SPAZIO IN SUONO Un viaggio siderale nel microcosmo so

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SPAZIO IN SUONO Un viaggio siderale nel microcosmo so
CHIGIANA INTERNATIONAL FESTIVAL
& SUMMER ACADEMY 2016
SPACE IN SOUND - SPAZIO IN SUONO
Un viaggio siderale nel microcosmo sonoro, cercando la necessità dello spazio all’interno del suono e i suoi riflessi nella multidimensionalità del reale. Dal visionario progetto multimediale di Ben Frost e Brian Eno, ispirato a Sólaris, il film “spaziale” del grande
regista russo Andrej Tarkovskij, alla musica di Johann Sebastian Bach, il tema dello
spazio apre un percorso affascinante che coinvolge alcuni tra i più grandi compositori del nostro tempo, come György Kurtág (a cui dedichiamo un progetto tematico
in occasione dei suoi novant’anni), Gérard Grisey, Karlheinz Stockhausen, Giacinto
Scelsi, profondi indagatori dello spazio nel suono e del suo divenire nel tempo. Questa galassia di suoni e immagini si incontra con la Sound Art, luogo intermediale tra
spazio e suono per eccellenza, a cui la Chigiana apre per la prima volta le porte, con
un’ampia rassegna internazionale che unisce la ricerca sonora all’immagine elettronica. Accanto a questo straordinario progetto vi sono i grandi autori della tradizione
classica (Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms), gli interpreti di primo piano impegnati in imperdibili concerti e il rinnovarsi dell’inedito incontro tra Chigiana e Siena
Jazz che quest’anno vede assieme due musicisti impareggiabili quali David Krakauer
e Avishai Cohen. E nei corsi estivi dell’Accademia, autentico gateway internazionale
per i giovani interpreti di tutto il mondo, siamo lieti di dare il benvenuto a Daniele Gatti, alla guida del corso di Direzione d’Orchestra.
Nicola Sani
Direttore Artistico
A stellar journey into the sound microcosm in search of the need for space within
sound and its reflections in the multidimensionality of reality. From the visionary multimedial project of Ben Frost and Brian Eno, inspired by Sólaris, the ‘space’ movie of
the great Russian director Andrei Tarkovsky to the music of Johann Sebastian Bach,
the theme of space opens up a fascinating itinerary involving some of the greatest
composers of our time such as Gyorgy Kurtág (to whom we dedicate a thematic
project on the occasion of his 90th birthday), Gérard Grisey, Karlheinz Stochhausen
and Giacinto Scelsi, who have carried out in-depth research of space in sound and
its evolution in time. This galaxy of sounds and images meets Sound Art, the ultimate
cross-media place between space and sound, to which, for the first time, the Chigiana opens its doors with an extensive international collection merging the investigation
of sound with electronic images. Alongside this extraordinary project come the great
composers of the classical tradition (Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms…), leading
performers in unmissable concerts and the return of the innovative encounter between the Chigiana and Siena Jazz which, this year, will see two incomparable musicians,
David Krakauer and Avishai Cohen, come together.
The Academy’s summer courses are an authentic inrternational gateway for young
performers from all over the world and we are delighted to welcome to them Daniele
Gatti who will be in charge of the orchestral conducting course.
Nicola Sani
Artistic Director
SALUTO DEL PRESIDENTE DELL’ACCADEMIA
MUSICALE CHIGIANA
La seconda edizione del Chigiana International Festival conferma la tendenza
dell’Accademia verso l’esplorazione di una sempre più ampia platea anche
attraverso il coinvolgimento attivo di importanti realtà del territorio – imprenditoriali,
istituzionali, culturali e musicali – interessate a sostenere le attività della Chigiana. Auspico che le scelte della Direzione Artistica possano attrarre ulteriore pubblico
e appassionati della grande musica italiani e stranieri, sempre con una particolare
attenzione alla musica classica e all’alta formazione musicale.
Il Festival riunisce elementi di innovazione e tradizione con performance che
coinvolgono anche altre arti e differenti linguaggi. Suono, immagine, segno,
movimento, tempo, spazio, sono le coordinate che fanno del Festival estivo
dell’Accademia Chigiana uno dei più importanti appuntamenti dell’estate musicale
internazionale 2016.
Marcello Clarich
Presidente Accademia Musicale Chigiana
A GREETING FROM THE PRESIDENT OF THE
ACCADEMIA MUSICALE CHIGIANA
The second edition of the Chigiana International Festival reaffirms the Academy’s
efforts to find an increasingly wide audience also through the active involvement
of important local business, institutional, cultural and musical realities interested in
supporting the activities of the Chigiana.
I hope that the choices made by the Artistic Direction will attract a broader public
and more and more lovers of great Italian and foreign music. As always, special
attention will be paid to classical music and advanced musical studies. The Festival
brings together elements of innovation and tradition with performances that include
other art forms and languages. Sound, image, sign, movement, time and space are
the coordinates that make the Chigiana’s Summer Festival one of the most important
appointments of the 2016 international summer music season.
Marcello Clarich
Chairman of the Accademia Musicale Chigiana
SABATO 20 AGOSTO
TEATRO DEI ROZZI
ORE 21.15
PROLOGO
Toshio Hosokawa
Hiroshima 1955
Twill (Aya-Ori) per flauto in sol, violoncello e pianoforte (2016)
Prima esecuzione assoluta
FLOWERS WE ARE....
Robert Schumann
Zwickau, Sassonia 1810 - Endenich, Bonn 1856
Du bist wie eine Blume per violoncello e pianoforte op. 25 n. 1
Franz Schubert
Alsergrund, Vienna 1797 - Vienna 1828
Trockne Blumen (1824) da Die Schöne Müllerin
per voce (flauto) e pianoforte D. 795
György Kurtág
Lugoj 1926
Virag az ember, per 3 sul pianoforte
HOQUETUS
Lukas Ligeti
Vienna 1965
Passacaglia con Variazioni per flauto, violoncello e pianoforte (2016)
Prima esecuzione assoluta
Guillaume de Machaut
Reims 1300 - 1377
Hoquetus David per 2 kazoos e pianoforte
György Ligeti
Dicsöszentmárton 1923 - Vienna 2006
Capriccio n. 1 per pianoforte (1947)
György Kurtág
Ligatura for Frances Marie (the answered unanswered question)
op. 31/b (1990)
(versione per flauto e flauti registrati)
Intermezzo 1
György Kurtág
Magyar nyelvlecke kulfoldieknek (Lezione d’ungherese per stranieri)
ARS BREVIS
Howard Skempton
Chester 1947
Larghetto per flauto, violoncello e pianoforte (2016)
Prima esecuzione assoluta
Anton Webern
Vienna 1883 - Mittersill 1945
Drei Stücke per violoncello e pianoforte op. 11 (1914)
György Kurtág
Bagatellen per flauto, violoncello e pianoforte op.14d n. 1-2 (1981)
Intermezzo 2
György Kurtág
Magyar nyelvlecke kulfoldieknek (Lezione d’ungherese per stranieri)
GIOCHI
György Kurtág
Litigi per pianoforte a 4 mani
Peter Ablinger
Schwanenstadt 1959
Erzsébet ‘Kokó’ Kukta per voce su nastro e pianoforte (2015)
Prima esecuzione assoluta
Johann Sebastian Bach
Eisenach 1685 - Lipsia 1750
Sonatina dalla Cantata Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit BWV 106
(Actus tragicus)
(trascrizione di György Kurtág per pianoforte a quattro mani)
Intermezzo 3
György Kurtág
Magyar nyelvlecke kulfoldieknek (Lezione d’ungherese per stranieri)
LETTERE INTIME
Peter Eötvös
Odorheiu Secuiesc 1944
Molto Tranquillo (Kurtág 90) per flauto, violoncello e pianoforte (2015)
Prima esecuzione italiana
László Sáry
Győrasszonyfa 1940
There is ever what there is per pianoforte, violoncello
e voci a cappella (2016)
Prima esecuzione assoluta
EPILOGO
György Kurtág
Perpetuum Mobile / Object Trouvé per pianoforte
Theatrum Instrumentorum
COSTELLAZIONE K.
GUIDO BARBIERI
Se un teatro può contenere uno strumento musicale perché uno
strumento musicale non potrebbe contenere un teatro? La legge della
reciprocità non lo proibisce, anzi in un certo senso lo impone. Certo un
flauto, un violoncello, un pianoforte (strumenti non scelti a caso) possono
ospitare un teatro in miniatura, senza sipario e senza platea, al quale
si accede soltanto con il senso dell’udito. Ma su quel palcoscenico, se
si riesce ad acquisire l’arte dello sguardo minimo, si possono ascoltare
attori nascosti, voci invisibili, drammi senza parole.
Lo sapevano bene i musicisti e i musicografi del tempo antico che sin
dal Rinascimento, e poi lungo i sentieri molteplici dell’età barocca,
coltivavano l’utopia concreta del “teatro degli strumenti”: un’idea e
una prassi che precedono di molti decenni l’epifania manierista del
“teatro delle voci”. Michael Praetorius, ad esempio, compositore e
teorico tedesco, intitola Theatrum Instrumentorum, il secondo volume
del suo più celebre trattato musicale, Syntagma Musicum, pubblicato
tra il 1614 e il 1620: tutte le famiglie strumentali del tempo, dalle corde
ai fiati fino agli strumenti da tasto, vengono rigorosamente catalogate
e classificate, ricostruendo così, in dettaglio, il ricchissimo panorama
organologico del tempo. Ma nelle prodigiose tavole del volume tutti gli
strumenti, dalla tiorba alla spinetta, dalla ghironda all’organo, vengono
“smontati” e aperti in modo da mostrare ogni loro singola parte. Ogni
strumento musicale viene dunque considerato, già in quell’epoca,
una “macchina”, un dispositivo meccanico la cui funzione è quella di
produrre un certo di tipo di suono. Palese influenza di un altro celebre
trattato, di mezzo secolo precedente che condivide con quello di
Praetorius innanzitutto il titolo: lo stupefacente Theatrum Instrumentorum
di Jacques Besson, matematico, filosofo, inventore francese vissuto in
pieno Cinquecento. In questo caso la parola latina “instrumentum”
non si riferisce tanto agli strumenti musicali, quanto più genericamente
alle “macchine” del tempo, a quelle creature ibride, cioè, prodotte
dalla finissima ars meccanica rinascimentale: un cosmolabio, una
macchina per estrarre l’olio e l’acqua dalle spezie, ma anche una
incredibile viola da gamba con il manico ricurvo in grado di produrre
suoni inauditi… In entrambi i casi, comunque, la “rappresentazione”, la
messa in mostra di questi strumenti e delle loro proprietà meccaniche,
assume la definizione di “teatro”: un teatro delle macchine che rivela
l’essenza profonda di ciascun strumento.
Anche la musica del secondo Novecento condivide, con quella
rinascimentale e barocca, l’idea che il suono possieda, di per sé, una
fortissima, potente dimensione teatrale. Mauricio Kagel, ad esempio,
in Acustica, composizione per “produttori di suono sperimentali”,
ricorre alle risorse infinite della “liuteria immaginaria” per inventare una
drammaturgia sonora irresistibilmente teatrale. John Cage, in Living
Room Music, mette in scena un dramma domestico in miniatura (To
Begin-Story-Melody-End) ricorrendo ad una “batteria” di strumenti non
specificati tra i quali appaiono però tipici oggetti di uso quotidiano
come un giornale, una serie di libri, il pavimento, le finestre della
stanza immaginaria dove il dramma si consuma. Lucia Ronchetti, più
recentemente, in Xylocopa Violacea, costruisce un vero e proprio teatro
sonoro all’interno della cassa armonica di una viola, immaginando
che l’ascoltatore si trovi all’interno dello strumento e che assista allo
spettacolo sonoro dei suoni che lo attraversano. E gli esempi, come è
facile immaginare, si potrebbero moltiplicare (quasi) all’infinito. Estrarre
dal suono degli strumenti il teatro nascosto che essi stessi contengono
è uno dei gesti più radicali e rivoluzionari della musica del nostro
tempo. Fino ad ora però esso è stato una prerogativa dei compositori,
anche se con la complicità diretta, immediata, spesso assai “intima”,
degli interpreti. Quasi mai nella storia “materiale” della musica nuova,
il seme teatrale del suono contemporaneo è stato fatto fiorire da
una figura estranea all’endiadi compositore-interprete. Quasi mai il
theatrum instrumentalis “moderno” ha accolto insomma sul proprio
palcoscenico immaginario (tranne nel caso della musica per danza) la
figura, concreta, di un metteur en scène.
Questa sera invece accadrà, sta per accadere (letteralmente) sotto
i vostri occhi. Il concerto al quale state per assistere non rispetta la
consueta “liturgia” dei canonici riti propri della (cosiddetta) “musica
colta contemporanea”. Non assisterete ad una sequenza più o meno
avvincente di pezzi brevi, meno brevi o insopportabilmente lunghi. E
non sarete costretti a reagire con il consueto applauso di convenienza
anche se non nascerà spontaneamente dalla vostra mente o dal
vostro cuore. Questa sera sarete gli spettatori privilegiati di un vero e
proprio “theatrum instrumentorum”: rigorosamente declinato al tempo
presente.
Sulla carta, come testimonia la locandina (mai come in questo caso
inevitabilmente reticente), si tratta d’un canonico “hommage à”,
concepito e lungamente lavorato dai tre interpreti: Francesco Dillon,
Emanuele Torquati e Manuel Zurria. Nel caso specifico l’omaggio,
affettuoso e grato, viene rivolto a Gyorgy Kurtág e ai suoi miracolosi
novant’anni di vita. Dal tronco principale delle sue opere maggiori e
minori si staccano rami diversi per robustezza, diametro e fogliame.
Innanzitutto il tronco parallelo dei pezzi che sono stati appositamente
commissionati per il progetto che dà il titolo al concerto: Costellazione
K. Compositori eterogenei e visionari come Peter Ablinger, Lukas Ligeti,
Laszlo Sary, Peter Eötvös e Toshio Hosokawa hanno guardato la musica
del “maestro” come Jörg Widmann (il paragone è puramente formale)
ha fatto di recente con la Settima e l’Ottava Sinfonia di Beethoven:
indossando cioè lenti rigate, attraversate da piccole crepe, fratture,
imperfezioni del vetro. Occhiali che consentono di vedere il paesaggio,
ma lo deformano, lo allontanano, lo scompongono in piani sghembi
e inclinati. Ma il tronco Kurtág genera altri rami che assomigliano in
realtà a radici: sono i compositori del passato, prossimo e remoto, che
come accade nelle grandi opere del congedo (le Variazioni Diabelli di
Beethoven, l’Offerta Musicale di Bach...) vengono contemplati come
reperti oggettivi della storia, quiete rovine di un’epoca trascorsa che
ancora parlano, però, al tempo presente: Machaut, Bach, Schubert,
Schumann, Janácek, Webern. Fino ad approdare, sulla chioma
dell’albero, laddove i rami sono più fitti, ma anche più intricati, alle
fratellanze, a volte pacifiche, a tratti conflittuali, che Kurtág vive con i
suoi contemporanei: un nome per tutti, quello di György Ligeti.
Questo rigoroso palinsesto arborescente presenta anche un’altra
suddivisone, più esplicita ed esibita. Il libro sonoro del concerto
presenta infatti cinque diversi capitoli, separati l’uno dall’altro da
brevi interpolazioni. Ogni sezione corrisponde ad un gesto, ad un
atteggiamento, ad una inclinazione spontanea del pensiero musicale
di Kurtág. Anche in questo caso l’impaginazione segue un criterio
rigorosamente organico: dalla matrice inesauribile dei Giochi (Jatekok),
la straordinaria “opera aperta”, mai conclusa e in perenne evoluzione,
alla quale Kurtág si dedica da quarant’anni, fioriscono letteralmente
le figure, gli archetipi, i gesti fondamentali della sua scrittura musicale:
il tratto aforistico e la logica del frammento (l’Ars brevis), il procedere
discontinuo e spezzato delle linee sonore (l’Hoquetus), la pratica degli
affetti minimi e “privati” (Lettere intime), la poetica del suono che
fiorisce (parola chiave) dalle aporie del tempo (Flowers we are).
E’ esattamente nelle giunture, nei punti di innesto, nelle efflorescenze
di questo “albero dei suoni” che interviene il gesto registico dell’ospite
grato, Pietro Babina. Un gesto delicato, ma costantemente presente
che per un verso agisce sul corpo (strumento spesso trascurato) degli
interpreti, costringendoli a prendere coscienza dello spazio scenico,
a misurarlo, a percorrerlo, ad utilizzarlo appunto come il loro quarto
strumento: invisibile, ma straordinariamente risonante... Per l’altro si
limita ad estrarre dal suono le sue essenze visive e oggettuali, a rendere
espliciti, visibili, i gesti che il suono contiene dentro di sé. E allora un
piccolo giardino di “flowers” appare sulle corde del pianoforte,
l’Hoquetus si trasforma in singhiozzi autentici, praticati dagli interpreti
come se fossero notati in partitura, una “lettre intime” si trasforma in un
micro testo teatrale letto ad alta voce da uno degli interpreti. E da una
lontana memoria cinematografica (Tarkovskij, Nostalghia...), e dagli
elementi primari dell’acqua e del fuoco, emerge la fiamma tremolante
di una candela che attraversa lentamente l’arco scenico del concerto.
Il musicista che la tiene tra le mani la protegge, la difende, cerca di
non farla spegnere. Forse per tenere sempre acceso l’affetto, intimo e
cartesiano, della nostalgia.
Francesco Dillon ha studiato a Firenze con Andrea Nannoni,
perfezionandosi in seguito con A. Baldovino, M. Brunello e D.
Geringas, e seguendo masterclasses di M. Rostropovich, A. Bijlsma,
M. Perenyi. È stato allievo per la composizione di Sciarrino. Ad una
intensa attività solistica affianca quella di quartettista con il Quartetto
Prometeo, vincitore di numerosi premi internazionali (Prague
Spring, dove ha conseguito il primo premio assoluto; ARD Münich,
Bordeaux). Il suo profondo interesse per la contemporaneità lo ha
portato a collaborare strettamente con i più importanti compositori
di oggi. Con l’ensemble Alter Ego, di cui fa parte stabilmente, e
come solista viene regolarmente invitato nei maggiori festivals di
musica contemporanea del mondo. Si è esibito in complessi di
musica da camera con partners quali I. Arditti, G. Carmignola, P.
Farulli, D. Geringas, V. Hagen, A. Lonquich, E. Pace, R. Schmidt, S.
Scodanibbio. Le sue esecuzioni sono trasmesse da varie emittenti
come BBC, RAI, ARD, Radio France, ORF, ABC, fra le altre.
Ha inciso per etichette quali Aulos, Dynamic, Kairos, Ricordi,
Stradivarius, Die Schachtel e Touch. Ha insegnato per molti anni alla
Scuola di musica di Fiesole e tenuto masterclasses in istituzioni quali
Conservatorio Cajkovskij di Mosca, Pacific University (California),
Untref-Buenos Aires, Manchester University. Dal 2010 è il direttore
artistico della stagione di musica contemporanea “Music@
villaromana” a Firenze.
Emanuele Torquati, nato a Milano nel 1978, ha portato a termine i suoi
studi col massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio Luigi Cherubini
di Firenze sotto la guida di Giancarlo Cardini. Si è specializzato in musica
da camera con Franco Rossi prima, con il Trio di Trieste poi, presso la
Scuola Superiore Internazionale di Duino, conseguendovi il Diploma
di Merito. Parallelamente ha approfondito il repertorio solistico con
Konstantin Bogino, lavorando inoltre con Alexander Lonquich,Yvonne
Loriod-Messiaen, Nicholas Hodges, Ian Pace e Michael Wendeberg.
Vincitore di numerosi premi in Italia e all´estero, suona regolarmente
in Europa, Canada e Stati Uniti. Le sue esecuzioni sono state trasmesse
da emittenti prestigiose, quali RAI, BBC Radio3, Radio France, Radio
Svizzera, RTE Lyric ed Euroradio. Nel 2009, il debutto solistico negli Stati
Uniti presso il Museo per l’Olocausto di Chicago è stato salutato con
entusiasmo dalla critica e subito seguito da un nuovo invito nello stesso
anno da parte della Columbia University di New York. Nel 2010, da
segnalare il debutto solistico a San Francisco e l’uscita di un doppio CD
con le trascrizioni della musica pianistica e vocale di Robert Schumann
con il violoncellista Francesco Dillon. Sempre in questa formazione, nel
2011 sarà la volta dell’integrale lisztiana. La sua passione per la musica
contemporanea lo ha portato ad eseguire in prima esecuzione svariate
opere cameristiche e per pianoforte solo e a lavorare intensamente con
compositori di primo piano, ricordiamo tra gli altri Alessandro Solbiati,
Sylvano Bussotti, Wolfgang Rihm, Kaija Saariaho, Beat Furrer, Jonathan
Harvey, Brett Dean, Magnus Lindberg e con artisti quali Matthias
Pintscher, Michael Gielen, Susanne Linke, Inon Barnatan, Sean Lee. In
campo didattico è stato invitato a tenere Masterclasses e Seminari
d’interpretazione sulla musica contemporanea da istituzioni quali IULM,
Gruppo Aperto Musica Oggi, Scuola di Musica di Fiesole, Conservatori
statali “F. Bonporti” di Trento e “B. Marcello” di Venezia. È curatore della
stagione concertistica music@villaromana per l’omonima istituzione
tedesca.
Manuel Zurria, nato a Catania nel 1962 e residente a Roma, ha
collaborato con alcuni tra i più importanti compositori italiani, tra
i quali Francesco Pennisi, Sylvano Bussotti, Adriano Guarnieri, Aldo
Clementi, Franco Donatoni e Salvatore Sciarrino. Nel corso degli anni
ho incontrato e collaborato con artisti come Arvo Pärt, Philip Glass,
Terry Riley, Gavin Bryars, Giya Kancheli, Toshio Hosokawa, Alvin Lucier,
László Sáry, Sofia Gubaidulina, Peter Eötvös, Alvin Curran, e Frederic
Rzewski. Fortemente attratto dal minimalismo, nei primi mesi del 2008
ha pubblicato con l’etichetta Die Schachtel un triplo cd intitolato
“Repeat!” che rappresenta la summa delle sue esperienze, con lavori
originali o trascritti per flauti ed elettronica realizzati in collaborazione
con Arvo Pärt, Louis Andriessen, Tom Johnson e molti altri. Ha preso
parte ad importanti festival e stagioni concertistiche quali Biennale
Musica di Venezia, Pacific Music Festival (Sapporo-Giappone), Festival
Musica (Strasburgo, Beethovenhalle (Bonn), Settembre Musica (Torino),
De Yjsbreker (Amsterdam), IRCAM – Festival Agorà e Festival d’Automne
(Parigi), Rachmaninov Hall (Mosca), Rikskonserter (Stoccolma), Takefu
Festival (Giappone), Akademie der Künste e Maerz Musik (Berlino), The
Warehouse (Londra), ecc. Nel 1990 è stato tra i fondatori di Alter Ego.
La sua discografia comprende attualmente circa 30 pubblicazioni per
BMG-Ricordi, Capstone Records, EdiPan, Stradivarius, Die Schachtel,
Mazagran Records, Megadisc e Touch.
Nato a Bologna nel 1967, Pietro Babina è regista e autore. Il suo lavoro è
caratterizzato da una ricerca attenta che indaga i linguaggi emergenti
prodotti dalle nuove tecnologie in relazione alla drammaturgia e alla
messa in scena. L’intuizione creativa che caratterizza i suoi lavori dà
vita ad opere attuali, cariche di atmosfere suggestive e magiche. Nel
suo percorso artistico, di oltre vent’anni, riceve numerosi riconoscimenti
in Italia e all’estero, fra i quali più volte il premio UBU. Dal 1989 al 2010
è fondatore e direttore artistico della compagnia teatrale Teatrino
Clandestino, dalla quale esce per fondare la Mesmer Artistic Association.
Ad oggi lavora con attori e autori contemporanei nella realizzazione di
spettacoli teatrali di circuitazione nazionale e internazionale. Ideatore
e creatore, insieme a Flavio de Marco, del progetto di arti visive
“MANIFESTO”, presentato a Ferrara e successivamente al Palais de
Tokyo di Parigi. Nel 2009 ha fondato la rivista di arte e pensiero “Rivista”.
Dal 2013 collabora con il dipartimento americano Eyesee360 per la
realizzazione di video a 360°.