La responsabilità per l`esercizio di attività in outsourcing

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La responsabilità per l`esercizio di attività in outsourcing
Dipartimento di Scienze giuridiche
CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa
La responsabilità per l’esercizio di attività
in outsourcing
Filippo Parrella
ottobre 2008
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sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione
1. – Lo scenario normativo. Il ricorso all’outsourcing per lo svolgimento di
funzioni aziendali e di fasi dell’impresa rappresenta una prassi diffusa presso gli
intermediari, che la disciplina soprattutto di rango secondario ha assecondato
con modalità tese a ricondurre il fenomeno entro argini ritenuti compatibili con
l’obiettivo di tutela dell’integrità dei mercati finanziari.
Nel comparto bancario e creditizio la Banca d’Italia ha manifestato
interesse per il fenomeno a partire da un’indagine statistica condotta su un
campione di 279 banche, i cui risultati sono stati pubblicati nel Bollettino di
vigilanza della medesima Autorità, n. 10/1999, p. 64. Da tale indagine è risultato
che il 95,7% delle banche intervistate aveva esternalizzato funzioni aziendali
non informatiche a soggetti terzi, giuridicamente autonomi, alcuni dei quali
inseriti nel gruppo bancario di appartenenza (o prossimi all’inserimento nel
gruppo), e altri indipendenti (per accrescere la qualità del servizio alla clientela e
per ridurre i costi).
Sulla scorta dei dati acquisiti al 31 dicembre 1988, l’esternalizzazione
aveva riguardato le funzioni ausiliarie (84,5%) e amministrative (86,7%), quelle
strategiche e di controllo (54,1%) e quelle di business, ripartite in area finanza
(42,6%) e area crediti (28,6%).
Più in particolare, la scelta dell’outsorucing era stata compiuta, con riguardo
alle funzioni ausiliarie, prevalentemente per l’espletamento del servizio di
trasporto valori, per la gestione degli strumenti di pagamento elettronici e per i
servizi di economato e di gestione degli archivi, e, con riguardo all’area
amministrativa, per alcune fasi dell’attività di back office (data-entry, lavorazione
degli assegni, trattamento degli effetti), per l’attività di custodia dei titoli e per
alcune fasi della gestione amministrativa del personale (imbustamento stipendi,
spedizione corrispondenza, etc.).
Nell’area strategica e di controllo il fenomeno si era concentrato
prevalentemente nelle fasi di selezione e formazione del personale, nel ricorso a
legali esterni e nell’attività di promozione dei prodotti e servizi della banca; in
piccola parte (poco più del 10% dei casi) aveva riguardato anche funzioni
posizionate ad uno stadio più alto della struttura aziendale, quali quelle di
controllo di gestione e di pianificazione strategica, nonché l’attività di
ispettorato / internal auditing.
Nell’area finanza e crediti il fenomeno aveva interessato la gestione della
riserva obbligatoria e, in misura minore (tra il 10 e il 13%) l’affidamento a terzi
della gestione del portafoglio titoli di proprietà della banca, della gestione di
portafogli per conto della clientela e dell’attività di credito al consumo. Per
quest’ultima attività, in particolare, le fasi del processo del credito che
risultavano maggiormente coinvolte nell’outsourcing erano risultate il credit scoring,
il controllo andamentale e il recupero crediti (quest’ultimo oggetto di
esternalizzazione diffusa a tutte le tipologie di credito).
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L’indagine sui progetti da realizzare entro il 2000 aveva confermato i dati
suddetti, salva una maggiore attenzione, nell’area finanza, alla esternalizzazione
delle funzioni di gestione dei rischi di liquidità e di tasso nonché dei rischi di
mercato.
In seguito, la Banca d’Italia ha dettato disposizioni per la disciplina
dell’esternalizzazione della funzione di internal audit (in Bollettino di vigilanza, n.
1/2001, p. 29, e, quindi, nelle Istruzioni di vigilanza per le banche, tit. IV, cap.
11, sez. II, par. 3), dell’attività di call center (in Bollettino di vigilanza, n. 10/2001, p.
10) e dell’attività dello sportello bancario, ivi compresa l’esecuzione delle
disposizioni operative impartite dai clienti nell’ambito di rapporti contrattuali
già instaurati con la banca committente nonché di servizi e operazioni relativi ai
conti correnti, alla prenotazione di valuta estera e alla richiesta di assegni
circolari o di carte bancomat o di carte di credito (in G.U., 21 agosto 2002,
Serie generale n. 195, p. 61).
Le predette Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia contengono tutte
l’invito alle banche ad adottare particolari cautele sin dalla stipulazione del
contratto di outsourcing, al fine di contenere i rischi operativi, legali e di
reputazione che possano derivare dalla scissione tra la responsabilità, che si
vuole rimanga in capo ai vertici aziendali della banca esternalizzante, e lo
svolgimento della funzione o dell’attività esternalizzata da parte di altri soggetti.
Con riguardo, in particolare, all’esternalizzazione dell’attività di sportello, la
Banca d’Italia ha richiesto, fra l’altro, che «i contratti con la clientela precisino
che la banca committente si può avvalere, per lo svolgimento delle operazioni
specificamente indicate, del servizio reso da altra società, ferma restando in ogni
caso la responsabilità - esclusiva o in solido con il soggetto incaricato - della banca medesima».
Resta esclusa la possibilità per le banche di esternalizzare il processo di
valutazione del merito di credito della clientela, in cui si identifica l’essenza
dell’attività bancaria.
Analogamente, nei riguardi degli intermediari finanziari non bancari, la
Banca d’Italia ha dettato, nel dicembre 2007, apposite Istruzioni di vigilanza
(parte prima, cap. VI, parr. 5 e 6) con le quali ha disciplinato l’esternalizzazione
tanto delle funzioni di controllo (internal auditing, risk management e compliance) o
di altre funzioni aziendali, quanto dell’attività di distribuzione dei prodotti e dei
servizi, fermo restando il principio secondo cui «la valutazione del merito
creditizio è di esclusiva competenza dell’intermediario».
Nel comparto assicurativo il fenomeno dell’outsourcing è stato disciplinato
solo di recente con il regolamento dell’Isvap n. 20 del 26 marzo 2008, recante
«disposizioni in materia di controlli interni, gestione dei rischi, compliance ed
esternalizzazione delle attività delle imprese di assicurazione, ai sensi degli
articoli 87 e 191, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 codice delle assicurazioni private» (di seguito, Cap). Ai sensi, in particolare, del
combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lett. f) e 29 di detto regolamento,
l’esternalizzazione può avere ad oggetto un processo, un servizio o un’attività
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propri dell’impresa di assicurazione, con espressa esclusione dell’attività di
assunzione dei rischi e «a condizione che la natura e la quantità delle attività
esternalizzate e le modalità della cessione non determinino lo svuotamento
dell’attività dell’impresa cedente». Si aggiunge che «l’esternalizzazione non esonera
in alcun caso gli organi sociali e l’alta direzione dell’impresa dalle rispettive responsabilità».
Nel comparto dell’intermediazione mobiliare si riscontra una prima
disciplina della delega dei servizi di gestione, ritenuta dalla Consob applicabile
analogicamente alla prestazione di tutti i servizi di investimento.
Con riguardo alla gestione collettiva del risparmio, la prima previsione in materia
è stata quella con cui si era attribuito alle Sicav la facoltà di delegare poteri di
gestione del proprio patrimonio esclusivamente a società di gestione del
risparmio (art. 7, comma 4, d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 84, in seguito riprodotto
nell’art. 43, comma 7, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico in
materia di intermediazione finanziaria, di seguito Tuf). Con il citato d.lgs. n.
58/1998 era stata, poi, introdotta (art. 33, comma 3) anche per le società di
gestione dei fondi comuni di investimento la facoltà di affidare specifiche scelte
di investimento a intermediari abilitati a prestare servizi di gestione di
patrimoni, nel quadro di criteri di allocazione del risparmio definiti di tempo in
tempo dal gestore.
Con riguardo al servizio di gestione individuale di portafogli di investimento, si deve
registrare una progressiva evoluzione della disciplina della delega. Inizialmente,
l’art. 8, comma 1, lett. i), l. 2 gennaio 1991, n. 1 (c.d. legge Sim), aveva
consentito al gestore di affidare a terzi l’esecuzione dell’incarico di gestione
soltanto per gli atti per i quali la sostituzione fosse resa necessaria dalla natura
dell’incarico e previa comunicazione al cliente. In seguito, l’art. 20, comma 1,
lett. f), d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (c.d. decreto eurosim), aveva consentito la
delega anche al di fuori dei casi di necessità, però previa autorizzazione scritta
del cliente. La Consob aveva quindi chiarito che la delega non potesse essere
tale da comportare uno “svuotamento” totale dell’attività del gestore delegante,
ma dovesse piuttosto trovare giustificazione «nell’ottica di una più efficiente
gestione dei patrimoni di pertinenza dei singoli investitori … in settori o
mercati che richiedono competenze specifiche» (art. 23, comma 1, reg. 30
settembre 1997, n. 10943), e comunque non potesse implicare «alcun esonero o
limitazione di responsabilità dell’intermediario delegante che resta soggetto alle disposizioni di
cui al presente regolamento anche con riferimento alle operazioni compiute dall’intermediario
delegato» (art. 23, comma 3, lett. a), reg. 30 settembre 1997, n. 10943, poi
riprodotto nell’art. 46, comma 3, lett. a), reg. 1 luglio 1998, n. 11522, c.d.
regolamento intermediari). In seguito, però, l’art. 24, comma 1, lett. f), d.lgs. n.
58/1998, aveva esteso la possibilità di delega all’intero portafoglio del cliente,
così consentendo quell’effetto di svuotamento dell’attività del gestore delegante
che invece la Consob aveva inteso evitare con la previsione sopra citata (v. la
comunicazione Consob n. DI/98025269 del 6 aprile 1998); previsione che
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veniva pertanto espunta dal nuovo regolamento intermediari, n. 11522 dell’1
luglio 1998). La delega gestionale, però, rimaneva condizionata alla preventiva
autorizzazione scritta del cliente e avrebbe potuto essere attribuita solo ad un
altro soggetto autorizzato alla prestazione del servizio di gestione individuale.
Con riguardo agli altri servizi di investimento, la Consob aveva ammesso: i) che
un intermediario collocatore (primario) potesse incaricare, con il consenso del
mandante, altri intermediari collocatori (secondari) di raccogliere per suo conto
le sottoscrizioni presso il pubblico degli strumenti finanziari oggetto del
collocamento (comunicazione n. DIN/1079230 del 19 ottobre 2001); ii) che un
intermediario raccoglitore di ordini potesse avvalersi di altri intermediari
raccoglitori per la trasmissione degli ordini all’intermediario negoziatore ai fini
della loro esecuzione (comunicazione n. BOR/RM/93000351 del 18 gennaio
1993); iii) che un intermediario negoziatore potesse affidare lo svolgimento di
fasi del servizio di negoziazione per conto terzi ad altri intermediari negoziatori
aventi il contatto con la clientela (comunicazione n. DIN/2073042 del 7
novembre 2002).
Dunque, nella prestazione dei servizi di investimento la delega poteva
avere ad oggetto fasi riservate dei servizi stessi, oltre che, naturalmente, attività
di carattere strumentale, quali la prestazione di servizi di supporto logistico per
la materiale ricezione e/o trasmissione degli ordini della clientela a un
intermediario raccoglitore/negoziatore (cfr., a quest’ultimo riguardo, la citata
comunicazione n. DIN/2073042/2000 nonché le comunicazioni n.
DI/99076449 del 19 ottobre 1999 e n. DIN/2072900 del 7 novembre 2002).
In ogni caso, secondo la prassi interpretativa della Consob
l’esternalizzazione i) non poteva comportare uno svuotamento totale
dell’attività del soggetto esternalizzante (pena la perdita dello status di soggetto
autorizzato), né una sottrazione del medesimo ai suoi obblighi e alle connesse
responsabilità, e, ii) qualora avesse avuto ad oggetto lo svolgimento di un
servizio di investimento, o di una sua fase, sarebbe dovuta avvenire a favore di
un soggetto abilitato allo svolgimento del medesimo servizio.
Da ultimo, è intervenuto il legislatore comunitario il quale, con la
direttiva 2004/39/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile
2004 (c.d. MiFID), ha dettato una disciplina completa della esternalizzazione
delle funzioni operative essenziali o importanti dell’intermediario nonché dei
servizi e delle attività di investimento, imponendo agli Stati membri, fra l’altro,
di assicurare che gli intermediari, da un lato, non si riducano ad una «scatola
vuota» (così imponendo anche al nostro legislatore il ripristino dei limiti alla
delegabilità del servizio di gestione individuale), e, dall’altro lato, «restino
pienamente responsabili del rispetto di tutti gli obblighi imposti loro dalla direttiva
2004/39/CE», senza che siano «alterati il rapporto e gli obblighi dell’impresa di
investimento nei confronti della sua clientela», e fermo restando che la scelta
del fornitore di servizi (outsourcer) deve ricadere su soggetti che siano in
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possesso «della competenza, della capacità e di qualsiasi autorizzazione richiesta
dalla legge per esercitare le funzioni, i servizi o le attività esternalizzate in
maniera professionale e affidabile» (v. il considerando 19 e l’art. 14 della c.d.
direttiva di “livello 2”, n. 2006/73/CE della Commissione europea, del 10
agosto 2006, in attuazione dell’art. 13, parr. 2 e 5, comma 1, MiFID). Le
suddette disposizioni comunitarie sono state poi pedissequamente riprodotte
nell’art. 21 del regolamento congiunto adottato dalla Banca d’Italia e dalla
Consob, in data 29 ottobre 2007, nell’esercizio della potestà loro espressamente
attribuita in materia di esternalizzazione di funzioni e di attività dall’art. 6,
comma 2-bis, lett. k), Tuf.
Con il decreto legislativo 17 settembre 2007, n. 164, sono state quindi
elise dall’art. 24 del Tuf le disposizioni concernenti la delega del servizio di
gestione individuale, in quanto assorbite dalla predetta disciplina comunitaria
dell’esternalizzazione di qualsiasi servizio di investimento, e, nel contempo, è
stata aggiunta una disposizione ad hoc per la delega del servizio di gestione
collettiva del risparmio, con cui si è riconosciuto anche alla Sgr la facoltà di
«delegare a soggetti terzi specifiche funzioni inerenti la prestazione dei servizi di cui ai commi
1 e 2 con modalità che evitino lo svuotamento della società stessa, ferma restando la sua
responsabilità nei confronti dei partecipanti al fondo per l’operato dei soggetti delegati» (art.
33, comma 4, Tuf, il cui inciso finale riproduce così a livello di disciplina
primaria una previsione già stabilita dalla Banca d’Italia nel regolamento sulla
gestione collettiva del risparmio, del 14 aprile 2005, tit. IV, cap. III, sez. III,
par. 3.1).
Al tema in esame possono essere ricondotte, infine, le istruzioni di
vigilanza con cui la Banca d’Italia ha previsto che, nell’ambito delle operazioni
di cartolarizzazione dei crediti, il servicer possa delegare a terzi lo svolgimento di
compiti operativi implicanti anche l’assunzione di scelte discrezionali, purché la
funzione di controllo ad esso demandata sia «in ogni caso esercitata in via
diretta»: espressione che è stata intesa dalla dottrina nel senso della non
delegabilità della responsabilità del controllo e che comporta che il servicer non
si può avvalere del mezzo della delega fino al punto di spogliarsi della funzione
di garanzia assegnatagli dall’ordinamento a tutela degli investitori (S.M. SEPE, Il
servicer e l’attività di servicing: evidenza empirica e profili giuridici, in Dir banc., 2002,
I, p. 86 s., il quale richiama anche un parere conforme pro veritate di F. Belli del
mese di giugno del 2001).
2. –
I termini del confronto fra diritto “finanziario” e diritto comune. Come
risulta dall’analisi delle norme di settore svolta nel precedente paragrafo,
l’esternalizzazione può riguardare tanto funzioni aziendali quanto fasi del
processo produttivo, purché non si spinga fino al punto di intaccare il cuore
dell’attività creditizia o assicurativa (è esclusa, come visto, l’estenalizzazione del
processo di valutazione, rispettivamente, del merito di credito e del rischio
assicurato); solo nel segmento dei servizi di investimento è ammessa
l’esternalizzazione anche di fasi relative al processo principale dell’attività
riservata, a condizione che il soggetto incaricato sia abilitato anch’esso alla
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prestazione del servizio (parzialmente) esternalizzato. In quest’ultimo caso
resta comunque fermo il principio secondo cui l’outsourcer agisce “al posto”
dell’impresa esternalizzante, nei confronti di clienti che sono e rimangono di
quest’ultima impresa.
Tale dato potrebbe apparentemente contrastare con la scelta di richiedere
il possesso dell’autorizzazione alla prestazione del servizio di investimento
esternalizzato anche in capo al soggetto delegato. Se gli investitori con i quali il
soggetto delegato opera sono clienti del soggetto delegante, potrebbe ritenersi
che anche l’impresa (di investimento) faccia capo esclusivamente al soggetto
delegante, di cui il delegato sarebbe un mero ausiliario. Dunque, perché anche
il soggetto delegato dovrebbe essere autorizzato a prestare un servizio di
investimento che, in realtà, fa capo al delegante? La risposta va probabilmente
rinvenuta nel fatto che il soggetto delegato presta comunque un servizio di
investimento, in sé riservato, nei confronti del soggetto delegante, che assume
così la veste di cliente del primo.
Se mai, si potrebbe rilevare che il servizio di investimento svolto dal
soggetto delegato, ove fosse limitato al solo soggetto delegante, difetterebbe
del requisito della destinazione al pubblico cui l’art. 18 del Tuf subordina il
carattere riservato dello stesso. E in verità l’obbligo di avvalersi di un soggetto
autorizzato - e che come tale operi nei confronti di una pluralità di destinatari
non determinabile a priori, al limite anche tutti istituzionali - sembra imposto
proprio al fine di evitare che un intermediario possa affidare lo svolgimento di
fasi essenziali del proprio servizio di investimento a un soggetto appositamente
costituito dal medesimo intermediario e potenzialmente privo dei requisiti
strutturali, organizzativi e patrimoniali richiesti per la prestazione del servizio
stesso.
Il medesimo risultato di affidare ad un altro soggetto lo svolgimento di
una determinata attività potrebbe essere conseguito attraverso la costituzione
di un soggetto ad hoc il quale sarebbe titolare in proprio (e non più per delega)
della stessa e ne avrebbe perciò la piena responsabilità, tutt’al più potendosi
configurare in capo al soggetto costituente una responsabilità per abuso
dell’attività di direzione e coordinamento, ove ne ricorrano i presupposti (un
esempio legale di imputazione originaria dell’attività ad un altro soggetto si ha
nella previsione della possibilità di istituire due distinte SGR per lo
svolgimento, rispettivamente, delle attività di promozione e di gestione di fondi
comuni: v. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, 4° ed., Torino,
2008, p. 187 s.).
Nel caso della delega occorre invece definire i contorni della
responsabilità derivante dall’esercizio di un’attività che viene svolta da un
soggetto (il delegato) al posto di un altro soggetto (il delegante) che ne detiene
la titolarità e sul quale ricadono pertanto i relativi effetti giuridici. E al riguardo
si è visto come la legittimità del fenomeno dell’outsourcing sia subordinata al
rispetto di condizioni finalizzate a mantenere la responsabilità delle funzioni e
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delle attività esternalizzate in capo al soggetto esternalizzante.
Ciò posto, si osserva, su un piano generale, come le discipline di settore
guardino al fenomeno soltanto dal versante della responsabilità del delegante;
non dettino anche previsioni specifiche in merito all’altro versante della
responsabilità dell’outsourcer in relazione all’attività che questi svolge all’esterno
per conto del delegante. Solo la posizione del delegante, pertanto, è disciplinata
dal diritto finanziario e può essere confrontata con il diritto comune. E
nell’impostare i termini di tale confronto si deve rilevare sin d’ora come la
disciplina dell’outsourcing risulti affidata a norme di grado secondario le quali
attingono a una fonte primaria di legittimazione solo nel comparto
dell’intermediazione mobiliare (essendo la delegabilità dei servizi e delle attività
di investimento disposta già con norme comunitarie e quella del servizio di
gestione collettiva del risparmio con norme di legge ordinaria). Nel comparto
bancario e in quello assicurativo manca, invece, un esplicito riferimento
all’outsourcing tanto in norme comunitarie quanto in norme di legge ordinaria,
cosicché la relativa disciplina risulta tutta di rango secondario e trova fonte
nella generale potestà di vigilanza regolamentare rimessa alle rispettive Autorità
di settore. In questi ultimi due comparti, dunque, il confronto fra la disciplina
di settore e quella “comune” contenuta nel codice civile non deriva soltanto da
un interesse sistematico a verificare il grado di convergenza o di divergenza fra
le stesse; esso, in realtà, si impone innanzitutto al fine di saggiare la legittimità
delle stesse previsioni (regolamentari) in materia, le quali non potrebbero
contrastare con quelle, gerarchicamente sovraordinate, poste dal codice civile.
La posizione del delegato, invece, non essendo disciplinata dal diritto
finanziario, va desunta direttamente dal diritto comune, se pur con una possibile
influenza della disciplina di settore, nei termini che subito si chiariranno.
3. –
I parametri della responsabilità del delegato. Sia consentito rilevare
lapidariamente che secondo la teoria tradizionale la condotta dell’ausiliario che
cagioni un danno ai clienti del dominus - situazione cui è rapportabile quella del
delegato che agisca su incarico del delegante - viene inquadrata nell’illecito
aquiliano (G. CIAN, La sostituzione nella rappresentanza e nel mandato, in Il contratto:
silloge in onore di Giorgio Oppo, Padova, 1992, p. 288). Ora, tale teoria sembra
suscettibile di essere rivisitata almeno nel caso in cui la delega abbia ad oggetto
una fase di un’attività riservata (che anche il delegato, come visto, deve essere
autorizzato a svolgere). In tale caso, infatti, l’insistenza sul delegato di obblighi
legali di condotta, riconducibili al tertium genus delle fonti di cui all’art. 1173 c.c.
(accanto al contratto e al fatto illecito), evoca i canoni della c.d. responsabilità
da “contatto”, recentemente teorizzata dalla dottrina (S. FAILLACE, La
responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, p. 14, 121 ss.; V. CARBONE, La
responsabilità degli intermediari, in Danno e resp., 2002, p. 103 ss.) e accolta anche
dalla giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass., 22 dicembre 1999, n. 589,
in Resp. civ. prev., 1999, p. 661, e in Contratti, 1999, p. 1007), e cui qui
sembrerebbe doversi per vero attribuire natura contrattuale. Inducono, in
particolare, a questa conclusione due ordini di considerazioni: da un lato,
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sembra poter essere invocato il criterio della vicinanza (sul quale v. A. DI MAJO,
La tutela civile dei diritti, 3, IV ed., Milano, 203, p. 208, e su cui poggia, sebbene
non univocamente, la possibilità di attribuire natura contrattuale anche alla
responsabilità precontrattuale, come teorizzato da L. MENGONI, Sulla natura
della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 360; contra, però,
Cass., SS. UU., 16 luglio 2001, n. 9645), dal momento che l’ausiliario delegato
instaura una relazione diretta con il risparmiatore tale per cui egli ha poi, di
norma, la possibilità di influenzarne le scelte nelle fasi di formazione,
conclusione ed esecuzione del contratto finanziario stipulato con il delegante;
dall’altro lato, nello svolgimento di siffatta relazione ravvicinata l’ausiliario
delegato è tenuto in proprio al rispetto di obblighi anche positivi di
comportamento che sono orientati al fine della massimizzazione dell’interesse
della controparte risparmiatrice (ad ulteriore rafforzamento del criterio della
vicinanza) e che appaiono in vero difficilmente riconducibili al mero divieto del
neminem laedere.
A tale responsabilità verso il risparmiatore il delegato può sommare la
responsabilità amministrativa verso le Autorità di vigilanza in caso di
inosservanza dei predetti obblighi comportamentali, ad ulteriore rafforzamento
del grado di effettività delle norme che li impongono, a tutela dei risparmiatori
e, più in generale, dell’integrità dei mercati finanziari.
4. –
I parametri della responsabilità del delegante. La scelta, manifestata
univocamente dagli ordinamenti di settore, di mantenere comunque in capo al
delegante la responsabilità per l’operato del delegato rende equivalente, sul
piano dell’ordinamento giuridico, che una data funzione o attività siano svolte
dall’impresa finanziaria direttamente o tramite altri soggetti. Detta impresa è
libera di scegliere se operare a mezzo di personale alle sue dirette dipendenze
ovvero attraverso l’interposizione di un terzo soggetto; ma anche quando
scelga questa seconda opzione, comunque deve rispondere dell’operato del
terzo come del fatto proprio, nel presupposto che il soggetto incaricato stia
svolgendo una funzione o un’attività che sono (anche e innanzitutto) proprie
dell’impresa delegante. E a fronte di questa estensione dell’area della
responsabilità si prevede che l’impresa delegante debba poter avere accesso ai
dati relativi alle attività esternalizzate e ai locali in cui opera il delegato,
convenendo i relativi diritti e poteri nel contratto di outsourcing (v. art. 14, par. 2,
lett. i), dir. 2006/73/CE; artt. 32, comma 1, lett. e), e 33, reg. Isvap n. 20/2008;
tit. IV, cap. III, sez. III, par. 3.1, n. 2, del regolamento della Banca d’Italia del
14 aprile 2005, sulla gestione collettiva del risparmio). Si ha, quindi, una
proiezione dell’impresa delegante oltre il suo ristretto ambito soggettivo, sino a
ricomprendervi tutte le attività che partecipino al suo ciclo produttivo, anche se
svolte tramite altri soggetti e anche se questi ultimi abbiano una distinta
personalità giuridica e siano essi stessi imprese, ove del caso persino autorizzate
all’esercizio dell’attività delegata. Il fondamento di tale disciplina sembrerebbe
riposare, come detto, sull’originaria appartenenza dell’attività esternalizzata al
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ciclo produttivo dell’impresa esternalizzante.
Può, quindi, assumersi che gli ordinamenti di settore abbiano inteso
consentire all’intermediario di delegare a terzi (soltanto) il potere di compiere
in sua vece determinati atti o attività, non anche di trasferire a terzi la titolarità
delle relative situazioni giuridiche soggettive passive, le quali devono rimanere
saldamente in capo all’impresa delegante. Volendo utilizzare categorie
concettuali note alla dottrina civilistica (v. A. LUMINOSO, Mandato, commissione,
spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato
da L. Mengoni, vol. XXXII, Milano, 1984, p. 400, 404), sarebbe integrato un
caso di sostituzione “esecutiva” (art. 1228 c.c.) e non di sostituzione “speciale”
del terzo (art. 1717 c.c.).
Più in particolare, se così è, si deve escludere che la fattispecie in esame
possa essere inquadrata nella figura della sostituzione (“speciale”) nel mandato,
per effetto della quale l’intermediario sostituente potrebbe liberarsi dai suoi
obblighi nei confronti del risparmiatore mandante trasferendoli ad un sostituto
che diventerebbe così l’unico responsabile del loro adempimento, sol che tale
intermediario abbia l’accortezza di farsi autorizzare la sostituzione dal
risparmiatore o, in alternativa, dimostri la necessità della sostituzione in
relazione alla natura dell’incarico; e potrebbe evitare altresì di incorrere nella
responsabilità per culpa in eligendo, sol che l’autorizzazione contenga
l’indicazione della persona del sostituto (A. LUMINOSO, Mandato, cit., p. ; G.
CIAN, La sostituzione, cit., p. 291; G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la
spedizione, in Tratt. di dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, Torino, 1957, p. 63;
BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. del cod. civ., a cura di A.
Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1979, sub art. 1228, p. 471 s.). La
centralità della posizione del risparmiatore mandante, per un verso, e la
qualificazione professionale dell’intermediario mandatario, per altro verso,
impongono, infatti, che quest’ultimo sia in grado di svolgere da sé l’intero
servizio prestato, o comunque di assumersene l’intera responsabilità, anche
quando si avvalga di terzi. La pur riconosciuta flessibilità dei moduli
organizzativi opzionabili dall’intermediario non può così tradursi in un esonero
della responsabilità, la quale non può essere elusa neppure con lo strumento
della delega, a salvaguardia dell’interesse dei risparmiatori e dell’integrità dei
mercati finanziari (analogamente, S.M. SEPE, Il servicer, cit., p. 88).
La fattispecie in esame va, piuttosto, inquadrata nella figura del
submandato, con cui si realizza l’effetto di un mero trasferimento di poteri al
submandatario, ferma restando la permanenza in capo al submandante della
titolarità delle situazioni giuridiche soggettive passive verso il mandante
principale. In questo modo l’attività delegata viene comunque attratta alla sfera
di organizzazione e di controllo del submandante, e il submandatario è
considerato alla stregua di un ausiliario (A. LUMINOSO, op. cit., p. 400), dei cui
fatti dolosi o colposi il submandante risponde verso il mandante principale
come se fossero stati commessi da lui medesimo, ai sensi dell’art. 1228 c.c. (che
fa tuttavia salvo il patto contrario, punto sul quale si dovrà tornare). Per
l’applicabilità di tale norma si ritiene infatti sufficiente che l’operato
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dell’ausiliario - lavoratore dipendente o autonomo, finanche imprenditore - sia
imputato al debitore e si svolga sotto il suo controllo (G. CIAN, La sostituzione,
cit., p. 287; N. RONDINONE, L’«attività» nel codice civile, Milano, 2001, p. 227 e
268 ss.).
Alla stregua dell’evoluzione dell’ordinamento giuridico “finanziario” non
dovrebbero sussistere più dubbi sul fatto che oramai vada inquadrato nel
submandato anche l’incarico che una banca può conferire ad un’altra banca o a
un suo corrispondente in una piazza in cui non abbia una filiale, ai sensi
dell’art. 1856, c. 2, c.c. (in tal senso v. già R. CLARIZIA, Sostituzione e submandato,
in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, p. 68 s.; G. SANTINI, in Giur. compl. Cass. civ.,
1951, 3°, p. 709 ss.). In passato prevaleva, per altro, il diverso orientamento
tendente ad inquadrare tale incarico all’interno della figura della sostituzione
necessaria di cui all’art. 1717 c.c. (v., fra gli altri, G. MINERVINI, Il mandato, cit.,
p. 63 ss.; A. LUMINOSO, Mandato, cit., p. 418, nt. 90; N. SALANITRO, Conto
corrente bancario, in Digesto, Disc. priv., Sez. comm., IV, Torino, 1989, p. 16; V.
BUONOCORE, Ancora in tema di interpretazione dell’art. 1856, 2° comma, in Ec. e
cred., 1970, fasc. 3°, nonché, da ultimo, V. CALANDRA BUONAURA, M. PERASSI,
C. SILVETTI, La Banca: l’impresa e i contratti, in Tratt. di dir. comm., diretto da G.
Cottino, Padova, 2001, p. 459 s., facendo dubbia leva sul rinvio alla figura della
sostituzione nel mandato contenuto dapprima nelle norme bancarie uniformi e
poi nelle condizioni generali del protocollo d’intesa fra l’Abi e le associazioni di
consumatori; rinvio pattizio, dunque, la cui liceità sembra però doversi oggi
escludere proprio alla luce della disciplina pubblicistica in materia di outsourcing,
la quale, come visto, esige una permanenza della responsabilità del delegante
per l’operato del delegato).
Da quanto sopra risulta, a ben vedere, che gli ordinamenti di settore, nel
delineare i possibili assetti organizzativi dell’intermediario delegante, più che
disciplinare direttamente la responsabilità di quest’ultimo, dettino norme volte
a conformare l’esercizio del suo potere di autonomia privata, subordinando la
possibilità per il medesimo di esternalizzare funzioni e attività
all’inquadramento del rapporto con l’outsourcer nello schema contrattuale della
sostituzione c.d. “esecutiva”.
Va, per altro, considerato che tale configurazione contrattuale è
funzionale all’obiettivo di impedire all’intermediario di pattuire con il
risparmiatore una esclusione o una limitazione della propria responsabilità in
relazione all’operato demandato all’outsourcer. La configurazione del rapporto
diventa così funzionale all’applicazione di una regola di responsabilità. La
regolazione del potere di autonomia privata diviene così uno strumento per
imporre il rafforzamento della responsabilità dell’intermediario delegante nella
misura in cui a questo non viene concesso di convenire pattiziamente con il
risparmiatore una esclusione o una limitazione della propria responsabilità per
il fatto del delegato, pur nei casi in cui il diritto comune lo permetterebbe
(stante la previsione del patto contrario contenuta nell’art. 1228 c.c.). Ci si
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viene così a trovare in presenza di una fattispecie a responsabilità aggravata che
nel comparto dell’intermediazione mobiliare deriva da norme di grado primario
e che invece, come visto, nei comparti bancario e assicurativo deriva soltanto
da norme di grado secondario che in materia non potrebbero derogare al
diritto comune.
La constatazione che anche queste ultime norme dispongano il divieto di
stipulazione del patto contrario ammesso invece dall’art. 1228 c.c. non deve,
tuttavia, portare alla conclusione immediata di ritenere le stesse illegittime per
violazione di legge. Deve, infatti, ancora considerarsi che, ai sensi dell’art. 1229,
c. 2, c.c., «è nullo … qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di
responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca
violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico».
Pur nella consapevolezza che il punto non può essere liquidato in poche
battute, non sembra dubitabile che le norme che disciplinano l’esercizio
dell’attività bancaria e creditizia, dell’attività assicurativa e dei servizi di
investimento e di gestione collettiva del risparmio, in quanto preordinate alla
tutela (dei risparmiatori e) dell’integrità dei rispettivi mercati, costituiscano
altrettante “regole del gioco” che tutti gli operatori debbano indistintamente
rispettare, fra le quali vanno ricomprese quelle che pervadono la disciplina del
rapporto contrattuale, specificando i doveri generali di trasparenza, diligenza,
correttezza e buona fede dell’intermediario verso i clienti nelle fasi della
formazione, della conclusione e dell’esecuzione del contratto. A ragione,
pertanto, dette norme possono ritenersi espressione del principio di ordine
pubblico economico, con ciò rimanendo esclusa la liceità di una disciplina
convenzionale difforme.
Ecco allora che anche le norme di settore con cui venga imperativamente
addossata al delegante la responsabilità per l’operato del delegato rientrano
comunque nell’alveo del diritto comune, dal momento che anche quest’ultimo
esclude che i privati possano lecitamente stipulare patti preventivi di esonero o
di limitazione della responsabilità del debitore che si pongano in contrasto con
norme di ordine pubblico (nella specie, economico).
Né si potrebbe sottilizzare rilevando che il citato art. 1229, c. 2, c.c.,
considererebbe nulli i patti preventivi di esclusione o di limitazione della
responsabilità del debitore per i fatti dolosi o colposi dei suoi ausiliari che
integrassero violazione di norme di ordine pubblico, mentre nel caso di specie
la nullità parrebbe colpire il patto in sé, a prescindere dalla natura delle norme
violate dall’ausiliario. Quest’ultimo, infatti, nello svolgimento delle attività
delegate è tenuto a rispettare le medesime regole di settore che gravano sul
delegante, le quali costituiscono tendenzialmente tutte espressione del principio
di ordine pubblico economico; conseguentemente, il fatto doloso o colposo
dell’ausiliario dovrebbe integrare normalmente la condizione di illiceità prevista
dalla citata norma codicistica. Inoltre, tale norma vieta di pattuire un esonero o
una limitazione preventivi di responsabilità anche per il fatto del debitore che si
ponga in contrasto con il principio di ordine pubblico; e qui il fatto del
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debitore consisterebbe proprio nel patto con cui lo stesso pretendesse di
esonerarsi dalla responsabilità per l’operatività delegata all’outsourcer, in
contrasto con esplicite previsioni di settore poste a tutela dell’ordine pubblico
del mercato.
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