la psicologia del gioco

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LA PSICOLOGIA DEL GIOCO
Sommario: 1. Una sintesi di apertura – 2. La psicologia del giocatore – 3. Psicologia del gioco d’azzardo
– 4. Il giocatore d’azzardo fra patologia e intervento – 5. Una nota conclusiva.
1. UNA SINTESI DI APERTU RA
Questo primo paragrafo si propone una sintesi degli approfondimenti che i paragrafi successivi
vennero realizzati. In particolare verranno poi ulteriormente trattati i temi della psicologia del giocatore
e della psicologia del gioco, nonché i temi connessi alla patologia ed al trattamento nelle diverse
prospettive scientifiche.
Il gioco è una forma di attività comune sia agli esseri umani che al mondo animale. Dagli studi
etologici emerge come per gli animali esso abbia molteplici finalità, tra le quali possiamo individuare
l’apprendimento, l’adattamento della specie al suo ambiente naturale e la costituzione delle relazioni fra
gli individui.
Nell’uomo l’attività ludica è ancora più complessa. Il gioco è un esercizio libero delle attività
psichiche, fisiche e intellettuali, che corrisponde ad un bisogno primordiale, organico e psicologico.
Assume infinite forme e svolge svariate funzioni: diventa un esercizio preparatorio ai diversi compiti
dell’esistenza sul piano biologico, sociale, culturale; serve ad appagare i bisogni di controllo, di dominio,
di autoaffermazione attraverso le sfide; serve a concedere svago, autogratificazione1.
Una delle caratteristiche fondamentali del gioco è proprio l’aspetto divertente e gratificante
attraverso cui il soggetto interrompe la routine quotidiana.
Parte della letteratura psicosociale, che si è dedicata allo studio di questa tematica, lo intende
come un’attività funzionale alla soddisfazione dei bisogni umani basilari; secondo Kusyzsyn2, la
dimensione ludica riproduce le tre classiche esperienze psicologiche dell’individuo: quella cognitiva che
si sviluppa nel prendere decisioni; quella intenzionale che si sviluppa nello scommettere e quella
affettiva, come la speranza di vincere e la paura di perdere. I giocatori rivelano una libertà di scelta, essi
decidono il proprio stile di partecipazione che diventa espressione della propria esperienza personale.
L’incertezza dell’esito e il rischio procurano nell’individuo stimolazioni cognitive, fisiche ed emozionali.
Il giocatore si pone volontariamente nelle mani dell’incertezza, del destino e si assume la responsabilità
per il risultato e la responsabilità di giocarsi il proprio denaro.
Il gioco rappresenta una zona intermedia fra realtà e fantasia, proprio perché non è né un puro
fenomeno, né pura immaginazione. Per la costruzione di tale area è necessario che il giocatore concordi
con se stesso e con gli altri giocatori i parametri del setting.
Secondo De Sanctis Ricciardone3, il gioco deve essere un’attività regolata, ossia sottoposta a
convenzioni che sospendono le leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova
che è la sola a contare. Deve essere un’attività libera, a cui cioè si partecipa per scelta; e altresì una realtà
separata, ossia circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo. Inoltre deve essere
un’attività incerta, il cui svolgimento non può essere determinato, né il risultato acquisito
preliminarmente. Ed infine un’attività improduttiva, cioè che non crea né beni né ricchezza, né alcun altro
elemento nuovo: salvo ovviamente uno spostamento di proprietà all’interno della cerchia di giocatori.
Nel giocatore il pensiero magico si manifesta attraverso vari meccanismi cognitivi di negazione
dell’azzardo, ovvero di negazione dell’ineluttabilità di un risultato attribuito al caso, tali meccanismi si
possono articolare in maniera diversa, ma hanno in comune lo stesso bisogno, e cioè la negazione della
possibilità del caso e l’idea megalomanica di poterlo determinare, controllare, prevedere: il desiderio di
farsi vedere dal caso, di poter influenzare il destino. Uno dei modi è rappresentato dal ruolo attivo, ossia il
giocatore pensa di poter influenzare il risultato del gioco e quindi che esso non dipenda solo dal caso.
Carlevaro, 2002, p. 62.
1984; cit. in Lavanco, Varveri, 2001, p. 77.
3 1994; cit. in Lavanco, 2002, p. 154
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Esso può essere individuato attraverso l’illusione del controllo di Langer4, essa è definita come
«un’aspettativa di successo personale erroneamente alta rispetto a quanto l’obiettivo possa garantire». Si
tratta di una distorsione cognitiva in cui le persone considerano eventi di tipo aleatorio come se fossero
sotto il loro controllo; il gioco d’azzardo non verrebbe dunque percepito come un gioco di Alea, bensì
di abilità.
Sarchielli5 ritiene che l’attrazione del gioco stia proprio nel desiderio di «controllare
l’incontrollabile». L’irrazionalità del pensiero di chi gioca è illustrabile dalla partecipazione di altre due
variabili: il sensationseeking e il risk-taking oltre i fattori citati precedentemente.
Il sensation seeking è stata individuata da Zuckerman6, egli la considera un tratto di personalità
che sta alla base del comportamento di chi ricerca il rischio. L’autore, basandosi sull’assunzione
secondo cui gli individui differiscono fra loro in base al «livello ottimale di attivazione», ha elaborato
una scala generale di ricerca delle sensazioni, Sensation Seeking Scale. Agli individui piace il rischio di
perdere denaro per il rinforzo positivo che traggono dagli stati di elevata attivazione che si verificano
per l’attesa del risultato, sia in seguito alla stimolazione per la vincita7.
Il risk-tahing8 cresce con l’aumento della familiarità degli individui con il gioco. Essi percepiscono
le probabilità soggettive come molto più grandi rispetto alle probabilità oggettive, quindi sovrastimano
le proprie probabilità di vincita.
Un ulteriore concetto psicologico utile a spiegare il comportamento del giocatore è quello di
locus of control di Rotter9, si tratta di un concetto che considera il grado in cui la gente pensa che il proprio
sforzo, abilità o azione, in contrapposizione al caso o al destino, possa controllare o influenzare ciò che
avviene. Nell’attività del gioco d’azzardo vi sono individui convinti che il caso o la fortuna siano in
grado di determinare il corso della loro esistenza e i loro successi e che, per contro, la cattiveria è causa
dei loro fallimenti; ma vi sono altri che in contrapposizione pensano di potere controllare gli eventi e la
loro vita con sforzo e abilità. Il sistema di aspettative in situazioni come il gioco non è solo attivato da
esperienze specifiche che si hanno in quella situazione, ma anche da esperienze precedenti percepite dal
soggetto come simili. Per il gioco d’azzardo sembra che chi ha sviluppato un locus of control interno
sceglierà soprattutto giochi di abilità, e chi ha un locus of control esterno i giochi di Alea; inoltre è più
probabile che i soggetti con un locus interno siano più insistenti a giocare in seguito ad una sconfitta,
percepita come conseguenza della loro abilità.
Cesare Guerreschi (2000) suggerisce una distinzione tra sei gruppi di giocatori:
Giocatori d’Azione con Sindrome da Dipendenza, per i quali giocare d’azzardo è la cosa più
importante nella vita, l’unica cosa che li mantiene in azione; la loro famiglia, i loro amici e il loro lavoro
vengono influenzati negativamente dalla loro attività di gioco.
Giocatori per Fuga con Sindrome da Dipendenza, i quali giocherebbero per trovare sollievo dalle
sensazioni di ansietà, depressione, rabbia, noia o solitudine e usano il gioco d’azzardo per sfuggire da
crisi o difficoltà. A tali soggetti il gioco provocherebbe un effetto analgesico invece di una risposta
euforica.
Giocatori Sociali Costanti, per i quali il gioco d’azzardo è la fonte principale di relax e divertimento,
sebbene questi individui mettano il gioco in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro. Tali
giocatori mantengono ancora il controllo sulle loro attività di gioco.
Giocatori Sociali Adeguati, i quali giocano per passatempo, per socializzare e per divertirsi. Per essi,
giocare d’azzardo può essere una distrazione o una forma di relax. Il gioco non interferisce con le
obbligazioni familiari, sociali o lavorative. A questa categoria di giocatori apparterrebbe la maggioranza
della popolazione adulta.
Giocatori Antisociali, individuabili in coloro che si servono del gioco d’azzardo per ottenere
guadagni in maniera illegale.
1975; cit. in Lavanco, 2001, p. 16.
1997; cit. in Lavanco, 2001, p. 16.
6 1983; cit. in Lavanco, 2001, p. 17.
7 Zuckerman, 1983.
8 Landouceur e coll., 1994.
9 1960; cit. in Lavanco, Varveri, 2001, p. 82.
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Giocatori Professionisti Non Patologici, i quali si mantengono giocando d’azzardo e considerano tale
attività una professione.
Guerreschi (2000) ha individuato due tipologie di giocatori, in funzione del tipo di ruolo che il
gioco svolge. I giocatori d’azione ricercano tramite il gioco una forte attivazione, mentre i giocatori per fuga
usano il gioco per fuggire da una realtà deprimente e mortificante.
La condizione di giocatore patologico è certamente il risultato di un insieme di elementi
dinamici che attengono a vari ambiti del soggetto: biologico, ambientale, psicologico, i cui è importante
considerare sia il tipo di giochi, che il momento specifico in cui avviene l’incontro. Il gioco d’azzardo,
nella sua variante patologica si configura come un vero e proprio flagello sociale, in quanto secondo
Politzer e Marrow10 un giocatore influisce negativamente su almeno dieci persone che hanno un ruolo
significativo nella sua vita. Proprio perché l’effetto negativo del gioco d’azzardo eccessivo si ripercuote
principalmente sulla famiglia, sugli amici e sull’ambiente lavorativo creando una vera e propria deriva
sociale.
Politzer et al.11 hanno tentato di valutare rigorosamente i costi sociali originati dal gioco
d’azzardo patologico adottando i parametri riferiti ai costi sociali derivanti dall’alcolismo. Gli autori,
reclutando pazienti che iniziavano un programma di consultazione alla Johns Hopkins University,
hanno definito quattro circostanze principali per calcolare le spese generali legate al gioco eccessivo:
La minore produttività.
I costi per il rispetto e l’applicazione della legge.
I costi per la detenzione in carcere del giocatore illegale.
Lo spreco di denaro stimato considerando il denaro giocato e sottratto ai fini essenziali e
produttivi.
A tutto ciò deve essere aggiunta la spesa sanitaria, poiché i giocatori d’azzardo cercando aiuto,
entrano in contatto con i medici di base e di pronto soccorso in genere per problemi somatici,
assumono farmaci per malesseri secondari al gioco d’azzardo, contattano assistenti sociali, psicologi e
spesso si ricoverano in ospedale.
2. LA PSICOLOGIA DEL GIOCATORE
Il gioco è una tappa fondamentale dell’infanzia, è una delle esperienze formative attraverso cui
il bambino può misurarsi con i propri limiti, prendendo coscienza delle proprie qualità e potenzialità. è
lo strumento con cui il bambino si finge “altro da sé” ed esplora e sperimenta, protetto da finzione e
fantasia, nuovi strumenti di apprendimento. Gli psicologi riconoscono al gioco un ruolo capitale nel
processo dell’ autoaffermazione e nella formazione del carattere del bambino. “Giocare”, per quanto sia
parte integrante delle prime fasi dello sviluppo, non è solo prerogativa del mondo infantile.
In realtà è una delle esperienze che più ci accomuna, tanto da poterla definire un’esperienza
ontologica fondamentale della nostra esistenza.
Il gioco è un’occupazione frivola e libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori,
grandi e piccoli, sullo stesso piano. “L’importante non è vincere ma partecipare”, è una frase che
riecheggia nella memoria di tutti. Ma sarà vero? La regola di base è, forse, quella di mantenere il giusto
distacco perché ciò che si vince è destinato ad essere perduto. Ma dove risiede il piacere del gioco? Per
capirlo bisogna cominciare un viaggio in un universo astratto in cui a decidere l’esito finale saremo noi,
con le nostre abilità, o il caso, con le sue regole a noi sconosciute. Vincere così diventa una maniera per
dimostrare a noi stessi che abbiamo ancora il potere di dirigere le sorti della nostra vita.
Il gioco, insomma, risveglia il nostro desiderio di onnipotenza che di solito deve fare i conti con
una quantità di fattori incontrollabili. Il gioco si scopre, in tal modo, un'”isola di perfezione” nella quale
regna una regola, rispettata da tutti, che non favorisce né danneggia nessuno.
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1980; cit. in Storace, Casale, 2001, p. 344.
1981; cit. in Starace, Casale, 2001, p. 345
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Secondo Eugen Fink (1957), “il gioco somiglia ad un’oasi di gioia, ci rapisce, giocando siamo un
pò liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo dove la vita appare più felice”. Il
gioco si presenta come un’interruzione, una pausa e un alleggerimento del peso dell’esistenza. Ma
parlare di “oasi della gioia”, se da una parte, ci da l’idea del fatto che il gioco è divertimento, dall’altra
può indurci in errore sulla sua natura.
L’esperienza ludica è, a volte, talmente coinvolgente, da non avere nulla in comune con un’isola
di gioia: il gioco da magico può diventare “demoniaco”. Così giocare assume una doppia valenza: ci si
lascia attraversare da una dimensione attraente quanto instabile e ci si espone al rischio di trovarsi
immersi in un clima “incandescente” che è tipico del gioco d’azzardo.
Si trovano tracce di gioco d’azzardo già nel Vecchio Testamento e nei classici di numerose culture
come nel Mahabahrata – un’opera in sanscrito, dove il re perde il regno, la moglie e sé stesso a causa del
vizio del gioco. E se ne trovano tracce anche intorno al 3000 a. C., nell’antico Egitto, quando gli
astragali egizi - precursori dei giocatori di dadi - predicevano la sorte; nondimeno, la mitologia egiziana
ci riporta il racconto di Mercurio che gioca con la Luna e vince un po’ della sua luminosità: cinque
giorni che vennero aggiunti ai trecentosessanta dell’anno e celebrati come compleanno degli dei.
Anche in India, paese in cui prevalevano le scommesse sul gioco dei dadi e sulle corse dei carri
o, ancora, in Cina e Giappone, in cui certe decisioni politiche e sociali erano decretate sulla base del
risultato di giochi complessi come il go.
Dalla storia dell’antica Roma provengono insegne di locali con su scritto “scommesse e cibo”;
contemporaneamente, presso il popolo germanico, era usuale giocarsi la moglie, i figli e la stessa libertà.
Talvolta, il gioco era permesso solo in certi stabilimenti: di solito nei bagni pubblici o in certe vie dei
quartieri. Nacquero le prime concessioni comunali: a Magonza e a Francoforte il gioco era permesso
presso speciali Spilhban, sotto supervisione pubblica, durante il periodo delle fiere e quello in cui si
svolgeva la riunione del Parlamento dell’Impero. I governanti tenevano sotto controllo il gioco
d’azzardo: bisognava difendere la popolazione da bari e borseggiatori. Per i bari c’erano pene
severissime; a Norimberga, per esempio, un baro venne accecato, ma in genere si preferiva
l’annegamento in un sacco. Bisognerà aspettare il XII e il XIII secolo per vedere comparire le corse dei
cavalli considerate “lo sport dei re”, mentre nel XVI secolo nasceranno le prime lotterie in Italia e in
Inghilterra.
L’origine dei casinò moderni è nel Principato di Monaco, nel XIX secolo. L’accesso del primo
casinò era riservato solo all’elite europea e americana. Da lì presero spunto gli altri casinò d’Europa. Il
filosofo Blaise Pascal fu l’inventore della roulette, mentre si deve a Charles Fay, nel 1985, la nascita delle
slot-machines.
Durante questo enorme arco di tempo non sono mancati i nomi di giocatori compulsivi dagli
imperatori Caligola e Nerone a Washington, allo scrittore Dostoevskij, autore de Il giocatore (1866),
scritto per far fronte ai debiti di gioco.
Di certo, non è un argomento che sfugge nemmeno alla mitologia greca che sembra infatti aver
sviluppato il tema della dipendenza focalizzandosi principalmente sui profili di Prometeo e Dioniso. Il
primo rappresenta colui che si ribella alla dipendenza assoluta e che smaschera gli dei in realtà
dipendenti dalla sottomissione degli uomini. A questa figura forte, incorruttibile, si contrappone
Dioniso, alla continua ricerca del piacere, dell’ebbrezza che ha, per così dire, le caratteristiche di un antidio. Sembra in quest’ottica che, mentre Prometeo, immagine di uomo autonomo e razionale, si oppone
a qualsiasi forma di dipendenza andando anche contro gli dei, Dioniso incarna una figura che scatena e
diffonde il piacere tra gli uomini; un piacere unico, assoluto che però è sempre rinnovabile e ripetibile
all’infinito, lo stesso piacere che si può ricavare dal gioco d’azzardo. L’altra faccia della medaglia è, però,
quella della ambiguità del piacere dionisiaco. Dioniso è un dio destinato ad essere perseguitato e, nel
tempo, la matrice culturale giudaico-cristiana lo ha ridotto da dio a peccato. Analogamente, in
quest’ottica, qualsiasi forma di dipendenza, quindi anche quella del gioco d’azzardo, è severamente
punita non in quanto peccato ma perché sfida lo stesso principio di Dio, l’unico che ha il diritto di
essere adorato e da cui è lecito dipendere.
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Parlare di gioco come attività intrinseca alla vita di ogni uomo in ogni luogo e in ogni tempo,
non è semplice perché comporta il considerare una moltitudine di sfaccettature e di significati intrinseci
a questa attività. Giocare consente di esprimersi al meglio, di mettere a frutto la propria creatività12 ma
è anche un modo, come sostengono alcuni autori, per scaricare e reagire a frustrazioni e pulsioni
aggressive13. Huizinga (1949), per esempio, sostiene che il gioco “è un’azione libera conscia di essere
presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta che può impossessarsi totalmente della vita del
giocatore, è un’azione a cui non è legato un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio e che si
compie entro un tempo e uno spazio magico, secondo date regole, suscitando rapporti sociali che si
circondano di mistero”. Quindi il gioco diventa pilastro portante della civiltà umana che fa dell’uomo
un essere ludens oltre che faber.
L’esperienza ludica non va sottovalutata perché ogni azione umana è riconducibile al gioco,
mediatore culturale e matrice di relazioni interpersonali. Questa prospettiva, però, omette tutte quelle
attività presentanti le caratteristiche più tipiche del gioco d’azzardo. Infatti, se con il termine “gioco” si
fa riferimento ad ogni attività che abbia per scopo la ricreazione e lo svago, quando si parla di gioco
d’azzardo bisogna considerare aspetti in cui non rientra più l’abilità del giocatore ma unicamente la sorte
e in cui si arrischiano forti somme di denaro per cui si può ipotizzare il fine di lucro. Questa stessa
distinzione si può fare tra i termini “play” in cui spicca l’abilità, e “gambling” in cui prevalgono
l’azzardo e il fine di lucro. Sarà Callois (1958) a fornire un quadro più dettagliato distinguendo quattro
tipologie di gioco:
Giochi di Mimicry: in cui si ha la possibilità di fingere e fantasticare sul mondo, cambiandolo;
Giochi di Ilinx: in cui si ricerca il brivido, una breve ma intensa sensazione di panico;
Giochi di Agon: in cui spiccano le abilità del soggetto;
Giochi di Alea: in cui il soggetto si affida alla sorte. È perciò questa la categoria che comprende
il gioco d’ azzardo.
Per Callois, a prescindere dalla categoria di appartenenza, in qualsiasi gioco non si tratta di
vincere su un avversario ma sul Destino. Ad ogni modo, ogni tipologia offre particolari condizioni:
Mimicry è una sorta di mondo in cui rifugiarsi per rompere il flusso monotono della quotidianità, Ilinx
offre la possibilità di vivere un breve ma intenso attimo di panico, Agon sembra la tipologia in cui
prevalgono la padronanza del soggetto, la sua sicurezza e responsabilità, in Alea invece vi è un rifiuto
del lavoro, della fatica e della qualificazione personale. Agon e Alea sono due categorie antinomiche ma
simmetriche che obbediscono alla stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di un’uguaglianza
assoluta che nella realtà è negata agli uomini (Lavanco, Varveri, Lo Re, 2001).
Oltre alle categorie proposte da Callois, anche Le Breton (1991) individua tre particolari
dimensioni che spiegano sia il comportamento del gioco d’azzardo sia la voglia di rischiare: 1)
l’affrontamento, che porta a voler competere con l’aiuto con l’altro ma anche con sé stessi; 2) il candore
che richiama il desiderio di assenza caratteristico del giocatore; 3) la sopravvivenza per cui si vede nella
lotta il mezzo per poter sopravvivere. L’azzardo può diventare, allora, uno stile di vita e torna ad essere
importante l’idea di ordalia che, sempre per Le Breton (1995) “nella nostra società non è né un richiamo
della morte né una ricerca di esistenza ma una richiesta di signifi cato che un soggetto subordina a sua
insaputa al rischio della morte dandosi una possibilità equa di venirne fuori”. Se prima nell’ordalia era il
sovrano o il sacerdote a ricorrere al giudizio di Dio, nel comportamento ordalico è la persona stessa che
si mette alla prova.
Le sfumature del gioco non sono terminate, tanto che Imbucci (1999) sembra individuare altre
tre funzioni essenziali del gioco: 1) una funzione di tipo ludico che presuppone la presenza di un
benessere generale alla base; 2) una funzione compensativa qualora serva un elemento di svago in una
condizione di malessere; 3) una funzione regressiva in relazione ad una repentina crescita del gioco
anche in situazioni economiche disastrose. Insomma, il gioco diventa mezzo di comunicazione,
espressione culturale che si estende per tutto l’arco della vita dell’uomo e che, proprio per la sua
policromaticità può presentare aspetti positivi ma anche negativi; se da un lato l’esperienza ludica è
esaltata come un’“oasi della gioia” (Fink, 1957) dall’altro non si può evitare di fare i conti con un
12
13
Winnicott, 1971.
cfr. Zola, 1964.
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aspetto più ombroso, con una valenza quasi demoniaca del gioco che rapisce, stordisce e schiavizza
l’individuo; un coinvolgimento totale, estremo che emerge pienamente dalle parole di Dostoevskij
(1866): “Fui assalito da un desiderio spasmodico di rischiare. Forse dopo aver provato così tante
sensazioni, l’animo non si sente sazio, ma eccitato da esse, ne chiede sempre altre, sempre più intense,
fino alla totale estenuazione”.
Tutta questa varietà di aspetti, questa multidimensionalità del gioco, lo fa apparire come una
giostra ricca di colori, suoni, luci alle quali è molto difficile resistere. È ovvio che il processo che porta
ad un gioco patologico, compulsivo affonda le radici nell’invitante e spettacolare mondo ludico ma ciò
non esclude la compresenza di dinamiche psichiche e di una partecipazione emotiva e cognitiva
dell’individuo stesso. Il filo conduttore di questo grande calderone di emozioni e sensazioni è il bisogno
dell’avventura, del mettersi in gioco, se si considera la teoria di Murray (1938), che propone una scala di
bisogni più o meno importanti; si nota che subito dopo le necessità primarie quali acqua, aria, cibo, vi
sono quelle secondarie tra cui dominio, successo e gioco. Il contributo più recente di Goffmann (1969;
cit. in Dickerson, 1984) sembra ulteriormente confidare l’idea che in effetti, l’attività del gioco soddisfa
la necessità emotiva del soggetto di entrare in azione. Secondo Dal Lago e Rovatti (1993) il mondo della
scommessa non è esclusivo dominio della sfera patologica, ma probabilmente attraversa e affascina
ognuno di noi: “quando entrate in un’avventura non siete più voi. Obbedite ad un demone diverso da
quello che vi spinge tutte le mattine a timbrare il cartellino alla solita ora o a sedervi al tavolo di lavoro”.
Rischio, avventura, sfida sono tre elementi che possono colmare il vuoto di identità e di incertezze.
Convinto che l’incertezza dell’esito e il rischio sono elementi essenziali nel gioco, anche
Kusyzsyn (1984) riconosce il bisogno di conferme e valori. L’autore sostiene che nel gioco si
riproducono tre esperienze psicologicamente importanti:
- quella cognitiva che emerge per prendere decisioni;
- quella affettiva, legata alla speranza di vincere;
- quella interazionale, che prende corpo nella scommessa.
La caratteristica principale della scommessa è l’aspetto psicologico14. I processi più interessanti
in questo senso il locus of control15 e il pensiero magico. Per quanto riguarda il primo concetto, si
considera il grado in cui la gente crede che i propri sforzi e le proprie abilità possano controllare o
influenzare ciò che avviene. A seconda del tipo di personalità, infatti, si attribuiscono le cause degli
eventi personali all’interno o all’esterno di sé; è probabile che nel giocatore d’azzardo vi sia un conflitto
tra locus of control interno ed esterno, dato che il giocatore si arroga il potere di voler controllare gli
eventi aleatori, come il destino, che invece, come sappiamo, sono indipendenti dalla nostra volontà16. Il
pensiero magico, invece, si articola nell’uso di diverse strategie cognitive, emotive e motivazionali. Il
gioco è un processo simbolico in cui il giocatore si serve della scommessa per poter interagire con la
divinità; analogamente la superstizione è lo strumento per controllare l’incontrollabile, aumentando il
senso di onnipotenza del giocatore. Per Rosenthal (1993), la credenza nella fortuna è una caratteristica
arcaica dell’uomo che fa interferire la pratica del gioco con l’assunzione delle responsabilità che la
nostra società richiede. È facile quindi che scattino meccanismi quali l’illusione di controllo17, che porta i
giocatori a sovrastimare la loro probabilità di successo; per mostrare a tutti le proprie capacità e il
proprio coraggio si va verso la ricerca del sensazionale18 in cui rientra la ricerca del rischio. Connesso a
questo tratto di personalità è l’arousal19 che varia da soggetto a soggetto. Tramite l’apposita scala
“sensation seeking scale”, sono emersi quattro fattori importanti:
- la ricerca del brivido, della sfida;
- la ricerca di esperienza e di nuovi ambienti;
- disinibizione e bisogno di agire liberamente;
Lavanco, 2001.
Rotter, 1960.
16 Lavanco, Varveri, 2001.
17 Langer, 1975.
18 Zuckerman, 1971.
19 Stato di vigilanza del sistema nervoso centrale che si ritiene regolato da due sistemi: uno tonico che dipende dalle
afferente intero- esterocettive, e uno modulatore, che controlla il livello di attività del primo e integra gli stimoli in arrivo in
entrambi i sistemi attraverso processi di facilitazione e soppressione delle informazioni in arrivo.
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- irrequietezza, suscettibilità alla noia, avversione per gli eventi ripetitivi.
Altri due meccanismi, non meno importanti, sono la fallacia del giocatore o di Montecarlo20 che si
verifica quando si sopravvaluta la probabilità di successo di una scommessa in seguito ad una sequenza
di previsioni inesatte, e il risk taking, per cui si sovrastimano le probabilità di vincita con l’aumentare
della familiarità con il gioco.
Alla luce di quanto detto, sembra veramente fitto l’intreccio tra gioco d’azzardo e dinamiche
psichiche; del resto, come Callois (1981) ha detto, i giochi d’azzardo sono giochi umani per
antonomasia. “Gli animali infatti, conoscono giochi di competizione, immaginazione e vertigine ma
esclusivamente immersi nell’immediato e troppo schiavi dei loro impulsi, non sono in grado di
immaginare una potenza astratta ed insensibile al cui verdetto sottomettersi anticipatamente e per gioco
senza reagire.”
Nell’immaginario collettivo è il “giocatore” di Dostoevskij che personifica il rapimento, del
corpo e della mente, di cui è preda chi gioca. Dice lo stesso Dostoevskij: “fui assalito da un desiderio
spasmodico di rischiare. Forse dopo aver provato così tante sensazioni, l’animo non si sente sazio, ma
eccitato da esse, ne chiede sempre altre, sempre più intense, fino alla totale estenuazione” (1866).
Non tutti i giochi fanno sentire le vertigini, ma una cosa è certa il giocare, l’entrare in gioco,
scatena sempre l’esperienza del “rapimento”.
A Huizinga (1949), autore del primo classico contemporaneo sul gioco, si da il merito di aver
analizzato molte caratteristiche dello stesso, a cui egli attribuisce un ruolo fondamentale nello sviluppo
della civiltà come primo “operatore culturale”. Definisce così il gioco: “è un’azione libera, conscia di
non essere presa sul serio e situata al di fuori della vita consueta che può impossessarsi totalmente della
vita del giocatore, è un’azione a cui non è legato un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio e
che si compie entro un tempo e uno spazio magico, secondo date regole, suscitando rapporti sociali che
si circondano di mistero”21. Entrare nello spazio magico del gioco significa sospendere i modi e le regole
della vita quotidiana. Occorre però sottolineare, che dalla sua trattazione, vengono escluse tutte quelle
forme di gioco che implicano scommesse di denaro, come ad esempio corse dei cavalli e lotterie.
In realtà il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per poter “gareggiare con il
proprio destino”, nell’illusione di controllarlo, anche solo nel lasso di tempo di una scommessa. Per
quanto un individuo non si dichiari un “giocatore”, difficilmente rimane impassibile di fronte alla
tensione che avvolge la mente di chi attende l’esito della propria sorte.
Nei termini della teoria dell’apprendimento, ciò rappresenta una tipica situazione di “rinforzo
intermittente” o di “parziale ricompensa”, secondo cui le attività rinforzate sono resistenti ad
estinguersi. Secondo Croce (1998) tali studi, tuttavia, pur fornendo elementi interessanti sul piano dei
meccanismi d'apprendimento e sulla relazione tra vincita, rinforzo, interruzione o incremento
dell’attività di gioco del soggetto, non riescono però a indicare caratteristiche di personalità del
giocatore che ne dipingono un quadro esaustivo.
Nel tentativo di rispondere alla domanda sul perché il gioco seduca così tanta gente, ci si può
riferire a quella parte della letteratura psicosociale che intende il gioco come un’attività ludica funzionale
che provvede a soddisfare i basilari bisogni umani. Tali bisogni sono il bisogno di confermare la propria
esistenza e quello di affermare il proprio valore. L’esistenza è confermata durante il gioco tramite
stimoli cognitivi, emozionali e fisici; l’affermazione del valore individuale, invece, avviene grazie ai
sentimenti d'efficacia sviluppati dal giocatore e grazie alla consapevolezza, che lo stesso ha, di essere
impegnato in un rischioso compito. Tale rischio implica un uso della propria abilità nella risoluzione di
un problema, ad esempio, nel predire un evento.
Kusyzsyn sostiene che nella dimensione ludica si riproducono tre esperienze psicologiche
dell’individuo. Queste ultime si distinguono in quella cognitiva, che si manifesta nel prendere decisioni;
quella interazionale, che si esplica nello scommettere; e quella affettiva che si declina nella speranza di
20
21
Cohen, 1972.
Huizinga, 1949.
7
vincere e nella paura di perdere. Giocare è un atto di libera scelta per mezzo del quale il giocatore si
pone nelle mani del destino. La libertà di regolare il proprio coinvolgimento fornisce al giocatore stimoli
per misurare non solo sé stesso, ma anche il proprio valore, i propri sentimenti e la propria capacità di
adattamento.
Lo stile di partecipazione è espressione della propria esperienza personale o, come dice
Kusyzsyn, del proprio Io psicosociologico. Questo essendo incompleto, è sempre alla ricerca della propria
realizzazione e così attua una scelta piuttosto che un’altra in base alla propria storia sociale, genetica,
biologica e psicologica basata sull’esperienza.
E’ attraverso la libertà di scelta che nel gioco si diviene responsabili delle proprie azioni, in tal
modo i giocatori confermano la loro esistenza. Con la partecipazione attiva al gioco i giocatori provano
di essere emozionalmente vivi, in quanto il gioco è per loro un’attività stimolante che li fa sentire in
sintonia con il mondo. L’attività del gioco può essere interpretata come distacco e come liberazione
dalla realtà e i giocatori quando giocano vengono trasportati in un mondo “fantastico” in cui possono
agire, sentire, pensare senza il controllo del super-io e senza difese psicologiche. è in tal modo che il
gioco scatena le pulsioni recondite dell’individuo.
Il gioco è anche un’attività sociale e competitiva, in quanto c’è sempre un avversario contro cui
ci si deve scontrare , può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino. L’“incertezza dell’esito” e il
“rischio” sono la parte essenziale del gioco22 e procurano al giocatore stimolazioni cognitive, emozionali
e fisiche. Tali stimolazioni, insieme alla sensazione che la situazione è sotto controllo, lasciano il
giocatore in uno stato d’animo molto confortevole detto di “beatitudine artificiosa”, all’interno del
quale si succedono, secondo il momento di gioco o del risultato, piccole reazioni emotive.
La caratteristica intrinseca del gioco che rende così ricco il piacere psicologico del giocatore, è il
sentirsi in uno stato d’animo aperto alla fantasia. è assiomatico che i giocatori si assumano le
responsabilità di vincite e perdite, la libertà di scelta nel partecipare procura autostimolazione, che
unitamente alla presa di responsabilità per le proprie azioni, conduce a sensazioni d'efficienza, di
controllo e di merito. Nel gioco d’azzardo sono ripetuti alcuni valori che svolgono un ruolo rilevante
nella nostra società: il valore dell’audacia, della competitività, della capacità di approfittare delle
situazioni e di assumersi dei rischi. Ma una cosa sembrerebbe differenziarli, vale a dire l’irrazionalità
tipica dei giocatori e meno degli attori sociali.
Secondo Dallago e Rovatti il gioco d’azzardo, per quanto non sia ben visto dalla legge e sia
avversato dalla religione, non solo è socialmente legittimato, ma “esprime una pulsione individuale e
patologica, che sonnecchia nella nostra memoria culturale ed è pronta a risvegliarsi” (1993). Gli autori
sostengono che il gioco d’azzardo sia, non solo un gioco che ha proprie regole e che è separato dalla
vita normale, ma soprattutto un’attività “densa” in cui, attraverso il denaro, si mette in gioco,
rischiandola, la propria persona.
Goffman (1969) considera il gioco d’azzardo alla stessa stregua di quei comportamenti che
inducono l’individuo a misurarsi con l’azione e a soddisfare i bisogni emozionali soggettivi.
L’attività del gioco soddisfa in sé stessa le necessità emotive del soggetto, infatti, una persona
decide di giocare per avere l’opportunità di entrare in “azione”. Entrare in “azione” significa rischiare e
tale rischio può essere suscettibile di conseguenze problematiche, inizialmente intraprese come fine a se
stesse, poi percepite al di fuori della normale routine, dove si può trionfare o soccombere. Il gioco
d’azzardo rientra in quelle attività che generano “espressioni” e che richiedono che il soggetto si
esponga e ponga se stesso in posizione rischiosa per un breve attimo.
Il gioco d’azzardo, come tutte le attività rischiose, è un’opportunità per dimostrare la propria
personalità al mondo esterno, ed è questo l’obiettivo, non tanto il piacere intrinseco, che sostiene il
coinvolgimento in attività rischiose.
22
Kusyzsyn, 1984.
8
3. PSICOLOGIA DEL GIOCO D’AZZARDO
Indagare l’universo sociale del gioco e nello specifico del gioco d’azzardo significa entrare in
contatto con una dimensione umana e sociale che non è estranea a nessuno, anche solo in termini di
rappresentazioni, fantasie e di evocazioni letterarie. Ma significa anche esaminare il fenomeno sia come
argomento di studio scientifico e sistematico, sia come problema sociale organizzato che lo fa divenire
oggetto di intervento terapeutico e assistenziale.
L’osservazione del gioco d’azzardo ha cominciato ad apparire sulle riviste scientifiche all’inizio
di questo secolo, tuttavia, fino agli anni Cinquanta, era ancora difficile distinguere i vari approcci teorici
al fenomeno, in quanto, molto spesso, s’intrecciavano i problemi della psichiatria con quelli della
psicoanalisi rendendo poco chiara la lettura dello stesso. Per comprendere il fenomeno gambling nella
sua globalità e per definire e differenziare le sue opposte polarità rappresentate dal social gambler e dal
pathological gambler23, quest’ultimo ampiamente indagato a discapito del primo, può risultare utile e
necessario esaminare i criteri psicodinamici e comportamentali riportati nei diversi contributi teorici.
In ambito più propriamente psichiatrico Bolen e Boyd (1968) hanno considerato il gioco
d’azzardo come una difesa sia nei confronti di vari affetti spiacevoli, ad esempio la depressione, sia da
un esordio psicotico o da una sua ricaduta. Per cui è più giusto considerarlo, non un disturbo nevrotico
specifico, piuttosto un sintomo complesso e una manovra difensiva presente in un’ampia varietà di
disturbi psichiatrici.
Rispetto alla loro posizione oggi la situazione si è modificata, infatti, il gioco d’azzardo
patologico viene considerato come una forma di disturbo mentale a sé stante, tanto che gli psichiatri
dell’AMA (American Psychiatric Association) hanno introdotto il concetto di dipendenza del gioco
d’azzardo (gambling) inquadrandolo come nuova categoria diagnostica nel DSM, il Manuale Diagnostico per
i disturbi Mentali più diffuso e famoso nel mondo. è nella sua terza edizione (1980) che compare per la
prima volta come “gioco patologico” e si mantiene anche nella IV edizione. Viene inquadrato come
“disturbo del controllo degli impulsi non classificato altrove”, la cui caratteristica fondamentale è quella
dell’impossibilità per il soggetto di resistere alla tentazione di giocare d’azzardo pur nuocendo a sé e agli
altri. Tale disturbo è definito come “comportamento maladattivo ricorrente e persistente di gioco
d’azzardo” (criterio A). è caratterizzato da una cronica e progressiva incapacità di resistere all’impulso di
giocare che “compromette, disturba o danneggia la famiglia, il soggetto stesso e le sue attività
professionali”, (criterio B). Viene inoltre precisato che problemi di gioco d’azzardo possono
manifestarsi in soggetti con disturbo antisociale di personalità24.
Criteri diagnostici per il Gioco Patologico:
Persistente e ricorrente comportamento di gioco d’azzardo maladattivo, come indicato da
almeno cinque dei seguenti punti:
- è eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (ad es., è eccessivamente assorbito nel rivivere
esperienze passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel
pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare);
- ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione
desiderata;
- ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre, o interrompere il gioco
d’azzardo;
- è irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo;
- gioca d’azzardo per sfuggire problemi o alleviare un umore disforico (per es. sentimenti
d’onnipotenza, colpa, ansia, depressione);
- dopo aver perso al gioco spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le
proprie perdite);
- mente ai membri della famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del proprio
coinvolgimento nel gioco d’azzardo;
23
24
Dikerson, 1984.
American Psychiatric Association, 1995.
9
- ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per
finanziare il gioco d’azzardo;
- ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità
scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo;
- fa affidamento su altri per reperire denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata
causata dal gioco d’azzardo;
- Il comportamento di gioco d’azzardo non è meglio attribuibile ad un Episodio Maniacale.
La maggior parte degli autori che hanno indagato il versante patologico del gioco d’azzardo,
sono concordi nell’affermare che la caratteristica dominante di questi soggetti è quella di essere
sopraffatti da un’incontrollabile brama di giocare. Moran a tal proposito sottolinea che il giocatore
compulsivo, o come preferisce chiamarlo “patologico”, non gioca per il guadagno materiale ma per il
piacere che gli deriva dal giocare.
“[...] la cosa principale”, scrive Dostoevskij (1866), giocatore patologico lui stesso, “è il gioco
medesimo, giuro che non è la brama di vincere del denaro, sebbene ne abbia un bisogno grandissimo”.
“[...] provavo soltanto un piacere incredibile dovuto al successo, alla vittoria, al potere...” (1866).
Per il giocatore, sottolinea Dikerson (1984), il valore economico del denaro si perde, si gioca
con il denaro e non per il denaro. Quest’ultimo non è considerato in funzione del suo valore reale ma
come mezzo ed incentivo per continuare l’attività di gioco. Infatti non è un caso che nei casinò viene
eliminato il denaro contante in favore di gettoni in modo da rafforzare la tendenza a modificarne il
significato. Per quanto il denaro sia importante, quello che realmente conta per il giocatore patologico è
l’azione, uno stato di euforia e di eccitazione paragonabile a quello indotto dalla cocaina e dalle altre
droghe (Cancrini, 1996).
A tal proposito Rosenthal (1993) ipotizza di considerare gioco d’azzardo patologico e
tossicomania come due forme diverse di un unico disturbo e della stessa idea sembra essere Cancrini
(1996). Quest’ultimo ritiene che la “localizzazione del piacere”, collegato con il gioco in sé più che con
il denaro che deriva dalla vincita, sia una delle caratteristiche psicopatologiche che accomuna questa
forma di dipendenza alle altre tossicomanie. Un’altra analogia riguarda la comune struttura di
personalità che, preesistente nei soggetti dipendenti, si manifesta in varie forme finché non si verifica
l’incontro con il gioco.
Infine, Cancrini (1966), evidenzia un’ulteriore somiglianza nel carattere non compulsivo ma
egosintonico delle scelte legate al gioco. Il giocatore non considera il gioco come una costrizione e
come un comportamento che gli viene imposto da qualcosa che lo condiziona dentro, egli gioca perché
gli piace giocare e organizza i suoi pensieri in modo da giustificare le sue scelte.
Secondo Rosenthal (1992) e Cancrini (1996) il gioco d’azzardo patologico ricalca le
caratteristiche più evidenti delle strutture di personalità bordeline, che sono le oscillazioni violente del
tono dell’umore, la pienezza del coinvolgimento, le difficoltà di controllo e le altre manifestazioni di
labilità dell’Io, la debolezza della rimozione, la drammaticità e la precarietà delle relazioni interpersonali.
Inoltre, i meccanismi difensivi messi in atto dal giocatore patologico sono quelli basati sulla scissione, il
che evidenzia la difficoltà di questi soggetti ad integrare gli aspetti positivi e negativi nei vissuti relativi al
Sé e al mondo esterno. L’uso poco controllato dell’identificazione proiettiva si esprime nella tendenza a
legarsi con figure o oggetti percepiti come dotati di potere salvifico e a cui legarsi con forme di
dipendenza più o meno aggressiva. L’incapacità di godere i risultati delle vincite e la successiva tendenza
nel gioco a perdere sono la conseguenza dell’attività di un Super-Io arcaico e del conflitto obbligato e
senza speranza fra impulsi trasgressivi e tendenze autopunitive in cui queste persone possono finire per
coinvolgere tutta la loro vita.
Cancrini (1996) sottolineando, ancora una volta, l’analogia tra la dipendenza da gioco e quella da
sostanza, ritiene che la differenza tra il giocatore patologico e quello occasionale o abituale risieda, non
nel comportamento in sé, ma nelle motivazioni che lo sostengono e che ne determinano conseguenze
ed esiti. Condannato a ripetere, il giocatore d’azzardo patologico è condannato anche a perdere, non
solo perché la legge dei grandi numeri è comunque contro di lui, ma anche e soprattutto perché “le
dipendenze, quando sono totali, si nutrono di aggressività che torna sul Sé escludendo qualsiasi tipo di
10
compromesso e di equilibrio”25. Perdere corrisponde ad una frenesia di gioco sollecitata da motivazioni
legate ai sensi di colpa inconsci. La dipendenza risponde ad un bisogno profondo della persona che,
apparentemente, tenta o spera di liberarsene, ma che invece si muove costantemente alla ricerca di
situazioni che la rendono di nuovo necessaria, pesante, dolorosa fino all’inaccettabilità. è il piacere di
perdere e il terrore di abbandonarsi ad una follia auto-distruttiva il baratro che si apre di fronte al
giocatore che deve scegliere se continuare o no26. Tra gli autori che si sono preoccupati di indagare
come fattori ambientale e costituzionali s’intreccino insieme nella genesi e nel decorso della dipendenza
da gioco spicca Moran27. Questi considerò il gioco patologico una sindrome eterogenea il cui sviluppo è
determinato da una stretta relazione tra fattori costituzionali e pressioni sociali. Tra i fattori
costituzionali individua le personalità insicure, immature, inadeguate e psicopatiche che, a suo avviso,
sono facilmente indotte a strutturare una qualche forma di dipendenza. Inoltre, attribuisce un ruolo
fondamentale, nell’instaurarsi della dipendenza, all’ambiente, ad esempio alla disponibilità di denaro o
all’accettazione da parte dei gruppi sociali, e così via. Da tale intreccio e dalla prevalenza dei vari fattori
implicati l’autore fa derivare cinque varietà cliniche, che non si escludono reciprocamente:
1. Il “gioco subculturale” è quel tipo d’azzardo comprensibile in termini di setting sociale
dell’individuo, ovvero quello connesso alle origini familiari e sociali dell’individuo.
2. Il “gioco nevrotico”, detto anche “reattivo”, è quel tipo di gioco in cui si gioca come
reazione a situazioni stressanti o a problemi emozionali, per cui l’attività procura sollievo alla tensione
che si accumula.
3. Il “gioco impulsivo” si accompagna alla perdita del controllo intesa non come compulsione al
gioco ma come un’ambivalenza nei suoi confronti ed è quella varietà clinica che produce danni sociali
ed economici.
4. Il “gioco psicopatico” è quel tipo di gioco per cui il giocare d’azzardo è un aspetto del
disturbo psicopatico della personalità.
5. Il “gioco sintomatico” è quella particolare modalità di gioco che si ha nel contesto di una
malattia mentale, in particolare può essere associato ai disturbi affettivi, ad esempio alla depressione.
Al pari di Moran, anche Glatt (1979) sottolinea come un ruolo determinante nel formarsi della
dipendenza da gioco d’azzardo spetta all’ambiente. Secondo l’autore l’influenza ambientale può
assumere un peso relativamente maggiore rispetto al fattore personalità soprattutto in quei gruppi
sociali o professionali in cui il gioco d’azzardo è largamente accettato e soprattutto nelle zone in cui
esistono molte possibilità di dedicarvisi.
La distinzione tra gioco patologico e gioco sociale risulta tuttaltro che semplice e univocamente
accettata dai diversi autori28. L’estesa indagine sul gioco come forma di dipendenza e quindi come
patologia, non ha però precluso, seppure in misura minore, l’analisi del giocatore normale, o social
gambler, ovvero di colui che gioca occasionalmente, in base anche all’entità del denaro.
Greenberg 29 ha proposto alcune caratteristiche in grado di identificare tale giocatore, tra cui
emergono il desiderio di rilassarsi, l’incentivo del guadagno senza fatica, il piacere che deriva dalla
stimolazione di varie funzioni dell’ego e, non ultimo, l’attrazione per il rischio. Custer30 sostiene inoltre
che il giocatore sociale, a differenza del patologico, può smettere in qualunque momento di giocare,
sembra infatti che nessuno dei valori personali sia legato alla vincita o alla perdita e sono altri, rispetto al
potere del gioco, gli aspetti della vita sentiti come più importanti e gratificanti.
Il social gambler, come lo definisce Dikerson (1984), è quel tipo di giocatore più motivato al gioco
da un desiderio di passatempo e di divertimento che da soddisfazioni conflittuali e libidiche come il
pathological gambler. Sia consciamente che inconsciamente, desidera vincere e di conseguenza fa più
affidamento alla realtà che all’onnipotenza. è così possibile per lui limitare le perdite abbandonando il
Cancrini, 1996.
Cancrini, 1996.
27 Cit. in Gherardi, 1991.
28 Croce, 1998.
29 Cit. in Gherardi, 1991.
30 Ibidem.
25
26
11
gioco e fermarsi quando sta vincendo. Tale capacità differenzia, anche per Custer31, il social gambler dal
pathological gambler. Quest’ultimo, invece, è motivato al gioco soprattutto da una soddisfazione indiretta
di componenti libidiche e aggressive inconsciamente proibite che lo spingono compulsivamente al
gioco. è caratterizzato da maggiori sentimenti di colpa per le vincite con un’incapacità di fermarsi
quando vince, e un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di smettere di giocare anche
quando sta perdendo32.
Secondo Dikerson (1984), in realtà, l’osservazione diretta sul mondo del gioco d’azzardo
suggerisce che un gran numero di giocatori si colloca in una posizione intermedia fra questi due gruppi:
la gente gioca a tutti i livelli di frequenza e di rischio. Propone dunque di considerare i giocatori come
un unico gruppo eterogeneo che si differenzia per il grado d'auto-controllo esibito durante il gioco.
Scorrendo ancora la letteratura sul tema del gioco d’azzardo lo ritroviamo descritto anche come
comportamento di risk-taking. Tale pattern può condurre la persona vulnerabile a sviluppare un
comportamento di gioco patologico in cui le emozioni del vincere e del perdere si combinano
rinforzandolo, mantenendolo e creando una dipendenza psicofisiologica simile a quella indotta da
sostanze stupefacenti.
Su questa analogia concordano anche gli psichiatri dell’ AMA (American Psychiatric Association), i
quali si sono resi conto che i criteri da usare per porre questa nuova diagnosi sono gli stessi che
venivano già utilizzati per definire la dipendenza da alcool e da sostanze stupefacenti, il termine da loro
consigliato è difatti quello di addiction (schiavitù), utilizzato tradizionalmente per definire i tossicomani.
Secondo Custer33 il comportamento di risk-taking presenta un pattern tipico nel giocatore
d’azzardo, che é il “giocare alla rincorsa”. Proprio quest'elemento, secondo Lesieur34, delimita il confine
tra il giocatore sociale e quello patologico. Questo pattern corrisponde ad un’estensione della “fallacia
del giocatore” secondo la quale il giocatore compulsivo iene che l’“inseguimento”, cioè lo scommettere
sempre con maggiore frequenza, rischiando somme sempre più alte in seguito ad una sequenza di
scommesse perse, è quel logico comportamento da adottare quando perde e a volte l’unica via d’uscita
da una situazione disperata. Quest’idea è rafforzata dall’osservazione di alcuni giocatori che escono
regolarmente da una crisi pensando “ce la farò, magari domani”, anche quando questo significa puntare
soldi prestati o rubati. Secondo Custer35 il comportamento di risk-taking presenta un pattern di
sviluppo uniforme suddiviso dall’autore in tre fasi: fase “vincente”, “perdente” e della “disperazione”.
Nella prima fase, detta “vincente”, che caratterizza tanto il giocatore sociale che quello
patologico, le vincite sono frequenti e tendono ad invogliare il giocatore a giocare sempre di più
scommettendo somme sempre più alte. In realtà, secondo Rosenthal (1993), a prescindere dalle vincite
effettive, il giocatore manifesta un pieno coinvolgimento in fantasie di vittoria e un bisogno di successi
spettacolari.
Nella storia del giocatore patologico, però, vi è una “grande vincita” che lo investe di un
ottimismo irrazionale per cui pensa sempre al gioco, perde interesse ai suoi occhi il contesto sociale e
inizia a giocare da solo. Come afferma Rosenthal (1993) possono verificarsi una serie di episodi
sfortunati oppure il giocatore si accorge che gli risulta intollerabile perdere. Ciò segna la fine della “fase
vincente” e l’inizio della fase “perdente”. Il giocatore patologico inizia a questo punto a mettere in atto
il tipico pattern comportamentale, di cui sopra detto l’inseguimento. Egli cerca di vincere in un colpo
solo tutto quello che ha perso e scommetterà sempre più frequentemente e con crescenti somme di
denaro in quanto mosso da un’urgenza pressante che non riesce a controllare. Paga solo i debiti
ineludibili perché usa il denaro per continuare a giocare, attività che tenta di mantenere segreta, ma che
quando viene scoperta segna l’avvio al deterioramento dei suoi rapporti interpersonali. Si arriva
velocemente ad un momento in cui il giocatore non può più ottenere denaro in prestito per giocare,
riceve minacce fisiche dai suoi creditori e rischia di perdere il lavoro e compromettere il matrimonio. A
Ibidem.
Bolen, Boyd, 1968.
33 Cit. in Dikerson, 1984.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
31
32
12
questo punto scatta, solitamente, un “operazione di salvataggio”36 da parte della famiglia. Ovvero il
giocatore, attraverso una confessione parziale, riesce ad ottenere da questa una somma di denaro in
prestito, una sorta di “cauzione” col tacito accordo di abbandonare il gioco o ridurlo drasticamente. Ma
tale “cauzione” è dannosa tanto quanto la grande vincita poiché tende a non responsabilizzare il
giocatore bensì a rinforzare il suo ottimismo irrazionale e farlo ben presto ricadere vorticosamente nel
gioco. Preda di una specie di delirio di onnipotenza, credendo di poterla comunque avere vinta,
continua a scommettere sempre più pesantemente e così facendo perde completamente il controllo di
sé e dalla situazione.
Questo passaggio segna la fine della “fase perdente” e l’inizio della “fase della disperazione”,
nella quale si fanno sempre più pressanti le richieste di denaro e si sviluppa uno stato di angoscia molto
forte. Tale stato d’angoscia, dovuto alla consapevolezza dei propri problemi economici e relazionali
legati all’attività di gioco, si presenta con alterazioni del sonno e dell’appetito. Inevitabilmente il mondo
gli crolla addosso ed è così che il giocatore diviene sempre più fisicamente e psicologicamente esaurito.
Ancora dominato dal desiderio imperioso di giocare, è costretto a scegliere una di queste quattro vie: il
suicidio, la carcerazione, la fuga o la richiesta di aiuto37.
In realtà, e la letteratura è concorde nell’affermarlo, il giocatore patologico non è in grado da
solo di uscire dalla forma di dipendenza in cui si trova e come per il tossicomane o per l’alcolista,
necessita di un valido supporto esterno che lo aiuti ad uscire dalla situazione, ormai disperata, in cui si
trova.
Da quanto finora detto risulta chiaro come il gioco d’azzardo possa assumere, con una
frequenza inaspettata, un carattere compulsivo e distruttivo secondo modelli e processi di dipendenza
che per molti aspetti sono simili a quelli più noti dell’alcolismo e delle droghe “pesanti”.
Il gambling, indagato quindi come problema sociale organizzato, si configura come possibile
oggetto d’intervento terapeutico e di sostegno. La psicoanalisi e la psicoterapia ad orientamento
psicoanalitico erano considerate i trattamenti di scelta per il gioco patologico, sebbene l’opinione
prognostica variasse.
Bergler (1957), seguendo questo tipo di trattamento, registrava un successo nel 75% dei casi,
motivato dalla natura molto regressiva di tale disturbo. Bolen e Boyd (1968) hanno ottenuto buoni
risultati associando alla psicoterapia individuale quella di coppia o di gruppo, costituendo quest’ultimo o
con soli giocatori oppure facendo partecipare anche le loro mogli. Custer e altri autori 38 considerano
come modalità di trattamento più efficace, per la risoluzione della dipendenza da gioco, la
partecipazione regolare a gruppi terapeutici, tra cui primeggia la Gamblers Anonymous (GA). Tale
partecipazione, secondo gli autori, influenza positivamente i meccanismi di difesa del paziente e in
particolare il diniego, la proiezione e la razionalizzazione.
Si tratta di un’organizzazione internazionale di auto-aiuto sorta a Los Angeles nel 1975 e -forse
per scaramanzia!- il primo incontro ebbe luogo un venerdì 13, le sue sedi si ritrovano in tutto il mondo
(esclusa l’Italia). La filosofia e la metodologia di questa organizzazione è traslata dagli Alcolisti Anonimi e
adattata ai giocatori d’azzardo patologici39. I membri della GA sono essi stessi giocatori compulsivi, tutti
coinvolti in prima persona nella richiesta e nell’offerta di cure e di sostegno reciproco. Il valore
terapeutico del gruppo di un auto-aiuto di questo tipo è connesso alla possibilità di svolgere il ruolo di
helper, cioè di prestatore di cure.
L’ipotesi alla base è che colui che offre delle cure allo stesso tempo ne usufruisce40: il giocatore
patologico che si occupa di una persona che vive il suo stesso disagio benefica del fatto di svolgere
questo ruolo attivo e oblativo. Ognuno ha il compito di aiutare se stesso e chiunque altro a non giocare
più, l’obiettivo da raggiungere è dunque l’astinenza dal gioco, che consiste nell’evitare ogni forma di
scommessa, compresi il lotto, il totocalcio e le lotterie.
Cancrini, 1996.
Gherardi, 1991.
38 Cit. in Gherardi, 1991.
39 Croce, 1998.
40 Francescato, Ghirelli, 1997.
36
37
13
L’enfasi è posta sull’empowerment, in quanto svolgendo il ruolo di helper si contribuisce ad
accrescere il senso di controllo sulla propria vita, che è molto scarso nel giocatore patologico e anche
incrementare il senso di autostima e di competenza.
Per diventare membro della GA la condizione prima è quella di essere giocatore compulsivo che
richiede personalmente aiuto. In realtà, questa peculiarità dell’intervento stesso è resa difficoltosa dal
fatto che di solito il giocatore non si riconosce “giocatore patologico”, nega dunque un bisogno di
assistenza e rispetto ai suoi problemi è come se si aspettasse una risoluzione magica, che sia quindi
indipendente da lla propria volontà.
“Qual’ è la prima cosa che un giocatore dovrebbe fare per smettere di giocare? Deve accettare il
fatto di essere nella morsa di una malattia progressiva e ha il desiderio di uscirne. La prima piccola
scommessa di un giocatore problematico è come la prima piccola bevuta di un alcolista. Presto o tardi
ricade nel solito vecchio cammino distruttivo”.
Quindi, promotori del trattamento, come avviene per l’alcolizzato, saranno principalmente la
famiglia esasperata o le autorità legali quando già la situazione è prossima alla rovina. Per la GA il
giocatore compulsivo è un individuo molto malato a cui viene data la possibilità di rimettersi seguendo
un programma semplice in cui i fattori spirituali e di gruppo, come il partecipare alle esperienze altrui e
lasciare che gli altri condividano le proprie, sono considerati un indispensabile sostegno nella “cura” di
questa forma di dipendenza.
Sperimentare lo stesso problema favorisce la percezione della connessione emotiva, il senso del
proprio potere personale e contribuisce a rinforzare i legami41. Fornirsi sostegno reciproco e creare un
senso di comunità molto forte tra i membri dei GA sono i fattori centrali del successo di questi gruppi.
Per concludere bisogna anche citare il parere di alcuni studiosi, tra cui Brown42, i quali
sostengono l’opportunità di allargare e potenziare il ruolo delle GA, ma al tempo stesso di sviluppare
altre forme specifiche di trattamento , residenziali e di comunità, con o senza elementi di auto-aiuto, per
migliorare la cura di queste persone.
In linea generale, tuttavia, si possono individuare due posizioni principali per ciò che riguardano
i trattamenti adottati nei confronti dei giocatori d’azzardo patologici. Da un lato vi è la posizione di
molti studiosi che individuano una categoria ben precisa di persone “affette” da gioco d’azzardo
patologico che pertanto necessitano di trattamento specifico e specialistico. Dalla parte opposta invece
si trova il parere di altri studiosi che, non considerando il gioco d’azzardo patologico come una
sindrome specifica, propongono trattamenti non specifici in quanto non esiste un trattamento valido
per tutti. Si prospettano trattamenti multimodali e multifasici che possano prevedere e comprendere
aspetti diversi del problema (individuale, familiare, economico, ecc..) e fasi diverse di trattamento a
seconda delle evoluzioni cliniche del soggetto43.
4. IL GIOCATORE D’AZZARDO FRA PATOLOGIA E INTERVENTO
La La psicoanalisi ha cercato di focalizzare il nucleo della dipendenza da gioco, ricollegandola a
tematiche infantili di natura sessuali. Nel gioco si può intravedere un piacere pseudo erotico, si trovano
tratti masochistici e pulsioni orali: basti pensare a questo proposito che i giocatori d’azzardo, nella
maggior parte dei casi, fumano smodatamente proprio mentre giocano. Emblematico è il contributo di
Sigmund Freud (1928) che si era interessato all’analisi di Dostoevskij e aveva tracciato una relazione tra
il gioco d’azzardo compulsivo, i comportamenti masturbatori e il desiderio di uccidere il padre.
Dall’analisi di questo grande autore, Freud aveva trovato che il perno della sua nevrosi fosse stata
l’uccisione del padre. Lo scrittore non si liberò mai del peso di coscienza originaria dell’intenzione
parricida; il suo senso di colpa fu sostituito da un carico di debiti, il gioco era l’unico mezzo per auto
punirsi, il ridursi sul lastrico era un modo per umiliarsi. La febbre del gioco è un sostituto
dell’onanismo: quando i bambini manipolano i loro genitali si dice, appunto, che “giocano” con essi.
Martini, Sequi, 1988.
Cit. in Gherardi, 1991.
43 Croce, 1998.
41
42
14
Sempre su questo filone si distingue Von Hattingberg (1914) che evidenzia che timore e
tensione, prodotti dal gioco, sono in realtà di natura sessuale e rispecchiano tendenze masochistiche
originate nell’infanzia per il senso di colpa connesso alla gratificazione anale.
Un altro autore, Simmel (1920), aveva messo in correlazione il gioco con il piacere preliminare,
il vincere con l’orgasmo, il perdere con la defecazione e la castrazione. Anche secondo Greenson (1947)
l’attività ludica, con l’eccitazione dei partecipanti, il ritmo, la scarica della tensione e la quiete finale è
associabile all’attività sessuale. Del resto, chi gioca d’azzardo, è risaputo che sperimenta una tensione
piacevole ed al termine si sente esausto. L’autore vede l’attività del gioco come attività regressiva
derivante da pulsioni parziali infantili. Inoltre, rintraccia nel mondo del gioco d’azzardo, segnali fallici e
omosessuali, di pulsioni orali e sadico-anali: ad esempio, l’esclusione delle donne da quest’ambito,
l’estrema cura o trasandatezza nel vestire, il mangiare o fumare smodatamente sarebbero
comportamenti indicativi. Infine, Greenson propone anche una classificazione di tre tipi di giocatore
d’azzardo che rappresentano livelli diversi del continuum normalità- patologia:
- la persona normale che gioca per diversivo e che può smettere quando lo desidera;
- il giocatore d’azzardo di professione che vede il gioco come strumento per guadagnarsi da
vivere;
- il giocatore d’azzardo nevrotico che gioca perché spinto da bisogni inconsci e non può cessare
di giocare44.
Altri autori si discostano da queste dinamiche per accostarsi di più alla relazione madre-bambino
e individuano degli elementi materni nel gioco d’azzardo. E così, gli stessi soldi destinati al gioco sono
simboli della madre45, mentre per Greenberg (1980) la Fortuna è, simbolicamente, la madre cattiva che
il giocatore compulsivo incolpa attraverso la sua sofferenza e cerca di costruire per fornirgli un eterno e
beato nutrimento.
La prospettiva psicodinamica, nella ricerca dei potenziali fattori di questo comportamento, non
esclude nemmeno la forte influenza socioculturale. Valleur (2001) nota come la fine del Novecento
vede una crescita preoccupante di nuove forme di patologia, che sembrano essere le tossicomanie, le
dipendenze, i comportamenti a rischio che costituiscono, almeno nella maggior parte dei casi, problemi
legati ad una mancanza di controllo, alla ricerca del piacere immediato, al ricorso all’azione. “Oggi la
nostra società sembra mettere da parte il contegno per lasciare più spazio alla voglia di consumare, di
godere pienamente e di prendere dei rischi”46. Con questo assetto, la costruzione narcisistica fa venir
meno i valori e i parametri sicuri, e l’unica grande forza a cui nessuno può sfuggire, e che perciò resta
unico punto di riferimento, è la morte; solo confrontandosi con essa, solo rischiando in questo gioco
pericoloso, si può ricostruire l’identità ci si può sentire “qualcuno”. Ecco il motivo per cui torna il
concetto di condotta ordalica, già prima accennato. Solo mettendo in atto ripetutamente
comportamenti pericolosi si ha la certezza di saper affrontare e superare la paura del rischio, che è
considerato come elemento personale di sfida, di esibizione, un rito di passaggio verso l’adultità. Le
condotte a rischio, quindi, sarebbero più diffuse in quelle società che offrono ai propri membri un
ambiente anonimo, impersonale, in cui è più facile percepirsi come separati dagli altri anziché membri
della stessa comunità; più che una reale ricerca della morte con cui ci si sfida, c’è un tentativo di
riconquistarsi, di padroneggiare il proprio destino47.
Gli sforzi della psichiatria, si sono rivolti ad una chiara differenziazione dei giocatori sociali e
quelli patologici, ma i risultati non sono stati convalidati. Interessante, comunque, sembra il lavoro di
Moran (1970), sostenitore del fatto che il gioco patologico potesse essere causato da una “dipendenza di
tipo morboso” e che, probabilmente colpito dall’eterogeneità che si riscontra nella popolazione di
giocatori, ha condotto una ricerca volta alla distinzione di diverse varietà di gioco. Basandosi sui dati
ottenuti dalle interviste fatte a giocatori che si erano già rivolti a psichiatri, Moran ha individuato 5
Op. cit..
Matussek, 1953; Ashton, 1979.
46 Op. cit..
47 Croce, 2000.
44
45
15
particolari categorie del gioco patologico, scaturite dall’intreccio di fattori ambientali e temperamentali e
che non si escludono a vicenda:
Varietà Impulsiva: per cui il gioco patologico è spesso provocato dall’incapacità di controllo
di un soggetto.
Varietà Nevrotica: in quanto il gioco patologico è una reazione alle tensioni emotive.
Varietà Sub-culturale: per cui si riconosce nelle pressioni sociali una causa importante del
GAP.
Varietà Sintomatica: il GAP potrebbe essere un sintomo per una gamma molto ampia dei
disturbi, specie affettivi e dell’umore.
Varietà Psicopatica: il gioco d’azzardo potrebbe essere un sintomo di questo disturbo.
Alcuni studiosi hanno spiegato il fenomeno del gioco d’azzardo come un processo che si
sviluppa progressivamente, attraverso una serie di passaggi. Raramente, infatti, una persona diventa
giocatore compulsivo al primo incontro con il gioco; è più facile che il percorso sia più insidioso e più
lungo. Possono esservi anni di gioco d’azzardo socialmente accettato, seguiti da un esordio brusco che
può essere originato da una particolare situazione o un fattore stressante per il soggetto. In quest’ottica,
quindi, i tratti patologici della personalità o dell’ambiente sociale passano in secondo piano per lasciare
più spazio a concetti come quello di carriera, significato e azione collettiva, che segnano un passaggio da
livelli di attività ludica diffusi ad un maggiore coinvolgimento e compulsività.
Oldman48, che vede il gioco compulsivo come un problema esclusivamente della sociologia,
presenta una precisa sequenza di eventi che accadono al giocatore: 1) la possibilità di ricorrere al casinò;
2) la decisione di diventare un cliente abituale; 3) il rischio di una crisi finanziaria. Solo in quest’ultima
fase il giocatore comprende di avere un problema ed è necessario fare qualcosa. La differenza che
Oldman vede tra i giocatori abituali e quelli compulsivi è quasi inesistente, e la conclusione a cui il
sociologo giunge è che la spinta che porta il giocatore a riconoscere la propria condizione di crisi e lo
incita a cercare aiuto, non tanto proviene da un difetto della personalità, quanto da “un rapporto
difettoso tra la strategia del gioco da un lato e l’amministrazione delle finanze dall’altro” (op. cit.).
Diverse sono le conclusioni a cui perviene Lesieur (1979), secondo cui la causa va rintracciata
nella strategia dell’inseguimento. Cioè, “mentre i giocatori normali che hanno già perso i loro soldi, non
puntano più denaro il giorno successivo, i giocatori compulsivi considerano questo comportamento
come il modo più logico e corretto di scommettere”49. Ed ecco che, mentre i debiti aumentano, le
relazioni interpersonali si deteriorano, le normali attività sono compromesse dal gioco, subentra la
necessità di giustificarsi, di nascondere le azioni sempre più immorali, magari coprendole con pretesti e
razionalizzazioni; insomma, cambia anche il senso del denaro, dei valori e della propria dignità. Più che
un fine, il denaro sembra essere il mezzo tramite cui poter giocare; per raggiungere questo scopo, allora,
il giocatore si abbassa a compiere azioni sempre più immorali, che Lesieur racchiude nella “spirale delle
opzioni”: psicoanalisi ha cercato di focalizzare il nucleo della dipendenza da
AZIONI
1) Giocare
al Totocalcio,
scommettere, ricorrere ai
prestasoldi,
chiedere un anticipo sullo
stipendio,
compiere piccoli furti…
48
49
1978; cit. in Dickerson, 1984.
Op. cit.
GIUDIZIO
SULLA
MORALITÁ
GIUSTIFICAZIONI
Del
tutto “ognuno deve arrangiarsi”
morale
“lo fanno tutti”
16
2) Falsificare assegni
Parzialmente
partecipare ad un furto con immorale
scasso
3) Rapinare una banca
Immorale
Giustificazioni e pretesti
Solo pretesti “dovevo pagare
l’affitto”, “mi avrebbero
ucciso”
Anche Custer (1992) ha tracciato un percorso che vale la pena di considerare. Il punto di vista
che l’autore propone permette, infatti, di inquadrare il fenomeno secondo una schema processuale: ecco
perché si parla di carriera del giocatore d’azzardo, di cui si vogliono sottolineare le fasi principali: la
prima, la fase vincente, in cui l’incontro con la fortuna, con il guadagno facile ha un potere destabilizzante
sul soggetto anche se il gioco ha ancora una valenza innocua, sociale e ricreativa; la seconda, la fase
perdente, che comincia quando il giocatore, abbandonato dalla dea bendata attua il meccanismo di
inseguimento e tende a rifarsi di quanto perduto; questa è la fase che dà avvio alla patologia in cui si
iniziano anche a rovinare i rapporti interpersonali; a questo punto interviene la famiglia in una disperata
“operazione di salvataggio”50. Riconoscente all’aiuto dei suoi cari, il giocatore giura e si ripromette di
abbandonare il mondo dell’azzardo ma ormai è vittima di un incessante delirio di onnipotenza che lo
condurrà ad una fase della disperazione in cui il soggetto si troverà in una situazione di marginalità,
schiacciato dall’angoscia da cui può fuggire solo tramite quattro possibilità: con il suicidio, la
delinquenza e la carcerazione, la fuga o la richiesta d’aiuto. L’evoluzione di questa triste carriera può
variare solo con l’intervento di un supporto esterno. Il lento cammino verso l’uscita dal mondo
dell’azzardo ricomincia da una fase critica, da una sincera voglia d’aiuto, in cui il giocatore si chiarisce le
idee, comincia a prendere decisioni, cerca le soluzioni al problema e riprende a lavorare. Segue poi una,
più concreta, fase della ricostruzione, in cui si riallacciano e si ricompongono i pezzi delle relazioni
interpersonali prima interrotte, e si giunge finalmente alla fase della crescita, in cui il soggetto, ormai
guarito dalla febbre del gioco può tornare senza preoccupazioni a comprendere meglio sé stesso e gli
altri. Sembra, paradossalmente, che alla base vi sia una visione romantica del mondo; da un lato luoghi
sicuri, silenziosi, convenzionali, privi di senso ma anche di passioni come la casa, la famiglia, le attività
convenzionali; dall’altro un mondo di rischio, esperienze, avventure, che vale la pena di vivere ed
attribuisce un senso d’identità. I percorsi fin qui proposti, comunque, non sono obbligatori: non tutti
coloro che giocano diventano compulsivi, molti mantengono ritmi pesanti ma cercano comunque di
equilibrarsi, altri smettono e riprendono, altri ancora trovano sostitutivi o frenano i loro impulsi senza
ricorrere a terzi, altri, infine, che costituiscono la maggioranza, giocano sporadicamente.
L’apprendimento del gioco può anche essere concepito come un addestramento in chiave
comportamentista. Skinner51 non propone, a riguardo, nessuna descrizione esplicita; dichiara soltanto
che questo comportamento patologico è il risultato di un rapporto variabile (RV) tra una serie di
rinforzi (stimoli). Un certo numero di esperimenti condotti su animali in laboratorio ha provato che una
risposta regolare e pronta può essere mantenuta anche se la ricompensa è infrequente. Analoghe
sembrano le situazioni di gioco, in cui il rinforzo di una vincita relativamente infrequente è sufficiente a
sviluppare e mantenere il desiderio di giocare fino a raggiungere il livello patologico, in cui “il profitto è
in passivo e il giocatore perde tutto”.
I primi studi sperimentali volti ad esaminare il rapporto tra una serie variabile di rinforzi e
l’insistenza in fase di perdita sono stati completati da Lewis e Duncan52; questi studi, però, sono risultati
abbastanza inattendibili. Più incoraggiante sembra essere quello di Levitz (1971) che considera la
convinzione di essere i più abili un fattore che stimola l’insistenza al gioco almeno quanto lo è la vincita
di denaro. Se si riporta tutto alla realtà di gioco, allora la fortuna del principiante è meno importante
della convinzione di essere vincente sin dall’inizio del gioco. Questo studio illustra anche il fenomeno
cognitivo che Langer (1975) ha definito perdita di controllo: cioè, quanto più i soggetti sentono che il
gioco è governato dall’abilità, tanto più insistono a giocare in fase di perdita. Le ricerche su questo
Cancrini, 1996.
1953; cit. in Dickerson, 1984.
52 1956; cit. in Dickerson, 1984.
50
51
17
versante sono sfociate nella cosiddetta “analisi sperimentale del comportamento” riassumibile nella
sequenza: stimolo discriminatorio (Sd), risposta (R) e stimolo di rinforzo (Sr +). Questa analisi dipende
dalla definizione immediata della risposta presa in considerazione. Una volta definita la risposta, si
osservano le caratteristiche degli stimoli più forti fra quelli che precedono di poco la risposta (Sd) e di
quelli che si manifestano subito dopo (Sr +). Lo scopo dell’analisi sperimentale è quello di scoprire tutte
le variabili funzionali alla risposta; questo metodo si è mostrato metodologicamente affidabile e
flessibile per lo studio del comportamento umano negli ambienti di vita reale. Per cui, applicata al gioco
d’azzardo, la risposta può essere interpretata da comportamenti quali posare le fiches sul tavolo, agitare
e tirare i dadi, tirare la leva di una poker-machine e così via. Spesso, in questi ambienti, la natura
ripetitiva del gioco stesso comporta una sequenza regolare di stimoli che precedono il momento del
gioco vero e proprio: puntare, scommettere, tirare la pallina ecc. Inoltre, ipotizzato che la durata degli
eventi-stimolo è un rinforzo per i giocatori, si potrebbe considerare la scommessa più vicina allo
stimolo come quella più vigorosa, per cui le puntate dell’ultimo momento sono sempre più intense. In
effetti, le testimonianze suggeriscono che i giocatori regolari adottano questo modello di
comportamento, ed è in questo che si distinguono dai giocatori più sporadici. I dati confermano, anche,
che il momento più eccitante e carico di ebbrezza e tensione sia quello dello stimolo rinforzo. Inoltre, i
soldi e l’eccitazione derivante dagli stimoli relativi a quel tipo di gioco, sono stati designati come i fattori
principali che agiscono per mantenere la risposta “scommessa”.
Infine, all’interno della prospettiva comportamentista, è opportuno inserire anche il concetto di
apprendimento sociale di auto-efficacia, proposto da Bandura (1977) per cui i fattori cognitivi, come
credere che le proprie scelte siano migliori di quelle degli altri, svolgono un ruolo importante nelle
prime fasi del passaggio dal gioco a bassa frequenza fino a quello ad alta frequenza.
Un ulteriore aspetto che influisce in modo considerevole sul GAP sembra essere, da quanto
emerso da apposite ricerche, il fattore familiare. L’ipotesi è che possa esistere un’origine familiare del
GAP in quanto, date per pari le possibilità per giocare, alcuni individui sono più vulnerabili di altri e
questa tendenza sembra propagarsi all’interno delle famiglie53. Gli studi dimostrano che i soggetti
giocatori patologici hanno una probabilità fino ad otto volte maggiore di avere almeno un genitore con
un problema analogo. La probabilità di gioco patologico è fino a tre volte superiore alla norma se il
soggetto vede i propri genitori come tali, e la probabilità addirittura aumenta se questa percezione si
estende anche alle generazioni precedenti.
Correlazioni significative sono state riscontrate anche con gli studi sui gemelli. Il tasso di
concordanza, elevato soprattutto tra i gemelli monozigoti, fa capire che per ogni gemello che gioca
anche l’altro gemello adotta lo stesso comportamento. Le stesse proporzioni si riscontrano tra le
malattie, come schizofrenia e depressione maggiore, in cui si riconosce un elevato carico genetico.
Anche la ricerca delle basi o dei correlati cerebrali dei disturbi del comportamento, tra cui il
gioco d’azzardo, ha ricevuto un forte input, specie negli ultimi tempi. L’ipotesi della ricerca
neurobiologica sul GAP è che il piacere derivante da questa attività sia biologicamente sostenuto e
abbia conseguenze sul cervello54. Con tale ricerca è stata evidenziata la presenza di un sistema neuronale
complesso, coinvolto nella percezione ed elaborazione delle sensazioni di piacere e nei sistemi di
rinforzo considerati alla base della ripetizione dell’esperienza di determinati comportamenti compulsivi
a carattere gratificante. Tale sistema neuronale presiede ai meccanismi comuni di rinforzo che sono
ritenuti responsabili di uno dei comportamenti caratteristici dell’addiction, l’impulso incontrollabile di
assumere la sostanza a cui si è abituati, un fenomeno caratteristico anche del GAP. Tramite numerosi e
accurati studi si è pervenuti all’identificazione del sistema mesolimbico, dopaminergico come base
anatomica per i meccanismi di ricompensa e di rinforzo. Invece, per quanto riguarda il ruolo dei
neurotrasmettitore nel GAP è stata evidenziata l’importanza della noradrenalina, per l’attenzione e la
stimolazione connesse con la vulnerabilità cognitiva e fisiologica del gioco d’azzardo; la trasmissione
noredrenergica è profondamente coinvolta nella fisiopatologia dell’astinenza da uso di sostanze e gioca
un ruolo nelle prestazioni della persona. Anche la serotonina è risultata importante per l’iniziativa e la
53
54
Murry, 1993.
cfr. Capitanucci, Marino, 2002.
18
disinibizione comportamentale. La stimolazione dopaminergica, infine, è la via finale comune attraverso
la quale l’individuo percepisce la ricompensa psichica.
Non di minore entità ed importanza, sono gli studi effettuati sulla comorbidità psichiatrica del
GAP perché molti dei disturbi con i quali è più frequentemente associato sono problemi ai quali è
correlata una forte componente biologica come per esempio l’alcolismo, la depressione maggiore, il
disturbo d’ansia. In uno studio definito come Epidemiological Catchment Area55 è emerso che i gamblers
hanno una probabilità tre volte maggiore dei non giocatori di soddisfare i criteri diagnostici per i
disturbi già citati anche qui la popolazione dei giocatori è designata come popolazione a rischio per i
disturbi psichiatrici più importanti. L’essere in azione, che descrive uno stato di stimolazione dei
giocatori è accostabile all’ esperienza “high” che accompagna l’uso di stimolanti ma analogie tra i due
disturbi si identificano anche nella tolleranza, l’astinenza, i tentativi di smettere e il progressivo degrado
sociale. Anche con il consumo eccessivo di alcolici sembra esservi una certa correlazione: il carattere
orale che contraddistingue l’alcolismo, la tendenza ad incorporare l’alcol si manifesta anche nel GAP
con la voglia di accumulare denaro. La clinica e i test psicologici hanno suggerito una forte comorbidità
con i disturbi affettivi, specie con la depressione perché in fondo l’euforia, l’eccitazione e il
coinvolgimento emotivo che regala l’azzardo serve a scacciare e ad allontanare il vuoto esistenziale di un
soggetto affetto da una patologia affettiva grave.
Infine, uno studio pilota negli USA, condotto dallo psichiatra Hollander (1999), ha mostrato la
capacità di un farmaco antidepressivo di ultima generazione, il Fevarin, di modificare i comportamenti
dei giocatori d’azzardo che al termine della terapia dalla durata di circa otto settimane, avevano smesso
di giocare. Gli esperti spiegano che il meccanismo d’azione della fluvozamina, la sostanza principale del
farmaco, è associato alla sua capacità di agire sul sistema serotoninergico che presiede alla iniziazione e
all’inibizione dei comportamenti e che regola l’aggressività e la capacità di regolare gli impulsi.
Non tutte le persone che amano giocare sono potenziali giocatori patologici. Il passaggio da
giocatore sociale a giocatore patologico non è così netto come potrebbe sembrare: nell’ampio spettro di
giocatori, infa tti, devono essere riconosciuti i giocatori occasionali, abituali, problematici, patologici con
tutte le dovute differenze. Per esempio, il giocatore sociale è spinto e motivato da una sana passione per
il divertimento e il passatempo, come dice Dickerson (1984) e, poiché non mette in gioco tutto sé
stesso e si lascia coinvolgere emotivamente solo in parte, sia che si tratti di un giocatore occasionale sia
di un giocatore abituale, è anche in grado di controllarsi meglio senza avere difficoltà ad abbandonare il
gioco e gestire equilibratamente vincite e perdite. Si possono addirittura differenziare tre tipologie di
giocatori sociali56 in base alla loro percezione del gioco come dominato più dall’abilità o più dalla
fortuna:
Il giocatore che crede di poter vincere perché confida esclusivamente sulla propria abilità
nell’indovinare un pronostico. È questo il tipico caso dello scommettitore dei cavalli;
Il giocatore che tende di più verso la componente aleatoria e si affida totalmente alla dea
bendata. Ne ritroviamo gli esempi tra i giocatori del lotto e delle lotterie;
Il giocatore che cerca un equilibrio tra abilità e fortuna. Questo atteggiamento è proprio del
giocatore di Totocalcio.
Se il giocatore sociale, nella maggioranza dei casi, non imbocca la strada della dipendenza
patologica, diversa è la situazione del giocatore problematico. Questo tipo di giocatore è identificabile in
quei soggetti che hanno bisogno e vanno alla ricerca di quel piacere che il gioco gli assicura, i suoi limiti
sono meno netti e rischia di perdere il controllo e di non riuscire più a fermarsi fino a quando non si è
perso tutto. Scatta, insomma, quel meccanismo che Mc- Gurrin57 ha definito dell’inseguimento che porta il
giocatore a rincorrere le perdite, compromettendo la propria vita lavorativa, affettiva e sociale.
Va precisato, comunque, che non è semplice riuscire a definire nettamente i confini del gioco
problematico che collocandosi tra la tendenza ad esaltare il gioco sociale e la tendenza, opposta, a
demonizzare le forme di gioco patologico, viene scarsamente considerato. È opportuno, allora, mettere
da parte una visione monodimensionale del fenomeno, che porterebbe ad una mera descrizione di
cfr. Capitanucci, Marino, 2002.
Lavanco, Varveri, 2001.
57 1992; cit. in Lavanco, 2001.
55
56
19
singole caratteristiche del giocatore problematico, per abbracciare un’ottica più eterogenea che consente
di capire che l’aspetto problematico di alcuni comportamenti del gioco può essere letto nella modalità di
essere del giocatore stesso. Il gioco problematico si distingue dal gioco sociale solo nelle sue forme
esagerate e di crisi ma vengono, però, ignorate le sue manifestazioni. Inoltre, come ha affermato
Moran58 il gioco problematico diventa una sindrome eterogenea, determinata da una fitta relazione tra
fattori costituzionali ed ambientali qualora si considerino le variabili già presenti nel gioco patologico,
mediandone, però l’intensità. Questa prospettiva spinge, perciò, a guardare con attenzione i potenziali
fattori di rischio sia di natura psicologica, che sociale, che culturale; di conseguenza, la figura del
giocatore problematico potrebbe essere principale oggetto degli interventi di informazione e
prevenzione.
Come si può notare, uscire dalla spirale del gioco non è semplice, scatena una sorta di crisi
d’astinenza, e così, credendo più facile cedere all’ennesima puntata, si rischia di diventare giocatore
patologico. Questo non deve essere identificato con gli stereotipi che ci vengono offerti dalla letteratura
e dalla cinematografia che risultano fuorvianti. Dal momento che qualsiasi gioco d’azzardo, anche la
tradizionale tombola, può portare ad una patologia, si deve considerare un campione di giocatori
piuttosto ampio, di ambo i sessi, di qualsiasi età, cultura e ceto sociale.
Sicuramente, come si è visto, benché svariate sono le cause che spingono una persona a giocare
d’azzardo, tutti sono alla ricerca del rischio, della sfida; tutti vogliono mettere in gioco sé stessi. Per
Dickerson (1984) il pathological gambler “è quel tipo di giocatore motivato al gioco da soddisfazioni
conflittuali libidiche”. Tendenzialmente i giocatori compulsivi sono competitivi, irritabili, suscettibili di
noia e con un forte bisogno di eccitazione. Da alcune ricerche emerge che sono i più adatti a prendere
decisioni veloci, a trasformare impulsi in azioni e correre rischi non necessari. Spesso tendono ad
infrangere le regole, risentirsi delle autorità; una diagnosi comune è di personalità narcisistica anche se
spesso, dietro una corazza solida e sicura, si cela un’autostima alquanto bassa. Secondo gli autori Bolen
e Boyd (1968) “il pathological gambler è caratterizzato da maggiore senso di colpa per le vincite,
dall’incapacità di fermarsi in caso di vittoria e da un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di
smettere di giocare anche quando sta perdendo”.
Il mondo del gioco d’azzardo è un mondo in cui si dimenticano, specie all’inizio, tutti i
problemi, è qualcosa che offre la possibilità di scindersi, di fuggire dalla realtà. Pertanto, anche i
comportamenti che il giocatore mette in atto una volta entrato nella vorticosa spirale del gioco, sono
molto caratteristici. Infatti, spesso e volentieri gioca in segreto, toglie tempo a lavoro e famiglia a favore
del gioco d’azzardo, continuamente promette di smettere di giocare ma invano, gioca fino a quando ha
ultimato i soldi, per giocare usa anche il denaro occorrente per le spese di casa, tenta di rifarsi delle
perdite subite giocando ancora e arriva a mentire, rubare, vendere oggetti personali e chiedere soldi in
prestito pur di continuare a giocare.
Come già detto in precedenza, il DSM IV classifica il pathological gambling tra i “Disturbi del
controllo degli impulsi non classificati altrove”. In modo più preciso, nel DSM IV sono specificati due
criteri particolari: uno di inclusione, per cui la diagnosi di GAP è confermabile se sono presenti nel
soggetto i dieci sottocriteri indicati nel manuale; l’altro criterio è di esclusione che porta cioè
all’esclusione della diagnosi di GAP se si è in presenza di episodi maniacali. Tra i diversi paradigmi
teorici si evidenziano, inoltre, diverse ipotesi. Una di queste, per esempio, connette il GAP allo Spettro
Affettivo. In questo senso il gioco patologico va a sostituire una depressione sottesa, negata che
compare solo nel momento in cui il giocatore smette di giocare. Altra ipotesi, anche se talvolta criticata
per il debole supporto clinico, si riferisce ad una stretta correlazione con il Disturbo ossessivocompulsivo e con gli altri disturbi d’ansia, come l’Agorafobia e il disturbo d’attacco di panico. La
correlazione con il disturbo ossessivo- compulsivo ha, inoltre, portato alcuni ricercatori a parlare di un
modello di Spettro, all’interno del quale, cioè, si rintracciano caratteristiche comuni a diversi disturbi.
Altre ipotesi teoriche hanno enfatizzato l’importanza dei fattori predisponesti nella genesi del disturbo
di GAP, ricondotti a un precoce esordio del Deficit del Controllo degli impulsi connesso ai Disturbi
dell’Attenzione e dell’Iperattività nell’infanzia.
58
Cit. in Capitanucci, Marino, 2002.
20
L’ultima ipotesi, ma non per importanza, considera lo stretto legame tra lo scarso controllo degli
impulsi nel Gap e i disturbi da uso di sostanze. Insomma, anche se non si tratta di una sostanza bensì di
un comportamento, alla stessa stregua del tossicodipendente si può parlare di addiction. È stato già
accennato, infatti, che molto forte sembra essere la correlazione tra GAP e dipendenza da sostanze, in
quanto la progressione costante nelle manifestazioni di gioco fino all’incapacità di fermarsi o i sintomi
dell’astinenza sono tra le caratteristiche cliniche più consuete nei giocatori patologici, caratteristiche che
li assimilano agli utilizzatori di sostanze. A questo proposito è interessante evidenziare anche le ricerche
condotte da Capitanucci e Biganzoli nel 2000 presso i Ser.T59. di diverse città italiane. Dai dati emerge
che i tossicodipendenti patologici al gioco sembravano usare in media più sostanze
contemporaneamente rispetto ai tossicodipendenti non patologici. Altri elementi interessanti riguardano
le cifre spese al gioco in un giorno (circa 500 euro o più) e la frequente pratica del gioco d’azzardo nei
periodi di astensione dall’uso dell’eroina, quasi a sostituzione di essa. È pure vero, comunque, che
l’abuso di sostanze in contemporanea con il gioco è spiegato dal fatto che gli effetti delle sostanze
stupefacenti sono sicuramente un aiuto per il giocatore che deve superare il forte stress delle perdite al
gioco, per questo motivo si parla di cross addiction.
Le differenze tra i due tipi di dipendenza, comunque, non mancano e, con una meticolosa
attenzione ed una capillare analisi dei comportamenti, può delinearsi certamente una diagnosi
differenziale. Infatti, mentre le tossicodipendenze da eroina sono un esempio lampante di tutte quelle
dipendenze in cui la persona cerca un ottundimento e un ripiegamento su sé stessa, il gioco d’azzardo
sembra invece tutto teso all’ottenimento di un nuovo senso di sé più esaltato, vittorioso, potente.
Un accenno, infine, va fatto a quelle ricerche che non sottovalutano la correlazione tra GAP e
Disturbo Ossessivo compulsivo: mentre il primo mostra di essere egosintonicamente organizzato,
l’altro ha caratteri più egodistonici. Non mancano nemmeno dati inerenti all’elevata frequenza, tra i
giocatori d’azzardo, di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio. A questo proposito infatti, Hollander
(1999) ha rilevato i tassi più alti di suicidio a Las Vegas, mecca del gioco d’azzardo, ma non passano
inosservati nemmeno i tassi rilevati in altre comunità per il gioco, come Atlantic City.
A seconda dell’orientamento di base, i trattamenti sono volti a precisi scopi. La letteratura
riguardante i trattamenti psicoanalitici riporta, tra i lavori più completi, lo studio condotto da Bergler60
su sessanta giocatori. Purtroppo, però, l’abisso che si crea tra terapeuta e giocatore fin dall’inizio è uno
dei motivi principali del drop out. Nel caso in cui, invece, il giocatore persevera nella terapia, tramite
l’analisi può riflettere su di sé, sul suo stato d’animo negativo e sull’effetto che questo ha nel gioco.
La prospettiva psichiatrica, invece, sottolinea due importanti filoni sia in America che in
Inghilterra. Negli Stati Uniti, paese in cui l’attenzione alla spinosa questione del gioco d’azzardo fu
incentivata da Bolen e Boyd (1968), la letteratura dei casi riferisce dei trattamenti psichiatrici basati su
una combinazione di psicoterapia d’appoggio e un cocktail farmacologico che portarono il paziente ad
astenersi dal gioco già dopo i primi sei mesi di trattamento. In Inghilterra spicca la figura di Moran che
assume un atteggiamento simile a quello degli psichiatri americani considerando il gioco come un
problema sintomatico di qualche altro problema, in genere di uno stato depressivo. Nel corso degli
anni, comunque, il trattamento psichiatrico per i giocatori patologici si è evoluto notevolmente. Gli
psichiatri, oggi, tendono a ritenere il giocatore innanzitutto una persona per la quale un esteso metodo
di valutazione porterà a una solida base per organizzare l’aiuto e la cura. Non c’è più la tendenza ad
isolare e confinare nella sua disperazione il giocatore, perché malato, ma si punta ad un reinserimento
del paziente nel contesto delle sue relazioni sociali e interpersonali.
Per quanto riguarda, invece, i casi di trattamento di tipo comportamentista, i contributi a
riguardo risalgono agli studi di Barker e Miller (1966) che applicarono a cinque soggetti, considerati
giocatori patologici, il “metodo dell’avversione”. Si è trattato cioè, di associare un processo di punizione
al condizionamento classico, cioè punire i giocatori mentre guardavano stimoli associati al gioco. Il
trattamento consistette in quattro simili maratone di quattro ore con una macchinetta installata nei
locali dell’ospedale (si consideri che due dei giocatori presi in trattamento erano giocatori di poker
machine). Le scosse elettriche erano inviate a caso durante le sessioni al ritmo di quasi una scossa al
59
60
Servizio pubblico per le tossicodipendenze.
1957; cit. in Dickerson, 1984.
21
minuto. Un anno dopo si vedevano già i primi risultati. Ma i critici61 tengono a puntualizzare che si
tratta di “una terapia che dovrebbe essere offerta solo se gli altri trattamenti sono impraticabili e se il
paziente dà il suo permesso dopo aver considerato tutte le informazioni che il suo terapeuta gli può
onestamente fornire”.
Modelli di trattamento, sicuramente meno ancorati ad una prospettiva teorica ma probabilmente
molto più efficaci, si possono evidenziare sia nel nostro Paese che all’estero. In Danimarca, per
esempio, negli ultimi dodici anni si è assistito ad un incremento strabiliante del gioco d’azzardo dovuto
ad una massiccia legalizzazione di ogni forma di gioco, e il rischio di perdere totalmente il controllo
sulla questione ha indotto lo Stato a prendere provvedimenti. Questa frenetica corsa al gioco è
chiaramente correlata ad un’alta quantità di richieste di aiuto che sono pervenute al centro Ringgården,
specializzato per il trattamento della “ludomania”. Il centro si propone l’obiettivo di aiutare le persone a
disimparare e il trattamento è quello della terapia cognitiva. Vengono, perciò, organizzati corsi di
trattamento, follow up, corsi per familiari, il cui scopo mira ad armonizzare i rapporti tra il paziente e la
famiglia attraverso la presa di coscienza del problema. Il progetto prevede anche gruppi di auto aiuto,
una linea telefonica d’aiuto anonima e, parallelamente, viene anche condotta una ricerca della
diffusione del fenomeno per avere un quadro più chiaro e completo della situazione di disagio che il
gambling provoca.
5. UNA NOTA CONCLUSIVA
Anche Custer (1992) ha tracciato un percorso che vale la pena di considerare. Il punto di vista
che l’autore propone permette, infatti, di inquadrare il fenomeno secondo una schema processuale: ecco
perché si parla di carriera del giocatore d’azzardo, di cui si vogliono sottolineare le fasi principali: la
prima, la fase vincente, in cui l’incontro con la fortuna, con il guadagno facile ha un potere destabilizzante
sul soggetto anche se il gioco ha ancora una valenza innocua, sociale e ricreativa; la seconda, la fase
perdente, che comincia quando il giocatore, abbandonato dalla dea bendata attua il meccanismo di
inseguimento e tende a rifarsi di quanto perduto; questa è la fase che dà avvio alla patologia in cui si
iniziano anche a rovinare i rapporti interpersonali; a questo punto interviene la famiglia in una disperata
“operazione di salvataggio”62. Riconoscente all’aiuto dei suoi cari, il giocatore giura e si ripromette di
abbandonare il mondo dell’azzardo ma ormai è vittima di un incessante delirio di onnipotenza che lo
condurrà ad una fase della disperazione in cui il soggetto si troverà in una situazione di marginalità,
schiacciato dall’angoscia da cui può fuggire solo tramite quattro possibilità: con il suicidio, la
delinquenza e la carcerazione, la fuga o la richiesta d’aiuto. L’evoluzione di questa triste carriera può
variare solo con l’intervento di un supporto esterno. Il lento cammino verso l’uscita dal mondo
dell’azzardo ricomincia da una fase critica, da una sincera voglia d’aiuto, in cui il giocatore si chiarisce le
idee, comincia a prendere decisioni, cerca le soluzioni al problema e riprende a lavorare. Segue poi una,
più concreta, fase della ricostruzione, in cui si riallacciano e si ricompongono i pezzi delle relazioni
interpersonali prima interrotte, e si giunge finalmente alla fase della crescita, in cui il soggetto, ormai
guarito dalla febbre del gioco può tornare senza preoccupazioni a comprendere meglio sé stesso e gli
altri. Sembra, paradossalmente, che alla base vi sia una visione romantica del mondo; da un lato luoghi
sicuri, silenziosi, convenzionali, privi di senso ma anche di passioni come la casa, la famiglia, le attività
convenzionali; dall’altro un mondo di rischio, esperienze, avventure, che vale la pena di vivere ed
attribuisce un senso d’identità. I percorsi fin qui proposti, comunque, non sono obbligatori: non tutti
coloro che giocano diventano compulsivi, molti mantengono ritmi pesanti ma cercano comunque di
equilibrarsi, altri smettono e riprendono, altri ancora trovano sostitutivi o frenano i loro impulsi senza
ricorrere a terzi, altri, infine, che costituiscono la maggioranza, giocano sporadicamente.
L’apprendimento del gioco può anche essere concepito come un addestramento in chiave
comportamentista. Skinner63 non propone, a riguardo, nessuna descrizione esplicita; dichiara soltanto
che questo comportamento patologico è il risultato di un rapporto variabile (RV) tra una serie di
Rachman, Teasdale 1969; 1974.
Cancrini, 1996.
63 1953; cit. in Dickerson, 1984.
61
62
22
rinforzi (stimoli). Un certo numero di esperimenti condotti su animali in laboratorio ha provato che una
risposta regolare e pronta può essere mantenuta anche se la ricompensa è infrequente. Analoghe
sembrano le situazioni di gioco, in cui il rinforzo di una vincita relativamente infrequente è sufficiente a
sviluppare e mantenere il desiderio di giocare fino a raggiungere il livello patologico, in cui “il profitto è
in passivo e il giocatore perde tutto”.
I primi studi sperimentali volti ad esaminare il rapporto tra una serie variabile di rinforzi e
l’insistenza in fase di perdita sono stati completati da Lewis e Duncan64; questi studi, però, sono risultati
abbastanza inattendibili. Più incoraggiante sembra essere quello di Levitz (1971) che considera la
convinzione di essere i più abili un fattore che stimola l’insistenza al gioco almeno quanto lo è la vincita
di denaro. Se si riporta tutto alla realtà di gioco, allora la fortuna del principiante è meno importante
della convinzione di essere vincente sin dall’inizio del gioco. Questo studio illustra anche il fenomeno
cognitivo che Langer (1975) ha definito perdita di controllo: cioè, quanto più i soggetti sentono che il
gioco è governato dall’abilità, tanto più insistono a giocare in fase di perdita. Le ricerche su questo
versante sono sfociate nella cosiddetta “analisi sperimentale del comportamento” riassumibile nella
sequenza: stimolo discriminatorio (Sd), risposta (R) e stimolo di rinforzo (Sr +). Questa analisi dipende
dalla definizione immediata della risposta presa in considerazione. Una volta definita la risposta, si
osservano le caratteristiche degli stimoli più forti fra quelli che precedono di poco la risposta (Sd) e di
quelli che si manifestano subito dopo (Sr +). Lo scopo dell’analisi sperimentale è quello di scoprire tutte
le variabili funzionali alla risposta; questo metodo si è mostrato metodologicamente affidabile e
flessibile per lo studio del comportamento umano negli ambienti di vita reale. Per cui, applicata al gioco
d’azzardo, la risposta può essere interpretata da comportamenti quali posare le fiches sul tavolo, agitare
e tirare i dadi, tirare la leva di una poker-machine e così via. Spesso, in questi ambienti, la natura
ripetitiva del gioco stesso comporta una sequenza regolare di stimoli che precedono il momento del
gioco vero e proprio: puntare, scommettere, tirare la pallina ecc. Inoltre, ipotizzato che la durata degli
eventi-stimolo è un rinforzo per i giocatori, si potrebbe considerare la scommessa più vicina allo
stimolo come quella più vigorosa, per cui le puntate dell’ultimo momento sono sempre più intense. In
effetti, le testimonianze suggeriscono che i giocatori regolari adottano questo modello di
comportamento, ed è in questo che si distinguono dai giocatori più sporadici. I dati confermano, anche,
che il momento più eccitante e carico di ebbrezza e tensione sia quello dello stimolo rinforzo. Inoltre, i
soldi e l’eccitazione derivante dagli stimoli relativi a quel tipo di gioco, sono stati designati come i fattori
principali che agiscono per mantenere la risposta “scommessa”.
Infine, all’interno della prospettiva comportamentista, è opportuno inserire anche il concetto di
apprendimento sociale di auto-efficacia, proposto da Bandura (1977) per cui i fattori cognitivi, come
credere che le proprie scelte siano migliori di quelle degli altri, svolgono un ruolo importante nelle
prime fasi del passaggio dal gioco a bassa frequenza fino a quello ad alta frequenza.
Un ulteriore aspetto che influisce in modo considerevole sul GAP sembra essere, da quanto
emerso da apposite ricerche, il fattore familiare. L’ipotesi è che possa esistere un’origine familiare del
GAP in quanto, date per pari le possibilità per giocare, alcuni individui sono più vulnerabili di altri e
questa tendenza sembra propagarsi all’interno delle famiglie65. Gli studi dimostrano che i soggetti
giocatori patologici hanno una probabilità fino ad otto volte maggiore di avere almeno un genitore con
un problema analogo. La probabilità di gioco patologico è fino a tre volte superiore alla norma se il
soggetto vede i propri genitori come tali, e la probabilità addirittura aumenta se questa percezione si
estende anche alle generazioni precedenti.
Correlazioni significative sono state riscontrate anche con gli studi sui gemelli. Il tasso di
concordanza, elevato soprattutto tra i gemelli monozigoti, fa capire che per ogni gemello che gioca
anche l’altro gemello adotta lo stesso comportamento. Le stesse proporzioni si riscontrano tra le
malattie, come schizofrenia e depressione maggiore, in cui si riconosce un elevato carico genetico.
Anche la ricerca delle basi o dei correlati cerebrali dei disturbi del comportamento, tra cui il
gioco d’azzardo, ha ricevuto un forte input, specie negli ultimi tempi. L’ipotesi della ricerca
neurobiologica sul GAP è che il piacere derivante da questa attività sia biologicamente sostenuto e
64
65
1956; cit. in Dickerson, 1984.
Murry, 1993.
23
abbia conseguenze sul cervello66. Con tale ricerca è stata evidenziata la presenza di un sistema neuronale
complesso, coinvolto nella percezione ed elaborazione delle sensazioni di piacere e nei sistemi di
rinforzo considerati alla base della ripetizione dell’esperienza di determinati comportamenti compulsivi
a carattere gratificante. Tale sistema neuronale presiede ai meccanismi comuni di rinforzo che sono
ritenuti responsabili di uno dei comportamenti caratteristici dell’addiction, l’impulso incontrollabile di
assumere la sostanza a cui si è abituati, un fenomeno caratteristico anche del GAP. Tramite numerosi e
accurati studi si è pervenuti all’identificazione del sistema mesolimbico, dopaminergico come base
anatomica per i meccanismi di ricompensa e di rinforzo. Invece, per quanto riguarda il ruolo dei
neurotrasmettitore nel GAP è stata evidenziata l’importanza della noradrenalina, per l’attenzione e la
stimolazione connesse con la vulnerabilità cognitiva e fisiologica del gioco d’azzardo; la trasmissione
noredrenergica è profondamente coinvolta nella fisiopatologia dell’astinenza da uso di sostanze e gioca
un ruolo nelle prestazioni della persona. Anche la serotonina è risultata importante per l’iniziativa e la
disinibizione comportamentale. La stimolazione dopaminergica, infine, è la via finale comune attraverso
la quale l’individuo percepisce la ricompensa psichica.
Non di minore entità ed importanza, sono gli studi effettuati sulla comorbidità psichiatrica del
GAP perché molti dei disturbi con i quali è più frequentemente associato sono problemi ai quali è
correlata una forte componente biologica come per esempio l’alcolismo, la depressione maggiore, il
disturbo d’ansia. In uno studio definito come Epidemiological Catchment Area67 è emerso che i gamblers
hanno una probabilità tre volte maggiore dei non giocatori di soddisfare i criteri diagnostici per i
disturbi già citati anche qui la popolazione dei giocatori è designata come popolazione a rischio per i
disturbi psichiatrici più importanti. L’essere in azione, che descrive uno stato di stimolazione dei
giocatori è accostabile all’ esperienza “high” che accompagna l’uso di stimolanti ma analogie tra i due
disturbi si identificano anche nella tolleranza, l’astinenza, i tentativi di smettere e il progressivo degrado
sociale. Anche con il consumo eccessivo di alcolici sembra esservi una certa correlazione: il carattere
orale che contraddistingue l’alcolismo, la tendenza ad incorporare l’alcol si manifesta anche nel GAP
con la voglia di accumulare denaro. La clinica e i test psicologici hanno suggerito una forte comorbidità
con i disturbi affettivi, specie con la depressione perché in fondo l’euforia, l’eccitazione e il
coinvolgimento emotivo che regala l’azzardo serve a scacciare e ad allontanare il vuoto esistenziale di un
soggetto affetto da una patologia affettiva grave.
Infine, uno studio pilota negli USA, condotto dallo psichiatra Hollander (1999), ha mostrato la
capacità di un farmaco antidepressivo di ultima generazione, il Fevarin, di modificare i comportamenti
dei giocatori d’azzardo che al termine della terapia dalla durata di circa otto settimane, avevano smesso
di giocare. Gli esperti spiegano che il meccanismo d’azione della fluvozamina, la sostanza principale del
farmaco, è associato alla sua capacità di agire sul sistema serotoninergico che presiede alla iniziazione e
all’inibizione dei comportamenti e che regola l’aggressività e la capacità di regolare gli impulsi.
Non tutte le persone che amano giocare sono potenziali giocatori patologici. Il passaggio da
giocatore sociale a giocatore patologico non è così netto come potrebbe sembrare: nell’ampio spettro di
giocatori, infatti, devono essere riconosciuti i giocatori occasionali, abituali, problematici, patologici con
tutte le dovute differenze. Per esempio, il giocatore sociale è spinto e motivato da una sana passione per
il divertimento e il passatempo, come dice Dickerson (1984) e, poiché non mette in gioco tutto sé
stesso e si lascia coinvolgere emotivamente solo in parte, sia che si tratti di un giocatore occasionale sia
di un giocatore abituale, è anche in grado di controllarsi meglio senza avere difficoltà ad abbandonare il
gioco e gestire equilibratamente vincite e perdite. Si possono addirittura differenziare tre tipologie di
giocatori sociali68 in base alla loro percezione del gioco come dominato più dall’abilità o più dalla
fortuna:
Il giocatore che crede di poter vincere perché confida esclusivamente sulla propria abilità
nell’indovinare un pronostico. È questo il tipico caso dello scommettitore dei cavalli;
Il giocatore che tende di più verso la componente aleatoria e si affida totalmente alla dea
bendata. Ne ritroviamo gli esempi tra i giocatori del lotto e delle lotterie;
cfr. Capitanucci, Marino, 2002.
cfr. Capitanucci, Marino, 2002.
68 Lavanco, Varveri, 2001.
66
67
24
Il giocatore che cerca un equilibrio tra abilità e fortuna. Questo atteggiamento è proprio del
giocatore di Totocalcio.
Se il giocatore sociale, nella maggioranza dei casi, non imbocca la strada della dipendenza
patologica, diversa è la situazione del giocatore problematico. Questo tipo di giocatore è identificabile in
quei soggetti che hanno bisogno e vanno alla ricerca di quel piacere che il gioco gli assicura, i suoi limiti
sono meno netti e rischia di perdere il controllo e di non riuscire più a fermarsi fino a quando non si è
perso tutto. Scatta, insomma, quel meccanismo che Mc- Gurrin69 ha definito dell’inseguimento che porta il
giocatore a rincorrere le perdite, compromettendo la propria vita lavorativa, affettiva e sociale.
Va precisato, comunque, che non è semplice riuscire a definire nettamente i confini del gioco
problematico che collocandosi tra la tendenza ad esaltare il gioco sociale e la tendenza, opposta, a
demonizzare le forme di gioco patologico, viene scarsamente considerato. È opportuno, allora, mettere
da parte una visione monodimensionale del fenomeno, che porterebbe ad una mera descrizione di
singole caratteristiche del giocatore problematico, per abbracciare un’ottica più eterogenea che consente
di capire che l’aspetto problematico di alcuni comportamenti del gioco può essere letto nella modalità di
essere del giocatore stesso. Il gioco problematico si distingue dal gioco sociale solo nelle sue forme
esagerate e di crisi ma vengono, però, ignorate le sue manifestazioni. Inoltre, come ha affermato
Moran70 il gioco problematico diventa una sindrome eterogenea, determinata da una fitta relazione tra
fattori costituzionali ed ambientali qualora si considerino le variabili già presenti nel gioco patologico,
mediandone, però l’intensità. Questa prospettiva spinge, perciò, a guardare con attenzione i potenziali
fattori di rischio sia di natura psicologica, che sociale, che culturale; di conseguenza, la figura del
giocatore problematico potrebbe essere principale oggetto degli interventi di informazione e
prevenzione.
Come si può notare, uscire dalla spirale del gioco non è semplice, scatena una sorta di crisi
d’astinenza, e così, credendo più facile cedere all’ennesima puntata, si rischia di diventare giocatore
patologico. Questo non deve essere identificato con gli stereotipi che ci vengono offerti dalla letteratura
e dalla cinematografia che risultano fuorvianti. Dal momento che qualsiasi gioco d’azzardo, anche la
tradizionale tombola, può portare ad una patologia, si deve considerare un campione di giocatori
piuttosto ampio, di ambo i sessi, di qualsiasi età, cultura e ceto sociale.
Sicuramente, come si è visto, benché svariate sono le cause che spingono una persona a giocare
d’azzardo, tutti sono alla ricerca del rischio, della sfida; tutti vogliono mettere in gioco sé stessi. Per
Dickerson (1984) il pathological gambler “è quel tipo di giocatore motivato al gioco da soddisfazioni
conflittuali libidiche”. Tendenzialmente i giocatori compulsivi sono competitivi, irritabili, suscettibili di
noia e con un forte bisogno di eccitazione. Da alcune ricerche emerge che sono i più adatti a prendere
decisioni veloci, a trasformare impulsi in azioni e correre rischi non necessari. Spesso tendono ad
infrangere le regole, risentirsi delle autorità; una diagnosi comune è di personalità narcisistica anche se
spesso, dietro una corazza solida e sicura, si cela un’autostima alquanto bassa. Secondo gli autori Bolen
e Boyd (1968) “il pathological gambler è caratterizzato da maggiore senso di colpa per le vincite,
dall’incapacità di fermarsi in caso di vittoria e da un desiderio inconscio di perdere per cui è incapace di
smettere di giocare anche quando sta perdendo”.
Il mondo del gioco d’azzardo è un mondo in cui si dimenticano, specie all’inizio, tutti i
problemi, è qualcosa che offre la possibilità di scindersi, di fuggire dalla realtà. Pertanto, anche i
comportamenti che il giocatore mette in atto una volta entrato nella vorticosa spirale del gioco, sono
molto caratteristici. Infatti, spesso e volentieri gioca in segreto, toglie tempo a lavoro e famiglia a favore
del gioco d’azzardo, continuamente promette di smettere di giocare ma invano, gioca fino a quando ha
ultimato i soldi, per giocare usa anche il denaro occorrente per le spese di casa, tenta di rifarsi delle
perdite subite giocando ancora e arriva a mentire, rubare, vendere oggetti personali e chiedere soldi in
prestito pur di continuare a giocare.
Come già detto in precedenza, il DSM IV classifica li pathological gambling tra i “Disturbi del
controllo degli impulsi non classificati altrove”. In modo più preciso, nel DSM IV sono specificati due
criteri particolari: uno di inclusione, per cui la diagnosi di GAP è confermabile se sono presenti nel
69
70
1992; cit. in Lavanco, 2001.
Cit. in Capitanucci, Marino, 2002.
25
soggetto i dieci sottocriteri indicati nel manuale; l’altro criterio è di esclusione che porta cioè
all’esclusione della diagnosi di GAP se si è in presenza di episodi maniacali. Tra i diversi paradigmi
teorici si evidenziano, inoltre, diverse ipotesi. Una di queste, per esempio, connette il GAP allo Spettro
Affettivo. In questo senso il gioco patologico va a sostituire una depressione sottesa, negata che
compare solo nel momento in cui il giocatore smette di giocare. Altra ipotesi, anche se talvolta criticata
per il debole supporto clinico, si riferisce ad una stretta correlazione con il Disturbo ossessivocompulsivo e con gli altri disturbi d’ansia, come l’Agorafobia e il disturbo d’attacco di panico. La
correlazione con il disturbo ossessivo- compulsivo ha, inoltre, portato alcuni ricercatori a parlare di un
modello di Spettro, all’interno del quale, cioè, si rintracciano caratteristiche comuni a diversi disturbi.
Altre ipotesi teoriche hanno enfatizzato l’importanza dei fattori predisponesti nella genesi del disturbo
di GAP, ricondotti a un precoce esordio del Deficit del Controllo degli impulsi connesso ai Disturbi
dell’Attenzione e dell’Iperattività nell’infanzia.
L’ultima ipotesi, ma non per importanza, considera lo stretto legame tra lo scarso controllo degli
impulsi nel Gap e i disturbi da uso di sostanze. Insomma, anche se non si tratta di una sostanza bensì di
un comportamento, alla stessa stregua del tossicodipendente si può parlare di addiction. È stato già
accennato, infatti, che molto forte sembra essere la correlazione tra GAP e dipendenza da sostanze, in
quanto la progressione costante nelle manifestazioni di gioco fino all’incapacità di fermarsi o i sintomi
dell’astinenza sono tra le caratteristiche cliniche più consuete nei giocatori patologici, caratteristiche che
li assimilano agli utilizzatori di sostanze. A questo proposito è interessante evidenziare anche le ricerche
condotte da Capitanucci e Biganzoli nel 2000 presso i Ser.T71. di diverse città italiane. Dai dati emerge
che i tossicodipendenti patologici al gioco sembravano usare in media più sostanze
contemporaneamente rispetto ai tossicodipendenti non patologici. Altri elementi interessanti riguardano
le cifre spese al gioco in un giorno (circa 500 euro o più) e la frequente pratica del gioco d’azzardo nei
periodi di astensione dall’uso dell’eroina, quasi a sostituzione di essa. È pure vero, comunque, che
l’abuso di sostanze in contemporanea con il gioco è spiegato dal fatto che gli effetti delle sostanze
stupefacenti sono sicuramente un aiuto per il giocatore che deve superare il forte stress delle perdite al
gioco, per questo motivo si parla di cross addiction.
Le differenze tra i due tipi di dipendenza, comunque, non mancano e, con una meticolosa
attenzione ed una capillare analisi dei comportamenti, può delinearsi certamente una diagnosi
differenziale. Infatti, mentre le tossicodipendenze da eroina sono un esempio lampante di tutte quelle
dipendenze in cui la persona cerca un ottundimento e un ripiegamento su sé stessa, il gioco d’azzardo
sembra invece tutto teso all’ottenimento di un nuovo senso di sé più esaltato, vittorioso, potente.
Un accenno, infine, va fatto a quelle ricerche che non sottovalutano la correlazione tra GAP e
Disturbo Ossessivo compulsivo: mentre il primo mostra di essere egosintonicamente organizzato,
l’altro ha caratteri più egodistonici. Non mancano nemmeno dati inerenti all’elevata frequenza, tra i
giocatori d’azzardo, di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio. A questo proposito infatti, Hollander
(1999) ha rilevato i tassi più alti di suicidio a Las Vegas, mecca del gioco d’azzardo, ma non passano
inosservati nemmeno i tassi rilevati in altre comunità per il gioco, come Atlantic City.
A seconda dell’orientamento di base, i trattamenti sono volti a precisi scopi. La letteratura
riguardante i trattamenti psicoanalitici riporta, tra i lavori più completi, lo studio condotto da Bergler72
su sessanta giocatori. Purtroppo, però, l’abisso che si crea tra terapeuta e giocatore fin dall’inizio è uno
dei motivi principali del drop out. Nel caso in cui, invece, il giocatore persevera nella terapia, tramite
l’analisi può riflettere su di sé, sul suo stato d’animo negativo e sull’effetto che questo ha nel gioco.
La prospettiva psichiatrica, invece, sottolinea due importanti filoni sia in America che in
Inghilterra. Negli Stati Uniti, paese in cui l’attenzione alla spinosa questione del gioco d’azzardo fu
incentivata da Bolen e Boyd (1968), la letteratura dei casi riferisce dei trattamenti psichiatrici basati su
una combinazione di psicoterapia d’appoggio e un cocktail farmacologico che portarono il paziente ad
astenersi dal gioco già dopo i primi sei mesi di trattamento. In Inghilterra spicca la figura di Moran che
assume un atteggiamento simile a quello degli psichiatri americani considerando il gioco come un
problema sintomatico di qualche altro problema, in genere di uno stato depressivo. Nel corso degli
71
72
Servizio pubblico per le tossicodipendenze.
1957; cit. in Dickerson, 1984.
26
anni, comunque, il trattamento psichiatrico per i giocatori patologici si è evoluto notevolmente. Gli
psichiatri, oggi, tendono a ritenere il giocatore innanzitutto una persona per la quale un esteso metodo
di valutazione porterà a una solida base per organizzare l’aiuto e la cura. Non c’è più la tendenza ad
isolare e confinare nella sua disperazione il giocatore, perché malato, ma si punta ad un reinserimento
del paziente nel contesto delle sue relazioni sociali e interpersonali.
Per quanto riguarda, invece, i casi di trattamento di tipo comportamentista, i contributi a
riguardo risalgono agli studi di Barker e Miller (1966) che applicarono a cinque soggetti, considerati
giocatori patologici, il “metodo dell’avversione”. Si è trattato cioè, di associare un processo di punizione
al condizionamento classico, cioè punire i giocatori mentre guardavano stimoli associati al gioco. Il
trattamento consistette in quattro simili maratone di quattro ore con una macchinetta installata nei
locali dell’ospedale (si consideri che due dei giocatori presi in trattamento erano giocatori di poker
machine). Le scosse elettriche erano inviate a caso durante le sessioni al ritmo di quasi una scossa al
minuto. Un anno dopo si vedevano già i primi risultati. Ma i critici73 tengono a puntualizzare che si
tratta di “una terapia che dovrebbe essere offerta solo se gli altri trattamenti sono impraticabili e se il
paziente dà il suo permesso dopo aver considerato tutte le informazioni che il suo terapeuta gli può
onestamente fornire”.
Modelli di trattamento, sicuramente meno ancorati ad una prospettiva teorica ma probabilmente
molto più efficaci, si possono evidenziare sia nel nostro Paese che all’estero. In Danimarca, per
esempio, negli ultimi dodici anni si è assistito ad un incremento strabiliante del gioco d’azzardo dovuto
ad una massiccia legalizzazione di ogni forma di gioco, e il rischio di perdere totalmente il controllo
sulla questione ha indotto lo Stato a prendere provvedimenti. Questa frenetica corsa al gioco è
chiaramente correlata ad un’alta quantità di richieste di aiuto che sono pervenute al centro Ringgården,
specializzato per il trattamento della “ludomania”. Il centro si propone l’obiettivo di aiutare le persone a
disimparare e il trattamento è quello della terapia cognitiva. Vengono, perciò, organizzati corsi di
trattamento, follow up, corsi per familiari, il cui scopo mira ad armonizzare i rapporti tra il paziente e la
famiglia attraverso la presa di coscienza del problema. Il progetto prevede anche gruppi di auto aiuto,
una linea telefonica d’aiuto anonima e, parallelamente, viene anche condotta una ricerca della
diffusione del fenomeno per avere un quadro più chiaro e completo della situazione di disagio che il
gambling provoca.
Gioacchino Lavanco
professore ordinario di psicologia di comunità,
Università degli Studi di Palermo
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