Mag - Centro Socio Culturale
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ANNO XVIII - N° 5 – Maggio 2006 Oggi Famiglia Sped. Abb. Post. 45% Art. 2 Comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Cosenza ORGANO DEL CENTRO SOCIO CULTURALE “V. BACHELET” COSENZA - AL SERVIZIO DELLA FAMIGLIA IN CALABRIA Una “casa” sociale per la Famiglia Passare dal dire della campagna elettorale al fare del governo: si può e si deve senza ulteriori indugi di Vincenzo Filice I l tema famiglia è stato al centro dell’ultima campagna elettorale. Tutti gli esponenti politici si sono sbracciati nello sforzo di rassicurare e blandire le famiglie italiane “normali” (intendo quelle che sgobbano e pagano le tasse). La Sinistra al governo dovrà adeguare le politiche sociali alle promesse elettorali . Staremo a vedere. Intanto i costi umani e socioeconomici affrontati, quotidianamente, da chi decide di mettere su famiglia, diventano più pesanti. Una coppia genitoriale, solo per il mantenimento, spende il 20% in più rispetto ad una coppia senza figli. Lo studioso Federico Perani del dipartimento di scienze economiche di Verona ha rilevato che l’8,3% delle famiglie è socialmente vulnerabile. Si tratta, cioè, di famiglie di condizione economica insoddisfacente, che accusano un progressivo peggioramento della situazione di inadeguatezza economica, che fanno fatica a pagare le bollette e l’affitto di casa. Mentre il 6,5%, area dei disoccupati e dei pensionati, rivela uno stato di povertà e di deprivazione conclamate fino a compromettere la salute, le relazioni familiari e amicali, le condizioni igieniche e abitative. Insomma la condizione della famiglia, a fronte dell’inadeguatezza delle politiche sociali e della impenitente demagogia dei politici, appare segnata dal malessere e dal disagio. Pierpaolo Donati, coordinatore dei ben nove rapporti CIFS sulla condizione della famiglia italiana, non perde occasione per sottolineare i limiti del welfare liberista e laburista, giocato tutto sulle opportunità individuali. Troppo spesso nella società contemporanea prevale un paradigma individualista, che definisce il benessere in termini di autonomia, di indipendenza, di autosufficienza, di assenza di vincoli o di legami. Sappiamo, invece, che la libertà e il benessere degli individui vengono maggiormente garantiti attraverso il perseguimento di un benessere familiare che si costruisce per comunicazione, per legami solidali, per relazionalità. Il benessere, come emerge dal sesto rapporto CIFS, non può né deve essere ricondotto a singole dimensioni (per esempio lo star bene psicologico, oppure il benessere prodotto dagli interventi di politica sociale), ma si configura come una condizione determinata dall’interagire di fattori strutturali, economici, relazionali, psicologici, affettivi, sociali, in un intreccio che deve essere sì scomposto nei suoi singoli componenti, ma deve anche essere considerato nell’interagire concreto, in situazione, di tali componenti. ✔ CONTINUA A PAGINA 4 • All’interno • • La superbia • Alla ricerca di … di M. Filipponio – Pag. 6 di L. Perrotta – Pag. 7 • L’evento Chernobyl … • Habemus presidentem • Dello stress e dei… di V. Altomare – Pag. 10 di O. Parise – Pag. 16 di G. Chilelli – Pag. 19 Oggi Famiglia 2 FAMIGLIA Maggio 2006 Essere “madre” oggi… di Carmensita Furlano Anche se i tempi storici nei quali stiamo vivendo, ci fanno vedere una figura di “madre” diversa da quella che una volta si aveva, la madre è sempre quella persona che sacrifica se stessa per il bene del proprio bambino... Quando nasce un figlio, la prima volta che pronuncia il nome “mamma” è qualcosa di grandioso e di stupendo, è una gioia indescrivibile, è qualcosa che dal di dentro ti dice che sei stata in grado di mettere al mondo una creatura ad immagine del Creatore. Nei tempi che stiamo vivendo ultimamente l’essere madre sta acquistando colori e significati diversi. Ci sono mamme per vocazione e madri che vogliono diventarlo per forza, anche mettendo a repentaglio la vita di altri figli, pur di ottenerne uno per se stesse. Ma a questo punto l’essere “madre” cosa significa realmente? Che senso ha? La festa della mamma oggi sta assumendo un aspetto diverso rispetto agli altri anni precedenti, perché diversa è la situazione storica e sociale nella quale stiamo vivendo. Bisogna rivedere il ruolo di madre come bisogna rivedere il significato del dono di figlio. La vita umana è un dono da amare e rispettare, da tutelare e coltivare, ma non da pretendere e costruire artificialmente. Un bambino non è un bel giocattolo da far costruire come si desidera e da avere a tutti i costi. La vita umana, racchiusa già in quella monocellula che si è appena formata con la fecondazione umana, va amata sempre, fin da quel primo istante… altrimenti, se non si ama la vita appena formata, come possiamo aspettarci che si riesca ad amare la vita di chi ci passa accanto? Essere madre oggi… .significa essere pronta a dare la vita per i propri figli: ma non è una cosa nuova, è sempre stato così ogni volta che si accetta la vita quale dono da amare, custodire e far crescere tenendo ben presente . Da sempre la madre è colei che mette al mondo il figlio, che si occupa principalmente delle cure da dargli e della sua educazione, soprattutto nei primi anni di vita, anzi possiamo dire che lo fa già dal grembo, o meglio molto prima di essere incinta già comincia a costruirsi un’immagine, una rappresentazione del bambino e della famiglia che avrà un giorno. La madre, parallelamente a ciò che avviene fisicamente nell’utero, vive una sorta di “gestazione mentale”: la profonda trasformazione della propria identità che influirà sulla sua vita di coppia, sui rapporti con la famiglia di origine, sulla vita professionale e socia- le e sul senso che lei stessa ha di sé. Cerca di immaginare il ruolo che il futuro bambino avrà all’interno della nuova famiglia e delle rispettive famiglie d’origine. Si potrebbe dunque parlare di due gravidanze, una fisica e l’altra psichica, che evolvono parallelamente e si influenzano vicendevolmente fino al momento della nascita. Pure se oggi c’è una maggiore partecipazione del padre nella crescita ed educazione dei figli, il compito primario resta sempre a lei, alla mamma, perché in fondo è propria della sua vocazione lo svolgere tutto questo. Appena il bimbo è venuto al mondo, il primo gesto della madre sarà quello di assicurarsi che sia vivo: ha bisogno di sentire il peso del suo corpicino, di toccare la sua pelle, di controllare il suo tono muscolare, di sentire che sia ben caldo e reattivo, di vedere che sia vivo. Il momento in cui il bebè viene deposto sul ventre o sul petto della madre subito dopo il parto segna questa tappa fondamentale. Una volta rassicurata su questo punto, la madre può finalmente dedicarsi all’incontro con questo nuovo membro della famiglia. In questa fase tenta di appropriarsene da un punto di vista umano ricercando, per esempio, le somiglianze fisiche (ha la fronte e gli occhi di suo padre, ma la mia bocca!) o comportamentali (quando ha fame bisogna precipitarsi: esigente come suo padre! oppure: dorme molto, nella famiglia siamo tutti dei gran dormiglioni!). Attraverso queste fasi, la madre si avvicina al bambino appena nato, al proprio bambino, cerca di conoscerlo, si lega a lui. La madre ha appena scoperto un bimbo o una bimba, il suo peso, la sua lunghezza, il colore dei capelli, comincia ad abituarsi ai tratti del suo viso, alle caratteristiche fisiche, comincia a conoscere i suoi ritmi, a scoprire i tratti del suo carattere e il suo comportamento. Si produce nella madre una sorta di integrazione tra i tratti del carattere del bebè che sta scoprendo e l’immagine mentale più o meno cangiante che si era costruita prima di quest’incontro. Quando la donna diventa madre si verificano alcuni cambiamenti psichici molto interessanti che la introducono in una realtà estremamente diversa. La madre ha una concezione particolare del tempo che è diversa da quella che aveva prima ed elabora un “calendario” completamente personalizzato: il calendario che usiamo di solito si basa su un evento capitale (la nascita di Cristo) mentre la madre ne crea un altro basato su un altro evento capitale (la nascita del primo figlio) che essa integra al primo. La “costellazione materna” non può essere considerata come una variante di un’organizzazione psichica della donna: pur avendo con questa molte relazioni non ne costituisce infatti né una variante né un completa- mento, ma è qualcosa di unico, di indipendente e di fondamentale. I compiti e il lavoro che rendono “madre” una donna, appena arrivata a casa consiste nell’assicurare la sopravvivenza del bambino. Si tratta di un momento straordinario e del tutto particolare che mostra come la madre debba ormai essere considerata un qualcosa di diverso rispetto alla donna che era prima, controllerà che respiri, osserverà ogni piccolo movimento del corpicino, farà attenzione ad ogni piccolo rumore… Sa benissimo che si tratta di una reazione completamente irrazionale, ma non riesce a farne a meno. La madre entra dunque in un mondo fatto di allarmi continui, di paure e di uno stato di vigilanza costante: assicurare la sopravvivenza del bambino e badare a tutti i suoi bisogni costituisce l’unica preoccupazione della madre che agisce come se la pulsione della sopravvivenza avesse cancellato tutte le altre. Non c’è nulla di più importante, non le interessa nient’altro. Durante questa prima fase la madre è soggetta al fenomeno del cosiddetto “overkill”, una strategia che la natura attua in casi di estrema necessità, come per esempio la sopravvivenza del neonato: la madre non dorme abbastanza, vive in uno stato di allerta perenne e tutte le sue energie sono concentrate in questo compito primordiale. Il secondo compito che rende madre una donna e che fa parte della costellazione materna è rappresentato dall’amore che la madre vuole dare al proprio bambino. Non sembrerebbe, ma si tratta di un compito complicato in quanto il fatto di amare un bambino implica diverse cose: pensiamo di avere tutti la capacità di amare, che il bambino può accettare di essere amato da noi, ma (è questa la cosa più importante) sappiamo come amare qualcuno? Non c’è nulla di più bello di portare nel grembo una nuova vita e darla alla luce. Rinunciare a tutto questo è rinunciare all’essere donna… Oggi epoca della contraddizione: colei che non riesce a concepire un figlio… ne vuole uno a tutti i costi, senza guardare in faccia a niente ed a nessuno, neppure agli altri figli che butterà via solo per averne uno tutto per sé. Forse bisognerebbe riguardare cosa sia la maternità, dove nasce ed a cosa tende, perché se per maternità si deve intendere l’avere un figlio per forza, un costruirlo in laboratorio, distruggendo Oggi Famiglia 3 per esso altri figli, allora la maternità non è più questa, non la si può chiamare tale. Madre è colei che si sacrifica per la vita di suo figlio, purché si salvi quella della creatura che porta in grembo, si sacrifica per il figlio ma non sacrifica il figlio per se stessa. Mettere al mondo un figlio per forza, sacrificandone altri, non è più amore di madre, non è più maternità, ma solo onnipotenza e delirio procreatico, voglia di possedere un figlio come cosa propria e non più come nuova vita da amare e rispettare. Questo bebè, questa persona, diventerà il nostro bambino ed è proprio l’amore e la specificità del nostro amore che faranno di questo bambino il nostro bambino. E per tutto ciò è necessario avere una grande fiducia nella propria generosità, nella capacità di amare e nel fatto che qualcun altro possa accettare questo amore. In questa seconda fase la madre si pone un’altra domanda: non si chiede più se è un animale competente, ma se è un essere umano competente. “Sono in grado di amare nel modo giusto?”. Dopo aver realizzato che è riuscita a portare a termine il primo compito e che il bambino è ancora vivo, che prende peso e che sta bene e dopo aver realizzato che può amare questo bambino e che questi può rispondere al suo amore, solo a questo punto, col compimento di questi due compiti, la madre comincia veramente a diventare madre: prima era semplicemente una donna che aveva un bambino. A mia madre e a tutte le mamme. MIA MADRE Mia madre, la rivedo sempre più bella, ascolto la sua voce che pare quella di un angelo. Mia madre, una donna forte ma tanto dolce. Non dimenticherò le tue carezze i tuoi baci le tue lacrime o madre mia. Non dimenticherò tutte le notti insonni e tutte le tue fatiche per insegnarmi a vivere. E quando un giorno ti rivedrò : dolce vecchina, bacerò ancora le tue guance rosa, accarezzerò i tuoi bianchi capelli. Ti racconterò… di me veglierò io su di te. E come ogni bimbo che vede la sua mamma la più bella del mondo, come ogni bimbo che al risveglio chiama la sua mamma, al tramonto della vita anch’io sarò bambina abbracciando sempre te o cara mamma. FAMIGLIA Maggio 2006 LE DONNE ITALIANE TRA FAMIGLIA E CARRIERA Ricerca promossa da Mediavideo e realizzata da Datamedia Alla domanda “quale ruolo dovrebbe avere la donna nella società” il 31% ha risposto che la donna dovrebbe essere promotrice di un nuovo modello di società basato su valori femminili, il 19,6% afferma che il ruolo della donna dovrebbe essere, al pari di quello dell’uomo, di lavoratrice per il 19,2 invece il ruolo della donna nella società italiana, dovrebbe essere quello super tradizionale di madre. Rincara la dose il 7,9%, risponde, infatti, che la donna, deve essere totalmente rivolta al privato e alla famiglia, mentre un esiguo, fortunatamente, 4,9% vede la donna solo come compagna di un uomo. Ma qual è l’effettivo significato che la famiglia ha per le donne di oggi? Rappresenta ancora una fonte di realizzazione, come avveniva nei tempi passati, quando il più delle volte era l’unica strada concessa ad una donna (magari in alternativa al convento), o rappresenta una scelta ragionata, dettata da una precisa volontà personale? Dal sondaggio emerge che per il 52,6% delle intervistate la famiglia è una convivenza basata sull’amore reciproco, per il 32,1% è la base della società, per il 10,8% è un vincolo affettivo di mutua assistenza, mentre per il 2,5% è solo un vincolo giuridico. Anche per quanto riguarda la famiglie di fatto, un argomento di cui si parla spesso, anche in relazione alla proposta di legge, le donne italiane sono in linea di massima al passo con i tempi, il 67,9% infatti sostiene che le famiglie di fatto debbano avere gli stessi diritti di quelle tradizionali sancite con il vincolo matrimoniale civile o religioso. Il 21,6% invece è in disaccordo, ritenendo sbagliato riconoscere alle famiglie di fatto gli stessi diritti di quelle tradizionali, mentre il 5,1% è totalmente indifferente al problema. Stando ai risultati di questa ricerca promossa da Mediavideo e realizzata da Datamedia, le donne italiane sono ben calate nella realtà sociale, sono lo specchio del loro passato, di cui conservano i valori più significativi, ma sono proiettate nel futuro, infatti hanno idee precise sul ruolo che dovrebbero occupare. Una donna determinata, dunque, pronta a sostenere le sue convinzioni e le sue scelte, non dimenticando il retaggio culturale e i valori tradizionali che danno una impronta personale alla società in cui vive. Oggi Famiglia 4 FAMIGLIA DIVORZIO: boom tra gli Anziani La vita più lunga, i farmaci che aiutano, la «censura sociale» che cade: l’ anziano si fa più audace ed anche in Italia dirsi addio tra coniugi con più di 55 anni capita sempre più spesso: un fenomeno tanto in espansione, quello del divorzio tardivo, e con forti implicazioni socio-scientifiche, da aver trovato spazio ai lavori del 50/o Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, in corso a Firenze. Da uno studio realizzato dalla psicoterapeuta Paola Beffa Negrini e dall’avvocato Silvia Cecchi, emerge che gli italiani che nel 2001 hanno chiesto la separazione legale tra i 55 e i 65 anni erano 125 mila e quelli dai 65 anni in su erano 70 mila (15 mila quelli sopra i 75 anni); oggi mediamente sono aumentati del 3,5%. Analoga crescita si registra tra i divorziati: dai 55 ai 65 anni erano stati 140 mila nel 2001, quelli dai 65 anni in su 95 mila (30 mila quelli sopra i 75). Oggi sono aumentati del 3%. «Il boom dei divorzi tardivi - spiega Paola Beffa Negrini - perchè di vero e proprio boom si può parlare, ha assunto caratteristiche di fenomeno sociale a cui è stato dato perfino un nome, ‘Grey divorces’, e ha cause molteplici», a cominciare dalla maggior indipendenza, anche economica, raggiunta dalle donne, che permette loro una vita indipendente. Altre cause dei divorzi tardivi secondo le conclusioni dello studio medico-giuridico - sono una maggior longevità, per cui la prospettiva di vita a 60 anni è oggi proiettata di altri 20 anni (per le donne addirittura di 25), con la possibilità di avviare una nuova relazione anche in età avanzata. Un terzo motivo - dice lo studio - è rappresentato dall’aiuto di nuovi farmaci sia contro la depressione, con i quali si può sconfiggere l’incapacità di affrontare nuovi impegni; sia contro la caduta della libido, che permettono anche in tarda età di limitare il fantasma dell’impotenza e danno più sicurezza di poter intrecciare nuove relazioni, anche sessuali. Infine, anche la caduta della «censura sociale» - e cioè la disapprovazione da parte dei familiari, di amici e colleghi favorisce spesso la decisione di aprire in età avanzata una nuova fase della propria vita. È soprattutto la donna secondo quanto emerge dallo studio la più determinata a darsi un’altra possibilità di vita, non solo perchè ha sistemato i figli ormai grandi e assolto ai doveri domestici durati svariati decenni: ancora oggi al sud, la richiesta di separazione e di divorzio è motivata nella donna dal rigetto della violenza all’interno della coppia e non è legata al desiderio di attivare un nuovo legame con un partner diverso, ma solo dal rifiuto di un modello arcaico di «maritopadrone». «In prospettiva - spiega la ri- cercatrice Beffa Negrini - il fenomeno è destinato ad aumentare ulteriormente e sotto l’incalzare delle nuove generazioni che hanno vissuto l’emancipazione femminile e le modificazioni delle abitudini che hanno scandito gli anni precedenti, la coppia della Terza e Quarta età sarà chiamata ad una profonda ristrutturazione. Già ora ne è una testimonianza la sempre maggior richiesta di consultazioni psicologiche in età avanzata per conflittualità coniu- Maggio 2006 gali». «Quello del divorzio tardivo è un altro dei tanti problemi - spiega il professor Marco Trabucchi, Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria - che rende ancor più fragile la persona anziana. È necessario prepararsi ad un sostegno psicologico di queste coppie che sono molto di più di quanto dicano i numeri. Per ora lo studio del fenomeno si basa sulla registrazione ufficiale di separazioni e divorzi, ma in realtà sappiamo che le separazioni di fatto sono almeno il triplo. E bisogna prepararsi ad aiutare queste persone anziane anche in termini giuridici, con una regolamentazione più attuale soprattutto per il regime patrimoniale delle coppie». Fonte: la Stampa Web LillyLilly * Continua da pagina 1 Una “casa” sociale per la Famiglia Gli stessi interventi sociali di sostegno al benessere delle persone e delle famiglie, anziché promuovere la qualità e il benessere familiare, rischiano spesso di accentuare la separazione tra mondi vitali e sociale, di espropriare i sistemi familiari della loro capacità relazionale, risorsa primaria della famiglia nel produrre il benessere proprio e dei propri membri. La tendenza, del welfare liberista a far dominare i codici economici e politici, quasi che gli altri codici (associativi e comunitari), tipici della famiglia, dovessero andare a rimorchio dei primi, fa sì che le politiche pubbliche si rapportino ai mondi vitali delle famiglie e delle associazioni familiari in termini di norme legislative e di denaro. Donati, perciò, indica come alternativa più equa l’adozione di un welfare societario giocato sul potenziamento della relazione genitori-figli e, quindi, la soggettività della comunità domestica. In questa ottica i figli, più che “un bene di consumo” come prevede la concezione privatistica della famiglia, devono essere considerati “un bene relazionale” e “meritorio”. Occorre, perciò, da parte delle amministrazioni pubbliche, riconoscere lo specifico familiare, e in particolare leggere e sostenere quegli elementi della vita familiare che ne determinano il benessere, come per esempio: • la sua composizione, per numero e qualità dei componenti; • le sue rappresentazioni e i suoi vissuti in quanto famiglia più chiusa o più aperta rispetto alla società “esterna”; • la capacità di accedere e utilizzare opportunità esterne, date da servizi pubblici e privati; • il suo simbolismo e le sue pratiche per quanto riguarda l’apertura alla vita, i rapporti fra generazioni, i compiti educativi, in quanto decisivi per il clima familiare che ne caratterizza benessere o malessere La sinistra al potere, perciò, dovrà caratterizzarsi, da subito, per un riordino del welfare che guardi alla famiglia (quella dell’art 29 della Costituzione !) e ai figli come capitale sociale, la collochi nella trama normale della vita sociale, cioè come soggetto rilevante per la vita pubblica e sia capace di superare l’anomalia italiana di un trattamento fiscale che penalizza la famiglia con figli, mentre la Germania ha investito ulteriori 3, 4 miliardi in assegni alle famiglie e la Francia già otto mesi fa ha varato l’assegno al terzo figlio. Si pregano i Sigg. Collaboratori di far pervenire i loro contributi la fine di ogni mese e, comunque, non oltre i primi giorni del mese successivo Oggi Famiglia 5 EDUCAZIONE Maggio 2006 EURISPES: Scuola per i genitori italiani è “peggiorata” (possibile?…) L’EURISPES, Istituto di Studi Politici Economici e Sociali, ha condotto un’indagine campionaria e ha rilevato l’opinione di 1.500 genitori con almeno un figlio frequentante, nell’anno scolastico 2002-2003 l’ultima classe delle scuole medie superiori sulla qualità della scuola italiana. La rilevazione, condotta a livello nazionale su un campione rappresentativo e stratificato per macro-ripartizione territoriale (Nord Ovest; Nord Est; Centro; Sud; Isole), è stata realizzata nel maggio 2003, attraverso la somministrazione di un questionario semistrutturato ad alternative fisse e prederminate con il metodo dell’intervista diretta. Ecco i risultati, così come resi noti in un comunicato stampa: La scuola italiana negli ultimi anni è peggiorata. Parola di genitori italiani! Stando infatti ad un sondaggio contenuto all’interno del Primo Rapporto Nazionale sulla Scuola realizzato dall’Istituto, il 40,6% sostiene che il livello qualitativo della scuola negli ultimi anni è “peggiorato”. Il 32,2% ha dichiarato che è “rimasto invariato”. Per il 20,6%, invece, è “migliorato”. Disaggregando i dati Eurispes per area geografica emergono differenze significative. Il Sud registra il valore più alto tra coloro che non hanno avvertito cambiamenti nella scuola italiana (37,3% contro il 29,5% del Nord-Est e il 18,6% delle Isole) e il più basso tra chi si è pronunciato per una variazione, positiva o negativa che sia. Anche nel Settentrione prevale una visione negativa del sistema scolastico: valori molto alti, identici nel Nord-Est e nel NordOvest, si registrano per il peggioramento e più contenuti per il miglioramento (20% nel Nord-Ovest e 19,8% nel NordEst). L’Italia centrale presenta un andamento dei dati simile alle realtà settentrionali, con una eccezione per la valutazione positiva, in cui il valore è leggermente più alto: 22%. L’orientamento politico condiziona molto il giudizio sulla scuola: gli intervistati appartenenti all’area di sinistra (50%) e centrosinistra (52,4%) esprimono un parere negativo. Al contrario gli elettori di destra (34,1%) centro-destra (33,8%) e Centro (39,6%) esprimono un giudizio meno negativo.Comunque sia a prescindere dall’orientamento politico per il 40,6% dei genitori il livello qualitativo della scuola è “peggiorato”. Hanno invece espresso un giudizio positivo (la scuola è migliorata) il 28,9% dei genitori appartenenti all’area di Centrodestra, il 24,7% di Destra, il 19,8% di Centro, il 18,7% di Centro-sinistra, il 18% di Sinistra. Consistente la percentuale di coloro che non sanno esprimere un giudizio: 20,6%.Per quanto riguarda “i limiti del- la scuola italiana” è sorprendente il fatto che la maggioranza dei genitori, ben il 33%, non sa esprimere alcun giudizio sulla scuola dei propri figli. Il 25,4% degli intervistati, invece, identifica nella carenza di fondi il principale ostacolo ad un servizio scolastico efficiente. Segue la varietà delle materie: l’11,8% ritiene che questo impedisca di maturare una competenza specifica. La frequenza della sostituzione degli insegnanti viene indicata al terzo posto nella graduatoria delle problematiche più scottanti (7,3%), perché interrompe la continuità didattica creando notevoli disagi agli studenti e ritardi nell’espletamento del programma. Infine il 6,2% di genitori addebita i principali problemi della scuola italiana all’eccessiva sindacalizzazione e il 5,5% ai troppi scioperi e occupazioni. La disaggregazione territoriale mostra inoltre che, tra i residenti nelle Isole, la percentuale (6,6%) di chi ritiene la scuola italiana classista è maggiore che altrove. Gli intervistati del Nord-Est (4,3%) sono i meno numerosi a credere che il livello di sindacalizzazione nella scuola sia eccessivo; nelle altre aree geografiche le percentuali sono più omogenee. Il problema dell’inadeguatezza dei finanziamenti è avvertito soprattutto al Centro, che raggiunge una percentuale di 28,4%, tre punti sopra la media nazionale, rappresentata dal 25,4%. Il NordOvest (10,3%) avverte maggiormente le difficoltà di realizzare la continuità didattica a causa delle continue sostituzioni degli insegnanti non di ruolo, mentre soprattutto al Centro (8,5%), seguito dal Sud (6,1%), i troppi scioperi e le troppe occupazioni vengono percepiti come un limite della scuola ita- liana. Gli intervistati di centro (13,2%) e centro-destra (15,8%) sono i più convinti che la scuola non fornisca competenze specifiche, a causa delle materie troppo numerose, e che ci siano troppi scioperi e troppe occupazioni. L’ipotesi che sia una scuola classista, anche se poco diffusa, è maggiormente presente tra i genitori di centro-sinistra (3,7%) e sinistra (3,1%), che riaffermano con forza l’inadeguatezza dei finanziamenti: Centro-sinistra (28,6%),Sinistra (32%). Quando si parla di eccessiva sindacalizzazione, si nota uno spostamento consistente dei valori verso destra: il 15,9% degli intervistati di questo schieramento indica questo come il principale limite del nostro sistema scolastico contro il 3,3% dei genitori di sinistra e il 2,4% di quelli del centro-sinistra. È il centro-sinistra (9,9%) a sottolineare maggiormente come il frequente avvicendarsi di docenti costituisca un problema per la scuola italiana. Genitori insoddisfatti anche per quanto riguarda l’edilizia scolastica e la dotazione informatica: hanno espresso un giudizio negativo nel primo caso per il 58,2% e nel secondo per il 48,8%. Risultano comunque soddisfatti i genitori per quanto riguarda la preparazione e la competenza degli insegnati: il 64,5% ha espresso un parere positivo. Infine il sondaggio ha rilevato l’opinione sull’opportunità di un maggior collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro. Alla domanda “Lei ritiene opportuno un maggior collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro?”, gli intervistati hanno dato i seguenti giudizi: “molto”, 54,2%; “abbastanza”, 36,8%; “poco”, 5,1%; “per niente”, 2,2%; “non sa”, 1,7%. (16/03-220) . Hanno coronato il loro sogno d’amore, sabato 29 aprile 2006, nel Duomo di Cosenza, il chirurgo dott. Amato Napolillo e la nobile Carina Caracciolo. Agli sposi, ai genitori e parenti tutti, giungano le felicitazioni e gli auguri più fervidi dalla Redazione di Oggi Famiglia. Oggi Famiglia 6 EDUCAZIONE LA SUPERBIA di Michele Filipponio “Dei remi facemmo ali al folle volo…” Il verso dantesco (INF. Canto XXVI, v.125 ) costituisce l’input per affrontare il discorso sulla nostra essenza di uomini, sulla nostra natura, sulla nostra provenienza, sul nostro destino, ma soprattutto sul rapporto finito (l’uomo) e Infinito (Dio). L’uomo non è essere isolato e insignificante, non si trova per caso nell’Universo, ma fa parte di un disegno divino, di un piano superiore, di un Progetto Reale, anche se imperscrutabile. Nell’uomo l’essere e l’esistente, direi, combaciano. L’essere riguarda l’ontologia ed è orizzonte infinito e, perché no, quasi inspiegabile. L’essere è nella mente di Dio. L’esistente è, invece, immanente, ciò che l’uomo è, si rivela giorno per giorno, ciò che l’uomo offre e riceve in un incessante interscambio con i suoi simili. L’uomo, sotto il rispetto esistenziale, è pensiero e azione, è impegno qualitativo e quantitativo, è sorgente di iniziative ma anche di impreviste creazioni, dovute a lampi intuitivi. Il socratico “conosci te stesso” ci illumina, in quanto è importante penetrare in noi sessi, riflettere, scoprire le nostre capacità. Tutto ciò significa affrontare la vita con fiducia e coraggio e, perciò stesso, capire che l’inerzia, la pigrizia, l’ignavia non ci qualificano, non rafforzano la nostra coscienza di uomini, non debellano i mali sociali. Quindi la coscienza e la conoscenza devono formare lo zoccolo della nostra esistenza quotidiana. L’onesta curiosità intellettuale deve guidarci nel percorso verso il vero, verso il bene, verso la maturità morale. L’immagine dantesca in esame, in un certo senso, è esortazione a non temere il pericolo pur di raggiungere i nostri obiettivi. Noi dobbiamo, sì, andare sempre più avanti e sempre più in alto ma il verso dantesco non include il sentimento dell’umiltà. Voler oltrepassare le colonne d’Ercole col “folle volo” significa sentirsi simili a Dio, senza l’aiuto di Dio. In un certo qual modo si rinnova il peccato di Adamo. Ecco perché Dante pone Ulisse nell’inferno. Ma in Ulisse dobbiamo veder rappresentato l’uomo, l’uomo che non sa misurarsi. Oggi l’uomo tecnologico, che non sa guardare al di là e al di sopra della tecnologia per vivere i valori di un sano umanesimo e di un autentico sentimento religioso, non raggiungerà mai livelli di perfezionamento interiore. A noi, però, piace ridimensionare il senso del verso dantesco. Vogliamo, così, dar luogo a una stortura, a una for- zatura; vogliamo procedere controcorrente. E’ proprio così, perché è vero che il richiamo al verso del Canto XXVI dell’Inferno dantesco è stato per noi lo spunto che, poi, ci riporta ai vv. 118120 dello stesso Canto: “Considerate la vostra semenza…” Qui Dante vuol cogliere la vera essenza dell’umanità con un’esortazione di tipo pedagogico: l’uomo è essere intelligente, che fa bene a non fermarsi e, quindi, a dare sempre il meglio di se stesso. Si pensi all’imperatore Tito, il quale, se, alla fine di una giornata, si rendeva conto di non aver Verso nuovi orizzonti… se riuscissimo… di Eralda Giannotta Per arricchire la nostra vita di esperienza culturale e non solo, non è necessario visitare nuovi paesi viaggiando verso chissà quale meta. Per allargare la nostra conoscenza, certo è utile ma non proprio indispensabile uno sguardo superficiale dall’interesse turistico che dura il tempo che prende. Il primo grande viaggio è quello che ognuno di noi compie esplorando l’ambiente in cui vive, la famiglia, la parrocchia, la scuola, il quartiere, il paese, la chiesa. Per momenti di impegno, di amicizia e di dialogo, anche nella vita quotidiana incontriamo occasioni preziose di crescita culturale e sociale, basta solo sapere cogliere quell’attimo fuggente che spesso non ritorna più. “Di fronte agli scalini della vita vera, troppi non sanno come salire”, soprattutto le nuove generazioni, avvertono il vuoto delle giornate, il tempo non passa mai perché investito male, poichè le mani e la mente sono troppo “rilassate”, basta rivolgere lo sguardo alla propria stanza per capire quanto disinteresse c’è intorno alla propria vita. La noia e il malcontento prendono il sopravvento, si cerca disperatamente l’inafferrabile, emozioni forti senza valori attraverso l’alcool e le sostanze stupefacenti, che alterano il sistema naturale del corpo umano causando danni irrecuperabili. L’inafferrabile non costruisce nulla di buono, anzi distrugge quel poco che sarebbe potuto germogliare, se solo ne avesse avuto il tempo. Ogni giorno ci troviamo a dover fare delle scelte. La vita è una conti- Maggio 2006 fatto nulla di positivo, così esclamava: “ Perdidi diem!” ( Ho perduto un giorno!). In definitiva la nostra vita, le nostre attività, il nostro procedere verso il futuro che ci attende devono essere sempre accompagnati dal sentimento dei nostri limiti, perché la realtà in cui siamo immersi è l’Infinito che mai e poi mai potremmo abbracciare con la nostra mente, con le nostre ricerche per quanto profonde esse siano, con tutti gli strumenti di cui disponiamo. L’Infinito è solo nella mente di Dio, del “ massimo Fattore”, che certamente, tra tutte le creature, fa scintillare la nostra intelligenza, un dono che noi dobbiamo apprezzare e far funzionare, con la preghiera, con l’umiltà, con la speranza di un futuro sempre migliore nel segno della pace e del progresso. nua scelta! Più si va avanti con gli anni e si cresce, più le nostre decisioni diventano importanti e più grande si fa la nostra responsabilità verso la società in cui viviamo. E’ difficile immaginare che si possa progredire nel contesto culturale e sociale odierno, se non si analizza il nostro vissuto quotidiano. Possiamo esplorare nuovi orizzonti a partire dal modo in cui viviamo, conoscere e fare nuove esperienze di vita investendo su noi stessi e su quanto ci circonda. Dalla storia “Magistra vitae” (maestra di vita) impariamo che ogni stagione della vita umana ci mette a disposizione la sua esperienza, affinché possiamo farne tesoro per un mondo migliore. Il focolare domestico che una volta riuniva parenti ed amici per organizzare il da farsi dell’indomani, oggi è solo un ricordo nostalgico. Il quartiere con le sue esigenze, l’amicizia vera, la parrocchia, la famiglia al di là del legame stretto che la rappresenta. Tanti se vogliamo sono i punti di aggregazione verso i quali possiamo estrapolare input necessari di vita, forse più di quanto umanamente ci è possibile immaginare. Se riuscissimo ad essere più coerenti dopo aver intrapreso con coraggio e determinazione un impegno per il bene del prossimo, il nostro contributo verso la società in continua evoluzione assumerebbe un aspetto diverso e riempirebbe sicuramente le giornate vuote dei nostri ragazzi e non solo. Se a muovere il nostro io è la generosità e non l’egoismo, il desiderio del bene comune e non il proprio tornaconto, se il nostro vissuto è pieno del senso cristiano della vita, sicuramente ognuno di noi avrà il suo “doppio” tornaconto arricchito di quei valori in via di estinzione. Cercare nuovi orizzonti in chi ci sta intorno è un grande viaggio dall’itinerario bellissimo, dove i mille colori si alternano formando un bagliore di speranza, il cui contagio invita l’umanità intera a prenderne parte. Oggi Famiglia 7 SOCIETÀ Maggio 2006 ALLA RICERCA DI NOI STESSI di Luigi Perrotta Gli uomini amano chi li illude, non chi li disillude; chi li rallegra e li diverte, non chi li costringe a pensare, chi li trascina davanti allo specchio, ponendoli di fronte a se stessi e alla propria realtà. Socrate, Pirandello e Freud hanno dato un notevole contributo alla storia dell’umanità. Il filosofo, lo scrittore e lo psicoanalista, pur partendo da posizioni differenti, sono giunti alle medesimi conclusioni. Socrate fu un esaminatore: non ebbe un mestiere, la sua funzione, nell’Atene del IV-V secolo a. C., fu quella di “svegliarino” per suoi concittadini. Discorreva con loro, sulla piazza o al ginnasio; li esaminava e poneva nel loro animo il turbamento, il dubbio. Attraverso il dialogo e la confutazione, Socrate portava i suoi interlocutori a partorire la verità, servendosi dell’ironia, che unita alla dialettica gli permetteva di opporre verità contraddittorie, insinuando negli altri dubbio (inteso come possibilità diacritica di giudizio), alla consapevolezza di non sapere. Egli afferma che ciò che vale è prendere coscienza di sé: non bisogna agire perché così sta scritto o perché questo è il vero, ma indagare nella propria coscienza e interrogarla, dialogare con sé e con gli altri. Sarà da questo dibattito interiore, da questo stesso dialogo, da questo ragionare che scaturirà il bene, ciò che è da farsi e perseguire. La discussione, l’attività dialogica, la teche della parola devono operare come una levatrice, che aiuta la partoriente ad espellere il proprio bambino: così il filosofo, tramite la dialettica, svolge una funzione maieutica, aiutando l’interlocutore a dar forma alla propria informe coscienza. Prova dell’importanza del filosofo è che non si discute se non attraverso gli altri, non si ragiona se non attraverso un interlocutore; per cui, il bene sta nel costruire se stessi insieme agli altri, nella consapevolezza di sé e della libertà altrui. Socrate afferma, quindi, che conoscere se stessi è saggezza e che una vita senza esame è vita indegna all’uomo di essere vissuta. E non sembra di rivedere in questo struggente desiderio di ragionamento chiarificatore i personaggi creati da Pirandello? Una folla di personaggi che sono folla di uomini vivi che appartengono ad una medesima grande famiglia dolorosa, che soffrono e ragionano: ragionano spesso insaziabilmente, per vedere sempre più a fondo nella luce o, spesso, nelle tenebre. Essi indagano nella realtà intima, nell’essenza sostanziale dello spirito, nei recessi più misteriosi e angosciosi della coscienza. In ogni sua novella, dramma, romanzo, Pirandello scava nella sostanza intima della vita, la denuda, la costringe ad apparire a se stessa nella sua mutevole realtà essenziale. Egli stesso scrive: “Io non ho cercato mai di distruggere altro che illusioni”. Come Socrate, lo scrittore cerca, attraverso la sua arte, di aprire gli occhi agli uomini su ciò che possono afferrare della realtà. La sua è un’arte inquieta, pensosa, raziocinante, talora un po’ sofistica e quasi sempre scettica, denudatrice crucciosa di anime, che scruta le ombre del cosiddetto subcosciente. Imposta i problemi più paradossali, più sconcertanti; affronta le apparenze contraddittorie e cerca dell’uomo e della vita quello che è, non quello che pare. Anche Freud si sobbarca il compito di mettere in luce ciò che gli esseri umani tengono nascosto dentro di sé, servendosi della semplice osservazione di quello che traspare dalle loro parole, dai loro sogni e dal loro modo di comportarsi. Li sottopone a “dialogo”, o “analisi”, e attraverso libere associazioni cerca di fare affiorare alla coscienza i contenuti dei recessi più segreti della mente, dando l’avvio alla psicoanalisi, intesa come studio teorico sistematico della personalità e metodo di trattamento terapeutico. Con la psicoanalisi, Freud cerca di indurre il paziente a recuperare, sul piano della consapevolezza cosciente, il materiale rimosso e non accettato (idee e ricordi dolorosi). E così, attraverso l’analisi e il dialogo con se stessi e gli altri, si riesce, volta a volta, a prendere coscienza di sé e a superare difficoltà e problemi di inserimento sociale, oggi purtroppo così diffusi e gravi. Queste tre grandi personalità ci lasciano un messaggio da non sottovalutare ed un insegnamento che non va dimenticato. Tutti noi uomini, infatti, dovremmo aprirci maggiormente; guardare dentro di noi; essere meno succubi delle convenzioni e strutture sociali ed andare alla ricerca della piena consapevolezza: alla ricerca di noi stessi. Affidandoci alle menti dei grandi, di quelli che sono i giganti sui quali arrampicarci per provare a scorgere la linea dell’orizzonte, possiamo riuscire a comprendere quanto sia enorme e infinita la dimensione che sta intorno a noi; per cui non si può far a meno che stabilire i limiti di noi stessi in noi stessi, per trovare la giusta posizione in questo immane cosmo di linee. È dalle mani di titani come Socrate, Pirandello, Freud che può scoprirsi l’essenza esistenziale, da quelle mani che, senza timore, si calano nel baratro dell’incerto, dell’oscuro, per estrarne la verità, che urla, scalcia, è insanguinata, ma è viva. Oggi Famiglia 8 EDUCAZIONE Maggio 2006 IL “MALE DI VIVERE” VA RICERCATO NELLA CRISI DELLA PROPRIA INTERIORITÀ di Franco Pulitano Oggi stiamo assistendo ad una crisi dell’interiorità per colpa di una cultura che mira a sopravvalutare l’immagine, in una pericolosa inversione dei valori. Alcuni fenomeni ci preoccupano non poco: notevole quello di recenti trasmissioni televisive in cui davanti a milioni di telespettatori i protagonisti si trovano ad esporre senza veli gli affanni legati alla loro vita intima, affettiva, relazionale e anche sessuale. E’ come se la nostra società massmediatizzata avesse fatto evaporare i confini del pudore. L’esibizionismo dell’intimo toglie quella «discrezione» tessuta di silenzio, che permetteva all’intimità di restare, appunto, intima. Non è solo questione di costume; alla fine, insieme col pudore, a dissolversi è la libertà. La libertà, infatti, si gioca nella capacità di concepire nella propria testa e nel proprio cuore idee, iniziative, pro- getti «propri», mentre un’intimità violata lascia vivo solo un simulacro di libertà, quella che si contenta di valutare e scegliere tra varie offerte di consumo. La televisione, se ben ricordo, è nata con la reputazione di «elettrodomestico gentile, strumento di puro svago» ma oggi ha gettato la maschera e si mostra qual è nel bene e nel male. Essa non è più, come una volta, compagno di passatempi, ma un parter prepotente e autoritario. E gli adulti che dovrebbero essere di esempio ai giovani non disdegnano di seguire simili spettacoli. Oggi siamo nella fase dello smarrimento e dello stordimento; abbiamo bisogno di un nuovo Socrate che ci aiuti a guadagnare un punto di vista più critico e più alto. Le energie psicologiche e morali, più che nella costruzione dell’autenticità personale, sono investite nella propria immagine sociale. C’è una cultura in cui è vivo il diffondersi di atteggiamenti di immode- sto esibizionismo. La cultura in cui siamo immersi accentua non poco la soggettività; bisogni soggettivi, diritti soggettivi, ma a ben guardare è una soggettività emozionale, vuota di interiorità. E’ una soggettività superficiale e carente di interiorizzazione. L’annullamento dell’interiorità induce molti giovani a trascurare il compito di rimanere in contatto con il proprio “Io” più profondo, di dare un senso alla propria vita, o di progettare il proprio futuro. Per loro è più facile ripiegare in una cultura della sopravvivenza e del giorno per giorno che espandere le energie morali che parlano di assunzione di responsabilità e di autentico dono di sé. L’uomo sta male perché si fa male da solo, non riuscendo ad imparare ad abitare con sé». L’uomo sta male perché non riesce a comprendere che una vita priva di ingrediente interiore, del tempo dedicato a riflettere e ad interrogarsi non ha alcun senso. La troppa libertà e quei cocktail, che piacciono davvero molto ai giovani, sono complici del loro insuccesso di Francesco Cundari Purtroppo è ormai risaputo che alla base di tutti questi episodi ci sono problemi in famiglia. Proprio quel nucleo che non solo crea la società, ma che dopo la deve assistere e formare per un futuro migliore. Ebbene come accade spesso, se nelle famiglie non esistono più i “controlli”sui figli lo dobbiamo alle tante e male organizzate giornate dai genitori. Vuoi perché si lavora in due, vuoi perché vi è una famiglia in fase di separazione ecc. il figlio o la figlia , non sentendosi il fiato addosso e quindi controllati, a volte incappano in situazioni davvero spiacevoli. Molti marinano la scuola, vuoi per trascorrere un giorno in barca, o in montagna con le belle giornate primaverili, fin qui solo è di strano la mancanza di un giorno dall’apprendimento scolastico culturale. Ma sappiamo che non sempre è così. Infatti si legge dalle cronache dei giornali, che sempre più ragazze oltre ad abbandonare gli studi, fanno uso di questo tempo lontano da casa per esporsi e molto più rischiare la propria gioventù, in cerca, di forti nuove sensazioni. Quella tipo, che va per la maggiore, è diventata la moda della ragazze cubiste, sì, proprio così. Fanciulle innamorate del successo, che poi non coronano questo sogno. Per soldi vengono inseriti in questi giri viziosi, dimenticandosi della loro età e della famiglia. Si esibiscono in locali e su piste, dove il loro corpo messo in vendita ai tanti ammiratori, diventa facile preda dell’offerente maggiore. Molte famiglie hanno denunciato questo alle Procure di varie città, le quali dopo indagini accurate sono risaliti a numerosi locali che utilizzano queste ragazzine, molte di loro anche minorenni. Solo 30/40 Euro è il loro compenso, che si badi bene, non va alle ragazzine, ma bensì a chi recluta le stesse, cioè alle capocubiste. Molto sfruttamento delle giovani prede in cerca di successo, poca ricompensa nelle sue mani alla fine dell’esibizione. La cecità e la smania di esibirsi corrode il cervello delle adolescenti, che noncuranti dei rischi, nascondono perfino ai propri genitori questa loro esperienza. Alla fine però è trionfato il rimorso di essere scoperte e pentite confessano tutto ai genitori. Madri e padri, che non conoscevano questi comportamenti fuori dall’ambiente familiare, rimangono sbalorditi. Bisogna stare attenti, vigilare sulle tentazioni di pensare di raggiungere il successo presto e subito e devono far riflettere tutti, non solo i giovani, ma anche i genitori. Giovani cubiste ballano in discoteca Oggi Famiglia 9 SOCIETÀ Maggio 2006 LA SFIDA DELLA NOSTRA CIVILTA’: CONCILIARE UGUAGLIANZA E LIBERTA’ di G.B. Giudiceandrea Un recente convegno di studi svoltosi a Napoli ha affrontato ed approfondito un tema di grande attualità per la sinistra italiana ed europea: il tema del rapporto che deve intercorrere tra libertà ed uguaglianza. L’aspirazione dell’uomo di creare una società in cui non esistano privilegi e tutti i cittadini siano veramente “uguali” è assai antica, ed ha attraversato tutta la storia dell’umanità. La ribellione di Spartaco, pur soffocata nel sangue, ha evocato per secoli il mito dell’abbattimento dell’asservimento in schiavitù di un essere umano; la predicazione di Cristo riscosse l’entusiamo delle folle che acclamarono con le palme la speranza che l’uguaglianza extraterrena come figli di Dio preludesse alla liberazione da ogni servaggio terreno; il mito campanelliano della città del sole alimentava il sogno mai sopito dell’uguaglianza; la triade illuministica (égalité, fraternité, liberté) animò la Rivoluzione Francese fino a che la barbarie cruenta del Terrore e della ghigliottina non contraddisse quei principi innovatori, mortificandoli nel riflusso conservatore del Direttorio e poi del Bonapartismo; l’analisi scientifica marxsiana del capitalismo e dell’appropriazione del plusvalore diede la stura ai movimenti sempre più impetuosi dell’Ottocento e del Novecento e animò la Rivoluzione dell’Ottobre sovietico, la quale trovò la sua fine nell’abbandono del principio ugualitario che Orwel, nella “Fattoria degli animali” parodiò come pretesa dei porci (la burocrazia partitocratica), di aggiungere al motto “Tutti gli animali sono uguali” la postilla assurda “Ma i maiali sono più uguali degli altri”; l’onda ideale dell’uguaglianza è stata la forza motrice della liberazione coloniale che imponeva l’assurda dominazione di un popolo su un altro popolo, così come ha animato la lotta contro il razzismo che faceva dipendere la supremazia di alcune etnie su altre in ragione del colore della pelle. Lungo, dunque, il cammino dell’aspirazioine all’uguaglianza e ricco di risultati. Restano, tuttavia, molte disuguaglianze sociali, riassumibili nel contrasto stridente tra ricchezza e povertà, tra Occidente opulento e Terzo Mondo affamato e privo di ogni risorsa, persino dell’acqua potabile. Queste disuguaglianze risultano mostruose per la coscienza moderna e devono essere superate. Su questo non sussistono (né potrebbero sussistere) dubbi di sorta. Problematiche, invece, risultano le scelte delle strategie da seguire per raggiungere l’obiettivo dell’uguaglianza, perché subentra il problema della conciliazione di esso con il principio della libertà che a torto alcuni ritengono addirittura antitetico con quello dell’uguaglianza. Porre in antitesi l’uguaglianza con la libertà è un errore che ha già pagato il suo conto alla storia; la tesi leninista di instaurare la dittatura del proletariato (cioè abolire le libertà politiche) come fase transitoria per costruire la società senza classi (cioè di uguali) ha dimostrato, come tutti abbiamo potuto constatare, che la dittatura non fu transitoria, né poteva esserlo, perché le dittature tendono ad assicurare la propria sopravvivenza e non ammettono altra soluzione che il loro abbattimento, e soprattutto non assicurò uguaglianza, se non quella nelle privazioni e nel sacrificio fino alla miseria. Anzi non esistette nemmeno l’uguaglianza nella miseria, come provano i tanti processi per arricchimenti celebrati nell’ex URSS e come documenta il ruggente discorso contro la corruzione e il burocratismo, pronunciato giorni addietro al congresso della gioventù comunista del Viet Nam dall’ultranovantenne Generale Giap, il mitico eroe delle guerre contro il colonialismo francese e americano. L’eclissi della libertà non agevola, dunque, la conquista dell’uguaglianza e ad essa non va mai contrapposta, ma con essa va coniugata, perché dove è repressa la libertà manca anche puntualmente la uguaglianza. Una recente classifica dei più ricchi tra regnanti e dittatori stilata e pubblicata da Forbes, agenzia internazionale specializzate in ricerche simili, segnala al primo posto nel mondo il Re d’Arabia, seguito da tutti i sultani petroliferi e al 7° posto colloca Fidel Castro, che con la sua rendita di 900 milioni di dollari precede di gran lunga la Regina Elisabetta, che vanta solo (si fa per dire…) 500 milioni di dollari. Sul piano delle strategie, va chiarito che il superamento delle disuguaglianze sociali non può tendere né all’egualitarismo né al livellamento, perché non si possono ignorare le tendenze e le doti specifiche di ogni persona (non tutti possiamo essere tenori come Pavarotti) né si può ignorare il diverso grado di impegno che ciascuno mette nell’espletamento del proprio lavoro e della propria professione. Le diversità, inoltre, tra mondo industrializzato e mondo in via di sviluppo non può essere affidato solamente alle pur nobili iniziative di solidarietà e di raccolta di aiuti, ma deve fare leva sulla mobilitazione delle risorse di chi vuole uscire dal bisogno e fondarsi soprattutto sulla diffusione di tecnologia avanzata e cultura democratica affinché ogni popolo riesca a superare forme di fanatismo antimoderno che si priva dell’apporto delle donne (una metà della popolazione) relegandole in posizione di soggezione e di non godimento dei diritti civili, che impedisce la circolazione delle idee e della cultura, che condanna a subire ogni sopruso impedendo la dialettica sindacale e politica. La Rivoluzione Francese Nell’evoluto mondo industrializzato è pericoloso contrapporre la uguaglianza, ancora non raggiunta dai ceti meno abbienti, alla libertà non solo di impresa, ma anche personale, nel timore che l’impegno di ogni persona per migliorare le proprie condizioni possa far nascere disuguaglianze. L’uguaglianza non può essere ottenuta mediante un livellamento in basso e costringendo a non tentare di eccellere: ovunque si è intrapresa questa via si è repressa la libertà personale insieme a quelle politiche e civili, senza garantire la uguaglianza. L’uguaglianza da garantire è quella della dignità civile e sociale, è quella del soddisfacimento dei bisogni essenziali, è quella che tutela dalle discriminazioni sessuali, razziali, religiose, è quella delle opportunità, affinché tutti partano alla pari: Head Start. Tutti uguali alla partenza, dunque, senza frenare però - il passo di nessuno, se non per il rispetto di regole generali, uguali anch’esse per tutti, al fine di evitare che la marcia in avanti di ciascuno e di tutti diventi selvaggia corsa alla sopraffazione senza esclusione di colpi. La coniugazione della sacrosanta uguaglianza di diritti, di dignità e opportunità con l’altrettanto sacra libertà di iniziativa e di impegno salverà l’Italia e l’Europa da tendenze ormai troppo diffuse al neghittoso disimpegno e ad un egualitarismo che vorrebbe spegnere quella spinta all’emulazione che è propria della natura umana e che è stata la molla che dalle caverne ci ha fatto progredire fino alla civiltà attuale. Oggi Famiglia 10 SOCIETÀ Maggio 2006 L’evento-Chernobyl vent’anni dopo: quali risposte? di Vincenzo Altomare Ricordo ancora quel giorno di vent’anni fa, il 26 aprile 1986. Ero uno studente, frequentavo il quarto anno di Liceo scientifico. La sera, al telegiornale, la notizia: “è esploso il reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina”. In quegli anni in Italia si discuteva del nucleare e il referendum del 1987 ci congedò definitivamente da questa fonte di energia. Le ragioni? Semplice: la pericolosità degli impianti e, soprattutto, delle scorie radioattive. Mario Capanna e Alex Langer, splendidi intellettuali, ci avevano aperto gli occhi e la mente. Dopo vent’anni, l’evento-Chernobyl resta avvolto in gran parte nel mistero. Non conosciamo con certezza il numero delle vittime (si stimano circa 100 mila persone); sappiamo, con buona approssimazione però, che circa 2 miliardi di persone hanno subito le conseguenze di quell’esplosione; sappiamo, questo con più contezza, che sono oltre 5 milioni le persone che vivono in zone contaminate. Ma, nonostante queste incertezze, occorre riflettere un po’ su quell’evento perché non si riduca ad una specie di fossile mnemonico da archiviare . Anzitutto, penso sia corretto dire che l’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl produsse effetti molto più devastanti di quelli prodotti dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale. Ma credevo avessimo imparato la lezione: pensatori come Gunther Anders ed Ernesto Balducci - giusto per citare due autorevolissimi nomi fra i molti - ci avevano detto che dopo Hiroshima l’umanità era entrata in una nuova stagione della sua storia, quella post-nucleare, avendo maturato (finalmente!) la consapevolezza che la posta in gioco, con il nucleare, fosse la sua stessa sopravvivenza e il futuro dell’ecosistema-Terra. Era nata la ‘coscienza di specie’. Avevano e hanno ragione! Il punto è che una lezione la si può imparare teoricamente, ma non sempre la si riesce a tradurre sul piano pratico. Specialmente quando le decisioni non le prende la politica ma l’economia di mercato. Ricordate quando Bush disse no al protocollo di Kyoto? L’economia americana, disse, non è negoziabile. Neppure di fronte al destino del genere umano. Come se ciò non bastasse, oggi si riparla di nucleare. La Francia vi dipende per il 78% della produzione energetica; la Gran Bretagna per il 22 %, gli Usa per il 19%. Il 46% degli svedesi le vuole e Tony Blair, in Inghilterra, sta varando un piano d’azione per il rilancio dell’energia nucleare. Insomma, qualcuno ne ha nostalgia; anche in Italia, perché - dicono i nostalgici del nucleare - “una centrale atomica non produce effetto serra”. Come se il problema fosse questo. E le scorie? Quanto tempo impiegherà la natura a digerirle? Migliaia di anni, lo sappiamo tutti benissimo. Ma sembra che di fronte alle insistenze del mercato lo dimentichiamo. Qualcuno ricorderà con me che qualche anno fa si parlava perfino della nostra Sila come possibile discarica di scorie nucleari. Oggi non si sentono più voci del genere in giro. Pericolo passato? Con i miei amici ambientalisti ci saremmo fatti legare Più ha, più vuole. L’uomo contemporaneo, sempre più tecnomorfo, pensa che tutto ciò che tecnicamente è possibile sia eticamente lecito. Possiamo clonare? Allora facciamolo. Possiamo procreare tecnicamente? Perchè non farlo? Possiamo creare armi batteriologiche, chimiche e nucleari? Allora dotiamoci di queste armi. Ciò che la tecnica ci permette, l’etica non può impedire: questa la logica dell’uomo tecnomorfo! Alex Langer ci ha spesso ricordato che solo sviluppando quel ‘senso del limite’ che sembra oggi smarrito, avremo ottime probabilità di sopravvivere ancora a lungo sul nostro meraviglioso pianeta. Diversa- Una veduta dell’impianto nucleare di Chernobyl con le catene pur di impedire qualcosa del genere. Io sono contrario al nucleare anzitutto perché penso che ogni scelta in questo campo, per essere eticamente valida, debba scaturire dal seguente principio: ciò che preleviamo dalla natura deve potervi tornare senza creare danni alla biosfera e all’ecosistema-Terra. L’uso del nucleare non rispetta questo principio di vita. I rischi generati dalla sua applicazione sono imprevedibili e le scorie avvelenano irreparabilmente l’uomo e la natura. Ma ritengo anche che sia venuto il tempo di attivare fonti alternative di energia: quella eolica e quella solare. Sono fonti sicure e pulite, provengono dalla natura e alla natura tornano senza problemi. I costi, è vero, sono alti. Ma perché si è investito pochissimo su questo fronte. Una maggiore diffusione e, soprattutto, scelte politiche che investano su questi settori semplificherebbero di molto anche gli oneri economici. Una seconda riflessione. L’eventoChernobyl ha detto che l’uomo ha smarrito da tempo il senso del limite. mente, siamo condannati a morte. E allora torna alla ribalta l’educazione. Prevenire educando è l’unica scelta seria e intelligente che possiamo fare. Dobbiamo riportare i nostri figli e i nostri allievi nei boschi, porli a diretto contatto con la natura. Familiarizzare con la natura per imparare ad amarla: ecco l’orizzonte educativo e politico del presente e del futuro. Altrimenti, ci restano due possibilità: o la repressione o la schiavitù del mercato. Dobbiamo perciò chiederci: che mondo stiamo consegnando ai nostri figli? Sono loro i nostri creditori, come nostra creditrice è la natura. Chi pagherà il conto? E quando? Forse Chernobyl è stato l’ultimo avvertimento per l’uomo. Consigli di lettura Alex Langer, Fare la pace, Cierre Verona 2005; R. Louv, L’ultimo bambino nei boschi, Rizzoli, Milano 2006; HD Thoreau, Camminare, Feltrinelli, Milano 2005; Konrad Lorenz, Il declino dell’uomo, Mondadori, Milano 1984 Oggi Famiglia 11 SOCIETÀ Maggio 2006 LA SOCIETA’ DELL’IMPERMANENZA di Giacomo Guglielmelli Quando a fine giornata si riesce a trovare qualche minuto per leggere il quotidiano, le notizie ci appaiono già vecchie, come se raccontassero fatti successi da più giorni. Così come non si fa in tempo ad imparare ad attivare una funzione del cellulare che già ci sembra di essere inadeguati per quelle nuove che vengono propagandate sui mass media. Un senso di impotenza e di inadeguatezza assalgono molti della mia generazione. Solo non bisogna dirlo, manifestarlo, farlo pesare. Altrimenti si è “out”, fuori dal gioco, dalla giostra. Così vediamo ultracinquantenni che si comportano e vestono come teen-ager o come novelli James Dean: petto scoperto in auto decappottate o ultimo balconcino alla moda per rendere turgido un seno ormai flaccido. Non siamo contro il progresso, né pretendiamo che le donne debbano addobbarsi a lutto come nelle tragedie greche. Quello che ci fa riflettere è il voler ad ogni costo negare gli effetti del tempo che passa e dare eccessivo valore a cose che si rivelano invece effimere e prive di reale significato. E con questo non si vuole assolutamente giustificare atteggiamenti di lassismo o di rassegnazione. Anzi. Qoelet diceva che c’è un tempo per tutte le cose. Ma quali sono le “cose” del nostro tempo? Forse il successo a qualunque costo, il piacere senza limiti, il sesso senza regole, la manipolazione genetica senza etica, il denaro come metro per giudicare chi vale e chi no, il potere che genera solo sudditi ed ingiustizia? Il concetto di tempo, che presuppone quello di limite, pare sfuggirci di mano. Né può servire l’accelerazione, il fare le cose prima, se non abbiamo chiaro che cosa è il tempo che ci è concesso, il perché, il senso della nostra vita, il nostro posto su questa terra. Senza aver dato una risposta a queste domande di fondo, non servirà ridurre il tempo dei nostri gesti e delle nostre attività spingendo ad oltranza le scoperte della scienza e dell’informatica. L’uomo si fa schiavo delle macchine che costruisce se non servono a migliorare, oltre alle condizioni di vita materiale, anche e soprattutto la sua vita spirituale. E se queste gli sono di impedimento al raggiungimento dei fini più alti per cui è stato creato e per cui vive, allora deve fare delle scelte esistenziali. Non tutto ciò che il mondo offre è buono, non tutte le nuove tecnologie migliorano l’uomo. Queste considerazioni rimandano all’antica domanda: “cui prodest?”. A chi giova infatti guadagnare tempo, avere più cose, godere di maggiori comodità e di piaceri sofisticati se si perde il senso del proprio essere, se ci si allontana dallo scopo ultimo della nostra vita? Ai ragazzi che aiuto nella preparazione della cresima faccio spesso questo invito: qualsiasi cosa facciate, qualunque scelta siete chiamati a compiere, domandatevi cosa avrebbe fatto Gesù al vostro posto. Per fare questo dobbiamo ritornare al Vangelo, all’insegnamento, alla testimonianza del Cristo. In INVISIBILI La condizione dell’immigrato di Mariacristiana Guglielmelli Ad ondate più o meno regolari, seguendo il ritmo dell’acqua che li porta, arrivano sulle nostre coste migliaia di profughi. Gruppi di persone eterogenei per sesso, religione, età, che anelano ad una vita dignitosa ed accettabile lontano dalle violenze e dalla povertà, lasciando i loro paesi d’origine e qualsiasi legame affettivo. In occasione di sbarchi eccezionali, per numeri e condizioni disumane di viaggio, si riapre il discorso relativo all’accoglienza e all’accettazione di queste persone. Nel dibattito acceso e polemico, tra i sostenitori di una politica dura e i fautori di una linea più morbida, si disperdono le esistenze e le storie dei singoli. Al loro arrivo tormentato sono accolti dai flash dei fotografi non come accade per i personaggi famosi, ma come per i fenomeni da baraccone, per poi venire dimenticati dietro i grandi numeri e la demagogia delle parole inutili. Secondo i dati di Amnesty International, i migranti registrati in Italia sono oltre 2 milioni e 700, mentre i rifugiati sono circa 15.000. In questi numeri sono compresi oltre 500.000 minori che, con i loro genitori o molto più spesso soli, affrontano il Mediterraneo su piccole barche insicure e sovraffollate. Il destino riservato agli immigrati nei centri di prima accoglienza non risponde certo alle loro speranze di riscatto e dignità. Si ripresentano spesso le medesime condizioni di sovraffollamento, scarsa igiene, incertezza e paura, che hanno caratterizzato viaggio e approdo. La situazione è tanto più delicata per i minori, che risentono in misura maggiore del disagio fisico e psicologico a cui sono sottoposti. Dalle testimonianze raccolte dalle varie organizzazioni non governative fondo non siamo che navi nella tempesta e l’unico modo di arrivare ad una spiaggia sicura è tenere lo sguardo puntato in direzione del faro ancorato sulla scogliera. La tempesta è la nostra vita frenetica, dispersiva, che ci fa ondeggiare fra tante inutili cose. Il faro è la luce di Dio che ci guida alla salvezza, verso la terra ferma. La scelta è fra la stabilità e l’impermanenza. Non scegliamo quest’ultima, per non essere condannati a vivere in una casa fondata, anziché sulla roccia, sulla sabbia inconsistente. che operano presso i centri d’accoglienza, emergono allarmanti situazioni legate alle inadeguate condizioni di vita in cui versano i minori. Le normative internazionali vietano espressamente la detenzione di minori, se non in casi estremi e per un loro interesse superiore, ma pare che tali direttive siano regolarmente violate per i migranti al di sotto dei diciotto anni. Il film “Quando sei nato non puoi più nasconderti” (2005) del regista Marco Tullio Giordana è solo uno dei più recenti esempi di attenzione e denuncia di una vicenda eticamente inaccettabile eppure reale e quotidiana. È una storia simile a tante che vengono riportate dai giornali o dai programmi di approfondimento televisivo: si racconta di bambini e adolescenti tristi e rassegnati, di un’amicizia e dei tradimenti a cui ti costringe la realtà. Un lento susseguirsi di immagini, sguardi ed emozioni che lascia allo spettatore un indignato e rabbioso senso di impotenza. Una finestra che si apre su una delicata questione: le strade che questi minori si trovano a percorrere sono pericolose e spingono all’illegalità, sono nascoste agli occhi della società che continua a vivere ignara e indifferente. L’invisibilità caratterizza queste vite che ci passano accanto. Le facce senza sorriso che si incontrano per le strade delle nostre città, e che spesso disturbano la serenità delle coscienze cieche, celano vissuti diversi, misteriosi e straordinari, che dovremmo imparare a conoscere e a valorizzare, perché testimonianza tangibile di coraggio e sofferenza. Oggi Famiglia 12 ARTE Maggio 2006 La luce nella pittura di Giuseppe Caputo di Gerardo Gallo “Prigioni di luce” così mi viene di definire -guardandoli con atteggiamento di assorta meraviglia per il loro nitore alcuni quadri di Giuseppe Caputo, esposti nella Galleria d’arte “Le Muse” diretta con signorile competenza dalla professoressa Myriam Peluso. La luce che ti colpisce non ha la sua naturale materialità; la percepisci solo come realtà psichica, nel senso che prende vita dalla tecnica basata sul contrasto dei colori. Provoca un effetto visivo preparatorio della successiva ricognizione mentale che accerti e descriva l’ evento inatteso di spontanea luminosità, sorta dalla sensibilità dell’artista, direi, come effetto mediatico. Tutti sappiamo che la luce è una realtà fisica, prodotta da un ordinato fervore di fotoni. E tuttavia diventa patrimonio dello spirito dell’uomo per divenire, perdendo la sua causalità, gioia e godimento estetico. La luce imprigionata nelle tele di Caputo, non è quella fisica captata dalla vista. E’ una luce organizzata dalla tecnica, dall’idoneità spirituale, dalla sapienza cromatica dell’alternarsi delle tinte fredde e calde. E affascina perché supera le normali conclusioni critiche cirRiflessi - Olio su tavola, 50x70 ca la fisicità della sua sorgente. E’ sì generata da colori prodotti industrialmente, ha però un’esistenza personale, inventata dall’intuizione del pittore, dalla sua manualità, dalla sua sintassi delineata nella funzione di struttura dell’opera pittorica, come in un pentagramma dove, al posto delle note, ci sono i colori come guida. Le strutture attraverso le quali la luce s’impone all’attenzione, rendono chiaramente intelligibili i segnali organizzati dalla mente dell’artista. Segnali, mi permetto di suggerire, come già quelli del Giorgione, di ambientazione neoplatonica, nel senso che la luce, come principio vitale dell’universo corporeo, emana dall’umana intelligenza. Il corpus dei colori si fa luce senza mediazione esterna, è un lampo con cui si accende la comprensione tra toni cromatici e luminescenze che sgorgano dal profondo e si diffondono con circolare radiazione. Luce non fisica, distribuita sulle superfici con tale pregnanza da dare l’illusione che sul retro della tela ci siano impulsi luminosi artificiali. E’ una tangibilità di luce indubbiamente fenomenica, ma che per il suo peso di presenza è suscettibile di considerazioni con cui al fruitore è dato di stabilire la qualità vi- sibile e nascosta dell’opera in quanto elemento concreto, messo davanti agli occhi nello splendore dei suoi segni tonali, sperimentalmente riconoscibili nella loro assoluta unicità. La luce, che Giuseppe Caputo riesce a imprigionare, meraviglia e stupisce perché la forza ideativa da cui promana, antitetica alla fisicità, è tutta inclusa nelle potenzialità del colore. E’ una realtà fatta di brividi dell’anima e di spirituali emozioni. Limpido specchio di sublimazione della luce. Foglie - Acquerello-china, 60x60 Oggi Famiglia 13 ARTE Il Divino, il Creativo nell’Arte ovvero l’Arte del Comunicare Oggi Famiglia mensile del centro socio culturale “VITTORIO BACHELET” – DIRETTORE – Vincenzo Filice – VICE DIRETTORE – Domenico Ferraro di A. Guarascio Ogni uomo è potenzialmente un creativo, un genio che sviluppa facoltà e capacità diverse adottando l’intuito o la ragione come modello di vita. L’Artista vive una condizione diversa, sin dalla nascita sente una passione che lo esaspera, alternando periodi di esplosione artistica e professionale a momenti di depressione intensa e creatrice. Il vero problema dell’artista è capire il perché ha origine tutto questo? Spesso la critica qualificata si pone questo problema! Quello che si vuole dare è una giusta interpretazione ed è un mistero per noi artisti ed operatori d’arte. I concetti filosofici, culturali e religiosi che governano l’uomo moderno da sempre sono i nostri punti di riferimento per capire forse noi stessi. Il Bello Artistico serve, a mio avviso, a risvegliare l’uomo dal tecnicismo moderno, dal torpore ed assaporare la vita con sfide e lotte significative da raggiungere e soddisfare… La composizione artistica, che vorrei delineare può essere un quadro, una scultura, un film, un libro, un gioiello, una canzone, una poesia; nasce da una sinergia tra l’occhio ed il cuore dell’artista. Arte, Bellezza, Estasi, sono una composizione di valori, è un linguaggio che vive nella parola, nella scelta di un colore, di un suono, di una danza, di un’immagine capita e interpretata dall’amante del bello e del vero. Arte è anche un tramonto rosso fuoco, che lambisce il confine tra il mondo marino e il pianeta celeste, dunque Arte è la natura stessa, questa forza misteriosa e bellissima che governa il mondo. Arte e Divino sono due mondi diversi e collegati, è un argomento che apre e dilata la mente di noi filosofi, di comunicatori del linguaggio. Maggio 2006 – DIRETTORE RESPONSABILE – Franco Bartucci – COORDINATORE E AMMINISTRATORE – Antonio Farina – SEGRETARIA DI REDAZIONE – Eralda Giannotta – IN REDAZIONE – Vincenzo Altomare, Rosa Capalbo, Giovanni Cimino, Francesco Cundari, Mario De Bonis, Michele Filipponio, Carmensita Furlano, Francesco Gagliardi, Giacomo Guglielmelli, Vincenzo Napolillo, Antonino Oliva, Oreste Parise, Lina Pecoraro, Davide Vespier – SPEDIZIONE – Egidio Altomare - Lorenzo Zappone Gino Vinceslao – STAMPA: Grafica Cosentina Via Bottego, 7 - Cosenza – IMPAGINAZIONE: T.&P. Editoriale Via Adua, 16 - Cosenza “Fiori” di Giovanni Cimino, pittura acrilica su tela Nel passato gli uomini della ricerca scientifica e culturale hanno scritto saggi stupendi, espresso concetti artistici, psicologici e sociologici, validi per la società dell’epoca in cui hanno vissuto, ma letti in un’aula Universitaria mi onora e mi voglio augurare raggiungano il vostro cuore, perché spiegano i disagi e le paure umane. Va anche detto che ogni artista ha un proprio modo di sentire e concepire l’Arte, non è soltanto lo stile o il linguaggio che adopera, ma è la connessione che avverte nel proprio cuore. Il Creativo nell’Arte da me analizzato è stato vagliato e scandagliato seguendo le varie correnti filosofiche e spirituali del passato, dal presente… e mi voglio augurare anche del futuro…! B. Croce, considerava l’arte un linguaggio, uno spirito che s’incarna nell’uomo e attraverso la sua volontà crea immagini simboliche, infatti, l’opera d’arte nasce dal sentimento e dalla passione, come manifestazione dello spirito assoluto. Per noi cultori e professionisti dell’Arte il vero soggetto del linguaggio artistico è la manifestazione di un essere che trascende e domina l’uomo. Gli acrostici di mia fattura ne sono una confer“Rosone” di Giovanni Cimino, dipinto a smalto ma. su lastra di metallo. Articoli e Corrispondenze da spedire a C.P. 500 COSENZA Redazione - Corso L. Fera, 134 Tel. 0984 483050 - 87100 COSENZA www.centrobachelet.it E-mail: [email protected] — Aut. Trib. Cosenza n. 520 del 9 maggio 1992 — ******* Centro Socio-Culturale “VITTORIO BACHELET” Il Centro Socio Culturale V. Bachelet, costituito nel 1981, ha modificato il proprio statuto con atto Notarile per il Dott. Nicola Micciulli, notaio in Cosenza il 23/09/1998 al n. 4092, la sua sede sociale è in Cosenza in Corso L. Fera, n. 134, cap 87100, telefax 0984/483050. Codice Fiscale 98002880783 Partita I.V.A. 01612500783 Codice e Natura Giuridica n. 91.33.0. Ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato ai sensi dell’art. 12 dei CC. e dell’art. 14 del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, con deliberazione del D.D.G. n. 375 del 20.9.2000 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 105 dell’8/11/2000. Risulta iscritto al n. 160 del Registro Regionale del Volontariato con Deliberazione della G.R. n. 5991 del 4.11.1998. Con D.D. n. 7203 del 24.7.2001 della Regione Calabria, il Centro Culturale “V. Bachelet” ai sensi della legge 16/85 – art. 6 – 3° comma è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni, Fondazioni ed Istituti Culturali della Provincia di Cosenza. Oggi Famiglia 14 SOCIETÀ Maggio 2006 Gravemente malnutriti centinaia di migliaia di bambini delle comunità nomadi pastorali del Corno d’Africa Ginevra, 15 maggio 2006 - L’UNICEF lancia l’allarme: nonostante le piogge torrenziali di aprile, decine di migliaia di bambini delle comunità pastorali rischiano la morte in una delle regioni più inospitali del mondo. In occasione della presentazione a Ginevra del rapporto “Infanzia a rischio: il Corno d’Africa” - reso pubblico insieme al relativo appello di raccolta fondi, diretto a coprire i 54 milioni di dollari non ancora raccolti, su un ammontare totale stimato necessario in 80 milioni - il vice direttore generale dell’UNICEF Rima Salah ha sottolineato come le recenti piogge abbiano paradossalmente acuito la crisi in alcune aree, procurando un sollievo molto limitato in altre. “La siccità ha ucciso quasi la metà dei capi di bestiame delle popolazioni pastorali del Corno d’Africa”, ha dichiarato Rima Salah. “La pioggia non restituirà a queste popolazioni il bestiame perso. Un pastore senza il gregge è come un agricoltore privo di sementi: un essere umano costretto a lottare per trovare cibo, acqua potabile, riparo e un espediente per guadagnare i soldi necessari a mantenere i suoi figli in vita”. Negli ultimi anni, il Corno d’Africa ha subito un progressivo inaridimento, a causa di gravi e ripetute siccità; nel 2000, almeno 100.000 persone morirono durante la siccità che colpì la regione. La maggior parte delle vittime della carestia attuale fa parte dei 16 milioni di pastori nomadi che si muovono lungo le terre di confine di Kenia, Somalia ed Etiopia. Circa la metà di questi sono stati gravemente colpiti e hanno bisogno d’assistenza; 1,6 milioni sono bambini con meno di 5 anni d’età. Tra i principali aspetti che emergono dal rapporto “Infanzia a rischio: il Corno d’Africa”: • Circa 40.000 bambini risultano talmente malnutriti che rischiano di morire nei prossimi mesi; • In molte aree le recenti piogge torrenziali hanno aggravato la crisi, uccidendo il bestiame, creando focolai di malaria e di altre malattie, hanno distrutto i raccolti e inquinato le già scarse fonti idriche. • La maggior parte dei bambini colpiti appartiene alle vaste comunità pastorali del Corno d’Africa. • Il ciclo ricorrente di crisi nel Corno d’Africa può essere interrotto solo rendendo disponibili in misura massiccia servizi mobili sul territorio, che sostengano e si adattino al tipico stile di vita pastorale. E’ possibile sostenere gli interventi dell’UNICEF nel Corno d’Africa con: - una donazione on line o al Numero verde gratuito UNICEF 800745.000 - un versamento sul conto corrente postale n. 745.000, intestato all’UNICEF Italia, causale “Emergenza Corno d’Africa” - un bonifico bancario sul c/c n. 000.000.510051, intestato all’UNICEF Italia, presso Banca Popolare Etica, CIN “R”, ABI 05018, CAB 03200, causale “Emergenza Corno d’Africa“ - una donazione presso una delle sedi dei Comitati regionali e provinciali dell’UNICEF in tutte le principali città italiane. Oggi Famiglia 15 POLITICA Maggio 2006 TRAFFICO, UNA TRAPPOLA di Luigi Scarpelli Quando, in auto e “convenientemente” incavolato, mi ritrovo intrappolato in mezzo al traffico, in città o fuori fa lo stesso, il pensiero, quasi automaticamente, vola alla vicenda di Zì Dima, il simpatico personaggio de “La giara” pirandelliana che, incaricato dall’arrogante e causidico don Lolo’ di riparare, appunto, una grossa giara, finito il lavoro, che ha eseguito dall’interno della stessa, vi resta, non certo per sua volontà, prigioniero. L’auto, indubbiamente una meravigliosa invenzione che avrebbe dovuto assicurarci una maggiore libertà di movimento e quindi, una invidiabile indipendenza, è diventata, in considerazione della sua inarrestabile e aggiungo, irresponsabile diffusione, la principale componente di una vera e proprio trappola. E per nostra libera scelta! Negare peraltro che l’industria automobilistica e tutto quanto le gira intorno rappresenti ora una delle colonne portanti dell’economia d’uno stato moderno, sarebbe addirittura blasfemo, ma è altresì innegabile che, se vogliamo evitare guai peggiori, dobbiamo avere il coraggio e la forza di darci, come suol dirsi, “una calmata”. Siamo ormai – e da più tempo – alla saturazione! Apri a caso il televisore, e trovi un “intervallo”con una serie di spot che incoraggiano l’acquisto dei diversi tipi di auto o di moto, le più potenti e veloci, con una soffocante e arrogante invadenza. Passano pochi istanti e riprende il telegiornale: “tre giovani sono morti in un pauroso incidente stradale e dai primi rilevamenti risulta che l’auto, guidata da uno di loro, andava a fortissima velocità”. A che serve raccomandare prudenza, quando con immagini e verbosità ossessive e alienanti si esaltano le eccezionali doti di codesti mezzi, capaci di favorire, soprattutto nei giovani, eccessivi entusiasmi, ma di causare anche grandi e dolorose tragedie, di aggravare l’inquinamento atmosferico, con inevitabili conseguenze per la nostra salute, e la crisi energetica, che da più tempo attanaglia l’occidente e che, impoverendoci, spalanca desolanti scenari di una civiltà in declino? Animati da una sorta di “cupio dissolvi”, non riusciamo a fare un più ragionevole uso della nostra auto che, lungi dal restare sempre e solo un mezzo di trasporto, che tale è, si trasforma il più delle volte in un chiassoso distintivo da esibire dovunque e sotto varie forme. Basta infatti porre attenzione a come si svolge il traffico nella nostra città. E’ il caos: macchine, talora le più importanti e monumentali, parcheggiate male in prima, seconda e, tutt’altro che raramente, in terza fila; autobus che, impossibilitati a proseguire, danno il via, corroborati dalle auto, pur esse bloccate, a un assordante concerto, cui spesso si associa l’ululato della sirena di un’autombolanza la quale, allo scopo di salvare una vita, reclama, in maniera perentoria e lancinante, più spazio e strada libera. E tutto ciò perché utilizziamo la nostra auto scriteriatamente: poca gente, infatti, va a fare la spesa camminando a piedi o salendo su un mezzo pubblico, e così, per acquistare magari un pacchetto di sigarette o un mazzo di cipolle si ricorre all’auto, che sciaguratamente si lascia nel frattempo in mezzo alla strada. Non è certo, codesto, un bel vivere! Bisogna che tutti e ciascuno, ci diamo da fare per migliorare le cose, pure a costo di sacrifici. Dovremo essere noi, e solo noi, ad allargare le maglie della trappola che lentamente e inesorabilmente sta per strozzarci. Lasciamo pure riposare la macchina in garage, qualche volta, e moviamoci a piedi. Fa bene alla salute perché finalmente respireremo meglio, a pieni polmoni. A liberare zì Dima fu lo stesso don Lolò, il quale, dopo un lungo e concitato dialogare con il conciabrocche e con la piccola folla, che si era raccolta sull’aia e che s’era con quest’ultimo schierata, allungò un poderoso calcio alla giara che, frantumandosi contro un albero, lasciò finalmente libero il gongolante zì Dima, da tutti applaudito. Lo strillone di Francesco Gagliardi Con l’avvento della televisione, del televideo, del fax, delle Agenzie di Stampa, il mestiere dello strillone è antiquato e superato. Le notizie in un attimo vengono diramate dappertutto, grazie ai progressi delle telecomunicazioni. Le notizie dell’ultima ora entrano in tutte le case, prima ancora che i giornali le stampino. Una volta, invece, era lo strillone, venditore ambulante di giornali, che con un pacco di giornali sotto il braccio gridava per le vie le notizie principali e più interessanti in essi contenuti e invitava la gente a comprarli per approfondire le notizie. A volte esagerava, talvolta inventava le notizie di sana pianta, gridando: - Edizione straordinaria! Ultime notizie! Grave fatto di sangue a… - sciorinando un vasto repertorio tratto dalla cronaca nera. Ebbi il piacere di conoscere alcuni strilloni quando venni a Cosenza per la prima volta sul finire degli anni quaranta. Che personaggi simpatici! Gridavano ad alta voce, nelle vie anguste della città vecchia, i titoli dei giornali con la speranza che qualcuno si affacciasse dalle finestre e dai balconi. Invitavano la gente a comprare i giornali, le riviste in voga in quei tempi, illustrandone per sommi capi le notizie più piccanti e più divertenti. Anche allora i lettori dei quotidiani erano pochissimi. Il costo del giornale era intorno alle 20 lire, ma non tutti potevano permettersi di spendere quella modesta somma per la lettura e tantissimi poi erano analfabeti. Se compravano Bolero film e Grand Hotel, li compravano perché le storie erano illustrate e di facile comprensione, anche se non erano in grado di leggere le didascalie. Simpaticissimo era lo strillone conosciuto da tutti come “Nunuzzu”. Era un po’ balbuziente ed ogni mattina, prima che mi recassi a scuola, sotto la mia finestra, con un mazzo di giornali sotto il braccio gridava a squarciagola: - Giornali, il Mattino, il Messaggero, giornale d’Ita, d’Ita, d’Italia, Roma, a Tibunaa!- La Tibuna era la Tribuna illustrata. Erano i giornali più venduti allora nell’Italia meridionale. Il Corriere della sera, era il giornale della classe sociale più evoluta ed arrivava nelle edicole nel tardo pomeriggio. Un altro personaggio simpaticissimo era “Turdiddu”, il quale andava in giro con l’Ape a vendere i giornali declamando la formazione del Cosenza e gridava a squarciagola: -Forza Cosenza, forza Lupi, forza Palpaceli-. Palpaceli era il giocatore, il più famoso, della squadra di calcio cosentina. Morì tragicamente in un incidente stradale in Via Popilia. E chi non ricorda con nostalgia “Ciccio a gazzellina”. Fino a pochi anni fa girava per le vie della città di Cosenza con la sua Vespa tutta sgangherata e gridava: - Forza lupi, a ttie lupi, a gazzellina!- “A gazzellina” era il giornale “La gazzetta del sud”. Faceva servizio anche a domicilio. Aveva i suoi fedelissimi lettori ed ogni mattina sull’uscio della porta di casa immancabilmente d’inverno e d’estate trovavano il giornale desiderato con le notizie dell’ultima ora. Oggi Famiglia 16 POLITICA Maggio 2006 Habemus presidentem GIORGIO NAPOLITANO 81 anni e non li dimostra Nato a Napoli il 29 giugno 1925, Giorgio Napolitano è l’11° Presidente della Repubblica italiana e succede a Carlo Azeglio Ciampi. Laureato in giurisprudenza all’Università di Napoli, nella sua città natale inizia la militanza politica nel 1942 in un gruppo di giovani antifascisti e comunisti e nel 1945 entra nel Partito comunista italiano, per il quale diviene responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale Pci, a testimonianza della sua sensibilità nei confronti delle politiche per il Mezzogiorno. Nel 1953 è eletto per la prima volta deputato. Dopo il X congresso del Pci, tenutosi nel 1962, entra nella Direzione nazionale del partito e dal 1976-79 è responsabile della politica economica del partito e dal 1986 dirige la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. Nel luglio del 1989 ricopre la carica di Ministro degli Esteri e dopo il Congresso di Rimini aderisce al Partito democratico della sinistra, per il quale fa parte della direzione e del coordinamento politico. Dal 1989 al 1992 è membro del Parlamento europeo. Il 3 giugno 1992 è eletto Presidente della Camera dei deputati. Nel Governo Prodi (1996-1998) è Ministro dell’interno e per il coordinamento della protezione civile. Il 23 settembre 2005 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. di Oreste Parise Con l’elezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica si è completata la “trimurti” delle più alte cariche dello Stato, i garanti istituzionali che vigileranno sulla correttezza costituzionale dell’esecutivo che dovrebbe sorgere a breve. La fragile maggioranza uscita dalle urne ha retto all’impatto di una serie molto insidiosa di votazioni a scrutinio segreto. Tutti i tristi e cupi presagi di una coalizione che avrebbe dovuto sciogliersi come la neve al primo sole di primavera, sono stati smentiti. I reiterati tentativi di delegittimazione del risultato elettorale, la risicatezza di una vittoria difficile da replicare, i continui vaticini di una fine prossima ventura, ha rinsaldato le fila, ha messo all’angolo le polemiche e ricompattato la maggioranza, conscia che qualsiasi errore sarà pagato duramente non soltanto con lo scioglimento anticipato della legislatura, ma con un ritorno alla scomoda posizione di opposizione combattente. Il risultato delle urne ha mostrato che vi è un elettorato fedele, che non cambia facilmente opinione al di là di quel magma di voti eternamente fluttuanti ed influenzabili all’ultimo momento. L’identificazione ideologica in un partito che caratterizzava la prima Repubblica, si è trasformata nell’identificazione in uno schieramento, e le fluttuazioni sono molto più marcate all’interno dei polli che tra i poli. Questo provoca una continua fibrillazione nelle coalizioni poiché i partiti che le compongono cercano visibilità per aumentare il loro peso elettorale e, di conseguenza, la loro capacità di contrattazione. L’elezione di un ex-comunista alla più alta carica dello Stato ha definitivamente sgretolato il fattore K, quella implicita esclusione dei “comunisti”, considerati buoni per tutti i ruoli, salvo quello di rappresentanza e garanzia ai più alti livelli istituzionali. Il fattore k avrebbe dovuto perdere ogni significato con il crollo del muro di Berlino ed il Congresso della Bolognina, dove sotto la regia di Achille Occhetto si è chiusa la parentesi del PCI per iniziare il cammino verso una nuova formazione socialdemocratica. Vi ha pensato Berlusconi a tenere viva l’attenzione e agitare ancora una volta lo spauracchio dei cosacchi che abbeverano i cavalli a Fontana di Trevi, i cinesi che bollono i bambini per trasformarli in concime e tante altre amenità. Egli vanta una profonda e duratura amicizia con lo zar Putin, ex-comunista, ex capo del famigerato KGB, despota di tutte le Russie. Basta la sua benedizione per trasformare il governo russo in una democrazia pienamente realizzata, con un governo pienamente democratico, la più assoluta libertà di stampa ed il totale rispetto dei diritti umani. L’elezione di un appartenente ad un partito che non esiste più da anni, di una persona che in tutti i ruoli che ha fin qui rivestito ha mostrato un grande equilibrio, un comportamento da grand commis, dovrebbe rappresentare un atto eversivo, un pericolo per l’Italia e mettere in discussione la democrazia. Egli è prigioniero dello stereotipo che ha inventato in campagna elettorale che lo costringe al proseguimento ad libitum di una finzione che lo porta alla esigenza di creare uno spauracchio per poter concentrare l’attenzione degli elettori, distogliendoli dai problemi reali, dalle tante contraddizioni che hanno caratterizzato la sua azione di gover- no.La fase post-elettorale è stata proprio infausta per il Cavaliere che non riesce a capacitarsi di aver perso sul filo di lana una partita giocata allo spasimo utilizzando tutti i trucchi e trucchetti della sua eccelsa capacità di prestidigitatore ed illusionista mediatica. Con ruoli rovesciati si è verificato quanto temuto, che cioè una risicata maggioranza ha fatto l’en plein, occupando tutte le più alte cariche istituzionali. Il Cavaliere ha vivacemente protestato arrivando fino a minacciare lo sciopero fiscale, in uno scatto di quel populismo eversivo che lo assale a tratti, come quando trova candidamente naturale che gli operai di Termini Imerese in Cassa Integrazione si arrangino alla bisogna, o invoca l’abusivismo di necessità, l’eticità dell’evasione fiscale se le aliquote sono troppo penalizzanti, e così via. Tutto ciò è eticamente inaccettabile poiché crea una morale elastica, adattabile alla bisogna. Lo stesso suo fido alleato Gianfranco Fini mostra qualche perplessità: “Non condivido gli appelli a non pagare le tasse: pagarle rappresenta un dovere del cittadino”. Un esito diverso del risultato elettorale, avrebbe portato ad un risultato simile, a facce rovesciate, che avrebbe creato grande sgomento ed angoscia in coloro che temevano un regime di fatto costruito sul controllo di tutte le istituzioni, una immensa ricchezza e l’asservimento degli organi massmediali. Si può ribattere che la frammentazione della sinistra, crea un pluralismo nella rappresentanza, che vi è un compiuto senso dello Stato ed una maggiore garanzia di neutralità nello svolgimento di queste alte funzioni. Ma sono comunque giustificazioni deboli che nascono da una malcelata supponenza, da un giudizio di superio- Oggi Famiglia 17 rità morale che non possono trovare favorevole accoglienza nella metà perdente dell’elettorato. Vi è una sorta di fastidio a porsi su di un piedistallo e considerarsi gli unici depositari del buon governo. Bisogna necessariamente concludere che si è creata un meccanismo zoppo, un sistema che non ha uno schema di pesi e contrappesi in grado di garantire un equilibrio del sistema, come era delineato con molta precisione nel disegno dei padri costituenti. Il prossimo vincitore si troverebbe nella identica condizione di poter ripetere l’en plein sebbene non in sincronia poiché il settenato quirinalizio scadrà nel mezzo del mandato. Si rende indispensabile ed urgente un complessivo riassetto delle regole, a cominciare dalla solenne bocciatura della sciagurata riforma costituzionale, che stravolge ulteriormente l’intero sistema. Il suo difetto più grande, al di là degli aspetti specifici, è di essere stata concepita come una riforma di parte, una imposizione a suon di maggioranza, che trova la fiera e decisa opposizione di una fetta consistente dell’elettorato. Il diffuso dissenso non garantisce l’esito del referendum poiché, in assenza di quorum, saranno pochi a decidere per tutti. La grande maggioranza faranno finta di non aver capito e se ne staranno a casa, indignati di essere disturbati così tante volte in un arco breve di tempo.Un augurio sincero al Presidente Napolitano. Con il suo aplomb partenopeo contribuirà a rivalutare la figura del Meridionale, conosciuto al Nord con i giudi- POLITICA zi preconcetti di criminali incalliti, l’opinione precostituita di lavoratori scansafatiche, di spreconi di risorse pubbliche generosamente elargite da mamma Stato. L’augurio è che possa contribuire con il suo rigore morale e la salomonicità dei giudizi, a rasserenare gli animi Maggio 2006 ed aiutare le forze politiche a collaborare per la formulazione di un insieme di regole condivise, la costruzione di un nuovo patto per l’Italia che favorisca una interazione tra gli organi costituzionali, a ricomporre l’equilibrio evitando qualsiasi forzatura a maggioranza che stravolga l’assetto costituzionale QUIRINALE: pessimo esempio di comunicazione pubblica di Mario Caligiuri ROMA (9.5.06) - “Il Quirinale e’ il peggior esempio di comunicazione pubblica per verificare come viene utilizzato il denaro dei cittadini”. E’ questo il commento di Mario Caligiuri, professore di comunicazione pubblica e pedagogia all’Università della Calabria e a “La Sapienza” di Roma, intervenendo oggi a Roma al Forum P.A durante il convegno: “Comunicazione pubblica spreco o valore? Il ruolo della valutazione”.”Infatti - ha sostenuto il professore - mentre, per esempio, negli U.S.A. e in Germania per sapere come vengono spesi i soldi del Presidente basta un semplice fax, in Italia questo non avviene per una inspiegabile “consuetudine costituzionale”. Infatti, si conosce solo l’importo complessivo assegnato al Quirinale, ma non il dettaglio delle spese. Esiste un altro caso analogo in Italia: quello dei “servizi segreti”, dove è però necessario mantenere il riserbo sull’uso dei fondi a differenza del Quirinale. E questo diventa surreale se aggiungiamo la circostanza che finanche il numero preciso dei dipendenti sul Colle più alto della Repubblica sia avvolto nelle nebbie. Sono forse circa 2000 – ha detto Caligiuri – mentre alla Casa Bianca, dove il presidente è contemporaneamente Capo dello Stato e del Governo, sono intorno a 400, compresi cuochi, giardinieri e anche stagiste. Altro paragone illuminante, è quello con la Presidenza della Repubblica irlandese, che ha gli stessi compiti della nostra, dove i dipendenti sono solo 12”. Caligiuri ha concluso dicendo che: “sarebbe un eccellente esempio di comunicazione pubblica e di indubbio valore educativo, che una delle prime azioni del nuovo Presidente della Repubblica fosse quello di comunicare i costi del Quirinale, oltre a ridurli seriamente. Sarebbe un bell’esempio anche per la nostra Camera dei Deputati che costa, in modo assolutamente ingiustificato, dieci volte di più della analoga istituzione spagnola”. Oggi Famiglia 18 SANITÀ Maggio 2006 La Presidente Nazionale dell’Ordine degli Infermieri a Cosenza MAGGIORE QUALIFICAZIONE DEL RUOLO DEGLI INFERMIERI NELLA SANITA’ Iniziative informative e culturali per la giornata internazionale dell’infermiere del 12 maggio di Sante Casella La presidente nazionale dell’Ordine degli Infermieri, Annalisa Silvestri, accompagnata dai componenti del Consiglio Nazionale, ha incontrato, presso l’Ordine provinciale di Cosenza, i responsabili dei cinque collegi Ipasvi della Calabria. Ha fatto gli onori di casa Francesco Spadafora, presidente dell’Ipasvi di Cosenza. Nel corso dell’incontro, la Silvestri ha illustrato le linee programmatiche della numerosa categoria infermieristica nel panorama del Servizio Sanitario nazionale e regionale, conseguente alla recente legge quadro, che ha istituito, appunto, l’Ordine degli Infermieri. (Si è in attesa del decreto attuativo) Lungo il percorso del potenziamento del ruolo professionale degli infermieri, l’Ordine si muove per raggiungere obiettivi avanzati sul piano dell’organizzazione, della qualificazione dell’assi- stenza e del rapporto con i pazienti e relativi famigliari; nonché per conseguire risultati concreti in tema di coinvolgimento dirigenziale degli infermieri, a livello gestionale, clinico e nella formazione ed aggiornamento della categoria. Tenendo ovviamente conto della formazione universitaria, che – a giudizio della Silvestri – dovrà sfociare, nel tempo, nell’acquisizione di funzioni di docenza per gli infermieri qualificati attraverso la laurea in Scienze Infermieristiche e la frequenza dei Master di primo e di secondo livello. “Nella sanità italiana- ha concluso la presidente Silvestri – gli infermieri sono la componente importante e maggioritaria rispetto alle altre professioni sanitarie, pertanto dovranno incidere sempre di più, nel rispetto del ruolo e delle funzioni degli altri professionisti sanitari, nelle scelte organizzative, gestionali, cliniche, dirigenziali e disciplinari”. Nel quadro delle manifestazioni programmate per la “Giornata Internazio- nale dell’Infermiere” che cade il 12 maggio, l’Ordine Nazionale – in collaborazione con le Organizzazioni sindacali di categoria – vuole raggiungere, tramite i mass media, l’opinione pubblica con un messaggio ed un slogan del seguente tenore: “Più infermieri più salute – Più infermieri… una risorsa per la Sanità!” “Un numero maggiore d’infermieri può salvare vite umane, migliorare le prestazioni sanitarie, garantire degenze più brevi e un’adeguata assistenza a domicilio. Più infermieri per un sistema sanitario di qualità al servizio dei cittadini.” Va detto, infine, senza enfasi e senza timore di esagerare, che i professionisti infermieri, sempre a contatto diretto con i malati e i loro familiari, in maggioranza nelle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali, vogliono essere motivati e in prima linea per un’assistenza qualificata e sempre più umanizzata e personalizzata. La riunione del volontariato sociosanitario nella sede della Lega Tumori di Cosenza PROGETTO ASSISTENZA DOMICILIARE E HOSPICE PRONTO LA FINE DEL MESE DI APRILE di Sante Casella Si è svolta nel Centro sanitario “W. Marino” della Lega Tumori di Cosenza l’annunciata riunione delle Associazioni del Volontariato sociosanitario per la presentazione della proposta-progetto per l’assistenza domiciliare e la creazione dell’hospice. “A Cosenza – ha detto il prof. Pugliese, responsabile del progetto – manca un hospice per accogliere anziani e pazienti bisognosi d’assistenza continua; come manca un servizio d’assistenza sanitaria, sociale, psicologica, umana a molti malati terminali e malati cronici. “Per la realizzazione del progetto occorre l’adesione convinta e motivata di tutti. Perciò dobbiamo costituire una rete di collaborazione e di solidarietà che ci consenta di andare verso l’’obiettivo dell’Hospice. Perciò le Associazioni sono invitate a fornire l’adesione e di operare insieme alla Lega in questo percorso di attività a favore dei bisogni reali dei cittadini di Cosenza e dell’hinterland.” Alla riunione hanno partecipato: per la Lega Tumori il prof. Pugliese coordinatore del progetto, l’avv. Francesco Martire ed i consiglieri Abonante, Granata e Mattaraggia; in rappresentanza del Centro Servizi del Volontariato, la presidente Annamaria Odoardi; per l’Associazione Onlus G. De Maio, la presidente Francesca De Maio; per il Rotary di Cosenza, il dr. Romano; per la Croce Rossa la sig.ra Pastore; per l’AS n. 4 la responsabile dell’Adi, dr. Pecoriello; per l’Associazione donne medico, la prof. W. Marsico; per la Sorop-Timist Club. la sig.ra Vocaturo; per la Colomba Onlus la sig.ra Stancati. Sono intervenuti nella discussione aderendo all’iniziativa e formulando proposte operative concrete: Martire consigliere nazionale Lega Tumori, Casella giornalista, Salamanca radiologo, Liguoro oncologa, Pecoriello responsabile AS. 4, Abonante chirurgo senologo, Marsico medico, De Maio resp. Ass. G. De Maio, Romano ostetrico, Anna Maria Odoardi del C.S.V. La riunione si è conclusa con l’unanime promessa di perfezionare il progetto entro la fine del mese, per poterlo presentare, nel mese di maggio, all’Azienda Sanitaria ed all’Assessorato alla Sanità per la sottoscrizione d’apposita convenzione ai sensi della Legge regionale n. 9 del 12.4.99 avente per oggetto: “ Collaborazione coordinata e articolata tra Regione Calabria e Lega contro i Tumori”. Oggi Famiglia 19 SANITÀ Maggio 2006 Dello stress e dei suoi effetti perversi di Giovanni Chilelli Il termine stress, di origine inglese, è entrato prepotentemente nel linguaggio comune di quasi tutte le popolazioni del pianeta Terra. Letteralmente significa “sforzo, tensione, spinta” riferibili a delle attività dell’uomo quando superano i limiti di sopportabilità della nostra sfera emotiva e che si riscontrano in particolari stimoli esterni, capaci di suscitare in noi spavento, delusione, angoscia, stanchezza fisica e psichica, avvertita incapacità di sapere agire adeguatamente contro tali condizioni negative, che determinano l’insorgenza del fenomeno. E’ bene tener presente che l’uomo, da sempre, è alla ricerca di una vita tranquilla, di quiete, di pause di rilassamento del corpo e della mente per meglio affrontare i problemi della vita con cui egli deve misurarsi. Un’aspirazione che, nella frenetica società di oggi viene delusa in modo assai pesante. Dalla mattina alla sera, infatti, si corre da una parte all’altra per uscire a risolvere tutta una serie di problemi esistenziali, alcuni dei quali creati da noi stessi. Vita caotica in famiglia, in città, nei luoghi di lavoro, nelle informazioni dei mass-media e della carta stampata, che ci propinano immagini di disastri, di guerre, di sciagure familiari ed altre delizie del genere a cui siamo abituati ad assistere un giorno sì, e l’altro pure. A ciò aggiungasi una generale incertezza sul presente e un profondo sconforto sul futuro nostro e dei nostri figli, che, di per sé, sono sufficienti a determinare uno stato di tensione dagli sbocchi facilmente intuibili. E tale stato ipertensivo non nasce mai da futili motivi, ma da problemi d’una certa consistenza e, forse, d’una drammaticità palese o, addirittura, subdola. Uno stato di stress può evidenziarsi allorquando lo stile di vita d’una persona è palesemente in disordine perché improntato a delle smodate ambizioni di carriera, di ulteriori affermazioni nel proprio campo lavorativo con la conseguente rincorsa verso rimunerazioni più consistenti, che richiedono forzate condizioni di superlavoro. A tali ambizioni si affiancano, spesso, sregolatezza di costume e rincorsa verso l’edonismo, il piacere fisico come puro divertimento a cui si dà eccessiva importanza. Ma lo stesso Epicuro che pur esalta l’hēdonē come principio della sua filosofia, afferma che la felicità consiste, per quanto riguarda il corpo nella privazione del dolore, e per quanto riguarda l’animo, nella piena tranquillità: “Corpo sano ed anima tranquilla”. In quest’ultima affermazione è contenuta una valida indicazione per evitare di precipitare nelle spire dello stress. A sostenere tale concetto filosofico ci viene in aiuto lo stesso Seneca quando afferma che “ vivere secondo ragione e non per altri calcoli è appannaggio solo del saggio”. Nella nostra società abbondano casi in cui alcune donne, forse più per “apparire” che per “essere”, si gonfiano a dismisura il volume dei loro lavori quotidiani con tutta una serie di impegni tanto frivoli quanto inopportuni perché ledono enormemente la loro stessa serenità. E con l’occhio fisso sulle lancette dell’orologio, che impietoso segna il trascorrere del tempo, si affannano ad accompagnare i loro bimbi, dapprima alla Scuola per l’Infanzia o a quella Elementare e quindi, sempre di corsa, a lezioni di musica e /o di danza, alla palestra per praticare uno sport, che in effetti piace a loro e molto di meno ai bimbi. A tutto questo va aggiunto l’impegno per il lavoro in casa e fuori casa ed ecco che le precondizioni per il sorgere dello stress ci sono tutte. E il ménage familiare ne rimane fortemente compromesso. La presenza dello stress si manifesta quando proprio la sfera emotiva si viene a trovare in uno stato di disagio, e l’intero organismo, sollecitato dal cervello, reagisce chiamando a raccolta tutte le sue forze per affrontare adeguatamente gli insulti che caratterizzano il prevalere del disturbo stesso. Qualora lo stato d’allarme è di breve durata, di sicuro esso ha un effetto positivo in quanto il riunirsi d’un maggior numero di energie, rende possibile gestire al meglio la situazione. I veri problemi iniziano quando la situazione di allarme si protrae per un periodo di tempo prolungato. E’ il caso di sottolineare che lo stress è un problema di natura psico-fisica, che richiede un’attenzione particolare per cercare di evitare conseguenze, a volte, non di facile soluzione. Psichico, perché la resistenza agli sforzi, alle tensioni esercitate sulla mente umana hanno un loro limite, e quando questo viene oltrepassato, interviene una sorta di “cedimento”, che consente l’insorgere di irritabilità, agitazione, nervosismo, intolleranza, che portano le persone ad agire, come suol dirsi, fuori dalle righe. Fisico, perché gli organi maggiormente interessati al fenomeno, come l’ipotalamo e il cuore, vengono sollecitati ad un deciso intervento. Il primo è deputato a rilasciare, assieme ad altre ghiandole, forti quantità di ormoni cortisonici e adrenalina, capaci di creare, da soli, una serie di problemi a volte anche molto seri. Il secondo, il cuore, è uno degli organi che risente maggiormente delle conseguenze dello stress, e crea scompensi, che richiedono tempestivi interventi medici. Ma è bene ricordare che lo stress è dovuto anche a difficoltà legate alla mancanza di strutturazione del tempo, alla difficoltà di sapersi impegnare a cose che possano rappresentare un valido motivo per dare uno scopo alla nostra stessa esistenza. Alcuni individui trascorrono intere giornate oziando, annoiandosi, creando quel famoso “stress passivo”, che condiziona negativamente la loro vita. Per lo stress attivo, invece, il rilassamento rappresenta una delle chiavi più efficaci per migliorare il ritmo e la qualità stessa della vita proprio perché uno stato mentale di rilassamento si ripercuote, in modo positivo, sulla salute fisica e sulla buona funzionalità degli organi interni al nostro organismo. E ricordarsi che lo stress si può prevenire cercando di “pensare” un po’ di più prima di agire frettolosamente. Se il disturbo fosse già presente, affidarsi subito allo specialista prescelto, che saprà indicare la via da seguire per intraprendere una delle tecniche di rilassamento, ritenuta più idonea. Angoli cittadini: particolare del Duomo Oggi Famiglia 20 Maggio 2006 Migliorare i servizi amministrativi e burocratici dell’Unical CODE AGLI SPORTELLI DI SEGRETERIA DELLE FACOLTÀ DELL’UNIVERSITÀ di Sante Casella Si registrano da più tempo lamentele di studenti e di fruitori dei servizi amministrativi e burocratici dell’Università della Calabria. Soprattutto agli sportelli delle segreterie studenti della maggior parte delle Facoltà. Indubbiamente alla crescita notevole del numero degli immatricolati (Attualmente gli studenti di questa università statale raggiungono il numero di 40 mila circa!) non ha fatto seguito l’adeguamento delle strutture amministrative, non tenendo conto dei reali bisogni degli utenti. Ed infatti le code agli sportelli sono sempre in aumento. Per consegnare o chiedere atti e documenti occorrono a volte ore di fila; finanche per prenotare e registrare gli esami. Il che determina perdita di tempo e stress. Pare che da qualche tempo gli addetti agli sportelli non rilascino più neanche la ricevuta degli atti e documenti che vengono presentati, con perdita di tempo e di pazienza dei malcapitati fruitori dei servizi universitari. Perché allo smarrimento di documenti, gli interessati studenti o ex studenti devono far fronte riproponendoli con spese a proprio carico. Accade – poi – che la domanda con la richiesta della pergamena del diploma di laurea non viene protocollata alla presenza del richiedente e l’evasione della stessa richiesta viene fatta dopo mesi (ad una richiesta fatta nel mese di marzo, l’addetto allo sportello ha comunicato che per il ritiro della pergamena occorre ripresentarsi verso la fine di settembre (dopo sette mesi!). A fronte di questa situazione di disagi, code e quant’altro, è opportuno fare ai responsabili qualche domanda: 1 Perché gli sportelli aperti al pubblico sono funzionanti per poche ore al giorno? 2 Perché non viene rispettata una direttiva del Ministero della Funzione Pubblica del 1995, secondo la quale gli sportelli aperti al pubblico devono funzionare per 12 ore al giorno? 3 Perché l’informatizzazione degli uffici non ha ancora velocizzato l’evasione delle pratiche e la trasparenza nei rapporti con gli utenti dell’Università? 4 Perché i rappresentanti degli studenti, i sindacati ed i responsabili della burocrazia dell’Ateneo di Arcavacata non si pongono il problema del funzionamento ottimale della burocrazia e soprattutto delle segreterie e degli sportelli aperti al pubblico? Non dimentichiamo, infine, che l’Università dovrebbe essere, per efficienza e funzionalità, un vero e proprio faro, che si dovrebbe proiettare sul territorio, influenzando positivamente enti, strutture e gestori di servizi pubblici e privati. San Francesco a teatro di Fiorangela D’ Ippolito Ho di recente assistito alla rappresentazione di una commedia messa in scena per la prima volta dagli alunni del Liceo Classico di Paola. Il testo, dal titolo “lI mantello bucato” è imperniato sul tentativo messo in atto da un frate “indiavolato” di evitare che frate Francesco, il futuro santo di Paola, passi lo Stretto di Messina sul suo mantello. Fra’ Peppino, questo il nome del religioso che poco, in realtà, ha del titolo di monaco, decide, dunque, di tagliuzzare per bene il mantello di Fra’ Francesco, in modo tale che la traversata si trasformi in tragedia. Il Bene, però, trionfa e il santo riesce nel1a sua missione, grazie all’aiuto di Dio e dei frati buoni, primo fra tutti il fedele Fra’ Giovanni... ma le insidie del Male non si fermano ed ecco che entra in scena il Diavolo, coadiuvato dai sette vizi capitali, pronti ad attaccare Fra’ Francesco. Anche questa volta il santo avrà la meglio e vincerà il Male col suo elogio della sofferenza come banco di prova della fede. La commedia risulta ben costruita, sia nel testo che nella definizione dei personaggi. Profonde sono le riflessioni che emergono dal dialogo fra San Francesco e il Diavolo e che sembrano riecheggiare Seneca, ma con una sensibilità tutta cristiana. Eccezionale la rappresentazione del Diavolo, una seducente ed inquietante dark lady, che invita alle “gioie del Male”. Particolare la trovata dei vizi capitali che in forma di giovani fanciulle si scatenano in una danza vorticosa intorno al Diavolo. Angelica la visione della Carità che consola e sorregge fra’ Francesco. Azzeccate le musiche e le canzoni (originali) interpretate con maestria dagli attori. Curatissime le scenografie, i costumi e tutto quanto contribuisce alla costruzione del paratesto. Uno spettacolo, dunque, in cui parola, musica e danza si uniscono in perfetta sintonia e riescono a dare emozione, grazie anche alla bravura degli attori dilettanti e alla coordinazione dei docenti preposti al progetto. ... Ma forse la cosa più straordinaria è che l’autore sia un diciottenne alunno del Liceo Classico di Paola, Franco Staffa, un giovane che ha dato prova delle sue eccellenti doti artistiche scrivendo in pochissimi giorni la commedia e impegnandosi con gli altri per la realizzazione di questo piccolo grande sogno. In una società in cui spesso siamo portati ad avvilirci e a non credere più nella gioventù, bombardati da notizie di ragazzi che gettano al vento le proprie capacità offrendo il peggio di sé in atti criminosi, è bello e commovente vedere che ci sia chi si preoccupi ancora, cosi giovane, di produrre arte e di farlo con vera passione: è il segno, forse, come diceva qualcuno, che “Dio non è ancora stanco degli uomini”. Oggi Famiglia 21 ARTE Maggio 2006 PICASSO E IL SUO “MASSACRO IN COREA” di Giovanni Cimino Pablo Ruiz Blasco y Picasso, detto “Pablo” (Málaga 1881 – Mougins 1973) fu pittore, scultore e incisore spagnolo; in questo articolo tratto soltanto della sua pittura. Nacque da una famiglia andalusa; era figlio di María Picasso López e di José Ruiz Blasco. Suo padre era un professore di disegno presso l’Escuela de Artes Oficios (Scuola d’Arte e Mestieri) di Málaga, Pablo Picasso oltre ad apprenderne i primi insegnamenti, ne seguì gli spostamenti sia a La Coruña in Galizia nel 1891, sia a Barcellona nel 1895. In questa ultima città si iscrisse all’Accademia di Belle Arti; successivamente, nel 1897, venne ammesso a frequentare i corsi tenuti all’Accademia Reale di San Ferdinando a Madrid, ma non li frequentò e nel 1898 fu ospite del suo amico Paillarès a Horta de Ebro. Nel 1899 ritornò a Barcellona e durante il 1900 frequentò il ritrovo de “El Quatre Gats”, iniziando l’attività di illustratore di riviste. Si recò a Parigi, portando avanti le esperienze spagnole, ma stringendo importanti amicizie, fra le quali quella con il poeta Max Jacob. In un secondo viaggio le sue opere si ispirarono al sociale, ricorrendo ad una pittura monocroma, usando il colore azzurro (“periodo blu”). Di questo periodo ricordo: “Ritratto di Jaime Sabartés” del 1901; “Bevitrice d’assenzio” del 1901; “Il vecchio ebreo” del 1903; “Il vecchio chitarrista cieco” del 1903. Nel 1904 si recò a Parigi per la quarta volta e vi si trasferì definitivamente, con studio a Montmartre da P. Durio. Le opere realizzate nel periodo dal 1905 al 1906 (“periodo rosa”) furono caratterizzate dal colore rosa (incarnato) e raffigurante soprattutto il mondo del circo. Di questo periodo ricordo: “La famiglia di acrobati” del 1905; “La toilette” del 1906. Il 1907 fu l’anno della nascita del Cubismo; Pablo Picasso conobbe G. Braque e D. H. Kahnweiler promotore e storico del Cubismo. Per merito di Derain e Matisse si avvicinò all’arte africana e durante questo periodo è da evidenziare: “Les demoiselles d’Avignon”; un dipinto incompiuto eseguito nell’inverno del 19061907. Esso è considerato l’inizio del Cubismo e la chiave dell’arte moderna; è anticlassico e rivoluzionario; risente l’influsso della scultura africana e di una sintesi geometrica delle forme. La figura umana ha forte espressività, allontanandosi decisamente dalla bellezza tradizionale. Le forme sono delineate marcatamente; le linee marcate evidenziano i volumi e racchiudono le superfici. Inoltre c’è da dire che Picasso per la sua realizzazione di questo dipinto guardò alle seguenti opere: “Cinque bagnanti” di Cézanne, “Lo schiavo morente” di Michelangelo, “Il bagno turco” di Ingres e varie pitture di El Greco che presentano stringenti legami iconografici con la sua opera. In Spagna soggiornò nell’estate del 1908 a Crèteil, nell’estate 1909 ad Horta de Ebro e nell’estate del 1910 a Cadaquèsin; durante questi soggiorni estivi maturò il nuovo linguaggio nei confronti del Cubismo Analitico; il colore si ridusse principalmente alla gamma dei grigi e gli oggetti vennero scomposti in sfaccettature da permettere la visione in tutte le direzioni, armonizzandolo con l’ambiente circostante. Nel 1909 circa si verifica la rottura con la prospettiva rinascimentale, con la quale venivano rappresentate le tre dimensioni dello spazio (larghezza, altezza e profondità) sulla superficie piana; tale rottura avvenne con le opere di Picasso e di Braque. Fra tutte le sue opere di questo periodo (1908-1910) ricordo: “Fabrica a Horta de Hebro” del 1909. Ma l’analisi delle forme era un’analisi non valida, perché mutila e parziale; era difficile al fruitore attribuire i piani appartenenti al suo volume, né il colore era di aiuto per individuarlo, poiché esso veniva usato, per tutti gli oggetti, a velature o piccoli tocchi di colore grigio ed ocra. Picasso e Braque cercarono di riparare alle difficoltà di leggere le loro opere e a partire dal 1910 le arricchirono con particolari figurativi schematici. Fra i particolari figurativi schematici che arricchirono, in un se- condo momento, le opere pittoriche di Picasso e di Braque vi erano anche le imitazioni delle venature proprie del marmo o del legno o motivi decorativi di tappezzeria che ben presto suggerirono l’uso della tecnica espressiva del “collage” (collaggio o incollamento); consiste nell’applicare sul supporto (superficie dell’opera pittorica) alcuni materiali eterogenei o anche oggetti. Per la realizzazione del “collage” cubista (1912) si fece uso soprattutto di carte incollate (“papiers collés”), usando esclusivamente pezzi di carta. I pezzi di carta incollati differenziavano le superfici, creando un contrasto di tono il quale generava relazioni spaziali completamente nuove. Con i “papiers collès” Picasso si metteva apertamente in polemica nei confronti del concetto tradizionale di “pittura”, ovvero: di tecnica espressiva pittorica. Picasso (insieme a lui anche Braque, ma con evoluzione più lenta) era consapevole che il Cubismo Analitico faceva perdere all’oggetto densità ed omogeneità, intaccandone l’identità, così, nel 1913, decise di cambiare il suo metodo perché per raffigurare un oggetto non c’era bisogno di osservarlo, ma di fissarne le peculiarità principali in una sola immagine e, inoltre, di usare colori vivaci. La denominazione di Cubismo Eidetico in sostituzione a quella di Cubismo Sintetico è ritenuta più appropriata da Guy Habasque. Nel 1915 morì di tubercolosi Eva, la sua donna amata, e Picasso ebbe una crisi sia artistica, sia esistenziale; lasciò Montparnasse per andare ad abitare in una casetta a Montrouge. Nel 1917 visitò l’Italia ( Firenze, Roma, Pompei e Napoli) rimanendo attratto dall’arte classica; influsso che lo fece ritornare, per poco tempo, alle forme realizzate durante il “periodo rosa” e a forme monumentali appartenenti al mondo classico. Dopo il 1920 produrrà una serie di figure femminili, le “bagnanti”, ispirandosi all’arte di Pompei. Combattuto fra classicismo e la negazione del classicismo, approdò al Surrealismo, con la sua opera: “La danza”. Nel 1928 realizzò composizioni di piccole dimensioni e dai colori vivaci. Poi, nel 1930 circa, approdò ad un periodo particolare detto: “periodo dei mostri”; una delle sue opere di questa fase artistica fu: “Donna in riva al mare” del 1930. Successivamente Picasso sentì fortemente le atrocità della guerra civile spagnola; egli, nel 1935, aveva appena inciso la Minotauromachia (acquaforte), quando subito dopo fu nominato Direttore del Museo del Prado. Nel 1937 realizzò “Guernica”, ispirandosi al bombardamento del villaggio spagnolo da parte dei Tedeschi; nel periodo 1944-1945 realizzò il “Carnaio”; nel 1949 disegnò la “Colomba della pace” per il manifesto del Congresso della Pace Mondiale che si tenne a Parigi; nel 1951 dipinse “Massacro in Corea”; nel 1952 eseguì due pannelli: “Guerra” e “Pace” per la Cappella di Vallauris. Picasso, affrontando tematiche politiche, si schierò apertamente contro il Nazismo, il Franchismo e la guerra americana in Corea. Il “Massacro in Corea” venne da lui eseguito con la tecnica espressiva della pittura ad olio, usando come supporto un foglio di compensato (110x210 cm). Questo dipinto oggi si trova custodito nel Museo Picasso a Parigi. La composizione è divisa in due parti: a sinistra di chi guarda vi sono donne e bambini nudi, per simboleggiare la loro condizione di esseri indifesi; sulla destra, di chi guarda, vi sono armati minacciosi che puntano le loro armi contro un nemico inerme. In lontananza si vede una casa distrutta e un incendio. Il colore predominante è il grigio; le figure sono delineate da linee marcate. È chiaramente raffigurato il dramma della guerra che produce morte e distruzione. Durante gli ultimi anni della sua vita Pablo Picasso si dedicò soprattutto alla tematica de: “Il pittore e la modella”. La collezione privata di Picasso, contenente sue opere e anche di altri artisti, fu donata, alla sua morte, allo Stato Francese. Il Comune di Parigi decise di collocarla all’Hôtel Salé una volta ristrutturato; nel 1985 venne inaugurato come Museo Picasso. Oggi Famiglia 22 BIBLIOTECA Maggio 2006 Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia” La rubrica è a cura di Domenico Ferraro Tra la leggenda, la storia si snoda la vita di San Lucido di Domenico Ferraro Tra la storia e la leggenda, tra i costumi di ieri e i problemi di oggi, in un immaginario itinerario turistico e storico di incomparabile bellezza, si articola il viaggio, che, in compagnia di Francesco Pellegrino, facciamo leggendo la ricostruzione storica di San Lucido. E’ un itinerario culturale e paesaggistico che non finisce mai di stupirci. Contaminati dalla curiosità intellettuale dell’autore, affascinati dal suo entusiasmo e dal suo amore per la sua terra, ripercorriamo ogni aspetto della vita delle popolazioni di cui ripresenta le esperienze più vive e più significative. Non si stanca di soffermarsi su ogni ricordo, su ogni reperto, come fosse una sua prima scoperta e, a noi, di farci incantare per la meraviglia delle sue descrizioni, del suo racconto, del costume della sua gente. E’ un risvegliarsi continuo di memorie storiche, di fantasie turistiche, di cultura materiale che adorna e arricchisce ogni dirupo del suo paese. I problemi del suo racconto si dipanano con soprendente naturalezza. Nei reperti ti fa leggere e scorgere le avventure del passato e la bellezza storica si confonde con l’amalliante bellezza della natura della sua San Lucido. L’originalità descrittiva della storia viene espressa con vivacità intellettuale, con avvedutezza scientifica, con correttezza storica e con la precisione paesaggistica del geografo, che riconosce ogni luogo e riesce ad attribuire ad esso i valori che ha rappresentato per la popolazione decorsa e ciò che può risvegliare nella curiosità della gente, che vive ancora tra tanto incanto di ricordi reali. Assieme allo scrittore respiriamo, a pieni polmoni, una boccata d’aria ricca di ossigeno e di salsedine e lungo le meravigliose coste e nei dirupi dell’entroterra ci inebriamo del passato storico, ma, anche, del presente, che non smette di ricolmarci di meraviglia, di tante significative riflessioni. La leggenda, la storia, i costumi costituiscono la traiettoria lungo la quale si snoda la ricerca di Pellegrino. Nell’ esposizione utilizza un linguaggio molto semplice, piano, piacevole, interessante. Le notizie, le intuizioni, i dati non sono mai un appesantimento della lettura, ma sono inseriti in modo tale che ci si sente obbligati a farne un riferimento, che ci induce a confrontare gli avvenimenti di ieri e le attualità di oggi. Nel racconto si percepisce continuamente un sottaciuto amore filiale dell’autore verso la storia della sua San Lucido, un amore fatto di ammirazione, di compiacimento, di una gratificante ricerca per tutto ciò che essa ha saputo realizzare durante la sua lunga gloriosa storia. I personaggi, che egli evidenzia, sono inseriti nel contesto degli avvenimenti che essi stessi hanno contribuito ad attuare, oppure sono stati vittime di un contesto storico, che non sono riusciti a dominare e a padroneggiare. Pellegrino, nella ricostruzione della storia della sua comunità, privilegia tutti questi atteggiamenti, che costituiscono e formano i costumi, i comportamenti, i sentimenti religiosi, le vicende quotidiane della gente, che, poi, sono i veri avvenimenti per capire e tracciare la vera storia di una popolazione. La finalità dell’autore è di ricostruire la storia del suo paese per lasciare una testimonianza ai giovani di oggi, che, se anche sparsi per il mondo, possano portare con loro, nell’intimo del proprio cuore e della propria intelligenza, la ricchezza culturale che hanno ereditato e che costituisce la specificità dei loro costumi, delle loro tradizioni, l’anima della loro vita più vera e più profonda. Il libro di Pellegrino se è storia, è anche cronaca antica e moderna, è poesia di una favola, che non smette di incantare chi la racconta e chi l’ ascolta, è la tessera di un mosaico policromatico, che contribuisce a formare la vita, i costumi, la civiltà del popolo meridionale. Francesco Pellegrino, San Lucido, antico paese del Sud, Grafiche Calabria, Amantea (CS) Storia delle Ferrovie in Calabria di Luigi Costanzo di Luigi Scarpelli Va subito detto che il titolo del libro è riduttivo rispetto al contenuto. L’Autore, infatti, prima di intrattenere il lettore sulla storia delle ferrovie in Calabria, traccia, sia pure per larghe linee, la storia delle ferrovie nel mondo, a partire dai “primi esperimenti di mezzi di trasporto su rotaie”, risalenti alla fine del XVII secolo, iniziati e via via perfezionati da George Stephenson, creatore della prima locomotiva a vapore e progettista della linea Stockton – Darlington di 25 chilometri. Si tratta invero di flash, redatti con linguaggio chiaro ed essenziale, ricco di significativi riferimenti storici e iconografici, questi ultimi, in buona parte rari, da considerare veri e propri documenti. Il libro consta di tredici capitoli: Le ferrovie nel mondo; Sguardo sulle principali ferrovie europee; Le ferrovie più spettacolari del mondo; Le ferrovie costruite in Italia; Tronchi ferroviari in Calabria; Le ferrovie dello Stato in Calabria; Le ferrovie della Calabria o ex FCL; Il futuro delle ferrovie calabresi; Le tramvie; Le ferrovie ad utilizzo industriale; Le ferrovie progettate e non costruite; Incidenti e disastri ferroviari; Documenti. Dopo aver sinteticamente trattato (Cap. I) dello sviluppo delle ferrovie nei cinque continenti – veniamo cosi a sapere, tra l’altro, che in Asia lo stato che possiede più linee ferrate è l’India, “sicuramente per la lunga influenza subita dall’Inghilterra”, e che nel mondo è l’America del Nord – l’Autore rivolge la sua particolare attenzione all’Europa (Cap. II), in cui, sulla scia dell’Inghilterra, i diversi stati, una volta compresa la grande utilità delle linee ferrate, si sono affrettate a realizzarle e, nel tempo, a potenziarle. Poche sono le righe dedicate da Costanzo a ciascuna nazione, ma sono più che sufficienti a disegnarne, sotto questo aspetto, il profilo, e a fornirne i dati più significativi (data di costruzione, chilometraggio, caratteristiche principali del percorso, etc, etc). Nel terzo capitolo, “Le ferrovie più spettacolari al mondo”, l’Autore si sofferma sui tracciati più particolari “laddove la natura impervia consente solo il passaggio dei treni e dove numerose sono le grandi opere d’arte, connesse ai forti dislivelli dei terreni”. La Ferrocarril Transaandino, ad esempio, lunga ben 464 chilometri scende da un’altitudine di 3.000 metri fino al golfo di Guayaquil e, nel suo insieme, è considerata la più bella ferrovia nel mondo. Né tralascia, l’Autore, di includere nel novero, e non poteva essere diversamente, il tracciato con varianti del famoso “Orient Express”, il mitico treno messo in esercizio il 1833 su idea dell’ing. G. Nigelmackers. Con la messa in esercizio della Napoli – Granatello (Portici), lunga appena 7640 metri, l’Italia dà inizio – era il 3 ottobre 1839 – alla costruzione delle sue strade ferrate e, pur tra difficoltà di ogni genere, esse raggiungono, il 31 dicembre 1931, i 22.254 chilometri. Oggi Famiglia 23 BIBLIOTECA Maggio 2006 REGALATE UN LIBRO AL CENTRO DI LETTURA DEL CENTRO SOCIO-CULTURALE “V. BACHELET” La scuola del futuro nella concezione dei Saggi di Domenico Ferraro Nel volume n. 78 degli Studi e Documenti degli annali della Pubblica Istruzione vengono pubblicati gli atti della Commissione dei Saggi comprendenti i contributi individuali, i materiali preparatori del documento comune, le relazioni, il documento di sintesi e i verbali delle riunioni elaborati dal coordinatore Prof. Roberto Marigliano. La Commissione istituita dal Ministro Berlinguer comprende specialisti della materia e studiosi di altre discipline. Il Ministro ha voluto consultare una pluralità di studiosi di stili ed interessi culturali diversificati per individuare gli aspetti più qualificanti e formativi delle attività scolastiche. In esse predominano i presupposti ideologici delle discipline e anche una certa filosofia della vita. Si denota una vastità di prospettive di una società mutevole. Sono evidenziati gli interessi comportamentali di una comunità nazionale alla ricerca di culture diversificate e contrapposte. Si prospetta una formazione sociale aperta al mondo. Non si evidenziano discipline preminenti. Le condizioni economiche e produttive giocano un ruolo Nella prima parte del libro si leggono notizie utili e interessanti e non poche curiosità, tutte riferite alle “Ferrovie nel mondo”; nella parte restante, interamente dedicata alle ferrovie calabresi, i cui lavori di costruzione ebbero inizio nel 1886, l’Autore riferisce una quantità notevole e originale di fatti che testimoniano d’un faticoso e instancabile lavoro di ricerca, supportato da una grande passione per l’argomento. Una passione che riesce a coinvolgere anche il lettore che viene così a conoscenza di episodi antichi e anche attuali, alcuni dei quali, poco o niente felici, finiscono purtroppo per rappresentare la Calabria di sempre, vittima d’una burocrazia tortuosa e dispersiva e d’una politica inconsistente e faziosa, che la paralizzano. Le diverse tratte sono rappresentate graficamente dall’Autore per mezzo di chiari ed elaboratissimi schemi, e “raccontati” con una prosa lineare, arricchita di frequenti richiami ad atti e decisioni adottati da organi amministrativi locali e parlamentari. Interessante la storia della Cosenza – Paola ad aderenza artificiale”, la cui realizzazione richiese tempi lunghi a causa del complicato iter burocratico, ma anche e soprattutto, di inconvenienti di natura geologica. Analogo interesse suscita il capitolo dedicato alle “Ferrovie progettate e non costruite”, un patrimonio di idee e di speranze andato disperso. E se nella storia delle ferrovie in Calabria non mancano incidenti e disastri con tante vittime, numerosi, se rapportate all’ancor giovane esistenza del trasporto ferroviario, l’Autore, sulla base di documenti ufficial (Cap. VIII), ci invita a sperare in un favorevole futuro per le ferrovie calabresi. determinante nella dimensione organizzativa scolastica. Si percorre un itinerario prettamente conoscitivo. I costumi e gli stili di vita sono modificati dalle immagini multimediali di culture ed etnie provenienti da tutte le comunità mondiali. Non c’è più spazio e tempo per visioni retroattive: gli occhi di tutti sono volti al futuro. Si vive l’esigenza di una formazione europea e l’apertura ad una visione universale, nella quale i costumi rispecchiano una mondializzazione etnica e valoriale. In prospettiva di questa universalizzazione quali saperi sono indispensabili? E’necessario formare una personalità consapevole della propria identità culturale ed intellettuale, ma, anche, autonoma e critica nel saper dialogare e confrontarsi con comportamenti, etnie, sentimenti religiosi, ideologie differenti dalla nostra visione reale della vita. Nella società agricola la funzione della scuola si sintetizzava nel “leggere, scrivere e far di conto”, poiché il cittadino doveva uniformarsi alla cultura, alle tradizioni, ai valori dei propri avi. Oggi, invece, non si riesce ancora a sintetizzare una visione futura della funzione educativa ed istruttiva della scuola. Infatti, i saggi pubblicati sono una riflessione vasta sulla cultura viva della società e anche un’analisi critica delle problematiche del mondo moderno. Costituiscono, perciò, un presupposto essenziale per individuare gli elementi basilari per l’istruzione e l’educazione dei bambini, degli adolescenti e dei gio- vani. La disanima conoscitiva che consegue potrà porre il legislatore in condizione di saper concretizzare le linee essenziali dei nuovi programmi scolastici. Solo così si potrà attrezzare la scuola degli strumenti adeguati alla formazione delle generazioni future e ad una società impregnata di tecnologie sofisticate. Si avrà, così, un’organizzazione scolastica in cui dovranno predominare il processo conoscitivo e i processi di socializzazione, poiché sempre di più ci si avvia verso una società dove predomina un atteggiamento di disperata solitudine. Inoltre, il legislatore dovrà tener presente la crisi e la trasformazione della famiglia per poter contribuire alla sua funzione educativa e sopperire a quelle carenze che il supporto familiare non saprà e non potrà più offrire ai figli. Una società conoscitiva richiederà un processo cognitivo fondato sulla ricerca e sul lavoro di gruppo, organizzato in modo tale che si dovrà alterare con momenti di attività individuali. La comunicazione, che costituisce la struttura qualificante di una società basata sulla conoscenza, dovrà qualificare e distinguere tutto il processo formativo per caratterizzare personalità aperte agli altri, ma con una propria e precisa originalità e creatività. I nuovi saperi, adeguati ad una società diversa e in continua modificazione, dovranno costituire la struttura culturale su cui dovranno essere impiantati i nuovi programmi. Inoltre, dalle comunicazioni si deduce anche la dimensione organizzativa dell’istituzione scolastica, adeguata sempre alle capacità innovative della società. Nella prospettiva dei contributi della Commissione si realizzerà un connubio perfetto d’intesa e di collaborazione tra famiglia, società e scuola. Il volume, poi, indipendentemente dall’uso che il legislatore ne può fare, costituisce uno studio fondamentale per comprendere la dimensione culturale, educativa, formativa ed istruttiva della scuola del futuro. Se ne raccomanda la lettura soprattutto agli insegnanti di ogni ordine e grado, poiché ne possono dedurre una visione problematica e critica delle attività scolastiche. Roberto Marigliano, (a cura di) Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni. I materiali della Commissione dei Saggi, Editore Le Monnier, Firenze Oggi Famiglia 24 Maggio 2006 CENTRO SOCIO CULTURALE ATLAS e C. Associazione Tempo Libero Arte Sport e Cultura Corso L. Fera, 58 - COSENZA “Vittorio Bachelet” OSSERVATORIO SULLA FAMIGLIA C.so L. Fera, 134 - Cosenza Tel. 0984 483050 A.GE Associazione Genitori C.so L. Fera, 134 COSENZA INDICONO il Premio Nazionale “FRANCESCO TERRACINA” articolato in due sezioni: • Pittura a tema libero • Poesia inedita a tema Seconda Edizione Anno 2006 REGOLAMENTO Art. 1 Il concorso si propone di ricordare la figura di Franco Terracina, insegnante esemplare e amico speciale. Art. 2 Per la sezione pittorica ogni partecipante invierà l’opera non firmata munita di cornice, non superiore a 50 x 70 cm. Art. 3 Per la poesia, il cui tema sarà “Io e l’altro”, ogni partecipante potrà inviare un testo poetico dattiloscritto non firmato in cinque copie con libertà di stile e libertà di metrica. Art. 4 Tutte le opere dovranno pervenire presso il Centro Socio-Culturale “Vittorio Bachelet” - C.so L.Fera,134 87100 Cosenza – Tel./fax :0984/483050 E-mail: [email protected] - Sito:www.centrobachelet.it entro il 30 Giugno 2006. L’esito del concorso verrà diffuso attraverso i consueti mezzi di comunicazione e in internet. I finalisti riceveranno lettera personale. Art. 5 Ogni partecipante dovrà allegare in busta chiusa una nota contenente le generalità, il recapito, il numero telefonico, il titolo della poesia dattiloscritta o dell’opera pittorica presentata. Art. 6 Premi 2 EDIZIONE Premi sezione pittura Categoria oltre 18 anni 1 Premio e 700,00 2 Premio e 400,00 Categoria fino a 18 anni 1 Premio e 250,00 2 Premio e 150,00 Premi sezione Poesia Categoria oltre 18 anni 1 Premio e 450,00 2 Premio e 200,00 3 Premio e 100,00 Lettori, lettrici, nella dichiarazione dei redditi, sottoscrivete il 5‰, segnando il Codice Fiscale 98002880783, in favore del Centro Socio Culturale “V. Bachelet” di Cosenza per sostenere il mensile “Oggi Famiglia” e le innumerevoli attività di volontariato Categoria fino a 18 anni 1 Premio e 250,00 2 Premio e 150,00 3 Premio e 100,00 Art. 7 A tutti i concorrenti verrà assegnato un attestato di partecipazione. Art. 8 La premiazione avverrà nel mese di ottobre 2006. Art. 9 Tutte le opere pervenute, escluse le vincitrici, saranno restituite. La segreteria non assumerà alcuna responsabilità per eventuale smarrimento o danneggiamento. La segreteria si riserva la facoltà di esporre le opere pittoriche e pubblicare le poesie scelte. Art. 10 Le giurie saranno due: una per la sezione pittorica, e una per la sezione poetica, entrambe saranno composte da 5 esperti. I giudizi delle giurie sono insindacabili ed inappellabili. Art. 11 Non è prevista alcuna quota di partecipazione. Non sono previsti rimborsi di sorta. I premi dovranno essere ritirati di persona, salvo casi eccezionali di impedimento per i quali è ammessa la delega. Per quanto non previsto dal presente regolamento valgono le deliberazioni della giuria. Art. 12 La partecipazione al concorso implica la piena accettazione del presente regolamento. Informativa ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003 sulla tutela dei dati personali: ai sensi dell’art. 13 “informativa resa al momento della raccolta dei dati” i dati personali saranno utilizzati esclusivamente per le iniziative promosse dal Gruppo e non verranno diffusi a terzi a qualsiasi titolo; i dati richiesti (nome, cognome e indirizzo) sono obbligatori; con l’invio dei suoi dati l’interessato ne autorizza l’uso e ai sensi dell’art. 7 “diritto successivo” può richiederne la rettifica o la cancellazione rivolgendosi al segretario del concorso. Il Responsabile del Premio (Dott. Antonio Farina)