sessualità infantile - La Psicanalisi secondo Antonello Sciacchitano
Transcript
sessualità infantile - La Psicanalisi secondo Antonello Sciacchitano
La questione della sessualità infantile in Lacan Antonello Sciacchitano Se non tornerete come bambini… Mat. 18, 3 Scoprendo la sessualità intantile, Freud divenne famoso in tutto il mondo. Dalla stessa fonte, però, scaturirono le resistenze alla psicanalisi. Lacan divenne famoso grazie al cosiddetto ritorno a Freud, ma paradossalmente non parlò quasi mai di sessualità infantile. Lungo le 900 pagine dei suoi Scritti l’espressione “sessualità infantile” ricorre una sola volta, in Al di là del principio di realtà.1 Sorge spontanea la domanda conturbante: “Era freudiano Lacan?” La risposta è problematica, perché come psichiatra, per es. nei Complessi familiari, Lacan parla di sessualità infantile. Di seguito tento di delimitare il campo delle possibili risposte, ponendo due paletti. Il primo lo formulerei polemicamente così: Lacan era un filosofo, non uno psicanalista. Il secondo è il contrario: Lacan era uno psicanalista, non un filosofo. Da filosofo Lacan rinnegava la sessualità infantile. Da psicanalista, invece, riconosceva la la sessualità umana è sempre infantile, fino al noto aforisma che non c’è rapporto sessuale. A mio giudizio entrambe le congetture sono false. La verità giace da qualche parte a metà strada, là dove Lacan non funzionava né da filosofo né da psicanalista ma da uomo di scienza. Con una precisazione. Lacan era inconsciamente uomo di scienza. Più lo era, meno sapeva di esserlo. Ma di questo dopo. Ora ringrazio la Fondation Européenne pour la Psychanalyse per avermi dato l’opportunità di parlare su questo tema. Lacan filosofo Come tutti gli psichiatri della sua epoca, lo psichiatra Lacan ebbe una doppia formazione giuridica e fenonomenologia. I frutti della formazione giuridica furono la teoria della fuorclusione del Nome del Padre nella psicosi e la concezione del Super-Io come istituzione psichica che al soggetto prescrive il godimento. Gli effetti della fenomenologia conseguono tutti alla sopravvalutazione della funzione dello sguardo. Dallo stadio dello specchio all’esperimento del bouquet renversé è in gioco sempre lo sguardo dell’altro sul soggetto, che diventa così l’oggetto dell’altro (alienazione). Le due componenti, giuridica e fenomenologica, furono da Lacan rilegate insieme con il vecchio logocentrismo, il cui manifesto è in Funzione e campo della parola. Paradigmatici sono gli slogan l’inconscio è strutturato come un linguaggio, l’inconscio è il discorso dell’altro, ça parle, ecc. Si può tranquillamente affermare che come filosofo Lacan produsse poche novità. Forse l’unica novità fu la tesi del desiderio dell’uomo come desiderio dell’altro, a patto di intenderlo in modo non categorico. In ogni modo non era scovare novità lo scopo del suo insegnamento. Il suo motto, preso a prestito da Newton, era Hypotheses non fingo. Il pensiero fisso di Lacan era di fondare il freudismo. Perciò si muoveva nel contesto dell’ars justificandi, come la chiamava Leibniz. In effetti tentò di dare alla psicanalisi un fondamento fenomenologico. Era proprio indispensabile? Ho dei dubbi in merito. La scienza moderna e la psicanalisi hanno già il loro specifico fondamento: il dubbio cartesiano. Sforzarsi di trovare il fondamento del fondamento, quando non è inutile, può essere pericoloso. È Lacan stesso che lo insegna. Chiedetelo al prigioniero del sofisma del Tempo logico. Dubitare del dubbio ha in generale la conseguenza di far perdere la certezza guadagnata attraverso il dubbio (proprio e altrui). È questo il tipico guadagno della fenomenologia di Husserl che, pretendendo di fondarsi come “scienza rigorosa” attraverso l’epoché, perde l’oggetto. (Non a caso l’oggetto del desiderio di Lacan è sempre un oggetto perduto). 1 J. Lacan, Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 91. Lacan uomo di scienza Secondo Leibniz lo scienziato lavora nel contesto dell’ars inveniendi. Trova – o meglio – inventa oggetti epistemici, cioè realizza costruzioni di sapere. A differenza degli oggetti ontologici, che costituiscono gli oggetti della conoscenza, gli oggetti epistemici esistono poco o per nulla. Esistono solo come oggetti della scienza. Li si percepisce solo attraverso le loro conseguenze teoriche. Infatti, gli oggetti epistemici sono fecondi e grazie alla fecondità si distinguono dagli oggetti ontologici. “Dai frutti riconoscerete l’albero”, argomentava Matteo attraverso il principio del terzo escluso.2 (I frutti evangelici potevano essere solo o buoni o cattivi). In altri termini, gli oggetti epistemici producono altri oggetti epistemici. La novità è l’orto dove crescono gli oggetti epistemici. Pertanto gli oggetti epistemici vivono nel tempo, mentre quelli ontologici vivono fuori dal tempo, in quanto sono eterni. E in quanto eterni non conoscono la riproduzione (tanto meno quella sessuale). Infatti, riprodursi comporta il passaggio attraverso il non-essere. Ma il non essere non esiste, da Parmenide in poi. Quindi, in campo ontologico le trasformazioni sono impossibili. La conseguenza, importante anche per la cura, è che la cura analitica può produrre trasformazioni nel soggetto solo come effetto del sapere. Detto altrimenti, la psicanalisi diventa terapeutica solo cessando di essere ontologica e diventando epistemica. In nome del proprio logocentrismo Lacan chiamava tempo logico il tempo degli oggetti epistemici, cura compresa. Sarebbe meglio utilizzare il suo vero nome, cioè tempo epistemico, che in pratica è il tempo della cura. Ma torno a Lacan. Solo una volta Lacan funzionò da scienziato, cioè da operaio del sapere che porta alla luce un nuovo oggetto epistemico. Fu quando inventò l’oggetto a, proponendolo alla comunità degli analisti come modello dell’oggetto del desiderio. Su che base sono autorizzato a dire che l’oggetto a è un oggetto epistemico? Forse a causa della fecondità? Certo, anche. Attraverso l’oggetto a Lacan riuscì a riconoscere una nuova variante di oggetto del desiderio – la voce – che era sfuggita a Freud, il quale era musicalmernte sordo. Ma non solo per questo posso parlare della natura epistemica dell’oggetto a. La cui verità sta nella sua peculiarità di non essere un oggetto singolare, ma collettivo. Oggetto a è il nome collettivo di un insieme di oggetti pulsionali, ognuno dei quali offre un modello della stessa struttura oggettuale. In proposito scrive Lacan: “Lista impensabile, se non aggiungendo con noi il fonema, lo sguardo, la voce – il niente”.3 In realtà l’oggetto a è la lista infinita dei diversi oggetti del desiderio. Matematicamente parlando, l’infinito è una struttura non categorica, la quale consente solo una molteplicità di presentazioni non equivalenti. Insomma, l’infinito non è né un concetto né un dato empirico. La sua esistenza contesta sia il razionalismo sia l’empirismo. In senso freudiano, l’infinito è l’oggetto della sessualità infantile polimorfo-perversa. Al novantesimo minuto e per il rotto della cuffia Lacan si dimostrò freudiano, anche senza citare la sessualità infantile. Di conseguenza dobbiamo riconoscere che la specificità del sapere moderno consiste nella capacità di introdurre un ordinamento nella lista infinita degli oggetti (ognuno dei quali può a sua volta essere infinito). La logica epistemica, intuizionistica o modale, è lo strumento per eccellenza per trattare il sapere sull’infinito. Purtroppo non posso entrare negli interessanti dettagli dell’argomento. Mi limito a citare due teoremi. Nel 1932 Gödel dimostrò che nessuna semantica finita è sufficiente per la logica intuizionista di Brouwer e Heyting. 33 anni dopo Kripke inventò la giusta semantica ordinale per due logiche epistemiche, l’intuizionista di Brouwer e la modale S4 di Lewis. Entrambi i teoremi confermano la nostra tesi. Oggi sapere significa saper ordinare l’infinito. Si tratta di un sapere che ai classici mancava e a cui i folli, anche se moderni, non hanno accesso.4 Il soggetto Lacan 2 Mt. 12, 33. J. Lacan, “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio”, in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 817. 4 Propongo qui una teoria della psicosi come fuorclusione dell’oggetto infinito, che ho esposto in A. Sciacchitano, Scienza come isteria, Campanotto, Udine 2005. 3 Improvvisamente sono in grado di risponderre alla domanda d’apertura. Perché Lacan non tematizzò la sessualità infantile? Imbattutosi nell’oggetto a, al soggetto Lacan successero due cose. La prima è consueta tra filosofi: lo misconobbe. Pur avendo già riconosciuto nel soggetto dell’inconscio il soggetto della scienza moderna, Lacan mancò di riconoscere nell’oggetto del desiderio l’oggetto della scienza moderna, cioè l’infinito. È tipico del fenomenologo misconoscere l’oggetto, tanto più se è infinito. Lacan non fece eccezione. Il secondo evento è meno comune e più strettamente legato al soggetto Lacan. Nonostante e forse a causa del misconoscimento, l’incontro con l’infinito produsse in Lacan una profonda e radicale metamorfosi soggettiva. Da allora il maestro cessò di essere filosofo con pretese di fondare la psicanalisi. Divenne ricercatore. Fu quasi un ricercatore scientifico in campo psicanalitico. La metamorfosi è testimoniata dal suo uso della topologia. Il primo Lacan usava la topologia come mezzo intuitivo per trasmettere agli allievi la propria dottrina filosofica. (Gli allievi furono il sintomo nevrotico di Lacan). Il secondo Lacan, invece, si affaccendava nella topologia come in un normale campo di ricerca scientifica. Purtroppo non basta essere intelligenti per fare topologia. Occorrono strumenti adeguati e quelli di Lacan non lo erano. Erano strumenti grossolani: modelli di carta, cordicelle, nodi ecc. Non stupisce, quindi, che i suoi risultati non fossero brillanti. La dottrina dei nodi borromei è carente e confusa, per lo più da dimenticare. Ma resta la domanda chiave: cosa cercava Lacan? Adesso è facile rispondere, se si sospendono considerazioni di ortodossia. Lacan cercava l’oggetto che aveva misconosciuto. Lo cercava come un bambino cerca il giocattolo che non trova più. Non meraviglia che non avesse tempo di occuparsi di sessualità infantile. Berlino, 23 settembre 2006. (torna alla home)