NESSUNA SCUOLA È UN` ISOLA: COME
Transcript
NESSUNA SCUOLA È UN` ISOLA: COME
NESSUNA SCUOLA È UN’ ISOLA: COME SVILUPPARE L’EQUITÀ TRA SCUOLE 1. Premessa Quando si affronta il tema dell’equità nell’istruzione, ci si riferisce solitamente al sistema scolastico nel suo complesso, e ai risultati ottenuti con il ricorso, spesso ossessivo, ai punteggi dei test di indagini sia nazionali che internazionali (Gasperoni 1997). Finora il principale crite-rio di misura dell’equità è stato infatti lo scarto nei pun-teggi delle prove standardizzate tra studenti delle classi agiate e di quelle meno abbienti. Ma non può essere solo questo il criterio di valutazione dell’equità nella scuola. Altri parametri concorrono a determinare l’ingiustizia scolastica, quell’ingiustizia che nega a una parte dei gio-vani l’apprendimento dei «fondamentali» dopo otto o nove anni di scuola, l’accesso agli indirizzi di studio più presti-giosi o l’apprendimento di professioni che gradirebbe svolgere (Bottani e Benadusi 2006). Questa ingiustizia è tanto più insopportabile in quanto a farne le spese sono sempre, inequivocabilmente, gli studenti delle stesse classi sociali. È bene qui precisare, per non generare fraintendimenti, che non si intende affermare che gli studenti devono seguire tutti gli stessi percorsi, ottenere gli stessi risultati, essere trattati allo stesso modo: equità non significa uguaglianza. Peraltro, a seconda della teoria della giustizia che si propugna, il concetto di equità varia, come è stato approfondito in numerosi saggi che qui non menzioneremo . In questa sede vorremmo piuttosto prestare atten1 Si vedano per esempio le referenze bibliografiche alla fine dei vari capitali nel libro di Bottani e Benadusi (2006). 1 109 zione ai fattori che possono contribuire a ridurre l’ingiustizia e a migliorare il clima nelle scuole, tenuto anche conto che l’autonomia dei singoli istituti scolastici non ha finora prodotto alcun beneficio al riguardo, ma ha invece introdotto ulteriori elementi di rischio per l’equità (Bottani 2002). Occorre prestare grande attenzione a quanto succede nelle scuole, anche perché esiste una correlazione tra il modo con il quale gli studenti sono trattati dai professori, dal preside, dai compagni e dal personale della scuola e i sentimenti di giustizia o ingiustizia che provano e che contribuiranno a modellare le loro future convinzioni a proposito della giustizia in genere e dell’equità della società in particolare. Le prime esperienze d’ingiustizia a scuola concorrono a modellare la consapevolezza della giustizia o dell’ingiustizia sociale e a sviluppare la fiducia o la sfiducia nelle istituzioni. In questa riflessione, ci occuperemo dunque del livello micropolitico rappresentato dalle strategie di gestione delle scuole e dalle pratiche pedagogiche che concorrono a rendere l’esperienza scolastica più equa, o quantomeno non troppo ingiusta. 2. Il principio di sussidiarietà tra scuole In questi ultimi decenni, molte riforme scolastiche ispirate dalle teorie neoliberistiche hanno rincorso il mito che il miglioramento dell’istruzione si realizzerebbe puntando sulla concorrenza e la competizione tra scuole. Questa strategia non ha funzionato (Bottani 2002). Le scuole, in gara tra loro, hanno profuso energia per reclutare gli studenti migliori e sbarazzarsi dei peggiori. A farne le spese sono gli allievi più bisognosi che vengono sempre più marginalizzati, mentre i migliori non diventano necessariamente più forti. Questa è una stra-tegia perdente perché si fonda su un macroscopico er2 2 Su questo punto, ed in particolare sui «guadagni» in termini di 110 rore di giudizio. Una singola scuola eccellente a scapito di altre in difficoltà non basta per migliorare la qualità media di un sistema scolastico, né tanto meno per soddisfare una domanda alta d’istruzione da parte delle famiglie. In un regime di competizione, una scuola eccellente funziona come una sorta di buco nero che tende a fagocitare i migliori studenti e spesso anche un insieme di scuole satellite al suo servizio. Non favorisce, ma al contrario ostacola, la coesione sociale. Non serve per migliorare la qualità media di un sistema scolastico, ma al contrario contribuisce a renderlo più ingiusto e discriminante. Se a queste considerazioni di natura sociologica se ne aggiungono altre di ordine economico, la questione diventa ancor più evidente. Il prodotto interno lordo di un paese cresce di più se si migliora anche di poco il livello d’istruzione degli allievi deboli mentre non si ottiene analogo beneficio se si innalza nella stessa proporzione quello della minoranza di allievi forti (Coulombe, Tremblay e Marchand 2004). La strategia di riforma che punta tutto sulla competizione tra scuole è dunque il prodotto di una visione parziale del bene pubblico e si fonda su un falso presupposto della gestione e del governo del servizio statale d’istruzione. Singoli istituti isolati non bastano a rendere giusto un sistema, perché non riescono ad eccellere senza penalizzarne altri. La sola conclusione da trarre è quella di rinunciare alle riforme impostate sulla concorrenza tra istituti sco-lastici, per abbracciare strategie che si fondano sulla sussidiarietà tra scuole. Questo è quanto è stato avviato dal governo laburista di Tony Blair in Inghilterra (Hopkins 2006). apprendimento che ne ricaverebbe gli studenti più forti, ossia l’élite studentesca, ci sono dati eloquenti nelle statistiche prodotte dall’indagine Pisa, per esempio in ocde (2004). Sugli effetti della competizione tra scuole si veda anche (Maroy 2007) . 111 3. Le scuole non sono uguali Sull’assunto che le scuole non siano uguali, il buon senso e l’esperienza delle famiglie coincidono con le conoscenze prodotte dalla ricerca scientifica . Secondo quest’ultima, si può misurare il divario tra scuole comparando i risultati ottenuti nelle prove standardizzate e correlando i punteggi dei test con una serie di altre variabili. Queste analisi ci dicono che in certi sistemi scolastici la varianza dei punteggi conseguiti complessivamente dagli allievi di una scuola rispetto a quelli di un’altra può essere più o meno pronunciata. In certi sistemi scolastici è ridotta. Questo avviene laddove, come nei paesi scandinavi, la politica scolastica mira ad avere scuole simili per qualità su tutto il territorio nazionale. In questo caso si può parlare di servizio scolastico equo, che non penalizza le scuole rispetto al luogo in cui si trovano. Per altro, questo obiettivo non significa uno scadimento dei livelli di apprendimento come si potrebbe temere o alcuni continuano a teorizzare. I dati di cui disponiamo permettono infatti di affermare che si possono concepire politiche scolastiche efficaci sia in termini di qualità che di equità. La diversità tra scuole dipende da molteplici fattori: – la composizione degli studenti che frequenta la scuola; – il quartiere nel quale la scuola si situa, che può essere più o meno degradato, più o meno popolare o benestante, e che determina in grandissima misura la composizione sociale della popolazione scolastica di un istituto; – lo stile di direzione più o meno carismatico del dirigente scolastico; – le relazioni personali esistenti tra i docenti (visioni armoniche o discordanti su questioni professionali fonda3 Nel rapporto annuo 2007 dell’inglese OFSTED (Office for Standards in Education, http://www.ofsted.gov.uk/) si rileva che il 14% delle scuole medie sono ritenute eccellenti; 46% buone; 34% soddisfacenti, 6% inadeguate, e 522 sono casi gravi che richiedono provvedimenti speciali. 3 112 mentali: gestione della classe, disciplina degli studenti, ordine nella scuola, metodologie di valutazione ecc.); – l’atteggiamento dei docenti nei confronti degli allievi: disponibilità ad ascoltarli, capacità di trattare i loro problemi o il loro malessere, sia all’interno che all’esterno delle classe; – il profilo degli insegnanti, ossia la loro preparazione professionale, l’esperienza pedagogica, l’età, l’equilibrio o meno tra i generi, la loro motivazione, l’immagine che hanno del loro mestiere dal punto di vista sia personale che collettivo, ecc.; – la competenza e la disponibilità del personale amministrativo, le relazioni esistenti tra questo personale, i docenti, il dirigente scolastico e il dirigente amministrativo, il loro comportamento nei confronti degli studenti; – l’edificio scolastico: collocazione, struttura, buona manutenzione, pulizia, disponibilità di attrezzature. All’interno di quest’insieme di variabili, quella che in termini assoluti incide di più è la diversità individuale dei soggetti, come si dice ora. In media, se consideriamo i risultati delle ultime indagini internazionali sul profitto scolastico, le differenze nei punteggi conseguiti nei test strutturati di conoscenza e di competenze che dipendono dalle caratteristiche delle scuole rappresentano solo circa il 30% della varianza media dei punteggi. Detto in altri termini, il 70% circa della varianza nei punteggi è attribuibile alle differenze individuali, soggettive, ossia ai «talenti» degli allievi. Ce ne sono di quelli che ne hanno di più ed altri che ne hanno di meno. Contro questa differenza non si può fare nulla . Di fronte a questi dati si tratterebbe di intervenire in primo luogo su quegli elementi esterni alla scuola che 4 Il che non è del tutto vero. Si può e si deve innanzitutto fare in modo che ognuno possa fare sfruttare al meglio i propri talenti, come dice la parabola evangelica. Poi, occorre aiutare chi ha talento ma non fruisce di fattori favorevoli al loro sviluppo e rischia pertanto di sprecarli. Questi due provvedimenti di per sé determinano politiche scolastiche particolari che non sono ovunque accettate. 4 113 hanno un peso preponderante, quali rendere più salubre e civile il territorio circostante la scuola, migliorare i servizi sociali, il sostegno alle famiglie ecc... Poiché questi elementi esulano da una politica scolastica in senso stretto, non saranno trattati qui, dove ci occuperemo invece di quelle caratteristiche scolastiche su cui è possibile intervenire per migliorare gli apprendimenti, le motivazioni, il clima complessivo della scuola. Ci sono molte rigidità nei sistemi scolastici. Se non fosse così, non si potrebbe parlare di sistemi, che sono vere e proprie costruzioni sostenute da poderosi muri portanti. Ma non tutti i muri sono portanti. Molti si possono abbattere per creare spazi di vita migliori, più luminosi. Talora basta poco per migliorare una scuola: pulire i bagni, tenere in ordine il cortile di ricreazione, gesti che denotano cura per la scuola in cui si vive. Eppure queste azioni semplicissime in molte scuole sembrano impossibili. Mi è spesso capitato, specialmente nel centro-sud d’Italia o nelle isole di visitare scuole sporche, con bagni impresentabili, puzzolenti, con sanitari spesso rotti. Nessun insegnante pareva muovere un dito per modificare la situazione. La subivano rassegnati, con una sofferenza muta, passiva . Accogliere una popolazione eterogenea di allievi e diminuire le differenze nei risultati è una delle maggiori sfide per tutti i sistemi scolastici. Le politiche e le strategie adottate per conseguire un tale obiettivo variano da un sistema all’altro. In certi casi, si ritarda la differenziazione degli indirizzi scolastici. A tutti gli allievi viene offerto lo stesso percorso di apprendimento, indipendentemente dalle capacità, dagli interessi, dai ceti di provenienza o dai paesi d’origine. Questa politica scommette sulla validità, dal punto di vista degli apprendimenti, della coesistenza in seno a una stessa classe e a uno stesso istituto di studenti eterogenei, anche molto diversi tra loro. 5 Si veda per esempio l’indagine svolta sugli insegnanti in Campania (Ammaturo 2003). 5 114 In altri casi invece si preferisce trattare l’eterogeneità degli allievi selezionandoli precocemente in funzione dei loro livelli di competenza o di capacità. In questo modo, si creano classi o scuole più omogenee, che dovrebbero far sì che i migliori non siano rallentati dai più deboli e i più deboli non soffrano della presenza dei più forti. Queste due diverse impostazioni richiedono evidentemente l’adozione di pedagogie e di pratiche didattiche diverse. In genere, il numero di sistemi scolastici che adottano forme pure di selezione precoce degli studenti è assai ridotto. La maggior parte adotta forme miste. In tutti i casi permangono situazioni di ingiustizia. 4. Le reti di scuole: strategie d’intervento per ridurre le diversità tra scuole Sia la strategia che mira a creare scuole omogenee, differenziandole precocemente per indirizzi, sia quella che mantiene scuole eterogenee al loro interno, differendo la selezione, hanno il difetto di concentrarsi sulle specificità delle singole scuole. I mezzi, le risorse, gli strumenti d’intervento sono disposti a misura di quella tipologia di scuola, per renderla più efficiente e quindi anche più soddisfacente ed attraente per le famiglie, ignorando, volenti o nolenti, gli effetti sulla costellazione di scuole nella quale essa si colloca, effetti che non sono invece affatto neutrali. Ciò che qui si sostiene è che il problema non deve più essere posto in termini di intervento su di una singola scuola, ma di assunzione dell’insieme delle questioni e degli squilibri esistenti nell’ambito di tutte le scuole di un dato territorio, per le quali si potrebbe opportunamente usare il concetto di rete di scuole. Un termine che se impiegato in modo appropriato può ben sottolineare quella dimensione della sussidiarietà che è, come abbiamo cercato di dimostrare, necessaria e indispensabile in una politica scolastica che persegua l’equità in educazione. Per salvare un sistema scolastico in un’economia moderna, che ha bisogno di molto capitale umano e che non 115 può permettersi di sprecare nessuna risorsa , non serve puntare su poche scuole prestigiose che attirano gli studenti più bravi e dove affluiscono soprattutto e prima di tutto i figli dei notabili e delle famiglie benestanti, mentre gli studenti potenzialmente bravi delle famiglie povere o di recente immigrazione non ne conoscono a volte nemmeno l’esistenza. Se si vuole realmente conseguire un miglioramento complessivo della qualità dell’istruzione, non parziale o limitato a poche scuole o a una categoria di studenti, si deve adottare come quadro di riferimento teorico la solidarietà tra scuole, e non, vale la pena di ripeterlo, la competizione e la concorrenza. Una strategia della solidarietà implica come primo passo il riconoscimento preciso delle diversità esistenti tra le scuole per potere elaborare modalità di intervento su misura, adeguate alle caratteristiche e al fabbisogno di ogni singolo istituto inserito nella rete. La strategia della solidarietà si realizza con interventi mirati, non con provvedimenti univoci che dovrebbero valere indistintamente per tutte le scuole appartenenti alla rete. 6 7 5. Tassonomia della diversità delle scuole Con una grossolana semplificazione, inevitabile purtroppo per non perdersi nei dettagli di una tassonomia che potrebbe facilmente essere complessa, considerando la molteplicità dei parametri da prendere in considerazione, si può proporre una tipologia sommaria della qualità delle scuole del tipo seguente : 8 Le risorse non vanno sprecate in nessun modo e non solo per ragioni economiche. Questo è un assioma pedagogico fondamentale, ma spesso dimenticato. Una simile premessa significa di per sé la liquidazione di un modello di gestione burocratico impostato sulle circolari ed i decreti legge, modello tuttora imperante in Italia. In questa tipologia si mescolano parametri di natura diversa come 6 7 8 116 – scuole eccellenti: sono istituti prestigiosi, riconosciuti per la qualità del loro insegnamento, diretti da un preside di chiara fama, nei quali insegnano docenti competenti o attivi nella vita culturale; – scuole «normali»: sono istituti senza gloria e senza infamia, che funzionano discretamente, che non sono oggetto di critiche particolari, nelle quali il corpo insegnante e il preside svolgono coscienziosamente la propria professione; – scuole deboli: sono istituti che si barcamenano fra molte difficoltà, assenteismo elevato degli studenti e degli insegnanti, presenza di conflitti tra gruppi di insegnanti, tra gruppi di allievi, tra la scuola e gruppi di genitori, ecc...; – scuole in gravi difficoltà: sono istituti che presentano risultati al di sotto della media, con prestazioni inferiori a quanto ci si potrebbe aspettare sulla base delle caratteristiche della popolazione studentesca, con gravi problemi disciplinari interni, con un corpo insegnante diviso, a volte con strutture fatiscenti. Sono le scuole difficili, spesso collocate in zone a rischio, evitate dalle famiglie di qualsiasi ceto sociale, quando possono farlo . Sulla base di una tipologia come questa, si possono costituire reti di scuole nelle quali si ritrovano istituti di diversa qualità. La strategia della solidarietà presuppone che si attribuisca un compito specifico per ogni tipo di scuola, affidando a ciascuna una precisa responsabilità nei confronti delle altre scuole della rete gli obiettivi da per9 il clima esistente all’interno di una scuola, la nomea della scuola, il grado di soddisfazione degli allievi, le qualifiche dei docenti, la qualità dell’edificio e via dicendo. Si veda qui l’illuminante ricerca sulla segregazione etnica svolta da Felouzis a Bordeaux nel 2000 (Felouzis, Liot e Perroton 2005), presentata nel sito http://norberto.bottani.free.fr/spip/ecrire/ ?exec=articles&id_article=156; oppure la ricerca svolta in Inghilterra dalla Children’s Society. Su un campione di 1200 adulti circa, la metà dichiara che è pronta a traslocare pur di evitare una pessima scuola (http://norberto.bottani.free.fr/spip/spip.php?article166&var_recherch e=scuole%20difficili). 9 117 seguire sia per ogni componente della rete per l’insieme della rete di scuole. 6. Strategie di aiuto reciproco tra scuole in rete Possiamo qui delineare per sommi capi i tipi di intervento ipotizzabili per le varie categorie di scuole sopra individuate. – scuole eccellenti: questi istituti possono assumere il ruolo di tutor delle scuole deboli o di quelle in gravi difficoltà. La sfida per queste scuole, che sono il faro della vita scolastica di un distretto o di un quartiere, consiste nel mettere a disposizione di quelle meno favorite le proprie competenze e le proprie risorse. Un’operazione di questo tipo presuppone precisi accordi tra scuole, per impostare incontri fra docenti, allievi e personale ausiliario, coordinare strategie, sviluppare iniziative in cooperazione, ed eventualmente mettere in comune i servizi amministrativi. Una cooperazione di questo tipo non può essere improvvisata e deve essere accuratamente pianificata attraverso negoziati e intese preliminari, nonché provvedimenti appositi che permettano facilitazioni di orario e che predispongano i mezzi di sostegno necessari; – scuole «normali»: anche queste scuole devono entrare nella rete di solidarietà delle scuole di un quartiere o distretto scolastico. Il loro compito sarebbe quello di funzionare come una riserva di risorse (materiali, umane, amministrative, ecc.) alle quali la scuola-faro può attingere per programmare e sviluppare l’azione di sostegno a favore delle scuole deboli. Anche in questo caso non si può improvvisare. Per riuscire ad utilizzare al meglio le competenze di queste scuole occorre, in primo luogo, inserirle a pieno titolo nella rete con una funzione ufficiale; in seguito è indispensabile procedere ad un inventario delle risorse potenzialmente disponibili. Va da sé, che un reperimento di queste energie e di questi mezzi non può essere svolto che in stretta collaborazione tra scuole; 118 – scuole deboli: sono istituti che associano alle difficoltà uno scarso prestigio presso le famiglie, per cui è prioritario attivare strategie per evitare che si innestino reazioni a catena, ossia una sequenza di avvenimenti che finirebbe per condurre la scuola sull’orlo dell’abisso trasformandola in una scuola ghetto. L’aiuto che deve es-sere fornito presuppone in primo luogo un’identificazione precisa dei problemi che la scuola non riesce a padroneggiare, mediante una valutazione che deve essere sia esterna che interna. L’autovalutazione dell’istituto da sola non basta. Per potere cogliere in modo preciso le difficoltà dell’istituto (un esercizio che non è mai piacevole) è indispensabile incrociare i risultati dell’autovalutazione con quelli di un giudizio esterno. Un intervento di sostegno da parte delle scuole circostanti, di colleghi che conoscono il territorio perché lì lavorano o vi abitano, sembra rappresentare una strategia molto più accettabile ed efficace, di quella prodotta da esperti estranei all’ambiente scolastico locale; – scuole in grave difficoltà: gli interventi di solidarietà da parte delle scuole della rete verso un istituto in grave difficoltà, con risultati scolastici al di sotto della media, devono essere preparati molto accuratamente. Per migliorare il profitto degli alunni nelle discipline fondamentali, come la lingua, la matematica e le scienze, le scuole della rete devono accordarsi per fornire in loco un sostegno sistematico ai docenti di questa scuola. Questo esercizio può essere declinato in molteplici modi, ma sarà destinato al fallimento se gli insegnanti della scuola in crisi non accettano di dialogare e di cooperare con i colleghi delle altre scuole, di mettersi in discussione, di incontrarsi regolarmente per esaminare assieme come preparare e condurre le lezioni (Catherine Lewis 2006). È proprio su questo punto che l’esperienza degli insegnanti della scuola-faro può essere molto proficua. Per altro, in que-ste scuole il problema non è posto solo dagli insegnanti, ma risiede anche nella popolazione scolastica. Sovente, la popolazione della scuola è composta di studenti in difficoltà, privi di motivazioni, turbati da vicende estranee 119 alla scuola, coinvolti in situazioni umane e sociali complicate, con interessi del tutto diversi da quelli proposti nei programmi d’insegnamento . Questi studenti necessitano di programmi speciali, di interventi su misura che vanno concepiti e discussi con gli insegnanti più motivati della scuola e con i colleghi delle altre scuole della rete che si sono messi a disposizione per aiutare quell’istituto a riscattarsi. David Hopkins (2006), propone una tassonomia più complessa che comprende sei categorie di scuole. La riportiamo qui di seguito con le sue succinte indicazioni delle strategie di intervento graduate in funzione dei livelli di difficoltà o di eccellenza delle scuole della rete di solidarietà (vedi tabella). 10 7. Il caso delle scuole difficili, fallite o quasi 11 Vale la pena ribadire che una scuola da sola non riesce mai a risollevarsi e che non bastano programmi di sostegno artificiali, costruiti in funzione di una singola scuola, per migliorare la carriera degli studenti e degli insegnanti e men che meno per migliorare il livello medio della qualità del sistema. Non si può nemmeno scommettere, in verità, sul sicuro successo della strategia della solidarietà tra scuole, ma questa ipotesi appare più attendibile, anche se di difficile realizzazione, perché è quella eticamente più corretta in un sistema statale d’istruzione . 12 Si veda per esempio l’articolo Insegnare in scuole difficili, ossia in zone a rischio in http://norberto.bottani.free.fr/spip/ecrire/?exec=articles_ edit&id_article=123, oppure i dure contributi di Marco Rossi Doria sui maestri di strada nel sito dell’Associazione Docenti Italiani (http://ospitiweb.indire.it/adi/rossid/rossidoria_fr.htm). http://norberto.bottani.free.fr/spip/spip.php?article123&var_ recherche=zep. Le considerazioni formulate in quest’articolo sono state elaborate con riferimento alle scuole statali e al servizio statale d’istruzione, che è solo una componente del sistema scolastico complessivo. Il settore 10 11 12 120 Tipologia di scuole Strategie adattate al contesto e ai vari fabbisogni Scuole-faro Diventare scuole pilota, obbligate a federarsi con le scuole deboli o in grave dififcoltà Scuole autosufficienti Collaborazione regolare sul piano locale con le scuole-faro Gestione dei problemi curricolari; animazione delle attività di sviluppo dei curricoli con le altre scuole Scuole complessivamente sufficienti ma con squilibri interni Interventi regolari di valutazione degli apprendimenti Sostegno di specialisti nei settori carenti Scuole deboli Sostegno interno su misura per le sezioni in difficoltà Programma apposito di sostegno agli studenti che non ce la fanno Scuole insufficienti Sostegno formale proveniente dalle scuole-faro della rete . Consulenza sistematica nel settore delle discipline fondamentali e sulle buone pratiche a Scuole in gravi difficoltà o fallite a Programmi sistematici di intervento e di sostegno da parte delle buone scuo-le della rete. Affiliazione diretta ad una scuola-faro (per esempio in Inghilterra un’«accademia») Hopkins usa il termine di federazione di scuole. Non possiamo dimenticare che la maggior parte delle scuole con gravi problemi pedagogici e sociali sono situate in «ambienti difficili», in zone periferiche delle grandi metropoli dove regna la speculazione edilizia più sfacciata, la violenza gratuita, il degrado urbano, la prostituzione, il traffico di droga, dove sono assenti i servizi statali (sociali, sanitari) e anche quelli privati, come per esempio i supermercati, le farmacie, i luoghi di intrattenimento (cinema, teatri) o le strutture sportive. Un esempio di questo stato di cose lo si incontra nelle baraccopoli, privato per principio è libero di organizzarsi come vuole in funzione delle proprie opzioni educative o della concorrenza esistente con il settore statale. 121 negli slums o nelle favelas. In questi insediamenti umani vivono, in condizioni socio-economiche assolutamente precarie, le popolazioni più diverse, immigrati clandestini, rifugiati politici, famiglie monoparentali, che sopravvivono in condizioni disperate, senza spiragli di miglioramento. Qui si trovano gli «allievi difficili», spaesati a scuola perché vivono in ambienti e in situazioni distanti mille miglia da quelli concepiti dal sistema scolastico. Come insegnare a questi allievi? Cosa insegnare? Questa è la sfida quotidiana che molte scuole in grave difficoltà devono affrontare. In questi casi, è immane l’intervento pedagogico da realizzare per conseguire risultati scolastici pari almeno al punteggio medio conseguito da tutte le scuole del sistema scolastico e per salvare dallo sbando totale una proporzione importante di studenti. Certi ritardi sembrano irrecuperabili a meno che non si azzerino le scuole e i quartieri malfamati, con interventi drastici d’abbattimento degli edifici e delle zone di totale degrado. Una scuola immersa in questi contesti non può fare granché, nemmeno quando ha un preside carismatico o docenti motivati e pronti a dedicare tutto il loro tempo per l’istruzione e per il recupero di qualche caso sociale. Quando, per dosare gli interventi, si comincia dall’ambiente scolastico, attrezzandolo al meglio, rendendolo accogliente, isolandolo dal rumore, proteggendolo dalle intemperie, ci si accorge ben presto che questo non basta. Incombe sempre il rischio della scomparsa delle attrezzature, degli impianti e degli stessi infissi entro poche settimane . L’edificio scolastico dovrebbe essere difeso da tutta la comunità, giorno e notte, contro le bande che lo depredano, come è comprovato da molte esperienze in Brasile o nel Guatemala. Il caso più drammatico è proprio costituito dalle scuole totalmente dissestate che non riescono né a cam13 Per esempio, ad Amara, città sul Tigri al nord di Basra in Irak le truppe britanniche hanno dovuto sostituire le intelaiature, le porte, le finestre, i banchi di 240 scuole delle 400 che erano state saccheggiate nella provincia (Steward 2007). 13 122 biare né a migliorare nonostante il sostegno. Il modello d’istruzione che funziona ancora bene nelle scuole dei quartieri benestanti o nei paesi ricchi non funziona più in questi casi. Non occorre per altro spostarsi in altri continenti per constatare l’impotenza del modello tradizionale quando lo si colloca in un ambiente che lo rigetta. È sufficiente andare in un quartiere diseredato distante pochi chilometri dal centro di una qualsiasi metropoli del Nord. Occorre, comunque, riconoscere che le indagini scientifiche su questo argomento sono lacunose e che ci sono poche innovazioni pedagogiche documentate su operazioni di salvataggio di scuole in difficoltà intraprese con il coinvolgimento di una rete di scuole solidali tra loro. Se volessimo evitare il rischio, in questo caso purtroppo inevitabile, di un discorso puramente teorico, privo di fondamenti perché non basato su prove inconfutabili, dovremmo citare le esperienze più riuscite, prove alla mano. Purtroppo, dobbiamo qui arrenderci all’evidenza ed ammettere umilmente che di prove ce ne sono ben poche e che l’analisi fin qui fatta presenta gravi limiti perché non sostenuta da prove adeguate. 8. Le strategie per lottare contro i casi disperati Tre sono le soluzioni che a prima vista si impongono nei casi «disperati» sopra descritti: – il trasferimento forzato di una parte degli studenti per distribuirli tra le scuole della rete. Questa soluzione è stata sperimentata con un certo successo negli Stati Uniti nell’ambito dei programmi di lotta contro la segregazione scolastica, ma non sempre riesce. Uno degli aspetti ai quali occorre prestare attenzione, sulla base di queste indagini, è quello della composizione delle classi. Deve essere calibrata in modo oculato la proporzione tra studenti forti e studenti deboli, oppure tra studenti con retroterra culturali molto eterogenei tra loro. – la fusione pura e semplice della scuola degradata con altre scuole della rete oppure con una scuola delle 123 vicinanze. Questa seconda soluzione implica una ricostituzione della rete. – la chiusura della scuola. Questa è la soluzione estrema alla quale si può ricorrere dopo avere tentato tutto il possibile senza ottenere progressi significativi. Quando, d’intesa con tutte le scuole della rete (questo significa che ci deve essere una deliberazione collegiale degli organi di governo di tutte le scuole), si registra che non c’è più nulla da fare per salvare la scuola, non rimane che chiuderla. Una decisione di questa natura deve però essere preceduta da una serie di segnali sulla gravità della situazione volti ad attirare l’attenzione degli operatori scolastici e ad allertare le famiglie sulle conseguenze di una decisione siffatta. Vale la pena a questo punto di citare un’esperienza condotta a Los Angeles nell’ambito del progetto LAAMP (Los Angeles Annenberg Metropolitan Project) avviato nel 1995 (Wohlstetter e Smith 2000). Il progetto riguardava il solo settore scolastico statale e consisteva nel creare famiglie di scuole (terminologia analoga a quella di rete solidale di scuole). Una famiglia di scuole doveva comprendere una scuola secondaria di secondo grado e una o più scuole elementari e medie dello stesso bacino di utenza degli studenti. Le scuole si potevano raggruppare su base volontaria per creare la loro famiglia e chiedere a questo punto un aiuto finanziario alla fondazione Annenberg . 14 15 16 http://www.annenberginstitute.org/Challenge/sites/laamp.html. «Le famiglie di scuole» di Los Angeles miravano a promuovere la collaborazione tra classi, tra scuole e discipline. Una famiglia di scuola comprendeva in media da cinque a sette scuole. Nella rete LAAMP, la dimensione media di una famiglia di scuola era però di circa nove scuole. Il progetto è ora terminato dopo un investimento di 53 milioni di dollari nella contea di Los Angeles e dopo essersi diffuso in tutti gli Stati Uniti. L’originalità del programma è però preservata da enti che hanno ripreso il quadro di riferimento iniziale e che tengono in vita il progetto LAAMP. 14 15 16 124 Un concetto analogo è stato ripreso nel 2000 in Inghilterra con la creazione da parte del governo laburista delle Academies . Le Academies non sono famiglie di scuole o reti di scuole solidali, ma sono la premessa per generarle . Le Academies sono infatti scuole faro che diventano tutor di una costellazione di scuole che le ruotano attorno. 17 18 9. Conclusione Le indicazioni provenienti da numerose innovazioni nonché da varie ricerche hanno dimostrato che talune scuole riescono a migliorare da sole, ma che la maggioranza non ha la capacità di impostare e realizzare i cambiamenti necessari. La rete di solidarietà tra scuole si presenta dunque come una possibile strategia di sostegno alle scuole in grave difficoltà, in grado di offrire indicazioni e aiuto materiale per consentire loro di passare il guado e conquistare quel riconoscimento sociale che hanno perduto o non hanno mai avuto. Solo in questo modo la scuola riesce a mobilitare in sua difesa le famiglie del quartiere o della comunità locale alla quale appartiene la sua popolazione scolastica. In assenza di questa mobilitazione la scuola muore, perde http://www.standards.dfes.gov.uk/academies/what_are_academies/ ?version=1. L’iniziativa delle «Accademie» è stata lanciata dal Dipartimento inglese per l’educazione e le competenze (DFES) nel marzo 2000 come un elemento del programma Transforming Secondary Education. Le Academies sono una componente determinante del programma ministeriale mirante ad elevare i livelli d’istruzione con un’offerta scolastica più ricca. Le Academies sono scuole indipendenti, gratuite e generalmente collocate in aree svantaggiate dal punto di vista socio-economico. Sponsor privati possono contribuire fino ad un massimo del 20% dell’investimento in capitale iniziale. Le prime tre Accademie del Regno Unito sono state inaugurate nel settembre 2002 ed una seconda fase di nove Accademie è stata avviata nel settembre 2003 (Pricewaterhouse Coopers 2003). 17 18 125 allievi, si degrada. E anche il quartiere muore. Una delle condizioni che favoriscono la rinascita di una scuola in condizioni di degrado, collocata in ambienti deprivati, è proprio quella di creare uno slancio sociale nel quartiere in suo favore. In altri termini, uno dei fattori essenziali per la qualità della scuola è il capitale sociale che si genera nella e attorno la scuola (Cartocci 2007; OECD 2001; Putnam 2004). Il capitale sociale si riproduce ed è incrementato se la scuola diventa dinamica, se perde l’alone di pessima fama che la circonda, se le altre scuole l’aiutano e se questo aiuto è visibile. A questo punto s’innesta un circolo virtuoso: le famiglie si rendono conto che la scuola ha anche bisogno di loro, che la buona o pessima qualità dell’istituto frequentato dai loro figli dipende dall’intesa che esiste tra le famiglie e tra famiglie e insegnanti per realizzare, sostenere, difendere, rivendicare, promuovere i progetti di rilancio dell’immagine della scuola e di risanamento del clima dell’istituto. Solo a questa condizione una scuola in difficoltà potrà riprendersi. Non è, dunque, unicamente questione di didattica, di scelta degli insegnanti, di salari, di soldi. I genitori devono, per esempio, mostrare alle bande di giovani che saccheggiano strade, giardini pubblici, cortili per la ricreazione, laboratori e biblioteche, che non possono agire in piena impunità, nell’indifferenza totale del quartiere. Sulla loro strada incontrano gli anziani, gli adulti, i padri e le madri, i fratelli maggiori. Ma queste persone sono disposte a scendere in campo per difendere il bene pubblico, perfino attraverso turni notturni per vegliare sulle scuole , solo se ne vale la pena, ossia solo se c’è una rete di scuole che si mobilita per aiutare quelle in difficoltà. A questo punto la fuga dal quartiere per evitare la scuola ghetto non è più una scelta inevitabile. 19 È quanto per esempio è successo nel dipartimento 93 alle porte di Parigi nel novembre 2005, in occasione della rivolta dei giovani nelle città satellite della capitale francese. 19 126 La strategia per produrre un sistema scolastico equo non è semplice e comporta iniziative che non sono solo di natura pedagogica. È del tutto illusorio ritenere che basta lasciare in mano la scuola ai pedagogisti, ai dirigenti scolastici, alla burocrazia di stato o all’amministrazione comunale per venire a capo dei problemi scolastici. Le modalità da sviluppare sono quelle di collegare ciò che sta dentro ai muri della scuola con ciò che sta fuori (Bentley 2006). Si tratta di una strategia creativa, che abbandona sentieri battuti, lungo i quali la scuola, per l’appunto, si è persa. Riferimenti bibliografici Ammaturo, N. (2003), Una sofferenza senza fallimento, Milano, Franco Angeli. Bentley, T. (2006), L’utilisation stratégique de la réflexion prospective: agir vers l’intérieur ou vers ’extérieur, in oecd, Re-penser l’enseignement. Des scénarios pour agir, Paris, oecd, pp. 217-221. Bottani, N. e Benadusi, L. (2006), Uguaglianza e equità nella scuola, Trento, Erickson. Bottani, N. (2002), Insegnanti al timone? Fatti e parole dell’autonomia scolastica, Bologna, Il Mulino. Cartocci, R. (2007), Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia, Bologna, Il Mulino. Coulombe, S., Tremblay, J.-F. e Marchand, S. (2004), Enquête internationale sur l’alphabétisation des adultes. Performance en littératie, capital humain et croissance dans quatorze pays de l’Ocde, pag. 91. Felouzis, G., Liot, F., e Perroton, J. (2005), L’apartheid scolaire. Enquête sur la ségrégation ethnique dans les collèges, Paris, Seuil. Gasperoni, G. (1997), Il rendimento scolastico, Bologna, Il Mulino. Hopkins, D. (2006), A Short Primer on System Leadership. Oecd activity on Improving School Leadership, in Internatio-nal Conference on International Perspectives on School Lea-dership for Systemic Improvement, London, 18. Lewis, C.R.P., Hurd, J. e O’Connell, M.P. (2006), Lesson Study 127 Comes of Age in North America, in «Phi Delta Kappan», vol. 88, pp. 273-281. Maroy, C. (2007). Pourquoi et comment réguler le marché scolaire? Les Cahiers de recherche en Education et Formation, No. 55, 14. OECD (2001), Du bien-être des nations. Le rôle du capital humain et social, Paris, oecd. OECD (2004), Apprendre aujourd’hui, réussir demain. Premiers résultats de Pisa 2003, Paris, oecd. Pricewaterhouse Coopers, L.L.P. (2003), Academies Evaluation. Annual Report, 31. Putnam, R.D. (2004), Education, Diversity, Social Cohesion and «Social Capital». Note for discussion. Meeting of Oecd Edu-cation Ministers, Dublin, 9. Steward, R. (2007), The Queen of the Quagmire, in «The New York Review of Books», pp. 10-14. Wohlstetter, P. e Smith, A.K. (2000), A Different Approach to Systemic Reform. Network Structures in Los Angeles, in «Phi Delta Kappan», vol. 81, pp. 508-510, 512-515. 128