Diabete n° 52 - ADM Associazione Diabetici Modenesi

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Diabete n° 52 - ADM Associazione Diabetici Modenesi
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Diabete & Dintorni
Medicina Oggi
Diabete… e Infezioni
*D.ssa Elisa GARLASSI
(parte seconda)
Riassunto della prima parte:
Le ricerche dicono che il rischio di ammalarsi, per un paziente diabetico, è più alto. La malattia evolve in
maniera più grave (es. l’influenza colpisce tre volte di più nei diabetici).
I meccanismi responsabili di questa situazione sono le difese carenti, gli alti livelli di zucchero in sangue e
urine che favoriscono lo sviluppo dei batteri.
La circolazione del sangue è spesso difettosa.
Deficit neurologici che riducono la sensibilità ai microtraumatismi favorendo le infezioni.
ooooooOOOOOOOOoooooooo
Tipologie di infezioni
Alcune infezioni si verificano esclusivamente nei diabetici:
- l’otite esterna invasiva maligna: quasi sempre causata da un germe chiamato Pseudomonas
Aeruginosa, tipica dell’anziano con diabete non compensato, causa dolore, perdita dell’udito, otorrea.
Può evolvere in infezioni gravi (mastoiditi, meningiti);
- la mucormicosi rinocerebrale: infezione fungina caratterizzata da febbre, dolore oculare, secrezioni
nasali;
- le infezioni enfisematose (colecisti e pielonefriti).
Numerose infezioni sono invece molto più comuni e a volte più gravi nei soggetti diabetici:
- le infezioni respiratorie (Tubercolosi, virus influenzali, Polmonite da Pneumococco, Polmonite da
Staphylococcus Aureus);
- le infezioni delle vie urinarie (cistiti, pielonefriti);
- le infezioni dell’apparato genitale (vaginiti, balanopostiti, uretriti);
- le infezioni del cavo orale (stomatiti, gengiviti, piorrea);
- le infezioni della cute e dei tessuti molli ( celluliti, erisipela, “piede diabetico” fasciti necrotizzanti,
candidosi, onicomicosi).
Prevenzione
Per evitare l’insorgenza di infezioni è bene:
- mantenere un buon controllo glicemico (dieta adeguata e idratazione, esercizio fisico e frequenti
controlli);
- fare attenzione nell’abbigliamento (indossare scarpe comode, abiti non aderenti);
- praticare una buona igiene personale (utilizzare detergente a pH neutro, pulire unghie, pieghe cutanee,
genitali con spugne non abrasive, lavare i denti senza provocare traumatismi delle gengive);
- praticare adeguata disinfezione delle ferite (evitando l’automedicazione delle ferite complesse e l’utilizzo
di creme che contengono cortisone);
- effettuare le vaccinazioni raccomandate: i soggetti con diabete hanno una risposta normale alla
vaccinazione. A causa della maggior suscettibilità di questi soggetti alle complicanze, le vaccinazioni antipneumococco e anti-influenzale sono raccomandate per tutti i pazienti;
- non sottovalutare mai i sintomi che possono essere subdoli e che variano a seconda del tipo di infezione
in cui si intercorre (bruciore o impellenza di urinare nelle infezioni delle vie urinarie, rossore gonfiore e
calore nelle infezioni della cute).
Importante! Ricordare che durante uno stato infiammatorio peggiora il compenso glicemico (aumenta la
glicemia) e aumenta la richiesta di insulina; quindi è utile eseguire controlli più ravvicinati; può essere
necessario assumere una quantità maggiore di insulina (evitare sempre l’autosospensione e l’autoprescrizione
rivolgendosi al Medico di riferimento
*Malattie Infettive Policlinico di Modena
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DIABETE E CONTA DEI CARBOIDRATI
*Dr. Matteo Rebecchi
Parliamo oggi di una metodica dietetica utilizzata negli ultimi anni per i pazienti affettiva diabete
tipo 1, ossia la cosi detta “conta dei carboidrati”.
Tale metodica è stata studiata per rendere maggiormente libera la dieta permettendo di adattare,
nel limite del possibile, il dosaggio di insulina al quantitativo dei carboidrati contenuto in vari alimenti,
spesso graditi ai pazienti ma scarsamente rappresentati all’interno delle loro diete quali fette di crostata,
castagne, ecc.
La “bontà” di questa metodica è quella di andare a verificare cosa succede in ogni singolo
paziente diabetico di tipo 1 quando, effettuata la somministrazione prevista di insulina ai pasti, egli
assume alimenti a diverso contenuto di carboidrati.
Tale metodica consiste di più fasi: Nella prima fase il paziente deve registrare su un diario
alimentare l’esatto contenuto di ogni pasto, pesando ogni singolo alimento per 7–10 giorni, effettuare un
prelievo di sangue capillare dal dito e misurare la glicemia col glucometro a digiuno prima di ciascun
pasto principale e poi dopo 2 ore da esso, per un totale di 6 prelievi al giorno.
Una volta compilato il diario e misurato l’andamento della glicemia il paziente porta in visione i
risultati allo specialista di riferimento (diabetologo o dietista) che sulla base del diario alimentare va a
ricostruire, mediante le tabelle di composizione degli alimenti o programmi informatici, l’esatto
quantitativo di carboidrati assunti in ciascun pasto e il dosaggio di insulina effettuato. In questo modo si
possono mettere in relazione i grammi di carboidrati assunti, le unità di insulina somministrate e
l’andamento della glicemia per vedere quale sia il rapporto ottimale per la glicemia del singolo paziente
fra grammi di carboidrati assunti rispetto alle unità di insulina fornite. Una volta trovata la risposta
glicemica migliore fra i vari pasti studiati e teorizzato il rapporto ottimale di grammi di carboidrati ed
unità di insulina, si passa alla seconda fase della metodica dove, mantenendo costante il dosaggio di
insulina somministrato, si dice al paziente di mangiare diversi alimenti indicando l’esatta grammatura, in
modo da fornire ad ogni pasto quel quantitativo di carboidrati che si ritiene ottimale per quello specifico
paziente. Di nuovo vengono fatti 6 prelievi al giorno per altri 7-10 giorni e di seguito lo specialista
verifica se quel quantitativo costante di carboidrati contenuti negli alimenti suggeriti e le unità fornite,
mantenute invariate, abbiano determinato sempre la risposta glicemica attesa.
Se tale risposta viene confermata allora lo specialista di riferimento può dire con relativa sicurezza
che per quel paziente la risposta glicemica migliore si ottiene con quello specifico quantitativo di
carboidrati (calcolato nelle prime due fasi) proporzionato in maniera aritmetica alle unità di insulina
somministrate. A questo punto si entra nella fase finale della metodica, dove al paziente viene
insegnato quanti carboidrati sono contenuti in 100 grammi di diversi alimenti in modo che, una volta
istruito, egli possa decidere nell’ambito del possibile cosa e quanto mangiare, perché sapendo quanti
carboidrati introdurrà con un certo alimento potrà semplicemente regolare il dosaggio di insulina ai pasti
per mantenere costante la propria risposta glicemica secondo quella proporzione rappresentata da
grammi di carboidrati su unità di insulina che si è andati a ricostruire nelle settimane precedenti. Così
per esempio, se si desidera mangiare ogni tanto una fetta di crostata in sostituzione di una razione di
frutta, il paziente lo potrà fare con sicurezza, perché sapendo quanti carboidrati in più introduce in quel
pasto, aumenterà il dosaggio di insulina in modo proporzionale per mantenere costante le sua risposta
glicemica.
Ovviamente, tale metodica non è applicabile a tutti i pazienti affetti da diabete di tipo 1, ma
soltanto in quelli che hanno un diabete compensato e sono disposti, nelle prime due fasi della metodica,
a una registrazione precisa di cosa e quanto mangiano e ad effettuare più prelievi al giorno. Tuttavia,
una volta superate queste prime due fasi un po’ macchinose ed imparato il contenuto di carboidrati nei
vari alimenti, il paziente diventa più autonomo nelle scelte alimentari e nella gestione della dieta che
diventa in questo modo davvero personalizzata.
*Specialista in Dietologia - Ospedale di Baggiovara - Modena
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Forum
Fatti e cifre del
diabete in Italia
4° Changing Diabetes Barometer Forum Report
Malati e mortalità
3 milioni di italiani adulti hanno il diabete, pari al 4,9% della popolazione totale.
Si stima che un ulteriore milione di persone abbia il diabete senza saperlo e che 2,65 milioni di cittadini (6% della
popolazione) soffrono di alterata intolleranza al glucosio (pre-diabete).
La situazione peggiorerà in futuro, si stima infatti che nel 2030 quasi 5 milioni di cittadini adulti soffriranno di
diabete.
Oltre 27.000 cittadini italiani fra i 20 e i 79 anni muoiono di diabete ogni anno, questo vuol dire 3 cittadini all'ora.
Il diabete di tipo 2, relativo al 90% di tutti i casi di diabete in Italia, riduce l'aspettativa di vita di 5 -10 anni.
Secondo L'Organizzazione Mondiale della Sanità, il diabete sarà entro il 2030 la quarta causa principale di morte
di Europa.
Il diabete è una delle cause principali di malattie cardiovascolari, renali, cecità e amputazione di arti.2 Circa il 7080% di tutti i cittadini dell'Unione Europea con il diabete di tipo 2 muoiono di malattie cardiovascolari. Molti cittadini
soffrono di altre complicanze legate al diabete.
Le cifre che seguono si riferiscono specificatamente all’Italia:
- il 10% di tutte le persone con diabete soffrono di cardiopatia ischemica,
- il 32% di tutte le persone con diabete soffrono di neuropatia,
- fino al 34% di tutte le persone con diabete soffrono di retinopatia, che può portare alla
cecità,
- il 30-40% delle persone con diabete di tipo 1 e il 5-10% di quelle con diabete di tipo 2
sviluppano nel corso della vita insufficienza renale con necessità di dialisi.
Due terzi delle persone con diabete di tipo 1 e oltre la metà di quelle con diabete di tipo 2 non presentano
un adeguato controllo metabolico.
Il 26-50% delle persone con diabete di tipo 2 non sono a conoscenza delle loro condizioni e restano senza
cure. Questo significa che una persona su due viene diagnosticata troppo tardi, generando un incremento delle
complicazioni e dei costi.
Nonostante il diabete di tipo 2 abbia molti fattori di rischio (età, etnicità, fattori genetici, ipertensione,
dislipidemia e obesità) l'obesità è stata identificata come il fattore con la più forte associazione al diabete di tipo 2.
Un italiano adulto su tre è in sovrappeso (36%) e uno su dieci è obeso (9,9%). In Italia ci sono oggi 17,6
milioni di persone in sovrappeso e 4,9 milioni di obesi.
Anche le giovani generazioni hanno mostrato una scarsa capacità di gestire il peso: un bambino di 8-9
anni su tre è in sovrappeso o obeso, ma in molte aree del sud la proporzione sale a uno su due.
Tutela della salute, costi del diabete
I costi del diabete per il budget della sanità italiana ammontano al 9% delle risorse.3 Questo vuol dire più
di 9,22 miliardi di EUR all'anno o 1,05 milioni di EUR ogni ora.
In generale il costo della sanità per un cittadino italiano con diabete è in media di 2.600 EUR € all'anno,
più del doppio rispetto a cittadini di pari età e sesso, ma senza diabete.
Nonostante le forti convinzioni, non è il trattamento del diabete che costa di più ma il trattamento della sue
complicanze. In altre parole più sono lunghe le attese per i trattamenti più questi costeranno.
Infatti, solo il 7% della spesa riguarda i farmaci anti diabete, il 25% è legato alle terapie per le complicanze
e le patologie concomitanti, mentre il 68% è relativo al ricovero ospedaliero e alle cure ambulatoriali.
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Da un punto di vista sociale, i costi economici includono anche perdita di produttività e conseguentemente
perdita di opportunità per lo sviluppo economico.
Prevenzione, diagnosi precoce e cura
La maggior parte dei casi di diabete di tipo 2 possono essere prevenuti da un cambiamento degli stili di
vita, includendo una dieta sana con una limitata quantità di grassi e 30 minuti di moderato esercizio fisico
quotidiano.
Lo Screening per il diabete e per il pre-diabete è consigliabile per tutti i cittadini sopra i 40 anni.
L'intervento precoce produce significativi risparmi nei costi sanitari a lungo termine.
L'efficace trattamento del diabete riduce significativamente le complicanze del diabete, come l'infarto, ictus
e grave deterioramento della vista. Il trattamento efficace comporta un attento monitoraggio e controllo del
livello di glucosio nel sangue, pressione arteriosa e dei lipidi.
Principali sfide e azione politica sul diabete:
Grandi sfide:
- rapida crescita del numero dei cittadini con diabete, pre-diabete e obesità
- aumento della morbilità e mortalità legate al diabete e ai suoi fattori di rischio.
- crescente onere dei costi diretti e indiretti del diabete e delle sue complicazioni per il
sistema sanitario e la società italiana.
- lo scarso livello di educazione al diabete e di sensibilizzazione alla salute stanno portando a bassi livelli
di conformità medica e al fallimento nel perseguire uno stile di vita sano.
Priorità chiave:
- prevenzione / strategie stili di vita
- investimenti nella diagnosi precoce / programmi di screening per le persone con diabete
e pre-diabete
- sviluppo di un piano nazionale del diabete
- elevare il livello di consapevolezza e educazione circa il diabete
- una maggiore cooperazione tra professionisti di assistenza sanitaria e pazienti al fine di
prevenire gravi complicanze.
- accrescere le conoscenze riguardo l’impatto del diabete e delle sue complicanze acute e croniche sui costi
diretti, indiretti e intangibili.
Azioni politiche:
- Dal 2004, l'Italia ha un piano nazionale di prevenzione, che include una sezione sulla prevenzione delle
complicanze del diabete. Questo piano stabilisce un quadro nazionale per l'implementazione da parte delle
autorità regionali. Vincoli di bilancio spesso minano però l'implementazione regionale del piano nazionale.
- Non esiste nessun piano nazionale specifico per il diabete, ma il Ministro della Salute ha predisposto un comitato
permanente al fine di prepararne uno.
- Il Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 pone il diabete fra le priorità per il Sistema
Sanitario Nazionale.
- Dal 2007, gli 'standard italiani per il trattamento del diabete' forniscono le linee guida per gli operatori sanitari.
- Attualmente l'Italia ha oltre 600 ‘Centri specialistici per il diabete'.
- I sistemi sanitari regionali sono chiamati alla implementazione di “chronic care model”, basati su una forte
centralità del paziente e una completa integrazione fra medicina specialistica e territoriale, resa possibile dalla
definizione di percorsi assistenziali condivisi. *********
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DIETETICA & NUTRIZIONE
Le proprietà ipoglicemizzanti della
PORTULACA OLERACEA
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li studi condotti negli ultimi decenni in Cina sulle abitudini alimentari delle numerose
minoranze etniche, diffuse in tutto il Paese e ancora strettamente legate alle risorse
del territorio, ovvero ancora estranee all'ondata di occidentalizzazione che ha
profondamente cambiato e spesso stravolto anche le abitudini alimentari tradizionali
nelle aree metropolitane, hanno portato alla luce dati talvolta sorprendenti, suscitando
l'interesse della comunità scientifica. E' questo il caso della Portulaca oleracea.
Benché da millenni usata nella medicina tradizionale cinese in virtù delle sue proprietà
antibatteriche, antivirali, ipoglicemizzanti e di stimolazione delle difese immunitarie,
composizione e meccanismo di azione della Portulaca non erano stati mai accertati.
La Portulaca oleracea figura del resto da sempre tra le piante commestibili nella
tradizione orientale: insalata, infuso, erba aromatizzante, molteplici sono i ruoli che essa può
rivestire all'interno della dieta.
Le osservazioni condotte sul territorio hanno evidenziato come, nelle regioni in cui
l'utilizzo della Portulaca oleracea è quotidiano e abbondante, l'incidenza del diabete è
decisamente minore rispetto alla media. Se da una parte era già evidente come i gruppi
esaminati seguissero una dieta di per se sana, ricca di fibre, antiossidanti, grassi insaturi e
fenoli, associata ad uno stile di vita ricco di attività fisica e pressoché privo di stress, è stato
però altrettanto importante osservare che questi stessi gruppi consumassero, così come
diverse altre piante dalle capacità diuretiche e depurative, grandi quantità di Portulaca
oleracea. Da essa ricavano soprattutto un infuso da consumare nell'arco dell'intera giornata,
insieme o in alternativa al the verde, abitudine che viene seguita quotidianamente e per tutta la
vita.
Tali osservazioni hanno indotto gli studiosi ad approfondire caratteristiche e proprietà
della Portulaca oleracea. Ne è stata innanzitutto determinata la composizione: acidi organici,
flavonoidi, alcaloidi, terpene, idrossibenzene, saponina e polisaccaridi. Dagli esperimenti
successivamente condotti su topi in cui era stato indotto il diabete è risultato che il trattamento
quotidiano con alte dosi (400 mg/Kg) di Portulaca oleracea è in grado di determinare una
significativa diminuzione della glicemia, del colesterolo totale e dei trigliceridi, oltre che favorire
il recupero del peso corporeo dopo la repentina perdita all'insorgenza della malattia.
Nei soggetti trattati si sono registrati: diminuzione del glucosio nel sangue e rallentamento
del processo di aumento dei lipidi associato alla malattia diabetica, miglioramento del
metabolismo del glucosio ed aumento della secrezione di insulina attraverso il recupero di
attività da parte di cellule ??pancreatiche dopo l'induzione del diabete, assenza di effetti
collaterali.
Tutto ciò suggerisce che la Portulaca oleracea abbia un importante potenziale
ipoglicemizzante e possa essere significativamente utile nella terapia del diabete.
Continueremo a monitorare l'attività di ricerca, rivolta ora alla ulteriore identificazione e
purificazione dei suoi ingredienti. Sono infatti allo studio le potenziali applicazioni
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Nel frattempo, vi segnaliamo la possibilità di reperire la Portulaca oleracea molto
facilmente qui in Italia. Raccolta allo stato spontaneo o talvolta coltivata, sin da tempi remoti, in
tutto il bacino mediterraneo e nel Medio Oriente (dove è tuttora molto consumata), è oggi da
noi considerata perlopiù come specie infestante e modestamente apprezzata quale pianta
commestibile. Nota con diverse denominazioni a seconda della regione (porcellana, procaccia,
porcacchia) si riproduce infatti assai velocemente, invadendo con facilità orti e giardini. E'
un'ottima pianta tappezzante e può essere facilmente coltivata in vaso.
Le foglie, dal sapore acidulo, si possono consumare in insalata (pucchiacchella nella
tradizione napoletana, parte della misticanza in quella romana) o cotte, aggiunte a minestre,
sottaceto e ancora meglio in infusione, utilizzando in questo caso anche fusti, fiori e semi.
La Portulaca oleracea ha fusti rossastri, carnosi, molto ramificati, portamento prostrato,
foglie verde chiaro, cilindriche, succulente, con un ciuffetto ascellare di sottili peli bianchi. Da
giugno fino ai primi freddi autunnali sull'apice dei rami sbocciano numerosi fiori a rosellina, con
petali dall'aspetto stropicciato, che si chiudono con il buio, di tutti i colori tranne il blu.
D.ssa Donatella SPARGOLI
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La nostra mente
Diabete e Gravidanza
*Dott.ssa Sonia Cavedoni
La gravidanza, per una donna con il diabete come per qualsiasi donna, è un momento della vita di grande importanza,
probabilmente il più importante in assoluto.
Sulla base di dati nazionali ed europei, si stima che circa il 6-7% di tutte le gravidanze risulta complicato da diabete
(97,5% diabete gestazionale, 2,5% diabete pre-gravidico). In linea con questi dati ogni anno in Italia oltre 40.000 gravidanze
sono complicate da diabete gestazionale e circa 1500 da diabete pre-gestazionale.
Dal secolo scorso si è osservato un rilevante interesse per gli aspetti psicologici connessi alla gravidanza e alla
genitorialità e i contributi presenti in letteratura hanno consentito una nuova concettualizzazione della gravidanza intesa come
un momento evolutivo fondamentale dello sviluppo dell’identità femminile. A partire dal concetto di gravidanza come fattore
biopsicologico centrale nell’identità femminile e nel processo di maturità della donna (H. Deutsch, 1945), passando attraverso
la visione di Benedek (1956) di “evento psicosomatico”, con corrispondenze tra modificazioni fisiologiche e tendenze
psicologiche, fino ad arrivare alla formulazione di un rilevante cambiamento caratterizzato da una profonda destrutturazione e
riorganizzazione del senso di identità della donna.
In questo delicato percorso di ristrutturazione psicologica è stato ampiamente documentato il ruolo di fattori di
rischio (biologici, psicologici e ambientali) presenti durante la gravidanza, o almeno nell’anno precedente alla nascita, che
possono incidere sullo stato emotivo della donna, in particolare con l’insorgere di una sintomatologia depressiva, e sulla
relazione che questa madre instaura con il suo bambino. Insieme a tali fattori ne sono stati individuati altri, quelli di
protezione ovvero elementi di sostegno per la persona in grado di contrastare il livello di rischio e la vulnerabilità ai quali è
esposta favorendo un buon adattamento generale anche a condizioni difficili che si sono presentate nel corso della vita.
Tra i fattori biologici di rischio troviamo l’insorgere di una patologia medica come il diabete gestazionale o la
preesistente presenza di diabete tipo I che richiedono alla donna che attende un figlio un ulteriore lavoro di elaborazione dei
correlati psicologici ad essi connessi.
Nel diabete gestazionale sembra emergere principalmente l’impatto traumatico, improvviso e inaspettato della
diagnosi. Le donne che ricevono tale diagnosi si trovano a sperimentare un vissuto caratterizzato da ansia e senso di allarme,
temono per la salute del loro bambino e avvertono un senso di colpa originato dalla sensazione di aver trascurato la propria
salute, prendendosi scarsa cura di sè. Il trattamento terapeutico della patologia di queste donne dovrebbe avere come obiettivo
il lenimento dell’ansia, a volte anche con l’ausilio di un sostegno psicologico, che permetta loro una migliore tolleranza delle
preoccupazioni attivate dalla diagnosi, che vanno ad accrescere quelle normali e tipiche di qualsiasi gravidanza che si
esplicano soprattutto rispetto alle proprie capacità di essere una buona madre, di gestire il bambino e gli altri aspetti presenti
nella propria vita (rapporto di coppia, lavoro).
Le gravidanze in corso di diabete, invece, sono caratterizzate da un notevole investimento di energie fisiologiche ed
emotive da parte della donna che deve, necessariamente, programmare una gravidanza e attivare risorse importanti nel
mantenimento di un buon compenso metabolico. La gravidanza ha, dunque, un significativo impatto sulla maggior parte delle
donne affette da diabete mellito che si trovano a dover rispondere ad un aumento di richieste ed esigenze nella cura della loro
malattia come risposta alla gravidanza stessa. Esse vengono sottoposte a un trattamento di cura intensivo con l’obiettivo di
evitare patologie al feto quali malformazioni e difetti alla nascita, e complicanze diabetiche quali pre-eclampsia, aborto, morte
intrauterina, macrosomia e morbilità neonatale. Numerosi studi scientifici concordano sulla necessità che la gravidanza di una
donna diabetica venga programmata attentamente, per quanto possibile, da parte del diabetologo in condivisione con la donna
stessa per abbassare e cercare di controllare il rischio di tali complicanze.
In conseguenza di ciò, è prevedibile un vissuto di intensa fatica emotiva e un bisogno di maggiore dipendenza dal
medico e dal trattamento che si esplica nella necessità di avere a disposizione una cura sentita come molto specializzata,
individualizzata ma anche molto rattificata che vada a compensare da un punto di vista fisiologico ma anche psicologico la
carenza intrinseca alla condizione di malattia stessa.
Quindi, possiamo assumere che l’insorgenza di una malattia di norma transitoria come il diabete gestazionale o la
presenza di una patologia pregressa come il diabete mellito possano rappresentare importanti fattori di rischio all’instaurarsi
di una sintomatologia psicopatologica rilevante ma, allo stesso modo, possiamo pensare che un trattamento multidisciplinare
che tenga conto sia degli aspetti fisiologici che di quelli psichici, nell’ottica di una specificità della cura in gravidanza,
rappresenti uno dei possibili fattori di protezione.
*Psicologa e Terapeuta
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Buone notizie
per i diabetici
che necessitano di un intervento cardochirurgico
* Dr. Diego Magnano
Vorrei presentarvi due interessanti articoli scientifici che riguardano il mondo dei diabetici.
Secondo autorevoli ricercatori svizzeri i pazienti anziani diabetici con dolore toracico cronico di origine cardiaca
(angina) beneficiano di un intervento chirurgico per aprire le arterie coronarie ostruite nella stessa misura dei pazienti senza
diabete che debbono affrontare lo stesso tipo di intervento. Il capo di tale ricerca Dr. Mathias E. Pfisterer della University
Hospital di Basilea ha dichiarato che "i pazienti anziani ed i loro medici possono scegliere una strategia invasiva oppure una
strategia medica con un risultato analogo a lungo termine". Ogni scelta ha i suoi pro ed i suoi contro, ha sottolineato: la
cardiochirurgia fornisce "sollievo precoce dei sintomi e miglioramento dello stato di benessere", ma comporta costi notevoli,
d'altro canto, la gestione medica comporta l’assunzione continua di farmaci e comunque più del 50 per cento di probabilità
della necessità di rivascolarizzazione tardiva" – ovvero nella metà dei casi di andare comunque incontro prima o poi alla
chirurgia o ad angioplastica per ripristinare il flusso di sangue al muscolo cardiaco. Pfisterer e colleghi hanno valutato 301
pazienti di 75 anni di età o più anziani con malattia coronarica sintomatica. Sessantanove soggetti erano anche affetti da
diabete. Il team ha esaminato i risultati per più di 4 anni tra i pazienti diabetici e non diabetici, e ha riferito i risultati sull'
autorevole rivista scientifica American Journal of Cardiology. In entrambi i gruppi, la sopravvivenza globale è stata del 61
per cento senza rivascolarizzazione, rispetto al 79 per cento con rivascolarizzazione. In questi anni di crisi e di tagli al sistema
sanitario occorre purtroppo spesso anche considerare il problema della spesa pubblica ma Pfisterer ha anche osservato che
dall'analisi dei costi è emerso che il costo iniziale maggiore di chirurgia cardiaca è bilanciato nel caso della scelta per una
strategia medica dal maggior costo per onorari dei medci e dei costi per chirurgia tardiva. L’intervento cardiochirurgico è
completamente a carico del Sistema Sanitario Nazionale mentre, spesso, molti cardiopatici diabetici si recano a proprie spese
da un cardiologo di fiducia e quindi la scelta della sola terapia medica riversa i suoi costi completamente sulle loro finanze!
Il secondo articolo di cui vorrei parlare oggi riguarda gli avanzamenti delle conoscenze sulla gestione specifica del
paziente diabetico in sala operatoria: meglio si conoscono i meccanismi che portano alle complicanze per il diabetico operato
e meglio sarà possibile attuare protocolli di prevenzione e trovare le migliori strategie mediche. In tal senso è interessante
quanto scoperto da una ricerca presso l’Università di Bristol: tale studio mostra che perturbazioni della glicemia dopo un
intervento cardochirurgico sono comuni e che un inadeguato controllo glicemico in pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca è
associato ad un aumento di quattro volte di decesso post-operatorio e di complicanze maggiori e inoltre che tali aumenti di
glicemia si verificano in pazienti con e senza diabete. La ricerca dell'Università di Bristol è stata finanziato dalla British
Heart Foundation (BHF) e Garfield Weston Trust e pubblicata sull’importantissima rivista Circulation. Lo studio ha
coinvolto quasi 9.000 pazienti e ha dimostrato che le alterazioni della glicemia si sono verificate non solo nei pazienti
diabetici noti, ma anche in più della metà dei pazienti cardiopatici non diabetici. Il diabete è stato a lungo associato a una
complessa prognosi clinica seguente ad intervento chirurgico al cuore e ci sono stati una serie di progressi nelle tecniche di
cura intensiva e operatorie per i pazienti diabetici. Questi risultati hanno implicazioni nuove e importanti per il trattamento di
pazienti cardiopatici in cui suggeriscono che un inadeguato controllo della glicemia indipendentemente dal diabete mellito è
associato ad aumento di quattro volte della mortalità in ospedale e di complicanze maggiori incluso l'infarto cardiaco (2,7
volte maggiore), complicanze neurologiche, renali, polmonari e gastrointestinali. Lo studio, condotto dal dottor Raimondo
Ascione, Cardiochirurgo presso la Bristol Heart Institute, esorta chirurghi e specialisti n cure intensive ad utilizzare rigidi
protocolli di controllo attivo della glicemia in tutti i pazienti ricoverati per interventi di chirurgia maggiore. L'efficacia di
questi protocolli e dei meccanismi biologici che portano a questo problema deve ulteriormente essere studiata con rigorosa
ricerca. Il Dr Ascione ha dichiarato: "Crediamo che i risultati del nostro studio potrebbe applicarsi anche a tutti quei pazienti
sottoposti a chirurgia non-cardiaca ammessi per qualsiasi altra procedura chirurgica importante a livello mondiale. Ciò
potrebbe avere gravi implicazioni per l'aspettativa di vita dei pazienti e un onere enorme per le risorse ospedaliere. ". Il
professor Peter Weissberg, direttore medico del BHF, che ha co-finanziato lo studio, ha dichiarato: “Mentre la ricerca
precedente ha mostrato che i livelli di glicemia hanno un impatto importante sul risultato di pazienti che soffrono un attacco
cardiaco, questo studio dimostra per la prima volta lo stesso può essere vero anche per i pazienti sottoposi a chirurgia
cardiaca.” "Questa ricerca costituisce la base per ulteriori approfondimenti per cercare di capire come controllare meglio la
glicemia possa contribuire a salvare più vite umane durante e dopo l'intervento chirurgico al cuore."
*Specialista in Cardiochirurgia – Chirurgia Mininvasiva - [email protected]
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Diabete & Dintorni
Diabetici Celebri
La tragedia di Vermicino e i suoi
Protagonisti
Quella di Vermicino è la storia di un bambino
cardiopatico finito in fondo a un pozzo artesiano.
Ma è anche la storia di un Angelo
*Ricerca di Salvatore BRUNO
E’il 10 giugno 1981 e sono le ore 19.30, Nando Rampi, un impiegato dell’Acea, passeggia con gli amici e
con il figlioletto Alfredo, di 6 anni, nelle campagne di Vermicino, a pochi chilometri da Frascati. Ad un certo punto
Nando si accorge che il piccolo Alfredo si è allontanato dal gruppo. “Si sarà avviato da solo verso casa”, pensa.
Invece, nel giro di qualche ora la famiglia si rende conto che il piccolo Alfredo è scomparso.
Con l’aiuto di qualche volontario iniziano subito le ricerche. Qualcuno si ricorda che lì vicino c’è un pozzo;
corrono a vedere, ma l’imboccatura è coperta da una lamiera. Sono già le 21,30 e le prime ricerche di Alfredo non
sono andate a buon fine.
Viene avvisata la Polizia che inizia immediatamente una battuta.
Intorno alle 24,00 un sottufficiale della Polizia sente parlare del pozzo. Pur sapendo che è coperto, decide
di fare un nuovo controllo. Si reca sul luogo, sposta la lamiera e sente i lamenti di Alfredo.
Cominciano i primi tentativi di salvataggio, con sistemi rudimentali. Prima si prova a lanciare una corda,
poi una tavoletta di legno, nella speranza che il bimbo l’afferri per risalire in superficie. La tavoletta però si incastra
nello stretto pozzo e sarà un ostacolo gravissimo per i soccorritori che devono inviare acqua e cibo al bambino.
Alle ore 5.00 dell’11 giugno uno speleologo, Tullio Bernabei, si cala nel pozzo a testa in giù. Giunge a
venti metri di profondità, poi non ce la fa più ed è costretto a risalire.
Verso le 8.30 giunge sul posto una trivella: servirà a scavare un secondo pozzo, parallelo a quello dove è
caduto il bambino, per poi raggiungerlo con una galleria che intersechi il budello dove Alfredino è prigioniero.
Sullo spiazzo intorno al pozzo, nel frattempo, sono arrivate migliaia di persone: soccorritori, volontari,
curiosi e operatori delle TV di tutto il mondo. I tecnici dei vigili del fuoco sostengono che Afredino potrebbe essere
liberato intorno alle 18,00.
Ma la trivella incontra un grave ostacolo: uno spesso strato di roccia, impossibile da perforare. Si cerca
quindi una macchina più sofisticata, che fortunatamente una società privata mette a disposizione.
Alfredino, nel frattempo, è in costante contatto con parenti, medici e soccorritori grazie a una radiosonda.
Il piccolo si lamenta e chiede acqua e cibo.
Ma anche la seconda trivella si blocca. I medici cercano di far arrivare al bambino un po’ di liquidi e
vitamine tramite un sottile cavo collegato con un flacone da fleboclisi. Alfredo è un bambino forte, ma sono già
passate 22 ore da quando è precipitato nel pozzo e rischia di indebolirsi troppo.
I lavori ricominciano, ma lo strato di roccia resiste oltre ogni aspettativa. Si riparte con una nuova trivella,
ma anche questa volta i risultati sono scarsi e si va a rilento.
Verso le 23,00 un manovale della zona, che verrà battezzato “uomo ragno”, tenta di calarsi nel pozzo per
sbloccare la tavoletta. L’uomo ha una corporatura molto esile e riesce a scendere più in basso di quanto aveva
fatto il precedente soccorritore, ma alla fine anche lui deve desistere. La giornata si chiude con risultati mediocri
perché la roccia continua a resistere.
I medici sono sempre più preoccupati: Alfredo è stato bravissimo ed ha avuto una capacità di reazione
incredibile, ma ora rischia un cedimento psicologico.
Non si conoscono soste per salvare il bambino, si lavora tutta la notte. Sono le 6,00 del mattino e
Alfredino continua a resistere. Ha anche un interlocutore privilegiato: un vigile del fuoco che sembra ispirargli
particolare fiducia. Il bambino è ormai alla sua trentatreesima ora dentro il pozzo.
Alle 9,00 una buona notizia: la trivella riesce a rompere la roccia. Ora resta da superare uno spesso strato
di argilla.
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Diabete & Dintorni
I Vigili del Fuoco lavorano intensamente. Alle 16,30 giunge sul posto il Presidente della Repubblica
Sandro Pertini che scambia anche qualche parola con Alfredino.
Poi si fa strada l’ipotesi che il piccolo non sia a 30 metri di profondità come creduto finora, ma molto più in
basso.
Alle 23.35 il tentativo di un altro speleologo fallisce. L’uomo, benché minuto, non è riuscito a raggiungere il
bambino.
E’ da poco passata la mezzanotte quando un altro volontario, Angelo Licheri, ripete il tentativo e,
finalmente, raggiunge il bambino. Ma il piccolo è coperto di fango e il soccorritore non riesce ad afferrarlo
saldamente. Per sette volte lo prende, facendolo salire di una decina di metri, e per sette volte gli sfugge la presa.
Altri tentativi si susseguono nel corso delle ore: Alfredino è a oltre 63 metri di profondità (sotto i suoi piedi
vi sono ancora 20 metri di vuoto), ma nessuno riesce ad afferrarlo e a portarlo in salvo.
Alle 19,42 per stabilire se Alfredino è ancora vivo viene introdotto nel pozzo un potente stetoscopio, che
dovrà controllare se è ancora presente attività cardiaca. La risposta, come ormai tutti si aspettano, è negativa.
Ma chi era quel volontario che per ben sette volte aveva afferrato il bambino e per sette volte gli era
sfuggita la presa?
Emilio Orlando Angelo Licheri è un eroe dimenticato, che quasi nessuno ricorda più, anche se la
vicenda della quale fu protagonista tenne l’Italia intera con il fiato sospeso per tre giorni e tre notti.
Licheri tentò l’impresa impossibile di salvare il piccolo Alfredino Rampi. Di professione tipografo, un fisico
da contorsionista, Angelo si fece legare per i piedi e fu calato a testa in giù a una profondità di 63 metri nel pozzo
artesiano nel quale era precipitato il bambino. Fece di tutto per tentare di imbragare il piccolo ma quell’inferno di
fango vanificò il suo tentativo e, appena tornato in superficie scoppiò in un pianto dirotto.
All’epoca dei fatti Licheri aveva trentasette anni; oggi ne ha sessantasette ed è da poco rientrato in Italia
dopo una lunga permanenza in Africa. Il diabete gli ha portato via una gamba. Così, in questo stato, dopo
trent’anni, ritroviamo Angelo Licheni. E’ sempre stato magro, oltre che piccolino di statura, ma il coraggio di farsi
calare nel cunicolo del diametro di 30 centimetri e di oltre 80 metri di profondità non gli era mancato. Era arrivato a
sentire il rantolo del bambino stremato da due giorni in fondo al pozzo, lo aveva toccato, per 45 minuti.
A distanza di tanti anni Licheri - in un’intervista rilasciata qualche anno fa al giornalista Oliviero Marchesi è ancora in grado di ricordare i più piccoli dettagli della vicenda. «La discesa nel pozzo - ricorda l’ex tipografo che
ora vive con una misera pensione di 600 euro al mese - fu un vero incubo, che non finiva mai; ricordo che una
voce a un microfono scandiva i metri che scendevo appeso a un filo. A un certo punto, avvolto nella melma, vidi il
piccolo Alfredino. Lo sentii rantolare, stava soffocando, perché aveva la bocca piena di fango, non potrò mai
dimenticare quel rantolo». «Con un dito - prosegue Licheri - cercai di pulire la sua bocca poi tentai di liberarlo dal
fango per poterlo poi imbracare per la risalita. Il suo corpicino, quasi esanime, aveva la mano sinistra sotto al
ginocchio ed era rannicchiato. Per un momento mi sembrò di avercela fatta, ma purtroppo l’imbracatura scivolò e
accadde il peggio».
Il cadavere del piccolo Alfredo Rampi verrà recuperato un mese più tardi, alle 14.25 dell’11 luglio 1981,
dopo un mese di incessanti lavori. Le cause della morte, secondo i periti, furono un collasso cardiaco e un
principio di asfissia.
Oggi ci sono trivelle speciali come nel caso dei minatori in Cile, ma allora no. Non esisteva neppure una
seria organizzazione di intervento in caso di emergenza. In quel contesto, il Presidente della Repubblica Sandro
Pertini promise alla signora Franca Rampi che tali fatti non sarebbero più accaduti. Furono i primi passi verso la
Protezione Civile. Ora Angelo Licheri versa in cattive condizioni di salute ed economiche. E’ ricoverato in una casa
di cura. Di lui si sono ricordati però i Vigili Del Fuoco che hanno raccolto circa 10.000 euro che gli sono stati
consegnati dal Ministro dell’Interno Roberto Maroni e dall’ex Sindaco di Roma Walter Veltroni.
Ad Angelo Licheri furono offerte 27 medaglie d’oro al valor civile e tanti, tantissimi soldi. A tutto questo,
Egli rispose: “Chi può accettare un premio dopo che ha fallito? Io non ce l’ho fatta”.
*Presidente Associazione Diabetici Modenesi
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