Mag - Centro Socio Culturale

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Mag - Centro Socio Culturale
ANNO XVIII - N° 5 – Maggio 2006
Oggi Famiglia
Sped. Abb. Post. 45% Art. 2 Comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Cosenza
ORGANO DEL CENTRO SOCIO CULTURALE “V. BACHELET” COSENZA - AL SERVIZIO DELLA FAMIGLIA IN CALABRIA
Una “casa” sociale per la Famiglia
Passare dal dire della campagna elettorale al fare del governo:
si può e si deve senza ulteriori indugi
di Vincenzo Filice
I
l tema famiglia è stato al centro dell’ultima campagna elettorale. Tutti
gli esponenti politici si sono sbracciati nello sforzo di rassicurare e blandire le famiglie italiane “normali” (intendo quelle che sgobbano e pagano le
tasse). La Sinistra al governo dovrà
adeguare le politiche sociali alle promesse elettorali . Staremo a vedere. Intanto i costi umani e socioeconomici affrontati, quotidianamente, da chi decide di mettere su famiglia, diventano più
pesanti.
Una coppia genitoriale, solo per il
mantenimento, spende il 20% in più rispetto ad una coppia senza figli. Lo studioso Federico Perani del dipartimento
di scienze economiche di Verona ha rilevato che l’8,3% delle famiglie è socialmente vulnerabile. Si tratta, cioè, di famiglie di condizione economica insoddisfacente, che accusano un progressivo peggioramento della situazione di
inadeguatezza economica, che fanno
fatica a pagare le bollette e l’affitto di
casa. Mentre il 6,5%, area dei disoccupati e dei pensionati, rivela uno stato di
povertà e di deprivazione conclamate fino a compromettere la salute, le relazioni familiari e amicali, le condizioni
igieniche e abitative.
Insomma la condizione della famiglia, a fronte dell’inadeguatezza delle
politiche sociali e della impenitente demagogia dei politici, appare segnata dal
malessere e dal disagio. Pierpaolo Donati, coordinatore dei ben nove rapporti CIFS sulla condizione della famiglia
italiana, non perde occasione per sottolineare i limiti del welfare liberista e
laburista, giocato tutto sulle opportunità individuali.
Troppo spesso nella società contemporanea prevale un paradigma individualista, che definisce il benessere in
termini di autonomia, di indipendenza,
di autosufficienza, di assenza di vincoli
o di legami. Sappiamo, invece, che la libertà e il benessere degli individui vengono maggiormente garantiti attraverso
il perseguimento di un benessere familiare che si costruisce per comunicazione, per legami solidali, per relazionalità.
Il benessere, come emerge dal sesto
rapporto CIFS, non può né deve essere
ricondotto a singole dimensioni (per
esempio lo star bene psicologico, oppure il benessere prodotto dagli interventi
di politica sociale), ma si configura come una condizione determinata dall’interagire di fattori strutturali, economici, relazionali, psicologici, affettivi, sociali, in un intreccio che deve essere sì
scomposto nei suoi singoli componenti,
ma deve anche essere considerato nell’interagire concreto, in situazione, di
tali componenti.
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• All’interno •
• La superbia
• Alla ricerca di …
di M. Filipponio
– Pag. 6
di L. Perrotta
– Pag. 7
• L’evento Chernobyl …
• Habemus presidentem
• Dello stress e dei…
di V. Altomare
– Pag. 10
di O. Parise
– Pag. 16
di G. Chilelli
– Pag. 19
Oggi Famiglia
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FAMIGLIA
Maggio 2006
Essere “madre” oggi…
di Carmensita Furlano
Anche se i tempi storici nei quali stiamo vivendo, ci fanno vedere una figura
di “madre” diversa da quella che una
volta si aveva, la madre è sempre quella persona che sacrifica se stessa per il
bene del proprio bambino...
Quando nasce un figlio, la prima
volta che pronuncia il nome “mamma”
è qualcosa di grandioso e di stupendo,
è una gioia indescrivibile, è qualcosa
che dal di dentro ti dice che sei stata in
grado di mettere al mondo una creatura ad immagine del Creatore.
Nei tempi che stiamo vivendo ultimamente l’essere madre sta acquistando colori e significati diversi. Ci sono
mamme per vocazione e madri che vogliono diventarlo per forza, anche mettendo a repentaglio la vita di altri figli,
pur di ottenerne uno per se stesse.
Ma a questo punto l’essere “madre”
cosa significa realmente? Che senso
ha?
La festa della mamma oggi sta assumendo un aspetto diverso rispetto
agli altri anni precedenti, perché diversa è la situazione storica e sociale nella
quale stiamo vivendo.
Bisogna rivedere il ruolo di madre
come bisogna rivedere il significato del
dono di figlio.
La vita umana è un dono da amare
e rispettare, da tutelare e coltivare, ma
non da pretendere e costruire artificialmente.
Un bambino non è un bel giocattolo
da far costruire come si desidera e da
avere a tutti i costi.
La vita umana, racchiusa già in
quella monocellula che si è appena formata con la fecondazione umana, va
amata sempre, fin da quel primo istante… altrimenti, se non si ama la vita
appena formata, come possiamo aspettarci che si riesca ad amare la vita di
chi ci passa accanto?
Essere madre oggi… .significa essere pronta a dare la vita per i propri figli: ma non è una cosa nuova, è sempre
stato così ogni volta che si accetta la vita quale dono da amare, custodire e far
crescere tenendo ben presente .
Da sempre la madre è colei che mette al mondo il figlio, che si occupa principalmente delle cure da dargli e della
sua educazione, soprattutto nei primi
anni di vita, anzi possiamo dire che lo
fa già dal grembo, o meglio molto prima
di essere incinta già comincia a costruirsi un’immagine, una rappresentazione del bambino e della famiglia
che avrà un giorno.
La madre, parallelamente a ciò che
avviene fisicamente nell’utero, vive una
sorta di “gestazione mentale”: la
profonda trasformazione della propria
identità che influirà sulla sua vita di
coppia, sui rapporti con la famiglia di
origine, sulla vita professionale e socia-
le e sul senso che lei stessa ha di sé.
Cerca di immaginare il ruolo che il futuro bambino avrà all’interno della
nuova famiglia e delle rispettive famiglie d’origine. Si potrebbe dunque parlare di due gravidanze, una fisica e l’altra psichica, che evolvono parallelamente e si influenzano vicendevolmente fino al momento della nascita. Pure
se oggi c’è una maggiore partecipazione
del padre nella crescita ed educazione
dei figli, il compito primario resta sempre a lei, alla mamma, perché in fondo
è propria della sua vocazione lo svolgere tutto questo.
Appena il bimbo è venuto al mondo,
il primo gesto della madre sarà quello
di assicurarsi che sia vivo: ha bisogno
di sentire il peso del suo corpicino, di
toccare la sua pelle, di controllare il
suo tono muscolare, di sentire che sia
ben caldo e reattivo, di vedere che sia
vivo. Il momento in cui il bebè viene deposto sul ventre o sul petto della madre
subito dopo il parto segna questa tappa
fondamentale.
Una volta rassicurata su questo
punto, la madre può finalmente dedicarsi all’incontro con questo nuovo
membro della famiglia. In questa fase
tenta di appropriarsene da un punto di
vista umano ricercando, per esempio,
le somiglianze fisiche (ha la fronte e gli
occhi di suo padre, ma la mia bocca!) o
comportamentali (quando ha fame bisogna precipitarsi: esigente come suo
padre! oppure: dorme molto, nella famiglia siamo tutti dei gran dormiglioni!). Attraverso queste fasi, la madre si
avvicina al bambino appena nato, al
proprio bambino, cerca di conoscerlo,
si lega a lui. La madre ha appena scoperto un bimbo o una bimba, il suo peso, la sua lunghezza, il colore dei capelli, comincia ad abituarsi ai tratti del
suo viso, alle caratteristiche fisiche, comincia a conoscere i suoi ritmi, a scoprire i tratti del suo carattere e il suo
comportamento. Si produce nella madre una sorta di integrazione tra i tratti del carattere del bebè che sta scoprendo e l’immagine mentale più o meno cangiante che si era costruita prima
di quest’incontro. Quando la donna diventa madre si verificano alcuni cambiamenti psichici molto interessanti
che la introducono in una realtà estremamente diversa.
La madre ha una concezione particolare del tempo che è diversa da quella che aveva prima ed elabora un “calendario” completamente personalizzato: il calendario che usiamo di solito si
basa su un evento capitale (la nascita
di Cristo) mentre la madre ne crea un
altro basato su un altro evento capitale
(la nascita del primo figlio) che essa integra al primo. La “costellazione materna” non può essere considerata come
una variante di un’organizzazione psichica della donna: pur avendo con questa molte relazioni non ne costituisce
infatti né una variante né un completa-
mento, ma è qualcosa di unico, di indipendente e di fondamentale.
I compiti e il lavoro che rendono
“madre” una donna, appena arrivata a
casa consiste nell’assicurare la sopravvivenza del bambino. Si tratta di un
momento straordinario e del tutto particolare che mostra come la madre debba ormai essere considerata un qualcosa di diverso rispetto alla donna che
era prima, controllerà che respiri, osserverà ogni piccolo movimento del corpicino, farà attenzione ad ogni piccolo
rumore…
Sa benissimo che si tratta di una
reazione completamente irrazionale,
ma non riesce a farne a meno.
La madre entra dunque in un mondo fatto di allarmi continui, di paure e
di uno stato di vigilanza costante: assicurare la sopravvivenza del bambino e
badare a tutti i suoi bisogni costituisce
l’unica preoccupazione della madre che
agisce come se la pulsione della sopravvivenza avesse cancellato tutte le
altre. Non c’è nulla di più importante,
non le interessa nient’altro.
Durante questa prima fase la madre
è soggetta al fenomeno del cosiddetto
“overkill”, una strategia che la natura
attua in casi di estrema necessità, come per esempio la sopravvivenza del
neonato: la madre non dorme abbastanza, vive in uno stato di allerta perenne e tutte le sue energie sono concentrate in questo compito primordiale.
Il secondo compito che rende madre
una donna e che fa parte della costellazione materna è rappresentato dall’amore che la madre vuole dare al proprio bambino. Non sembrerebbe, ma si
tratta di un compito complicato in
quanto il fatto di amare un bambino
implica diverse cose: pensiamo di avere
tutti la capacità di amare, che il bambino può accettare di essere amato da
noi, ma (è questa la cosa più importante) sappiamo come amare qualcuno?
Non c’è nulla di più bello di portare
nel grembo una nuova vita e darla alla
luce. Rinunciare a tutto questo è rinunciare all’essere donna…
Oggi epoca della contraddizione: colei che non riesce a concepire un figlio… ne vuole uno a tutti i costi, senza guardare in faccia a niente ed a nessuno, neppure agli altri figli che butterà via solo per averne uno tutto per
sé.
Forse bisognerebbe riguardare cosa
sia la maternità, dove nasce ed a cosa
tende, perché se per maternità si deve
intendere l’avere un figlio per forza, un
costruirlo in laboratorio, distruggendo
Oggi Famiglia
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per esso altri figli, allora la maternità
non è più questa, non la si può chiamare tale.
Madre è colei che si sacrifica per la
vita di suo figlio, purché si salvi quella
della creatura che porta in grembo, si
sacrifica per il figlio ma non sacrifica il
figlio per se stessa. Mettere al mondo
un figlio per forza, sacrificandone altri,
non è più amore di madre, non è più
maternità, ma solo onnipotenza e delirio procreatico, voglia di possedere un
figlio come cosa propria e non più come
nuova vita da amare e rispettare.
Questo bebè, questa persona, diventerà il nostro bambino ed è proprio
l’amore e la specificità del nostro amore che faranno di questo bambino il nostro bambino.
E per tutto ciò è necessario avere
una grande fiducia nella propria generosità, nella capacità di amare e nel fatto che qualcun altro possa accettare
questo amore. In questa seconda fase
la madre si pone un’altra domanda:
non si chiede più se è un animale competente, ma se è un essere umano competente. “Sono in grado di amare nel
modo giusto?”. Dopo aver realizzato
che è riuscita a portare a termine il primo compito e che il bambino è ancora
vivo, che prende peso e che sta bene e
dopo aver realizzato che può amare
questo bambino e che questi può rispondere al suo amore, solo a questo
punto, col compimento di questi due
compiti, la madre comincia veramente
a diventare madre: prima era semplicemente una donna che aveva un
bambino.
A mia madre e a tutte le mamme.
MIA MADRE
Mia madre,
la rivedo sempre più bella,
ascolto la sua voce
che pare quella di un angelo.
Mia madre,
una donna forte
ma tanto dolce.
Non dimenticherò
le tue carezze
i tuoi baci
le tue lacrime
o madre mia.
Non dimenticherò
tutte le notti insonni
e tutte le tue fatiche
per insegnarmi a vivere.
E quando un giorno
ti rivedrò :
dolce vecchina,
bacerò ancora
le tue guance rosa,
accarezzerò
i tuoi bianchi capelli.
Ti racconterò… di me
veglierò io su di te.
E come ogni bimbo
che vede la sua mamma
la più bella del mondo,
come ogni bimbo
che al risveglio
chiama la sua mamma,
al tramonto della vita
anch’io sarò bambina
abbracciando sempre te
o cara mamma.
FAMIGLIA
Maggio 2006
LE DONNE ITALIANE
TRA FAMIGLIA E CARRIERA
Ricerca promossa da Mediavideo e realizzata da Datamedia
Alla domanda “quale ruolo dovrebbe avere la donna
nella società” il 31% ha risposto che la donna dovrebbe essere promotrice di un
nuovo modello di società basato su valori femminili, il
19,6% afferma che il ruolo
della donna dovrebbe essere,
al pari di quello dell’uomo, di
lavoratrice per il 19,2 invece
il ruolo della donna nella società italiana, dovrebbe essere quello super tradizionale
di madre. Rincara la dose il
7,9%, risponde, infatti, che
la donna, deve essere totalmente rivolta al privato e alla famiglia, mentre un esiguo, fortunatamente, 4,9%
vede la donna solo come
compagna di un uomo.
Ma qual è l’effettivo significato che la famiglia ha per
le donne di oggi?
Rappresenta ancora una
fonte di realizzazione, come
avveniva nei tempi passati,
quando il più delle volte era
l’unica strada concessa ad
una donna (magari in alternativa al convento), o rappresenta una scelta ragionata, dettata da una precisa
volontà personale?
Dal sondaggio emerge che
per il 52,6% delle intervistate la famiglia è una convivenza basata sull’amore reciproco, per il 32,1% è la base della società, per il 10,8% è un
vincolo affettivo di mutua assistenza, mentre per il 2,5%
è solo un vincolo giuridico.
Anche per quanto riguarda la famiglie di fatto, un argomento di cui si parla
spesso, anche in relazione alla proposta di legge, le donne italiane sono in linea
di massima al passo con i tempi, il 67,9% infatti sostiene che le famiglie di fatto
debbano avere gli stessi diritti di quelle tradizionali sancite con il vincolo matrimoniale civile o religioso.
Il 21,6% invece è in disaccordo, ritenendo sbagliato riconoscere alle famiglie
di fatto gli stessi diritti di quelle tradizionali, mentre il 5,1% è totalmente indifferente al problema.
Stando ai risultati di questa ricerca promossa da Mediavideo e realizzata da
Datamedia, le donne italiane sono ben calate nella realtà sociale, sono lo specchio del loro passato, di cui
conservano i valori più significativi, ma sono proiettate nel
futuro, infatti hanno idee precise sul ruolo che dovrebbero occupare. Una donna determinata, dunque, pronta a sostenere
le sue convinzioni e le sue scelte, non dimenticando il retaggio
culturale e i valori tradizionali
che danno una impronta personale alla società in cui vive.
Oggi Famiglia
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FAMIGLIA
DIVORZIO:
boom tra gli Anziani
La vita più lunga, i farmaci che aiutano, la «censura sociale» che cade: l’
anziano si fa più audace ed anche in
Italia dirsi addio tra coniugi con più di
55 anni capita sempre più spesso: un
fenomeno tanto in espansione, quello
del divorzio tardivo, e con forti implicazioni socio-scientifiche, da aver trovato
spazio ai lavori del 50/o Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, in corso a Firenze.
Da uno studio realizzato dalla psicoterapeuta Paola Beffa Negrini e dall’avvocato Silvia Cecchi, emerge che gli
italiani che nel 2001 hanno chiesto la
separazione legale tra i 55 e i 65 anni
erano 125 mila e quelli dai 65 anni in
su erano 70 mila (15 mila quelli sopra i
75 anni); oggi mediamente sono aumentati del 3,5%. Analoga crescita si
registra tra i divorziati: dai 55 ai 65 anni erano stati 140 mila nel 2001, quelli
dai 65 anni in su 95 mila (30 mila quelli sopra i 75).
Oggi sono aumentati del 3%. «Il
boom dei divorzi tardivi - spiega Paola
Beffa Negrini - perchè di vero e proprio
boom si può parlare, ha assunto caratteristiche di fenomeno sociale a cui è
stato dato perfino un nome, ‘Grey divorces’, e ha cause molteplici», a cominciare dalla maggior indipendenza,
anche economica, raggiunta dalle donne, che permette loro una vita indipendente. Altre cause dei divorzi tardivi secondo le conclusioni dello studio medico-giuridico - sono una maggior longevità, per cui la prospettiva di vita a
60 anni è oggi proiettata di altri 20 anni (per le donne addirittura di 25), con
la possibilità di avviare una nuova relazione anche in età avanzata. Un terzo
motivo - dice lo studio - è rappresentato dall’aiuto di nuovi farmaci sia contro
la depressione, con i quali si può sconfiggere l’incapacità di affrontare nuovi
impegni; sia contro la caduta della libido, che permettono anche in tarda età
di limitare il fantasma dell’impotenza e
danno più sicurezza di poter intrecciare nuove relazioni, anche sessuali. Infine, anche la caduta della «censura sociale» - e cioè la disapprovazione da
parte dei familiari, di amici e colleghi favorisce spesso la decisione di aprire
in età avanzata una nuova fase della
propria vita. È soprattutto la donna secondo quanto emerge dallo studio la più determinata a darsi un’altra possibilità di vita, non solo perchè ha sistemato i figli ormai grandi e assolto ai
doveri domestici durati svariati decenni: ancora oggi al sud, la richiesta di
separazione e di divorzio è motivata
nella donna dal rigetto della violenza
all’interno della coppia e non è legata al
desiderio di attivare un nuovo legame
con un partner diverso, ma solo dal rifiuto di un modello arcaico di «maritopadrone». «In prospettiva - spiega la ri-
cercatrice Beffa Negrini - il fenomeno è
destinato ad aumentare ulteriormente
e sotto l’incalzare delle nuove generazioni che hanno vissuto l’emancipazione femminile e le modificazioni delle
abitudini che hanno scandito gli anni
precedenti, la coppia della Terza e
Quarta età sarà chiamata ad una
profonda ristrutturazione. Già ora ne è
una testimonianza la sempre maggior
richiesta di consultazioni psicologiche
in età avanzata per conflittualità coniu-
Maggio 2006
gali». «Quello del divorzio tardivo è un
altro dei tanti problemi - spiega il professor Marco Trabucchi, Presidente
della Società Italiana di Gerontologia e
Geriatria - che rende ancor più fragile
la persona anziana. È necessario prepararsi ad un sostegno psicologico di
queste coppie che sono molto di più di
quanto dicano i numeri. Per ora lo studio del fenomeno si basa sulla registrazione ufficiale di separazioni e divorzi,
ma in realtà sappiamo che le separazioni di fatto sono almeno il triplo. E bisogna prepararsi ad aiutare queste persone anziane anche in termini giuridici, con una regolamentazione più attuale soprattutto per il regime patrimoniale delle coppie».
Fonte: la Stampa Web
LillyLilly
* Continua da pagina 1
Una “casa” sociale
per la Famiglia
Gli stessi interventi sociali di sostegno al benessere delle persone e delle
famiglie, anziché promuovere la qualità e il benessere familiare, rischiano
spesso di accentuare la separazione
tra mondi vitali e sociale, di espropriare i sistemi familiari della loro capacità
relazionale, risorsa primaria della famiglia nel produrre il benessere proprio e dei propri membri. La tendenza,
del welfare liberista a far dominare i
codici economici e politici, quasi che
gli altri codici (associativi e comunitari), tipici della famiglia, dovessero andare a rimorchio dei primi, fa sì che le
politiche pubbliche si rapportino ai
mondi vitali delle famiglie e delle associazioni familiari in termini di norme
legislative e di denaro.
Donati, perciò, indica come alternativa più equa l’adozione di un welfare societario giocato sul potenziamento della relazione genitori-figli e,
quindi, la soggettività della comunità
domestica. In questa ottica i figli, più
che “un bene di consumo” come prevede la concezione privatistica della famiglia, devono essere considerati “un
bene relazionale” e “meritorio”. Occorre, perciò, da parte delle amministrazioni pubbliche, riconoscere lo specifico familiare, e in particolare leggere e
sostenere quegli elementi della vita familiare che ne determinano il benessere, come per esempio:
• la sua composizione, per numero e
qualità dei componenti;
• le sue rappresentazioni e i suoi vissuti in quanto famiglia più chiusa o
più aperta rispetto alla società
“esterna”;
• la capacità di accedere e utilizzare
opportunità esterne, date da servizi
pubblici e privati;
• il suo simbolismo e le sue pratiche
per quanto riguarda l’apertura alla
vita, i rapporti fra generazioni, i
compiti educativi, in quanto decisivi per il clima familiare che ne caratterizza benessere o malessere
La sinistra al potere, perciò, dovrà
caratterizzarsi, da subito, per un riordino del welfare che guardi alla famiglia (quella dell’art 29 della Costituzione !) e ai figli come capitale sociale, la
collochi nella trama normale della vita
sociale, cioè come soggetto rilevante
per la vita pubblica e sia capace di superare l’anomalia italiana di un trattamento fiscale che penalizza la famiglia
con figli, mentre la Germania ha investito ulteriori 3, 4 miliardi in assegni
alle famiglie e la Francia già otto mesi
fa ha varato l’assegno al terzo figlio.
Si pregano i Sigg. Collaboratori
di far pervenire i loro contributi
la fine di ogni mese e, comunque,
non oltre i primi giorni
del mese successivo
Oggi Famiglia
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EDUCAZIONE
Maggio 2006
EURISPES: Scuola
per i genitori italiani è “peggiorata” (possibile?…)
L’EURISPES, Istituto di Studi Politici Economici e Sociali, ha condotto
un’indagine campionaria e ha rilevato
l’opinione di 1.500 genitori con almeno
un figlio frequentante, nell’anno scolastico 2002-2003 l’ultima classe delle
scuole medie superiori sulla qualità
della scuola italiana.
La rilevazione, condotta a livello nazionale su un campione rappresentativo e stratificato per macro-ripartizione
territoriale (Nord Ovest; Nord Est; Centro; Sud; Isole), è stata realizzata nel
maggio 2003, attraverso la somministrazione di un questionario semistrutturato ad alternative fisse e prederminate con il metodo dell’intervista diretta.
Ecco i risultati, così come resi noti
in un comunicato stampa:
La scuola italiana negli ultimi anni è
peggiorata. Parola di genitori italiani!
Stando infatti ad un sondaggio contenuto all’interno del Primo Rapporto Nazionale sulla Scuola realizzato dall’Istituto, il 40,6% sostiene che il livello
qualitativo della scuola negli ultimi anni è “peggiorato”. Il 32,2% ha dichiarato che è “rimasto invariato”. Per il
20,6%, invece, è “migliorato”.
Disaggregando i dati Eurispes per
area geografica emergono differenze significative. Il Sud registra il valore più
alto tra coloro che non hanno avvertito
cambiamenti nella scuola italiana
(37,3% contro il 29,5% del Nord-Est e il
18,6% delle Isole) e il più basso tra chi
si è pronunciato per una variazione,
positiva o negativa che sia. Anche nel
Settentrione prevale una visione negativa del sistema scolastico: valori molto
alti, identici nel Nord-Est e nel NordOvest, si registrano per il peggioramento e più contenuti per il miglioramento
(20% nel Nord-Ovest e 19,8% nel NordEst). L’Italia centrale presenta un andamento dei dati simile alle realtà settentrionali, con una eccezione per la
valutazione positiva, in cui il valore è
leggermente più alto: 22%.
L’orientamento politico condiziona
molto il giudizio sulla scuola: gli intervistati appartenenti all’area di sinistra
(50%) e centrosinistra (52,4%) esprimono un parere negativo. Al contrario gli
elettori di destra (34,1%) centro-destra
(33,8%) e Centro (39,6%) esprimono un
giudizio meno negativo.Comunque sia
a prescindere dall’orientamento politico
per il 40,6% dei genitori il livello qualitativo della scuola è “peggiorato”. Hanno invece espresso un giudizio positivo
(la scuola è migliorata) il 28,9% dei genitori appartenenti all’area di Centrodestra, il 24,7% di Destra, il 19,8% di
Centro, il 18,7% di Centro-sinistra, il
18% di Sinistra.
Consistente la percentuale di coloro
che non sanno esprimere un giudizio:
20,6%.Per quanto riguarda “i limiti del-
la scuola italiana” è sorprendente il fatto che la maggioranza dei genitori, ben
il 33%, non sa esprimere alcun giudizio
sulla scuola dei propri figli. Il 25,4%
degli intervistati, invece, identifica nella carenza di fondi il principale ostacolo ad un servizio scolastico efficiente.
Segue la varietà delle materie: l’11,8%
ritiene che questo impedisca di maturare una competenza specifica. La frequenza della sostituzione degli insegnanti viene indicata al terzo posto nella graduatoria delle problematiche più
scottanti (7,3%), perché interrompe la
continuità didattica creando notevoli
disagi agli studenti e ritardi nell’espletamento del programma. Infine il 6,2%
di genitori addebita i principali problemi della scuola italiana all’eccessiva
sindacalizzazione e il 5,5% ai troppi
scioperi e occupazioni. La disaggregazione territoriale mostra inoltre che, tra
i residenti nelle Isole, la percentuale
(6,6%) di chi ritiene la scuola italiana
classista è maggiore che altrove. Gli intervistati del Nord-Est (4,3%) sono i
meno numerosi a credere che il livello
di sindacalizzazione nella scuola sia eccessivo; nelle altre aree geografiche le
percentuali sono più omogenee. Il problema dell’inadeguatezza dei finanziamenti è avvertito soprattutto al Centro,
che raggiunge una percentuale di
28,4%, tre punti sopra la media nazionale, rappresentata dal 25,4%. Il NordOvest (10,3%) avverte maggiormente le
difficoltà di realizzare la continuità didattica a causa delle continue sostituzioni degli insegnanti non di ruolo,
mentre soprattutto al Centro (8,5%),
seguito dal Sud (6,1%), i troppi scioperi e le troppe occupazioni vengono percepiti come un limite della scuola ita-
liana. Gli intervistati di centro (13,2%)
e centro-destra (15,8%) sono i più convinti che la scuola non fornisca competenze specifiche, a causa delle materie
troppo numerose, e che ci siano troppi
scioperi e troppe occupazioni. L’ipotesi
che sia una scuola classista, anche se
poco diffusa, è maggiormente presente
tra i genitori di centro-sinistra (3,7%) e
sinistra (3,1%), che riaffermano con
forza l’inadeguatezza dei finanziamenti:
Centro-sinistra (28,6%),Sinistra (32%).
Quando si parla di eccessiva sindacalizzazione, si nota uno spostamento
consistente dei valori verso destra: il
15,9% degli intervistati di questo schieramento indica questo come il principale limite del nostro sistema scolastico contro il 3,3% dei genitori di sinistra
e il 2,4% di quelli del centro-sinistra. È
il centro-sinistra (9,9%) a sottolineare
maggiormente come il frequente avvicendarsi di docenti costituisca un problema per la scuola italiana.
Genitori insoddisfatti anche per
quanto riguarda l’edilizia scolastica e la
dotazione informatica: hanno espresso
un giudizio negativo nel primo caso per
il 58,2% e nel secondo per il 48,8%. Risultano comunque soddisfatti i genitori
per quanto riguarda la preparazione e
la competenza degli insegnati: il 64,5%
ha espresso un parere positivo. Infine il
sondaggio ha rilevato l’opinione sull’opportunità di un maggior collegamento
tra la scuola e il mondo del lavoro. Alla
domanda “Lei ritiene opportuno un maggior collegamento tra la scuola e il mondo del lavoro?”, gli intervistati hanno
dato i seguenti giudizi: “molto”, 54,2%;
“abbastanza”, 36,8%; “poco”, 5,1%;
“per niente”, 2,2%; “non sa”, 1,7%.
(16/03-220) .
Hanno coronato il loro sogno d’amore, sabato 29 aprile 2006, nel Duomo di Cosenza, il chirurgo dott. Amato Napolillo e la nobile Carina Caracciolo.
Agli sposi, ai genitori e parenti tutti, giungano le felicitazioni e gli auguri più fervidi dalla Redazione di Oggi Famiglia.
Oggi Famiglia
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EDUCAZIONE
LA SUPERBIA
di Michele Filipponio
“Dei remi facemmo ali
al folle volo…”
Il verso dantesco (INF. Canto XXVI,
v.125 ) costituisce l’input per affrontare il discorso sulla nostra essenza di
uomini, sulla nostra natura, sulla nostra provenienza, sul nostro destino,
ma soprattutto sul rapporto finito (l’uomo) e Infinito (Dio).
L’uomo non è essere isolato e insignificante, non si trova per caso nell’Universo, ma fa parte di un disegno divino, di un piano superiore, di un Progetto Reale, anche se imperscrutabile.
Nell’uomo l’essere e l’esistente, direi,
combaciano. L’essere riguarda l’ontologia ed è orizzonte infinito e, perché no,
quasi inspiegabile. L’essere è nella
mente di Dio.
L’esistente è, invece, immanente,
ciò che l’uomo è, si rivela giorno per
giorno, ciò che l’uomo offre e riceve in
un incessante interscambio con i suoi
simili.
L’uomo, sotto il rispetto esistenziale,
è pensiero e azione, è impegno qualitativo e quantitativo, è sorgente di iniziative ma anche di impreviste creazioni,
dovute a lampi intuitivi.
Il socratico “conosci te stesso” ci illumina, in quanto è importante penetrare in noi sessi, riflettere, scoprire le
nostre capacità. Tutto ciò significa affrontare la vita con fiducia e coraggio e,
perciò stesso, capire che l’inerzia, la pigrizia, l’ignavia non ci qualificano, non
rafforzano la nostra coscienza di uomini, non debellano i mali sociali.
Quindi la coscienza e la conoscenza
devono formare lo zoccolo della nostra
esistenza quotidiana. L’onesta curiosità
intellettuale deve guidarci nel percorso
verso il vero, verso il bene, verso la maturità morale.
L’immagine dantesca in esame, in
un certo senso, è esortazione a non temere il pericolo pur di raggiungere i nostri obiettivi. Noi dobbiamo, sì, andare
sempre più avanti e sempre più in alto
ma il verso dantesco non include il sentimento dell’umiltà. Voler oltrepassare
le colonne d’Ercole col “folle volo” significa sentirsi simili a Dio, senza l’aiuto di Dio. In un certo qual modo si rinnova il peccato di Adamo. Ecco perché
Dante pone Ulisse nell’inferno. Ma in
Ulisse dobbiamo veder rappresentato
l’uomo, l’uomo che non sa misurarsi.
Oggi l’uomo tecnologico, che non sa
guardare al di là e al di sopra della tecnologia per vivere i valori di un sano
umanesimo e di un autentico sentimento religioso, non raggiungerà mai
livelli di perfezionamento interiore.
A noi, però, piace ridimensionare il
senso del verso dantesco. Vogliamo, così, dar luogo a una stortura, a una for-
zatura; vogliamo procedere controcorrente. E’ proprio così, perché è vero che
il richiamo al verso del Canto XXVI dell’Inferno dantesco è stato per noi lo
spunto che, poi, ci riporta ai vv. 118120 dello stesso Canto: “Considerate la
vostra semenza…” Qui Dante vuol cogliere la vera essenza dell’umanità con
un’esortazione di tipo pedagogico: l’uomo è essere intelligente, che fa bene a
non fermarsi e, quindi, a dare sempre il
meglio di se stesso. Si pensi all’imperatore Tito, il quale, se, alla fine di una
giornata, si rendeva conto di non aver
Verso
nuovi orizzonti…
se riuscissimo…
di Eralda Giannotta
Per arricchire la nostra vita di
esperienza culturale e non solo, non è
necessario visitare nuovi paesi viaggiando verso chissà quale meta. Per
allargare la nostra conoscenza, certo è
utile ma non proprio indispensabile
uno sguardo superficiale dall’interesse
turistico che dura il tempo che prende.
Il primo grande viaggio è quello che
ognuno di noi compie esplorando l’ambiente in cui vive, la famiglia, la parrocchia, la scuola, il quartiere, il paese, la chiesa. Per momenti di impegno,
di amicizia e di dialogo, anche nella vita quotidiana incontriamo occasioni
preziose di crescita culturale e sociale,
basta solo sapere cogliere quell’attimo
fuggente che spesso non ritorna più.
“Di fronte agli scalini della vita vera, troppi non sanno come salire”, soprattutto le nuove generazioni, avvertono il vuoto delle giornate, il tempo
non passa mai perché investito male,
poichè le mani e la mente sono troppo
“rilassate”, basta rivolgere lo sguardo
alla propria stanza per capire quanto
disinteresse c’è intorno alla propria vita. La noia e il malcontento prendono
il sopravvento, si cerca disperatamente l’inafferrabile, emozioni forti senza
valori attraverso l’alcool e le sostanze
stupefacenti, che alterano il sistema
naturale del corpo umano causando
danni irrecuperabili. L’inafferrabile
non costruisce nulla di buono, anzi distrugge quel poco che sarebbe potuto
germogliare, se solo ne avesse avuto il
tempo. Ogni giorno ci troviamo a dover
fare delle scelte. La vita è una conti-
Maggio 2006
fatto nulla di positivo, così esclamava: “
Perdidi diem!” ( Ho perduto un giorno!).
In definitiva la nostra vita, le nostre
attività, il nostro procedere verso il futuro che ci attende devono essere sempre accompagnati dal sentimento dei
nostri limiti, perché la realtà in cui siamo immersi è l’Infinito che mai e poi
mai potremmo abbracciare con la nostra mente, con le nostre ricerche per
quanto profonde esse siano, con tutti
gli strumenti di cui disponiamo. L’Infinito è solo nella mente di Dio, del “
massimo Fattore”, che certamente, tra
tutte le creature, fa scintillare la nostra
intelligenza, un dono che noi dobbiamo
apprezzare e far funzionare, con la preghiera, con l’umiltà, con la speranza di
un futuro sempre migliore nel segno
della pace e del progresso.
nua scelta! Più si va avanti con gli anni e si cresce, più le nostre decisioni
diventano importanti e più grande si fa
la nostra responsabilità verso la società in cui viviamo. E’ difficile immaginare che si possa progredire nel contesto culturale e sociale odierno, se
non si analizza il nostro vissuto quotidiano.
Possiamo esplorare nuovi orizzonti
a partire dal modo in cui viviamo, conoscere e fare nuove esperienze di vita
investendo su noi stessi e su quanto ci
circonda. Dalla storia “Magistra vitae”
(maestra di vita) impariamo che ogni
stagione della vita umana ci mette a
disposizione la sua esperienza, affinché possiamo farne tesoro per un
mondo migliore. Il focolare domestico
che una volta riuniva parenti ed amici
per organizzare il da farsi dell’indomani, oggi è solo un ricordo nostalgico. Il
quartiere con le sue esigenze, l’amicizia vera, la parrocchia, la famiglia al di
là del legame stretto che la rappresenta. Tanti se vogliamo sono i punti di
aggregazione verso i quali possiamo
estrapolare input necessari di vita, forse più di quanto umanamente ci è possibile immaginare. Se riuscissimo ad
essere più coerenti dopo aver intrapreso con coraggio e determinazione un
impegno per il bene del prossimo, il
nostro contributo verso la società in
continua evoluzione assumerebbe un
aspetto diverso e riempirebbe sicuramente le giornate vuote dei nostri ragazzi e non solo. Se a muovere il nostro io è la generosità e non l’egoismo,
il desiderio del bene comune e non il
proprio tornaconto, se il nostro vissuto è pieno del senso cristiano della vita, sicuramente ognuno di noi avrà il
suo “doppio” tornaconto arricchito di
quei valori in via di estinzione.
Cercare nuovi orizzonti in chi ci sta
intorno è un grande viaggio dall’itinerario bellissimo, dove i mille colori si
alternano formando un bagliore di
speranza, il cui contagio invita l’umanità intera a prenderne parte.
Oggi Famiglia
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SOCIETÀ
Maggio 2006
ALLA RICERCA DI NOI STESSI
di Luigi Perrotta
Gli uomini amano chi li illude, non
chi li disillude; chi li rallegra e li diverte, non chi li costringe a pensare, chi li
trascina davanti allo specchio, ponendoli di fronte a se stessi e alla propria
realtà.
Socrate, Pirandello e
Freud hanno dato un notevole contributo alla storia dell’umanità.
Il filosofo, lo scrittore e
lo psicoanalista, pur partendo da posizioni differenti, sono giunti alle medesimi conclusioni.
Socrate fu un esaminatore: non ebbe un mestiere, la sua funzione, nell’Atene del IV-V secolo a. C.,
fu quella di “svegliarino”
per suoi concittadini. Discorreva con loro, sulla
piazza o al ginnasio; li esaminava e poneva nel loro
animo il turbamento, il
dubbio. Attraverso il dialogo e la confutazione, Socrate portava i suoi interlocutori a partorire la verità, servendosi dell’ironia, che unita alla dialettica gli
permetteva di opporre verità contraddittorie, insinuando negli altri dubbio
(inteso come possibilità diacritica di
giudizio), alla consapevolezza di non
sapere. Egli afferma che ciò che vale è
prendere coscienza di sé: non bisogna
agire perché così sta scritto o perché
questo è il vero, ma indagare nella propria coscienza e interrogarla, dialogare
con sé e con gli altri. Sarà da questo dibattito interiore, da questo stesso dialogo, da questo ragionare che scaturirà
il bene, ciò che è da farsi e perseguire.
La discussione, l’attività dialogica, la
teche della parola devono operare come
una levatrice, che aiuta la partoriente
ad espellere il proprio bambino: così il
filosofo, tramite la dialettica, svolge
una funzione maieutica, aiutando l’interlocutore a dar forma alla propria
informe coscienza. Prova dell’importanza del filosofo è che non si discute se
non attraverso gli altri, non si ragiona
se non attraverso un interlocutore; per
cui, il bene sta nel costruire se stessi
insieme agli altri, nella consapevolezza di sé e
della libertà altrui.
Socrate afferma, quindi, che
conoscere
se
stessi è saggezza
e che una vita
senza esame è
vita indegna all’uomo di essere
vissuta.
E non sembra di rivedere in
questo struggente desiderio di
ragionamento
chiarificatore i
personaggi creati da Pirandello?
Una folla di
personaggi che sono folla di uomini vivi che appartengono ad una medesima
grande famiglia dolorosa, che soffrono
e ragionano: ragionano spesso insaziabilmente, per vedere sempre più a fondo nella luce o, spesso, nelle tenebre.
Essi indagano nella realtà intima, nell’essenza sostanziale dello spirito, nei
recessi più misteriosi e angosciosi della
coscienza.
In ogni sua novella, dramma, romanzo, Pirandello scava nella sostanza
intima della vita, la denuda, la costringe ad apparire a se stessa nella sua
mutevole realtà essenziale.
Egli stesso scrive: “Io non ho cercato mai di distruggere altro che illusioni”.
Come Socrate, lo scrittore cerca, attraverso la sua arte, di aprire gli occhi
agli uomini su ciò che possono afferrare della realtà. La sua è un’arte inquieta, pensosa, raziocinante, talora un po’
sofistica e quasi sempre scettica, denudatrice crucciosa di anime, che scruta
le ombre del cosiddetto subcosciente.
Imposta i problemi più paradossali, più
sconcertanti; affronta le apparenze
contraddittorie e cerca dell’uomo e della vita quello che è, non quello che pare.
Anche Freud si sobbarca il compito
di mettere in luce ciò che gli esseri
umani tengono nascosto dentro di sé,
servendosi della semplice osservazione
di quello che traspare dalle loro parole,
dai loro sogni e dal loro modo di comportarsi. Li sottopone a “dialogo”, o
“analisi”, e attraverso libere associazioni cerca di fare affiorare alla coscienza
i contenuti dei recessi più segreti della
mente, dando l’avvio alla psicoanalisi,
intesa come studio teorico sistematico
della personalità e metodo di trattamento terapeutico.
Con la psicoanalisi, Freud cerca di
indurre il paziente a recuperare, sul
piano della consapevolezza cosciente, il
materiale rimosso e non accettato (idee
e ricordi dolorosi).
E così, attraverso l’analisi e il dialogo con se stessi e gli altri, si riesce, volta a volta, a prendere coscienza di sé e
a superare difficoltà e problemi di inserimento sociale, oggi purtroppo così diffusi e gravi.
Queste tre grandi personalità ci lasciano un messaggio da non sottovalutare ed un insegnamento che non va dimenticato.
Tutti noi uomini, infatti, dovremmo aprirci maggiormente; guardare dentro di noi;
essere meno succubi delle convenzioni e strutture
sociali ed andare
alla ricerca della
piena consapevolezza: alla ricerca di noi stessi. Affidandoci alle menti dei grandi, di quelli che
sono i giganti sui quali arrampicarci
per provare a scorgere la linea dell’orizzonte, possiamo riuscire a comprendere quanto sia enorme e infinita la dimensione che sta intorno a noi; per cui
non si può far a meno che stabilire i limiti di noi stessi in noi stessi, per trovare la giusta posizione in questo immane cosmo di linee. È dalle mani di titani come Socrate, Pirandello, Freud
che può scoprirsi l’essenza esistenziale,
da quelle mani che, senza timore, si calano nel baratro dell’incerto, dell’oscuro, per estrarne la verità, che urla, scalcia, è insanguinata, ma è viva.
Oggi Famiglia
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EDUCAZIONE
Maggio 2006
IL “MALE DI VIVERE” VA RICERCATO
NELLA CRISI DELLA PROPRIA INTERIORITÀ
di Franco Pulitano
Oggi stiamo assistendo ad una crisi
dell’interiorità per colpa di una cultura
che mira a sopravvalutare l’immagine,
in una pericolosa inversione dei valori.
Alcuni fenomeni ci preoccupano
non poco: notevole quello di recenti trasmissioni televisive in cui davanti a milioni di telespettatori i protagonisti si
trovano ad esporre senza veli gli affanni legati alla loro vita intima, affettiva,
relazionale e anche sessuale.
E’ come se la nostra società massmediatizzata avesse fatto evaporare i
confini del pudore.
L’esibizionismo dell’intimo toglie
quella «discrezione» tessuta di silenzio,
che permetteva all’intimità di restare,
appunto, intima.
Non è solo questione di costume; alla fine, insieme col pudore, a dissolversi è la libertà.
La libertà, infatti, si gioca nella capacità di concepire nella propria testa e
nel proprio cuore idee, iniziative, pro-
getti «propri», mentre un’intimità violata lascia vivo solo un simulacro di libertà, quella che si contenta di valutare e scegliere tra varie offerte di consumo.
La televisione, se ben ricordo, è nata con la reputazione di «elettrodomestico gentile, strumento di puro svago»
ma oggi ha gettato la maschera e si
mostra qual è nel bene e nel male.
Essa non è più, come una volta,
compagno di passatempi, ma un parter
prepotente e autoritario.
E gli adulti che dovrebbero essere di
esempio ai giovani non disdegnano di
seguire simili spettacoli.
Oggi siamo nella fase dello smarrimento e dello stordimento; abbiamo bisogno di un nuovo Socrate che ci aiuti
a guadagnare un punto di vista più critico e più alto.
Le energie psicologiche e morali, più
che nella costruzione dell’autenticità
personale, sono investite nella propria
immagine sociale.
C’è una cultura in cui è vivo il
diffondersi di atteggiamenti di immode-
sto esibizionismo.
La cultura in cui siamo immersi accentua non poco la soggettività; bisogni
soggettivi, diritti soggettivi, ma a ben
guardare è una soggettività emozionale, vuota di interiorità.
E’ una soggettività superficiale e carente di interiorizzazione.
L’annullamento dell’interiorità induce molti giovani a trascurare il compito di rimanere in contatto con il proprio “Io” più profondo, di dare un senso alla propria vita, o di progettare il
proprio futuro.
Per loro è più facile ripiegare in una
cultura della sopravvivenza e del giorno
per giorno che espandere le energie
morali che parlano di assunzione di responsabilità e di autentico dono di sé.
L’uomo sta male perché si fa male
da solo, non riuscendo ad imparare ad
abitare con sé».
L’uomo sta male perché non riesce a
comprendere che una vita priva di ingrediente interiore, del tempo dedicato
a riflettere e ad interrogarsi non ha alcun senso.
La troppa libertà e quei cocktail, che piacciono davvero
molto ai giovani, sono complici del loro insuccesso
di Francesco Cundari
Purtroppo è ormai risaputo che alla base di tutti questi
episodi ci sono problemi in famiglia. Proprio quel nucleo che
non solo crea la società, ma che dopo la deve assistere e formare per un futuro migliore. Ebbene come accade spesso, se
nelle famiglie non esistono più i “controlli”sui figli lo dobbiamo alle tante e male organizzate giornate dai genitori. Vuoi
perché si lavora in due, vuoi perché vi è una famiglia in fase di separazione ecc. il figlio o la figlia , non sentendosi il
fiato addosso e quindi controllati, a volte incappano in situazioni davvero spiacevoli. Molti marinano la scuola, vuoi per
trascorrere un giorno in barca, o in montagna con le
belle giornate primaverili, fin qui solo è di strano la
mancanza di un giorno dall’apprendimento scolastico culturale. Ma sappiamo che non sempre è così.
Infatti si legge dalle cronache dei giornali, che sempre più ragazze oltre ad abbandonare gli studi, fanno uso di questo tempo lontano da casa per esporsi
e molto più rischiare la propria gioventù, in cerca, di
forti nuove sensazioni. Quella tipo, che va per la
maggiore, è diventata la moda della ragazze cubiste,
sì, proprio così. Fanciulle innamorate del successo,
che poi non coronano questo sogno.
Per soldi vengono inseriti in questi giri viziosi, dimenticandosi della loro età e della famiglia. Si esibiscono in locali e su piste, dove il loro corpo messo in
vendita ai tanti ammiratori, diventa facile preda dell’offerente maggiore. Molte famiglie hanno denunciato questo alle Procure di varie città, le quali dopo indagini accurate sono risaliti a numerosi locali che
utilizzano queste ragazzine, molte di loro anche minorenni.
Solo 30/40 Euro è il loro compenso, che si badi
bene, non va alle ragazzine, ma bensì a chi recluta
le stesse, cioè alle capocubiste. Molto sfruttamento delle giovani prede in cerca di successo, poca ricompensa nelle sue
mani alla fine dell’esibizione. La cecità e la smania di esibirsi corrode il cervello delle adolescenti, che noncuranti dei
rischi, nascondono perfino ai propri genitori questa loro
esperienza.
Alla fine però è trionfato il rimorso di essere scoperte e
pentite confessano tutto ai genitori. Madri e padri, che non
conoscevano questi comportamenti fuori dall’ambiente familiare, rimangono sbalorditi. Bisogna stare attenti, vigilare
sulle tentazioni di pensare di raggiungere il successo presto
e subito e devono far riflettere tutti, non solo i giovani, ma anche i genitori.
Giovani cubiste ballano in discoteca
Oggi Famiglia
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SOCIETÀ
Maggio 2006
LA SFIDA DELLA NOSTRA CIVILTA’:
CONCILIARE UGUAGLIANZA E LIBERTA’
di G.B. Giudiceandrea
Un recente convegno di studi svoltosi a Napoli ha affrontato ed approfondito un tema di grande attualità per la sinistra italiana ed europea: il tema del
rapporto che deve intercorrere tra libertà ed uguaglianza.
L’aspirazione dell’uomo di creare
una società in cui non esistano privilegi e tutti i cittadini siano veramente
“uguali” è assai antica, ed ha attraversato tutta la storia dell’umanità. La ribellione di Spartaco, pur soffocata nel
sangue, ha evocato per secoli il mito
dell’abbattimento dell’asservimento in
schiavitù di un essere umano; la predicazione di Cristo riscosse l’entusiamo
delle folle che acclamarono con le palme la speranza che l’uguaglianza extraterrena come figli di Dio preludesse alla liberazione da ogni servaggio terreno;
il mito campanelliano della città del sole alimentava il sogno mai sopito dell’uguaglianza; la triade illuministica (égalité, fraternité, liberté) animò la Rivoluzione Francese fino a che la barbarie
cruenta del Terrore e della ghigliottina
non contraddisse quei principi innovatori, mortificandoli nel riflusso conservatore del Direttorio e poi del Bonapartismo; l’analisi scientifica marxsiana
del capitalismo e dell’appropriazione
del plusvalore diede la stura ai movimenti sempre più impetuosi dell’Ottocento e del Novecento e animò la Rivoluzione dell’Ottobre sovietico, la quale
trovò la sua fine nell’abbandono del
principio ugualitario che Orwel, nella
“Fattoria degli animali” parodiò come
pretesa dei porci (la burocrazia partitocratica), di aggiungere al motto “Tutti
gli animali sono uguali” la postilla assurda “Ma i maiali sono più uguali degli altri”; l’onda ideale dell’uguaglianza
è stata la forza motrice della liberazione coloniale che imponeva l’assurda
dominazione di un popolo su un altro
popolo, così come ha animato la lotta
contro il razzismo che faceva dipendere
la supremazia di alcune etnie su altre
in ragione del colore della pelle.
Lungo, dunque, il cammino dell’aspirazioine all’uguaglianza e ricco di risultati. Restano, tuttavia, molte disuguaglianze sociali, riassumibili nel contrasto stridente tra ricchezza e povertà,
tra Occidente opulento e Terzo Mondo
affamato e privo di ogni risorsa, persino dell’acqua potabile.
Queste disuguaglianze risultano
mostruose per la coscienza moderna e
devono essere superate. Su questo non
sussistono (né potrebbero sussistere)
dubbi di sorta.
Problematiche, invece, risultano le
scelte delle strategie da seguire per raggiungere l’obiettivo dell’uguaglianza,
perché subentra il problema della conciliazione di esso con il principio della
libertà che a torto alcuni ritengono addirittura antitetico con quello dell’uguaglianza. Porre in antitesi l’uguaglianza con la libertà è un errore che ha
già pagato il suo conto alla storia; la tesi leninista di instaurare la dittatura
del proletariato (cioè abolire le libertà
politiche) come fase transitoria per costruire la società senza classi (cioè di
uguali) ha dimostrato, come tutti abbiamo potuto constatare, che la dittatura non fu transitoria,
né poteva esserlo, perché le dittature tendono
ad assicurare la propria
sopravvivenza e non ammettono altra soluzione
che il loro abbattimento,
e soprattutto non assicurò uguaglianza, se
non quella nelle privazioni e nel sacrificio fino
alla miseria. Anzi non
esistette nemmeno l’uguaglianza nella miseria,
come provano i tanti
processi per arricchimenti celebrati nell’ex
URSS e come documenta il ruggente discorso
contro la corruzione e il
burocratismo, pronunciato giorni addietro al congresso della gioventù comunista del Viet Nam dall’ultranovantenne Generale Giap, il mitico eroe delle guerre contro il colonialismo francese e americano. L’eclissi della libertà
non agevola, dunque, la conquista dell’uguaglianza e ad essa non va mai contrapposta, ma con essa va coniugata,
perché dove è repressa la libertà manca anche puntualmente la uguaglianza.
Una recente classifica dei più ricchi tra
regnanti e dittatori stilata e pubblicata
da Forbes, agenzia internazionale specializzate in ricerche simili, segnala al
primo posto nel mondo il Re d’Arabia,
seguito da tutti i sultani petroliferi e al
7° posto colloca Fidel Castro, che con la
sua rendita di 900 milioni di dollari
precede di gran lunga la Regina Elisabetta, che vanta solo (si fa per dire…)
500 milioni di dollari.
Sul piano delle strategie, va chiarito
che il superamento delle disuguaglianze sociali non può tendere né all’egualitarismo né al livellamento, perché non
si possono ignorare le tendenze e le doti specifiche di ogni persona (non tutti
possiamo essere tenori come Pavarotti)
né si può ignorare il diverso grado di
impegno che ciascuno mette nell’espletamento del proprio lavoro e della propria professione. Le diversità, inoltre,
tra mondo industrializzato e mondo in
via di sviluppo non può essere affidato
solamente alle pur nobili iniziative di
solidarietà e di raccolta di aiuti, ma deve fare leva sulla mobilitazione delle risorse di chi vuole uscire dal bisogno e
fondarsi soprattutto sulla diffusione di
tecnologia avanzata e cultura democratica affinché ogni popolo riesca a superare forme di fanatismo antimoderno
che si priva dell’apporto delle donne
(una metà della popolazione) relegandole in posizione di soggezione e di non
godimento dei diritti civili, che impedisce la circolazione delle idee e della cultura, che condanna a subire ogni sopruso impedendo la dialettica sindacale e politica.
La Rivoluzione Francese
Nell’evoluto mondo industrializzato
è pericoloso contrapporre la uguaglianza, ancora non raggiunta dai ceti meno
abbienti, alla libertà non solo di impresa, ma anche personale, nel timore che
l’impegno di ogni persona per migliorare le proprie condizioni possa far nascere disuguaglianze. L’uguaglianza
non può essere ottenuta mediante un
livellamento in basso e costringendo a
non tentare di eccellere: ovunque si è
intrapresa questa via si è repressa la libertà personale insieme a quelle politiche e civili, senza garantire la uguaglianza.
L’uguaglianza da garantire è quella
della dignità civile e sociale, è quella del
soddisfacimento dei bisogni essenziali,
è quella che tutela dalle discriminazioni sessuali, razziali, religiose, è quella
delle opportunità, affinché tutti partano alla pari: Head Start. Tutti uguali alla partenza, dunque, senza frenare però - il passo di nessuno, se non per il
rispetto di regole generali, uguali anch’esse per tutti, al fine di evitare che la
marcia in avanti di ciascuno e di tutti
diventi selvaggia corsa alla sopraffazione senza esclusione di colpi.
La coniugazione della sacrosanta
uguaglianza di diritti, di dignità e opportunità con l’altrettanto sacra libertà
di iniziativa e di impegno salverà l’Italia
e l’Europa da tendenze ormai troppo
diffuse al neghittoso disimpegno e ad
un egualitarismo che vorrebbe spegnere quella spinta all’emulazione che è
propria della natura umana e che è stata la molla che dalle caverne ci ha fatto
progredire fino alla civiltà attuale.
Oggi Famiglia
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SOCIETÀ
Maggio 2006
L’evento-Chernobyl vent’anni dopo: quali risposte?
di Vincenzo Altomare
Ricordo ancora quel giorno di
vent’anni fa, il 26 aprile 1986. Ero
uno studente, frequentavo il quarto
anno di Liceo scientifico. La sera, al
telegiornale, la notizia: “è esploso il
reattore nucleare di Chernobyl, in
Ucraina”. In quegli anni in Italia si discuteva del nucleare e il referendum
del 1987 ci congedò definitivamente
da questa fonte di energia. Le ragioni? Semplice: la pericolosità degli impianti e, soprattutto, delle scorie radioattive. Mario Capanna e Alex Langer, splendidi intellettuali, ci avevano
aperto gli occhi e la mente.
Dopo vent’anni, l’evento-Chernobyl resta avvolto in gran parte nel
mistero. Non conosciamo con certezza il numero delle vittime (si stimano
circa 100 mila persone); sappiamo,
con buona approssimazione però,
che circa 2 miliardi di persone hanno
subito le conseguenze di quell’esplosione; sappiamo, questo con più contezza, che sono oltre 5 milioni le persone che vivono in zone contaminate.
Ma, nonostante queste incertezze,
occorre riflettere un po’ su quell’evento perché non si riduca ad una specie
di fossile mnemonico da archiviare .
Anzitutto, penso sia corretto dire
che l’esplosione del reattore nucleare
di Chernobyl produsse effetti molto
più devastanti di quelli prodotti dalla
bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki alla fine della seconda
guerra mondiale. Ma credevo avessimo imparato la lezione: pensatori come Gunther Anders ed Ernesto Balducci - giusto per citare due autorevolissimi nomi fra i molti - ci avevano
detto che dopo Hiroshima l’umanità
era entrata in una nuova stagione
della sua storia, quella post-nucleare,
avendo maturato (finalmente!) la consapevolezza che la posta in gioco, con
il nucleare, fosse la sua stessa sopravvivenza e il futuro dell’ecosistema-Terra. Era nata la ‘coscienza di
specie’. Avevano e hanno ragione! Il
punto è che una lezione la si può imparare teoricamente, ma non sempre
la si riesce a tradurre sul piano pratico. Specialmente quando le decisioni
non le prende la politica ma l’economia di mercato. Ricordate quando
Bush disse no al protocollo di Kyoto?
L’economia americana, disse, non è
negoziabile. Neppure di fronte al destino del genere umano. Come se ciò
non bastasse, oggi si riparla di nucleare. La Francia vi dipende per il
78% della produzione energetica; la
Gran Bretagna per il 22 %, gli Usa
per il 19%. Il 46% degli svedesi le
vuole e Tony Blair, in Inghilterra, sta
varando un piano d’azione per il rilancio
dell’energia
nucleare.
Insomma, qualcuno ne ha nostalgia;
anche in Italia, perché - dicono i nostalgici del nucleare - “una centrale
atomica non produce effetto serra”.
Come se il problema fosse questo. E
le scorie? Quanto tempo impiegherà
la natura a digerirle? Migliaia di anni,
lo sappiamo tutti benissimo. Ma sembra che di fronte alle insistenze del
mercato lo dimentichiamo.
Qualcuno ricorderà con me che
qualche anno fa si parlava perfino
della nostra Sila come possibile discarica di scorie nucleari. Oggi non si
sentono più voci del genere in giro.
Pericolo passato? Con i miei amici
ambientalisti ci saremmo fatti legare
Più ha, più vuole. L’uomo contemporaneo, sempre più tecnomorfo, pensa
che tutto ciò che tecnicamente è possibile sia eticamente lecito. Possiamo
clonare? Allora facciamolo. Possiamo
procreare tecnicamente? Perchè non
farlo? Possiamo creare armi batteriologiche, chimiche e nucleari? Allora
dotiamoci di queste armi. Ciò che la
tecnica ci permette, l’etica non può
impedire: questa la logica dell’uomo
tecnomorfo! Alex Langer ci ha spesso
ricordato che solo sviluppando quel
‘senso del limite’ che sembra oggi
smarrito, avremo ottime probabilità
di sopravvivere ancora a lungo sul
nostro meraviglioso pianeta. Diversa-
Una veduta
dell’impianto
nucleare
di Chernobyl
con le catene pur di impedire qualcosa
del
genere.
Io sono contrario al nucleare anzitutto perché penso che ogni scelta in
questo campo, per essere eticamente
valida, debba scaturire dal seguente
principio: ciò che preleviamo dalla
natura deve potervi tornare senza
creare danni alla biosfera e all’ecosistema-Terra. L’uso del nucleare non
rispetta questo principio di vita. I rischi generati dalla sua applicazione
sono imprevedibili e le scorie avvelenano irreparabilmente l’uomo e la
natura.
Ma ritengo anche che sia venuto il
tempo di attivare fonti alternative di
energia: quella eolica e quella solare. Sono fonti sicure e pulite, provengono dalla natura e alla natura tornano senza problemi. I costi, è vero,
sono alti. Ma perché si è investito pochissimo su questo fronte. Una maggiore diffusione e, soprattutto, scelte
politiche che investano su questi settori semplificherebbero di molto anche gli oneri economici.
Una seconda riflessione. L’eventoChernobyl ha detto che l’uomo ha
smarrito da tempo il senso del limite.
mente, siamo condannati a morte.
E allora torna alla ribalta l’educazione.
Prevenire educando è l’unica scelta seria e intelligente che possiamo
fare. Dobbiamo riportare i nostri figli
e i nostri allievi nei boschi, porli a diretto contatto con la natura. Familiarizzare con la natura per imparare ad
amarla: ecco l’orizzonte educativo e
politico del presente e del futuro.
Altrimenti, ci restano due possibilità: o la repressione o la schiavitù del
mercato. Dobbiamo perciò chiederci:
che mondo stiamo consegnando ai
nostri figli? Sono loro i nostri creditori, come nostra creditrice è la natura.
Chi pagherà il conto? E quando? Forse Chernobyl è stato l’ultimo avvertimento per l’uomo.
Consigli di lettura
Alex Langer, Fare la pace, Cierre Verona 2005;
R. Louv, L’ultimo bambino nei boschi, Rizzoli, Milano 2006;
HD Thoreau, Camminare, Feltrinelli, Milano 2005;
Konrad Lorenz, Il declino dell’uomo,
Mondadori, Milano 1984
Oggi Famiglia
11
SOCIETÀ
Maggio 2006
LA SOCIETA’ DELL’IMPERMANENZA
di Giacomo Guglielmelli
Quando a fine giornata si riesce a
trovare qualche minuto per leggere il
quotidiano, le notizie ci appaiono già
vecchie, come se raccontassero fatti
successi da più giorni. Così come non
si fa in tempo ad imparare ad attivare
una funzione del cellulare che già ci
sembra di essere inadeguati per quelle
nuove che vengono propagandate sui
mass media.
Un senso di impotenza e di inadeguatezza assalgono molti della mia generazione. Solo non bisogna dirlo, manifestarlo, farlo pesare. Altrimenti si è
“out”, fuori dal gioco, dalla giostra. Così vediamo ultracinquantenni che si
comportano e vestono come teen-ager o
come novelli James Dean: petto scoperto in auto decappottate o ultimo balconcino alla moda per rendere turgido
un seno ormai flaccido.
Non siamo contro il progresso, né
pretendiamo che le donne debbano addobbarsi a lutto come nelle tragedie
greche. Quello che ci fa riflettere è il voler ad ogni costo negare gli effetti del
tempo che passa e dare eccessivo valore a cose che si rivelano invece effimere e prive di reale significato. E con
questo non si vuole assolutamente giustificare atteggiamenti di lassismo o di
rassegnazione.
Anzi.
Qoelet diceva che c’è un tempo per
tutte le cose. Ma quali sono le “cose” del
nostro tempo? Forse il successo a qualunque costo, il piacere senza limiti, il
sesso senza regole, la manipolazione
genetica senza etica, il denaro come
metro per giudicare chi vale e chi no, il
potere che genera solo sudditi ed ingiustizia?
Il concetto di tempo, che presuppone quello di limite, pare sfuggirci di mano. Né può servire l’accelerazione, il fare le cose prima, se non abbiamo chiaro che cosa è il tempo che ci è concesso, il perché, il senso della nostra vita,
il nostro posto su questa terra.
Senza aver dato una risposta a queste domande di fondo, non servirà ridurre il tempo dei nostri gesti e delle
nostre attività spingendo ad oltranza le
scoperte della scienza e dell’informatica.
L’uomo si fa schiavo delle macchine
che costruisce se non servono a migliorare, oltre alle condizioni di vita materiale, anche e soprattutto la sua vita
spirituale. E se queste gli sono di impedimento al raggiungimento dei fini più
alti per cui è stato creato e per cui vive,
allora deve fare delle scelte esistenziali.
Non tutto ciò che il mondo offre è buono, non tutte le nuove tecnologie migliorano l’uomo.
Queste considerazioni rimandano
all’antica domanda: “cui prodest?”. A
chi giova infatti guadagnare tempo,
avere più cose, godere di maggiori comodità e di piaceri sofisticati se si perde il senso del proprio essere, se ci si
allontana dallo scopo ultimo della nostra vita?
Ai ragazzi che aiuto nella preparazione della cresima faccio spesso questo invito: qualsiasi cosa facciate, qualunque scelta siete chiamati a compiere, domandatevi cosa avrebbe fatto Gesù al vostro posto. Per fare questo dobbiamo ritornare al Vangelo, all’insegnamento, alla testimonianza del Cristo. In
INVISIBILI
La condizione dell’immigrato
di Mariacristiana Guglielmelli
Ad ondate più o meno regolari, seguendo il ritmo dell’acqua che li porta,
arrivano sulle nostre coste migliaia di
profughi. Gruppi di persone eterogenei
per sesso, religione, età, che anelano
ad una vita dignitosa ed accettabile
lontano dalle violenze e dalla povertà,
lasciando i loro paesi d’origine e qualsiasi legame affettivo.
In occasione di sbarchi eccezionali,
per numeri e condizioni disumane di
viaggio, si riapre il discorso relativo all’accoglienza e all’accettazione di queste persone. Nel dibattito acceso e polemico, tra i sostenitori di una politica
dura e i fautori di una linea più morbida, si disperdono le esistenze e le
storie dei singoli. Al loro arrivo tormentato sono accolti dai flash dei fotografi non come accade per i personaggi famosi, ma come per i fenomeni da
baraccone, per poi venire dimenticati
dietro i grandi numeri e la demagogia
delle parole inutili.
Secondo i dati di Amnesty International, i migranti registrati in Italia sono oltre 2 milioni e 700, mentre i rifugiati sono circa 15.000. In questi numeri sono compresi oltre 500.000 minori che, con i loro genitori o molto più
spesso soli, affrontano il Mediterraneo
su piccole barche insicure e sovraffollate.
Il destino riservato agli immigrati
nei centri di prima accoglienza non risponde certo alle loro speranze di riscatto e dignità. Si ripresentano spesso le medesime condizioni di sovraffollamento, scarsa igiene, incertezza e
paura, che hanno caratterizzato viaggio e approdo.
La situazione è tanto più delicata
per i minori, che risentono in misura
maggiore del disagio fisico e psicologico a cui sono sottoposti.
Dalle testimonianze raccolte dalle
varie organizzazioni non governative
fondo non siamo che navi nella tempesta e l’unico modo di arrivare ad una
spiaggia sicura è tenere lo sguardo
puntato in direzione del faro ancorato
sulla scogliera. La tempesta è la nostra
vita frenetica, dispersiva, che ci fa ondeggiare fra tante inutili cose. Il faro è
la luce di Dio che ci guida alla salvezza,
verso la terra ferma. La scelta è fra la
stabilità e l’impermanenza. Non scegliamo quest’ultima, per non essere
condannati a vivere in una casa fondata, anziché sulla roccia, sulla sabbia
inconsistente.
che operano presso i centri d’accoglienza, emergono allarmanti situazioni legate alle inadeguate condizioni di
vita in cui versano i minori. Le normative internazionali vietano espressamente la detenzione di minori, se non
in casi estremi e per un loro interesse
superiore, ma pare che tali direttive
siano regolarmente violate per i migranti al di sotto dei diciotto anni.
Il film “Quando sei nato non puoi
più nasconderti” (2005) del regista
Marco Tullio Giordana è solo uno dei
più recenti esempi di attenzione e denuncia di una vicenda eticamente
inaccettabile eppure reale e quotidiana. È una storia simile a tante che
vengono riportate dai giornali o dai
programmi di approfondimento televisivo: si racconta di bambini e adolescenti tristi e rassegnati, di un’amicizia e dei tradimenti a cui ti costringe la
realtà. Un lento susseguirsi di immagini, sguardi ed emozioni che lascia allo
spettatore un indignato e rabbioso
senso di impotenza. Una finestra che
si apre su una delicata questione: le
strade che questi minori si trovano a
percorrere sono pericolose e spingono
all’illegalità, sono nascoste agli occhi
della società che continua a vivere
ignara e indifferente. L’invisibilità caratterizza queste vite che ci passano
accanto. Le facce senza sorriso che si
incontrano per le strade delle nostre
città, e che spesso disturbano la serenità delle coscienze cieche, celano vissuti diversi, misteriosi e straordinari,
che dovremmo imparare a conoscere e
a valorizzare, perché testimonianza
tangibile di coraggio e sofferenza.
Oggi Famiglia
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ARTE
Maggio 2006
La luce nella pittura di Giuseppe Caputo
di Gerardo Gallo
“Prigioni di luce” così mi viene di definire -guardandoli con atteggiamento
di assorta meraviglia per il loro nitore alcuni quadri di Giuseppe Caputo,
esposti nella Galleria d’arte “Le Muse”
diretta con signorile competenza dalla
professoressa Myriam Peluso. La luce
che ti colpisce non ha la sua naturale
materialità; la percepisci solo come
realtà psichica, nel senso che prende
vita dalla tecnica basata sul contrasto
dei colori. Provoca un effetto visivo preparatorio della successiva ricognizione
mentale che accerti e descriva l’ evento
inatteso di spontanea luminosità, sorta
dalla sensibilità dell’artista, direi, come
effetto mediatico. Tutti sappiamo che
la luce è una realtà fisica, prodotta da
un ordinato fervore di fotoni. E tuttavia
diventa patrimonio dello spirito dell’uomo per divenire, perdendo la sua causalità, gioia e godimento estetico. La luce imprigionata nelle tele di Caputo,
non è quella fisica captata dalla vista.
E’ una luce organizzata dalla tecnica,
dall’idoneità spirituale, dalla sapienza
cromatica dell’alternarsi delle tinte
fredde e calde. E affascina perché supera le normali conclusioni critiche cirRiflessi - Olio su tavola, 50x70
ca la fisicità della sua sorgente. E’ sì generata da colori prodotti industrialmente, ha però un’esistenza personale,
inventata dall’intuizione del pittore,
dalla sua manualità, dalla sua sintassi
delineata nella funzione di struttura
dell’opera pittorica, come in un pentagramma dove, al posto delle note, ci sono i colori come guida. Le strutture attraverso le quali la luce s’impone all’attenzione, rendono chiaramente intelligibili i segnali organizzati dalla mente
dell’artista. Segnali, mi permetto di
suggerire, come già quelli del Giorgione, di ambientazione neoplatonica, nel
senso che la luce, come principio vitale
dell’universo corporeo, emana dall’umana intelligenza. Il corpus dei colori si
fa luce senza mediazione esterna, è un
lampo con cui si accende la comprensione tra toni cromatici e luminescenze
che sgorgano dal profondo e si diffondono con circolare radiazione. Luce
non fisica, distribuita sulle superfici
con tale pregnanza da dare l’illusione
che sul retro della tela ci siano impulsi
luminosi artificiali. E’ una tangibilità di
luce indubbiamente fenomenica, ma
che per il suo peso di presenza è suscettibile di considerazioni con cui al
fruitore è dato di stabilire la qualità vi-
sibile e nascosta dell’opera in quanto
elemento concreto, messo davanti agli
occhi nello splendore dei suoi segni tonali, sperimentalmente riconoscibili
nella loro assoluta unicità. La luce, che
Giuseppe Caputo riesce a imprigionare,
meraviglia e stupisce perché la forza
ideativa da cui promana, antitetica alla
fisicità, è tutta inclusa nelle potenzialità del colore. E’ una realtà fatta di brividi dell’anima e di spirituali emozioni.
Limpido specchio di sublimazione della
luce.
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Oggi Famiglia
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ARTE
Il Divino, il Creativo nell’Arte
ovvero l’Arte del Comunicare
Oggi Famiglia
mensile del centro socio culturale
“VITTORIO BACHELET”
– DIRETTORE –
Vincenzo Filice
– VICE DIRETTORE –
Domenico Ferraro
di A. Guarascio
Ogni uomo è potenzialmente un
creativo, un genio che sviluppa facoltà
e capacità diverse adottando l’intuito o
la ragione come modello di vita.
L’Artista vive una condizione diversa, sin dalla nascita sente una passione che lo esaspera, alternando periodi
di esplosione artistica e professionale a
momenti di depressione intensa e creatrice. Il vero problema dell’artista è capire il perché ha origine tutto questo?
Spesso la critica qualificata si pone
questo problema! Quello che si vuole
dare è una giusta interpretazione ed è
un mistero per noi artisti ed operatori
d’arte.
I concetti filosofici, culturali e religiosi che governano l’uomo moderno da
sempre sono i nostri punti di riferimento per capire forse noi stessi.
Il Bello Artistico serve, a mio avviso,
a risvegliare l’uomo dal tecnicismo moderno, dal torpore ed assaporare la vita
con sfide e lotte significative da raggiungere e soddisfare…
La composizione artistica, che vorrei
delineare può essere un quadro, una
scultura, un film, un libro, un gioiello,
una canzone, una poesia; nasce da una
sinergia tra l’occhio ed il cuore dell’artista. Arte, Bellezza, Estasi, sono una
composizione di valori, è un linguaggio
che vive nella parola, nella scelta di un
colore, di un suono, di una danza, di
un’immagine capita e interpretata dall’amante del bello e del vero.
Arte è anche un tramonto rosso fuoco, che lambisce il confine tra il mondo
marino e il pianeta celeste, dunque Arte è la natura stessa, questa forza misteriosa e bellissima che governa il
mondo.
Arte e Divino sono due mondi diversi e collegati, è un argomento che apre
e dilata la mente di noi filosofi, di comunicatori del linguaggio.
Maggio 2006
– DIRETTORE RESPONSABILE –
Franco Bartucci
– COORDINATORE E AMMINISTRATORE –
Antonio Farina
– SEGRETARIA DI REDAZIONE –
Eralda Giannotta
– IN REDAZIONE –
Vincenzo Altomare, Rosa Capalbo,
Giovanni Cimino, Francesco Cundari,
Mario De Bonis, Michele Filipponio,
Carmensita Furlano, Francesco Gagliardi,
Giacomo Guglielmelli, Vincenzo Napolillo,
Antonino Oliva, Oreste Parise,
Lina Pecoraro, Davide Vespier
– SPEDIZIONE –
Egidio Altomare - Lorenzo Zappone
Gino Vinceslao
– STAMPA: Grafica Cosentina
Via Bottego, 7 - Cosenza
– IMPAGINAZIONE: T.&P. Editoriale
Via Adua, 16 - Cosenza
“Fiori” di Giovanni Cimino,
pittura acrilica su tela
Nel passato gli uomini della ricerca
scientifica e culturale hanno scritto
saggi stupendi, espresso concetti artistici, psicologici e sociologici, validi per
la società dell’epoca in cui hanno vissuto, ma letti in un’aula Universitaria
mi onora e mi voglio augurare raggiungano il vostro cuore, perché spiegano i
disagi e le paure umane. Va anche detto che ogni artista ha un proprio modo
di sentire e concepire l’Arte, non è soltanto lo stile o il linguaggio che adopera, ma è la connessione che avverte nel
proprio cuore.
Il Creativo nell’Arte da me
analizzato è stato vagliato e scandagliato seguendo le varie correnti filosofiche e spirituali del passato, dal presente… e mi voglio
augurare anche del futuro…! B.
Croce, considerava l’arte un linguaggio, uno spirito che s’incarna
nell’uomo e attraverso la sua volontà crea immagini simboliche,
infatti, l’opera d’arte nasce dal
sentimento e dalla passione, come
manifestazione dello spirito assoluto. Per noi cultori e professionisti dell’Arte il vero soggetto del
linguaggio artistico è la manifestazione di un essere che trascende e domina l’uomo. Gli acrostici
di mia fattura ne sono una confer“Rosone” di Giovanni Cimino, dipinto a smalto
ma.
su lastra di metallo.
Articoli e Corrispondenze da spedire a
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n. 520 del 9 maggio 1992 —
*******
Centro Socio-Culturale
“VITTORIO BACHELET”
Il Centro Socio Culturale V. Bachelet,
costituito nel 1981, ha modificato il proprio statuto con atto Notarile per il Dott.
Nicola Micciulli, notaio in Cosenza il
23/09/1998 al n. 4092, la sua sede sociale è in Cosenza in Corso L. Fera, n.
134, cap 87100, telefax 0984/483050.
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Partita I.V.A. 01612500783
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Ha ottenuto il riconoscimento della
personalità giuridica di diritto privato
ai sensi dell’art. 12 dei CC. e dell’art. 14
del D.P.R. 24.07.1977 n. 616, con deliberazione del D.D.G. n. 375 del
20.9.2000 e pubblicato sul Bollettino
Ufficiale della Regione Calabria n. 105
dell’8/11/2000.
Risulta iscritto al n. 160 del Registro
Regionale del Volontariato con Deliberazione della G.R. n. 5991 del
4.11.1998.
Con D.D. n. 7203 del 24.7.2001 della
Regione Calabria, il Centro Culturale
“V. Bachelet” ai sensi della legge 16/85
– art. 6 – 3° comma è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni,
Fondazioni ed Istituti Culturali della
Provincia di Cosenza.
Oggi Famiglia
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SOCIETÀ
Maggio 2006
Gravemente malnutriti centinaia di migliaia di bambini
delle comunità nomadi pastorali del Corno d’Africa
Ginevra, 15 maggio 2006 - L’UNICEF lancia l’allarme: nonostante le
piogge torrenziali di aprile, decine di
migliaia di bambini delle comunità pastorali rischiano la morte in una delle
regioni più inospitali del mondo. In occasione della presentazione a Ginevra
del rapporto “Infanzia a rischio: il
Corno d’Africa” - reso pubblico insieme al relativo appello di raccolta fondi,
diretto a coprire i 54 milioni di dollari
non ancora raccolti, su un ammontare totale stimato necessario in 80 milioni - il vice direttore generale dell’UNICEF Rima Salah ha sottolineato come
le recenti piogge abbiano paradossalmente acuito la crisi in alcune aree,
procurando un sollievo molto limitato
in altre. “La siccità ha ucciso quasi la
metà dei capi di bestiame delle popolazioni pastorali del Corno d’Africa”, ha
dichiarato Rima Salah. “La pioggia non
restituirà a queste popolazioni il bestiame perso. Un pastore senza il gregge è
come un agricoltore privo di sementi: un
essere umano costretto a lottare per trovare cibo, acqua potabile, riparo e un
espediente per guadagnare i soldi necessari a mantenere i suoi figli in vita”.
Negli ultimi anni, il Corno d’Africa ha
subito un progressivo inaridimento, a
causa di gravi e ripetute siccità; nel
2000, almeno 100.000 persone morirono durante la siccità che colpì la regione.
La maggior parte delle vittime della
carestia attuale fa parte dei 16 milioni
di pastori nomadi che si muovono lungo le terre di confine di Kenia, Somalia
ed Etiopia. Circa la metà di questi sono stati gravemente colpiti e hanno bisogno d’assistenza; 1,6 milioni sono
bambini con meno di 5 anni d’età. Tra
i principali aspetti che emergono dal
rapporto “Infanzia a rischio: il Corno
d’Africa”:
• Circa 40.000 bambini risultano talmente malnutriti che rischiano di
morire nei prossimi mesi;
•
In molte aree le recenti piogge torrenziali hanno aggravato la crisi,
uccidendo il bestiame, creando focolai di malaria e di altre malattie,
hanno distrutto i raccolti e inquinato le già scarse fonti idriche.
•
La maggior parte dei bambini colpiti appartiene alle vaste comunità
pastorali del Corno d’Africa.
•
Il ciclo ricorrente di crisi nel Corno d’Africa può essere interrotto
solo rendendo disponibili in misura
massiccia servizi mobili sul territorio, che sostengano e si adattino
al tipico stile di vita pastorale.
E’ possibile sostenere gli interventi dell’UNICEF nel Corno d’Africa
con:
-
una donazione on line o al Numero verde gratuito UNICEF 800745.000
-
un versamento sul conto corrente
postale n. 745.000, intestato all’UNICEF Italia, causale “Emergenza
Corno d’Africa”
-
un bonifico bancario sul c/c n.
000.000.510051, intestato all’UNICEF Italia, presso Banca Popolare
Etica, CIN “R”, ABI 05018, CAB
03200, causale “Emergenza Corno
d’Africa“
-
una donazione presso una delle sedi dei Comitati regionali e provinciali dell’UNICEF in tutte le principali città italiane.
Oggi Famiglia
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POLITICA
Maggio 2006
TRAFFICO, UNA TRAPPOLA
di Luigi Scarpelli
Quando, in auto e “convenientemente” incavolato, mi ritrovo intrappolato in mezzo al traffico, in città o fuori
fa lo stesso, il pensiero, quasi automaticamente, vola alla vicenda di Zì Dima,
il simpatico personaggio de “La giara”
pirandelliana che, incaricato dall’arrogante e causidico don Lolo’ di riparare,
appunto, una grossa giara, finito il lavoro, che ha eseguito dall’interno della
stessa, vi resta, non certo per sua volontà, prigioniero.
L’auto, indubbiamente una meravigliosa invenzione che avrebbe dovuto
assicurarci una maggiore libertà di movimento e quindi, una invidiabile indipendenza, è diventata, in considerazione della sua inarrestabile e aggiungo,
irresponsabile diffusione, la principale
componente di una vera e proprio trappola. E per nostra libera scelta!
Negare peraltro che l’industria automobilistica e tutto quanto le gira intorno rappresenti ora una delle colonne portanti dell’economia d’uno stato
moderno, sarebbe addirittura blasfemo, ma è altresì innegabile che, se vogliamo evitare guai peggiori, dobbiamo
avere il coraggio e la forza di darci, come suol dirsi, “una calmata”. Siamo
ormai – e da più tempo – alla saturazione!
Apri a caso il televisore, e trovi un
“intervallo”con una serie di spot che incoraggiano l’acquisto dei diversi tipi di
auto o di moto, le più potenti e veloci,
con una soffocante e arrogante invadenza. Passano pochi istanti e riprende
il telegiornale: “tre giovani sono morti
in un pauroso incidente stradale e dai
primi rilevamenti risulta che l’auto,
guidata da uno di loro, andava a fortissima velocità”. A che serve raccomandare prudenza, quando con immagini e
verbosità ossessive e alienanti si esaltano le eccezionali doti di codesti mezzi, capaci di favorire, soprattutto nei
giovani, eccessivi entusiasmi, ma di
causare anche grandi e dolorose tragedie, di aggravare l’inquinamento atmosferico, con inevitabili conseguenze per
la nostra salute, e la crisi energetica,
che da più tempo attanaglia l’occidente
e che, impoverendoci, spalanca desolanti scenari di una civiltà in declino?
Animati da una sorta di “cupio dissolvi”, non riusciamo a fare un più ragionevole uso della nostra auto che,
lungi dal restare sempre e solo un mezzo di trasporto, che tale è, si trasforma
il più delle volte in un chiassoso distintivo da esibire dovunque e sotto varie
forme. Basta infatti porre attenzione a
come si svolge il traffico nella nostra
città. E’ il caos: macchine, talora le più
importanti e monumentali, parcheggiate male in prima, seconda e, tutt’altro
che raramente, in terza fila; autobus
che, impossibilitati a proseguire, danno
il via, corroborati dalle auto, pur esse
bloccate, a un assordante concerto, cui
spesso si associa l’ululato della sirena
di un’autombolanza la quale, allo scopo
di salvare una vita, reclama, in maniera perentoria e lancinante, più spazio e
strada libera.
E tutto ciò perché utilizziamo la nostra auto scriteriatamente: poca gente,
infatti, va a fare la spesa camminando
a piedi o salendo su un mezzo pubblico, e così, per acquistare magari un
pacchetto di sigarette o un mazzo di cipolle si ricorre all’auto, che sciaguratamente si lascia nel frattempo in mezzo
alla strada.
Non è certo, codesto, un bel vivere!
Bisogna che tutti e ciascuno, ci diamo da fare per migliorare le cose, pure
a costo di sacrifici. Dovremo essere noi,
e solo noi, ad allargare le maglie della
trappola che lentamente e inesorabilmente sta per strozzarci. Lasciamo pure riposare la macchina in garage,
qualche volta, e moviamoci a piedi. Fa
bene alla salute perché finalmente respireremo meglio, a pieni polmoni.
A liberare zì Dima fu lo stesso don
Lolò, il quale, dopo un lungo e concitato dialogare con il conciabrocche e con
la piccola folla, che si era raccolta sull’aia e che s’era con quest’ultimo schierata, allungò un poderoso calcio alla
giara che, frantumandosi contro un albero, lasciò finalmente libero il gongolante zì Dima, da tutti applaudito.
Lo strillone
di Francesco Gagliardi
Con l’avvento della televisione, del televideo, del fax, delle Agenzie di Stampa,
il mestiere dello strillone è antiquato e superato. Le notizie in un attimo vengono diramate dappertutto, grazie ai progressi delle telecomunicazioni. Le notizie
dell’ultima ora entrano in tutte le case,
prima ancora che i giornali le stampino.
Una volta, invece, era lo strillone,
venditore ambulante di giornali, che
con un pacco di giornali sotto il braccio
gridava per le vie le notizie principali e
più interessanti in essi contenuti e invitava la gente a comprarli per approfondire le notizie. A volte esagerava,
talvolta inventava le notizie di sana
pianta, gridando: - Edizione straordinaria! Ultime notizie! Grave fatto di sangue a… - sciorinando un vasto repertorio tratto dalla cronaca nera.
Ebbi il piacere di conoscere alcuni
strilloni quando venni a Cosenza per la
prima volta sul finire degli anni quaranta. Che personaggi simpatici! Gridavano ad alta voce, nelle vie anguste della città vecchia, i titoli dei giornali con
la speranza che qualcuno si affacciasse
dalle finestre e dai balconi. Invitavano
la gente a comprare i giornali, le riviste
in voga in quei tempi, illustrandone per sommi capi le notizie più piccanti e più
divertenti. Anche allora i lettori dei quotidiani erano pochissimi. Il costo del giornale era intorno alle 20 lire, ma non tutti potevano permettersi di spendere quella modesta somma per la lettura e tantissimi poi erano analfabeti. Se compravano Bolero film e Grand Hotel, li compravano perché le storie erano illustrate e
di facile comprensione, anche se non erano in grado di leggere le didascalie.
Simpaticissimo era lo strillone conosciuto da tutti come “Nunuzzu”. Era un
po’ balbuziente ed ogni mattina, prima che mi recassi a scuola, sotto la mia finestra, con un mazzo di giornali sotto il braccio gridava a squarciagola: - Giornali, il Mattino, il Messaggero, giornale d’Ita, d’Ita, d’Italia, Roma, a Tibunaa!- La
Tibuna era la Tribuna illustrata. Erano i giornali più venduti allora nell’Italia
meridionale. Il Corriere della sera, era il giornale della classe sociale più evoluta
ed arrivava nelle edicole nel tardo pomeriggio.
Un altro personaggio simpaticissimo era “Turdiddu”, il quale andava in giro
con l’Ape a vendere i giornali declamando la formazione del Cosenza e gridava a
squarciagola: -Forza Cosenza, forza Lupi, forza Palpaceli-. Palpaceli era il giocatore, il più famoso, della squadra di calcio cosentina. Morì tragicamente in un incidente stradale in Via Popilia.
E chi non ricorda con nostalgia “Ciccio a gazzellina”. Fino a pochi anni fa girava per le vie della città di Cosenza con la sua Vespa tutta sgangherata e gridava: - Forza lupi, a ttie lupi, a gazzellina!- “A gazzellina” era il giornale “La gazzetta del sud”. Faceva servizio anche a domicilio. Aveva i suoi fedelissimi lettori
ed ogni mattina sull’uscio della porta di casa immancabilmente d’inverno e d’estate trovavano il giornale desiderato con le notizie dell’ultima ora.
Oggi Famiglia
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POLITICA
Maggio 2006
Habemus presidentem
GIORGIO NAPOLITANO
81 anni e non li dimostra
Nato a Napoli il 29 giugno 1925, Giorgio Napolitano è l’11° Presidente della Repubblica italiana e succede a Carlo Azeglio Ciampi. Laureato in giurisprudenza all’Università di Napoli, nella sua città natale inizia la militanza politica nel 1942 in un
gruppo di giovani antifascisti e comunisti e nel 1945 entra nel Partito comunista italiano, per il quale diviene responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale Pci, a testimonianza della sua sensibilità nei confronti delle politiche
per il Mezzogiorno. Nel 1953 è eletto per la prima volta deputato.
Dopo il X congresso del Pci, tenutosi nel 1962, entra nella Direzione nazionale
del partito e dal 1976-79 è responsabile della politica economica del partito e dal
1986 dirige la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. Nel luglio del 1989 ricopre la carica di Ministro degli Esteri e dopo il Congresso di Rimini aderisce al Partito democratico della sinistra, per il quale fa parte della direzione e del coordinamento politico. Dal 1989 al 1992 è membro del Parlamento europeo. Il 3 giugno 1992 è eletto Presidente della Camera dei deputati. Nel Governo
Prodi (1996-1998) è Ministro dell’interno e per il coordinamento della protezione civile. Il 23 settembre 2005 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
di Oreste Parise
Con l’elezione di Giorgio Napolitano
alla Presidenza della Repubblica si è
completata la “trimurti” delle più alte
cariche dello Stato, i garanti istituzionali che vigileranno sulla correttezza
costituzionale dell’esecutivo che dovrebbe sorgere a breve. La fragile maggioranza uscita dalle urne ha retto all’impatto di una serie molto insidiosa di
votazioni a scrutinio segreto. Tutti i tristi e cupi presagi di una coalizione che
avrebbe dovuto sciogliersi come la neve
al primo sole di primavera, sono stati
smentiti.
I reiterati tentativi di delegittimazione del risultato elettorale, la risicatezza
di una vittoria difficile da replicare, i
continui vaticini di una fine prossima
ventura, ha rinsaldato le fila, ha messo
all’angolo le polemiche e ricompattato
la maggioranza, conscia che qualsiasi
errore sarà pagato duramente non soltanto con lo scioglimento anticipato
della legislatura, ma con un ritorno alla scomoda posizione di opposizione
combattente.
Il risultato delle urne ha mostrato che
vi è un elettorato fedele, che non cambia
facilmente opinione al di là di quel magma di voti eternamente fluttuanti ed influenzabili all’ultimo momento. L’identificazione ideologica in un partito che caratterizzava la prima Repubblica, si è
trasformata nell’identificazione in uno
schieramento, e le fluttuazioni sono molto più marcate all’interno dei polli che tra
i poli. Questo provoca una continua fibrillazione nelle coalizioni poiché i partiti che le compongono cercano visibilità
per aumentare il loro peso elettorale e, di
conseguenza, la loro capacità di contrattazione.
L’elezione di un ex-comunista alla
più alta carica dello Stato ha definitivamente sgretolato il fattore K, quella implicita esclusione dei “comunisti”, considerati buoni per tutti i ruoli, salvo
quello di rappresentanza e garanzia ai
più alti livelli istituzionali. Il fattore k
avrebbe dovuto perdere ogni significato
con il crollo del muro di Berlino ed il
Congresso della Bolognina, dove sotto
la regia di Achille Occhetto si è chiusa
la parentesi del PCI per iniziare il cammino verso una nuova formazione socialdemocratica. Vi ha pensato Berlusconi a tenere viva l’attenzione e agitare ancora una volta lo spauracchio dei
cosacchi che abbeverano i cavalli a
Fontana di Trevi, i cinesi che bollono i
bambini per trasformarli in concime e
tante altre amenità.
Egli vanta una profonda e duratura
amicizia con lo zar Putin, ex-comunista, ex capo del famigerato KGB, despota di tutte le Russie. Basta la sua
benedizione per trasformare il governo
russo in una democrazia pienamente
realizzata, con un governo pienamente
democratico, la più assoluta libertà di
stampa ed il totale rispetto dei diritti
umani. L’elezione di un appartenente
ad un partito che non esiste più da anni, di una persona che in tutti i ruoli
che ha fin qui rivestito ha mostrato un
grande equilibrio, un comportamento
da grand commis, dovrebbe rappresentare un atto eversivo, un pericolo per
l’Italia e mettere in discussione la democrazia.
Egli è prigioniero dello stereotipo
che ha inventato in campagna elettorale che lo costringe al proseguimento ad
libitum di una finzione che lo porta alla
esigenza di creare uno spauracchio per
poter concentrare l’attenzione degli
elettori, distogliendoli dai problemi reali, dalle tante contraddizioni che hanno
caratterizzato la sua azione di gover-
no.La fase post-elettorale è stata proprio infausta per il Cavaliere che non
riesce a capacitarsi di aver perso sul filo di lana una partita giocata allo spasimo utilizzando tutti i trucchi e trucchetti della sua eccelsa capacità di prestidigitatore ed illusionista mediatica.
Con ruoli rovesciati si è verificato
quanto temuto, che cioè una risicata
maggioranza ha fatto l’en plein, occupando tutte le più alte cariche istituzionali.
Il Cavaliere ha vivacemente protestato arrivando fino a minacciare lo
sciopero fiscale, in uno scatto di quel
populismo eversivo che lo assale a tratti, come quando trova candidamente
naturale che gli operai di Termini Imerese in Cassa Integrazione si arrangino
alla bisogna, o invoca l’abusivismo di
necessità, l’eticità dell’evasione fiscale
se le aliquote sono troppo penalizzanti,
e così via. Tutto ciò è eticamente inaccettabile poiché crea una morale elastica, adattabile alla bisogna. Lo stesso
suo fido alleato Gianfranco Fini mostra
qualche perplessità: “Non condivido gli
appelli a non pagare le tasse: pagarle
rappresenta un dovere del cittadino”.
Un esito diverso del risultato elettorale, avrebbe portato ad un risultato simile, a facce rovesciate, che avrebbe
creato grande sgomento ed angoscia in
coloro che temevano un regime di fatto
costruito sul controllo di tutte le istituzioni, una immensa ricchezza e l’asservimento degli organi massmediali. Si
può ribattere che la frammentazione
della sinistra, crea un pluralismo nella
rappresentanza, che vi è un compiuto
senso dello Stato ed una maggiore garanzia di neutralità nello svolgimento
di queste alte funzioni.
Ma sono comunque giustificazioni
deboli che nascono da una malcelata
supponenza, da un giudizio di superio-
Oggi Famiglia
17
rità morale che non possono trovare favorevole accoglienza nella metà perdente dell’elettorato. Vi è una sorta di fastidio a porsi su di un piedistallo e considerarsi gli unici depositari del buon governo. Bisogna necessariamente concludere che si è creata un meccanismo
zoppo, un sistema che non ha uno
schema di pesi e contrappesi in grado
di garantire un equilibrio del sistema,
come era delineato con molta precisione nel disegno dei padri costituenti. Il
prossimo vincitore si troverebbe nella
identica condizione di poter ripetere
l’en plein sebbene non in sincronia poiché il settenato quirinalizio scadrà nel
mezzo del mandato. Si rende indispensabile ed urgente un complessivo riassetto delle regole, a cominciare dalla
solenne bocciatura della sciagurata
riforma costituzionale, che stravolge ulteriormente l’intero sistema. Il suo difetto più grande, al di là degli aspetti
specifici, è di essere stata concepita come una riforma di parte, una imposizione a suon di maggioranza, che trova
la fiera e decisa opposizione di una fetta consistente dell’elettorato. Il diffuso
dissenso non garantisce l’esito del referendum poiché, in assenza di quorum,
saranno pochi a decidere per tutti. La
grande maggioranza faranno finta di
non aver capito e se ne staranno a casa, indignati di essere disturbati così
tante volte in un arco breve di tempo.Un augurio sincero al Presidente
Napolitano.
Con il suo aplomb partenopeo contribuirà a rivalutare la figura del Meridionale, conosciuto al Nord con i giudi-
POLITICA
zi preconcetti di criminali incalliti, l’opinione precostituita di lavoratori scansafatiche, di spreconi di risorse pubbliche generosamente elargite da mamma
Stato.
L’augurio è che possa contribuire
con il suo rigore morale e la salomonicità dei giudizi, a rasserenare gli animi
Maggio 2006
ed aiutare le forze politiche a collaborare per la formulazione di un insieme di
regole condivise, la costruzione di un
nuovo patto per l’Italia che favorisca
una interazione tra gli organi costituzionali, a ricomporre l’equilibrio evitando qualsiasi forzatura a maggioranza
che stravolga l’assetto costituzionale
QUIRINALE: pessimo esempio di comunicazione pubblica
di Mario Caligiuri
ROMA (9.5.06) - “Il Quirinale e’ il
peggior esempio di comunicazione pubblica per verificare come viene utilizzato
il denaro dei cittadini”. E’ questo il
commento di Mario Caligiuri, professore di comunicazione pubblica e pedagogia all’Università della Calabria e
a “La Sapienza” di Roma, intervenendo oggi a Roma al Forum P.A durante il
convegno: “Comunicazione pubblica
spreco o valore? Il ruolo della valutazione”.”Infatti - ha sostenuto il professore - mentre, per esempio, negli
U.S.A. e in Germania per sapere come
vengono spesi i soldi del Presidente basta un semplice fax, in Italia questo
non avviene per una inspiegabile “consuetudine costituzionale”.
Infatti, si conosce solo l’importo
complessivo assegnato al Quirinale,
ma non il dettaglio delle spese. Esiste
un altro caso analogo in Italia: quello
dei “servizi segreti”, dove è però necessario mantenere il riserbo sull’uso dei
fondi a differenza del Quirinale. E questo diventa surreale se aggiungiamo la
circostanza che finanche il numero
preciso dei dipendenti sul Colle più alto della Repubblica sia avvolto nelle
nebbie. Sono forse circa 2000 – ha detto Caligiuri – mentre alla Casa Bianca,
dove il presidente è contemporaneamente Capo dello Stato e del Governo,
sono intorno a 400, compresi cuochi,
giardinieri e anche stagiste.
Altro paragone illuminante, è quello
con la Presidenza della Repubblica irlandese, che ha gli stessi compiti della
nostra, dove i dipendenti sono solo 12”.
Caligiuri ha concluso dicendo che:
“sarebbe un eccellente esempio di comunicazione pubblica e di indubbio
valore educativo, che una delle prime
azioni del nuovo Presidente della Repubblica fosse quello di comunicare i
costi del Quirinale, oltre a ridurli seriamente. Sarebbe un bell’esempio anche
per la nostra Camera dei Deputati che
costa, in modo assolutamente ingiustificato, dieci volte di più della analoga
istituzione spagnola”.
Oggi Famiglia
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SANITÀ
Maggio 2006
La Presidente Nazionale dell’Ordine degli Infermieri a Cosenza
MAGGIORE QUALIFICAZIONE DEL RUOLO DEGLI INFERMIERI NELLA SANITA’
Iniziative informative e culturali per la giornata internazionale dell’infermiere del 12 maggio
di Sante Casella
La presidente nazionale dell’Ordine
degli Infermieri, Annalisa Silvestri, accompagnata dai componenti del Consiglio Nazionale, ha incontrato, presso
l’Ordine provinciale di Cosenza, i responsabili dei cinque collegi Ipasvi della Calabria. Ha fatto gli onori di casa
Francesco Spadafora, presidente dell’Ipasvi di Cosenza.
Nel corso dell’incontro, la Silvestri
ha illustrato le linee programmatiche
della numerosa categoria infermieristica nel panorama del Servizio Sanitario nazionale e regionale, conseguente alla recente legge quadro, che
ha istituito, appunto, l’Ordine degli Infermieri. (Si è in attesa del decreto attuativo)
Lungo il percorso del potenziamento
del ruolo professionale degli infermieri,
l’Ordine si muove per raggiungere
obiettivi avanzati sul piano dell’organizzazione, della qualificazione dell’assi-
stenza e del rapporto con i pazienti e
relativi famigliari; nonché per conseguire risultati concreti in tema di coinvolgimento dirigenziale degli infermieri,
a livello gestionale, clinico e nella formazione ed aggiornamento della categoria. Tenendo ovviamente conto della
formazione universitaria, che – a giudizio della Silvestri – dovrà sfociare, nel
tempo, nell’acquisizione di funzioni di
docenza per gli infermieri qualificati attraverso la laurea in Scienze Infermieristiche e la frequenza dei Master di primo e di secondo livello.
“Nella sanità italiana- ha concluso
la presidente Silvestri – gli infermieri
sono la componente importante e maggioritaria rispetto alle altre professioni
sanitarie, pertanto dovranno incidere
sempre di più, nel rispetto del ruolo e
delle funzioni degli altri professionisti
sanitari, nelle scelte organizzative, gestionali, cliniche, dirigenziali e disciplinari”.
Nel quadro delle manifestazioni programmate per la “Giornata Internazio-
nale dell’Infermiere” che cade il 12
maggio, l’Ordine Nazionale – in collaborazione con le Organizzazioni sindacali
di categoria – vuole raggiungere, tramite i mass media, l’opinione pubblica
con un messaggio ed un slogan del seguente tenore: “Più infermieri più salute – Più infermieri… una risorsa
per la Sanità!”
“Un numero maggiore d’infermieri può salvare vite umane, migliorare
le prestazioni sanitarie, garantire degenze più brevi e un’adeguata assistenza a domicilio. Più infermieri
per un sistema sanitario di qualità al
servizio dei cittadini.”
Va detto, infine, senza enfasi e
senza timore di esagerare, che i professionisti infermieri, sempre a contatto diretto con i malati e i loro familiari, in maggioranza nelle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali,
vogliono essere motivati e in prima
linea per un’assistenza qualificata e
sempre più umanizzata e personalizzata.
La riunione del volontariato sociosanitario nella sede della Lega Tumori di Cosenza
PROGETTO ASSISTENZA DOMICILIARE E HOSPICE
PRONTO LA FINE DEL MESE DI APRILE
di Sante Casella
Si è svolta nel Centro sanitario “W.
Marino” della Lega Tumori di Cosenza
l’annunciata riunione delle Associazioni del Volontariato sociosanitario per la
presentazione della proposta-progetto
per l’assistenza domiciliare e la creazione dell’hospice.
“A Cosenza – ha detto il prof. Pugliese, responsabile del progetto – manca un hospice per accogliere anziani e pazienti
bisognosi d’assistenza
continua; come manca
un servizio d’assistenza
sanitaria, sociale, psicologica, umana a molti
malati terminali e malati
cronici. “Per la realizzazione del progetto occorre l’adesione convinta e
motivata di tutti. Perciò
dobbiamo costituire una
rete di collaborazione e
di solidarietà che ci consenta di andare verso
l’’obiettivo dell’Hospice.
Perciò le Associazioni sono invitate a fornire l’adesione e di operare insieme alla Lega in questo
percorso di attività a favore dei bisogni reali dei
cittadini di Cosenza e
dell’hinterland.”
Alla riunione hanno partecipato:
per la Lega Tumori il prof. Pugliese
coordinatore del progetto, l’avv. Francesco Martire ed i consiglieri Abonante, Granata e Mattaraggia; in rappresentanza del Centro Servizi del Volontariato, la presidente Annamaria
Odoardi; per l’Associazione Onlus G.
De Maio, la presidente Francesca De
Maio; per il Rotary di Cosenza, il dr.
Romano; per la Croce Rossa la sig.ra
Pastore; per l’AS n. 4 la responsabile
dell’Adi, dr. Pecoriello; per l’Associazione donne medico, la prof. W. Marsico;
per la Sorop-Timist Club. la sig.ra Vocaturo; per la Colomba Onlus la sig.ra
Stancati.
Sono intervenuti nella discussione
aderendo all’iniziativa e formulando
proposte operative concrete: Martire
consigliere nazionale Lega Tumori, Casella giornalista, Salamanca radiologo,
Liguoro oncologa, Pecoriello responsabile AS. 4, Abonante chirurgo senologo, Marsico
medico, De Maio resp.
Ass. G. De Maio, Romano ostetrico, Anna Maria
Odoardi del C.S.V.
La riunione si è conclusa con l’unanime
promessa di perfezionare il progetto entro la fine del mese, per poterlo
presentare, nel mese di
maggio, all’Azienda Sanitaria ed all’Assessorato alla Sanità per la sottoscrizione d’apposita
convenzione ai sensi
della Legge regionale n.
9 del 12.4.99 avente per
oggetto: “ Collaborazione
coordinata e articolata
tra Regione Calabria e
Lega contro i Tumori”.
Oggi Famiglia
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SANITÀ
Maggio 2006
Dello stress e dei suoi effetti perversi
di Giovanni Chilelli
Il termine stress, di origine inglese,
è entrato prepotentemente nel linguaggio comune di quasi tutte le popolazioni del pianeta Terra. Letteralmente significa “sforzo, tensione, spinta” riferibili a delle attività dell’uomo quando
superano i limiti di sopportabilità della
nostra sfera emotiva e che si riscontrano in particolari stimoli esterni, capaci
di suscitare in noi spavento, delusione,
angoscia, stanchezza fisica e psichica,
avvertita incapacità di sapere agire
adeguatamente contro tali condizioni
negative, che determinano l’insorgenza
del fenomeno.
E’ bene tener presente che l’uomo,
da sempre, è alla ricerca di una vita
tranquilla, di quiete, di pause di rilassamento del corpo e della mente per
meglio affrontare i problemi della vita
con cui egli deve misurarsi. Un’aspirazione che, nella frenetica società di oggi viene delusa in modo assai pesante.
Dalla mattina alla sera, infatti, si corre
da una parte all’altra per uscire a risolvere tutta una serie di problemi esistenziali, alcuni dei quali creati da noi
stessi. Vita caotica in famiglia, in città,
nei luoghi di lavoro, nelle informazioni
dei mass-media e della carta stampata,
che ci propinano immagini di disastri,
di guerre, di sciagure familiari ed altre
delizie del genere a cui siamo abituati
ad assistere un giorno sì, e l’altro pure.
A ciò aggiungasi una generale incertezza sul presente e un profondo
sconforto sul futuro nostro e dei nostri
figli, che, di per sé, sono sufficienti a
determinare uno stato di tensione dagli
sbocchi facilmente intuibili. E tale stato ipertensivo non nasce mai da futili
motivi, ma da problemi d’una certa
consistenza e, forse, d’una drammaticità palese o, addirittura, subdola. Uno
stato di stress può evidenziarsi allorquando lo stile di vita d’una persona è
palesemente in disordine perché improntato a delle smodate ambizioni di
carriera, di ulteriori affermazioni nel
proprio campo lavorativo con la conseguente rincorsa verso rimunerazioni
più consistenti, che richiedono forzate
condizioni di superlavoro.
A tali ambizioni si affiancano, spesso, sregolatezza di costume e rincorsa
verso l’edonismo, il piacere fisico come
puro divertimento a cui si dà eccessiva
importanza. Ma lo stesso Epicuro che
pur esalta l’hēdonē come principio della sua filosofia, afferma che la felicità
consiste, per quanto riguarda il corpo
nella privazione del dolore, e per quanto riguarda l’animo, nella piena tranquillità: “Corpo sano ed anima tranquilla”. In quest’ultima affermazione è
contenuta una valida indicazione per
evitare di precipitare nelle spire dello
stress.
A sostenere tale concetto filosofico
ci viene in aiuto lo stesso Seneca quando afferma che “ vivere secondo ragione
e non per altri calcoli è appannaggio
solo del saggio”. Nella nostra società
abbondano casi in cui alcune donne,
forse più per “apparire” che per “essere”, si gonfiano a dismisura il volume
dei loro lavori quotidiani con tutta una
serie di impegni tanto frivoli quanto
inopportuni perché ledono enormemente la loro stessa serenità. E con
l’occhio fisso sulle lancette dell’orologio, che impietoso segna il trascorrere
del tempo, si affannano ad accompagnare i loro bimbi, dapprima alla Scuola per l’Infanzia o a quella Elementare e
quindi, sempre di corsa, a lezioni di
musica e /o di danza, alla palestra per
praticare uno sport, che in effetti piace
a loro e molto di meno ai bimbi. A tutto questo va aggiunto l’impegno per il
lavoro in casa e fuori casa ed ecco che
le precondizioni per il sorgere dello
stress ci sono tutte. E il ménage familiare ne rimane fortemente compromesso.
La presenza dello stress si manifesta quando proprio la sfera emotiva si
viene a trovare in uno stato di disagio,
e l’intero organismo, sollecitato dal cervello, reagisce chiamando a raccolta
tutte le sue forze per affrontare adeguatamente gli insulti che caratterizzano il prevalere del disturbo stesso.
Qualora lo stato d’allarme è di breve durata, di sicuro esso ha un effetto
positivo in quanto il riunirsi d’un maggior numero di energie, rende possibile
gestire al meglio la situazione. I veri
problemi iniziano quando la situazione
di allarme si protrae per un periodo di
tempo prolungato.
E’ il caso di sottolineare che lo
stress è un problema di natura psico-fisica, che richiede un’attenzione particolare per cercare di evitare conseguenze, a volte, non di facile soluzione.
Psichico, perché la resistenza agli
sforzi, alle tensioni esercitate sulla
mente umana hanno un loro limite, e
quando questo viene oltrepassato, interviene una sorta di “cedimento”, che
consente l’insorgere di irritabilità, agitazione, nervosismo, intolleranza, che
portano le persone ad agire, come suol
dirsi, fuori dalle righe.
Fisico, perché gli organi maggiormente interessati al fenomeno, come
l’ipotalamo e il cuore, vengono sollecitati ad un deciso intervento. Il primo è
deputato a rilasciare, assieme ad altre
ghiandole, forti quantità di ormoni cortisonici e adrenalina, capaci di creare,
da soli, una serie di problemi a volte
anche molto seri. Il secondo, il cuore, è
uno degli organi che risente maggiormente delle conseguenze dello stress, e
crea scompensi, che richiedono tempestivi interventi medici. Ma è bene ricordare che lo stress è dovuto anche a difficoltà legate alla mancanza di strutturazione del tempo, alla difficoltà di sapersi impegnare a cose che possano
rappresentare un valido motivo per dare uno scopo alla nostra stessa esistenza. Alcuni individui trascorrono intere
giornate oziando, annoiandosi, creando
quel famoso “stress passivo”, che condiziona negativamente la loro vita. Per
lo stress attivo, invece, il rilassamento
rappresenta una delle chiavi più efficaci per migliorare il ritmo e la qualità
stessa della vita proprio perché uno
stato mentale di rilassamento si ripercuote, in modo positivo, sulla salute fisica e sulla buona funzionalità degli organi interni al nostro organismo.
E ricordarsi che lo stress si può prevenire cercando di “pensare” un po’ di
più prima di agire frettolosamente. Se il
disturbo fosse già presente, affidarsi
subito allo specialista prescelto, che
saprà indicare la via da seguire per intraprendere una delle tecniche di rilassamento, ritenuta più idonea.
Angoli cittadini: particolare del Duomo
Oggi Famiglia
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Maggio 2006
Migliorare i servizi amministrativi e burocratici dell’Unical
CODE AGLI SPORTELLI DI SEGRETERIA
DELLE FACOLTÀ DELL’UNIVERSITÀ
di Sante Casella
Si registrano da più tempo lamentele di studenti e di fruitori dei servizi
amministrativi e burocratici dell’Università della Calabria. Soprattutto agli
sportelli delle segreterie studenti della
maggior parte delle Facoltà.
Indubbiamente alla crescita notevole del numero degli immatricolati (Attualmente gli studenti di questa università statale raggiungono il numero
di 40 mila circa!) non ha fatto seguito
l’adeguamento delle strutture amministrative, non tenendo conto dei reali
bisogni degli utenti. Ed infatti le code
agli sportelli sono sempre in aumento.
Per consegnare o chiedere atti e documenti occorrono a volte ore di fila; finanche per prenotare e registrare gli
esami. Il che determina perdita di tempo e stress.
Pare che da qualche tempo gli addetti agli sportelli non rilascino più
neanche la ricevuta degli atti e documenti che vengono presentati, con perdita di tempo e di pazienza dei malcapitati fruitori dei servizi universitari.
Perché allo smarrimento di documenti,
gli interessati studenti o ex studenti
devono far fronte riproponendoli con
spese a proprio carico.
Accade – poi – che la domanda con
la richiesta della pergamena del diploma di laurea non viene protocollata alla presenza del richiedente e l’evasione
della stessa richiesta viene fatta dopo
mesi (ad una richiesta fatta nel mese di
marzo, l’addetto allo sportello ha comunicato che per il ritiro della pergamena
occorre ripresentarsi verso la fine di
settembre (dopo sette mesi!).
A fronte di questa situazione di disagi, code e quant’altro, è opportuno
fare ai responsabili qualche domanda:
1 Perché gli sportelli aperti al pubblico sono funzionanti per poche ore al
giorno?
2 Perché non viene rispettata una direttiva del Ministero della Funzione
Pubblica del 1995, secondo la quale
gli sportelli aperti al pubblico devono funzionare per 12 ore al giorno?
3 Perché l’informatizzazione degli uffici non ha ancora velocizzato l’evasione delle pratiche e la trasparenza
nei rapporti con gli utenti dell’Università?
4 Perché i rappresentanti degli studenti, i sindacati ed i responsabili della
burocrazia dell’Ateneo di Arcavacata
non si pongono il problema del funzionamento ottimale della burocrazia
e soprattutto delle segreterie e degli
sportelli aperti al pubblico?
Non dimentichiamo, infine, che l’Università dovrebbe essere, per efficienza e funzionalità, un vero e proprio faro, che si dovrebbe proiettare sul territorio, influenzando positivamente enti,
strutture e gestori di servizi pubblici e
privati.
San Francesco a teatro
di Fiorangela D’ Ippolito
Ho di recente assistito alla rappresentazione di una commedia messa in
scena per la prima volta dagli alunni
del Liceo Classico di Paola. Il testo, dal
titolo “lI mantello bucato” è imperniato sul tentativo messo in atto da un
frate “indiavolato” di evitare che frate
Francesco, il futuro santo di Paola,
passi lo Stretto di Messina sul suo
mantello. Fra’ Peppino, questo il nome
del religioso che poco, in realtà, ha del
titolo di monaco, decide, dunque, di
tagliuzzare per bene il mantello di Fra’
Francesco, in modo tale che la traversata si trasformi in tragedia. Il Bene,
però, trionfa e il santo riesce nel1a
sua missione, grazie all’aiuto di Dio e
dei frati buoni, primo fra tutti il fedele
Fra’ Giovanni... ma le insidie del Male
non si fermano ed ecco che entra in
scena il Diavolo, coadiuvato dai sette
vizi capitali, pronti ad attaccare Fra’
Francesco. Anche questa volta il santo avrà la meglio e vincerà il Male col
suo elogio della sofferenza come banco di prova della fede.
La commedia risulta ben costruita,
sia nel testo che nella definizione dei
personaggi. Profonde sono le riflessioni che emergono dal dialogo fra San
Francesco e il Diavolo e che sembrano
riecheggiare Seneca, ma con una sensibilità tutta cristiana. Eccezionale la
rappresentazione del Diavolo, una seducente ed inquietante dark lady, che
invita alle “gioie del Male”. Particolare
la trovata dei vizi capitali che in forma
di giovani fanciulle si scatenano in
una danza vorticosa intorno al Diavolo. Angelica la visione della Carità che
consola e sorregge fra’ Francesco. Azzeccate le musiche e le canzoni (originali) interpretate con maestria dagli
attori. Curatissime le scenografie, i costumi e tutto quanto contribuisce alla
costruzione del paratesto.
Uno spettacolo, dunque, in cui parola, musica e danza si uniscono in
perfetta sintonia e riescono a dare
emozione, grazie anche alla bravura
degli attori dilettanti e alla coordinazione dei docenti preposti al progetto.
... Ma forse la cosa più straordinaria è
che l’autore sia un diciottenne alunno
del Liceo Classico di Paola, Franco
Staffa, un giovane che ha dato prova
delle sue eccellenti doti artistiche scrivendo in pochissimi giorni la commedia e impegnandosi con gli altri per la
realizzazione di questo piccolo grande
sogno.
In una società in cui spesso siamo
portati ad avvilirci e a non credere più
nella gioventù, bombardati da notizie
di ragazzi che gettano al vento le proprie capacità offrendo il peggio di sé in
atti criminosi, è bello e commovente
vedere che ci sia chi si preoccupi ancora, cosi giovane, di produrre arte e
di farlo con vera passione: è il segno,
forse, come diceva qualcuno, che “Dio
non è ancora stanco degli uomini”.
Oggi Famiglia
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ARTE
Maggio 2006
PICASSO E IL SUO “MASSACRO IN COREA”
di Giovanni Cimino
Pablo Ruiz Blasco y Picasso, detto “Pablo” (Málaga 1881 – Mougins 1973) fu pittore, scultore e incisore spagnolo; in questo articolo
tratto soltanto della sua pittura. Nacque da una famiglia andalusa; era
figlio di María Picasso López e di José Ruiz Blasco.
Suo padre era un professore di disegno presso l’Escuela de Artes
Oficios (Scuola d’Arte e Mestieri) di Málaga, Pablo Picasso oltre ad
apprenderne i primi insegnamenti, ne seguì gli spostamenti sia a La
Coruña in Galizia nel 1891, sia a Barcellona nel 1895.
In questa ultima città si iscrisse all’Accademia di Belle Arti; successivamente, nel 1897, venne ammesso a frequentare i corsi tenuti all’Accademia Reale di San Ferdinando a Madrid, ma non li frequentò e
nel 1898 fu ospite del suo amico Paillarès a Horta de Ebro.
Nel 1899 ritornò a Barcellona e durante il 1900 frequentò il ritrovo
de “El Quatre Gats”, iniziando l’attività di illustratore di riviste.
Si recò a Parigi, portando avanti le esperienze spagnole, ma stringendo importanti amicizie, fra le quali quella con il poeta Max Jacob.
In un secondo viaggio le sue opere si ispirarono al sociale, ricorrendo ad una pittura monocroma, usando il colore azzurro (“periodo
blu”). Di questo periodo ricordo: “Ritratto di Jaime Sabartés” del 1901;
“Bevitrice d’assenzio” del 1901; “Il vecchio ebreo” del 1903; “Il vecchio chitarrista cieco” del 1903.
Nel 1904 si recò a Parigi per la quarta volta e vi si trasferì definitivamente, con studio a Montmartre da P. Durio.
Le opere realizzate nel periodo dal 1905 al 1906 (“periodo rosa”)
furono caratterizzate dal colore rosa (incarnato) e raffigurante soprattutto il mondo del
circo. Di questo periodo ricordo: “La famiglia di acrobati”
del 1905; “La toilette” del
1906.
Il 1907 fu l’anno della nascita del Cubismo; Pablo Picasso conobbe G. Braque e D.
H. Kahnweiler promotore e
storico del Cubismo. Per merito di Derain e Matisse si avvicinò all’arte africana e durante questo periodo è da evidenziare: “Les demoiselles
d’Avignon”; un dipinto incompiuto eseguito nell’inverno del 19061907. Esso è considerato l’inizio del Cubismo e la chiave dell’arte moderna; è anticlassico e rivoluzionario; risente l’influsso della scultura
africana e di una sintesi geometrica delle forme. La figura umana ha
forte espressività, allontanandosi decisamente dalla bellezza tradizionale. Le forme sono delineate marcatamente; le linee marcate evidenziano i volumi e racchiudono le superfici. Inoltre c’è da dire che Picasso per la sua realizzazione di questo dipinto guardò alle seguenti
opere: “Cinque bagnanti” di Cézanne, “Lo schiavo morente” di Michelangelo, “Il bagno turco” di Ingres e varie pitture di El Greco che
presentano stringenti legami iconografici con la sua opera.
In Spagna soggiornò nell’estate del 1908 a Crèteil, nell’estate 1909
ad Horta de Ebro e nell’estate del 1910 a Cadaquèsin; durante questi
soggiorni estivi maturò il nuovo linguaggio nei confronti del Cubismo
Analitico; il colore si ridusse principalmente alla gamma dei grigi e gli
oggetti vennero scomposti in sfaccettature da permettere la visione in
tutte le direzioni, armonizzandolo con l’ambiente circostante. Nel 1909
circa si verifica la rottura con la prospettiva rinascimentale, con la quale venivano rappresentate le tre dimensioni dello spazio (larghezza, altezza e profondità) sulla superficie piana; tale rottura avvenne con le
opere di Picasso e di Braque.
Fra tutte le sue opere di questo periodo (1908-1910) ricordo: “Fabrica a Horta de Hebro” del 1909. Ma l’analisi delle forme era un’analisi non valida, perché mutila e parziale; era difficile al fruitore attribuire i piani appartenenti al suo volume, né il colore era di aiuto per individuarlo, poiché esso veniva usato, per tutti gli oggetti, a velature o
piccoli tocchi di colore grigio ed ocra. Picasso e Braque cercarono di
riparare alle difficoltà di leggere le loro opere e a partire dal 1910 le arricchirono con particolari figurativi schematici.
Fra i particolari figurativi schematici che arricchirono, in un se-
condo momento, le opere pittoriche di Picasso e di Braque vi erano anche le imitazioni delle venature proprie del marmo o del legno o motivi decorativi di tappezzeria che ben presto suggerirono l’uso della tecnica espressiva del “collage” (collaggio o incollamento); consiste nell’applicare sul supporto (superficie dell’opera pittorica) alcuni materiali eterogenei o anche oggetti. Per la realizzazione del “collage” cubista (1912) si fece uso soprattutto di carte incollate (“papiers collés”),
usando esclusivamente pezzi di carta. I pezzi di carta incollati differenziavano le superfici, creando un contrasto di tono il quale generava
relazioni spaziali completamente nuove. Con i “papiers collès” Picasso si metteva apertamente in polemica nei confronti del concetto tradizionale di “pittura”, ovvero: di tecnica espressiva pittorica.
Picasso (insieme a lui anche Braque, ma con evoluzione più lenta)
era consapevole che il Cubismo Analitico faceva perdere all’oggetto
densità ed omogeneità, intaccandone l’identità, così, nel 1913, decise
di cambiare il suo metodo perché per raffigurare un oggetto non c’era
bisogno di osservarlo, ma di fissarne le peculiarità principali in una sola immagine e, inoltre, di usare colori vivaci. La denominazione di Cubismo Eidetico in sostituzione a quella di Cubismo Sintetico è ritenuta
più appropriata da Guy Habasque.
Nel 1915 morì di tubercolosi Eva, la sua donna amata, e Picasso
ebbe una crisi sia artistica, sia esistenziale; lasciò Montparnasse per andare ad abitare in una casetta a Montrouge.
Nel 1917 visitò l’Italia ( Firenze, Roma, Pompei e Napoli) rimanendo attratto dall’arte classica; influsso che lo fece ritornare, per poco tempo, alle forme realizzate durante il “periodo rosa” e a forme monumentali appartenenti al mondo classico.
Dopo il 1920 produrrà
una serie di figure femminili,
le “bagnanti”, ispirandosi all’arte di Pompei.
Combattuto fra classicismo e la negazione del classicismo, approdò al Surrealismo, con la sua opera: “La
danza”.
Nel 1928 realizzò composizioni di piccole dimensioni
e dai colori vivaci.
Poi, nel 1930 circa, approdò ad un periodo particolare detto: “periodo dei mostri”; una delle sue opere di
questa fase artistica fu: “Donna in riva al mare” del 1930.
Successivamente Picasso sentì fortemente le atrocità della guerra
civile spagnola; egli, nel 1935, aveva appena inciso la Minotauromachia (acquaforte), quando subito dopo fu nominato Direttore del Museo del Prado.
Nel 1937 realizzò “Guernica”, ispirandosi al bombardamento del
villaggio spagnolo da parte dei Tedeschi; nel periodo 1944-1945 realizzò il “Carnaio”; nel 1949 disegnò la “Colomba della pace” per il manifesto del Congresso della Pace Mondiale che si tenne a Parigi; nel
1951 dipinse “Massacro in Corea”; nel 1952 eseguì due pannelli:
“Guerra” e “Pace” per la Cappella di Vallauris.
Picasso, affrontando tematiche politiche, si schierò apertamente
contro il Nazismo, il Franchismo e la guerra americana in Corea.
Il “Massacro in Corea” venne da lui eseguito con la tecnica espressiva della pittura ad olio, usando come supporto un foglio di compensato (110x210 cm). Questo dipinto oggi si trova custodito nel Museo
Picasso a Parigi.
La composizione è divisa in due parti: a sinistra di chi guarda vi sono donne e bambini nudi, per simboleggiare la loro condizione di esseri indifesi; sulla destra, di chi guarda, vi sono armati minacciosi che
puntano le loro armi contro un nemico inerme. In lontananza si vede
una casa distrutta e un incendio. Il colore predominante è il grigio; le
figure sono delineate da linee marcate. È chiaramente raffigurato il
dramma della guerra che produce morte e distruzione.
Durante gli ultimi anni della sua vita Pablo Picasso si dedicò soprattutto alla tematica de: “Il pittore e la modella”.
La collezione privata di Picasso, contenente sue opere e anche di
altri artisti, fu donata, alla sua morte, allo Stato Francese. Il Comune di
Parigi decise di collocarla all’Hôtel Salé una volta ristrutturato; nel
1985 venne inaugurato come Museo Picasso.
Oggi Famiglia
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BIBLIOTECA
Maggio 2006
Le Case Editrici sono invitate a inviare pubblicazioni a “Oggi Famiglia”
La rubrica è a cura di Domenico Ferraro
Tra la leggenda, la storia
si snoda la vita di San Lucido
di Domenico Ferraro
Tra la storia e la leggenda, tra i costumi
di ieri e i problemi di oggi, in un immaginario itinerario turistico e storico di incomparabile bellezza, si articola il viaggio, che, in
compagnia di Francesco Pellegrino, facciamo leggendo la ricostruzione storica di San
Lucido.
E’ un itinerario culturale e paesaggistico
che non finisce mai di stupirci. Contaminati dalla curiosità intellettuale dell’autore, affascinati dal suo entusiasmo e dal suo amore per la sua terra, ripercorriamo ogni
aspetto della vita delle popolazioni di cui ripresenta le esperienze più vive e più significative.
Non si stanca di soffermarsi su ogni ricordo, su ogni reperto, come fosse una sua
prima scoperta e, a noi, di farci incantare
per la meraviglia delle sue descrizioni, del
suo racconto, del costume della sua gente.
E’ un risvegliarsi continuo di memorie
storiche, di fantasie turistiche, di cultura
materiale che adorna e arricchisce ogni dirupo del suo paese.
I problemi del suo racconto si dipanano
con soprendente naturalezza. Nei reperti ti
fa leggere e scorgere le avventure del passato e la bellezza storica si confonde con l’amalliante bellezza della natura della sua
San Lucido.
L’originalità descrittiva della storia viene
espressa con vivacità intellettuale, con avvedutezza scientifica, con correttezza storica e con la precisione paesaggistica del geografo, che riconosce ogni luogo e riesce ad
attribuire ad esso i valori che ha rappresentato per la popolazione decorsa e ciò che
può risvegliare nella curiosità della gente,
che vive ancora tra tanto incanto di ricordi
reali.
Assieme allo scrittore respiriamo, a pieni polmoni, una boccata d’aria ricca di ossigeno e di salsedine e lungo le meravigliose
coste e nei dirupi dell’entroterra ci inebriamo del passato storico, ma, anche, del presente, che non smette di ricolmarci di meraviglia, di tante significative riflessioni.
La leggenda, la storia, i costumi costituiscono la traiettoria lungo la quale si snoda la ricerca di Pellegrino.
Nell’ esposizione utilizza un linguaggio
molto semplice, piano, piacevole, interessante.
Le notizie, le intuizioni, i dati non sono
mai un appesantimento della lettura, ma
sono inseriti in modo tale che ci si sente obbligati a farne un riferimento, che ci induce a confrontare gli avvenimenti di ieri e le
attualità di oggi.
Nel racconto si percepisce continuamente un sottaciuto amore filiale dell’autore verso la storia della sua San Lucido, un
amore fatto di ammirazione, di compiacimento, di una gratificante ricerca per tutto
ciò che essa ha saputo realizzare durante la
sua lunga gloriosa storia.
I personaggi, che egli evidenzia, sono inseriti nel contesto degli avvenimenti che essi stessi hanno contribuito ad attuare, oppure sono stati vittime di un contesto storico, che non sono riusciti a dominare e a padroneggiare.
Pellegrino, nella ricostruzione della storia della sua comunità, privilegia tutti questi atteggiamenti, che costituiscono e formano i costumi, i comportamenti, i sentimenti religiosi, le vicende quotidiane della
gente, che, poi, sono i veri avvenimenti per
capire e tracciare la vera storia di una popolazione.
La finalità dell’autore è di ricostruire la
storia del suo paese per lasciare una testimonianza ai giovani di oggi, che, se anche
sparsi per il mondo, possano portare con loro, nell’intimo del proprio cuore e della propria intelligenza, la ricchezza culturale che
hanno ereditato e che costituisce la specificità dei loro costumi, delle loro tradizioni,
l’anima della loro vita più vera e più profonda.
Il libro di Pellegrino se è storia, è anche
cronaca antica e moderna, è poesia di una
favola, che non smette di incantare chi la
racconta e chi l’ ascolta, è la tessera di un
mosaico policromatico, che contribuisce a
formare la vita, i costumi, la civiltà del popolo meridionale.
Francesco Pellegrino, San Lucido, antico
paese del Sud, Grafiche Calabria,
Amantea (CS)
Storia delle Ferrovie in Calabria di Luigi Costanzo
di Luigi Scarpelli
Va subito detto che il titolo del libro è riduttivo
rispetto al contenuto. L’Autore, infatti, prima di intrattenere il lettore sulla storia delle ferrovie in Calabria, traccia, sia pure per larghe linee, la storia delle
ferrovie nel mondo, a partire dai “primi esperimenti
di mezzi di trasporto su rotaie”, risalenti alla fine del
XVII secolo, iniziati e via via perfezionati da George
Stephenson, creatore della prima locomotiva a vapore e progettista della linea Stockton – Darlington di
25 chilometri. Si tratta invero di flash, redatti con linguaggio chiaro ed essenziale, ricco di significativi riferimenti storici e iconografici, questi ultimi, in buona parte rari, da considerare veri e propri documenti.
Il libro consta di tredici capitoli:
Le ferrovie nel mondo; Sguardo sulle principali
ferrovie europee; Le ferrovie più spettacolari del
mondo; Le ferrovie costruite in Italia; Tronchi ferroviari in Calabria; Le ferrovie dello Stato in Calabria;
Le ferrovie della Calabria o ex FCL; Il futuro delle
ferrovie calabresi; Le tramvie; Le ferrovie ad utilizzo
industriale; Le ferrovie progettate e non costruite; Incidenti e disastri ferroviari; Documenti.
Dopo aver sinteticamente trattato (Cap. I) dello
sviluppo delle ferrovie nei cinque continenti – veniamo cosi a sapere, tra l’altro, che in Asia lo stato che
possiede più linee ferrate è l’India, “sicuramente per
la lunga influenza subita dall’Inghilterra”, e che nel
mondo è l’America del Nord – l’Autore rivolge la sua
particolare attenzione all’Europa (Cap. II), in cui, sulla scia dell’Inghilterra, i diversi stati, una volta compresa la grande utilità delle linee ferrate, si sono affrettate a realizzarle e, nel tempo, a potenziarle. Poche sono le righe dedicate da Costanzo a ciascuna nazione, ma sono più che sufficienti a disegnarne, sotto
questo aspetto, il profilo, e a fornirne i dati più significativi (data di costruzione, chilometraggio, caratteristiche principali del percorso, etc, etc). Nel terzo capitolo, “Le ferrovie più spettacolari al mondo”, l’Autore si sofferma sui tracciati più particolari “laddove
la natura impervia consente solo il passaggio dei treni e dove numerose sono le grandi opere d’arte, connesse ai forti dislivelli dei terreni”. La Ferrocarril
Transaandino, ad esempio, lunga ben 464 chilometri
scende da un’altitudine di 3.000 metri fino al golfo di
Guayaquil e, nel suo insieme, è considerata la più bella ferrovia nel mondo. Né tralascia, l’Autore, di includere nel novero, e non poteva essere diversamente, il tracciato con varianti del famoso “Orient Express”, il mitico treno messo in esercizio il 1833 su
idea dell’ing. G. Nigelmackers.
Con la messa in esercizio della Napoli – Granatello (Portici), lunga appena 7640 metri, l’Italia dà
inizio – era il 3 ottobre 1839 – alla costruzione delle
sue strade ferrate e, pur tra difficoltà di ogni genere,
esse raggiungono, il 31 dicembre 1931, i 22.254 chilometri.
Oggi Famiglia
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BIBLIOTECA
Maggio 2006
REGALATE UN LIBRO AL CENTRO DI LETTURA
DEL CENTRO SOCIO-CULTURALE “V. BACHELET”
La scuola del futuro nella concezione dei Saggi
di Domenico Ferraro
Nel volume n. 78 degli Studi e Documenti degli annali della Pubblica
Istruzione vengono pubblicati gli atti
della Commissione dei Saggi comprendenti i contributi individuali, i materiali preparatori del documento comune,
le relazioni, il documento di sintesi e i
verbali delle riunioni elaborati dal coordinatore Prof. Roberto Marigliano.
La Commissione istituita dal Ministro Berlinguer comprende specialisti
della materia e studiosi di altre discipline.
Il Ministro ha voluto consultare una
pluralità di studiosi di stili ed interessi
culturali diversificati per individuare gli
aspetti più qualificanti e formativi delle
attività scolastiche. In esse predominano i presupposti ideologici delle discipline e anche una certa filosofia della
vita. Si denota una vastità di prospettive di una società mutevole. Sono evidenziati gli interessi comportamentali
di una comunità nazionale alla ricerca
di culture diversificate e contrapposte.
Si prospetta una formazione sociale
aperta al mondo. Non si evidenziano discipline preminenti. Le condizioni economiche e produttive giocano un ruolo
Nella prima parte del libro si leggono notizie utili e interessanti e non poche curiosità, tutte riferite alle “Ferrovie nel mondo”; nella parte restante, interamente dedicata alle ferrovie calabresi, i cui lavori di
costruzione ebbero inizio nel 1886, l’Autore riferisce
una quantità notevole e originale di fatti che testimoniano d’un faticoso e instancabile lavoro di ricerca,
supportato da una grande passione per l’argomento.
Una passione che riesce a coinvolgere anche il lettore che viene così a conoscenza di episodi antichi e anche attuali, alcuni dei quali, poco o niente felici, finiscono purtroppo per rappresentare la Calabria di sempre, vittima d’una burocrazia tortuosa e dispersiva e
d’una politica inconsistente e faziosa, che la paralizzano.
Le diverse tratte sono rappresentate graficamente dall’Autore per mezzo di chiari ed elaboratissimi
schemi, e “raccontati” con una prosa lineare, arricchita di frequenti richiami ad atti e decisioni adottati
da organi amministrativi locali e parlamentari. Interessante la storia della Cosenza – Paola ad aderenza
artificiale”, la cui realizzazione richiese tempi lunghi
a causa del complicato iter burocratico, ma anche e
soprattutto, di inconvenienti di natura geologica.
Analogo interesse suscita il capitolo dedicato alle
“Ferrovie progettate e non costruite”, un patrimonio
di idee e di speranze andato disperso. E se nella storia delle ferrovie in Calabria non mancano incidenti e
disastri con tante vittime, numerosi, se rapportate all’ancor giovane esistenza del trasporto ferroviario,
l’Autore, sulla base di documenti ufficial (Cap. VIII),
ci invita a sperare in un favorevole futuro per le ferrovie calabresi.
determinante nella dimensione organizzativa scolastica. Si percorre un itinerario prettamente conoscitivo. I costumi e gli stili di vita sono modificati
dalle immagini multimediali di culture
ed etnie provenienti da tutte le comunità mondiali.
Non c’è più spazio e tempo per visioni retroattive: gli occhi di tutti sono
volti al futuro. Si vive l’esigenza di una
formazione europea e l’apertura ad una
visione universale, nella quale i costumi rispecchiano una mondializzazione
etnica e valoriale.
In prospettiva di questa universalizzazione quali saperi sono indispensabili? E’necessario formare una personalità consapevole della propria identità
culturale ed intellettuale, ma, anche,
autonoma e critica nel saper dialogare e
confrontarsi con comportamenti, etnie,
sentimenti religiosi, ideologie differenti
dalla nostra visione reale della vita.
Nella società agricola la funzione
della scuola si sintetizzava nel “leggere,
scrivere e far di conto”, poiché il cittadino doveva uniformarsi alla cultura,
alle tradizioni, ai valori dei propri avi.
Oggi, invece, non si riesce ancora a sintetizzare una visione futura della funzione educativa ed istruttiva della
scuola.
Infatti, i saggi pubblicati sono una
riflessione vasta sulla cultura viva della società e anche un’analisi critica delle problematiche del mondo moderno.
Costituiscono, perciò, un presupposto
essenziale per individuare gli elementi
basilari per l’istruzione e l’educazione
dei bambini, degli adolescenti e dei gio-
vani.
La disanima conoscitiva che consegue potrà porre il legislatore in condizione di saper concretizzare le linee essenziali dei nuovi programmi scolastici.
Solo così si potrà attrezzare la scuola degli strumenti adeguati alla formazione delle generazioni future e ad una
società impregnata di tecnologie sofisticate.
Si avrà, così, un’organizzazione scolastica in cui dovranno predominare il
processo conoscitivo e i processi di socializzazione, poiché sempre di più ci si
avvia verso una società dove predomina
un atteggiamento di disperata solitudine.
Inoltre, il legislatore dovrà tener presente la crisi e la trasformazione della
famiglia per poter contribuire alla sua
funzione educativa e sopperire a quelle
carenze che il supporto familiare non
saprà e non potrà più offrire ai figli.
Una società conoscitiva richiederà
un processo cognitivo fondato sulla ricerca e sul lavoro di gruppo, organizzato in modo tale che si dovrà alterare
con momenti di attività individuali.
La comunicazione, che costituisce
la struttura qualificante di una società
basata sulla conoscenza, dovrà qualificare e distinguere tutto il processo formativo per caratterizzare personalità
aperte agli altri, ma con una propria e
precisa originalità e creatività.
I nuovi saperi, adeguati ad una società diversa e in continua modificazione, dovranno costituire la struttura
culturale su cui dovranno essere impiantati i nuovi programmi.
Inoltre, dalle comunicazioni si deduce anche la dimensione organizzativa dell’istituzione scolastica, adeguata
sempre alle capacità innovative della
società.
Nella prospettiva dei contributi della Commissione si realizzerà un connubio perfetto d’intesa e di collaborazione
tra famiglia, società e scuola.
Il volume, poi, indipendentemente
dall’uso che il legislatore ne può fare,
costituisce uno studio fondamentale
per comprendere la dimensione culturale, educativa, formativa ed istruttiva
della scuola del futuro.
Se ne raccomanda la lettura soprattutto agli insegnanti di ogni ordine e
grado, poiché ne possono dedurre una
visione problematica e critica delle attività scolastiche.
Roberto Marigliano, (a cura di) Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei
prossimi decenni. I materiali della Commissione dei Saggi, Editore Le Monnier,
Firenze
Oggi Famiglia
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Maggio 2006
CENTRO SOCIO CULTURALE
ATLAS e C.
Associazione Tempo Libero
Arte Sport e Cultura
Corso L. Fera, 58 - COSENZA
“Vittorio Bachelet”
OSSERVATORIO SULLA FAMIGLIA
C.so L. Fera, 134 - Cosenza
Tel. 0984 483050
A.GE
Associazione Genitori
C.so L. Fera, 134
COSENZA
INDICONO il Premio Nazionale “FRANCESCO TERRACINA”
articolato in due sezioni:
• Pittura a tema libero • Poesia inedita a tema
Seconda Edizione Anno 2006
REGOLAMENTO
Art. 1 Il concorso si propone di ricordare la figura di Franco
Terracina, insegnante esemplare e amico speciale.
Art. 2 Per la sezione pittorica ogni partecipante invierà l’opera non firmata munita di cornice, non superiore a 50
x 70 cm.
Art. 3 Per la poesia, il cui tema sarà “Io e l’altro”, ogni partecipante potrà inviare un testo poetico dattiloscritto non
firmato in cinque copie con libertà di stile e libertà di metrica.
Art. 4 Tutte le opere dovranno pervenire presso il Centro Socio-Culturale “Vittorio Bachelet” - C.so L.Fera,134 87100 Cosenza – Tel./fax :0984/483050 E-mail: [email protected] - Sito:www.centrobachelet.it entro il 30
Giugno 2006. L’esito del concorso verrà diffuso attraverso i consueti mezzi di comunicazione e in internet. I finalisti riceveranno lettera personale.
Art. 5 Ogni partecipante dovrà allegare in busta chiusa una
nota contenente le generalità, il recapito, il numero telefonico, il titolo della poesia
dattiloscritta o dell’opera pittorica presentata.
Art. 6 Premi 2 EDIZIONE
Premi sezione pittura
Categoria oltre 18 anni
1 Premio e 700,00
2 Premio e 400,00
Categoria fino a 18 anni
1 Premio e 250,00
2 Premio e 150,00
Premi sezione Poesia
Categoria oltre 18 anni
1 Premio e 450,00
2 Premio e 200,00
3 Premio e 100,00
Lettori, lettrici,
nella dichiarazione
dei redditi,
sottoscrivete il 5‰,
segnando il
Codice Fiscale
98002880783,
in favore
del Centro Socio Culturale
“V. Bachelet” di Cosenza
per sostenere il mensile
“Oggi Famiglia”
e le innumerevoli attività
di volontariato
Categoria fino a 18 anni
1 Premio e 250,00
2 Premio e 150,00
3 Premio e 100,00
Art. 7 A tutti i concorrenti verrà assegnato un attestato di
partecipazione.
Art. 8 La premiazione avverrà nel mese di ottobre 2006.
Art. 9 Tutte le opere pervenute, escluse le vincitrici, saranno restituite. La segreteria non assumerà alcuna responsabilità per eventuale smarrimento o danneggiamento.
La segreteria si riserva la facoltà di esporre le opere pittoriche e pubblicare le poesie scelte.
Art. 10 Le giurie saranno due: una per la sezione pittorica,
e una per la sezione poetica, entrambe saranno composte da 5 esperti. I giudizi delle giurie sono insindacabili
ed inappellabili.
Art. 11 Non è prevista alcuna quota di partecipazione. Non
sono previsti rimborsi di sorta. I premi dovranno essere
ritirati di persona, salvo casi eccezionali di impedimento
per i quali è ammessa la delega. Per quanto non previsto
dal presente regolamento valgono le deliberazioni della
giuria.
Art. 12 La partecipazione al concorso implica la piena accettazione del presente regolamento.
Informativa ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003 sulla tutela dei dati personali: ai sensi dell’art. 13 “informativa
resa al momento della raccolta dei dati” i dati personali
saranno utilizzati esclusivamente per le iniziative promosse dal Gruppo e non verranno diffusi a terzi a qualsiasi titolo; i dati richiesti (nome, cognome e indirizzo) sono obbligatori; con l’invio dei suoi dati l’interessato ne
autorizza l’uso e ai sensi dell’art. 7 “diritto successivo”
può richiederne la rettifica o la cancellazione rivolgendosi al segretario del concorso.
Il Responsabile del Premio
(Dott. Antonio Farina)