FanFiction - Penne Matte

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FanFiction - Penne Matte
Marco Alfaroli
FanFiction
racconti ispirati alle famose serie TV
degli anni ’60, ’70 e ’80
http://archonzeist.blogspot.it/
ISBN 978-1-326-79024-0
© 2016 Marco Alfaroli. Tutti i diritti riservati.
Racconti:
L’assalto dei Frog
Un’anima per i Cylon
Disperso
Il Parassita
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L’astronave Orion
L’assalto dei Frog
Il comandante Cliff McLane si alzò a
fatica in mezzo ai rottami. Fumo e scintille
lo circondavano. Si guardò intorno: la plancia era in pezzi.
«State tutti bene?» chiese agli altri, che
risposero con un cenno. Alcuni erano sdraiati, altri in ginocchio; si aggrapparono a
qualcosa per tirarsi su. Avevano ferite lievi,
graffi, ma per fortuna niente di grave.
«Stiamo bene, comandante. Quella che
non sta bene è la nave» disse Shubashi.
Aveva ragione e McLane lo sapeva. La
battaglia contro i Frog era stata devastante e
i terrestri l’avevano persa. Di tutte le astronavi della Terra, due sole erano sopravvissute: l’Orion e l’Hydra. Entrambe erano pesantemente danneggiate.
Mentre i suoi uomini spegnevano gli ultimi focolai d’incendio, McLane esaminò la
strumentazione di bordo. A occhio e croce
il funzionamento era garantito al quaranta
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per cento. Poteva bastare per manovrare,
ma non per ingaggiare un altro scontro, che
sarebbe stato sicuramente fatale.
Accanto a lui c’erano Tamara
Yagellovsk e Hasso Sigbiornson. Proprio a
quest’ultimo in quel momento affidava le
sue speranze.
«Puoi fare qualcosa, Hasso?»
Il tenente scosse la testa.
«Posso fare ben poco. Troppe parti sono
compromesse; credo di riuscire a muoverla,
ma sarà una tartaruga».
Ma come diavolo avevano fatto quei maledetti Frog a vincere? Come avevano fatto
a neutralizzare l’Overkill, l’arma più potente della Terra? Non lo sapeva, ma in
qualche modo l’avevano fatto. Subito dopo
avevano annientato tutte le difese esterne e
ora stavano dilagando nel Sistema Solare.
Allontanò quei pensieri.
«Farò il possibile» disse Hasso. «Proverò a muoverla».
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«Bene! Helga, mettimi in contatto con
l’Hydra o con la Terra» ordinò il comandante all’operatrice radio.
Helga Legrelle si diede da fare.
«Hydra da Orion, rispondete... Hydra da
Orion...»
Non ci fu nessuna risposta; provò ancora
diverse volte. Poi passò alla Terra.
«Terra da Orion, riuscite a sentirmi?»
Niente. Erano isolati.
Hasso regolò la potenza residua, tolse
tutta l’energia agli scudi e la convogliò ai
motori. Escluse i circuiti danneggiati.
L’astronave Orion, ferma nello spazio,
riattivò le luci. Iniziò lentamente a ruotare,
poi si mosse in avanti.
«Funziona, anche se ci spostiamo solo a
bassa velocità!» gridò soddisfatto.
McLane gli dette una pacca sulla spalla.
«Ottimo lavoro».
L’entusiasmo gli si spense subito in
gola, ripensando a tutti gli amici che aveva
perso quel giorno sulle navi distrutte e al
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suo mondo che si sgretolava sotto il peso
dell’invasione.
Il generale Wamsler, sulla Terra, osservava inorridito la comunicazione registrata
da Marte. Si vedevano sullo sfondo uomini
che combattevano e, ancora più lontani, le
figure evanescenti dei Frog che si avvicinavano. L’uomo in primo piano che parlava
verso la telecamera era un suo amico, comandante della colonia.
«Generale, sono dappertutto. Dov’è la
pattuglia spaziale? Non potremo resistere
ancora per molto, abbiamo bisogno di aiuto...»
Un lampo apparve sullo schermo: il messaggio finiva lì.
Wamsler si volse verso gli altri ufficiali
del TRAV, che avevano assistito in silenzio. Le loro facce erano funeree.
«Siamo impotenti» ringhiò «cosa darei
per avere ancora una sola astronave, la guiderei io contro quei maledetti!»
«Una l’abbiamo» disse qualcuno.
«Cosa?»
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La faccia del generale s’illuminò.
«Abbiamo ricevuto proprio ora una comunicazione dall’Hydra: il generale van
Dyke ha ripristinato in modo parziale la
nave. Necessita di molte riparazioni ma è
ancora funzionante. Ha detto di aver parlato
con McLane dopo lo scontro e di aver perso
il contatto subito dopo. Forse anche l’Orion
ce l’ha fatta».
«McLane!» esclamò Wamsler. «Il più
indisciplinato dei miei comandanti e l’unico
che riesce sempre a sorprendermi con qualche trovata geniale. Abbiamo bisogno di
lui, deve avercela fatta! Non può permettersi di essere morto».
«I Frog hanno distrutto gran parte dei
nostri ripetitori, generale. Per questo ci
sono settori di spazio dove le comunicazioni sono impossibili, a parte quelle dirette,
s’intende. Se l’astronave Orion esiste ancora, dobbiamo aspettare che esca da una di
quelle zone d’ombra».
Un suono acuto scosse i presenti. Sullo
schermo di controllo si vedevano le astronavi Frog in avvicinamento. Erano numerose e puntavano sulla Terra.
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«Allora sarà bene che si sbrighi» disse a
denti stretti Wamsler «oppure presto qui saremo tutti morti».
Erano passate alcune ore e il comandante
dell’astronave Orion aveva preso la decisione di ridurre al minimo il consumo di energia per evitare di essere intercettati dai
Frog. Anche le luci erano state abbassate.
La scia energetica lasciata dalla nave, in
questo modo, era quasi nulla.
Hasso, in sala macchine, aveva appena
finito di aggiustare al meglio il sistema di
propulsione. Non rimaneva che aspettare la
ricarica degli accumulatori. Serviva tempo
e forse era proprio quello a scarseggiare.
Decise di passare alla sezione armi, per
vedere quali danni potevano essere riparati.
Insieme a de Monti smontò il pannello di
controllo dell’Overkill ed esaminò i diagrammi di flusso, le statistiche delle ultime
ore di attività e il momento del combattimento.
Rimase sconvolto.
La principale arma della Terra non era
stata neutralizzata dai Frog, come si pensa8
va. L’Overkill si era semplicemente spento,
per un ordine arrivato direttamente dal calcolatore centrale terrestre.
Resettò e riavviò.
De Monti controllò gli indicatori: tutto
era andato a posto. L’arma era perfettamente funzionante.
Quando, più tardi, si riunirono, ne parlarono e McLane tuonò sbattendo il pugno sul
tavolo.
«Qualcuno sulla Terra ha lavorato per i
Frog!»
«È già successo in passato» disse Hasso.
«Ricordiamo quanti ottimi soldati hanno subito il lavaggio del cervello e si sono rivoltati contro la Terra. È probabile che abbiano
piegato la volontà di qualcun altro. Poi
l’hanno messo nel posto giusto e l’hanno attivato al momento opportuno».
«Non ci credo» obiettò Tamara. «Possibile che al TRAV nessuno si sia accorto di
nulla?»
«È possibile, invece. Magari la spia ha
usato un “magnete”, uno di quei gingilli che
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si attaccano come un parassita sul computer, modificando la programmazione interna
senza alterare le informazioni ai monitor
esterni. È un vecchio apparecchio militare,
ma se si conoscono i codici giusti, s’infila
dappertutto».
McLane tagliò corto: «Ed è uno dei nostri “gingilli”! Siamo stati sconfitti con la
nostra stessa tecnologia. Ma ormai tutto
questo non è importante, dobbiamo trovare
il modo di rimediare».
Tamara lo guardò incredula: «Credevo
fosse chiaro che non si potesse rimediare».
«Finché siamo vivi, abbiamo la possibilità di farlo. E ho intenzione di non perdere
altro tempo. Ho in mente qualcosa, ma bisogna trovare il modo di comunicare con
Wamsler senza essere intercettati dai Frog».
«E l’uomo sotto il loro controllo? Potrebbe essere ancora attivo» replicò lei.
«Non credi che verrà a conoscenza delle tue
mosse? Avvertirà i Frog. Anche usando un
messaggio in codice, quando arriverà sulla
Terra e sarà decrittato, cadrà subito nelle
sue mani».
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«È vero, ma non succederà se sarà
Wamsler l’unico in grado di decrittarlo».
«Non ti seguo».
«Io so una cosa che tu non sai. Nell’ufficio del generale c’è una macchina. È un reperto storico di cui solo in pochi ricordano
la funzione. Naturalmente è una riproduzione. L’originale risale alla seconda guerra
mondiale e si chiama Enigma. Wamsler si è
divertito a impararne il funzionamento. Il
computer dell’Orion ha in memoria il suo
codice cifrato, sono stato io a volerlo, in
previsione di tempi difficili. Quindi noi
possiamo scrivere il messaggio ma sulla
Terra non hanno il codice e non riusciranno
a decifrarlo».
«Se Wamsler è abbastanza sveglio» ridacchiò Hasso «capirà che deve tradurselo
da solo e userà la macchina tagliando fuori
la spia. Sì, può funzionare».
Poco dopo apparve l’Hydra, proprio davanti all’Orion. Le due astronavi a forma di
disco, circondate dal cosmo nero e profondo, si fronteggiarono per qualche minuto.
Poi dall’Orion si staccò una navicella. Il co11
mandante non voleva rischiare di essere individuato e preferì evitare anche le comunicazioni dirette.
Lydia van Dyke lo aspettava in plancia.
Fu felice di vederlo e di apprendere che i
membri del suo equipaggio stavano tutti
bene. McLane le spiegò quello che aveva
intenzione di fare.
Il piano prevedeva di uscire dalla zona
d’ombra e di proseguire in direzione del
Sole. La loro meta era la stazione solare
Elios. O meglio, dovevano avvicinarsi a
quella zona. Al resto avrebbe dovuto pensare il generale Wamsler, dopo aver letto il
messaggio cifrato.
Le probabilità che tutto andasse liscio
non erano molte, ma nella situazione in cui
si trovava la forza di difesa terrestre, diventavano un’importante speranza.
L’uomo che due ore dopo entrò nell’ufficio del generale, portava un messaggio
stampato su carta.
«L’astronave Orion è uscita dalla zona
non comunicativa e questo è ciò che ci ha
inviato, signore».
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Wamsler guardò il foglio.
«McLane è impazzito? Che ci faccio io
con questo?» borbottò.
«È incomprensibile!»
Poi, osservando meglio la pagina scritta,
cambiò espressione e il suo volto s’illuminò. Alzò gli occhi verso l’uomo che gli aveva consegnato il messaggio.
«Se ne vada» urlò. «Devo pensare. Da
solo!»
Aveva capito subito che c’era qualcosa
che non andava nell’Intelligence terrestre.
Altrimenti perché McLane gli avrebbe inviato un cifrato? Di sicuro cercava di tenere
alla larga gli occhi curiosi di qualche spione. Come diavolo aveva fatto McLane a capire che le linee di comunicazione non erano sicure? Quell’uomo è un drago, si disse.
Ma non aveva certo intenzione di dirglielo,
era bene tenerli sempre in tiro, i suoi ufficiali. Anche ora che ne erano rimasti pochi.
Una cosa era certa: nessun altro oltre a
lui doveva leggere quel messaggio. Chiuse
tutte le porte e non aprì a nessuno per le
successive due ore. Si mise al lavoro con la
macchina e da quel foglio ebbe rivelazioni
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clamorose. C’era anche un piano. Sorrise
mentre lo leggeva. Era il piano più pazzo
che avesse mai esaminato, ma forse proprio
per questo poteva funzionare. E poi (il suo
volto si velò di tristezza) non avevano niente da perdere. Quindi, perché non tentare?
L’astronave Hydra si era fermata nei
pressi di Mercurio, mentre l’Orion rimaneva presso Venere. I Frog erano a metà strada tra Marte e la Terra; il tempo stava per
scadere.
Sul grande radar orizzontale e rotondo
McLane vide comparire una moltitudine di
segnali: astronavi, migliaia di astronavi che
arrivavano dal Sole. Una nuova invasione,
numericamente superiore alla flotta Frog. E
di origine sconosciuta.
Per nulla sorpreso, si rivolse a de Monti
che dietro a lui preparava l’Overkill.
«Il generale ha eseguito i miei ordini alla
lettera, da bravo soldatino!»
«L’hai convinto» gli rispose il cannoniere. «Speriamo di convincere anche i Frog».
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Quasi subito arrivarono strane comunicazioni in una lingua stramba, aliena ma anche assurda. Riempiva tutte le frequenze e
risultava assordante.
Non era linguaggio Frog, questo era certo. Somigliava più a un’accozzaglia di parole che stessero insieme senza una logica.
Chissà, forse un non-umano ci poteva anche
cascare.
«Helga, apri un canale riservato con la
Terra, per aggirare l’ostruzione radio».
Appena fu sicuro di poter comunicare,
McLane continuò.
«Terra, qui è l’incrociatore veloce Orion
VIII: siamo attaccati da forze superiori, non
sono i Frog! Ripeto, non sono i Frog».
Subito dopo con un cenno intimò ad
Helga di chiudere.
«Overkill!» ordinò infine a de Monti.
L’Overkill dell’Orion colpì in pieno Venere. Il pianeta si sfarinò in una valanga di
detriti che partivano dalla zona centrata per
poi disperdersi nello spazio in tutte le direzioni. In poco tempo il bellissimo pianeta
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azzurro che aveva ispirato tanti miti in passato fu spazzato via. Cancellato dal cosmo.
«Disattivare tutti gli strumenti e spegnere i motori» disse infine Mclane. «Speriamo
che abbocchino alla balla che siamo stati distrutti».
L’astronave Hydra, invece, si era avvicinata a Mercurio. Come l’Orion, aveva chiamato la Terra comunicando di essere attaccata da forze sconosciute e, subito dopo,
con l’Overkill aveva distrutto il pianeta. Poi
si era spenta. Era come se la nave non esistesse più, come se fosse stata distrutta.
I messaggi dalla Terra non tardarono ad
arrivare.
«Terra chiama astronave Orion! Rispondete... Terra chiama astronave Hydra! Qualcuno è in grado di rispondere? Qualcuno è
sopravvissuto?»
Nessuna risposta.
Gli equipaggi erano in ascolto. I detriti
dei due mondi distrutti schizzavano da tutte
le parti. Alcuni colpirono lo scafo. Sull’Orion sentirono le lamiere che si piegavano,
ma sperarono che i danni non fossero gravi.
Sull’Hydra ci fu uno scossone e un forte
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boato. Ebbero fortuna, un pezzo di Mercurio li aveva sfiorati staccando una parte della nave. Nonostante questo la struttura resistette e non esplosero.
Sulla Terra tutti osservavano il grosso
schermo rotondo sul quale si vedevano
muovere, provenienti dal Sole, i segnali dei
misteriosi nuovi invasori.
Era un’orda enorme in avvicinamento
che aveva già distrutto due mondi e le ultime due astronavi della pattuglia spaziale.
Era la fine. L’unico che sogghignava era il
generale Wamsler, ma non se ne fece accorgere.
C’erano anche altri che ascoltavano le
ultime, drammatiche, comunicazioni terrestri: i Frog. Sulle loro navi avevano tracciato i nuovi invasori, avevano assistito alla distruzione dei due mondi e avevano visto
scomparire le navi terrestri. Videro anche
che gli sconosciuti alieni puntavano sulla
Terra. Proprio dove stavano andando anche
loro.
Il comandante dei Frog cercò di evitare
la disfatta e ordinò di ritirarsi.
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Sulla Terra videro i segnali luminosi delle astronavi Frog che invertivano la rotta;
alla massima velocità si spostarono verso
Giove e poi proseguirono. Superarono l’orbita di Saturno, poi di Nettuno e Urano.
Ben presto uscirono dal radar: il pericolo
era scampato... per ora.
Nell’enorme sala del calcolatore centrale
uno dei tecnici urlò di dolore, si accasciò a
terra e morì. Accorsero in molti per soccorrerlo ma ormai non c’era più niente da fare.
i Frog in ritirata, non potendolo tenere ancora sotto controllo, l’avevano ucciso.
Sull’astronave Orion le luci furono riaccese, l’energia ripristinata e i motori riattivati.
«Torniamo
sulla
Terra
per
le
riparazioni» disse McLane. «Helga, sull’Hydra hanno potuto fare lo stesso?»
«Si stanno muovendo ora, sembra che
siano molto danneggiati ma possono farcela».
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Tutti i segnali luminosi dei nuovi invasori raggiunsero la Terra, ma si rivelarono essere tutt’altra cosa che astronavi. I rimorchiatori in orbita inviarono le prime immagini. Erano le sonde solari per la raccolta
dell’energia inviate dalla stazione Elios.
«Generale Wamsler» disse poco dopo
uno dei componenti del TRAV «vuole spiegarci, una buona volta, quello che è successo? Perché noi non sapevamo nulla di quest’operazione? Quelle sonde hanno svolto
un compito che non era il loro. Arrivando
fin qui si saranno sicuramente danneggiate.
Ma sono servite a scacciare i Frog e perciò
è stata una bella mossa. Avremmo solo voluto essere informati, ecco tutto».
«Capisco» rispose solenne Wamsler «ma
non avevo scelta. C’era una spia, qui sulla
Terra. Ho dovuto restringere la cerchia dei
partecipanti all’operazione. In pratica oltre
a me e al comandante McLane, ho informato solo gli operai della stazione Elios. Hanno impostato loro la rotta delle sonde, dopo
averle caricate al massimo di energia. I sensori le hanno scambiate per astronavi proprio perché erano ipercariche».
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«E quei messaggi che sembravano un
collage di tutte le lingue terrestri messe insieme?» disse ancora l’altro.
«Quella è stata la parte più debole. Ho
dovuto inventare un linguaggio cifrato alla
svelta e da solo. Il mio computer ha mischiato più idiomi insieme e ne è venuto
fuori un pasticcio. Per fortuna i Frog ci
sono cascati. Ho anche distorto il segnale
per non far capire che lo inviavo dal mio ufficio».
«Torneranno, appena avranno capito
l’inganno».
«No. Sanno che l’Overkill non è stato
annientato, ma solo spento. Basta ripristinarlo e le difese della Terra saranno di nuovo attive. Questo ci darà il tempo di ricostruire le astronavi».
L’astronave Orion giunse sulla Terra,
malconcia ma tutta intera. L’Hydra, invece,
aveva esaurito l’energia nei pressi della
Luna e i rimorchiatori la stavano ancora
trainando.
«Abbiamo dovuto sacrificare due pianeti, ma era necessario, per spaventarli. Altri20
menti l’attacco non sarebbe stato credibile»
dichiarò McLane.
«Siamo responsabili di una catastrofe»
replicò de Monti, mentre ricalibrava l’Overkill. Sullo schermo rotondo si vedeva la
nuova fascia di asteroidi che si era creata al
posto di Venere e Mercurio. McLane annuì.
«Abbiamo salvato la Terra» sorrise
«consoliamoci con questo».
L’Orion entrò nell’atmosfera.
Phantastischen Abenteuer
des Raumschiffes Orion
Serie TV – Germania. 1965-1966
ideata da: Rolf Honold
prodotta da: Hans Gottschalk, Helmut
Krapp
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Battaglie nella Galassia
Un’anima per i Cylon
I due Vipers virarono nel vuoto lasciandosi dietro una lunga scia di vapore incandescente. Erano in avanscoperta. Dietro di
loro, il Galactica, con tutta la disperata flotta di navi cariche di superstiti umani, li seguiva a distanza.
I Cyloni avevano distrutto le Dodici Colonie e ora volevano sterminarne anche gli
ultimi sopravvissuti.
Erano passati parecchi mesi dall’ultimo
scontro con i Cyloni e il comandante Adamo non aveva nessuna intenzione di abbassare la guardia. Il viaggio verso il pianeta
leggendario chiamato Terra, rappresentava
l’ultima ancora di salvezza.
Per questo motivo procedeva con prudenza, un passo alla volta. Ordinava il decollo dei caccia a gruppi di due e faceva
monitorare loro la più ampia porzione di
spazio possibile, per creare un cuscino di si22
curezza intorno alla flotta. In questo modo
un improvviso attacco nemico poteva essere
segnalato in anticipo, permettendo una difesa migliore.
Il Viper di Scorpion eseguì un’altra virata per mantenere la formazione col compagno.
«Ehi, Apollo... secondo me quelle teste
di latta hanno paura!»
«Non lo so... tutta questa calma non mi
piace, credo che stiano preparando qualcosa».
«Torniamo, ho la partita a Pyramid che
mi aspetta. Non vorrei che i ragazzi fossero
tristi per la mia assenza».
«Secondo me festeggiano, mi sembra di
ricordare che li hai spennati, l’ultima
volta».
«Ho solo fortuna, ecco».
Apollo attivò alcune levette sulla strumentazione interna del Viper. Il display
verde fece l’ennesima scansione.
«Niente, anche questa zona è sicura.
Rientriamo».
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«Bene» disse Scorpion «quando i barattoli troveranno un po’ di coraggio li vedremo tornare. Ho i laser che mi prudono».
I piloti azionarono il turbo sulla cloche e
i Vipers accelerarono in modo impressionante, aumentando la luminosità e la lunghezza della loro scia di vapore.
La flotta sembrava immobile, ma era
solo un effetto ottico, perché le dimensioni
delle astronavi erano tali da farle sembrare
ferme nonostante procedessero a notevole
velocità.
I due agili Vipers al confronto parevano
frecce; arrivarono descrivendo un’ampia
curva, rallentarono allineandosi con il ponte
di rientro del Galactica e uno dopo l’altro
entrarono frenando e toccando dolcemente
la pista.
Sulla plancia di comando c’era sempre
un’attività frenetica. Molti operatori, seduti
davanti ai loro strumenti, controllavano le
funzioni primarie di navigazione, tutti i sistemi ausiliari e ogni possibile attività ester24
na, incluse navi amiche o nemiche in avvicinamento.
Il Comandante osservava lo spazio attraverso la spessa vetrata. Il colonnello Tigh
gli si avvicinò.
«Sono appena rientrati, Comandante.
Faccio preparare altri due piloti?»
«Sì, forse sprechiamo carburante prezioso, ma preferisco avere le mie sentinelle là
fuori a vigilare».
«È la quiete a renderci nervosi» disse
Tigh «noi non siamo di metallo come i nostri nemici».
«Già».
Una luce rossa lampeggiò sulla postazione del tenente Athena.
«Comandante!» gridò «ricevo una richiesta d’aiuto, e non è uno dei nostri».
Adamo le si avvicinò con passo deciso.
«Chi sta chiedendo il nostro aiuto? Riesci a identificarlo?»
«Dovrebbe essere umano, trasmette nella
nostra lingua e usa le nostre frequenze.
Ecco il testo».
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Sono il professor Lepus.
Sono naufragato su questo mondo con
la mia famiglia.
Chiedo di unirmi ai passeggeri della
flotta. Queste sono le coordinate per
raggiungermi. Aiutatemi.
«Seguono le coordinate, è un pianeta del
terzo quadrante, primo settore».
Apollo fece il suo ingresso in plancia in
quel momento.
«Abbiamo terminato la ricognizione, padre. Non ci sono Cyloni qua intorno».
Il Comandante gli andò incontro.
«Ben fatto!» esclamò.
Gli poggiò affettuosamente una mano
sulla spalla e gli disse, con aria grave: «Figlio mio, abbiamo ricevuto una richiesta di
soccorso da persone che non appartengono
alla flotta. Dobbiamo recuperarli. Partirai
subito».
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«Persone che non appartengono alla flotta? Credevo che noi fossimo gli ultimi rimasti, cos’è questa storia?»
«Potrebbe essere una trappola dei Cyloni» disse il colonnello Tigh.
Adamo annuì.
«Potrebbero essere i Cyloni… ma se non
lo fossero? Il professor Lepus è un vecchio
amico, un colono ricercatore che credevo
morto. Se è veramente lui, non possiamo
abbandonarlo. Dobbiamo rischiare».
«Lo troveremo e lo porteremo sul Galactica!» tagliò corto Apollo.
«Bene. Andrete tu, Scorpion e Boomer,
con tre Vipers e uno Shuttle comandato da
Athena. Trovateli e salvateli. Ma muovetevi
con prudenza: se è una trappola, noi saremo
troppo lontani per aiutarvi».
Scorpion si era appena seduto al tavolo
da gioco. Accese un sigaro. Il mazziere distribuì le carte e lui le stillò con calma.
«Tremate, gente» ridacchiò col suo solito ghigno ironico «oggi sono in forma».
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L’altoparlante gli rovinò la festa.
Tenente Scorpion
immediatamente nell’hangar.
Tenente Scorpion immediatamente...
«Mai che si possa stare tranquilli… tenetemi il posto, torno subito».
Si alzò e si precipitò nel corridoio per
raggiungere l’hangar.
Poco dopo le bocche di lancio del Galactica sputarono due Vipers. Erano quelli destinati alla missione di ricognizione. I lanci
proseguirono. Uno Shuttle decollò e altri tre
Vipers sfrecciarono fuori da altrettante bocche di lancio, affiancandolo.
«Occhi aperti ragazzi, formazione a
triangolo» disse Apollo per radio.
«Oggi facciamo le babysitter. Athena, ti
senti sicura con noi?»
«Mi sento sempre al sicuro con te, Scorpion».
28
«Io sto in coda, vi guardo le spalle» aggiunse Boomer.
Il piccolo gruppo di astronavi si allontanò dalla flotta, obiettivo: quadrante tre, settore uno.
***
Il cielo di quel pianeta sconosciuto era
perennemente nuvoloso. lo Shuttle coloniale forò di prepotenza le nubi insieme a tre
frecce che gli volteggiarono agili intorno
mentre scendeva.
Sorvolarono una landa brulla e desolata
avvicinandosi sempre di più al punto indicato dalle coordinate. I resti di un’astronave
mercantile si scorgevano in mezzo a sabbia
e rocce. A breve distanza, costruito con parti del relitto, si vedeva un rifugio.
«Guardate» urlò Apollo via radio «ci sono
altri resti più a nord».
Era ciò che restava di un caccia dei Cyloni.
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«Ho visto Apollo, teste di latta anche
qui. Non mi piace per niente».
Atterrarono in uno spiazzo pianeggiante
vicino al rifugio. Athena rimase nello Shuttle, gli altri estrassero le pistole e avanzarono in silenzio con le armi in pugno.
Quando entrarono nel rifugio un essere
alto come un uomo, ma i cui particolari si
distinguevano male, essendo ancora in ombra, avanzò verso di loro. Portava la luccicante armatura di un Centurione Cylon.
L’inconfondibile Led rosso che scorreva da
destra a sinistra sulla sua faccia gelò Apollo. Dietro di lui, Scorpion non perse neppure un secondo e sparò.
Una vampata di scintille illuminò la
stanza e il Cylone rovinò all’indietro.
«No!
Fermi!
smettetela».
Cos’avete
fatto,
Un buffo ometto con barba e capelli
bianchi spuntò con le mani alzate. I tre abbassarono le pistole.
Da dietro le tende che servivano a dividere l’ambiente si fecero avanti anche quelli che dovevano essere i figli e la moglie.
30
Ma non erano soli: altri due Cyloni, freddi e
luccicanti, gli facevano compagnia.
«Il professor Lepus, immagino» disse
Apollo.
***
Più tardi, nello spazio, i Vipers in ricognizione avvistarono una grossa formazione
di caccia Cyloni in avvicinamento. Una
Base Stellare in appoggio faceva da nave
madre. Il comandante Adamo ordinò il contrattacco.
«Squadriglie uno, due e tre, lancio immediato! I mitraglieri alle batterie difensive, prepariamoci a riceverli».
Il colonnello Tigh gli si avvicinò.
«Ancora nessuna notizia da Apollo e
dalla sua squadra. Abbiamo perso il contatto radio e i sensori non li rilevano».
Lo sguardo del Comandante rivelava
preoccupazione e tristezza. Forse aveva
sbagliato a mandarli laggiù; magari erano
caduti in una trappola ed erano morti.
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Purtroppo tutto questo passava in secondo piano, anche la sorte di suo figlio. L’attacco dei Cyloni era una ben più drammatica novità per tutte le persone che si affidavano a lui. E i Vipers, numericamente inferiori, rappresentavano l’ultimo baluardo
contro quegli spietati nemici meccanici.
Forse la fine stava per arrivare.
Uno dopo l’altro, decine di caccia sfrecciarono fuori dal Galactica. Formarono un
discreto gruppo e puntarono dritti sul nemico. Il sergente Jolly parlò per primo: «Questa Scorpion se la perde, facciamogli vedere
di che pasta siamo fatti, ragazzi!»
«Sono con te, Jolly. Picchiamo duro!»
gli rispose un altro pilota.
I caccia Cyloni arrivarono in massa, sparando dardi di luce azzurra in ogni direzione.
Alcuni di loro cabrarono per non scontrarsi con i Vipers, altri virarono all’ultimo
momento, quando la pioggia di raggi rossi
li investì. Iniziò una schermaglia furibonda,
i caccia s’incrociavano continuamente, danzando tra le stelle.
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Un Viper si mise in coda a un Cylon
Raider e appena l’ebbe nel mirino elettronico aprì il fuoco. Il caccia, colpito in pieno,
esplose con una vampata, sparpagliando
una moltitudine di frammenti intorno.
Altri tre Cyloni vennero incontro proprio
al caccia del sergente Jolly, che non cambiò
direzione. I lampi mortali gli passarono accanto sfiorandolo ma non fu colpito. Sparò
deciso con i laser e il nemico al centro del
terzetto sparì in una fiammata. Pezzi di lamiera schizzarono ovunque.
Intanto, un caccia terrestre, tallonato da
un meccanizzato, tentava invano di sganciarsi.
«Non ce la faccio, ce l’ho sempre
dietro!» gridò il pilota.
«Arrivo, gli sono quasi addosso e lo
brucio!» disse Jolly, accorso in aiuto.
Troppo tardi, i primi colpi di laser andarono a vuoto, ma i successivi lo centrarono
e si disintegrò in una nuvola di scintille.
***
33
Sul pianeta, nel rifugio di fortuna, si
svolgeva una tranquilla chiacchierata.
«Come avete fatto a inviare la richiesta
d’aiuto? Da quando siamo atterrati abbiamo
perso ogni contatto col Galactica» disse
Apollo al Professore.
«C’è un forte campo magnetico intorno
al pianeta. Ho modificato il ripetitore e la
strumentazione di recupero che vedete. In
questo modo mi aggancio al campo magnetico e trasmetto con un segnale potenziato.
Serve una voce forte per farsi sentire».
Mentre parlava, armeggiava nel torace
del Cylone steso, fra fili, schede e microchip cercando di rianimarlo.
«Già chiedendo il vostro aiuto» continuò
«posso aver attirato l’attenzione dei nemici.
Non credo che sia una buona idea
insistere».
Boomer guardava i due Cyloni immobili.
«E... loro?»
«Geminion, Oberon e il povero Sagittarian che avete fracassato? Non vi preoccupate per loro, sono amici. Erano i piloti del
caccia distrutto qua fuori, che è precipitato
34
dopo averci abbattuti. L’avevo colpito dalla
torretta della mia nave».
«Come possono essere amici? Hanno distrutto le Colonie, sono spietati».
«È una lunga storia. Intanto, per rivalsa,
li ho chiamati con i nomi di tre Colonie che
hanno distrutto».
«Perché?»
«Perché sono convinto tutto può cambiare. Soprattutto se ci diamo da fare per aiutare gli eventi. Cambieremo noi, i Cyloni, le
Colonie... e forse anche la Terra, quando la
raggiungeremo».
Apollo stentava a credere ai suoi occhi.
Quello che chiamavano Geminion si era appena seduto al tavolo e giocava a Pyramid
con i figli di Lepus.
«Ma come avete fatto? Cyloni e uomini,
amici? È impossibile».
«No! Non è impossibile. Li ho infettati! E infettandoli era probabile che cambiassero. Voi vi chiederete: infettati con quale
virus? Con un virus potentissimo, vi rispondo io. Quel virus è l’umanità».
35
Apollo e gli altri si scambiarono occhiate
incredule.
«Quando i Cyloni distrussero le
Colonie» continuò sorridendo «io partii per
primo. Non aspettai la riunione della flotta,
che a voi fece perdere almeno qualche
mese.
Da quando mi sono messo in viaggio
alla ricerca della Terra lavoro a un progetto
per sconfiggerli senza usare le armi tradizionali. Come vedete però, sono stato abbattuto e sono rimasto bloccato qui, su questo pianeta insignificante. Per fortuna credono di avermi ucciso e nessun Cylone è
venuto a cercarmi, per ora. Qui ho avuto la
possibilità di lavorare sui piloti di uno dei
loro caccia. Erano a pezzi come il loro Raider, naturalmente, ma io con pazienza li ho
rimessi insieme e su di loro ho testato la
mia arma».
«Che sarebbe?» chiese curioso Apollo.
«Semplicemente la traduzione in programma di tutte le nostre emozioni. Paura,
malinconia, invidia, allegria, curiosità, affetto... ho inserito in loro tutto questo per
costringere i Cyloni ad assomigliare il più
possibile agli esseri umani, con i loro pregi
36
e i loro difetti. Il veicolo di trasmissione di
questo terribile virus è un segnale radio, codificato sulle linee di comunicazione meccanizzate».
«Incredibile. Ma come può funzionare
davvero?» disse Scorpion. La risposta gli
arrivò direttamente da Oberon, che si fece
avanti tendendogli la mano. Gli parlò con
voce elettronica.
Da Centurione a Umano, hai la mia
stima. Non ho più motivi per
combatterti. Non m’interessa più la
guerra di espansione.
Però, se spari ancora al mio amico, ti
uccido.
Alcune scintille scoccarono dal petto di
Sagittarian, che si scosse come fosse attraversato da una scarica elettrica. Il led che
faceva da occhio si accese e iniziò a scorrere regolarmente nella fessura dell’elmo. Il
centurione, lentamente si alzò.
«Ce l’ho fatta! Amico mio, sei di nuovo
tra noi!» urlò felice Lepus.
37
Più tardi, Athena vide uscire dal rifugio i
suoi amici, la famiglia di Lepus, e tre Cyloni al seguito.
«Non sparare, Athena, questi sono con
noi!» Urlò da lontano Apollo per evitare
che aprisse il fuoco. Il Professore portava
con sé la sua preziosa unità di memoria.
Dentro c’era il programma con i codici rubati.
Prima di salire sullo Shuttle salutò i robot.
«Sagittarian, Geminion, Oberon, torneremo a prendervi... prima dobbiamo spiegare
alla nostra gente i motivi del vostro cambiamento, altrimenti non capiranno e cercheranno di distruggervi».
Ti aspetteremo qui, Professore.
Solo, non metterci troppo.
***
38
Nello spazio infuriava la battaglia. I Raiders circondavano il Galactica come un nugolo di vespe, mentre le torrette difensive
sparavano in continuazione. Velocissimi
dardi rossi inseguivano i caccia Cyloni al
loro passaggio e alla fine li centravano disintegrandoli. Ma erano troppi, per dieci abbattuti altri venti arrivavano a rimpiazzarli.
Un meccanizzato centrò una torretta che
esplose in tanti pezzi incandescenti. Un Viper colpito di striscio perse il controllo, iniziò a roteare e si schiantò contro la struttura
esterna, causando altri danni.
«Non ce la faremo mai» disse Adamo
guardando la scena dalla plancia.
«Hanno iniziato ad attaccare le navi più
arretrate», disse Tigh, dietro di lui. «Il Celestra ha subito ingenti danni e il Colonial
Movers non riesce più a manovrare».
«Ordinate a tutti i Vipers di concentrare
l’azione difensiva sul retro della flotta. Che
lascino scoperto il Galactica, ci difenderemo solo con le torrette».
«Ma così saremo spacciati! Se cade, il
Galactica cade tutta la flotta!» osservò risentito il Colonnello.
39
«E se invece soccombe la flotta? Che
senso avrà il Galactica, da solo?»
Tigh aveva ragione, nessun capo militare
mette a rischio la sua unità principale. Piuttosto prima sacrifica le unità deboli. Aveva
ragione ma ci voleva fegato a sacrificare
navi cariche di civili, tra cui molte donne e
bambini.
«Tigh» disse Adamo «non posso abbandonare la nostra gente. I cannonieri riusciranno a fronteggiare il nemico con le torrette, ce la devono fare. E i Vipers difenderanno il resto della flotta. Non abbiamo
scelta».
«Sì, sono sicuro che ce la faranno» disse
il Colonnello.
***
La missione di salvataggio era di ritorno.
Ormai avevano alle spalle il pianeta e già
vedevano bagliori della battaglia nel punto
in cui si trovava la flotta.
40
«Sto chiamando su tutte le frequenze»
disse Apollo. «Non mi rispondono, devono
essere sotto attacco».
Alla fine arrivò un messaggio di risposta, dettagliato nella sua drammaticità.
«Siamo stati attaccati da ingenti forze
nemiche. Tenteremo di creare un corridoio
di sicurezza per farvi rientrare. Vi inviamo
le coodinate criptate. In bocca al lupo!»
«Avete sentito?» urlò Scorpion.
«Abbiamo sentito. Prepariamoci a ballare».
Shuttle e Vipers in formazione agganciarono il tracciato virtuale. La via del ritorno
era tutta in salita e lo sapevano.
Non ci misero molto ad arrivare e piombarono proprio in mezzo alla battaglia. Subito tre caccia meccanizzati, come vampiri
assetati di sangue, si misero in coda alla
loro formazione e iniziarono a bersagliare
lo Shuttle.
Boomer frenò e gli fu dietro, Scorpion
cabrando lo raggiunse. Aprirono il fuoco insieme e a colpi di laser li abbatterono uno
dopo l’altro.
41
«Coprite lo Shuttle» urlò Jolly via radio.
«Aiutiamoli a rientrare!»
«Grazie amico, avevamo giusto bisogno
di una mano».
«Ne ho proprio una libera, Scorpion».
«Ed io non avevo dubbi, al riguardo».
Lo Shuttle avanzava diritto verso l’ingresso della pista di rientro del Galactica,
mentre due Vipers gli rollavano intorno per
coprirlo il più possibile. I caccia Cyloni arrivavano da ogni parte. Lampi azzurri e rossi s’incrociavano illuminando lo spazio.
Apollo aprì una comunicazione diretta
col comandante Adamo.
«A bordo dello Shuttle c’è Lepus, padre.
Ha qualcosa d’importante con sé, lascialo
fare. Può cambiare le sorti dello scontro, è
la nostra ultima speranza».
Proprio in quel momento la navetta col
prezioso carico imboccò l’entrata dell’hangar e atterrò sulla pista. Dietro di essa due
caccia Cyloni che tentavano di autodistruggersi contro la struttura per far più danni
possibili, furono abbattuti al volo. Si tra42
sformarono in una nuvola di energia e poi
in pulviscolo luminescente.
La navetta si fermò in fondo all’hangar.
Il gruppo scese con Athena in testa e si affrettò con passo spedito verso la plancia.
Quando arrivarono, fu proprio lei a spiegare
al Comandante la situazione. Il Professore
illustrò il funzionamento della sua arma.
Non avevano più tempo a disposizione.
Molti Vipers erano stati distrutti e i danni
alla flotta erano sempre più seri e presto sarebbero diventati irreparabili.
Il Comandante autorizzò l’operazione,
anche se il Colonnello, dietro di lui, mostrava scetticismo.
Lepus inserì l’unità di memoria nel computer e digitò la sequenza che attivava il codice.
Fuori, oltre la vetrata della plancia, si vedevano continuamente passare i caccia e
lampeggiare i laser. A volte, un forte bagliore annunciava un’esplosione. E a volte,
era uno dei nostri a essere disintegrato.
43
«Ecco» disse il Professore, «stanno ricevendo il messaggio, che in realtà installa un
programma nel loro coordinatore di ordini».
Su uno dei tanti intercettori meccanizzati, i piloti parlarono con voce elettronica.
Nuovi ordini dalla Nave Madre.
Aprire un canale di comunicazione.
Canale di comunicazione aperto.
Fu l’inizio della fine. Nel giro di pochi
minuti i caccia Cyloni impazzirono. Ognuno Virò verso una nuova direzione. Smisero
di essere coordinati e iniziarono a viaggiare
in modo indipendente, qualcuno col proposito di mettersi in salvo. Altri proprio disinteressandosi di quello che stavano facendo.
L’individualismo, la paura e un po’ di
simpatia per gli umani, percepiti improvvisamente più vicini e più simili, furono la
causa principale della disfatta. Il novanta
percento della forza di aggressione disertò.
I pochi rimasti erano talmente confusi da
non rappresentare più un pericolo. Poco
dopo ci si accorse che anche la gigantesca
44
Base Stellare aveva interrotto tutte le sue attività. A bordo doveva essere scoppiato il
caos. Il Galactica e tutte le navi al seguito
lo superarono per andare oltre.
Gli umani avevano vinto la battaglia,
non certo la guerra.
«Questa volta ce l’abbiamo fatta» disse
Adamo osservando gli ultimi caccia Cyloni
in ritirata. «Alcuni di loro hanno imparato a
diventare umani. Ma presto saranno riprogrammati, o distrutti e sostituiti. Questa nostra mossa sarà elaborata e metabolizzata.
Un giorno, invece di un robot con l’anima
di un uomo, potremmo trovarci di fronte un
falso uomo con l’anima di un robot».
Dietro di lui, Lepus aveva appena estratto la sua unità di memoria.
«Può darsi, ma intanto per questa volta
abbiano salvato la pelle».
«Sì. E grazie a te, amico».
Il Professore sorrise e strinse la mano al
Comandante.
«Devo tornare a prendere tre amici» disse. «Qualcuno mi da un passaggio?».
45
Battlestar Galactica
Serie TV – Stati Uniti 1978
ideata da: Glen A. Larson
prodotta dalla Universal Pictures
46
Battaglie nella Galassia
Disperso
Della neve sporca cadde dagli alberi sulla testa di Scorpion. Odiava il freddo. Si
scrollò il ghiaccio dai capelli. Tirò fuori
l’ultimo sigaro dal taschino e lo accese. Il
suo Viper stava ancora bruciando. Forse la
cosa migliore era rimanere lì, per riscaldarsi.
E i Cyloni che l’avevano abbattuto? Non
voleva diventare un bersaglio troppo facile.
Decise che bisognava muoversi.
Certo che quelle maledette teste di latta
avevano migliorato la mira, ultimamente.
Si guardò intorno: era circondato dalla
foresta innevata. Senza tecnologia diventava un problema anche solo orientarsi.
«Mi hanno fregato! Questa non gliela
perdonerò mai». Tirò una boccata di fumo,
guardò la brace del sigaro e mormorò: «Per
fortuna ci sei tu a scaldarmi».
47
Accennò un sorriso beffardo e sfidò il
destino. Affondando nella neve fino alle ginocchia, iniziò a farsi strada tra i rami carichi di neve. La direzione? Una a caso.
***
Sul Galactica, il comandante Adamo e il
capitano Apollo seguivano le informazioni
sullo schermo del computer.
Pianeta Grontag,
territorio controllato dai Cyloni.
Clima: freddo.
Ambiente di tipo terrestre.
«Scorpion è ancora vivo, lo sento» disse
Apollo.
Il comandante Adamo era silenzioso. Era
logico rischiare una flotta per cercare un
uomo? No. Si rivolse a suo figlio con
espressione grave.
48
«Non possiamo provarci, Apollo. Le nostre navi devono andare avanti e i Cyloni
sono troppo vicini. Scorpion è da considerarsi morto».
«Non possiamo abbandonarlo così! Non
lo faremmo con nessuno dei nostri!» sbottò
Apollo.
Intervenne il colonnello Tigh: «È una
questione di carburante. Una missione di
soccorso non avrebbe autonomia per tornare, a meno che non ci fermiamo ad aspettarla. Questo però offrirebbe un grosso vantaggio al nemico. Un vantaggio che potrebbe
esserci fatale».
Apollo, con una smorfia stizzita abbandonò la plancia, furibondo.
***
Tre caccia Cyloni passarono sopra gli alberi a bassa quota. Il frastuono dei motori
provocò una forte vibrazione e fece cadere
molta neve. Scorpion, che si era gettato a
terra, li seguì con lo sguardo. Lo stavano
cercando.
49
«Non hanno altro da fare? Potrebbero
ungersi le giunture, o ricaricarsi le pile».
Udì un rumore. Lo scricchiolio di un
ramo che si rompe. Subito abbassò lo
sguardo sulla candida distesa che aveva davanti. Vide una specie di felino che lo fissava, due pupille rosse come fiamme vive e
una pelle verde in contrasto col bianco che
lo circondava.
Lentamente portò la mano al cinturone,
estrasse la pistola e si preparò a difendersi.
L’animale si voltò e corse via, dileguandosi tra la vegetazione. Il Tenente della
flotta, infreddolito nell’insufficiente uniforme coloniale, si alzò in piedi.
Qualcosa di più importante attirò la sua
attenzione. Dritto davanti a lui, in lontananza, si vedeva un fumo nero.
«C’è qualcuno laggiù. Beh, andiamo meglio. Almeno ora ho una direzione da seguire».
***
50
Apollo, seduto al posto di guida dello
Shuttle, azionò tutte le levette per l’accensione dei motori. Uno dei tecnici dell’hangar gli fece cenno attraverso il vetro che il
rifornimento era terminato. Posò a terra il
tubo e si allontanò.
«Come sarebbe a dire, la missione non è
autorizzata da tuo padre?» chiese Boomer,
accanto a lui.
«Non è autorizzata, ma mi prendo io tutta la responsabilità. Il Galactica ci aspetterà,
ne sono sicuro».
Sheba e Boomer, che avevano accettato
di seguirlo in quella che doveva essere una
missione di salvataggio, ora lo guardavano
perplessi.
«Che
c’è?
Scorpion?»
Volete
abbandonare
Certo che non lo volevano, ma non volevano neppure fare i cani sciolti.
«L’hanno colpito» disse Boomer. «C’ero
anch’io, ho visto l’esplosione... non credo
che ce l’abbia fatta».
Apollo non rispose e attivò i motori. Un
rombo scosse lo Shuttle. Il tunnel intorno a
51
loro fuggì all’indietro, velocissimo. Sembrava che fosse lui a muoversi. Alla fine davanti a loro non ci fu che il nero stellato
dello spazio.
In plancia, il colonnello Tigh fece rapporto.
«Comandante, una navetta ha lasciato il
Galactica senza autorizzazione. Al comando c’è il capitano Apollo».
Adamo guardava fuori, oltre la spessa
vetrata. La sua espressione era molto seria.
«Mio figlio ha messo in pericolo la flotta. E sta facendo tutto questo per un amico.
Che gli dei di Kobol possano aiutarlo».
«Ci fermiamo ad aspettarli?»
«No, proseguiamo».
***
Il fumo nero aveva un’origine. C’era una
ciminiera e una stazione di pompaggio,
macchine in funzione a ciclo continuo, centurioni Cyloni sparsi ovunque a guardia della struttura.
52
Scorpion, sdraiato sulla neve, osservava
il complesso lontano.
Un avamposto per l’estrazione del carburante, pensò, ecco come fanno a rifornire le loro Basi Stellari. Questo impianto
dev’essere il più avanzato. Distruggerlo
vorrebbe dire fermarli per un po’.
Sorrise. Hai fatto centro, Scorpion.
Iniziò a scivolare strisciando, con prudenza, attento a non farsi scoprire. Si chiese
se fosse in funzione qualche rivelatore termico. Con tutto quel freddo l’avrebbero
certamente individuato subito. Sperò solo di
essere scambiato per uno dei felini che aveva incontrato prima.
Quando arrivò all’obiettivo, si alzò in
piedi. Appoggiato di spalle alla parete d’acciaio della cisterna principale, pistola laser
in pugno, si affacciò per vedere meglio.
La voce elettronica dei Cyloni segnalò il
suo arrivo.
Attenzione, umano tenta di infiltrarsi.
Ordine primario: eliminarlo.
53
Sparare prima di parlare! Quelle teste di
latta non avevano ancora imparato la lezione. Scorpion si sporse e sparò. Ci furono
due lampi in sequenza dalla sua pistola e
due sui Cyloni che svoltavano l’angolo.
Con un’esplosione di scintille in pieno petto
andarono in pezzi.
Altri li oltrepassarono subito. La lamiera
della cisterna che gli faceva da scudo fu tagliata dal primo dardo di luce. Il metallo incandescente e il fumo lo obbligarono a ritrarsi.
Altri lampi lo bersagliarono inesorabili. I
centurioni erano una falange che avanzava
compatta.
Schegge e scintille lo ferirono. Corse indietro sparando. Ringraziò Kobol per quanto i Cyloni fossero imprecisi. Diversamente
sarebbe già morto.
Oltretutto erano anche lenti. La distanza
che accumulò in pochi secondi gli permise
di pensare.
Poi vide una grata per l’areazione dell’estrattore. Emetteva un caldo incredibile, ma
se fosse entrato là dentro non l’avrebbero
54
rilevato. Riuscì a smuoverla. Entrò e la
chiuse dietro di sé.
***
Il viaggio nello spazio durava da alcune
ore. Nonostante la velocità della navetta era
necessario parecchio tempo per raggiungere
il pianeta. Quando entrarono nell’atmosfera, Apollo fece scendere il velivolo e lo stabilizzò a bassissima quota, in modo da ridurre al minimo le possibilità di essere intercettati dai caccia Cyloni.
«Laggiù, guardate. Sono i resti del Viper. Cerco uno spiazzo per l’atterraggio»
disse.
La neve soffice si sollevò per lo spostamento d’aria. Il getto caldo dei retrorazzi ne
sciolse un po’ producendo un turbine di vapore acqueo. Finalmente il pesante velivolo
affondò in mezzo alla distesa bianca e si
fermò. Da dietro, scese il goffo cingolato,
che si diresse verso il relitto.
55
Boomer aprì di poco il portello e subito
il nevischio gli arrivò sulla faccia. Richiuse
subito.
«Che freddo tremendo! Per fortuna non
siamo a piedi».
«Scendiamo, dobbiamo ispezionare il
Viper e cercare tracce in giro» disse Apollo.
«Temevo che tu mi chiedessi questo».
Fu necessario un certo sforzo per avanzare in quella che ormai stava diventando
una bufera. Arrivarono al caccia. La carlinga era semidistrutta, il tetto dell’abitacolo
era sollevato. Sembrava che il pilota fosse
uscito indenne: non c’erano tracce di sangue in giro.
«È vivo! O almeno era vivo dopo lo
schianto. Cerchiamo le sue impronte».
«Aspetta, Apollo» gli disse Sheba afferrandolo per un braccio. «Prima prendiamo
sul cingolato le tute termiche. Qui la temperatura scende sempre di più».
«Giusto, andiamo».
Non fecero in tempo perché sentirono il
sibilo di un caccia Cylone. Li aveva indivi56
duati. Girò in cerchio sopra le sue prede per
un paio di volte.
«Presto! Ripariamoci!» urlò Boomer e si
gettò a terra.
L’intercettore scese in picchiata, iniziò a
vomitare i suoi raggi azzurri in sequenza.
Colpì neve, alberi e alla fine centrò lo Shuttle. Un’esplosione immane scagliò scintille
e parti metalliche tutto intorno.
Apollo, Sheba e Boomer, ancora sdraiati
a terra, alzarono la testa mentre detriti e tessuto bruciacchiato cadevano ancora.
«Attenti sta tornando!»
Il caccia fece un altro giro. Tornò con
una seconda picchiata senza risparmiare i
suoi laser. Lampi di luce colpirono ripetutamente il suolo sollevando spruzzi di neve e
tracciando l’obiettivo.
Anche il cingolato, colpito in pieno, saltò
in aria.
***
57
Scorpion smosse la grata. La situazione
sembrava tranquilla.
«Sembra che mi abbiano mollato. Dopo
tanto freddo un po’ di caldo ci voleva».
Sbirciò fuori. I centurioni l’avevano superato, non si sentiva rumore di ferraglia...
era il momento di muoversi.
Con cautela uscì dal nascondiglio e
avanzò lungo il corridoio, tenendo la pistola
comunque spianata davanti a sé.
Arrivò a quella che doveva essere la centrale comandi. Non si vedevano Cyloni in
giro. Era una cosa logica, del resto, le teste
di latta erano soldati, macchine per uccidere. Ma se erano macchine, che bisogno c’era di operatori o tecnici meccanizzati in una
stazione di estrazione meccanizzata? Sarebbero state macchine che facevano funzionare una macchina.
Forse tutto l’impianto era un Cylone, che
elaborava e prendeva decisioni sulle operazioni della raffineria.
Si trovò di fronte a pannelli e monitor
pieni di luci e diagrammi luminosi. Da
dove comincio per un sabotaggio? si chiese.
58
***
«Ho trovato le impronte!» gridò Sheba
da lontano. Boomer e Apollo arrivarono affondando nella neve ad ogni passo.
«Il caccia se n’è andato, forse credono di
averci eliminati insieme al cingolato».
«Meglio così, non avevamo possibilità
contro di loro».
Apollo si chinò sulle tracce.
«Sono impronte di stivali, è lui» disse.
Seguì con lo sguardo le tracce che andavano dritte verso l’orizzonte, in mezzo agli
alberi. Oltre la foresta ghiacciata si vedeva
una colonna di fumo nero.
«Ecco dov’è andato».
Mentre camminavano in quella direzione, un’ombra oscurò il cielo.
«Lassù, guardate!»
Un gigantesco doppio disco, pieno di
tubi, aggeggi tecnologici, rilievi, portelli e
59
grate avanzava sopra le nuvole, lungo
un’orbita bassa.
«Una Base Stellare!»
Una miriade di caccia uscì dalla parte
centrale del mostro. Scortavano due lunghe
navi cisterna.
«Che facciamo ora?» disse disperata
Sheba.
«Andiamo, non ci spaventerà certo qualche Cylone in più!»
Apollo sorrise alla battuta di Boomer.
Intanto Scorpion, nella fabbrica, si era
dato da fare.
«Ecco, credo di aver pasticciato abbastanza. Se funziona ancora dopo il mio trattamento, smetto di giocare a Pyramid».
Davanti a lui c’erano pannelli smontati,
fili strappati e schede elettroniche scollegate. Tutti i diagrammi e le spie luminose
lampeggiavano; di sicuro il sistema aveva
lanciato l’allarme. Bisognava solo sperare
che i danni fossero ingenti e magari non riparabili.
60
Il tubo sopra la sua testa esplose. Le
scintille e il calore lo fecero abbassare d’istinto. Si riparò dietro un macchinario e
vide i centurioni che arrivavano sparando.
Prese la mira e aprì il fuoco.
Colpì il primo. Ci fu un lampo abbagliante. Un braccio del mostro metallico si
staccò e cadde per terra in fiamme. Poi il
Cylone rovinò sul pavimento, scosso dalle
scariche elettrostatiche. Gli altri lo oltrepassarono e avanzarono.
Scorpion sapeva che doveva fuggire per
salvarsi e non perse tempo. La parete a vetri
davanti a lui dava su un corridoio esterno;
si alzò e gli si gettò contro. I frammenti del
cristallo infranto gli graffiarono la faccia
ma riuscì a passare oltre.
Senza girarsi verso gli inseguitori fece
appello alle sue membra doloranti e con
uno sforzo immane riuscì a rialzarsi e a saltare giù dal parapetto.
Molto sotto c’era la soffice neve ad attutire la caduta.
L’istallazione cominciò ad esplodere.
Forse era una reazione a catena, forse Scor61
pion aveva realmente fatto danni considerevoli. Oppure i Cyloni avevano una sorta di
procedura di sicurezza automatica: autodistruzione per strutture compromesse che sarebbero potute finire in mano agli umani.
Apollo, Sheba e Boomer sbucavano dagli alberi innevati. Davanti a loro c’era un
grande spiazzo con decine di caccia parcheggiati. Al centro, la grossa fabbrica
estrattrice in fiamme, devastata da continue
esplosioni. In cielo videro la Base Stellare e
le navi cisterna ancora in fase di atterraggio. Moltissimi caccia in aria volteggiavano
impazziti.
«Guardate! Quello laggiù sdraiato ai piedi della struttura è Scorpion» urlò Apollo.
Non persero tempo e, con quell’apocalisse che faceva da sfondo, affondando nella
neve, corsero in soccorso del loro amico.
Attacco umano.
Struttura estrattiva perduta.
Analisi termica della zona. Individuare e
distruggere.
62
I Cyloni non erano abituati alla guerriglia. Agivano in modo logico, sacrificando
tutti i rami secchi. Nessuna macchina portò
aiuto a quelle che stavano saltando in aria
una dopo l’altra.
L’incendio delle cisterne di carburante
fece esplodere la fabbrica con un boato assordante.
Scorpion fu portato in salvo all’ultimo
momento.
«Presto, tutti dentro uno di quei caccia!
Credo di riuscire a pilotarlo» gridò Boomer.
Quando furono a bordo e dopo aver
chiuso il portello, Apollo si rivolse a Sheba.
«È vivo?»
«Sì, ma ha perso molto sangue. Dobbiamo tornare in fretta sul Galactica».
«Tranquilla,
Boomer?»
ci
torneremo.
Vero
«Ci provo».
L’intercettore si accese, i motori a getto
lo staccarono dal suolo, poi indietreggiò urtando contro un altro caccia. Il pilota si ri63
prese tentando di andare avanti... ne urtò
ancora un altro.
Finalmente Boomer capì la differenza
nei comandi rispetto a un Viper e accelerò,
riuscendo a decollare e a salire di quota.
«Ce l’ho fatta! Stiamo volando!»
Sfrecciando a velocità incredibile il caccia salì ancora, finché il cielo azzurro davanti divenne nero quando uscirono dall’atmosfera.
Apollo si voltò e vide una squadriglia di
almeno dieci caccia Cyloni che arrivavano
a tutta velocità.
«C’inseguono, li abbiamo fatti arrabbiare!»
«Cerco di rollare per schivare i loro colpi».
La pioggia di lampi arrivò puntuale ma
Boomer riuscì ad eluderne molti. A bordo,
nausea e terrore pervasero tutti.
Un colpo prese l’ala di striscio. Videro le
scintille e sentirono lo scossone.
«Questo era vicino! Non so se ne reggeremo un altro».
64
Scorpion si era ripreso.
«Grazie ragazzi per avermi salvato!» e
aggiunse ironico «Adesso salteremo in aria
tutti insieme».
Come angeli guerrieri, i Viper irruppero
frontalmente illuminando il nero dello spazio. Era la squadriglia blu al completo.
Quasi subito innumerevoli lampi rossi tagliarono come lame il vuoto assoluto. Apollo si affrettò a comunicare la situazione.
«Apollo a squadriglia blu. Non colpite il
primo caccia che vi viene incontro, ci siamo
noi sopra!»
«Apollo? Sono Jolly, allora ce l’avete
fatta! Siete tutti salvi?»
«Tutti!
copriteci».
E
vorremmo
rimanerci,
«Consideralo già fatto, amico».
Il velivolo fuggiasco s’infilò diritto nello
stormo di Viper, che si spostarono di lato
per farlo passare e poi richiusero la formazione andando incontro al nemico.
65
«Jolly: questi sono solo dieci, ma dietro
al pianeta c’è una Base Stellare con più
squadriglie in appoggio. Sono in superiorità
numerica».
«Capita la sfumatura, Apollo. Colpiamo
e ci ritiriamo».
La schermaglia fu veloce: dieci intercettori non potevano fare molto contro tutta la
squadriglia blu. Centrati da un’incredibile
mole di fuoco, subito tre caccia Cyloni
esplosero. I Viper superarono i nemici, cabrando per prenderli in coda.
Jolly ebbe quasi subito un caccia nel mirino e aprì il fuoco con i laser. Qualche colpo andò a vuoto, ma poi lo colpì. Il caccia
esplose irradiando intorno schegge e scintille. Gli altri arrivarono alle spalle dei nemici
e li martellarono con i laser abbattendoli
uno dopo l’altro. I Cyloni furono annientati.
La squadriglia blu si raggruppò e rientrò.
Sulla plancia del Galactica, alcune ore
più tardi, Adamo aspettava suo figlio per il
rapporto.
66
Quando Apollo entrò, tutti interruppero
quello che stavano facendo e rimasero in silenzio.
«Padre, sono io l’unico responsabile per
l’uscita con lo Shuttle. So di aver disubbidito a un ordine».
Il Comandante lo guardava in silenzio.
Anche lui aveva disubbidito a quell’ordine.
Al suo ordine! Aveva fermato la flotta per
aspettarli ed era felice di averlo fatto.
«Ho saputo che Scorpion ha sabotato i
loro depositi di carburante, obbligandoli a
fermarsi. Questo ci darà un grosso vantaggio».
«È un ottimo combattente, padre. Ha fatto tutto da solo».
«Mi sbagliavo. Ho pensato solo al calcolo delle probabilità e ho tralasciato il potenziale individuale che ognuno di voi ha. La
sua azione ha ribaltato le sorti del conflitto,
almeno per il momento. Andrò in infermeria per ringraziarlo, a nome di tutti. Oggi
avete vinto un’importante battaglia e il merito è solo vostro».
Il Comandante si avvicinò al capitano
Apollo e, con una forte stretta, lo abbracciò.
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Battlestar Galactica
Serie TV – Stati Uniti 1978
ideata da: Glen A. Larson
prodotta dalla Universal Pictures
68
Spazio 1999
Il Parassita
L’Aquila 1 rientrava dalla missione
esplorativa. Alle sue spalle, il misterioso
pianeta azzurro percorso da striature gialle
brillava prepotente, era l’ennesimo sfiorato
dalla Luna durante la sua folle corsa nello
spazio.
Sulla Base Lunare Alpha, nella Sala
Comandi, il comandante John Koenig fissava serio lo schermo principale. Stranamente, l’Aquila era scomparsa alla vista dei
sensori interrompendo ogni contatto per alcune ore e adesso, senza una spiegazione,
era ricomparsa.
Paul Morrow, seduto alla sua postazione,
tentò ancora una volta di ristabilire il contatto video. Ebbe successo.
Le interferenze sul monitor si diradarono
lasciando intravedere il volto di Alan Carter.
«Carter, riesce a sentirmi?» tuonò Koenig pieno d’impazienza.
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L’immagine divenne nitida, Carter apparve euforico.
«È tutto a posto Comandante, abbiamo
attraversato una tempesta e credo che la
densità delle nubi abbia provocato il blackout, ma ora riesco a vedervi e a sentirvi
benissimo».
«Cosa è successo laggiù? Siete riusciti a
scendere?»
«Sì Comandante. Siamo scesi come previsto, è un mondo bello come la Terra».
«Quando abbiamo perso il contatto con
voi, quel pianeta ha cambiato per ben due
volte il colore della sua atmosfera. È molto
strano. Che mi dice dei campioni, li avete
raccolti?»
«Abbiamo tutto. Laggiù è meraviglioso,
Comandante. Non vedo l’ora di andarci a
vivere!»
Il professor Victor Bergman, che fin’ora
aveva osservato senza parlare, raggiunse il
computer da cui fuoriusciva la striscia di
carta appena stampata. Esaminò velocemente l’elaborato, poi si avvicinò a Koenig.
«John, tutti i dati inviati al computer
sono positivi. Possiamo dare inizio all’Operazione Exodus».
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«Prima voglio un’analisi di quei campioni, Victor. Non dobbiamo rischiare. Se abbandoniamo Alpha non devono esserci
brutte sorprese».
«Ti riferisci al cambiamento di colore
delle nuvole, vero?» il professore tamburellò le dita sulla tempia. «Effettivamente è
strano. Eppure, secondo il computer, si tratta di un fenomeno di rifrazione sui vapori
esterni dell’atmosfera».
«Abbiamo ancora quindici ore prima di
superare il pianeta. Non sono molte ma devono bastare per indagare e, se vale la pena,
per dare inizio all’Operazione Exodus».
«Ci lavorerò su, John. Sono convinto che
il computer non possa sbagliare, ma ti assicuro che controllerò tutte le possibili varianti».
«Bene, Victor» John sorrise soddisfatto,
poi tornò a occuparsi di Carter che, attraverso lo schermo, aveva assistito alla conversazione. «Esamineremo quei campioni,
Carter. E se quel mondo risulterà adatto a
ospitare gli esseri umani ci andremo ad abitare».
«Io potrei tornarci anche subito, Comandante» fu la battuta di Carter «Quindi fac71
ciamo in fretta e non lasciamoci sfuggire
quel paradiso».
Fu in quel momento che la porta scorrevole della Sala Comandi si aprì e Alan Carter entrò, barcollando. Sembrava uno che si
era appena ripreso da una sbornia. Avanzò
verso i presenti, eppure nessuno sembrò curarsi di lui. Nessuno parve far caso ai due
Carter identici: uno nello spazio, alla guida
dell’Aquila 1 e l’altro lì, sulla Base Lunare
Alpha.
Il Comandante, invece, inorridì.
«Carter!» gridò quasi per reazione istintiva e, incredulo, si voltò a guardare lo
schermo; poi tornò a guardare l’uomo confuso che aveva di fronte. Infine osservò tutti
gli altri, calmi come se non fosse successo
niente di strano.
Il professor Bergman gli si avvicinò, stupito: «John, che ti succede? Sembra che tu
abbia visto un fantasma».
«Victor... non lo vedi? Come fai a non
vederlo?»
«Chi dovrei vedere?»
Koenig si rivolse a tutti, visibilmente alterato: «Nessuno di voi lo vede, qui
dentro?» gridò fuori di sé «Siete diventati
ciechi?»
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Morrow, Bergman, Sandra Benes, ciascun membro della Sala Comandi lo squadrò con sospetto, temendo che fosse impazzito.
John si avventò su Carter, lo afferrò per
le spalle e lo scosse.
«Carter! Riesce a spiegarmi cosa sta succedendo? Lei è qui e a bordo dell’Aquila 1,
come è possibile?» indicò deciso lo schermo «Guardi!»
Proprio quando Alan alzò la testa un disturbo cancellò l’immagine. «Cosa... cosa
devo guardare, Comandante?» scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee. «Io... io
non sono sicuro di sentirmi bene».
Paul Morrow tentò l’impossibile sulla
sua consolle per ripristinare il collegamento, ma senza esito.
«La comunicazione si è interrotta, Comandante».
Koenig non badò a lui, non badò agli altri. Tenne gli occhi fissi sulla faccia di Carter e non mollò la presa. Carter abbassò lo
sguardo, rifletté su quanto gli era accaduto;
poi, lentamente parlò.
«Ora ricordo... mi sono svegliato per terra, non so come sia arrivato là... c’era quel
tentacolo attorno al mio collo, ma a un certo
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punto mi ha lasciato. Non so perché, forse
per qualche ignoto motivo si è indebolito».
«Quale tentacolo? Che sta dicendo?»
Koenig spostò di poco Carter verso il professore.
«Victor! Alan è qui davanti a me, come
puoi non vederlo?»
«Non lo vedo, John... perché non c’è.
Forse sei vittima di allucinazioni».
Vittima di allucinazioni. John Koenig
era sicuro di non essere pazzo, ma si rese
conto di essere solo. L’unica persona con
cui valeva la pena di parlare per venire a
capo di quell’incubo era Carter, quindi
ignorò gli altri.
«Alan, può dimostrare quello che dice?»
«Posso mostrarle il tentacolo, venga con
me».
«Paul, prenda lei il comando».
«Sì, Comandante».
«Andiamo!». Koenig e Carter si avviarono fuori dalla Sala Comandi.
«John, dove stai andando?» la domanda
del professor Bergman non ebbe risposta,
davanti a lui si chiuse inesorabile la porta
scorrevole appena furono usciti.
Poco dopo entrarono nel travel tube
sotterraneo per il collegamento alle sezioni
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più lontane di Alpha e partirono diretti agli
hangar delle Aquila. Nessuno dei due parlava, ma si guardavano seri, quasi con sospetto. Nella testa di Koenig frullavano mille
dubbi su quello che stava facendo e iniziò a
chiedersi se quell’uomo che aveva davanti,
ottimo pilota e amico, era veramente chi diceva di essere. Per un attimo temette di essersi chiuso lì dentro insieme a un essere
inumano che per qualche inspiegabile ragione era apparso su Alpha assumendo l’aspetto di Alan. E che adesso avrebbe potuto
ucciderlo. Lentamente portò la mano al laser, nella fondina, e si preparò a difendersi.
«Comandante...» disse Alan avvicinando
la mano alla sua nuca.
Koenig estrasse il laser e si mostrò minaccioso, pronto a sparare.
Carter esitò, attese che l’altro riacquistasse fiducia in lui e rafforzò con un sorriso il più amichevole possibile. Poi, con prudenza, toccò qualcosa che stava attaccato al
collo di Koenig.
«Ha perso forza. Come è successo con
me. Ho cominciato a vederlo solo ora».
Anche Koenig iniziò a vederlo, sembrava un tentacolo, ma aveva la consistenza
della corteccia e diventava sempre più visi75
bile. Con un gesto di stizza lo allontanò da
sé e lo vide ritirarsi fino a scomparire nella
parete. Ripose il laser nella fondina.
«Cosa diavolo era?»
«Non lo so, Comandante. Ma sta succedendo qualcosa di strano e almeno noi due
avevamo un parassita attaccato addosso».
«Anche il tentacolo che voleva mostrarmi, probabilmente si sarà ritirato come questo».
«Probabilmente».
«Un momento... non lo vedevamo prima,
ma c’era e finché ci stava addosso riusciva
a ingannare i nostri occhi».
«Forse ci riesce comunque, forse continua a ingannare ogni membro della Base».
«Questa è l’unica certezza che abbiamo». La luce che indicava il movimento del
travel tube si fermò, segno che erano arrivati. Koenig si alzò in piedi e col commlock
aprì la porta scorrevole, poi si precipitarono
nel corridoio.
Si avventò sulla prima colonna per le comunicazioni che incontrarono e digitò un
comando. Sgranò gli occhi per lo stupore.
Sul monitor si vedeva l’Aquila 1, ferma nel
suo hangar, spenta e inutilizzata.
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«Non... non è mai partita. Abbiamo solo
creduto di vederla partire e qualcuno ci ha
indotto a crederlo».
«Io dovevo essere alla guida» disse Alan
«per questo quel qualcuno mi ha tenuto fuori gioco, ma deve essergli andata storta e mi
sono svegliato».
«Carter, attivi l’elevatore. Dobbiamo
fare in modo che la nostra gente si svegli!
Faremo uscire l’Aquila 1 sulla rampa, quando dalla Sala Comandi la vedranno sarà
chiaro a tutti che l’altra è falsa».
«Bene».
«Io andrò alla Sezione Medica, forse
Helena è ancora in sé e può darmi un farmaco utile contro le allucinazioni».
I due si divisero. Carter prese il corridoio di destra, nel settore successivo avrebbe
potuto controllare l’elevatore manualmente.
Koenig, invece, prese il corridoio a sinistra,
che portava alla Sezione Medica.
Aprì la prima porta scorrevole col
commlock e si trovò di fronte la dottoressa
Russell. Fu sorpreso, ma poi ripensò al suo
comportamento in Sala Comandi e fu certo
che Morrow, prendendo il comando della
Base, avesse ritenuto opportuno allertare i
medici e forse anche la sicurezza.
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La osservò bene, non aveva tentacoli
legnosi addosso, o forse ce li aveva e a lui
serviva del tempo per riuscire a vederli,
perché era ancora preda latente del mostro.
Le disse tutto. Non aveva tempo da perdere, la falsa Aquila 1 si avvicinava sempre
più ad Alpha e servivano alleati per fronteggiare l’incombente pericolo. Purtroppo il risultato fu alquanto deludente. Negli occhi
di lei lesse solo incredulità.
«John, non stai bene. Io posso aiutarti».
«Helena, devi credermi! Siamo minacciati. Alan me li ha fatti vedere, sono qui tra
noi».
«No, John. Alan sta tornando, è alla guida dell’Aquila 1, l’abbiamo visto tutti partire. Ascoltami, Victor mi ha detto che ti
comporti in modo strano. Credo che abbia
ragione, lascia che faccia dei controlli su di
te».
Era tutto inutile, Koenig si rese conto
che non poteva convincerla. Abbassò lo
sguardo e le voltò le spalle.
«Non seguirmi» col commlock aprì la
porta scorrevole ed entrò nel corridoio da
cui era venuto. Lei fu per dire qualcosa, ma
la porta le si chiuse davanti.
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Koenig seguì il percorso a ritroso e imboccò il corridoio attraversato da Carter. Lo
trovò non molto lontano, oltre la seconda
porta, per terra con gli occhi sbarrati. Si
muoveva appena e aveva un tentacolo che
gli stringeva il collo. L’avevano ripreso.
«Carter! Si svegli!» cercò di toglierglielo, ma sembrava impossibile. Aveva la
resistenza di una quercia e per quanti sforzi
facesse, non riusciva a muoverlo di un centimetro. Alzò lo sguardo seguendolo fino al
soffitto, dove sfumava. Furioso impugnò il
laser deciso a reciderlo con la forza.
«John...» si voltò e vide Helena, l’aveva
seguito fin lì.
«Devi venire con me al Centro Medico,
è per il tuo bene». Dietro di lei si aprì ancora la porta scorrevole ed entrarono gli uomini della sicurezza.
Mentre si avvicinavano vide con terrore
che in tutti, da dietro il collo, partivano quei
cordoni legnosi che salivano verso il soffitto e anche Helena ne aveva uno.
Tentò un diversivo.
«Va bene Helen, verrò con te».
Mentre gli uomini della sicurezza
avanzavano, coperto dietro la dottoressa, regolò il laser su stordimento. Poi con una
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mossa fulminea aprì il fuoco. Uno dopo
l’altro caddero a terra tramortiti.
«Fermati John» lo implorò lei.
Lui le puntò contro il laser, ma non se
la sentì di sparare, abbassò l’arma, si voltò
e corse via.
Ebbe una scena orribile davanti a sé
mentre attraversava il settore successivo
della Base. C’erano quei tentacoli vegetali
ovunque, scendevano dall’alto intersecandosi e generando una specie di giungla.
Erano attaccati a persone sdraiate sul pavimento, e queste pareva che sognassero. Forse tutti quelli che avevano interagito con lui
erano stati attivati al momento opportuno
dal mostro. Forse prima di vedere il doppio
Alan anche lui in Sala Comandi era stato
sdraiato a sognare. Forse.
Qualcuno dei sognanti, al suo passaggio
si attivò, volse lo sguardo verso di lui, ma
chissà quale immagine ingannevole gli arrivò nel cervello. Koenig non perse tempo
cercando di svegliare i sognanti, proseguì in
mezzo a decine di rami tentacolati e si accorse che potevano essere attraversati, erano incorporei. Si chiese perché in altri momenti erano risultati duri e legnosi, ma non
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seppe trovare una risposta che avesse un
senso.
Era evidente che l’entità aliena, il mostro che minacciava gli Alphani non era ancora sulla Base, altrimenti che senso avrebbe avuto far tornare la falsa Aquila? Quei
tentacoli erano un controllo mentale a distanza per preparare la strada all’invasione.
Koenig giunse in un corridoio deserto,
chiuse la porta scorrevole dietro di sé, si avventò sulla colonna per le comunicazioni e
accese il video. Si vedeva l’Aquila 1 che atterrava sulla rampa sollevando una nuvola
di polvere lunare. Non c’era più tempo, il
mostro era arrivato per finire le sue prede!
Doveva fare qualcosa.
L’immagine sul monitor cambiò e apparve il volto di Paul Morrow.
«Attenzione, il comandante Koenig è
impazzito, è molto pericoloso, bisogna fermarlo a tutti i costi».
John Koenig, stizzito, spense il video e
fu la sua fortuna perché sullo schermo spento vide riflesso il tentacolo che gli arrivava
da dietro per avvolgergli il collo. Reagì d’istinto, alzò il braccio, impedì la manovra e
si trovò a lottare disperatamente. Con la
mano ancora libera fece saltare la grata di
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areazione dei circuiti sulla colonna. Poi tirò.
Trasse a sé il tentacolo. Fu uno sforzo immane, ma riuscì a infilarlo fra collegamenti
elettrici e microchip. Ne scaturì una fiammata, scintille schizzarono ovunque. Gli
sembrò di udire un urlò che non aveva niente di umano. Il ramo tentacolato abbandonò
la presa e si ritrasse svanendo nel soffitto.
Esausto per la lotta, Koenig, si afflosciò
appoggiato alla colonna, sua involontaria
salvatrice. Attese qualche minuto. Quando
sentì le forze che tornavano, lentamente si
alzò e riprese a correre verso la rampa, forse era ancora in tempo.
L’Aquila 1, intanto, era atterrata. Il suo
equipaggio era sceso e calpestava il suolo di
Alpha.
John Koenig irruppe nel corridoio che
arrivava dalla rampa, erano presenti il professor Bergman e la dottoressa Russell insieme ad altre persone, tra cui alcuni uomini della sicurezza. Vide il falso Alan Carter
che veniva avanti insieme al suo copilota.
Quasi subito vide svanire il copilota, era
solo un’illusione.
«Comandante, c’è qualcosa che non
va?» disse con un ghigno sinistro il falso
Carter, e aumentò il passo. Koenig non gli
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rispose, subito mirò agli uomini della sicurezza e li tramortì col laser. Poi regolò la
potenza al massimo. Per “uccidere”. E puntò l’arma. Purtroppo in quel momento gli
arrivarono addosso altri uomini, dovevano
fermarlo, lo credevano pazzo. Riuscirono
ad atterrarlo, il laser gli sfuggì di mano e
con presa ferrea lo tennero fermo.
Ormai bloccato senza alcuna possibilità
di liberarsi fu sopraffatto dalla disperazione; tutti quelli che gli stavano intorno avevano un tentacolo che li controllava. Si rivolse a Bergman, la sua ultima spiaggia.
«Victor! Siamo stati invasi! Quello non è
Alan, siamo in pericolo! Devi credermi».
Ma il professore rimase scettico e lo guardò
con compassione.
Carter arrivò a pochi metri da loro. Aveva un’espressione di vittoria talmente forte
stampata in faccia da stupire perfino gli uomini che bloccavano il Comandante. Gradualmente allentarono la presa.
John Koenig si divincolò dalla stretta
che lo imprigionava, raggiunse il laser, lo
impugnò e aprì il fuoco sul bersaglio.
Investito dalla scarica energetica, il falso
Carter si incendiò. Perse il controllo delle
sue vittime e rivelò la sua vera forma. So83
migliava ad un albero ma aveva aspetto
umanoide. Dalla sua testa partivano i tentacoli, simili a tante radici che si moltiplicavano all’inverosimile per poi svanire nel
nulla.
Bruciò lanciando un grido disumano che
scosse Alpha, arrivando in ogni sezione, in
ogni corridoio, in ogni stanza. In pochi secondi la creatura si consumò.
Poco dopo la gente cominciò a svegliarsi, alcuni uomini accorsero con gli estintori
per domare il fuoco. Bergman aiutò Koenig
ad rialzarsi.
Helena era frastornata, usciva in quel
momento da un sogno, come tutti.
«John, cosa ci è successo?»
«È tutto finito Helena, tutto finito».
In Sala Comandi Paul Morrow vide con
la coda dell’occhio uno strano tentacolo legnoso, che lo lasciò libero, si agitò nell’aria
e si dissolse. Tornò a guardare lo schermo
davanti a lui, l’Aquila 1 sulla rampa non
c’era più. Al suo posto troneggiava minacciosa un’astronave aliena, orrenda e irregolare. Qualcuno li stava attaccando. Subito
azionò l’allarme.
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Space 1999
Serie TV – Regno Unito, Italia. 1975-1977
ideata e prodotta da: Gerry Anderson
Sylvia Anderson e Fred Freiberger
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L’autore
Marco Alfaroli nasce a Livorno nel 1968
e vive a Pisa, dove coltiva ormai da anni le
sue passioni: la scrittura e l’illustrazione.
È un autore che predilige la fantascienza e
il fantasy. Ha pubblicato il romanzo Archon
(Runa Editrice 2013), la serie di 24 racconti “Schegge dallo spazio” (2014) e il
racconto “Lotta contro il tempo” (2015).
Ha illustrato, insieme ad altri disegnatori,
il gioco di ruolo “L’Era di Zargo” (Raven
2014), ispirato al famoso gioco da tavolo
Zargo’s Lords. Ha illustrato copertine per
altri autori, collaborando con Letture Fantastiche e Edizioni Imperium.
Con Edizioni Imperium ha pubblicato i
racconti: “Firefighter” (2013), “Stazione
rifugio Idra” (2013), “Firefighter Forever”
(2014), “Gannikar” (2015), “Firefighter
the last mission” (2015), e la graphic novel
“Pianeta Blu” (2015) in collaborazione
con lo scrittore Diego Bortolozzo.
Sull’antologia NASF 11: io Alieno
(2015) c’è il suo racconto “Questione di
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vita o di morte” e sull’antologia Scritture
Aliene 7 (2016) il racconto “Vasi comunicanti”.
Per finire, essendo un fan di Star Wars,
collabora come illustratore con Yavin 4.
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