1-5 settembre - Filtea-Cgil Federazione Italiana Lavoratori Tessili

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1-5 settembre - Filtea-Cgil Federazione Italiana Lavoratori Tessili
Dipartimento Internazionale
http://www.cgil.it/internazionale/
RASSEGNA STAMPA
INTERNAZIONALE
01 - 05 settembre 2008
A cura di Maria Teresa Polico
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
01 – 05 settembre 2008
INDICE
ARGOMENTO
Unione europea
TESTATA
Rotture nell’Unione europea sulla Russia
Financial Times
Francia
La CES presenta il suo memorandum alla presidenza francese dell’Unione
europea
Labour Start
Germania
La lotta delle donne tedesche per il divario salariale di genere
International
Herald Tribune
Gran Bretagna
Autunno angoscioso per i sindacati indeboliti
Financial Times
Italia
Con un'ala e la preghiera del contribuente
Il consorzio chiede 400 milioni di euro per i beni dell’Alitalia
Lo specialista di operazioni di carico e scarico dice “basta” rimpiangere
l’Alitalia
The Economist
Financial Times
Financial Times
Asia
La Corea del Sud e Singapore mettono in circolazione consigli sui viaggi in
Tailandia
International Herald
Tribune
Medio e Vicino Oriente
Israele opta per un progetto che darebbe agli israeliani “nuovi posti di
lavoro” nel settore delle costruzioni al posto dei lavoratori palestinesi
Stati Uniti
Uno studio mostra che gli iscritti al sindacato in America sono aumentati
realmente nel 2008
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Labour Start
Labour Start
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Financial Times
03/09/08
Rotture nell’Unione europea sulla Russia
Di Tony Barber
Bruxelles. Nella guerra fredda era una pratica che, ogni qualvolta il comportamento dell’Unione
Sovietica era particolarmente prepotente, gli Stati Uniti e l’Europa occidentale mettessero da parte
le loro differenze e facessero quadrato. Quando Mosca era meno minacciosa, c’era una minore
pressione all’unità nell’alleanza occidentale. La Francia, la Germania dell’Est e gli Stati Uniti,
ciascuno cercava benefici per il suo proprio paese dai stretti contatti con la dirigenza sovietica.
Per tutti, lo spettacolo di unità dell’Unione europea di lunedì nel vertice convocato con urgenza a
Bruxelles, riguardo alla crisi sulla distruzione da parte della Russia dell’integrità territoriale della
Georgia non ha chiaramente raggiunto il punto in cui tutti gli europei si sentono uniti nel cuore e
nell’anima. La spiegazione non è difficile trovarla.
L’Unione europea di oggi di 27 paesi è una creatura molto diversa dalla Comunità europea della
fine della guerra fredda degli anni ’70 e ’80, che aveva ancora soltanto 12 stati membri, tutti
dell’Europa occidentale. E’ l’inclusione dell’Austria, della Finlandia e della Svezia negli anni ’90 e,
soprattutto, di 10 paesi del blocco comunista nel 2004 che hanno fatto la differenza.
Prendiamo le osservazioni fatte al vertice di lunedì dai leaders della Polonia e dell’Austria. In quello
che è stato un chiaro riferimento ai tedeschi, agli italiani e ad altri, Donald Tusk, primo ministro
polacco, ha accusato: “Ci sono politici, persino in Europa, che preferirebbero conclusioni vuote a
causa delle loro intense relazioni bilaterali con la Russia“. Al contrario, Alfred Gusenbauer,
cancelliere austriaco, è stato categorico: “Sono contro qualsiasi genere di escalation”. La Russia e
gli Stati Uniti, ha affermato, “hanno ragioni strategiche per una cooperazione ragionevole”.
Il vertice ha visto la differenza tra i paesi come la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lituania e la
Polonia, tutti gli ex stati satelliti sovietici, e la Francia, la Germania e l’Italia. L’ex gruppo ha forti
simpatie verso la Georgia, mentre l’ultimo trio è altamente critico di Mikheil Saakashvili, il leader
georgiano, e gode di fiorenti relazioni commerciali e di investimento con la Russia che non
intendono mettere in pericolo.
Comunque, sarebbe sbagliato assumere che gli europei orientali siano impulsivi e facciano
pressione per un confronto diretto con Mosca. Sul piano geografico, sono sulla linea del fronte.
Sono, per la maggior parte, piccoli stati. Due sono estremamente piccoli ed hanno minoranze
russe. Un confronto aperto non è persino nel loro interesse di quanto non lo sia per la Francia o la
Germania.
Invece, gli europei orientali stanno spingendo sulla base della loro esperienza con il
comportamento sovietico ad allarmare i partners europei occidentali riguardo il bisogno di
rispondere con fermezza quando la Russia attraversa la linea di confine, come tutti i paesi europei
dicono che ha fatto in Georgia. Il loro allarme è incomprensibile perché la Georgia fa parte della
stessa ex sfera di controllo russo alla quale una volta apparteneva. “Chi sarà il prossimo?” stanno
pensando.
Comunque, le sanzioni economiche o persino diplomatiche contro la Russia non sono saranno mai
annunciate al Vertice. L’Unione europea non è un’alleanza militare e neanche una polizia regionale
per l’Europa. La sua politica estera e di sicurezza comune è un lavoro in corso, non un punto
solido. Il negoziato, il partenariato e un’abilità a forgiare compromessi ingegnosi non sono altro che
lo spirito e la forza di vivere dell’Unione europea. L’unico problema è che la Russia potrebbe non
essere particolarmente suscettibile a questo tipo di approccio.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Labour Start
01/09/08
La CES presenta il suo memorandum alla presidenza francese
dell’Unione europea
Il primo settembre, la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) ha incontrato la presidenza
francese dell’unione europea per presentare il suo memorandum. La delegazione sindacale,
guidata dal presidente della CES Wanja Lundby-Wedin e dal segretario generale John Monks,
rispettivamente presidente e segretario generale della CES. In questo incontro, la CES ha
riaffermato che l’Europa sociale debba rimanere il cuore delle priorità europee.
Innanzitutto, la CES ha salutato gli sforzi della presidenza francese di tentare di risolvere la
situazione in Georgia. Gli stessi sforzidevono essere fatti per risolvere I problemi interni dell’Unione
europea, come le questioni relative all’Europa sociale. In un contesto economico molto deteriorato,
aggravato dalla particolare fragilità dei mercati finanziari, i cittadini europei si aspettano un
cambiamento dell’orientamento politico e una rapida risposta ai loro problemi di ogni giorno. E’
importante che la presidenza europea tenga conto di questo. Le recenti sentenze della Corte
europea di Giustizia sui casi Laval, Viking, Ruffert e Luxembourg, compromettono i diritti
fondamentali in favore delle regole di mercato che hanno dimostrato la necessità di aggiungere al
Trattato un protocollo per il progresso sociale come lo propone la CES.
La CES attende un accordo rapido sui Comitati Aziendali Europei.
John Monks ha affermato: “L’Europa è attualmente colpita da una serie di onde d’urto. La presidenza francese deve
proporre delle soluzioni per contenere il declino economico e sociale”.
Memorandum presentato alla presidenza francese dell’Unione europea
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
International Herald Tribune
28/08/08
Maria Schaad, nel suo ufficio a casa ad Oppenheim in Germania, con sua figlia Niklas, afferma che ha dovuto fare grandi compromessi dopo la
nascita dei suoi figli. (Rolf Oeser for The New York Times )
La lotta delle donne tedesche per il divario salariale di genere
Di Sarah Plass
Francoforte. Maria Schaad, che lavora per il dipartimento comunicazioni di una grande società
farmaceutica, si considera fortunata. Dopo la nascita dei suoi figli, ora 7 e 3 anni, il suo datore di
lavoro le ha permesso di fare un lavoro flessibile, ore ridotte, un riconoscimento non scontato in
Germania.
Ma la sua fortuna è arrivata solo fino ad oggi. Sebbene Schaad, 41 anni, pensasse ad una
posizione di dirigente, la sua carriera si è fermata dopo aver avuto una famiglia, ha affermato,
anche se ha preso il master in gestione aziendale dopo essere diventata madre.
“Le donne, ad un certo punto, devono prendere una decisione”, ha affermato, realisticamente.
“Avere bambini significa che devi fare compromessi”.
Milioni di madri lavoratrici, e a volte padri, devono fare spesso difficili rinunce quando si va a
lavorare o si torna a casa, ma gli esperti del lavoro affermano che i calcoli sono particolarmente
brutali in Germania, un paese che nonostante abbia un capo di governo donna, ha uno dei divari
salariali di genere più grossi del continente.
Si tratta soltanto di una delle disparità tra il lavoratore e la lavoratrice, specialmente donne,
disparità che secondo il governo e i dirigenti sindacali sta creando una resistenza alla
partecipazione femminile alla forza lavoro in Germania e, di conseguenza, alla crescita economica,
nel momento in cui il paese potrebbe vacillare sull’orlo della recessione. Puntano ad una serie di
barriere societarie e governative che stanno ostacolando il cambiamento.
Ingrid Sehrbrock, vicepresidente della Federazione Tedesca dei Sindacati, definisce il divario
salariale uno “scandalo”. Il commissario dell’unione europea per l’occupazione e gli affari sociali,
Vladimir Spidla, ha chiesto recentemente ai datori di lavoro tedeschi “di applicare realmente il
principio di pari retribuzione per un lavoro di pari valore”.
Ma una grande quantità di dati suggerisce che la Germania sta andando verso la direzione
opposta. Mentre il divario salariale tra donne e uomini si sta riducendo nell’Unione europea e negli
Stati Uniti, è fermo in Germania.
Secondo i dati dell’ufficio statistiche del governo, Destatis, dal 2000, le lavoratrici tedesche hanno
guadagnato in media il 26% in meno degli uomini e nel 2006 il 24% in meno e anche lo scorso
anno per il quale sono disponibili le statistiche.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Secondo uno studio del servizio di statistiche europeo, Eurostat, si tratta di uno dei divari di genere
più grandi nell’Unione europea. Soltanto Cipro, Estonia e Slovacchia hanno divari uguali o più
grandi.
Nel continente, le donne hanno ricevuto in media il 15.9% in meno degli uomini nel 2007. Questo
divario si è ristretto ogni anno a partire dal 2001, quando, secondo un rapporto rilasciato la scorsa
settimana dalla fondazione europea che ha studiato l’orientamento negli anni, le donne hanno
ricevuto il 20.4% in meno degli uomini.
Da quando gli europei tendono a conteggiare i lavoratori a tempo parziale e a tempo pieno, può
essere difficile paragonare le statistiche con quelle degli Stati Uniti, ma le statistiche americane più
disponibili conteggiano soltanto i lavoratori a tempo pieno. Le donne fanno molto probabilmente un
lavoro a tempo parziale, che riduce in media il loro salario.
L’Ufficio del Censimento americano ha informato martedì che nel 2007 le donne americane con un
lavoro a tempo pieno hanno ricevuto il 22% in meno degli uomini che lavorano a tempo pieno. Si
tratta del dato più accurato relativo alla parità salariale della donna americana.
Ci sono una serie di ragioni per le quali la Germania si è ritrovata nello scantinato dell’Europa.
Secondo i ricercatori, l’aperta discriminazione ne è una. Il congedo per maternità ne è un’altra: gli
uomini sono promossi mentre le loro colleghe prendono il tempo libero per i bambini.
“Il dilemma è che mentre il 50% dei lavoratori giovani sono donne, scompaiano abbastanza presto
dalla strada per diventare dirigenti”, ha affermato Heiner Thorborg, consulente delle risorse umane
a Francoforte e voce critica della disuguaglianza.
Il divario reddituale è più piccolo per le giovani donne che non hanno avuto bambini. E’ molto
grande nella Germania occidentale, in gran parte perché il salario orario medio maschile in quella
zona del paese è pressoché il 50% più alto degli uomini dell’ex Germania orientale.
Alcuni esperti delle risorse umane citano negoziati sul salario meno aggressivi fatti dalle donne. (I
programmi di formazione destinati alle donne si sono estesi negli ultimi dieci anni).
Ma esistono pressioni da parte delle società e della politica. Ad esempio, le madri che lavorano
vengono spesso derise come Rabenmutter, o “madri fameliche”. La frase, basata sulla credenza
sbagliata che i corvi volano via, lasciando i loro nidi, si riferisce alle donne che perseguono una
carriera invece di fare le faccende domestiche. E’ più comune nella zona occidentale del paese
che non in quella orientale.
Sul fronte politico, la Germania ha alcuni piccoli sostegni generosi in Europa per i genitori che
lavorano. L’assistenza ai bambini è disponibile solo per il 9% ai bambini di 3 anni o più giovani,
paragonati alla media del 23% dei paesi industrializzati. Nei paesi dell’Europa settentrionale, i
numeri sono persino più alti: dal 40% al 60%.
La Germania orientale beneficia ancora di una vasta rete di servizi per l’assistenza ai bambini,
un’eredità dell’era comunista, quando la partecipazione delle donne nella forza lavoro era tra la più
alta al mondo e l’assistenza ai bambini era vitale.
Il ministero tedesco per le questioni delle famiglie, Ursula von der Leyen, ha introdotto
recentemente un piano per aiutare a finanziare i servizi privati di assistenza ai bambini ed ha
aumentato la disponibilità di luoghi per le scuole materne. Ci si aspetta che il parlamento lo approvi
entro la fine dell’anno.
I funzionari a Berlino hanno cercato di rendere più attraente la scelta di avere figli. Nel 2007, il
governo introdusse Elterngeld, o “il danaro dei genitori”, un benefit designato ad incoraggiare sia i
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padri e sia le madri a chiedere il tempo libero dopo la nascita di un figlio. Fino a quest’anno, circa il
20% dei nuovi padri hanno chiesto i benefit.
Nel frattempo, circa il 60% delle coppie sposate con bambini al di sotto di 3 anni seguono lo stesso
modello: i padri mantengono il tempo pieno, mentre le madri rimangono a casa.
La difficoltà che molte donne incontrano lavorando e crescendo figli è in parte responsabile del più
basso livello di nascita che la Germania ha in Europa: 1.37 bambini per donna. Non aiuta il fatto
che alla donna in età di avere i figli viene spesso chiesto nei colloqui di lavoro se intende avere
bambini, una domanda che è contro la legge.
Silke Strauss ha affermato che non sarebbe potuta arrivare fin dove è oggi se avesse deciso di
avere bambini. E’ stata nominata partner di un’azienda di consulenza di dirigenti ed è l’unica donna
tra otto uomini. “Non avrebbe funzionato con i bambini, non con la totale flessibilità che ci si
aspetta”, ha affermato Strauss, che ha 42 anni.
Per alcune donne, il tempo speso altrove fa una differenza importante, mostrando loro che la vita
può essere diversa.
Jutta Allmendinger, 51 anni, la prima donna presidente del Centro di Ricerca di Scienze Sociali a
Berlino e madre di un figlio di 14 anni, ha fatto il dottorato ad Harvard. Mentre era lì, ha affermato
Allmendinger, ho visto “gli idoli della sua giovinezza”, le colleghe donne che insegnavano mentre
erano incinte e ritornavano al lavoro subito dopo la nascita del figlio, mentre i loro bambini
dovevano essere ancora allattati.
Una volta ritornata in Germania nel 1993, rimase incinta mentre insegnava sociologia a Monaco.
Alcune sue colleghe, incapaci di immaginare che lei avrebbe preso in considerazione di avere un
bambino, pensarono che avesse mangiato esageratamente durante l’estate. “era impossibile per
alcune persone pensare che le donne in certe posizioni potessero avere in realtà dei figli”, ha
affermato Allmendinger ridendo.
Coloro che sono state abbastanza fortunate ad aver trovato una scuola materna o un asilo nido,
incontrano un altro ostacolo: molti sono aperti fino alle 3 o le 4 del pomeriggio, non molto
convenienti per le madri lavoratrici. Questa è una delle ragioni per la quale una donna su tre in
Germania ha un lavoro a tempo parziale, che secondo molti esperti di risorse umane è l’ultima
carriera assassina. Tra gli europei, soltanto le donne olandesi hanno la quota più alta di lavoro a
tempo parziale.
Secondo il rapporto del Census, circa il 61.4% delle lavoratrici americane lavorano hanno avuto un
lavoro a tempo pieno nel 2007, passando dal 60.6% del 2006.
Allmendinger ha affermato di essere sicura che le società tedesche abbiano bisogno di donne
“molto influenti”, il che ha provocato il dibattito sulla politica del governo, porterà alla fine un
cambiamento. Ha affermato che una nuova generazione di donne ben istruite stanno sfidando la
situazione presente.
Schaad, addetta stampa, ha affermato che le donne giovani sono più felici. Negli affari, ha
affermato, “realisticamente, una donna che non l’ha fatto entro i 40 anni non ha possibilità di farlo
più”.
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Financial Times
02/08/08
Autunno angoscioso per i sindacati indeboliti
Di Andrew Taylor, corrispondente del lavoro
I leaders sindacali si riuniranno questa settimana a Brighton per la loro conferenza annuale per far
sentire la voce del movimento sindacale, mentre si prepara ad affrontare un rallentamento
dell’economia. Ma si chiederanno anche perché “l’estate del malcontento” così largamente
annunciata due mesi fa non sia riuscita a materializzarsi.
Mentre 30 anni fa montagne di spazzatura putrida erano in strada, i sindacati affrontavano un
governo laburista ferito e guidato da un primo ministro non eletto che prese la guida quando il suo
predecessore rassegnò le dimissioni. Anche se gli aspetti dell’ “inverno del malcontento” del 1979
possono sembrare familiari oggi, la sfida posta dai sindacati di allora era molto più seria.
Era improbabile che la serie di fermate brevi del settore pubblico di quest’estate culminate a luglio
in uno sciopero di due giorni di 600.000 dipendenti degli enti locali, mettessero allo stesso modo
alla prova Gordon Brown. Gli accordi sugli stipendi del settore pubblico sono stati tenuti molto in
linea con l’obiettivo del tesoro di mantenere l’inflazione al 2%, nonostante si vociferasse
l’opposizione del sindacato.
Le fermate dei lavoratori delle poste, del personale del Jobcentre, degli esaminatori delle scuole
guida, del personale della Revenue & Customs, del personale degli uffici per il rilascio del
passaporto e dei funzionari delle carceri, hanno aumentato il numero dei giorni di sciopero del 37%,
a 1.04 milioni di giorni. Ma questo è ancora ben al di sotto della media di 12.9 milioni di giorni persi
annualmente durante gli anni ’70 e di 7.2 milioni negli anni ’80.
I sindacati accusano la legislazione introdotta dalla Margaret Thatcher, che ha imposto delle
procedure elettorali lunghe e complesse, indebolendo la loro capacità di entusiasmare i lavoratori.
Ma dal 1979 gli iscritti al sindacato sono dimezzati al di sotto di 7 milioni, mentre la quota dei
lavoratori sindacalizzati nel settore privato è balzata al 16.1%.
Anche questo non spiega perché lo sciopero sia diminuito nettamente nei settori dove i sindacati
rimangono forti. Nel settore pubblico il 59% dei lavoratori sono ancora iscritti al sindacato, anche
se i loro scioperi quest’estate hanno sostenuto un confronto insufficiente con le fermate lunghe dei
decenni precedenti.
Gli alti standard di vita e i costi in aumento hanno fatto aumentare le richieste di aumenti salariali,
che potrebbero spiegare perché gli iscritti al sindacato sono riluttanti a perdere il salario
partecipando allo sciopero. Al di fuori delle aree sensibili come il trasporto – si pensi alla
metropolitana londinese e alla compagnia aerea britannica – è molto più difficile creare dei disagi
alla vita quotidiana e all’economia quando le fermate durano un po’ più di 24 ore.
“Non ci sono dubbi che questa offerta salariale venga accettata perché l’alternativa è lo sciopero e
molti iscritti al sindacato GMB non possono permettersi di perdere il salario partecipando allo
sciopero”, ha affermato quest’estate Brian Strutton, un funzionario nazionale della GMB, quando
ha spiegato perché gli iscritti al sindacato degli enti locali avevano accettato un aumento al di sotto
dell’inflazione.
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Rassegna stampa internazionale
Di fronte al rischio di perdere la forza sindacale, i sindacati hanno dovuto sviluppare nuove
strategie. La lobby politica è diventata più importante. Brendan Barber, segretario generale del
TUC, spiega che senza l’intervento sindacale l’introduzione di politiche come il salario minimo e il
miglioramento dei benefit relativi ai congedi familiari sarebbero visti meno probabili. IL TUC ha
definito un accordo con i ministri e il CBI fornirà termini e condizioni migliori per il personale
temporaneo delle agenzie di lavoro.
Maggiori enfasi è stata posta alle campagne pubblicitarie di alto profilo che vedono attaccare i
datori di lavoro attraverso i loro clienti. Il sindacato Unite, il più grande sindacato inglese, ha
lanciato quest’anno un assalto interno alla Marks & Spencer sui salari pagati ai lavoratori migranti
da parte dei fornitori al dettaglio. Google vuole che la M&S porti un annuncio pubblicitario del
sindacato.
“Il potere di internet dà ai sindacati la possibilità di andare oltre i suoi iscritti e di raggiungere
direttamente milioni di persone e di influenzare i consumatori”, ha afferamato Tony Woddley,
segretario generale aggiunto di Unite.
Quest’autunno, i sindacati dovrebbero mettere alla prova di nuovo la determinazione del governo,
ma un ritorno agli anni ’70 sembra una prospettiva distante.
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The Economist
04/09/08
L’Alitalia e il contribuente
Con un'ala e la preghiera del contribuente
Un piano malfatto e costoso per salvare la compagnia aerea in difficoltà
Quale il prezzo del Patriottismo? Nel caso di Alitalia, il vettore di bandiera dell'Italia a lungo
paralizzato, la risposta è di circa 5 miliardi di euro ( 7,3 miliardi di dollari) o circa 125 euro per
ognuno dei 40 milioni di contribuenti.
Anche prima dell'operazione montata dal governo di Silvio Berlusconi di preservare l’Italianità
della compagnia aerea, vi sono entrati 3 miliardi di euro di denaro pubblico. Il salvataggio, noto
come Operazione Phoenix, canalizzerà 1,2 miliardi di euro di debiti di Alitalia e i suoi pezzi meno
redditizi in una "Cattiva Compagnia", che è scaricata sul Tesoro italiano. Una relazione dell’Istituto
Bruno Leoni, un centro di ricerca liberale, conclude che "In tutto, il costo per lo stato potrebbe
raggiungere quasi 2 miliardi di euro." Ma le stime della stampa sono andate molto più in alto, e
molti dettagli restano indecisi.
Il 28 agosto, il governo ha offerto di garantire per sette anni un’occupazione alternativa o la
protezione sociale a 5000 lavoratori che stanno per perdere il loro posto di lavoro. Il disegno di
legge che dà questa garanzia uscirà solo dopo i colloqui con i sindacati che hanno cominciato
seriamente il 4 settembre (se i colloqui falliranno, questo potrebbe silurare l'intero progetto). Non è
chiaro se il tesoro potrà mai ricevere i 300 milioni di euro che ha investito in Alitalia, su richiesta di
Berlusconi nel mese di aprile.
E questi sono solo i costi quantificabili. L’Operazione Phoenix avviluppa il principale rivale
nazionale di Alitalia, Air One, nella nuova società, soffocando la concorrenza in Italia, in particolare
la rotta redditizia Roma-Milano (Linate). Il governo sta dispensando la nuova società per un
periodo di tre anni dalle restrizioni imposte dall’autorità antitrust Italia. Il piano conferma inoltre la
perdita del nodo Milano Malpensa. Gran parte del traffico Inter-Continental proveniente dal cuore
industriale dell’Italia sarà quindi instradato attraverso Francoforte, Parigi o Londra. Qualunque dei
tre benefici può dipendere dalla scelta di partner stranieri della nuova società. Si dice che Air
France-KLM (che si è ritirata da una precedente offerta) e Lufthansa siano entrambe interessate.
Ma anche la British Airways ha sniffato attorno.
Reuters
Un costoso addio a tutti
In ogni modo, la logica dell’Operazione Phoenix non è mai stata economica. Il suo obiettivo era
semplicemente onorare la dichiarazione di Berlusconi, fatta prima delle elezioni del mese di aprile,
secondo la quale aveva una soluzione migliore per Alitalia rispetto all’offerta franco-olandese, che
egli definiva "offensiva" (ma che avrebbe alleviato i debiti dei contribuenti di Alitalia). Egli ha
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Rassegna stampa internazionale
insistito sul fatto che un consorzio di imprenditori italiani stesse attendendo la sua occasione.
Dopo diversi mesi di ritardo, è stata davvero creata l’associazione di finanziatori.
I 16 investitori, che si dicono essere pronti a mettere su 1 miliardo di euro, sono guidati da Roberto
Colaninno, presidente del gruppo Piaggio che produce scooter. Il suo ruolo sembra smentire la
dichiarazione secondo la quale Berlusconi avrebbe forti amici a sostegno del progetto, Colaninno è
collegato con il centro-sinistra (anzi, suo figlio è portavoce dell’opposizione). "Se sei un
imprenditore, una sfida come questa si rivolge a voi, come un dovere", ha detto al quotidiano La
Repubblica il 29 Agosto. Anche i leader sindacali gli hanno dato il beneficio del dubbio.
Ma lo scetticismo rispetto agli interessi dei suoi soci è diffuso. "Io non conosco nessuna tigre
vegetariana ", commenta Marco Ponti, professore di economia dei trasporti al Politecnico di Milano.
"E non conosco nessun imprenditore pronto a perdere denaro per il bene dell’Italianità". Come
molti analisti italiani, egli sospetta che sia stato garantito loro che, se le cose vanno male, il
governo farà loro "favori in altri settori".
Tutto ciò dovrebbe essere di grande interesse per la Commissione europea. Tuttavia, una delle
prime azioni di Berlusconi è stata quella di assicurare il portafoglio ai trasporti di un sostenitore,
Antonio Tajani. Alcuni dei concorrenti di Alitalia ancora si lamentano a Bruxelles. Ma anche prima
che Colaninno arrivasse a spiegare l'Operazione Phoenix, Tajani l’aveva lodata per "favorire il
[libero] mercato e il principio della concorrenza."
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Rassegna stampa internazionale
Financial Times
02/09/08
Il consorzio chiede 400 milioni di euro per i beni dell’Alitalia
Di Guy Dinmore
Il consorzio di investitori italiani ieri ha presentato un’offerta condizionata di circa 400 milioni di
euro di alcuni beni Alitalia, la compagnia di bandiera in perdita dell’Alitalia che è stata messa in
amministrazione controllata la scorsa settimana.
Fonti all’interno del consorzio, che hanno chiesto di non essere nominate, hanno affermato che
l’offerta è valida per poche settimane ed ha condizioni annesse, che includono l’accettazione da
parte dei sindacati dei tagli di posti di lavoro su larga scala nel piano dell’azienda e l’approvazione
dei regolatori italiani ed europei.
Il consorzio intende acquisire parte della vecchia flotta di Alitalia, piste, rotte, marchio e fondere
quanto rimane della compagnia aerea con Air One, il concorrente più piccolo.
Le due compagnie aeree avranno una quota di mercato interno del 60%, e un monopolio iniziale
sulla rotta Roma – Milano, una delle più redditizie in Europa.
Gli investitori italiani, che sono vincolati per cinque anni, includono Roberto Colannino, presidente
della Piaggio, produttrice di motocicli; Intesa Sanpaolo, una banca importante ed ex adviser di
Alitalia; Carlo Toto, proprietario di Air One; e il gruppo autostrade Atlantia controllato dalla famiglia
Benetton.
I ministri del governo dovevano incontrarsi la scorsa notte per la prima volta con i dirigenti di nove
sindacati che rappresentano 18.000 lavoratori di Alitalia.
Sono già stati presi diversi impegni, che includono il trasporto di lavoratori in altre imprese di
governo e sette anni di indennità di licenziamento.
Gli investitori, che si pensa siano 17 in totale, hanno formato la scorsa settimana una società
fittizia “Compagnia Aerea Italiana” presieduta da Colannino, per presentare un’offerta di
acquisizione. Il consorzio è stato approvato dal governo di Silvio Berlusconi.
Si pensa che un secondo gruppo di investitori vi aderisca entro settimane, includendo
possibilmente Air France-KLM, che ha espresso un interesse.
L’offerta è stata presentata da Rocco Sabelli, scelto come futuro direttore della nuova compagnia,
ad Augusto Fantozzi, nominato dal governo come amministratore di Alitalia dopo che la direzione
della compagnia aerea ha chiesto lo scorso venerdì la protezione con il provvedimento fallimentare.
L’offerta è stata di 400 milioni di euro, leggermente più alta di quanto si aspettavano alcuni analisti.
Regge il confronto con la capitalizzazione del mercato Alitalia di circa 1 miliardo di euro prima della
sospensione delle sue azioni nello scorso giugno.
Tuttavia, le critiche riguardo l’acquisizione dicono che costerebbe al governo molto più dell’offerta
fatta da Air France-KLM e respinta dai dirigenti sindacali e da Berlusconi ad aprile.
Il governo di centro destra, che possiede il 49.9% di Alitalia, ha promesso di proteggere i piccoli
azionisti senza dettagli significativi.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Financial Times
31/08/08
Lo specialista di operazioni di carico e scarico dice “basta”
rimpiangere l’Alitalia
Di Guy Dinmore da Roma
Roberto Colannino, alla guida di un consorzio di investitori italiani che presenterà lunedì un’offerta
per salvare il ridimensionamento di Alitalia, dice che gli italiani dovrebbero smetterla di piangere il
declino del loro paese e dovrebbero fare qualcosa.
La compagnia di bandiera, il 49.9% di proprietà dello stato, è diventata emblematica per gli sforzi
dell’economia italiana: non rende, dipendente dai salvataggi del governo, passata al vaglio dei
politici rapaci e dei sindacati, ma che ha un bell’aspetto nella divisa disegnata da Armani.
“Dobbiamo dire basta (è abbastanza) e smetterla di piangere, di discutere al bar e di non prendere
nessuna azione”, dichiara il 65enne specialista di operazioni di carico e scarico che
precedentemente ha salvato l’Olivetti, una società di computer, e la Piaggio produttrice di motorini.
“Se non potremo, allora il futuro dell’Italia sarà molto cupo”, ha riferito al Financial Times.
“Si tratta di una sfida eccitante. Mi piace molto. Fa parte della mia personalità”.
Si pensa che un consorzio di investitori, 17 nell’ultimo conteggio e messi assieme dall’advisor di
Alitalia, Intesa San Paolo, presenti lunedì la sua offerta per le possibili parti redditizie della
compagnia aerea. Si prevede che quanto rimane dell’Alitalia, meno pressoché 5.000 lavoratori e
quasi la metà della sua flotta, si fonderà con Air One, il suo rivale più piccolo a livello nazionale,
con Colannino come presidente.
Si spera che Air France – KLM o la Lufthansa entreranno come azionisti di minoranza entro
settimane. Air France ha confermato giovedì il suo interesse ad azioni di minoranza e una fonte
dell’industria ha affermato che potrebbe accettare fino al 20% della nuova compagna aerea. Air
France si è rifiutata di commentare ulteriormente.
L’Alitalia è stata messa venerdì sotto amministrazione speciale.
Il consorzio sta mettendo un totale di circa 1 miliardo di euro, ma non ha detto quanto offrirà
all’Alitalia. Carlo Toto sta pagando circa 300 milioni di euro per Air One.
Nel 1999, Colannino fu salutato come un pioniere, spezzando il modello imprenditoriale italiano
assaltando il mercato con le sue acquisizioni basate su un alto indebitamento di Telecom Italia, nel
momento della più grande acquisizione mondiale.
L’Italia, fu detto, stava entrando in una nuova era del mercato, spezzando con gli accordi segreti
del passato tra i politici e le dinastie industriali.
Mentre non ci sono dubbi che Silvio Berlusconi, il primo ministro di centro destra miliardario, sia un
imprenditore determinato come Colannino, l’accordo Alitalia sa di un ritorno ai vecchi giorni
dell’intervento statale.
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Il governo ha bloccato un’acquisizione straniera, passata velocemente attraverso una legislazione
fatta su misura della bancarotta, ha sospeso le barriere antitrust, ed è stata attiva nel chiedere la
strada al consorzio.
Colannino, che è identificato come sostenitore del centro sinistra con il figlio che appartiene
all’opposizione parlamentare, ammette che l’acquisizione Telecom Italia sia stata fatta in
circostanze molto diverse.
La sua difesa è che i politici eletti debbano fare il loro lavoro, mentre gli imprenditori e i sindacati
fanno il loro. Ha fatto notare che si è trattato di un governo non eletto ad ave r escluso
l’acquisizione di Air France-KLM, che la precedente amministrazione di centro sinistra aveva
approvato.
Dice di non aver preso parte nel processo delle offerte del 2007 perché le condizioni per una svolta
di successo non esistevano.
Aggiunge che altre parti hanno ancora la possibilità di fare le offerte mentre Alitalia è smantellata
da Augusto Fantozzi, l’amministratore nominato dal governo.
Alla domanda come supererà la resistenza del sindacato ai tagli dei posti di lavoro e al rinegozia
mento dei contratti di lavoro, afferma che i contratti di lavoro non sono più validi e aggiunge:
“Devono capire che l’alternativa è la bancarotta…Questa non sarà una normale discussione
sindacale”.
Si pensa che la società finanziaria Immsi di Colannino investa fino a 150 milioni di euro nella
nuova compagnia aerea, diventando uno dei tre principali investitori.
Roco Sabelli, il suo braccio destro e specialista di operazioni di carico e scarico, sarà il direttore
generale.
I grandi nomi nel consorzio includono la stessa Intesa Sanpaolo, come la Benetton, Fosatti, Riva e
Aponte. Come collaboreranno tali grandi aziende che hanno un’alta considerazione di sé è una
questione importante, sebbene si siano accordati di rimanere vincolati per quattro, cinque anni.
L’inclusione di Air One, meno il suo proprietario, fa del nuovo vettore una prospettiva attraente per
un partner straniero.
Colannino afferma che anche Toto sarà un azionista di minoranza.
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Rassegna stampa internazionale
Labour Start
02/09/08
IRIN
Israele opta per un progetto che darebbe agli israeliani “nuovi
posti di lavoro” nel settore delle costruzioni al posto dei
lavoratori palestinesi
Donne palestinese camminano
vicino il muro israeliano di
Ramallah in Cisgiordania
Ramallah, 28 agosto 2008 (IRIN). Se il ministro israeliano delle finanze cercherà di far passare
alcune riforme come parte del bilancio proposto per il 2009, ci potrebbe essere ben presto quasi
nessun lavoratore nel settore israeliano delle costruzioni.
“Vogliamo creare una situazione in cui non esiste motivo per assumere lavoratori palestinesi
invece di quelli israeliani”, ha aggiunto.
Secondo le prime stime, basate sulle statistiche del governo israeliano e sui dati di organizzazioni
non governative, circa 15.000 lavoratori palestinesi del settore correrebbero il rischio di perdere il
loro posto di lavoro. Data la disoccupazione e i salari bassi nei territori palestinesi occupati, questo
rappresenterebbe un colpo all’economia locale, specialmente per la Cisgiordania dalla quale
proviene la maggior parte dei palestinesi.
Un portavoce del ministro delle finanze, Shlomi Shefer, ha confermato ad IRIN che la sezione
importante del bilancio proposto all’approvazione del ministro era intesa a limitare il numero dei
lavoratori palestinesi, e dei lavoratori migranti in generale, in Israele al fine di ridurre la
disoccupazione israeliana e introdurre i cittadini nella forza lavoro. Questo fa parte di una politica
globale.
Il 25 agosto, il governo ha votato e approvato il bilancio dopo ore di dibattito, ma diventerà chiaro il
31 agosto se il governo voterà “si” su questa parte del bilancio, quando saranno resi noti i dati. Il
bilancio totale deve ancora ricevere l’approvazione del parlamento in pochi mesi.
Agli abitanti di Gaza non è da tempo permesso di andare a lavorare in Israele, e la maggior parte
dei lavoratori della Cisgiordania non ha il permesso necessario per entrare.
Secondo il governo e i dati delle ONG, la forza lavoro palestinese in Israele è diminuita di due terzi
in 15 anni dall’inizio del processo di pace di Oslo.
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Rassegna stampa internazionale
Previste tasse per i lavoratori palestinesi
Il nuovo progetto riguarderebbe una tassa annuale (di circa 1.000 dollari americani), equivalente
più o meno al salario minimo mensile, per ciascun lavoratore palestinese del settore delle
costruzioni, che renderebbe il posto di lavoro finanziariamente molto attraente.
Il ministro delle finanze ha affermato che questo fa parte dell’intero piano per diminuire il numero di
non israeliani, mentre si inducono gli israeliani a lavorare in quello che sono conosciuti come “posti
di lavoro nuovi” nel gergo locale, che riguardano lavori duri che fanno sporcare le mani.
Oltre a risolvere i problemi di disoccupazione per Israele, il ministro ha affermato che ha bisogno di
fare certezza sull’esistenza di un costante rifornimento di posti di lavoro, dato che i permessi di
lavoro dei palestinesi possono essere revocati nei periodi di agitazione.
Salari migliori per gli israeliani
Il canale televisivo israeliano 10TV ha riferito recentemente che il ministro ha dato quasi 10 milioni
di dollari all’Associazione degli Imprenditori e ai Costruttori per aiutarli ad assorbire gli israeliani
nella forza lavoro. Gli incentivi includono un salario migliore di quello attualmente pagato ai
palestinesi, di benefit che includono una festività.
Hannah Zohar, della Workers’ Hotline, un’ONG israeliana basata a Tel Aviv, ha affermato che
questo è solo l’inizio.
“Secondo me, questo sarà esteso anche ad altri settori, non solo al settore delle costruzioni”, ha
affermato.
E’ preoccupata che con l’imposizione fiscale i palestinesi saranno sfruttati, possibilmente
obbligandoli a coprire la tariffa [tassa] dal loro stesso salario, e con datori di lavoro che trarranno
beneficio dalla loro situazione disperata. Informazioni di maltrattamenti sono già comuni,
specialmente negli insediamenti, dove esiste una scarsa applicazione delle leggi del lavoro.
La Workers’ Hotline ha informato recentemente che in una fabbrica israeliana in Cisgiordania, i
palestinesi ricevono soltanto 10 shekel l’ora (2.8 dollari americani), mentre le donne guadagnano 6
Shekel (1.68 dollari), un terzo del salario minimo per un’ora di lavoro.
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International Herald Tribune
02/09/08
La Corea del Sud e Singapore mettono in circolazione consigli
sui viaggi in Tailandia
The Associated Press
Bangkok, Tailandia. Singapore e la Corea del Sud hanno messo in guardia i loro cittadini martedì
dal fare viaggi in Tailandia, e Washington ha avvertito che la violenza politica, le crescenti
preoccupazioni e la crisi politica attuale potrebbero danneggiare l’economia del paese che si basa
sull’importanza del turismo.
I consulenti seguono la decisione del primo ministro Samak Sundaravej di imporre lo stato di
emergenza continuo dopo che gli scontri tra i manifestanti a favore e contrari al governo hanno
provocato la morte di una persona e decine di feriti.
L’industria del turismo ha già sofferto del colpo ricevuto nel fine settimana dopo che i manifestanti
hanno obbligato la chiusura di tre aeroporti a Phuket, Krabi e Hat Yai. I sindacati che hanno
solidarizzato con i manifestanti hanno mantenuto chiusi i servizi ferroviari nel paese.
L’aeroporto a Hat Yai, nel sud del paese, ha riaperto sabato solo per chiudere ancora martedì
dopo che le manifestazioni antigovernative hanno bloccato l’entrata. I manifestanti hanno
minacciato uno sciopero nel principale aeroporto internazionale di Suvarnabhumi.
“Queste proteste fanno sembrare la Tailandia come un posto inospitale e piuttosto mutevole nel
quale mettere i vostri soldi”, ha affermato Kobsidthi Silpachai, il responsabile della ricerca dei
capitali nei mercati, Kasikorn Bank.
“La gente che è un potenziale turista dirà “Che cosa sta accadendo? C’è uno stato di emergenza.
Forse non è il migliore posto dove andare”, ha afferamto Kobshidthi. “Avrà una conseguenza
grande”.
Singapore e la Corea del Sud hanno messo in circolazione consigli che sollecitano i loro cittadini a
posticipare i viaggi non importantissimi verso il paese. L’Australia e la Nuova Zelanda, d’altro canto,
hanno avvisato i loro cittadini ad “esercitare un alto grado di prudenza” se si viaggia verso il paese.
Le autorità canadesi e americane hanno avvisato i cittadini di evitare le manifestazioni a Bangkok.
“Desideriamo ricordare ai cittadini americani che persino le manifestazioni intese essere pacifiche
possono trasformarsi in un confronto e in una possibile escalation della violenza”, ha avvisato
l’ambasciata americana ai suoi cittadini. “E’ richiesto ai cittadini americani di evitare, se possibile,
le aree delle manifestazioni e di fare prudenza nelle vicinanze di qualsiasi manifestazione”.
Il turismo in Tailandia ha portato circa 27 miliardi di dollari americani lo scorso anno ossia il 6.5%
del PIL della Tailandia, così un colpo alla reputazione del paese che si presenta come la “terra dei
Sorrisi” potrebbe avere un effetto a catena per il resto dell’economia.
Martedì, Samak ha dichiarato lo stato di emergenza, che si aggiunge all’incertezza che ha
perseguitato l’economia per oltre un anno.
L’economia della Tailandia, che è fortemente dipendente dai dollari dei turisti e dall’investimento
straniero, ha lottato per riconquistare la sua posizione dal colpo di stato del settembre 2006 che ha
rovesciato il primo ministro Thaksin Shinawatra.
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Gli investitori hanno salutato lo scorso anno il ritorno della democrazia, quando le elezioni hanno
portato il governo di Samak. Ma dopo mesi, gli stessi manifestanti che avevano obbligato Thaksin
a lasciare l’incarico sono ritornati nelle strade per manifestare contro Samak, che accusano di
essere un mandatario dell’ex primo ministro.
I manifestanti hanno intensificato le manifestazioni una settimana fa quando hanno preso d’assalto
l’ufficio del primo ministro e lo hanno cacciato. Lo hanno occupato da allora, asserendo che vi
rimarranno finché Samak non darà le dimissioni, che si è rifiutato di fare.
Gli analisti hanno avvisato che le cose andranno probabilmente male con la prospettiva che gli
investitori e i turisti si impauriranno per l’instabilità dei fatti più recenti. Il mercato azionario
tailandese è andato sotto del 25%, da quando sono iniziate le proteste a maggio, mentre il dollaro
ha guadagnato il 6% contro il Thai baht.
Martedì, il mercato azionario era sotto di 15.7 punti ossia di circa il 2.3% mentre il baht si è
indebolito leggermente.
Andrew Walker, dell’università nazionale australiana che ha seguito la crisi, ha affermato che i
giornali nel suo paese erano pieni di storie orrende di turisti il cui viaggio è stato rovinato dopo che
le proteste hanno obbligato la chiusura di tre aeroporti in Tailandia nel fine settimana. Gli scioperi
hanno creato disagi nel servizio ferroviario nazionale.
“Con gli aeroporti a Phuket e Krabi paralizzati e le informazioni nei giornali di turisti che hanno
dovuto affrontare i manifestanti, non è una buona cosa per l’immagine della Tailandia come
destinazione amichevole dei turisti”. Ha affermato Walker.
Secondo The Bangkok Post, l’Associazione Pacific Asia Travel ha affermato di aver sentito che
diverse conferenze sono state cancellate in Tailandia a causa delle difficoltà e coloro che
viaggiano per motivi d’affari hanno cancellato le prenotazioni alberghiere. Il principe britannico
Andrew, il Duca di York, ha posticipato la sua visita di sei giorni in Tailandia.
Jaturont Pakdeepanich, dell’ufficio per lo sviluppo del turismo del paese, ha ammesso di essere
preoccupato della decisione di Samak di decretare lo stato di emergenza.
“Lo stato di emergenza avrà un impatto sull turismo”, ha affermato Jaturont. “Di sicuro, se io fossi
un turista, non andrei in Tailandia”.
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Rassegna stampa internazionale
Labour Start
01/09/08
Uno studio mostra che gli iscritti al sindacato in America sono
aumentati realmente nel 2008
Il livello degli iscritti negli Stati Uniti, incoraggiato da una marea in aumento in California in
generale e nel sud della California in particolare, è, secondo l’Istituto per le Ricerche sul Lavoro e
sull’Occupazione, l’UCLA, realmente aumentato quest’anno, sfidando una tendenza di decenni al
declino.
“Lo Stato dei Sindacati nel 2008: un profilo degli iscritti al sindacato a Los Angeles, California e
della Nazione”, mostra che il livello di sindacalizzazione in tutto il paese è aumentato di metà
punto percentuale rispetto al 2007, passando al 12.6% di tutti i lavoratori americani nel 2008. Il
livello è aumentato di un decimo di un punto percentuale tra il 2006 e il 2007. Precedentemente,
l’ultima volta che i livelli di sindacalizzazione registrarono un aumento fu nel 1979.
“Questa è una buona notizia per il lavoro organizzato”, ha affermato Ruth Milkman, autore
principale del rapporto e direttore uscente dell’istituto del lavoro UCLA. “Mostra che nonostante
un contesto estremamente ostile, i sindacati possono crescere”.
Milkman e lo studente laureato in sociologia dell’UCLA, Bongoh Kye hanno analizzato i dati
dell’indagine sulla popolazione attuale in America e sugli iscritti al sindacato in California, Los
Angeles e nel paese. Riferiscono dei livelli di sindacalizzazione per razza, condizione di
provenienza dell’immigrato, genere, età e per istruzione dei primi sei mesi del 2008. Il rapporto di
quest’anno e i primi studi dei dati sulla sindacalizzazione risalgono al 1996 e sono disponibili
all’indirizzo
www.irle.ucla.edu/research/unionmembership.html.
Secondo il rapporto, nella prima metà del 2008, il numero dei lavoratori americani iscritti nel
registro dei sindacati è aumentato di 583,300 rispetto alla media del 2007.
Ad alimentare l’aumento nel paese è stata la recente crescita degli iscritti in California, che
attualmente contano il 16% di tutti gli iscritti al sindacato del paese, più di ogni altro stato
americano. Il livello di sindacalizzazione della California nel 2008 è del 17.8%, passando al 16.7%
nel 2007 e al 15.7% nel 2006.
L’area metropolitana di Los Angeles, che include Los Angeles, Riverside, Orange, Ventura e le
contee di Santa Barbara, ha aiutato la spinta alla crescita sindacale della California. Secondo lo
studio dell’UCLA, che viene presentato ogni anno in occasione del Primo Maggio, quasi la metà
dei 2.633.600 iscritti al sindacato della California, ossia 1.227.600 lavoratori, vive nell’area
metropolitana di Los Angeles. Nonostante il fatto che siano stati percepiti storicamente come
antisindacali, Los Angeles e la vicina area metropolitana hanno recentemente aumentato i livelli di
sindacalizzazione, che sono aumentati al 17% nel 2008 passando dal 15.9% nel 2007 e dal 15.2%
nel 2006.
“In un modo molto reale, Los Angeles e la California continuano ad essere un forte motore della
crescita del lavoro organizzato a livello nazionale”, ha affermato Milkman, un professore di
sociologia dell’UCLA. “Il movimento del lavoro qui è in forma migliore che nel resto del paese. Se
l’aumento di quest’anno nel paese prova essere una tendenza che dura, gli storici si guarderanno
indietro e vedranno la forza principale di quella crescita qui nel West”.
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Rassegna stampa internazionale
Nel rapporto si dichiara che i livelli di sindacalizzazione relativamente alti della regione si
accordano con l’alto livello di sindacalizzazione del settore pubblico, e con il fatto che il settore nel
quale la sindacalizzazione è diminuita più nettamente a livello nazionale, il settore manufatturiero,
sia stato storicamente meno importante per l’economia della regione rispetto ad altre parti del
paese.
Nella prima metà del 2008, i livelli di sindacalizzazione nel settore manufatturiero erano del 10.1%
a Los Angeles del 9.9% in California. Facendo un paragone, il livello di sindacalizzazione nei
servizi dell’istruzione era del 47.3% a Los Angeles e del 49% in California; nella pubblica
amministrazione era del 56.9% a Los Angeles e del 55.3% in California.
Mentre il settore pubblico continua a rappresentare la più grande parte del totale dei lavoratori
sindacalizzati, lo studio ha scoperto un’inattesa ripresa della sindacalizzazione nel settore privato
nelle tre giurisdizioni geografiche. Sebbene l’aumento nello stato e nel paese fosse un po’ troppo
piccolo, il livello di sindacalizzazione del settore privato di Los Angeles è aumentato passando
dall’8.8% nel 2007 al 10% oggi.
“Un fattore di questa crescita è la recente attività sindacale, come il successo della campagna qui
a Los Angeles del Sindacato Internazionale dei Lavoratori dei Servizi, ma i livelli di
sindacalizzazione sono condizionati da molti altri fattori”, ha osservato Milkman. “Se i posti di
lavoro sono stati persi nei settori non sindacalizzati a causa del rallentamento dell’economia, come,
ad esempio, abbiamo visto recentemente nel settore della costruzione residenziale, questo, se gli
altri settori rimarranno stabili, può condurre ad un aumento del livello di sindacalizzazione”.
L’appello alla sindacalizzazione degli stessi lavoratori è facile da capire. Lo studio ha scoperto che
oggi negli Stati Uniti il guadagno orario medio è di circa 2.50 $ più alto per gli iscritti al sindacato
che per i lavoratori non sindacalizzati. Gli iscritti al sindacato avranno molto probabilmente più
accesso ai benefit come i piani di pensionamento, l’assicurazione medica e il congedo rispetto ai
loro omologhi non sindacalizzati.
Sebbene i dati a livello statale e locale riguardo i benefit non sono disponibili per il 2008, nel paese,
il 90% dei lavoratori iscritti al sindacato ha avuto accesso ai benefit per il pensionamento,
paragonati al 61% dei lavoratori non sindacalizzati; il 91% dei lavoratori iscritti al sindacato ha
avuto accesso alla copertura sanitaria, paragonata al 70% di lavoratori non sindacalizzati; e al 57%
di iscritti al sindacato hanno avuto benefit per i congedi rilasciati dal datore li lavoro, paragonati al
38% dei lavoratori non sindacalizzati.
Mentre l’area metropolitana di Los Angeles potrebbe essere l’ambiente naturale per la più grande
concentrazione di lavoratori iscritti al sindacato nello stato, non vanta il livello più alto di
sindacalizzazione. Nel rapporto si dichiara che, come nel passato, Sacramento rivendica questa
distinzione, seguito da San Francisco, Los Angeles e Fresno. San Diego ha il livello più basso di
sindacalizzazione dello stato, al 13.4%, con il 7.7% nel settore privato.
I ricercatori osservano che come si verifica da decenni, i livelli di sindacalizzazione sono
considerevolmente più alti tra i lavoratori anziani che non tra i giovani.
“Queste differenze riflettono il fatto che i posti di lavoro sindacalizzati, forniscono, in media, ai
lavoratori salari realmente più alti rispetto ai posti di lavoro non sindacalizzati”, ha affermato Kye. “I
salari più alti sono di solito collegati ad un riassetto aziendale più basso, che genera una forza
lavoro più anziana nel tempo”. I posti di lavoro sindacalizzati offrono una maggiore sicurezza del
posto di lavoro rispetto a quelli non sindacalizzati, riducono ulteriormente il riassetto aziendale e
fanno aumentare l’età media dei lavoratori non sindacalizzati”.
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I ricercatori hanno scoperto che i lavoratori sindacalizzati in media, oltre ad essere più anziani,
sono più istruiti dei loro omologhi non sindacalizzati. Infatti, più alta è l’istruzione dei lavoratori e più
alti tendono ad essere i livelli di sindacalizzazione.
“Mentre dieci anni fa, l’archetipo di iscritto al sindacato era un colletto blu con un’istruzione limitata,
oggi le professioni medie sono destinate ad essere sindacalizzate con maggiore probabilità di
qualsiasi altra professione, specialmente nei settori come i servizi d’istruzione e la pubblica
amministrazione, che hanno un grande numero di lavoratori che hanno studiato al college.
Gli alti livelli di sindacalizzazione nei servizi d’istruzione e nella pubblica amministrazione
significano che le donne più degli uomini sono rappresentate dai sindacati in California e a Los
Angeles. Le donne lavorano in questi settori più degli uomini.
Gli insegnanti ed altri lavoratori del mondo dell’istruzione rappresentano oltre un quarto di tutti i
lavoratori sindacalizzati nella città, nello stato e nel paese, e i lavoratori della pubblica
amministrazione, come i bibliotecari, gli assistenti sociali e il personale degli ordini religiosi della
città e della contea, rappresentano oltre un ottavo degli iscritti al sindacato in tutte e tre le
giurisdizioni.
Il settore pubblico con un forte livello di sindacalizzazione rappresenta altre due tendenze
demografiche importanti della sindacalizzazione. Gli americani africani, che hanno un’alta
concentrazione nel settore pubblico, hanno il più alto livello di sindacalizzazione di qualsiasi razza
o etnia. Mentre il divario è recentemente diminuito, i lavoratori nati in America hanno un livello di
sindacalizzazione più alto (13% a livello nazionale) rispetto ai lavoratori nati all’estero (10.1%), che
troveranno molto probabilmente meno lavoro nel settore pubblico. I cittadini americani nati
all’estero, come gli immigrati arrivati negli Stati Uniti prima del 1990, hanno livelli di
sindacalizzazione simili ai lavoratori nati negli Stati Uniti.
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