico GRAVIDANZA GEMELLARE bili della sindrome. Il tasso globale di sopravvivenza riportato è del 5480%, con almeno 1 gemello vivo nel 70-95% dei casi (tabella 1)8-11. La laser-coagulazione può essere resa difficoltosa dalla cattiva visua- ma in numero sensibilmente inferiore a quanto riportato per l’amniodecompressione. Lo studio randomizzato che ha descritto l’efficacia e gli esiti neurologici a distanza della TTTS paragonando il trattamento laser con l’amniodecompressione ripetuta, ha rilevato che nei gemelli trattati mediante laser l’emorragia intraventricolare di grado III o IV e la leucomalacia periventricolare sono meno frequenti che nei gemelli trattati con amniodecompressione (rispettivamente 1% vs 6%; 6% vs 14%)12. L’efficacia dell’amniodecompressione è difficile da valutare. lizzazione delle anastomosi occultate dal corpo fetale o da precedenti procedure di amniodecompressione. Come per tutte le procedure invasive, sono riportate complicanze come la rottura delle membrane o l’aborto entro pochi giorni dal trattamento (circa l’11% dei casi). Sono descritte sequele neurologiche dopo laser-coagulazione, Conclusioni Una gestione accurata della gravidanza gemellare monocoriale deve prevedere la definizione della corialità prima delle 14 settimane, e un follow-up ecografico frequente (almeno ogni 2 settimane, a partire dalla 15a-16a settimana di età gestazionale) finalizzato a documentare la quantità di liquido amniotico nei due gemelli, la biometria fetale, la velocimetria Doppler nei distretti arterioso e venoso e la classificazione di eventuali discordanze di crescita. In presenza di segni ecografici di TTTS o di altre complicanze, è indicato l’invio al Centro di riferimento per la scelta del trattamento, prima che si sviluppino complicanze severe che influiscono negativamente sulla prognosi. La letteratura è univoca nel ritenere che nelle forme che si manifestano prima delle 26 settimane, la laser-coagulazione con tecnica selettiva sia da considerare la prima linea di trattamento per la gestione della gravidanza monocoriale complicata da TTTS. N O G Bibliografia 1. Denbow ML, Cox P, Taylor M. Placental angioarchitecture in monochorionic twin pregnancies: relationship to fetal growth, fetofetal transfusion syndrome, and pregnancy outcome. Am J Obstet Gynecol 2000; 182: 417-26. 2. Nicolini U, Poblete A. Single intrauterine death in monochorionic twin pregnancies. Ultrasound Obstet Gynecol 1999; 14: 297-300. 3. Quintero R, Morales WJ, Allen MH. Staging of twin-twin transfusion syndrome. J Perinat 1999; 19: 550-55. 4. Haverkamp F, Lex C, Hanisch C, Fahnenstich H et al. Neurodevelopmental risks in twin-to-twin transfusion syndrome: preliminary findings. Eur J Paediatr Neurol 2001; 5: 21-27. 5. Fusi L, McParland P, Fisk N, Nicolini U, Wigglesworth J. Acute twin-twin transfusion: possible mechanism for brain damaged survivors after intrauterine death of a monochorionic twin. Obstet Gynecol 2001; 78: 517-20. 6. Elliott JP, Urig MA, Clewell WH. Aggressive therapeutic amniocentesis for treatment of twin-twin transfusion syndrome. Obstet Gynecol 1991; 77: 537-40. 7. Van Gemert MJC, Umur A, Tijssen JGP et al. Twin-twin transfu- 8. 9. 10. 11. 12. sion syndrome: etiology, severity and rational management. Current Op Obstet Gynecol 2001; 13: 193-206. Robyr R, Lewi L, Salomon L et al. Prevalence and management of late fetal complications following successful selective laser coagulation of chorionic plate anastomoses in twin-to-twin transfusion syndrome. Am J Obstet Gynecol 2006; 194: 796-803. Chang YL, Chmait RH, Bornick PW et al. The role of laser surgery in dissecting the etiology of absent end-diastolic velocity in the umbilical artery of the donor twin in twin-to-twin transfusion syndrome. Am J Obstet Gynecol 2006; 195: 478-83. Huber A, Diehl W, Bregenzer T et al. Stage-related outcome in twin-twin transfusion syndrome trated by fetoscopic laser coagulation. Obst Gynecol 2006; 108: 333-7. Becker J, Hernandez-Andrade E, Muñoz-Abellana B et al. Stage dependent fetal umbilical blood flow changes induced by laser therapy and amniodrainage in twin-to-twin transfusion syndrome. Ultrasound Obstet Gynecol 2006; 28: 674-80. Senat MV, Deprest J, Boulvain M et al. Endoscopic laser surgery versus serial amnioreduction for severe twin-twin transfusion syndrome. N Engl J Med 2004; 351: 136-44. 21 SVILUPPO SESSUALE A N O G mbiguità genitale: approccio clinico e attribuzione del sesso L’approccio clinico al neonato con genitali ambigui pone due principali problematiche: la formulazione di una diagnosi corretta e l’assegnazione del sesso anagrafico. di Gianni Russo, Matilde Ferrario, Marco Pitea Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-Salute San Raffaele - Milano L a correttezza della diagnosi è l’elemento principale su cui basarsi per l’attribuzione del sesso nel neonato con genitali ambigui. Di molte patologie sono oggi disponibili una buona conoscenza dello sviluppo fisico in età adulta e della potenzialità in termini di fertilità, sviluppo dei caratteri sessuali, rischio di degenerazione tumorale; l’assegnazione del sesso condiziona gli interventi terapeutici successivi, con importanti ripercussioni sulla vita futura del paziente. I neonati con ambiguità genitale devono essere gestiti in centri di provata esperienza, con la stretta collaborazione e interazione di un team multidisciplinare (formato da pediatra neonatologo, endocrinologo pediatra, chirurgo/urologo pediatra, psicologo/neuropsichiatra infantile, ginecologo, genetista, radiologo), non solo per la fase diagnostica ma anche per il follow-up. 22 La differenziazione sessuale Per un corretto approccio al neonato con ambiguità genitale è importante comprendere i meccanismi della differenziazione sessuale. Si tratta di un processo che coinvolge una serie di eventi molto complessi, programmati in periodi critici e determinati della vita fetale, che implicano l’interazione di fattori genetici e ormonali finalizzati alla costituzione del dimorfismo sessuale osservato al- la nascita. Le tappe attraverso cui si svolge la differenziazione sessuale sono essenzialmente tre (tabella 1). Determinazione del sesso cromosomico Il sesso genetico, determinato al momento della fecondazione dalla presenza o assenza del cromosoma Y, dirige la gonade embrionale bipotente a differenziarsi in testicolo o ovaio. Il cromosoma Y contiene il TDF, fattore che determina la differenziazione della go- Tabella 1 Fasi della differenziazione sessuale ■ ■ ■ Determinazione del sesso cromosomico, stabilito al momento della fecondazione Determinazione gonadica (sesso gonadico), con la trasformazione della gonade primitiva in testicolo o ovaio Differenziazione fenotipica (sesso fenotipico) dei genitali interni ed esterni in senso maschile o femminile SVILUPPO SESSUALE Tabella 2 Stadi di sviluppo dell’apparato genitale maschile Settimana gestazionale 7a 9a 16a 25a Stadi di sviluppo Differenziazione cellule del Sertoli e produzione di ormone AMH Differenziazione cellule del Leydig e produzione di testosterone Differenziazione dei genitali (in seguito a stimoli androgenici) Migrazione dei testicoli nade in senso maschile, identificato nel 1990 con il gene SRY. Gli ormoni prodotti dal testicolo dirigono il programma di sviluppo verso la differenziazione sessuale maschile. In assenza del cromosoma Y, ma anche in caso di assenza di gonadi funzionanti o non differenziate in modo corretto, la differenziazione sessuale dei genitali interni ed esterni segue la via femminile. Determinazione del sesso gonadico La gonade bipotenziale origina dalla cresta urogenitale; le cellule germinali migrano dalla loro localizzazione iniziale nella parete del sacco vitellino verso la cresta genitale. Dalla gonade primitiva si differenzieranno la componente somatica del testicolo (cellule del Sertoli e cellule di Leydig) o dell’ovaio (cellule follicolari e cellule della teca). La comparsa di cellule gonadiche differenziate segna la fine dello stadio di determinazione del sesso e l’inizio della fase di differenziamento sessuale: il completamento dello sviluppo dei genitali interni ed esterni è infatti dovuto all’effetto delle sostanze ormonali secrete dalle cellule gonadiche appena differenziate. La gonade maschile si differenzia più precocemente rispetto a quella femminile (tabella 2). Le prime cellule a differenziarsi sono quelle del Sertoli che, a partire dalla 7a settimana di gestazione, producono l’ormone anti-mulleriano (AMH), responsabile nel maschio della regressione dei dotti mulleriani, che si differenzieranno invece nella femmina in tube, utero, parte superiore della vagina. Successivamente (dalla 9a settimana gestazionale), si differenziano le cellule del Leydig, che producono testosterone, necessario per lo sviluppo dei dotti wollfiani in prostata, vescicole seminali e vasi deferenti. Il diidrotestosterone, suo metabolita periferico, è invece necessario per la mascolinizzazione dei genitali esterni. La gonade femminile matura più tardivamente durante lo sviluppo embrionale, intorno alla 12a settimana di gestazione. Determinazione del sesso fenotipico Lo sviluppo dei genitali esterni avviene a partire da organi indifferenziati (tabella 3). Nel maschio la differenziazione avviene sotto lo stimolo degli androgeni e si completa alla 16a settimana; la loro sintesi avviene inizialmente in maniera autonoma nelle cellule di Leydig, successivamente dipende dalla secrezione della gonadotropina corionica placentare e dell’ormone luteinizzante ipotalamico. Anche la migrazione dei testicoli è androgenodipendente e avviene entro la 25a settimana, di solito è completa entro il termine della gravidanza. Lo studio di pazienti con anomalie dello sviluppo sessuale e di modelli animali ha permesso di identificare molti dei geni coinvolti nel processo di differenziazione sessuale; tuttavia la conoscenza di tale processo è ancora molto lacunosa e l’esatta funzione di alcuni geni non è ancora chiara. N O G Nomenclatura Da alcuni anni il dibattito sulle problematiche legate allo sviluppo sessuale ha fatto emergere la necessità di ridefinire la nomenclatura finora utilizzata; è emersa inoltre l’esigenza di abbandonare l’uso di “etichette” che possano dare una connotazione sociale negativa o che possano essere percepite dai pazienti in maniera offensiva. Un recente Consensus (2006) ha proposto di ridefinire con il termi- Tabella 3 Differenziazione dei genitali esterni Organi indifferenziati Maschio Femmina Tubercolo genitale Pieghe uretrali Cercini genitali Seno urogenitale Pene Uretra peniena Borse scrotali Clitoride Piccole labbra Grandi labbra Porzione inferiore della vagina 23 SVILUPPO SESSUALE N O G ne “disordini dello sviluppo sessuale” (DSD: disorders of sex development) tutte quelle condizioni congenite in cui lo sviluppo del sesso cromosomico, gonadico o anatomico è atipico, e di sostituirle ai termini “intersesso”, “ermafroditismo”, “pseudoermafroditismo” (tabella 4). Approccio clinico Obiettivo principale dell’intervento clinico in un soggetto con ambiguità genitale è di: • favorire il suo benessere fisico e psichico; • permettere un corretto sviluppo somatico; • consentire un adeguato sviluppo dei caratteri sessuali spontaneo o indotto in linea con il sesso di crescita; • favorire un adeguato sviluppo psichico e una corretta integrazione psico-fisica; • garantire le condizioni per una soddisfacente vita affettiva, sessuale, sociale. Per raggiungere tale obiettivo è importante che i pazienti siano indirizzati in centri dove esiste un esperto team multidisciplinare. Tale team deve essere in grado di assicurare non solo un corretto approccio clinico iniziale per arrivare alla diagnosi la più corretta possibile, e di conseguenza all’attribuzione di sesso più indicata, ma anche un adeguato follow-up per garantire i vari interventi medici, chirurgici, psicologici che possono rendersi necessari nel corso della vita dell’individuo al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato. Tutti i neonati con ambiguità genitale dovrebbero avere un sesso assegnato; tuttavia tale attribuzione di sesso non dovrebbe essere fatta prima di una valutazione completa da parte di medici esperti e di una comunicazione aperta con i genitori, indispensabile parte attiva nel processo decisionale. Il coinvolgimento dei genitori Il contatto iniziale con i genitori di un neonato con ambiguità genitale è importante: spesso la prima impressione che deriva da questi incontri persiste nella loro mente. Bisogna enfatizzare che il bambino ha le potenzialità per avere un adeguato sviluppo e realizzazione nella società. È importante evitare termini come “né maschio né femmina” o “intersessuale” o “ermafrodito”, ma fornire con terminologia chiara e Tabella 4 Classificazione dei disordini dello sviluppo sessuale (DSD) DSD cromosomi sessuali DSD 46XY DSD 46XX 45X sindrome di Turner e varianti Disordini dello sviluppo gonadico (testicolare) Disordini dello sviluppo gonadico (testicolare) • Disgenesia gonadica completa (sindrome di Swyer) • Disgenesia gonadica parziale • Regressione gonadica • DSD ovotestis • DSD ovotestis • DSD testicolare (per esempio, SRY+, duplicazione SOX9) • Disgenesia gonadica 47XXY sindrome di Klinefelter e varianti Disordini nella sintesi o nell’azione degli androgeni Eccesso di androgeni 45X/46XY disgenesia gonadica mista, DSD ovotestis 24 24 • Difetto di biosintesi degli androgeni (per esempio, • Fetale (21-OHD, 11-OHD, 3βHSD) deficit di 17β-HSD, difetto di 5αRD2, mutazione di StAR) • Fetoplacentare (deficit di aromatasi • Difetto di azione degli androgeni (PAIS,CAIS) o di P450 ossidoreduttasi) • Difetto del recettore dell’LH • Materno (luteoma, esogeno ecc.) (ipoplasia/aplasia delle cellule di Leydig) • Disordini dell’AMH o del recettore (sindrome da persistenza dei dotti mulleriani) Altro (per esempio, estrofia della cloaca, atresia vaginale, anormalità mulleriana, altre sindromi) 46XX/46XY chimera, DSD ovotestis Hughes JA et al, Arch Dis Child 2006 SVILUPPO SESSUALE Tabella 5 Caratteristiche dei neonati da valutare per sospetto DSD ■ comprensibile una spiegazione circa l’incompleta formazione che si osserva a livello genitale. Il medico dovrà spiegare ai genitori i seguenti aspetti: • i problemi nelle varie fasi che portano a un corretto sviluppo dei genitali; • le indagini che devono essere fatte per meglio comprendere quale tipo di problema può essere insorto; • le indagini saranno svolte il più rapidamente possibile, ma un po’ di tempo sarà probabilmente necessario per avere un quadro chiaro e completo. I genitori dovranno essere costantemente informati dei risultati, rassicurati che si arriverà a una definizione della situazione e che saranno coinvolti direttamente nelle scelte. Si garantirà inoltre un appoggio per sostenere la comunicazione con gli eventuali altri figli, i parenti, gli amici. Il paziente nelle varie tappe della sua crescita dovrà essere reso partecipe con tempi e modi adeguati della sua situazione e direttamente coinvolto nelle decisioni. Qualora la diagnosi non venisse ■ ■ ■ ■ ■ N O G Micropene: lunghezza <2,5 cm nel neonato a termine, <2 cm nel pretermine a 34 settimane di età gestazionale, <1,5 cm nel neonato pretermine a 30 settimane di età gestazionale) (figura 1) Clitoridomegalia (lunghezza >1 cm) (figure 2 e 3) Ipospadia grave (figura 4) Criptorchidismo bilaterale Ernia inguinale bilaterale o monolaterale con genitali esterni femminili Fenotipo discordante con genotipo fatta in epoca neonatale, il paziente dovrà essere direttamente coinvolto nella comunicazione del problema, nelle indagini da svolgere e nelle scelte decisionali. Quali neonati devono essere indagati? I neonati che presentano anche solo una delle caratteristiche riportate in tabella 5 possono avere un disordine dello sviluppo sessuale. La valutazione del neonato con genitali ambigui comprende un’accurata anamnesi familiare e gravidica, un attento esame clinico del paziente e indagini strumentali e di laboratorio. Anamnesi famigliare e gravidica • Raccogliere un’anamnesi gravidica dettagliata, indagando in particolare sull’eventuale assun- zione di farmaci che possano causare un’alterazione nello sviluppo dei genitali del feto; • escludere una possibile consanguineità dei genitori (che può aumentare la probabilità di malattie autosomiche recessive); • verificare se sono presenti antecedenti di ambiguità genitale nella famiglia; • indagare su eventuali morti neonatali precedenti. Esame obiettivo Poiché diverse sindromi sono associate ad ambiguità genitale, l’esame clinico prevede una valutazione generale volta a ricercare eventuali aspetti fenotipici e malformazioni extragenitali. L’esame dei genitali esterni è volto a: • identificare il grado di virilizzazione, utilizzando gli stadi di Prader (che prevedono 5 gradi Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4 Micropene con gonadi non palpabili. Importante ipertrofia clitoridea, grandi labbra similscrotali iperpigmentate, gonadi non palpabili. Lieve ipertrofia clitoridea. Gonadi palpabili nelle borse scrotali, ipospadia perineo-scrotale, micropene. 25 SVILUPPO SESSUALE N O G di virilizzazione crescente dal fenotipo femminile con clitoridomegalia - stadio I - a un fenotipo maschile con criptorchidismo - stadio V) (figura 5), o di ridotta virilizzazione con gli stadi di Sinnecker (che prevedono diversi gradi, dal maschile normale al femminile normale, passando attraverso vari stadi di ipospadia e/o micropene) (figura 6); • documentare la presenza o meno di gonadi palpabili; • identificare la presenza e la posizione del meato uretrale e la presenza o meno di meato vaginale separato. Nella valutazione dei genitali si de- ve considerare l’età gestazionale del neonato, tenendo presente che nel maschio prima della 34a settimana gestazionale i testicoli non sono ancora migrati nelle borse scrotali, nella femmina pretermine il clitoride e le grandi labbra possono avere dimensioni maggiori. L’esame clinico può permettere di orientarsi verso l’ipotesi di un’insufficiente virilizzazione in un soggetto maschile o al contrario di un’esagerata virilizzazione in un soggetto femminile. La presenza o meno di gonadi palpabili nelle borse scrotali o nel canale inguinale è importante per indirizzare le indagini diagnostiche. Indagini diagnostiche Esistono diversi algoritmi diagnostici per i disordini dello sviluppo sessuale, ma data la complessità e l’ampio spettro di possibili diagnosi, nessuno singolarmente può essere valido e completo. È importante ricordare che alcune indagini sono operatore-dipendenti e che i valori ormonali variano a seconda dell’età del neonato (se a termine o prematuro) e dei giorni di vita; esistono anche variazioni dovute ai metodi di laboratorio che rendono difficile a volte confrontare il valore dello stesso dosaggio ormonale eseguito in laboratori differenti. Figura 5 Virilizzazione dei genitali esterni secondo gli stadi di Prader, dalla femmina normale (sinistra) al maschio normale (destra). Piano sagittale e perineale. Figura 6 26 Gradi di difetto di mascolinizzazione per la classificazione clinica della insensibilità agli androgeni: (1) normale mascolinizzazione, (2) fenotipo maschile con ipospadia isolata, (3) fenotipo maschile con micropene, ipospadia perineoscrotale, scroto bifido e/o criptorchidismo, (4) ambiguità genitale severa: fallo simil-clitorideo, pieghe labioscrotali, meato unico perineale, (5) fenotipo femminile con fusione delle labbra e clitoridomegalia, (6-7) fenotipo femminile (6) con peluria pubica in età adulta, (7) senza peluria pubica. Da: Quigley et al, Endocrine Reviews 1995. SVILUPPO SESSUALE L’analisi del cariotipo e l’ecografia dell’addome sono le prime indagini da effettuare dopo una prima valutazione clinica, insieme ad analisi biochimiche e ormonali, volte a valutare direttamente o indirettamente la funzione surrenalica, l’asse ipotalamo-ipofisi, la funzione gonadica. Analisi ormonali e biochimiche Gli esami iniziali sono da effettuare entro le prime 24-48 ore di vita in quanto sono fisiologicamente presenti valori elevati di alcuni steroidi nelle primissime giornate di vita (tabella 6). I risultati di tali indagini devono essere disponibili entro pochi giorni e devono orientare i passi successivi. Analisi del cariotipo L’analisi del cariotipo consente di dividere in diverse categorie i pazienti con ambiguità genitale: • 46XX, • 46XY, • mosaicismo, anomalie cromosomiche numeriche. Nel caso in cui si riscontri un cariotipo 46XX, in più del 90% dei casi si tratta di femmine affette da iperplasia surrenalica congenita (ISC); i pazienti invece con cariotipo 46XY sono di più complessa gestione; di questi solo il 50% arriva a una diagnosi definitiva. altre anomalie a carico degli organi addominali. Primi risultati diagnostici Valori molto elevati di 17-OHP con cariotipo 46XX e genitali interni femminili permettono di fare diagnosi di ISC da deficit di 21-OH. Il valore di T e il rapporto con il precursore (A) e il metabolita attivo (DHT) forniscono informazioni sulla capacità funzionale delle gonadi per la parte endocrina e di eventuali difetti enzimatici. Il valore sierico dell’AMH è proporzionale alla presenza di tessuto testicolare: può indicare la sua assenza o il grado del suo sviluppo soprattutto per quanto riguarda la componente esocrina. Valori elevati di gonadotropine suggeriscono un difetto di sviluppo delle gonadi. Ulteriori analisi Le indagini da effettuare in seconda battuta sulla base dei primi risultati, se questi non sono chia- Cause di DSD Cariotipo femminile La causa più frequente di virilizzazione in pazienti con cariotipo femminile è l’iperplasia surrenalica congenita da difetto enzimatico di 21-idrossilasi; molto più rare sono le forme dovute a deficit di 11β-idrossilasi e 3β-idrossisteroido-deidrogenasi; a livello ormonale tali difetti si possono evidenziare con l’aumento dei precursori steroidei basali e dopo stimolo con ACTH (rispettivamente di 17-OHP, 11-deossicortisolo, 17idrossipregnenolone). In tutte que- Tabella 6 Esami per la diagnosi di DSD Fase iniziale ■ ■ ■ ■ ■ Analisi strumentali L’indagine ecografica è volta a descrivere l’anatomia dei genitali interni e a evidenziare la presenza di gonadi non apprezzabili all’esplorazione clinica; è utile inoltre per visualizzare le ghiandole surrenaliche (e documentare un’eventuale iperplasia), escludere la presenza di anomalie renali (associate a diverse sindromi) o di ramente indicativi, sono elencate in tabella 6. Le analisi genetiche specifiche dovrebbero essere mirate per una conferma diagnostica o di aiuto in caso di diagnosi dubbia. Devono essere eseguite in laboratori specializzati. N O G ■ ■ Cariotipo Ecografia Androgeni: testosterone (T), diidrotestosterone (DHT), androstenedione (A) 17-idrossiprogesterone (17-OHP) Gonadotropine ipofisarie (LH, FSH) Ormone antimulleriano (AMH) Glicemia, elettroliti sierici Fase successiva ■ ■ ■ ■ ■ ■ Test con hCG Test con ACTH Test con LHRH Indagini strumentali più accurate come RM Laparoscopia con eventuale biopsia gonadica Indagini genetiche mirate 27 SVILUPPO SESSUALE N O G ste forme è presente un’iperproduzione di androgeni da parte del surrene. Cause meno frequenti di virilizzazione in un soggetto 46XX sono androgeni prodotti dalle gonadi fetali (gonadi disgenetiche, testicoli o ovotestis), androgeni materni (farmaci, tumori ovarici o surrenalici). Cariotipo maschile In un soggetto con ambiguità genitale con cariotipo 46XY il difetto di virilizzazione può essere dovuto a: • disfunzione o disgenesia testicolare; • difetto di biosintesi di T o di DHT; • resistenza periferica all’azione del T; • forme rare d’iperplasia surrenalica congenita. In questo caso il test con hCG permette di valutare l’incremento dei valori di T, dei suoi precursori e del metabolita attivo DHT: • una bassa risposta del T senza un incremento dei suoi precursori indirizza verso una disgenesia testicolare; • una risposta adeguata o a volte esagerata del T allo stimolo orienta verso la presenza d’insensibilità agli androgeni; • bassi livelli basali con un aumen- to isolato dei livelli dei precursori dopo stimolo indicano un difetto di sintesi del T dovuto a deficit enzimatico (17α-OH, 3βHSD, 17β-HSD); • un incremento di T ma non del DHT con un aumentato rapporto T/DHT propende per deficit dell’enzima di conversione 5αreduttasi. Un test da stimolo con la somministrazione di T o DHT permette di valutare clinicamente l’incremento delle dimensioni del pene e di discriminare ulteriormente tra alcune forme cliniche; tuttavia non esiste un accordo a livello internazionale sull’interpretazione di tale test. Attribuzione del sesso L’attribuzione sessuale deve essere successiva e conseguente alla formulazione di una corretta diagnosi e alla valutazione dei seguenti aspetti: • potenziale fertilità futura (in relazione alla funzione gonadica e anche all’eventuale necessità di asportazione per un aumentato rischio tumorale); • possibile funzione sessuale normale (in relazione all’aspetto dei genitali interni ed esterni e alla loro eventuale correzione chirurgica); • funzione endocrina; • imprinting ormonale fetale (esposizione intrauterina all’azione degli androgeni); • ambiente sociale e famigliare in cui il paziente vive; • tempo della diagnosi. Si hanno pochi dati sull’outcome dei soggetti con ambiguità genitale. • La quasi totalità dei pazienti 46XX con ISC 21-OHD cresciuta come femmina presenta un’identità di genere femminile. In queste situazioni è quindi raccomandata l’attribuzione di sesso femminile, anche in casi con marcata virilizzazione dei genitali esterni, poiché sono persone che, se adeguatamente trattate, possono avere una vita sessuale e una fertilità nella norma per il sesso femminile. • La sindrome da insensibilità completa agli androgeni e la disgenesia gonadica pura XY presentano un fenotipo completamente femminile: l’attribuzione di genere è pertanto femminile. • I pazienti con deficit di 5α-reduttasi e 17β-HSD con diagno- Tabella 7 Schema sull’attribuzione del sesso in base alla diagnosi 28 Tipo di disordine Attribuzione del sesso ISC 21-OHD 46XX Sindrome da insensibilità completa agli androgeni Disgenesia gonadica pura XY Deficit di 5α-reduttasi e 17β-HSD Micropene isolato Insensibilità parziale agli androgeni Alcuni difetti di biosintesi degli androgeni Alcune forme di disgenesie gonadiche Femminile Femminile Femminile + maschile/- femminile Maschile + maschile/- femminile Maschile/femminile Maschile/femminile SVILUPPO SESSUALE si in epoca neonatale dovrebbero essere cresciuti in accordo col sesso genetico per un po- tenziale soddisfacente sviluppo dei caratteri sessuali in tal senso e una teorica potenziale fertilità. • Anche i maschi con micropene isolato dovrebbero essere cresciuti come tali, in quanto in tal caso non necessitano di interventi chirurgici, mantenendo una potenziale fertilità. Per altre forme cliniche, come l’insensibilità parziale agli androgeni, alcuni difetti di biosintesi degli androgeni, alcune forme di disgenesie gonadiche, dati in letteratura evidenziano un’insoddisfazione del sesso di crescita nel 25% circa degli individui adulti, indipendentemente se cresciuti come maschi o come femmine (tabella 7). Conclusioni N O G In alcune situazioni non è possibile indicare scelte generalizzabili; si è osservato tuttavia che i pazienti seguiti da uno staff medico-psicologico competente fino all’età adulta in un centro specializzato, nella maggior parte dei casi non hanno presentato disturbi della sessualità indipendentemente dal sesso di allevamento. Appare quindi indispensabile ribadire l’importanza di affidare tali valutazioni a un team multidisciplinare che operi in centri specialistici con esperienza nell’ambito dei disordini dello sviluppo sessuale. Bibliografia 1. MacLaughlin DT, Donahoe PK. Sex determination and differentiation. 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Intersex Society of North America, 2006. 29 UROGINECOLOGIA I N O G ncontinenza urinaria: quale approccio terapeutico? La disponibilità di nuove opzioni terapeutiche fisiche, farmacologiche e, soprattutto, chirurgiche offre allo specialista la possibilità di gestire i diversi tipi d’incontinenza urinaria in modo sempre più individualizzato ed efficace. di Alfredo Ercoli1, Monia Marturano2, Vito Iannone1, Raffaele Paparella3, Gabriella Ferrandina1, Giovanni Scambia4, Pierluigi Paparella2 UO di Oncologia Ginecologica, Dipartimento di Oncologia, Università Cattolica del S. Cuore - Campobasso UO di Uroginecologia e Chirurgia Ricostruttiva del Pavimento Pelvico, Complesso Integrato Columbus Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente - Università Cattolica del S. Cuore - Roma 3 UO Ginecologia e Ostetricia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana S. Chiara - Pisa 4 UO di Patologia Ostetrica e Ginecologica, Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente - Università Cattolica del S. Cuore - Roma 1 2 L’ 30 incontinenza urinaria (IU) è una patologia comune che colpisce le donne in tutte le fasce di età e che può seriamente influenzarne il benessere fisico, psichico e sociale; come noto, è anche una condizione fortemente sottostimata per la frequente reticenza delle pazienti e i dati epidemiologici internazionali disponibili risultano imprecisi, sia per difetti di standardizzazione terminologica, sia per la diversità delle popolazioni studiate, sia per i metodi di indagine utilizzati. Si calcola che la IU interessi il 30-40% delle donne dopo i quarant’anni, con una prevalenza correlata all’età. L’International Continence Society (ICS) ha standardizzato la terminologia relativa ai disturbi del basso tratto urinario definendo l’IU come “qualsiasi perdita involontaria di urina riferita” dalla paziente1. Semplificando la classificazione, il sintomo IU viene così inquadrato dall’ICS: • IU da sforzo (IUS); perdita involontaria di urina dopo aumenti improvvisi della pressione addominale, come nel caso di tosse, riso, starnuto, corsa o sollevamento di pesi, anche modesti (deambulazione); il disturbo si manifesta, pertanto, quando la pressione vescicale supera quella di chiusura uretrale dopo sollecitazioni pressorie a livello addominale; • IU da urgenza (IUU); perdita involontaria di urina accompagnata o immediatamente preceduta da un’impellente necessità di mingere determinata dall’insorgenza involontaria di contrazioni detrusoriali che superano la resistenza uretrale; • IU mista (IUM); quando IUS e IUU coesistono. Le ultime due forme d’incontinenza s’inseriscono nella sindrome della vescica iperattiva, definita come una condizione di urgenza minzionale con (tipo wet) o senza (tipo dry) incontinenza urinaria, associata a frequenza minzionale e a nicturia e che urodinamicamente si manifesta con una condizione di iperattività detrusoriale. Nell’ambito dell’incontinenza urinaria femminile la tipologia da sforzo è la più comune (24-75%). Inquadramento clinico È importante un preciso e corretto inquadramento fisiopatologico di tutte le pazienti che presentano IU poiché l’accuratezza diagnostica garantisce la scelta del trattamento più adeguato e i risultati migliori. Le raccomandazioni stilate nel 2006 dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE)2 sull’approccio alla paziente con IU prevedono non solo un’accurata anamnesi (generale, ostetrico-ginecologica, chirurgica, farmacologica) e un esame obiettivo (con particolare attenzione alla componente uroginecologica), ma UROGINECOLOGIA inducono a identificare il sintomo lamentato dalla paziente (o quello predominante) e a inserirlo in una delle tre definizioni sovraesposte per indirizzare il primo trattamento. Definiscono, inoltre, l’esame urodinamico un’indagine di secondo livello, da effettuare dopo l’eventuale fallimento dell’approccio conservativo (verosimilmente per un problema di costi). In Italia, a differenza di quanto avviene nei Paesi anglosassoni, si ritiene invece molto utile la valutazione urodinamica, sia per il giusto inquadramento diagnostico, sia per quantificare i miglioramenti ottenuti in seguito alle terapie. Le terapie fisiche L’approccio conservativo basato sul ricorso alle terapie fisiche si avvale delle seguenti metodiche: • riabilitazione del pavimento pelvico mediante biofeedback (BFB), fisiochinesiterapia pelvi-perineale (FKT), elettrostimolazione (SEF), coni vaginali. • tecniche conservative di nuova generazione, come la stimolazione del nervo tibiale posteriore, la magnetoterapia del pavimento pelvico e la stimolazione elettromagnetica extracorporea; purtroppo, i dati della letteratura e gli studi randomizzati riguardanti queste metodiche sono scarsi. BFB Rappresenta il primo approccio del programma riabilitativo poiché permette alla paziente di prendere coscienza del piano perineale e dei muscoli che lo costituiscono, in particolar modo dei muscoli pubo-coccigeo ed elevatore dell’ano. La tecnica si avvale dell’impiego di una sonda vaginale collegata a un monitor sul quale viene riprodotto graficamente il lavoro muscolare della paziente. FKT È una tecnica che permette di rinforzare la funzione di sostegno dei muscoli pelvici e dei muscoli sfinterici, grazie a un migliore utilizzo del muscolo elevatore dell’ano. L’operatore che conduce il trattamento (ostetrica, fisioterapista o infermiere professionale specializzato) utilizza le sue mani per facilitare il movimento e, soprattutto, permettere alla paziente di percepire e prendere coscienza dell’abilità motoria specifica di questi muscoli. Una volta corticalizzata e coordinata l’area perineale, si può iniziare la parte attiva di rinforzo muscolare. Si tratta di eseguire una serie di esercizi mirati a incrementare la forza dei muscoli del pavimento pelvico con alternanza di contrazioni e rilasciamenti muscolari a livello vaginale a intervalli regolari, fino a creare l’automatizzazione durante le attività quotidiane. Questa metodica è utile preventivamente nel post-partum, prima e dopo interventi di chirurgia pelvica e in caso di ipovalidità del muscolo elevatore dell’ano. SEF È una stimolazione passiva, effettuata mediante correnti elettriche bifasiche erogate tramite elettrodi posizionati su sonde vaginali e anali. È una metodica atta a produrre meccanismi riflessi di tipo propriocettivo e muscolo-cutaneo che possono avere un effetto sulla riorganizzazione dei sistemi neuronali che controllano la continenza e la minzione. La SEF esercita effetti positivi sui meccanismi di chiusura dell’uretra, sull’inibizione del detrusore, a livello degli sfinteri anali e a livello muscolare nelle sindromi dolorose perineali. N O G Coni vaginali di Kegel Sono dei coni di peso crescente che devono essere trattenuti in vagina passando, mano a mano, dal più leggero al più pesante. Rappresentano una forma alternativa di trattamento riabilitativo che, oltre a garantire un rinforzo muscolare del pavimento pelvico, permette anche di effettuare una valutazione iniziale del grado di incontinenza. La terapia farmacologica La farmacoterapia in uroginecologia è quanto mai variegata e complessa. Di seguito viene riportata quella utilizzata con maggior frequenza in base al tipo di incontinenza da trattare. Vescica iperattiva e IUU Il target della terapia farmacologica è rappresentato dal sistema nervoso centrale (SNC: recettori GABA, oppioidi, serotoninergici, dopaminici, glutaminergici) e periferico (SNP: recettori muscarinici, canali del calcio e del potassio, recettori alfa e beta adrenergici)3. Anticolinergici (antimuscarinici) La normale attività contrattile vescicale, ma anche quella osservabile nella vescica iperattiva, è indot- 31 UROGINECOLOGIA N O G Tabella 1 Terapie fisiche Alle pazienti che soffrono di IU mista o da sforzo dovrebbe essere offerto, in prima istanza, un ciclo di riabilitazione del pavimento pelvico della durata di almeno 3 mesi. ■ La rieducazione vescicale (bladder training) è consigliata come prima scelta nei casi di IU mista o da urgenza per un periodo di almeno 6 settimane. Essa prevede il progressivo allungamento volontario degli intervalli tra le minzioni procrastinando gradualmente lo stimolo minzionale. ■ La riabilitazione del pavimento pelvico dovrebbe essere consigliata come strategia preventiva per l’IU a tutte le donne nel corso della prima gravidanza. ■ Nonostante le valide aspettative, non sono ancora disponibili dati convincenti e studi completi sulla stimolazione elettrica transcutanea del nervo tibiale. ■ National Institute for Health and Clinical Excellence, 2006 32 ta dal parasimpatico e mediata, essenzialmente, dai recettori muscarinici presenti nel muscolo detrusore; il neurotrasmettitore che agisce sui recettori muscarinici a livello della giunzione neuromuscolare è l’acetilcolina. • Meccanismo d’azione: blocco competitivo dei recettori colinergici muscarinici con conseguente aumento della soglia e riduzione dell’ampiezza delle contrazioni detrusoriali instabili, riduzione degli impulsi sensitivi in fase di riempimento vescicale, aumento della capacità vescicale funzionale. • Effetti collaterali: poiché i recettori muscarinici sono ampiamente distribuiti nell’organismo, i farmaci anticolinergici non risultano selettivi per la vescica, ma agiscono anche su altri organi bersaglio, come le ghiandole salivari, gli occhi, il cuore e il tratto gastrointestinale; ne conseguono effetti collaterali quali xerostomia, difetti dell’accomodazione visiva, visione offuscata, xeroftalmia, tachicardia, nausea, stipsi, ritenzione urinaria, sedazione, disforia, perdita della memoria, stato confusionale e allucinazioni. • Controindicazioni: glaucoma ad angolo chiuso, ostruzione cervico-uretrale, occlusione o atonia intestinale, colite ulcerosa grave o megacolon tossico, miastenia grave. Attualmente è disponibile un’ampia gamma di anticolinergici, ma quelli che si sono dimostrati efficaci e che risultano maggiormente utilizzati sono l’ossibutinina cloridrato (cpr 5 mg); il trospio cloruro (cpr 20 mg), la tolterodina Ltartrato (cpr riv 1-2 mg; cps retard 2-4 mg) e la solifenacina succinato (cpr riv 5 mg) che presentano minori effetti collaterali rispetto all’ossibutinina e, infine, la fesoterodina fumarato (cpr ril prol 4 mg) di recentissima introduzione. Altri farmaci La terapia della vescica iperattiva e della IUU può avvalersi anche degli estrogeni per via vaginale, utili nella sindrome della vescica iperattiva nelle donne in menopausa con atrofia vaginale, nonché della tossina botulinica per il trattamento iniettivo nella parete vescicale (promettente alternativa). IUS In questa condizione clinica, la somministrazione di duloxetina cloridrato (cpr 20/40 mg) determina l’inibizione del re-uptake di noradrenalina e di serotonina con potenziamento dell’attività dello sfintere uretrale esterno e aumento della capacità vescicale. La IUS può trarre vantaggio anche dall’estrogenoterapia locale. Trattamento chirurgico della IUS La IUS può essere causata o da un deficit dei meccanismi di supporto dell’uretra o da un deficit intrinseco dello sfintere uretrale che perde la sua capacità di mantenere un adeguato tono e quindi la sua funzione di continenza. Da un punto di vista didattico, queste due condizioni definiscono una IUS da “ipermobilità uretrale” e una IUS da “insufficienza sfinterica intrin- Tabella 2 Terapia farmacologica: anticolinergici ■ ■ ■ L’ossibutinina a rilascio immediato dovrebbe essere il trattamento di prima scelta nelle pazienti con sindrome della vescica iperattiva e con incontinenza urinaria mista. Se la terapia è mal tollerata, si consigliano le alternative (indistintamente tolterodina, solifenacina e trospio cloruro). È importante seguire le pazienti per la valutazione degli effetti collaterali. National Institute for Health and Clinical Excellence, 2006 UROGINECOLOGIA Tabella 3 Terapia farmacologica: duloxetina ■ ■ Terapia non di prima linea e, come seconda scelta, solo se le pazienti preferiscono l’approccio farmacologico o non possono essere sottoposte al trattamento chirurgico. La duloxetina è gravata da pesanti effetti collaterali. National Institute for Health and Clinical Excellence, 2006 seca”. È importante identificare il tipo di IUS in causa, al fine di proporre alla paziente il trattamento chirurgico più appropriato che, nel primo caso, sarà finalizzato a ripristinare un adeguato supporto uretrale, mentre nel secondo ad aumentare le resistenze sfinteriche uretrali. Nel corso degli anni sono stati proposti diversi approcci, ma il trattamento chirurgico della IUS da ipermobilità è stato rivoluzionato nei primi anni Novanta da Petros e Ulmsten che hanno individuato nell’uretra media la struttura preposta a garantire la continenza nella donna. Per primi, questi autori hanno proposto l’utilizzo di uno sling in materiale sintetico posizionato “senza tensione” (tension-free) al di sotto dell’uretra media. Le attuali procedure di trattamento chirurgico dell’incontinenza urinaria da sforzo (retropubic sling, transobturator sling e single-incision sling) si fondano tutte su questo principio fisiopatologico. Sling suburetrali Dall’introduzione delle procedure di sling sono stati proposti svariati materiali e numerose varianti tecniche. Tra i materiali testati quello che sembra meglio rispondere alle esigenze chirurgiche è il polipropilene4. Gli sling in polipropilene possono essere monofilamento o multifilamento. Quest’ultimo presenta una più alta incidenza di erosioni e di infezioni rispetto alle meno pro- blematiche mesh monofilamento5 che sono oggi le più utilizzate. Tension-free vaginal tape (TVT) La tension-free vaginal tape (TVT) è stato il primo intervento proposto da Ulmsten nel 1996. Esso prevede l’utilizzo di una mesh in polipropilene monofilamento che viene posizionata con 2 grandi aghi ricurvi per via transvaginale attraverso lo spazio retropubico, per poi fuoriuscire da due piccole incisioni poste subito dietro i due tubercoli pubici (metodo bottom-up). Con questa metodica, Nilson et al hanno riportato un tasso di cura del 90% in un follow-up di 11 anni6. Successivamente, è stata proposta una variante della tecnica originaria nella quale la differenza sostanziale è costituita dal fatto che il passaggio della mesh avviene dall’alto in basso (metodo top-down), attraverso aghi a punta smussa che sono introdotti a livello sovrapubico, immediatamente dietro l’osso pubico, e fuoriescono a livello di un’incisione vaginale al di sotto dell’uretra media. Attualmente non è ancora chiaro quale delle due tecniche sia migliore. Uno studio randomizzato di Andonian et al ha dimostrato un tasso di cura equivalente7. Trans obturator tape (TOT) Nonostante i promettenti dati della letteratura sull’utilizzo della TVT, sono state riportate importanti complicanze, quali perforazioni intestinali, sepsi, emorragie profuse e di difficile controllo, dovute al passaggio alla cieca nello spazio retropubico. Nel 2001, Delorme8, nel tentativo di ridurre la morbidità intra e postoperatoria, ha ripercorso gli studi di Petros e Ulmsten proponendo di sostenere l’uretra media con uno sling posizionato in modo tension-free per via transotturatoria. Quando la TOT si effettua con tecnica out-in, viene praticata, bilateralmente, un’incisione a livello genito-femorale, all’altezza del clitoride. Gli aghi perforano la membrana otturatoria e il muscolo otturatorio ed escono attraverso un’incisione eseguita sulla parete vaginale, lateralmente e al di sotto dell’uretra media. Per evitare lesioni al fascio vascolo-nervoso otturatorio, il passaggio dell’ago at- traverso la membrana otturatoria deve essere effettuato mantenendosi aderenti al margine della branca inferiore dell’osso pubico. Il passaggio attraverso i muscoli otturatori dovrebbe comportare una sospensione uretrale anatomicamente più corretta, garantendo minori rischi di complicanze maggiori. Due anni dopo la pubblicazione di Delorme, De Leval9 ha introdotto la tecnica in-out. Per quanto riguarda i risultati clinici di questa procedura, Debodinance10 ha riportato un equivalente tasso di cura tra la tecnica out-in e in-out, mentre uno N O G 33 UROGINECOLOGIA N O G 34 studio prospettico randomizzato, condotto da Sivaslioglu et al11, che ha messo a confronto la TOT e la colposospensione secondo Burch ha riportato tassi di cura e di complicanze intraoperatorie simili con un follow-up a 2 anni. In letteratura: TVT vs TOT • La TVT vanta un follow-up molto più lungo rispetto alla TOT. • Il tasso di cura della TOT è sostanzialmente sovrapponibile a quello della TVT, così come la perdita ematica12-15. • La TVT-O (tecnica in-out) sembra essere associata a maggior rischio di andare incontro a dolore persistente a carico dell’arto inferiore16. • La complicanza intraoperatoria più frequente della TVT è la perforazione della vescica, con una percentuale del 3-10% circa17-19. • Anche il passaggio alla cieca attraverso lo spazio transotturatorio comporta un rischio di lesioni, a volte non riconosciute, a livello di vescica, uretra, strutture vascolari e nervose, di ascessi che richiedono un drenaggio chirurgico, di sanguinamenti profusi e di trasfusioni, che la letteratura riporta però in percentuali bassissime (0,8%). Nella letteratura della TOT non sono state ancora riportate lesioni intestinali, mentre il tasso di lesione di vescica e uretra è dello 0-1%14-15. • La durata dell’intervento chirurgico è più breve per la TOT perché quest’ultima non richiede la cistoscopia. • La TOT è associata a una maggiore incidenza di dolore postoperatorio in sede inguinale rispetto alla TVT14-15. • Nella TOT il tasso di erosione vaginale è superiore rispetto a quello riportato per la TVT14-15. • Una complicanza riportata sia per la TVT che per la TOT è la comparsa de novo di IUU, con un tasso variabile dal 4 al 21%14. In uno studio condotto da Botros et al20 la percentuale d’insorgenza de novo di IUU era dell’8% per la TOT e del 17-33% per la TVT. • Le disfunzioni postoperatorie dello svuotamento vescicale sono fino a 3 volte più frequenti nella TVT che nella TOT14-17. Molte si risolvono con cateterismo intermittente transitorio; raramente è necessaria una detensione dello sling sottouretrale. Single incision sling (SIS) Gli ottimi risultati ottenuti nella IUS con il posizionamento tension-free di sling al di sotto dell’uretra media ha incoraggiato il diffondersi di una nuova generazione di sling suburetrali (TVT secur, MiniArc, Ajust, Needleless), posizionati con tecniche sempre meno invasive. Il vantaggio di questi sling è di richiedere un’unica incisione vaginale suburetrale (senza incisione cutanea e passaggio transotturatorio e/o retropubico con ago). Si riduce così la morbidità perioperatoria e, verosimilmente, anche il dolore degli sling transotturatori; tuttavia, la mancanza di un ancoraggio laterale solido è il punto di criticità maggiore per queste procedure i cui cure-rate devono ancora essere ben valutati21. Infiltrazioni intra o periuretrali con agenti volumizzanti (bulking agents) Questo tipo di chirurgia mininvasiva è riservato alle pazienti con IUS e uretra fissa (nelle quali la percentuale di successi della TVT e della TOT sono notevolmente ridotte) e deficit intrinseco dello sfintere uretrale; non è tuttavia esclusa la possibilità d’impiego anche in pazienti con uretra ipermobile nelle quali non si vogliano o non si possano utilizzare metodiche più invasive. Avvalendosi di dispositivi che consentono di praticare senza visione uretroscopica almeno tre pomfi concentrici nella sottomucosa dell’uretra con diversi materiali non riassorbibili oppure di un uretroscopio, si cerca di ottenere un restringimento del lume uretrale con conseguente aumento delle resistenze al flusso urinario. Questa tecnica è però associata a un’elevata percentuale di recidive per il riassorbimento o la migrazione delle sostanze depositate22. Adjustable continence therapy (ACT) Questo tipo di approccio si basa sull’impiego di due dispositivi a palloncino in silicone posizionati a livello della giunzione uretro-vescicale, rifornibili, e quindi regolabili, attraverso un port sottocutaneo allocato nelle grandi labbra. Si tratta di una procedura mininvasiva, eseguibile anche in anestesia locale, che permette, nel postoperatorio, di modulare l’effetto anti-incontinenza attraverso il rifornimento transcutaneo dei palloncini che vengono progressivamente gonfiati fino al raggiungimento della continenza. Il cure-rate riportato in letteratura è intorno al 60%. Le complican- UROGINECOLOGIA ze evidenziate sono i guasti del dispositivo, la migrazione o erosione del port e la dislocazione del palloncino23. Conclusioni I dati pubblicati in letteratura indicano che il posizionamento “senza tensione” di sling in ma- teriale sintetico sotto all’uretra media rappresenta attualmente il gold-standard nel trattamento chirurgico della IUS. Nonostante le continue innovazioni, proposte nel tentativo di individuare un approccio chirurgico sempre meno invasivo, non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di una chirurgia non priva d’insidie; di conseguenza, qualsiasi chirurgo decida di avvicinarsi a questo tipo di chirurgia deve essere specificamente e adeguatamente formato da un punto di vista anatomo-chirurgico, nonché preparato a identificare e trattare le eventuali complicanze perioperatorie che, per quanto rare, possono talora essere gravi. N O G Bibliografia 1. Abrams P, Cardozo L, Fall M et al. The standardization of terminology of lower urinary tract function: report from the standardization sub-committee of the international continence society. Neurourol Urodynam 2002; 21: 167-78. 2. National Institute for Health and Clinical Excellence-Guidelines. Urinary Incontinence October 2006. 3. Wein AJ. Pharmacological agents for the treatment of urinary incontinence due to overactive bladder. 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International Continence Society (Montreal) 2005; 624. 35 GESTODIOL 20/30 RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE. GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Principi attivi: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite: ogni compressa contiene 20 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di Gestodene. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite: ogni compressa contiene 30 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di Gestodene. Eccipienti: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero, di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL. Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni. Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTODIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale). È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato. La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone (mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso. Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole si deve escludere una gravidanza oppure la donna deve attendere la comparsa della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man- cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una gravidanza. Settimana 2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana 3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita. In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale. L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva (questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso. • Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici (angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante), iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). • Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. • Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della paziente e che venga esclusa una gravidanza. Sulla base delle controindicazioni (vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico, se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente, valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato alla gravidanza, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per lo più alla dose di 30 µg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi orali combinati contenenti 30 µg di etinilestradiolo in combinazione con desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 µg di etinilestradiolo e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel con meno di 50 µg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20 casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 1020 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale; • in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m 2); • immobilizzazione prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4 settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es. fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente, soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia; • obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • ipertensione; • valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva (ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; • cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”. Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono: diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania (che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia, carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio associato alla gravidanza è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa. Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno, l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la gravidanza che con l’uso di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate. Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico; sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni), del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma, specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta. L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo 4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia), particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una patologia maligna o di una gravidanza. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse. Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo 4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da sospensione, è necessario escludere la gravidanza prima di proseguire l’assunzione del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone, carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina, topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime 2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a breClassificazione sistemica organica Comune (da=1/100 a <1/10) Patologie del sistema nervoso Cefalea Nervosismo Irritazione oculare quando si portano lenti a contatto Disturbi della vista Patologie dell’occhio Patologie dell’orecchio e del labirinto Patologie gastrointestinali Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Disordini del metabolismo e della nutrizione Patologie vascolari Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Disturbi del sistema immunitario Patologie dell’apparato riproduttivo e della mammella Disturbi psichiatrici Nausea Acne Emicrania ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali, devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale, ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione. Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina) o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali. Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto), per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche, i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato durante la gravidanza. In caso di gravidanza durante l’assunzione di GESTODIOL sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della gravidanza, né effetti teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante la gravidanza. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza (>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera- Non comune (da=1/1000 a <1/100) Raro (da=1/10000 a <1000) Corea Vomito Iperlipidemia Ipertensione Otosclerosi Colelitiasi Cloasma Tromboembolia venosa Eventi tromboembolici arteriosi Aumento ponderale Ritenzione idrica Sanguinamento irregolare Amenorrea Ipomenorrea Tensione mammaria Alterazioni della libido Depressione Irritabilità Molto raro (<1/10000) Lupus eritematoso Alterata secrezione vaginale Pancreatite RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Tranizolo. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni capsula contiene 100 mg di itraconazolo. Eccipienti: saccarosio 195 mg/capsula. Per una lista completa degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Capsula rigida. Capsula allungata di gelatina rigida, rossa, opaca (misura 0). 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni Terapeutiche. - Candidosi vulvovaginale. - Candidosi orale, dermatomicosi (es. tinea corporis, tinea cruris, tinea pedis, tinea manus) ed onicomicosi (causate da dermatofiti e lieviti), pityriasis versicolor. - Sporotricosi linfocutanee, paracoccidioidomicosi, bastomicosi (in pazienti immunocompromessi) ed istoplasmosi. - Itraconazolo può essere usato per trattare pazienti affetti da aspergillosi invasive risultate resistenti o intolleranti all’amfotericina B. Si deve prestare attenzione alle linee guida ufficiali riguardanti l’uso corretto degli agenti antimicotici. 4.2 Posologia, e modo di somministrazione. Le capsule di itraconazolo sono per uso orale. Le capsule devono essere assunte immediatamente dopo i pasti. Le capsule devono essere inghiottite intere. Raccomandazioni posologiche per adulti ed adolescenti: - Candidosi vulvovaginale: 200 mg al mattino e 200 mg alla sera per un giorno. - Candidosi orale: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea corporis/cruris: 100 mg una volta al giorno per 2 settimane. - Tinea pedis/manus: 100 mg una volta al giorno per 4 settimane. - Pityriasis versicolor: 200 mg una volta al giorno per 1 settimana. - Onicomicosi: Terapia a cicli di trattamento. Un ciclo consiste di due capsule due volte al giorno per una settimana (400 mg/die), seguito da un periodo di tre settimane senza trattamento. Un totale di 3 cicli viene somministrato per l’onicomicosi delle unghie dei piedi, due cicli sono raccomandati per l’onicomicosi delle unghie delle mani. Trattamento continuo. Due capsule (200 mg/die) una volta al giorno per 3 mesi. Il risultato del trattamento è visibile solo dopo la fine della somministrazione quando le unghie ricrescono. - Sporotricosi linfocutanea*: 100 mg una volta al giorno per 3 mesi. - Paracoccidioidomicosi*: 100 mg una volta al giorno per 6 mesi. - Blastomicosi*: 100 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 6 mesi. - Istoplasmosi*: 200 mg una volta al giorno, possono essere aumentati a 200 mg due volte al giorno, per 8 mesi. - Aspergillosi invasiva: inizio con una dose di 200 mg tre volte al giorno per 4 giorni e poi continuazione con 200 mg due volte al giorno fino a che le colture sono negative o fino a che le lesioni sono scomparse (2-5 mesi di durata) o almeno fino a quando è cessata le neutropenia. *) I tempi di trattamento specificati sono medi e possono variare a seconda della gravità della malattia o della guarigione clinica e micologica. Per le infezioni cutanee l’effetto clinico ottimale viene raggiunto 1-4 settimane dopo la cessazione del trattamento e per le infezioni delle unghie dopo 6-9 mesi. Questo avviene perché l’eliminazione di itraconazolo dalla pelle e dalle unghie avviene più lentamente che dal plasma. Bambini (sotto i 12 anni): I dati sull’itraconazolo nei bambini sono inadeguati per raccomandarne l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo 4.4). Anziani: I dati sull’itraconazolo negli anziani sono inadeguati per raccomandarne l’uso, a meno che i potenziali benefici superino i rischi (vedere paragrafo 4.4). Alterazioni delle funzioni epatiche: L’itraconazolo è principalmente metabolizzato nel fegato. Una lieve diminuzione della biodisponibilità orale è stata osservata in pazienti cirrotici, benché ciò non abbia significatività statistica. L’emivita terminale è risultata lievemente ma significativamente aumentata da un punto di vista statistico. Se necessario la dose deve essere aggiustata. Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici (vedere paragrafo 4.4). Alterazioni delle funzioni renali: La biodisponibilità orale dell’itraconazolo può essere inferiore nei pazienti con insufficienza renale. Può essere preso in considerazione un adattamento della dose. Può essere necessario il monitoraggio dei livelli plasmatici. L’itraconazolo non può essere eliminato mediante dialisi (vedere paragrafo 4.4). Diminuita acidità gastrica: L’assorbimento dell’itraconazolo è alterato quando l’acidità gastrica è ridotta. Per informazioni sui pa- zienti con acloridria o in trattamento con inibitori della secrezione acida o che assumono medicinali ad azione antiacido, vedere paragrafo 4.4. L’alterato assorbimento in pazienti con AIDS e neutropenici, può portare a bassi livelli emetici di itraconazolo ed a mancanza di efficacia. In questi casi può essere indicato il monitoraggio dei livelli ematici e se necessario un aggiustamento della dose. 4.3 Controindicazioni. Itraconazolo è controindicato in: - ipersensibilità all’itraconazolo o ai derivati azolici correlati o ai suoi eccipienti. - Simultanea somministrazione di: terfenadina, astemizolo, cisapride, chinidina, pimozide, mizolastina, dofetilide, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come la simvastatina, atorvastatina e lovastatina o triazolam e midazolam per via orale. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni di impiego. Con itraconazolo esiste la possibilità di interazioni clinicamente rilevanti con altri farmaci (vedere paragrafo 4.5). - L’assorbimento di itraconazolo da Tranizolo 100 mg capsule è influenzato dalla diminuzione dell’acidità gastrica. Pazienti trattati anche con sostanze che neutralizzano gli acidi (ad es. idrossido di alluminio) devono prendere queste sostanze almeno 2 ore dopo la somministrazione di itraconazolo. A pazienti affetti da acloridria come alcuni pazienti con AIDS o a pazienti in trattamento con inibitori acidi (ad es. Antagonisti H2, inibitori della pompa protonica) si consiglia di assumere itraconazolo capsule 100 mg con bevande contenenti anidride carbonica che hanno un basso pH. - Nei pazienti sottoposti a trattamento continuo per più di un mese si consiglia un controllo della funzionalità epatica. Durante la somministrazione di itraconazolo in casi molto rari si è manifestata grave tossicità epatica, inclusi alcuni casi di insufficienza epatica acuta fatale. Nella maggior parte questi casi riguardano pazienti che hanno avuto disturbi epatici prima del trattamento, che erano trattati per indicazioni sistemiche, che hanno sofferto di altre gravi malattie e/o usavano altri agenti epatotossici. Alcuni di questi casi si manifestano già al primo mese di trattamento: pochi perfino nella prima settimana. Si devono monitorare frequentemente le funzioni epatiche dei pazienti che sono trattati con itraconazolo. Bisogna inoltre istruire i pazienti a riferire immediatamente al proprio medico i segni e i sintomi di epatite, come anoressia, nausea, vomito, stanchezza, dolore addominale o urina di colore scuro. In questi pazienti il trattamento deve essere interrotto immediatamente ed è necessario controllare le funzioni epatiche. - Itraconazolo non deve essere prescritto a pazienti con aumentati valori di enzimi epatici o con disturbi epatici pre-esistenti, o che hanno mostrato tossicità epatica come reazione ad altri farmaci. Se si prende la decisione di iniziare un trattamento a lungo termine è necessario controllare i valori degli enzimi epatici durante il trattamento. - L’uso a lungo termine (più lungo di 6 mesi o più lungo di 6 mesi cumulativi) non è raccomandato eccetto quando non vi siano alternative terapeutiche. - La biodisponibilità orale dell’itraconazolo risulta diminuita in alcuni pazienti con insufficienza renale. L’aggiustamento della dose può essere preso in considerazione. - Insufficienza epatica: itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato nel fegato. L’emivita terminale dell’itraconazolo è piuttosto prolungata in pazienti che soffrono di cirrosi epatica. La biodisponibilità orale di itraconazolo è ridotta nei pazienti che soffrono di cirrosi epatica. Può essere necessario un aggiustamento della dose. - La biodisponibilità orale di itraconazolo può essere ridotta in alcuni pazienti immunocompromessi sottoposti a trattamento aggressivo con chemioterapici ed antibiotici. Per questi pazienti è pertanto raccomandato monitorare la concentrazione di itraconazolo nel plasma e se necessario aumentare la dose. - In uno studio con itraconazolo per via endovenosa in soggetti sani, si è osservata una temporanea sintomatica riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro che scompariva prima della successiva infusione. La rilevanza clinica di questa osservazione per le formulazioni orali non è nota. - Itraconazolo sembra avere un effetto inotropo negativo ed è stato messo in relazione a segnalazioni di scompenso cardiaco. Itraconazolo non deve essere usato in pazienti con scompenso cardiaco o con una storia di scompenso cardiaco a meno che i benefici siano chiaramente superiori ai rischi. Durante questa valutazione individuale dei benefici e dei rischi, bisogna prendere in considerazione fattori quali la gravità dell’indicazione, il dosaggio e i fattori di rischio individuali per lo scompenso cardiaco. Questi fattori includono malattie cardiache quali malattie ischemiche e valvolari, importanti malattie polmonari, quali la pneumopatia cronica ostruttiva, l’insufficienza renale ed altre malattie edemigene. Questi pazienti devono essere informati sui sintomi dello scompenso cardiaco congestizio, devono essere trattati con cautela e sottoposti a controlli sui sintomi di scompenso cardiaco durante il loro trattamento; in caso che si manifestino tali sintomi durante il trattamento, la somministrazione di itraconazolo deve essere interrotta. Bisogna avere cautela nel somministrare contemporaneamente itraconazolo e agenti calcio-antagonisti (vedere paragrafo 4.5). - Itraconazolo è un potente ini- bitore del CYP3A4. L’uso di itraconazolo in associazione a farmaci metabolizzati dal CYP3A4 può portare ad interazioni clinicamente rilevanti (vedere paragrafo 4.5). L’uso concomitante di itraconazolo con alcaloidi della segale cornuta come l’ergotamina può portare a più elevati livelli di questi alcaloidi a causa dell’inibizione del CYP3A4 da parte dell’itraconazolo. Questo può portare a sintomi di ergotismo. - Non vi sono informazioni relative all’ipersensibilità crociata tra itraconazolo ed altri agenti antifungini azolici. Pertanto si deve usare cautela nel prescrivere itraconazolo a pazienti con ipersensibilità ad altri derivati azolici. - L’esperienza clinica sull’uso di itraconazolo capsule nei bambini è modesta. Pertanto itraconazolo 100 mg capsule non deve essere somministrato nei bambini eccetto nei casi dove gli effetti positivi attesi superano i potenziali rischi. - A causa del rischio di danni al feto, le donne in età fertile e che usano itraconazolo devono prendere adeguate misure anticoncezionali fino al primo periodo mestruale successivo alla fine del trattamento. - Se compare neuropatia che può essere attribuita ad itraconazolo, il trattamento deve essere interrotto. - Itraconazolo non deve essere usato entro 2 settimane dall’interruzione del trattamento di agenti che inducono il CYP3A4 (rifampicina, rifabutina, fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, Erba di S. Giovanni). L’uso di itraconazolo con questi farmaci può portare a livelli plasmatici sub-terapeutici di itraconazolo e pertanto ad inefficacia. - Ceppi della specie di Candida resistenti al fluconazolo non possono essere ritenuti sensibili all’itraconazolo. Test di sensibilità devono essere condotti prima dell’inizio della terapia con itraconazolo. Questo medicinale contiene saccarosio. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio, malassorbimento di glucosio-galattosio o insufficienza della saccarasi-isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. Effetti di altri prodotti medicinali sull’itraconazolo: Itraconazolo viene prevalentemente metabolizzato dal CYP3A4. Induttori del CYP3A4: Sono stati condotti studi di interazione con rifampicina, rifabutina e fenitoina che sono potenti induttori del CYP3A4. La biodisponibilità di itraconazolo e idrossi-itraconazolo è diminuita in misura tale che l’efficacia può essere considerata ridotta. Pertanto si raccomanda di non associare itraconazolo a questi potenti induttori enzimatici. Simili effetti devono essere previsti con altri induttori dell’enzima come carbamazepina, fenobarbital e isoniazide. Inoltre l’itraconazolo non deve essere somministrato entro 2 settimane dall’interruzione del trattamento con qualunque medicinale induttore del CYP3A4. Inibitori del CYP3A4: Dal momento che itraconazolo è principalmente metabolizzato dal CYP3A4, potenti inibitori di questo enzima possono aumentare la biodisponibilità di itraconazolo. Esempi sono ritonavir, indinavir, saquinavir, sildenafil, tadalafil, alcuni agenti antineoplastici, sirolimo, claritromicina ed eritromicina. Per l’uso concomitante con sildenafil si raccomanda una riduzione della dose a 25 mg. Omeprazolo: Quando itraconazolo viene somministrato con omeprazolo (inibitore della pompa protonica), l’esposizione dell’itraconazolo viene ridotta del 65%. L’interazione è probabilmente dovuta al ridotto assorbimento, che è pH-dipendente. Altri inibitori della pompa protonica devono comportarsi in modo simile (vedere paragrafo 4.2 e paragrafo 4.4). Effetti dell’itraconazolo sul metabolismo di altri medicinali: Itraconazolo è un potente inibitore del CYP3A4 ed inibisce il metabolismo di farmaci che sono substrati di questo enzima. Itraconazolo è anche un potente inibitore della P-glicoproteina. La somministrazione concomitante di farmaci che sono substrati del CYP3A4 e/o P-glicoproteina può portare ad aumento e/o prolungamento del loro effetto ed a un aumentato rischio di effetti collaterali. Associazioni controindicate sono: Terfenadina, astemizolo, pimozide, cisapride, triazolam, midazolam per via orale, dofetilide, mizolastina e chinidina poiché la co-somministrazione può risultare in un aumento dei livelli plasmatici di queste sostanze che può portare a prolungamento del QTC ed in rare occasioni a torsade de pointes, inibitori della HMG-CoA reduttasi metabolizzati dal CYP3A4 come simvastatina, atorvastatina e lovastatina (vedere paragrafo 4.3). Per l’interazione con gli alcaloidi della segale cornuta vedere paragrafo 4.4. L’uso concomitante dei seguenti farmaci può richiedere aggiustamento della dose: Si deve usare cautela quando si somministra itraconazolo con altri substrati del CYP3A4. Devono essere monitorati i livelli plasmatici, gli effetti o gli effetti collaterali dei farmaci co-somministrati e può essere necessario un aggiustamento della dose. Si noti che l’elenco seguente non è completo e l’itraconazolo può interagire con altri farmaci metabolizzati dal CYP3A4. Calcio antagonisti metabolizzati dal CYP3A4 (diidropiridine e verapamil). Anticoagulanti orali: Itraconazolo può potenziare l’effetto della warfarina. Si raccomanda di monitorare il tempo di protrombina se si usa questa associazione. Inibitori della HIV-proteasi come ritonavir, indinavir, saquinavir: Poiché gli inibitori della HIV-proteasi sono principalmente metabolizzati dal CYP3A4 ci si aspetta un aumento delle concentrazioni plasmatiche se usati in associazione. Agenti per il trattamento delle disfunzioni erettili come sildenafil, tadalafil: Itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Alcuni agenti antineoplastici come alcaloidi della vinca, busulfan, docetaxel e trimetressato: L’itraconazolo può inibire il metabolismo di questi farmaci. La clearance del busulfan è diminuita del 20% quando somministrato in associazione. Alcuni agenti immuno-soppressori: ciclosporina, tacrolimus, sirolimus: L’itraconazolo può aumentare i livelli plasmatici di questi farmaci con la conseguenza di possibili effetti collaterali. Le concentrazioni plasmatiche di ciclosporina, tacrolimus, sirolimus devono essere monitorate se usati assieme all’itraconazolo. Digossina: Itraconazolo è noto per inibire il P-gp. La concomitante somministrazione di digossina e itraconazolo ha portato ad aumentate concentrazioni plasmatiche di digossina con sintomi di tossicità alla digossina. Ciò suggerisce una diminuita clearance urinaria della digossina poiché l’itraconazolo può inibire l’azione della Pglicoproteina che trasporta la digossina dalle cellule del tubulo renale nelle urine. I livelli plasmatici della digossina devono essere attentamente monitorati durante la somministrazione concomitante con itraconazolo. Desametasone: l’itraconazolo riduce del 68% la clearance del desametasone somministrato endovena. Metilprednisone: l’itraconazolo inibisce il metabolismo del prednisone. È stato osservato un aumento di 4 volte dell’esposizione e di 2 volte dell’emivita. Vi è il rischio di effetti collaterali dello steroide, in particolare durante il trattamento a lungo termine, se la dose non è adeguata. Alprazolam: la somministrazione concomitante di itraconazolo ed alprazolam porta ad una riduzione del 60% della clearance dell’alprazolam. Le aumentate concentrazioni plasmatiche possono potenziare e prolungare gli effetti ipnotici e sedativi. Buspirone: la somministrazione concomitante di itraconazolo e buspirone (dose orale singola) ha dato luogo ad un significativo aumento (19 volte) della biodisponibilità. L’aggiustamento della dose è necessario quando itraconazolo e buspirone vengono somministrati in associazione. Altri: Alfentanile, brotizolam, carbamazepina, cilostazolo, disopiramide, ebastina, eletriptan, alofantrina, midazolam e.v., reboxetina, repaglinide, rifabutina: resta da stabilire l’importanza degli aumenti di concentrazione e la loro rilevanza clinica di questi cambiamenti durante la cosomministrazione con itraconazolo. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Gravidanza. Dati limitati sull’uso a breve termine durante la gravidanza non hanno finora rivelato effetti pericolosi. Non vi sono dati documentati sull’uso a lungo termine in gravidanza. In studi sugli animali itraconazolo è risultato dannoso (vedere paragrafo 5.3). Itraconazolo non deve essere usato in gravidanza a meno che sia chiaramente necessario. Allattamento. Itraconazolo è escreto nel latte materno. L’allattamento al seno non è raccomandato durante il trattamento con itraconazolo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati condotti studi sugli effetti di itraconazolo sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. Quando non si è alla guida di veicoli e si usano macchinari bisogna tener conto che in alcuni casi può manifestarsi la possibilità di vertigine. 4.8 Effetti indesiderati. In circa il 9% dei pazienti possono manifestarsi effetti indesiderati durante la somministrazione di itraconazolo. Nell’uso a lungo termine (circa 1 mese) l’incidenza degli effetti indesiderati è stata più alta (circa 15%). Gli effetti indesiderati maggiormente riportati sono stati di natura gastrointestinale, epatica e dermatologica. All’interno di ogni classe organica gli effetti indesiderati sono ordinati in base alla frequenza con cui si manifestano, rari (≤0,01%, <0,1%), molto rari (<0,001%) inclusi casi isolati. Sulla base dei dati dati post-marketing i seguenti effetti indesiderati sono stati riportati. Alterazione del sangue e del sistema linfatico. Molto raro: trombocitopenia; Alterazioni del sistema immunitario. Molto rare: reazioni anafilattiche anafilattoidi ed allergiche. Alterazioni del metabolismo e della nutrizione. Molto rare: ipokaliemia, ipertrigliceridemia. Alterazioni del sistema nervoso. Molto rare: neuropatia periferica, mal di testa e vertigine. Alterazioni cardiache. Molto raro: scompenso cardiaco congestizio. Alterazioni dell’apparato respiratorio, del torace e del metabolismo. Molto raro: edema polmonare. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale. Molto rari: dolore addominale, vomito, dispepsia, nausea, diarrea e costipazione. Alterazioni del sistema epatobiliare. Molto rare: insufficienza epatica acuta fatale, grave epatotossicità, epatite, ittero colestatico e aumento reversibile degli enzimi epatici. Alterazioni della cute e del tessuto sottocutaneo. Molto rare: sindrome di Stevens-Johnson, angioedema, orticaria, alopecia, rash cutaneo e prurito. Disordini del sistema riproduttivo e della mammella. Molto rari: disturbi mestruali. Disordini generali e alterazioni del sito di somministrazione. Molto raro: edema. 4.9 Sovradosaggio. Non sono noti sintomi di sovradosaggio. In caso di sovradosaggio il paziente deve bere e si deve tentare di indurre vomito o deve essere eseguita una lavanda gastrica, dopo di che può essere somministrato carbone attivo ed un lassativo. Non è noto un antidoto specifico. Itraconazolo non è rimosso con l’emodialisi. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antimicotici per uso sistemico, derivati triazolici. Codice ATC: J02AC02. Proprietà generali: Itraconazolo è un composto triazolico sintetico con azione antimicotica contro dermatofiti, lieviti, Aspergillus ed altri miceti patogeni. Meccanismo d’azione. Itraconazolo inibisce la biosintesi dell’ergosterolo, il più importante sterolo della membrana cellulare di lieviti e miceti, a concentrazioni di solito tra 0,025 e 0,8 µg/ml. Questo causa cambiamenti della permeabilità e dei componenti lipidici della membrana. Microbiologia. I seguenti organismi sono considerati sensibili all’itraconazolo: Dermatofiti (Trichophyton spp., Microsporum spp., Epidermophyton floccosum), Lieviti (C. albicans e altra Candida spp., Pityrosporum ovale, Cryptococcus neoformans, C. glabrata) Aspergillus fumigatus ed altri Aspergillus spp., Miceti dimorfi: Sporothrix schenckii, Histoplasma spp., Paracoccidioides brasiliensis, Fonsecacea spp., Cladosporium spp., Blastomyces dermatitidis. Candida glabrata e Candida tropicalis sono generalmente le meno sensibili tra le specie di Candida, con ceppi isolati che mostrano resistenza in vitro all’itraconazolo. Le specie più importanti non inibite dall’itraconazolo sono: Zygomycetes (ad es. Rhizopus spp., Rhizomucor spp., Mucor spp. e Absidia spp.), Fusarium spp., Scedosporium spp. e Scopulariopsis spp. La sensibilità in vitro è influenzata da: dimensione dell’inoculo, temperature di incubazione, fase di sviluppo del fungo ed in particolare dal terreno di cultura usato. Pertanto possono essere trovate considerevoli differenze nei valori di CMI. Altre informazioni. La resistenza agli azoli sembra svilupparsi lentamente e spesso è il risultato di numerose mutazioni genetiche. Sono stati riportati diversi meccanismi di resistenza. Un meccanismo riguarda una diminuita affinità della 14α-demetilasi per gli azoli. Questo può causare una sovraespressione o una mutazione puntiforme in ERG11, il gene che codifica la 14α-demetilasi. Più comunemente la resistenza agli azoli risulta da un’espressione micotica di un sistema di pompa ad efflusso. Non sembra che i miceti possano trasferire geni resistenti da un organismo ad un altro e spesso i casi isolati in clinica non sono correlati tra di loro. La resistenza micotica probabilmente non risulta da una riduzione su larga scala della sensibilità dei miceti come provato nel caso della resistenza batterica. Resistenza crociata tra antimicotici azolici è stata riportata in pazienti clinicamente resistenti al clotrimazolo. Finora aumenti molteplici della CMI dell’itraconazolo sono stati osservati solo in mutanti selezionati in laboratorio di Aspergillus fumigatus. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. I livelli plasmatici variano fortemente tra individui, sia a dosi singole sia a dosi ripetute. Assorbimento. I livelli plasmatici massimi di sostanza attiva immodificata si raggiungono in 2-5 ore dopo l’assunzione. La biodisponibilità orale assoluta dell’itraconazolo è del 55%. La biodisponibilità massima dopo assunzione orale si ottiene se l’itraconazolo viene assunto direttamente dopo un pasto. Distribuzione. Il legame di itraconazolo con le proteine plasmatiche è del 99,8%. Nel sangue il 5% dell’itraconazolo è legato alle cellule ematiche, il 95% alle proteine plasmatiche e solo lo 0,2% è libero. La concentrazione di itraconazolo nel sangue intero è il 60% della concentrazione plasmatica. Non vi sono dati sul passaggio di itraconazolo nel latte umano. I livelli tissutali in tessuti contenenti cheratina, specialmente cute ed unghie, sono fino a 4 volte più elevati di quelli nel plasma. L’eliminazione dell’itraconazolo è in relazione alla rigenerazione dell’epidermide, per le unghie l’eliminazione è determinata dalla velocità di crescita. Pertanto livelli terapeutici continuano ad esistere nella cute per 2-4 settimane dopo un trattamento di poche settimane; per le unghie questo periodo è di 6-9 mesi. Itraconazolo viene escreto nella pelle attraverso le ghiandole sebacee ed in minor misura attraverso quelle sudoripare. Esso inoltre raggiunge la pelle attraverso i cheratinociti dello strato basale. Inoltre l’itraconazolo mostra buona penetrazione in altri tessuti che vengono attaccati da infezioni fungine. Concentrazioni di 2-3 volte quelle del plasma, sono state misurate in polmoni, reni, fegato, ossa, stomaco, milza e muscoli. Nel tessuto vaginale la concentrazione terapeutica permane per 2-3 giorni dopo 2 somministrazioni di 2 capsule in un giorno. Dopo un trattamento di 3 giorni con 2 capsule una volta al giorno, una concentrazione terapeutica continua ad essere presente nel tessuto vaginale per 2 giorni. Metabolismo. Itraconazolo è ampiamente metabolizzato nel fegato principalmente dall’isoenzima CYP3A4. Uno dei metaboliti è l’idrossi-itraconazolo che in vitro mostra un’azione antifungina paragonabile a quella di itraconazolo. I livelli determinati usando dosaggi biologici sono circa 3 volte più alti dei livelli di itraconazolo determinati con HPLC. Escrezione. L’emivita terminale dell’itraconazolo è di 17 ore dopo somministrazione singola ed aumenta a 34-42 ore dopo somministrazioni ripetute. La farmacocinetica dell’itraconazolo non è lineare, di conseguenza la sostanza attiva si accumula nel plasma dopo somministrazioni multiple. Le concentrazioni allo stato stazionario si raggiungono in 15 giorni con una Cmax che raggiunge 0,5 µg/ml dopo 100 mg di itraconazolo una volta al giorno, 1,1 µg/ml dopo 200 mg una volta al giorno e 2,0 µg/ml dopo 200 mg due volte al giorno. Alla sospensione del trattamento le concentrazioni plasmatiche dell’itraconazolo scendono quasi sotto il limite di determinazione entro 7 giorni. A causa del meccanismo di saturazione durante la metabolizzazione epatica, la clearance dell’itraconazolo decresce ai dosaggi più elevati. Il 3-18% della dose assunta viene escreta con le feci come itraconazolo immodificato. Il contenuto di itraconazolo immodificato nelle urine è minore dello 0,03%. Nel fegato l’itraconazolo viene metabolizzato in un ampio numero di metaboliti che sono escreti con le feci e le urine. Circa il 40% di questo è escreto con le urine. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Studi di tossicità subacuta e cronica hanno mostrato effetti indesiderati su adrenali, fegato e ovaie di ratti femmina. Il metabolismo dei grassi è risultato alterato nei ratti. Studi non clinici non hanno indicato una capacità di indurre mutazioni genetiche. Effetti tossici clinicamente rilevanti sono comparsi a livelli plasmatici. La rilevanza clinica degli effetti osservati negli animali non è nota. In studi preclinici in ratti maschi, vi è stata una più elevata incidenza di sarcoma dei tessuti molli dopo 2 anni di trattamento. Il rischio potenziale per l’uomo è sconosciuto. Non vi è evidenza di influenza primaria sulla fertilità durante il trattamento con itraconazolo. Itraconazolo è risultato causare un aumento dose-dipendente della tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità in ratti e topi a dosi elevate. Nei ratti la teratogenicità consiste in difetti scheletrici maggiori e nel topo in encefalocele e macroglossia. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Contenuto della capsula: Sfere di zucchero (saccarosio/amido di mais), ipromellosa (E464), sorbitano stearato (E491), silice colloidale idrata (E551). Capsula: cappuccio/corpo: gelatina. Agenti coloranti: titanio biossido (E171), ossido di ferro rosso (E172). 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 3 anni. 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura superiore ai 30 °C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di PVC/PVDC/alluminio. Blister contenenti: 4, 6, 7, 8, 14, 15, 16, 18, 28, 30, 50, 60, 84, 100, 140, 150, 280, 300, 500 capsule in strip. Non tutte le confezioni saranno commercializzate. 6.6 Istruzioni per l’impiego e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG S.p.A. Via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano. 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 4 capsule AIC n. 037093.010/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 6 capsule AIC n. 037093.022/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 7 capsule AIC n. 037093.034/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 8 capsule AIC n. 037093.046/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 14 capsule AIC n. 037093.059/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 15 capsule AIC n. 037093.061/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 16 capsule AIC n. 037093.073/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 18 capsule AIC n. 037093.085/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 28 capsule AIC n. 037093.097/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 30 capsule AIC n. 037093.109/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 50 capsule AIC n. 037093.111/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 60 capsule AIC n. 037093.123/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 84 capsule AIC n. 037093.135/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 100 capsule AIC n. 037093.147/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 140 capsule AIC n. 037093.150/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 150 capsule AIC n. 037093.162/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 280 capsule AIC n. 037093.174/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 300 capsule AIC n. 037093.186/M Tranizolo 100 mg Capsule rigide, 500 capsule AIC n. 037093.198/M 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVODELL’AUTORIZZAZIONE. 20 Ottobre 2006 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Ottobre 2006 pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa, vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare. • Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella. Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative (illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene. Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2% del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 5070% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina. Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo. Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato. I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate. La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio, è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02% della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen- te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il 98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo. L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg. Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico, con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa 1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del 30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti. Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco, Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21 compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano. 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. 2 ottobre 2007 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007