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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
Dipartimento di Studi su Mutamento Sociale,
Istituzioni Giuridiche e Comunicazione
Dottorato di Ricerca in
Politica Educazione e Formazone Linguistico-culturale
CICLO XXIV
2009-2011
I new Englishes e la formazione degli insegnanti di inglese
come lingua ‘sempre meno straniera’ in Italia
in contesto plurilingue e in prospettiva interculturale
TUTOR
Chiar.ma Prof. ssa Elena di Giovanni
DOTTORANDA
Dott.ssa Ludovica Briscese
COORDINATRICE
Chiar.ma Prof.ssa Danielle Lévy
ANNO 2012
Le surpassement de la malédiction de Babel,
et donc l’acceptation de la diversité des langues,
l’impossibilité d’une langue universelle,
et la genèse progressive du concept de ‘grammaire générale’
situent la réflexion linguistique de Comenius dans la modernité.
(Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 394)
2
Desidero ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine, intellettualmente, fisicamente e
affettivamente durante questo percorso dottorale.
In primis le professoresse che ruotano attorno al ‘cantiere’ PEFLiC e che in questi anni mi hanno
fatto scoprire e ri-scoprire l’affascinante mondo delle lingue-culture, con le sue sfaccettature e le
sue potenzialità.
Ci tengo a menzionare in particolare la direttrice della scuola dottorale, la prof.ssa Danielle Lévy,
per aver creduto in me. E le mie tutors e professoresse Elena Di Giovanni e Edith Cognigni, perché
si sono rivelate delle consigliere preziose nel corso della ricerca, mi hanno guidata e spronata, in
modo professionale, ma allo stesso tempo umano e materno, a raggiungere l’obiettivo attraverso un
dialogo che non è venuto mai meno.
Un ringraziamento anche alla mie colleghe dottorande, con le quali ho potuto condividere questo
percorso di crescita intellettuale e personale, nonché a quegli insegnanti e alunni che hanno
contribuito con la propria testimonianza alla riuscita della ricerca.
Un pensiero va alla mia grande famiglia, ai miei fratelli e alle loro famiglie: a Elisabetta con
Gabriele e Giuditta, a Guglielmo e a Tommaso, che insieme a Kate mi tengono aggiornata
sull’Aussie English! Un grazie speciale va a mio padre, a mia madre, i quali, insieme ai miei
suoceri, con amorevole pazienza mi hanno ascoltata e mi hanno regalato molto tempo per scrivere.
Ultimi, ma primi per importanza nel mio cuore, mio marito Francesco e mia figlia Virginia, nata nel
settembre 2010, durante la scrittura della tesi. Non smetterò mai di ringraziare mio marito per il
coraggio, l’entusiasmo, e la voglia di scoprire che mi ha sempre infuso, anche quando pensavo di
non farcela. Un vero compagno di viaggio, che non mi ha mai abbandonata, e con il quale ho gioito
nei momenti piacevoli, soffrendo insieme nelle situazioni di difficoltà.
E Virginia, perché il suo sorrriso e la sua vicinanza hanno dato alla mamma la carica per dire:
questo lo faccio per te.
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a Virginia
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Indice
Introduzione
i. Premessa
-Gli assi portanti del PEFLiC nella ricerca .....................................................................................10
-La posizione della ricercatrice ......................................................................................................10
ii. La scelta della tematica: i nuovi inglesi nell’educazione plurilingue ......................................11
iii. Le lingue della scrittura: italiano e inglese ..............................................................................13
iv. Ipotesi della ricerca: le domande guida ....................................................................................14
v. Approcci alla ricerca ...................................................................................................................15
-ricerca documentaria: la ricerca bibliografica ...............................................................................15
-ricerca descrittiva : i questionari ...................................................................................................15
-ricerca esperienziale: la ricerca-azione .........................................................................................16
vi. Finalità della ricerca: nuovi approcci per la formazione degli insegnanti
di inglese in Italia .......................................................................................................................17
Capitolo I
La Babele d’ Europa: le politiche linguistiche e la formazione degli insegnanti di
lingue
1.1 Le Politiche di educazione linguistica e la posizione dell’inglese ..........................................19
1.2 L’Europa e la difesa della pluralità linguistico-culturale .....................................................25
1.3 Alcune raccomandazioni per un curricolo plurilingue e interculturale ..............................31
1.4 Direttive europee per la formazione degli insegnanti di lingue ...........................................37
1.5 La situazione in Italia ...............................................................................................................45
1.5.1 Le SSIS e l’attuale formazione degli insegnanti
nella Riforma Gelmini .......................................................................................................48
1.5.2 Alcuni esempi dalle ex SSIS d’Italia ................................................................................49
1.5.3 La Riforma Gelmini: punti di forza e punti di debolezza .................................................52
1.5.4 Focus sulla legislazione concernente la didattica dell’inglese .........................................54
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Capitolo II
Old and New Englishes: lost and found in transculturation
2.1 English and identity …………………………………………………………………..…….…57
2.2 On the urgency to learn English
2.2.1 The press mirrors attitudes towards English ...…………………………….……...….…..59
2.3 Varieties of English …………………………………………………………….….…..………61
2.3.1 English-es: labels and classifications ...………….………………………………..……...67
2.3.2 Post-colonial English ………………………….……………….…………….……..…….77
2.3.3 New Englishes ………………………………………………..……………….…….……80
2.3.4 English as a Lingua Franca ……………………….…………..…………….…….……...83
2.3.5 ‘to be or not to be native’: is that the question? …..……………………….…….……….97
2.4 Perspectives for ELT
2.4.1 English at school: LS, L2 or L1? ………………………………………….……...……..102
Capitolo III
Indagine: le rappresentazioni linguistiche degli studenti
-Premessa: dai cliché alle rappresentazioni linguistico-culturali ..............................................116
-Focus sull’inglese ........................................................................................................................119
3.1 I questionari nella classe di inglese: “Lingue, identità e inglese oggi” ...............................121
3.1.1 Struttura e contenuti del questionario ..............................................................................123
3.2 Analisi dei dati
3.2.1 Il campione .......................................................................................................................124
3.2.2 Le motivazioni allo studio delle lingue-culture ................................................................127
3.2.3 Percezioni delle lingue-culture e dei loro rapporti ...........................................................128
3.2.4 Conoscenze relative alla questione del mono-plurilinguismo oggi ..................................135
3.3 Focus sui questionari in riferimento agli indirizzi di scuola ................................................138
3.4 Focus sui questionari rispetto alla cittadinanza degli studenti ...........................................140
3.5 Riflessioni conclusive ...............................................................................................................141
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Capitolo IV
L’indagine sui bisogni formativi degli insegnanti di inglese di scuola secondaria
di II grado in Italia
-Premessa ........................................................................................................................................143
4.1 I questionari tra gli insegnanti di EFL: “La formazione degli insegnanti di inglese
in Italia in contesto plurilingue e interculturale”..................................................................144
4.1.1 Struttura e contenuti del questionario ....................................................................................144
4.2 Analisi dei dati
4.2.1 Il campione ......................................................................................................................146
4.2.2 Le scelte didattiche degli informanti ...............................................................................147
4.2.3 Conoscenze relative alle varietà dell’inglese e all’educazione plurilingue .....................155
4.2.4 Bisogni e proposte degli insegnanti per un percorso di formazione ‘su misura’ ............157
4.3 Analisi comparativa di alcuni dati in base all’anzianità di servizio ..................................160
4.4 Riflessioni conclusive ..............................................................................................................161
Capitolo V
Proposta formativa per insegnanti di inglese in prospettiva plurilingue e
interculturale
5.1 Indicazioni per costruire un corso di formazione iniziale/in servizio
per insegnanti di inglese di scuola secondaria
5.1.1 La motivazione .................................................................................................................163
5.1.2 La struttura .......................................................................................................................165
5.2 Finalità, obiettivi specifici e risultati attesi del progetto formativo ....................................166
5.3 Destinatari e caratteristiche generali del corso
-i destinatari ...............................................................................................................................169
-tempi e luoghi ..........................................................................................................................170
-metodo di lavoro .....................................................................................................................171
-la posizione della ricercatrice ..................................................................................................171
-descrizione del corso ...............................................................................................................172
5.4 Le fasi di lavoro del progetto .................................................................................................173
5.5 Considerazioni conclusive: difficoltà previste, elementi di innovatività e di
rimedi azione del progetto formativo
-Eventuali difficoltà .................................................................................................................182
-Elementi di innovatività e di rimediazione .............................................................................182
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Considerazioni Finali
L’inglese nell’educazione linguistica ............................................................................................184
Allegati
-Allegato 1: questionario indagine per studenti ...............................................................................189
-Allegato 2: questionario indagine per insegnanti ...........................................................................192
-Allegato 3: scheda riassuntiva della proposta formativa ................................................................196
Bibliografia ragionata
Didattica/didattologia delle lingue-culture ......................................................................................200
Educazione plurilingue e interculturale ...........................................................................................202
Formazione insegnanti di lingue .....................................................................................................205
Letteratura multi – inter- e transculturale ........................................................................................207
Lingue e identità nella migrazione ..................................................................................................208
Politiche linguistiche .......................................................................................................................208
Rappresentazioni delle lingue-culture e statuto dell’inglese ...........................................................210
Strumenti di ricerca .........................................................................................................................212
Varietà dell’inglese .........................................................................................................................213
Siti di consultazione .......................................................................................................................214
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Indice delle figure
Figura 1: Map of World Englishes....................................................................................................66
Figura 2: Strevens’ ‘World map of English’ .....................................................................................72
Figura 3: Kachru’s ‘Three circle model of world Englishes’ ...........................................................72
Figura 4: McArthur’s ‘Circle of world Englishes’ ...........................................................................74
Figura 5: Modiano’s ‘Centripetal circle of International English’ .................................................75
Figura 6: Paesi di lingua inglese analizzati a scuola ....................................................................126
Figura 7: Paesi associati alla lingua inglese .................................................................................129
Figura 8: Perché secondo te l’inglese è così diffuso nel mondo? ..................................................131
Figura 9: Cosa intendi per inglese standard? ................................................................................132
Figura 10: Plurilinguismo per te significa... .................................................................................136
Figura 11: Vantaggi se l’inglese diventasse la monolingua europea ...........................................137
Figura 12: Svantaggi se l’inglese diventasse la monolingua europea ...........................................138
Figura 13: Che cosa insegna principalmente? ..............................................................................149
Figura 14: Aspetti da rivedere nel curricolo di inglese .................................................................154
Figura 15: Quali varietà dell’inglese conosce? .............................................................................155
Figura 16: Preferenze circa gli argomenti di un futuro corso di formazione ..............................158
Figura 17: Ipotesi di mappa mentale per brasinstorming sulle varietà dell’inglese ....................176
Indice delle tabelle
Tabella 1: Comparazione fra gli ex-corsi SSIS (D.M 3/1998) e i nuovi corsi di formazione (D.M.
249/2010)............................................................................................................................................43
Tabella 2: List of some renown varieties of English and their abbreviations ..................................63
Tabella 3: ‘English speaking territories’ ..........................................................................................65
Tabella 4: ‘EFL and ELF’ ................................................................................................................87
Tabella 5: Perché studiare inglese? ...............................................................................................128
Tabella 6: Quali lingue consideri più importanti da apprendere oggi? .........................................130
Tabella 7: Conoscenza di altre varietà di inglese parlate nel mondo ............................................133
Tabella 8: Riflessioni circa l’ibridazione della lingua inglese con l’italiano e con le altre lingue134
Tabella 9: Altre lingue conosciute dagli insegnanti oltre all’inglese .............................................146
Tabella 10: Anni di insegnamento dell’inglese ...............................................................................147
Tabella 11: Ragioni che hanno spinto a operare determinate scelte di didattica dell’inglese ......151
Tabella 12: Griglia di riferimento per la costruzione di un percorso di educazione
plurilingue-interculturale ................................................................................................................179
Tabella 13: Ipotesi di questionario formativo ................................................................................181
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Introduzione
“Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini risoluti possa cambiare il mondo,
perché è la sola cosa che è sempre avvenuta”
(M. Mead)1
i. Premessa
- Gli assi portanti del PEFLiC nella ricerca
La presente ricerca si inserisce all’interno del solco scavato da tanti altri dottorandi,
ricercatori e professori all’interno e attorno al ‘cantiere PEFLiC’ (cfr. introduzione Lévy: 2010).
Questo studio va dunque considerato come un tassello in un quadro più complesso e
transdisciplinare di educazione plurilingue e interculturale, che si spera di aver nutrito in qualche
modo. Tale visione lungimirante ha motivato questa emozionante sfida incarnatasi nel percorso
dottorale.
In linea con i perni fondanti del dottorato, la formazione linguistico-culturale dei futuri insegnanti
emerge come obiettivo primo della ricerca, legata indissolubilmente alle politiche linguistiche
europee a monte, e ai risvolti dell’educazione alle lingue culture in Italia a valle. La questione della
posizione dell’inglese oggi funge da filo rosso nel dibattito linguistico e identitario che da sempre
caratterizza l’Europa e che si estende a livello mondiale.
-La posizione della ricercatrice
L’interesse maturato al momento del mio avvicinamento al percorso di dottorato e il
coinvolgimento come ricercatrice si sono manifestati non solo sul piano della ricerca-azione, ma
anche a livello professionale e personale, essendo a mia volta un’insegnante di inglese nella scuola
secondaria, nonché una ‘new English’ in senso lato, se si considera la posizione che l’inglese
occupa nel mio patrimonio linguistico-culturale. Il fatto che la sottoscritta sia un’insegnante di
inglese in Italia ha avuto un suo peso nella scelta della tematica da trattare e nella gestione della
ricerca. Tuttavia, per superare il dualismo ricercatrice-insegnante (cfr. Cavagnoli-Passarella, 2011:
39), è stato necessario stabilire una distanza riflessiva al fine di mantenere un certo rigore
scientifico, un’empatia e non un coinvolgimento totale: “La recherche action correspond à un projet
personnel de traiter scientifiquement une expérience vécue” (Molinié, 2008: 11). Allo stesso tempo
ho beneficiato in prima persona di tale riflessione per ripensare anche alla mia professione e alle
mie posizioni in merito alle questioni trattate. È innegabile che nel corso della ricerca si sia venuta a
creare una forte tensione fra la visione lungimirante che nasce in seno all’Università per quanto
concerne l’educazione linguistica − pur con tutti i suoi limiti burocratici e finanziari attuali − e la
pratica didattica nella scuola italiana, non sempre al passo con la ricerca, o, ancor peggio, non
ancora pronta a condividerne gli obiettivi. Da qui la necessità di mediare fra teorie e pratica, fra
1
Margaret Mead, antropologa culturale americana
10
situazioni ideali e reali, sempre alla ricerca di un confronto, di un dialogo e un appoggio reciproco
fra il mondo accademico e il mondo scolastico in virtù di un ideale comune.
Questa ricerca non va intesa come un canone applicabile ovunque e comunque, bensì come un
progetto afferente ad uno specifico spazio-tempo – quello della scrittura della tesi in Italia nell’arco
del triennio 2009-2011 – non per questo meno valido ai fini di eventuali sperimentazioni presenti,
nonché di riflessioni retro e proattive.
ii. La scelta della tematica: i nuovi inglesi nell’educazione plurilingue
In un’epoca di grandi cambiamenti e movimenti, voluti e forzati, di persone e idee su scala locale e
internazionale, risulta vitale ripensare alla formazione degli insegnanti di lingue, insigniti del
delicato e appassionante ruolo di mediatori di cultura e di cittadinanza.
Il titolo della tesi mostra i nodi cruciali della ricerca, preannunciando un programma molto denso e
in fieri2: “I new Englishes e la formazione degli insegnanti di inglese come lingua ‘sempre meno
straniera’3 in Italia in contesto plurilingue e in prospettiva interculturale”.
L’asserzione secondo la quale l’aggettivo ‘straniera’ risulta ormai obsoleto, inadeguato a connotare
le lingue, tanto meno l’inglese, in un contesto plurale e ibridato linguisticamente e culturalmente
come quello odierno, funge da punto di partenza e di proiezione dell’intera ricerca: “[…]
l’expression même didactique des langues étrangères ne semble plus tenable pour décrire le
contexte multilingue local” (Lo Bianco-Veronique, 2008: 342).
Si parla di ‘contesto’, dal momento che si vuole dimostrare come il nostro tessuto sociale si trovi
già in codesta situazione di multi-pluri-linguismo-culturalismo, pur se considerata spesso come un
problema da risolvere o, ancora peggio, non sia tenuta affatto in considerazione. Si indagheranno le
politiche per l’educazione linguistica in Europa, ponendo l’accento su quei documenti utili per la
formazione degli insegnanti, collocando la tematica in un tempo e in un contesto ben definiti: lo
spazio dell’Europa, del pluralismo, e il tempo presente della globalizzazione, della mobilità, delle
comunicazioni, dell’apertura-chiusura, reale e sbandierata, al diverso (cfr. Kapuściński, 2007).
Se il plurilinguismo è uno dei principi fondanti, nonché l’obiettivo delle politiche di educazione
linguistica in Europa (cfr. Castellotti-Moore, 2002: 5 e CEFR, 2001: 168), di fatto un pesante
imperativo sembra echeggiare in contesti più o meno istituzionali:
“[...] per sviluppare degli affari in campo internazionale serve una sola lingua e questa lingua è
l’inglese. Non serve investire in altre lingue meno diffuse, poiché tutti parlano inglese, è più
economico investire in questa lingua e solo in questa. D’altronde se tutti parlassero la medesima
lingua, ci si capirebbe molto meglio. Le lingue sono degli ostacoli agli scambi. Per facilitare il
commercio, bisogna imporre la lingua unica” (Observatoire européen du plurilinguisme, 2011).
2
Molti temi si collegano alla ricerca in questione, pertanto talvolta sono accennati, suggeriti, ma non approfonditi per
ovvie ragioni di spazio/tempo. Innumerevoli sono state le revisioni atte a restringere un campo di lavoro che si sarebbe
prestato all’apertura di numerosi approfondimenti. Si veda la nota 5 per i cambiamenti al titolo in Briscese (2010: 75).
3
L’espressione ‘sempre meno straniera’ echeggia il titolo di una collana di studi linguistici diretta dalla prof.ssa Lévy
“Lingue sempre meno Straniere”, Wizarts (2007).
11
Non si può dunque parlare dell’inglese, delle paure e delle prospettive per questa lingua e per i suoi
sviluppi didattici senza collocarla in un tale contesto di esaltazione-demonizzazione che
all’occorrenza la investe, con tutte le implicazioni a livello di rappresentazioni e di status che ne
conseguono. Verrà altresì analizzato in che misura il multiculturalismo, inteso come coesistenza di
più culture su uno stesso territorio (Cavagnoli-Passarella, 2011), si traduca o meno in dialogo e
scambio interculturale, e fino a che punto sia vero che gli europei stiano subendo una camaleontica
trasformazione dal monolinguismo nazionale ad un mono-plurilinguismo di matrice angloamericana.
La scelta di focalizzare la presente ricerca soprattutto sulle lingue-culture in inglese è dettata dal
fatto che tale lingua ha i suoi tempi e i suoi bisogni, che in questo momento sono sentiti come
impellenti rispetto all’insegnamento/apprendimento delle altre lingue in Italia e su scala mondiale.
Con ciò non si vuole assolutamente intendere che l’apprendimento dell’inglese debba viaggiare su
corsie prioritarie, tutt’altro. Semplicemente allo stato attuale dei fatti subentrano delle urgenze a
livello didattico-formativo, dal momento che la domanda di potenziamento di questa lingua4 ha
raggiunto alti livelli e le istituzioni italiane e internazionali necessitano di strumenti per gestire tale
complessità in rapporto alle altre lingue.
L’inglese oggi è anche inteso come lingua franca, un bene comune, che però comporta potenziali
rischi per il patrimonio linguistico-culturale individuale e sociale oltre che per se stesso: un tema
scottante che chiama in causa una serie di varabili quali le politiche linguistiche dei singoli stati, gli
equilibri sullo scacchiere internazionale, ma soprattutto nei microcosmi delle identità linguisticoculturali dei singoli, con il loro senso di appartenenza, che si traduce, a livello didattico in attitudini
e priorità da parte di insegnanti e apprendenti. Si indagheranno perciò vecchie e nuove
categorizzazioni e si cercherà di dare una risposta alla domanda: ‘cosa’, o meglio ‘chi’ sono i ‘nuovi
inglesi’? Si parlerà di insegnamento e apprendimento dell’inglese come ‘multilingua’ in sé, nelle
sue mille sfaccettature vecchie e nuove (i New Englishes appunto) in contesto plurilingue, a livello
personale, di patrimonio dei singoli e internazionale.
Preme rammentare che la ricerca di categorizzazioni e di etichette non è fine a se stessa, o
funzionale alla creazione di un atlante storico-geografico delle varietà linguistiche dell’inglese, pur
se termini tecnico-scientifici sono talvolta tratti dalla linguistica e dalla glottologia. La presente
ricerca vuole essere un approccio riflessivo all’ “English Complex”(Mesthrie-Bhatt, 2008), ovvero
al sistema retificato di inglesi all’interno del patrimonio linguistico-culturale dei singoli. Si
andranno ad indagare, dunque, gli atteggiamenti verso gli ‘inglesi’, intesi tanto come varietà che
come scelte identitarie, interrogando studenti e insegnanti di inglese. Si cercherà di non
‘apprezzare’ l’inglese con giudizi di valore, né tanto meno di neutralizzarlo, quanto piuttosto di
individuare tendenze e bisogni degli interessati, al fine di operare scelte consapevoli, pur se
modeste, e contribuire all’educazione plurilingue e interculturale.
Affiora la tematica centrale della formazione degli insegnanti di inglese in Italia, i quali risultano
sempre più scissi fra richieste di microlingua settoriale o di standardizzazioni della lingua da un
lato, e l’ideale europeo di educazione plurilingue dall’altro. Negli ultimi anni purtroppo si è creato
un vuoto nella formazione ‘istituzionale’; si aggiunga il fatto che l’offerta formativa iniziale e in
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Si veda la situazione italiana, con la Riforma Gelmini, che prevede il potenziamento della lingua inglese a scuola e lo
rende obbligatorio nella formazione degli insegnanti di scuola primaria, nonché di scuola secondaria per quanto
riguarda l’insegnamento CLIL (D.M 249/2010).
12
itinere per gli insegnanti di inglese non è stata sempre supportata da una sensibilità al
plurilinguismo, all’intercultura, all’ibridazione, al dialogo con l’Altro, tematiche messe a tacere per
soddisfare piuttosto esigenze di mercato o mode passeggere (cfr. Lévy, 2011, Lend, 2011).
La scuola è stata individuata come terreno fertile per la riflessione identitaria, per lo scambio intere trans-generazionale, essendo luogo di costruzione dell’appartenenza sociale per eccellenza, ma
anche eco dell’autorità nazionale e del sapere prestabilito. In questa sede si lavorerà con e per gli
insegnanti perché questi possano fungere, in maniera critica, da ‘amplificatore’ ai grandi ideali di
plurilinguismo e di interculturalità attraverso l’aggiornamento continuo. La presente proposta
intende pertanto tramutarsi in un’offerta pratica nei mesi che seguiranno il termine dell’esperienza
dottorale5.
Si desidera porre l’accento sul divenire della ricerca, la quale, attraverso un percorso di formazione,
vuole offrire spunti che andranno riletti, rimediati nei vari contesti specifici nel tempo, e che dunque
non si pongono come fissi e imprescindibili. Si opta per un approccio di complessificazione della
tematica con l’intento di offrire qualche ulteriore chiave di lettura per approcciarsi alla questione
sollevata, dentro e fuori dalle mura scolastiche.
iii. Le lingue della scrittura: italiano e inglese
Per quanto concerne le lingue impiegate per la stesura della tesi, la scelta è ricaduta sull’italiano e
sull’inglese. L’italiano perché il tessuto sociale e lavorativo su cui si è andati ad indagare e sul quale
si riverserà la proposta di formazione linguistico-culturale sarà prettamente quello dell’Italia. Non
da ultimo, l’italiano è la lingua ‘madre’ tanto dei destinatari finali del progetto formativo che ne
deriva, quanto della sottoscritta, dunque quella attraverso la quale ho sentito di poter esprimere
concetti talvolta complessi nel modo più ricco e pertinente possibile.
Plurime le ragioni per cui la seconda lingua di scrittura è l’inglese. E’ stato scritto interamente in
tale lingua il capitolo II, dal momento che questo riguarda proprio le varietà dell’inglese e i
cosiddetti ‘nuovi’ inglesi, nonché l’inglese impiegato come lingua di comunicazione internazionale.
La stesura di questa parte della ricerca in inglese dimostra come tale lingua possa essere impiegata
da una non-native English speaker per comunicare il proprio pensiero a livello internazionale,
rinforzando dunque la tesi secondo la quale è possibile fare propria anche una lingua definita
‘straniera’. Dal momento che la lingua inglese è molto diffusa internazionalmente sia a livello
accademico sia a livello scolare e privato, ciò permette altresì un immediato dialogo e un confronto
con altre realtà su tematiche quali l’inglese lingua franca e l’educazione linguistico-culturale che
accomunano tutti i paesi del mondo. Si aggiunga la questione pratica che la maggior parte dei
documenti analizzati è in lingua inglese, ragion per cui si è cercato di evitare una continua autotraduzione o l’alternanza di codici linguistici che avrebbero compromesso la fluidità del testo.
Infine, i destinatari della ricerca saranno in primis gli insegnanti di inglese, questi dunque potranno
beneficiare dell’esposizione alla lingua e dell’accesso diretto a documenti originali.
5
Per ragioni di tempo, al fine di rispettare le scadenze prestabilite dal triennio dottorale, non è stato possibile
sperimentare tale corso di formazione durante il triennio dottorale. Si è preferito evitare un risvolto pratico precoce che
sarebbe risultato immancabilmente superficiale e incompleto, per guadagnare tempo utile per teorizzare e costruire così
basi più solide sulle quali si auspica poggerà il percorso formativo futuro.
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Obiettivo non minore di una tale scelta linguistica risulta essere quello di riabilitare, rivitalizzare in
certo modo l’inglese, una lingua che spesso viene usata e abusata come lingua veicolare,
semplificata, data per scontata, o peggio ancora, subìta come una minaccia alla propria identità
linguistica. L’inglese assurto a lingua ‘madrina’ in questo studio, frutto di un legame professionale e
affettivo che dura da una vita, si rivela in questo contesto come una sfida, al fine di dimostrare che
l’inglese non è solo, e non tanto la lingua franca di molti, ma parte integrante del patrimonio
linguistico-culturale di tanti altri.
Le citazioni contenute nell’intera tesi sono state mantenute nelle varie lingue originali come da
fonti, al fine di contribuire all’intercomprensione plurilingue. Si è optato per la traduzione in nota di
quei termini o espressioni che avrebbero creato difficoltà e incomprensioni per il lettore.
iv. Ipotesi della ricerca: le domande guida
I quesiti che sorgono di fronte all’ ‘English Complex’ (cfr. Mestrhrie and Bhat, 2008) e alla
didattica dell’inglese sono molteplici, tuttavia si è cercato di focalizzarsi su due domande
fondamentali che fungono da perno dell’intera ricerca.
La prima domanda riguarda prettamente la questione delle varietà dell’inglese, l’inglese come
lingua franca globale, e l’impatto che questa potrebbe avere, e in parte sta già avendo, sull’identità
lingusistico-culturale dei singoli (cfr. Chini, 2010).
1- L’inglese sta assumendo sempre più il ruolo di lingua franca di comunicazione
internazionale: quali sono i rischi e quali le prospettive a livello linguistico-culturale –
negli equilibri con le altre lingue-culture e in seno all’inglese stesso − e a livello
identitario nei singoli individui?
Il secondo quesito, indissolubilmente legato al primo, è di natura didattologico-motivazionale, e
riguarda le politiche per una educazione alle lingue ‘sempre meno straniere’ (cfr. Lévy, 2006) e più
prettamente la formazione degli insegnanti di inglese in tale direzione6:
2- Come calare la formazione degli insegnanti di inglese in Italia nel contesto monoplurilingue europeo oggi e come ‘reidratare’ tale disciplina, mediando fra le richieste
del mondo del lavoro e le esigenze educative?
6
Si veda anche Briscese (2010).
14
v. Approcci alla ricerca
“[…] l’azione educativa non è pretesto ma vero beneficiario della ricerca
e legittima l’insegnamento-apprendimento delle lingue/culture”
(Lévy, 2001:64)
Sono stati utilizzati principalmente tre approcci nella ricerca: quello documentario, quello descrittivo
e quello della ricerca-azione.
Di seguito saranno illustrati i tre approcci e i campi d’indagine in cui sono stati impiegati.
-ricerca documentaria: la ricerca bibliografica
La ricerca documentaria ha permesso di far emergere lo stato dell’arte in merito alle questioni
sollevate dalla presente ricerca. E’ stata condotta un’indagine bibliografica e sitografica, fatta di
documenti più o meno istituzionali, europei e non, di articoli specifici sulle politiche linguistiche e
sulla didattologia delle lingue-culture, utili anche come ‘letteratura’ di riferimento per gli stessi
insegnanti; siti e riviste di ordine generale hanno funto da portavoce della cultura corrente. Sono
stati analizzati, inoltre, testi e materiali di didattica, o afferenti alla lingua inglese a livello
linguistico-culturale. Infine, sono state effettuate letture trasversali utili a formare un quadro più
realistico e meno auto-referenziale sulla questione.
La ricerca bibliografica ha interessato principalmente la stesura dei primi due capitoli, ma a livello
contenutistico abbraccia l’intera tesi.
-ricerca descrittiva : i questionari
La ricerca dei dati è stata effettuata per mezzo di questionari, strumenti utili per l’espletamento delle
due indagini socio-linguistiche svoltesi fra gli studenti e gli insegnanti di scuola secondaria in Italia
(si vedano i capp. III e IV) 7.
I questionari sono stati costruiti in maniera tale da poter ‘ascoltare’ il punto di vista dei diretti
interessati in merito alla proposta formativa. La tipologia di domande che costituiscono tali
questionari è mista, con domande a risposta chiusa, per lo più con quesiti a scelta multipla o cui
assegnare scale di valore, oppure semi-aperta o ancora aperta. L’analisi dei dati è stata in parte
quantitativa e in parte qualitativa (cfr. Hamel, 1997: 95–112): si sono analizzati statisticamente i dati
per osservare il trend generale di opinioni degli intervistati, e in seguito si sono estrapolati certi dati
eclatanti che sono stati evidenziati in maniera qualitativa. Lo scopo di tali indagini rimane
prettamente qualitativo, fatto di numeri relativamente bassi e localizzato alla regione Marche –
provincia di Ancona in particolare – pur se i risultati ottenuti sono estendibili ad altri tempi e luoghi.
La scelta di un tale ‘campione’ è giustificata per le sue qualità, essendo abbastanza variegato sul
piano culturale e individuale, ma allo stesso tempo omogeneo a livello temporale e geografico, tanto
da permettere un qualche confronto fra le percezioni e le esperienze vissute dagli stessi informanti:
7
La prima indagine è stata condotta nella primavera del 2010, la seconda nell’autunno 2011 principalmente nella
provincia di Ancona, con contributi da altre province marchigiane e in alcuni casi di altre zone d’Italia.
15
“This representativeness is based on an "image" or "theoretical representation" (Touraine), or
"prior knowledge" so that the "research can reveal" the "objective relationships" [...] (Bourdieu).
It is therefore linked to the qualities attributed to the group or to the individual so as to make
possible the work that sociological knowledge requires to [...] transform the case in question –
group or individual – into a theoretical representation”(Hamel, 1997: 10).
Se il campione di esperienze selezionato non permette di stilare una statistica esatta e
generalizzabile dei risultati, tuttavia gli esempi forniti possono fungere da modello per ulteriori
ricerche8 e ciò è comunque utile ai fini della concretizzazione di una proposta coerente e realistica
di formazione per insegnanti di inglese in Italia.
-ricerca esperienziale: la ricerca-azione
La ricerca-azione (RA) è la risorsa metodologica cui ci si è rifatti principalmente per la terza parte
della ricerca (si veda il cap. V), ma che in realtà ne guida l’intero percorso.
Non si tratta di un vero e proprio metodo, inteso come insieme di regole e ordini da seguire in un
fisso modello d’intervento9, bensì di una metodologia orientata alla pratica riflessiva, riconosciuta,
ma non impositiva, clinica, ma oggettiva (cfr. Crispiani, 2001; Montuschi, 2005; Molinié, 2008: 1213). E’ un processo sistematico, risultato utile al fine di gestire un aspetto specifico e localizzato
come la pratica formativa (cfr. Profile: 116).
Le ragioni che hanno spinto ad abbracciare un tale approccio sono molteplici: innanzitutto perché
esso non implica uno studio sulla gente, ma con la gente (cfr. Barbier, 2007: 10). Si gestisce la vita
umana nella sua complessità dinamica, senza dare facili (e poco efficaci) generalizzanti antidoti.
Tale processo potrebbe infatti garantire la risposta a dei bisogni, ma potrebbe al contrario sollevare
ulteriori quesiti dal momento che l’obiettivo primo è quello di rendere critici e attivi i suoi
partecipanti, in questo caso gli insegnanti e, a seguire, gli apprendenti.
Si tratta di una presa di coscienza anche da parte del ricercatore, il quale “[...] non si limita ad
osservare e a raccogliere dati di realtà ma è egli stesso protagonista del cambiamento degli eventi
osservati” (Montuschi, 2005). Si è sentita la necessità di non ridurre tale ricerca a una sterile
speculazione teorica o a un’analisi statistica di dati, bensì di tradurla, anche se localmente e in via
sperimentale, nella pratica. Il modello di RA ha previsto varie fasi di lavoro: è stata elaborata una
idea iniziale, una strategia di ricerca rilevante e gestibile nel tempo presente; sono stati raccolti e
verificati i dati di partenza; infine è stato sviluppato un piano d’azione, ipotizzando monitoraggio,
valutazione, feedback e documentazione (cfr. Molinié, 2008: 30; Cavagnoli, 2010; Castellotti et al.,
2007: 3; Losito).
Si è cercato di non sottrarre energie alla scuola, ma anzi, di arricchirla e innovarla con l’indagine e
con la proposta di percorsi di formazione per gli insegnanti, i quali vengono così coinvolti, insieme
ai loro alunni, nella ricerca (cfr. Montuschi, 2005: 3 e Patriarca: 15).
8
Si vedano a tale proposito le teorie di Susman e Evered, (1978) in “An Assessment of the scientific Merits of Action
Research”, Administrative Science Quaterly, 23: 582-603. “La deuxième condition, c’est que l’objet de recherche est
un phénomène social, qui présente un enjeu social, pour un petit groupe, pour une population plus importante, peu
importe” (Molinie, 2008: 12-13).
9
Per quanto riguarda la differenza fra metodo e metodologia si veda Demaizière-Narcy-Combes (2007:2-3).
16
vi. Finalità della ricerca: nuovi approcci per la formazione degli insegnanti di inglese in Italia
L’obiettivo della presente ricerca non è quello di fornire una lista dettagliata delle varietà
dell’inglese, selezionando l’inglese ‘migliore’ da insegnare a scuola, quanto piuttosto di
sensibilizzare alla ‘questione inglese’ oggi all’interno del più ampio discorso dell’educazione
linguistica. Si cerca in questa sede di passare dallo studio di un inglese come cultura corrente,
comune, a cultura condivisa10, riabilitandola, in certo modo, reidratando e complessificando un
discorso che rischia di scivolare nell’impoverimento della lingua ‘tecnica’ di comunicazione
globale. Con ciò non si vuole nascondere il ruolo che svolge ormai l’inglese come lingua mediatica,
mediata, mediatrice, ma si vogliono far riflettere gli insegnanti, e di conseguenza gli apprendenti,
sul valore che tale lingua, alla stregua delle altre, porta con sé, sulla cultura-culture che la sua natura
ibridata e ibridante veicola e sui rischi che un approccio ingenuo a tale complessità provoca. Si
tenterà di guidare verso un atteggiamento critico alla disciplina, la quale va ricollocata nella sua
giusta posizione di lingua fra le lingue, patrimonio da scoprire, a volte da riscoprire, certamente da
non banalizzare.
Gli obiettivi sotto illustrati vanno considerati sul medio e sul lungo termine. Lo scopo non è
necessariamente quello di rispondere alle domande guida con una risposta univoca e tautologica, o
di validare l’ipotesi di partenza delle inchieste, quanto piuttosto di procedere in direzione della
questione che è stata sollevata, tentando di aiutare gli insegnanti nelle loro esigenze pedagogiche e
motivazionali.
Sul medio termine si auspica di invitare gli insegnanti, di lingue e di inglese in particolare, in
formazione iniziale e in itinere, alla riflessione sul proprio patrimonio linguistico-culturale, con
riferimento alla disciplina insegnata, sensibilizzandoli sulla questione dell’inglese nella sua
funzione di lingua franca internazionale, nonché sulle politiche linguistiche che stanno alla base di
molte scelte nazionali ed europee in merito alla didattica delle lingue. Si punterà in particolare ad un
cambiamento di atteggiamento nei confronti di certa didattica dell’inglese che si rifà ai cosiddetti
‘madrelingua’, un modello che rischia di soffocare tanto gli studenti quanto gli insegnanti in una
ricerca spesso fallimentare, nonché poco efficace in termini di competenza comunicativa e
interculturale. In sintesi gli obiettivi a medio termine del presente lavoro sono:
-sensibilizzare alle proprie lingue culture;
-informare sull’ ‘English Complex’;
- riflettere sul ruolo dell’inglese come lingua veicolare a livello globale;
-considerare le politiche linguistiche alla base della diffusione delle lingue in Italia e in Europa;
-mettere in guardia dall’esaltazione del modello di ‘parlante nativo’;
-sviluppare un approccio critico alla materia insegnata.
10
Cultura “corrente” sta per necessaria, ma non sufficiente; comune: condivisa, ma con rischio di diventare banale;
condivisa come azione di condivisione di valori e negoziazione, confronto, fra culture, come spiega Lévy (2007: 98)
citando Galisson (1991).
17
Sul lungo termine si mira all’inserimento della didattica dell’inglese in un discorso più ampio e
meno autoreferenziale di educazione plurilingue e interculturale. L’atteggiamento sarà quello di
considerare l’apprendimento dell’inglese come lingua fra le lingue, ma anche come lingua ‘sempre
meno straniera’ (crf. Lévy, 2007), che viaggia insieme alle altre lingue-culture, ma anche alle altre
discipline, scolastiche o meno. Infine, l’atteggiamento dell’insegnante di fronte al cambiamento
verrà stimolato all’apertura e alla ricerca, al fine di scongiurare la cristallizzazione dei saperi e della
mente in modo che “[...] la consapevolezza di poter cambiare crei motivazione e contribuisca a
mantenere alto l'interesse professionale” (Patriarca:1).
In sintesi gli obiettivi a lungo termine del presente lavoro sono:
-inserire l'insegnamento dell’inglese L2 nel discorso plurilingue interculturale internazionale;
-contribuire ad atteggiamenti positivi verso le lingue-culture in generale;
-far riflettere sui vantaggi dell’insegnamento inter e trans-disciplinare;
-educare a coltivare un atteggiamento di disponibilità e apertura al cambiamento, al confronto e alla
ricerca.
Tale ricerca non è la prima, né, si spera, sarà l’ultima che tratta di formazione degli insegnanti in
Italia, o di questioni legate all’insegnamento-apprendimento delle lingue. Semplicemente, in virtù
del concetto di ‘approccio a spirale’, si tenta di guardare nuovamente ad una stessa tematica da un
altro punto di vista con strumenti di rimedi-azione e di innovazione: “[...] può succedere di guardare
due volte lo stesso oggetto, ma da angolature differenti” (Barbier, 2007: 93).
Si è consci dei limiti che potrebbero sopraggiungere in termini di finanziamenti futuri per il
percorso proposto, di tempo che gli insegnanti vorranno dedicare alla propria formazione, del
coinvolgimento o meno di persone e istituzioni. Tuttavia, con Barbier si ritiene che “[il] rapporto
con l’istituzione pesante, imponente, a prima vista inattaccabile, è fonte di frustrazione, ma anche di
un tragico ottimismo, sempre presente in sottofondo in questo tipo di ricerca” (ibid. 56).
La speranza nel cambiamento e l’entusiasmo per il compito assegnatomi di educazione alle lingueculture guiderà l’intera ricerca.
18
Capitolo I
La Babele d’Europa: le politiche linguistiche e la formazione degli
insegnanti di lingue
1.1 Le Politiche di educazione linguistica e la posizione dell’inglese
"ogni volta che affiora in un modo o nell'altro la questione della lingua,
significa che si sta imponendo una serie di altri problemi,
la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri
tra i gruppi dirigenti e la massa popolare nazionale"
(T. De Mauro) 11
L’Unione Europea promuove da sempre il plurilinguismo e l’interculturalità come
caratteristiche intrinseche della sua identità12 e afferma che tutte le lingue condividono gli stessi
diritti e hanno pari importanza (cfr. CdE, 1954: art. 2; Kramsch- Lévy- Zarate, a c. di., 2008:370):
“In Europe today, plurilingualism defines the language policy of the Council of Europe [...] and is a
fundamental principle of language education policies in Europe and elsewhere in the world” (CosteMoore- Zarate, ed. or. 1997, 2009: 6)13.
Le lingue sono un bene sociale, che riguarda ciascun cittadino e che tutti siamo chiamati a curare,
più o meno direttamente: “le politiche linguistiche sono una forma di politica pubblica che pone la
società di fronte a scelte simili a quelle che si pongono nelle politiche dei trasporti, della sanità,
dell’ambiente e così via [...] Da una parte, se è vero che ‘chiunque’ può avere una sorta di ‘politica
linguistica’ − per esempio anche un individuo che per motivi ideologici decide deliberatamente di
non usare alcune lingue dominanti in determinati contesti − d’altra parte le politiche linguistiche di
un’autorità pubblica avranno una ‘portata’ sicuramente maggiore, visto che si rivolgono
potenzialmente all’intera società” (Di Pietrantonio, 2011)14. Le politiche linguistiche afferiscono al
campo della ricerca teorica e pratica e concorrono, senza interferire, con le decisioni della politica
in merito alle questioni linguistiche. Possono essere lette sia a monte che a valle, come causa o
11
De Mauro, T. Scuola e linguaggio, Roma, Editori riuniti, 1977: 151.
Intendiamo qui gli organi ufficiali dell’U.E., come il Consiglio d’Europa, ma anche tutte le istituzioni interne ed
esterne ad essa che collaborano nel preservare e promuovere l’identità europea. Consultare a tal proposito il portale del
Consiglio d’Europa, in particolare le voci: ‘cultura’, ‘dialogo interculturale’, ‘education and languages’. Si veda anche
la ‘Convention culturelle européenne’ in inglese “European Cultural Convention”, firmata a Parigi nel 1954, in
particolare l’introduzione e gli art. 1 e 2. Il documento è reperibile sul portale del Consiglio d’Europa (CdE).
13
Parte sottolineata dalla sottoscritta.
14
Anche secondo Grin le questioni di politica linguistica sono da considerare un fatto sia pubblico che privato, e più
aziende concorrono alla gestione di queste, non solo le istituzioni statali: “La position d’une langue par rapport à une
autre dépend naturellement de l’interaction d’acteurs extrêmement variés: non seulement les États, mais aussi les
entreprises, le secteur associatif et, en dernier ressort, les individus eux-mêmes” (Grin, 19, 2005: 22).
12
19
conseguenza di determinate scelte: “Languages do not ‘spread’15, just as ‘countries’ do not talk to
each other (which Crystal writes, 1997: 11). It is users […] who are involved in power structures
that […] through both unequal resource allocation and legitimation processes that validate […]
languages […]”16.
Dal momento che plurilinguismo e interculturalità promanano dall’educazione linguistica, vale la
pena spiegare cosa significhino i termini ‘politica’ ‘educativa’ e ‘linguistica’, concetti di difficile
traduzione in Europa. Spesso, per non confondere il primo termine con l’accezione più ampia di
‘arte del governare la società’, si prende in prestito il termine inglese di policy, ovvero “un insieme
di azioni (ma anche di non azioni) poste in essere da soggetti di carattere pubblico e privato, in
qualche modo correlate ad un problema collettivo”17. Grin (2005) afferma che, a suo avviso, né i
termini francesi “politique linguistique” e “aménagement linguistique”, né quelli inglesi “language
policy” e “language planning” (ibid.: 19) sono così netti, per il fatto che le tematiche affrontate dalle
politiche linguistiche sono in realtà varie e complesse, essendo le lingue un sistema complesso e
articolato, in continuo sviluppo, incorporate alla cultura-e, innestate nella storia e nell’identità degli
individui e dei popoli. Per tale ragione, quando ci si approccia a questioni legate alle lingue bisogna
prestare molta attenzione al ‘materiale vivo’ che si maneggia, non essendo mero strumento di
comunicazione e scambio.
Pertanto la politica linguistica potrebbe esser definita come “un effort systématique, rationnel et
fondé sur une analyse théorique [qui] se situe au plan de la société, et vise à résoudre les problèmes
liés à la langue en vue d’accroître le bien-être. Elle est habituellement dirigée par les autorités ou
leurs mandataires et vise une partie ou la totalité de la population placée sous leur juridiction”
(Grin, 2002: 19).
Ci preme accorpare immediatamente al termine ‘politica’ l’aggettivo qualificante di ‘educativa’, per
cui si intende un’esperienza, quella dell’e-ducere, ovvero del ‘tirar fuori’, far prendere coscienza
agli apprendenti del loro patrimonio linguistico-culturale, per proiettarli verso l’esperienza di nuove
lingue e nuove panoramiche ad esse collegate. Educare significa creare una predisposizione a
competenze applicate a più saperi e estendibile a più contesti. E’ qualcosa di diverso dalle accezioni
di ‘insegnare’ o di ‘training’ (cfr. Costanzo, 2003)18. Si tratta di un campo più ampio e complesso
rispetto alla mera ‘istruzione’, ovvero al passaggio di informazioni dall’insegnante al passivo
apprendente. L’educazione implica la partecipazione attiva del soggetto apprendente, attraverso un
patto formativo con l’insegnante, affinché possa co-partecipare alla propria formazione culturale
come attore (cfr. Kramsch-Lévy-Zarate, a c. di., 2008), come persona a livello ecologico, come
cittadino, nel privato e nel pubblico, nell’arco della propria vita (cfr. Curci, 6, 2005; per l’azione
sociale: Puren, 2007; per la cittadinanza attiva: De Mauro, 1993).
15
Si veda la differenziazione terminologica fra ‘distribution’ e ‘spread’, ovvero fra la distribuzione pianificata e
premeditata di una lingua-cultura e la diffusione naturale di essa.
16
Phillipson-Skutnabb-Kangas “Englishisation: one dimension of globalization” in Graddol- Meinhof (1999: 22).
17
Dente, B., (a cura di), Le politiche pubbliche in Italia, Bologna, il Mulino, 1990: 15.
18
Nelle profetiche 10 tesi di De Mauro per l’educazione linguistica democratica veniva già fornita una definizione di
“educazione linguistica”: il processo unificato e unitario che si realizza attraverso cinque punti:
l’insegnamento/apprendimento della lingua materna (nazionale o ufficiale), come si intende a scuola; le lingue straniere
tradizionali; le lingue classiche; le lingue seconde; le lingue etniche (della migrazione).
20
Infine ‘linguistica’: Edvige Costanzo19 intende una educazione alle lingue che deve andare al di là
della mera grammatica, o della conoscenza di una lingua target, per assumersi un compito molto più
complesso:
“Educazione linguistica stems from a revolt against the old style ‘traditional language teaching’.
[…] The former is based on a view of language as a model to be mastered through teaching
methods based on Latin etc., by means of grammatical rules and exercises […] while the latter
disrupts the tranquil lives of teachers of ‘literature’ proper by introducing the novelty of
‘linguistics’ which derives from a tradition of descriptive linguistics in which such terms as
‘social uses of language’, ‘communicative functions’ and ‘interaction’ were increasingly to
make themselves heard” (Costanzo, 2003: 8) 20.
La nuova educazione linguistica ingloba sia aspetti teorici, come la semantica, la socio-linguistica,
la psicologia cognitiva e l’antropologia culturale, che aspetti pratici come metodi d’insegnamento e
pratica in classe, in maniera interdisciplinare, offrendo una visione più conscia dell’apprendimento
linguistico e del legame fra lingue, in primis con la propria lingua ‘madre’ (cfr. ibid.: 8)21.
Sin dal momento in cui, alla fine degli anni ‘70, la didattica delle lingue ha intrapreso un nuovo
corso facendo proprio il concetto di competenza comunicativa, si è sviluppata una sensibilità per il
contesto culturale in cui avviene la comunicazione (cfr. De Carlo, 2008: 1) e tale postulato, pur se
non è l’unica variabile da tenere in considerazione nella competenza interculturale, occupa
senz’altro un ruolo preponderante: “Il plurilinguismo deve essere considerato nel contesto del
pluriculturalismo. La lingua non è solamente un aspetto essenziale della cultura, è anche uno
strumento che permette di accedere alle espressioni della cultura” (Consiglio d’Europa, CEFR,
2002: 7). Ecco perché i termini lingue e culture saranno spesso menzionati come un composto
separato solo da un trattino ‘lingue-culture’, per far notare i due elementi, i quali si nutrono a
vicenda, ma non si annullano l’uno nell’altro: “Anche ad un primo livello, direi funzionale, la
dimensione culturale non poteva più essere ignorata. Questo primo livello non esaurisce però le
finalità dell’insegnamento linguistico che non può, e non deve, essere finalizzato alla sola
acquisizione di saper fare “spendibili” (De Carlo, 2008:1) e ancora: “[...] the teaching of foreign
languages within compulsory schooling should not focus exclusively on the usefulness of being
able to communicate (especially orally) in a foreign country” (Byram, 2008: 227).
Dunque una politica educativa linguistica è una serie di provvedimenti che vedono come fine la
sensibilizzazione alle lingue-culture. Preme ricordare che la didattica non è politica applicata, bensì
una serie di azioni che rimandano alla teoria, in una dialettica che le muta continuamente.
I fatti, però, parlano chiaro. Se documenti, raccomandazioni, risoluzioni europee, studi, quaderni,
convegni, e corsi di perfezionamento, incitano ai grandi ideali di cittadinanza europea, all’approccio
19
La prof.ssa Edvige Costanzo è insegnante di francese, formatrice, esperta in didattica delle lingue, e ha collaborato a
vari progetti in Italia e all’estero. Ha partecipato, come esperta in didattica delle lingue, a numerosi programmi europei.
E’ vice presidente di Lingua e Nuova Didattica (LEND) e della Fédération des Alliances françaises d’Italie. Per ulteriori
informazioni si consulti il sito LEND: http://www.lend.it/edvige-costanzo
20
Byram (2008) distingue fra ‘learning’ e ‘education’: l’apprendimento avviene nel corso della vita, anche in contesti
non educative, mentre la seconda ha scopi socio-politici ed è fatta attraverso le istituzioni. Anche De Carlo afferma che
l’educazione è stata spesso utilizzata dalle nazioni per creare una identità nazionale (De Carlo, 2009 : 67-76).
21
In merito alle definizioni di lingua madre, lingua 1, lingua nazionale, etc., si veda anche Cognigni-Vitrone in
Kramsch-Lévy-Zarate (2008 : 87-92). De Mauro parla anche di lingue di contatto: es. l' italiano imparato dai figli di
immigrati a scuola, che non è né Lingua madre, né L2, bensì territorio di confine e di contatto. Vedovelli (2008) parla di
lingua primaria, lingua madre, lingua d'origine o lingua etnica.
21
riflessivo, al plurilinguismo, al pluriculturalismo, all’interdisciplinarità, si riscontra spesso una
schizofrenia, una dicotomia fra ideali e pratica nelle scelte operate nel campo dell’insegnamento e
dell’ apprendimento delle lingue: “Il nous a semblé important de nommer ce hiatus entre les
principes et la pratique” (Lévy, 2002:3) e si legge ancora: “This field of study is marked by a number
of paradoxes, particularly in its relations with teaching and learning” (Coste-Moore-Zarate, 2009:7).
Dal momento che le raccomandazioni dell’Unione sono appunto solo dei consigli, delle direttive,
ma non hanno carattere prescrittivo22, nella pratica accade spesso che specifiche politiche
linguistiche nazionali parteggino per determinate lingue, considerate più prestigiose, utili, comode :
“En effet, l’histoire des langues, de leur diffusion et de leur enseignement est souvent la
transposition sur la plan linguistique de transformations sociales plus complexes, mais il n’en reste
pas moins qu’elles représentent un lieu privilégié d’exercice de pouvoir symbolique mais aussi
politique et économique” (De Carlo, 2007: 5).
Entra in ballo la scomoda posizione dell’inglese, una lingua che negli ultimi anni si è ‘accomodata’
fra i banchi di scuola, e della vita di tutti i giorni, degli europei - e non solo - a livello capillare.
L’attenzione delle istituzioni si polarizza spesso, di fatto, solamente su poche lingue, e sull’inglese
in particolare: perché? Ma soprattutto quale inglese? Per quali scopi? Tale fenomeno globale, se in
un primo momento poteva essere ricondotto a ragioni politiche, di espansone coloniale da parte
della corona britannica (cfr. Görlach, 1991; Crystal, 1997) oggi non è più adducibile ad un Paese in
particolare23, quanto piuttosto a ragioni socio-economiche (cfr. Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 336;
Görlach, 1998; Crystal, 1997). La lingua inglese assume spesso un ruolo veicolare per scopi praticoeconomici, e la didattica della lingua-cultura inglese di conseguenza si fa ancella dei bisogni di
mercato: “The position of English as a world language means there is a more obvious relationship
between language learning and the economic purpose of education” (Byram, 2008: 27). Le lingue
internazionali come l’inglese tendono pericolosamente a esser considerate come kit di
sopravvivenza, di scambio, di successo, in un contesto globalizzato sempre più variegato e
complesso da gestire (cfr. cap. III). Ciò avviene a discapito dell’aspetto culturale e identitario di cui
sono impregnate tali lingue, ma anche a discapito di quelle lingue che non sembrano utili dal punto
di vista pratico:
“Depuis plusieurs années on assiste […] à une conception des langues de plus en plus utilitaire
négligeant les aspects culturels et identitaires, et à une tendance à les enseigner comme de
simples habiletés techniques. Les conséquences de cette attitude ne peuvent être sous-estimées,
elles concernent les rapports de pouvoirs entre langues internationales et langues locales et, par
la suite, la légitimation de certains modèles linguistiques au détriment d’autres, le différent
degré de prestige des cultures, la disparité de représentativité des pays et des individus” (De
Carlo, 2007: 5).
Molti studenti e genitori notano l’importanza dell’apprendimento dell’inglese per scopi contingenti
e le autorità, d’altro canto, fanno di tutto per incentivarne l’apprendimento. Basti pensare ai
programmi della Scuola Secondaria in Italia, in cui vengono promosse le tre ‘I’: ‘più inglese, più
22
Ultimamente si è impiegato anche il termine ‘risoluzioni’, ma di fatto si tratta sempre solo di calorose
raccomandazioni e non di regolamenti.
23
Gli Stati Uniti d’America giocano ancora un ruolo fondamentale nella divulgazione di messaggi legati all’identità
anglo-americana. E tuttavia, in Europa è ancora forte il legame con il Regno Unito per quanto riguarda l’educazione
linguistica, le certificazioni, le vacanze studio e tutto il materiale didattico per le Scuole (cfr. capp. 3.1 e 1.5)
22
informatica, più impresa’24. Come afferma Ciliberti (1997), “Il richiamo ad un migliore
insegnamento delle lingue, [...] si traduce nell’appello ad orientamenti didattici miranti al
raggiungimento di capacità d’uso linguistico che possano rispondere alle richieste del mondo del
lavoro” (ibid.: 130). Inoltre, i reali bisogni e le aspettative degli apprendenti non sempre incontrano
l’offerta e gli obiettivi che si sono preposte le istituzioni: “Non sempre [...] si riescono a conciliare
le necessità degli allievi con quelle dell’istituzione scolastica o della società” (ibid.:159. cfr. Lévy in
Zarate-Lévy-Kramsch, 2010: Notes to chapter 2, 5.4).
In un tale scenario, diventa compito arduo gestire l’insegnamento delle altre lingue, ma anche
dell’inglese stesso (cfr. Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 353) e sostenere, o difendere in certi casi, la
pluralità linguistico-culturale al di là del prestigio, o della moda, o ancora dell’utile, che
abbracciano certe lingue a discapito di altre: “Comment les décideurs soutiennent-ils le
multilinguisme à l’école au-delà des langues étrangères prestigieuses?” (ibid.: 367). Le istituzioni e
coloro che ricoprono ruoli decisionali, sia a livello statale che locale, giocano dunque un ruolo
cruciale per la promozione dell’educazione linguistica25. È fondamentale che gli organi preposti
siano genuinamente interessati a gestire tale situazione perché si possa operare su larga scala,
affinché i buoni propositi e le ricerche svolte a livello locale, nazionale e sovranazionale non si
riducano a pura speculazione accademica, ad appannaggio di pochi esperti, né si risolvano in
semplici esperimenti senza seguito condotti grazie alla buona volontà di poche isolate scuole, o
addirittura, al volontariato di qualche coraggioso, motivato insegnante (cfr. Costanzo, 2003: 6).
Byram (2008) si chiede se sia mai possibile educare all’intercultura e al plurilinguismo a scuola,
una istituzione appesantita da burocrazia, legata a vecchi programmi, istituzionalizzata,
compartimentalizzata per motivi di (cattiva?) gestione: “Is language learning possible at school?
Teachers, we know, have to follow curriculum planners. So we have to take into consideration the
entire environment in which the students live, in order to organize a realistic syllabus and to have
feasible expectations” (Byram, 2008).
L’istituzione scolastica non sempre è aperta alla cultura e “[...] is capable of disseminating a culture
not based on an existing cultural reality” (Coste-Moore-Zarate, 2009: 27). Si nota come i
programmi scolastici italiani non prevedano legami saldi fra insegnamenti, fra discipline, o fra
insegnamento di lingue-culture e insegnamenti disciplinari, ma neppure fra lingue stesse! Si
procede, salvo rari casi di sperimentazione linguistica (cfr. 1.5), per vie parallele.
La scuola rimane, comunque, luogo cruciale e via preferenziale per l’apprendimento, per un primo
approccio alle lingue e per l’educazione alla cittadinanza attraverso il reciproco apprezzamento, il
dialogo, lo scambio e la collaborazione26. Nonostante i grandi intoppi burocratico-istituzionali, vale
la pena continuare ad insistere e investire nella scuola:
24
Sebbene le scuole da anni non detengano più l’esclusiva come ‘azienda’educativa, sicuramente giocano ancora un
ruolo fondamentale nella promozione di atteggiamenti positivi nei confronti delle lingue-culture. Per quanto concerne le
‘3 I’, i grandi progetti e le parole altisonanti pronunciate in politica italiana, in realtà non si sono tradotte spesso nella
pratica.
25
“L’espace occupé par les politiciens est immense” (Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 373). Si veda in particolare il cap. 8,
‘Insitutions et pouvoir’, per quanto riguarda il ruolo che le istituzioni giocano nell’educazione e le conseguenze
sull’insegnamento/apprendimento dell’Inglese e delle alter lingue in Europa.
26
Si veda il documento programmatico “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni
stranieri”. (MPI, 10-2007), in cui la scuola è ritenuta un luogo favorevole all’incontro e allo scambio, al rispetto e alla
conoscenza di sé e dell’altro come luogo formative per eccellenza, pur se non l’unico.
23
“Nevertheless, its role is and will remain fundamental in acquiring tools for recording and
exploiting external resources, and also for the affirming of values not only governed by the
market economy or the social inheritance. The necessary extension of its role in the language
and culture sector will involve changes and even questioning which, however realistic or
stimulating they may appear, demand careful thought and innovation within and around
education systems” (Coste-Moore-Zarate, 2009: 43).
La scuola deve riappropriarsi del suo ruolo per formare cittadini dal pensiero “deviante”27 ovvero
che elabora un pensiero diverso, plurale, accogliente.
Politiche linguistiche e formazione dei docenti, peraltro, sono strettamente legate. Gli insegnanti in
formazione ottengono un certo tipo di input, ma si devono poi scontrare con una realtà scolastica
totalmente avulsa, scollata dalla loro preparazione iniziale. Nonostante ciò, ricercatori, formatori e
insegnanti non devono demordere nel loro intento di diffusione delle lingue culture e dei valori che
esse veicolano, nonché nel far udire la propria voce - iniziando dalle buone pratiche – affinché si
investa nel campo della educazione linguistica, a partire dalla formazione degli insegnanti, essendo
questi ultimi figure di riferimento per la diffusione dei valori sottesi all’educazione linguisticoculturale:
“[…] we have to be careful, as internationalization is not just an economic matter, but of new
relationships among people: teachers have to prepare their pupils to a new sense of belonging in
the world, and to negotiation with the others. So we need to develop a critical cultural
awareness” (Byram, 2008; cfr. De Carlo, 2007: 6).
Gli studenti, ma ancora prima gli insegnanti, vanno formati ad essere critici, consci innanzitutto del
fatto che esistano delle politiche che muovono alcuni fili cruciali nel teatro dell’educazione
linguistica. Gli insegnanti devono saper guidare, in qualità di mediatori linguistico-culturali, i loro
studenti-cittadini alla scoperta delle lingue culture, con il loro status, la loro posizione nel mondo, la
loro storia, i rapporti che intrattengono fra loro, per far maturare opinioni e farli convivere bene fra
le lingue-culture, proprie e altrui, ma anche far costruire e migliorare la società tutta attraverso
questi insegnamenti.
L’insegnamento/apprendimento linguistico non può dunque essere pensato se non nel suo
imprescindibile legame - volente o nolente – con le politiche linguistiche, e in prospettiva
dell’educazione alle e con le culture (Lévy, 2002: 3).
L’Europa risulta un terreno denso di spunti per la riflessione e l’azione didattica in tale senso, in
virtù della pluralità linguistico-culturale insita nella sua stessa identità (cfr. Byram, 2008: 3).
27
Come afferma la Prof.ssa De Carlo nel seminario dottorale PEFLiC “Approcci riflessivi alla formazione dei docenti”
presso l’Università degli Studi di Macerata il 10 dicembre 2009.
24
1.2 L’Europa e la difesa della pluralità linguistico-culturale
Necessità, febbre, maledizione del confine.
Senza di esso non c’è identità, né forma, non c’è esistenza.
C. Magris28
“Le langage est source de malentendu”
A.S.Exupery29
“L'Europa è in procinto di diventare, senza spargimento di sangue, una grande famiglia; si tratta di
un vero cambiamento [...] continente dei valori umanistici [...] della libertà, della solidarietà e
soprattutto della diversità, il che implica il rispetto per le lingue, la cultura e le tradizioni altrui”:
questa la dichiarazione di Laeken che apre i lavori per il Piano d’Azione 2004-2006 della
Commissione delle Comunità Europee (2003).
L’identità dell’Europa è per sua natura complessa (cfr. Hobsbawm-Ranger, 1984). Essa nasce
plurale, come un coro fatto di più lingue e più culture, proprie non solo delle singole nazioni, ma
insite negli individui stessi: “Il plurilinguismo individuale e di intere comunità costituiscono in
generale la norma e non l’eccezione” (De Carlo, 2008: 2). Non ne consegue altrettanto naturalmente
né la consapevolezza della complessità insita nell’individuo e nella società, né il rispetto per ciò che
è diverso. Dunque il ‘cambiamento’ di cui si parla nella dichiarazione suddetta, a mio avviso, non è
quello di ‘formare’ una famiglia quanto piuttosto quello di ‘sentirsi’ famiglia. L’Unione Europea
considera il plurilinguismo e il pluriculturalismo come capisaldi inattaccabili del suo essere. La
‘Convention culturelle européenne’, firmata a Parigi nel 195430, uno dei primi storici documenti
programmatici dell’Unione, già si appellava agli stati membri affinché promuovessero iniziative
educative volte allo studio delle lingue e civiltà31 proprie e altrui, per garantire coesione sociale e
tutela della diversità. Negli ultimi trent’anni l’Unione Europea ha supportato una vasta gamma di
iniziative per promuovere l’insegnamento e l’apprendimento linguistico ufficializzando a livello
internazionale il ruolo delle lingue nell’identità europea, non tanto in prospettiva di difesa delle
lingue o di promozione di quelle più prestigiose a discapito di altre, quanto di costruzione di identità
multiple32.
I documenti, le dichiarazioni, le raccomandazioni, le convenzioni, le iniziative e i progetti sono
talmente numerosi che non basterebbe un’intera tesi per elencarli33. Desidero, tuttavia, citarne
28
Magris, C. Microcosmi, Milano: Garzanti, 1997: 108.
Saint-Exupéry, de, A., Le Petit Prince, Paris: Gallimard, 1946
30
La ‘Convention culturelle européenne’ in inglese “European Cultural Convention”, firmata a Parigi nel 1954, è
reperibile sul portale del Consiglio d’Europa:
http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=018&CM=2&DF=13/12/2005&CL=ENG
31
Nel documento in questione si parla di ‘civiltà’, anche se negli ultimi anni si preferisce parlare di ‘cultura’, termine di
più ampio respiro e politically correct. (cfr. Consiglio d’Europa, 1954: introduzione e art.2)
32
Cfr. Kramsch,Lévy,Zarate, 2008 e Glissant, E. “C’est dans ta langue que je te parle, mais c’est dans mon langage que
je te comprends” in Discours Antillais, Paris : Seuil, 1981.
33
I documenti che esprimono la posizione del Consiglio d’Europa in materia di politiche linguistiche educative sono
numerosissimi. Per visionare i documenti si veda il portale del Consiglio d’Europa, in particolare alla voce
29
25
alcuni, per fornire prove tangibili e concrete di quanta strada si è percorsa fino ad oggi. Si ricordino,
fra tutti, uno dei primi documenti, i “Livelli Soglia” (1976)34; a seguire, “La carta europea delle
lingue regionali o minoritarie” (Consiglio d’Europa, 1992); il “Trattato di Maastricht”(1992), per il
rispetto dell’identità linguistico-culturale degli Stati Membri; il “Libro bianco - Insegnare e
apprendere - Verso la società conoscitiva” (Commissione Europea, 1995), in cui si riconosce il
ruolo fondamentale delle lingue nella costruzione dell’unità europea, e considera primario che ogni
cittadino europeo sia in grado di parlare almeno due lingue comunitarie oltre alla propria L1; “La
strategia di Lisbona” (Consiglio Europeo, 2000), in cui si punta sulla competitività europea basata
sulle conoscenze, anche linguistiche, e sulla formazione degli insegnanti, per l’anno 2010. “L’anno
europeo delle lingue”(2001), inoltre, ha mostrato come le lingue possono essere promosse a livello
nazionale ed europeo. Sempre nel 2001, il Consiglio d’Europa stila il “Quadro Comune Europeo di
riferimento per le lingue” (Consiglio d’Europa, 2002) 35 e il “Portfolio Europeo delle Lingue”36 una
sorta di carta d’identità del e per il cittadino europeo nel mondo. Nel 2002, durante il congresso a
Barcellona, il Consiglio Europeo ha esortato nuovamente al plurilingusimo. Di recente la
Commissione Europea ha stilato il Piano d’Azione 2004-2006 (Commissione delle Comunità
Europee, 2003) che promuove l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica. Del 2006 le
competenze chiave indicate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio per una cittadinanza attiva,
includono la “comunicazione nelle lingue straniere ” , e la “consapevolezza ed espressione
culturale” (Parlamento Europeo e Consiglio, 18 dicembre 2006). Nel marzo 2009 il Parlamento
Europeo ha emesso una risoluzione ricevuta dalla Commissione, in cui si parla nuovamente di
multilinguismo37. Una ‘risoluzione’ è sicuramente più di una ‘raccomandazione’, e tuttavia lascia
ancora gli stati liberi di gestire le proprie politiche linguistiche educative senza prescrizioni.
Come già ricordato38, gli Stati Membri non sono obbligati a seguire tali direttive e, nonostante
l’ottimismo che si respira nei documenti sopra citati39, di fatto spesso si investe, per ragioni
economiche, di comodo, di agevolazione di traduzione e di comunicazione, sulle lingue considerate
più prestigiose o comunque utili a livello pratico (cfr. par. 1.1), suscitando così atteggiamenti
altamente ipocriti e paradossali.
‘pubblicazioni’Anche l’OSCE, L’UNESCO, la Commissione Europea, il Consiglio Europeo e molte altre istituzioni a
livello europeo e internazionale, oltre a quelle nazionali e locali, si sono espresse in favore della pluralità linguisticoculturale europea e della sua tutela.
34
Si tratta di repertori di atti di parola con esponenti linguistici, caratteristiche che esprimono diverse funzioni. Redatti
in tutte le lingue e considerati le nozioni base per poter interagire in una lingua. Per il documento di riferimento si veda
il sito del Consiglio d’Europa.
35
Abbreviato in inglese CEFR, ovvero ‘Common European Framework of Reference’. Il CEFR fa lo stato dell’arte di
quanto detto fino ad allora. In particolare si focalizza sulle competenze plurilingue e pluriculturali e sull’attore sociale.
Tale quadro è ormai punto di riferimento imprescindibile, nonostante vi siano progetti di revisione dello stesso e si
siano affiancati nuovi documenti di riferimento.
36
Vi sono molte versioni di PEL (= Portfolio Europeo delle Lingue). Si veda il sito del Consiglio d’Europa:
http://www.coe.int/t/dg4/portfolio/default.asp?l=e&m=/main_pages/welcome.html. Sia il CEFR che il PEL sono
perfettibili. Un elemento mancante è, ad esempio, il concetto di perdita di competenze in una lingua. Il Portfolio sembra
seguire invece un parametro aggiuntivo, ovvero una lista da compilare inserendo cosa ‘so’ o ‘non so ancora’ fare.
Inoltre, si parla molto delle lingue come prodotto, non tanto del processo. Inoltre le lingue sono date spesso come
competenze a sé.
37
Cfr. Cavagnoli-Passarella (2011) per i termini ‘multilinguismo’, plurilinguismo’ e interculturalità’.
38
Si veda il paragrafo 1.1 della presente ricerca. Cfr. l’art. 8 della European Cultural Convention, 1954, in cui si
specifica che le leggi interne ad ogni singolo Paese dell’Europa precedono le misure europee in merito alla questioni di
educazione linguistica e scambi di persone nel territorio.
39
Ne è un esempio il CEFR (2002:5), ottimista sulle prospettive plurilingui, quando in realtà agenzie e individui si
focalizzano soprattutto sulle più prestigiose.
26
La questione, tuttavia, non è meramente economica. Il dibattito ruota anche attorno alla questione
fondamentale dell’identità. L’identità nazionale degli Stati Membri è relativamente recente rispetto
alle radici dell’Europa, che affondano nella pluralità, nella diversità che la caratterizza e le dona una
ibrida, originale, complessa unità sovranazionale. Purtroppo gli europei hanno sempre vissuto la
molteplicità, il movimento, il cambiamento, come mancanza di identità (cfr. Kapuściński, 2007).
Essi temono e auspicano un’identità che li avvicini, combattuti fra lingue e culture che sentono in
qualche modo familiari, ma non del tutto proprie. Bhabha (2001) ritiene che “[...] l’unità politica
della nazione consiste in un continuo dislocarsi dell’angoscia per il suo spazio irrimediabilmente
plurale e moderno – che rappresenta la moderna territorialità della nazione trasformandola nella
temporalità patriottica e atavistica del tradizionalismo” (ibid.: 208). Il monoculturalismo e il
monolinguismo tendono storicamente ad essere la norma, dal momento che il potere ha visto utile
imporli per questioni di gestione dello stato. Il multiculturalismo dunque è sempre esistito. Le
lingue sono da sempre ibride, pur se i rapporti non sono in molti casi pacifici: “identities, peoples,
cultures [...] despite their differences [...] have always overlapped one another, through
unhierarchical influence, crossing, incorporation, recollection, deliberate forgetfulness, and, of
course, conflict” (Said, 1993: 401).
Oggi, più che allora, il tema si fa scottante e attuale: a causa dei massicci flussi migratori e della
mobilità intra- e inter-statale che caratterizzano numerose zone d’Europa, è anche riduttivo parlare
di plurilinguismo delle lingue europee, dal momento che si tratta di un plurilinguismo più
complesso, che include anche le lingue di migrazione40, nonché i fenomeni di ibridazione fra lingue.
L’immigrazione non è un fenomeno nuovo, né in Europa, né in Italia: i primi immigrati arrivarono
nel nostro Paese in cerca di lavoro già negli anni Sessanta. Negli ultimi trent’anni, tuttavia, la
crescita del fenomeno migratorio è stata particolarmente rilevante, in Italia come nel resto dei Paesi
d’Europa. Si vive, dunque, un fenomeno di immigrazione relativamente recente e non sempre ci si
trova pronti a gestire tale realtà (cfr. Giannini, 2005)41: “L’ideale di un’Europa nuova, che superi
l’Europa delle patrie di stampo gollista, delle piccole patrie, che sia capace di costruire la sua
identità condivisa su valori che non tradiscano la sua eredità storica, in particolare la democrazia e il
rispetto dei diritti individuali, appare oggi forse ancora più difficile di qualche anno fa” (De Carlo,
2008: 9)42. La stessa idea di ‘lingua madre-materna-matrigna’ è di difficile, e talvolta scomoda,
collocazione all’interno di un discorso sul patrimonio linguistico di gran parte della popolazione sul
suolo europeo. Un concetto così vicino e familiare come quello di lingua ‘madre-materna’, fino ad
una trentina di anni fa dato quasi per scontato, assorbito anche passivamente dagli europei, oggi si è
complessificato a causa di continui movimenti, migrazioni, contatti, scambi fra persone, tanto che in
alcuni casi risulta impossibile, o scomodo, o ancora poco corretto afferire a certe lingue come
40
Barni, Vedovelli e Bagna parlano di “super varietà” linguistica in Italia oggi. Il nuovo spazio linguistico nazionale
presenta, ad esempio, le lingue dei migranti, che se ne vanno senza lasciare traccia, la lingua immigrata i cui tratti si
sono radicati in un certo contesto, in “Italiano e lingue immigrate nei nuovi panorami linguistici urbani all’ “Esquilino”,
in Pezzini, I., (a c. di), Roma: luoghi del consumo, consumo dei luoghi, Roma: Nuova Cultura, 2009: 243-255.
41
Mantovani (2005) afferma che c’è fra noi un ‘elefante’, una realtà enorme con cui ci troviamo fianco a fianco ogni
giorno, ma senza gli strumenti giusti non riusciamo a coglierla, siamo come pesci che non vedono l’acqua, pur
essendovi immersi fino al collo.
42
Lévi-Strauss (1983:29) afferma che paradossalmente l’abbattimento delle barriere, rimescolando le carte in tavola,
complica il gioco dei rapporti fra culture in Europa. Secondo Glissant (1996:29) parla addirittura di “angoscia” che ci
assale mirando il “ricco panorama di tutte le lingue del mondo” pur se ammette che non è possibile preservare la propria
lingua come monade dal multilinguismo che la circonda.
27
‘lingua madre’(cfr. Cognigni-Vitrone in Kramsch- Lévy- Zarate, 2008: 87-92 e CavagnoliPassarella, 2011: 13).
Si parla comunque sempre di costruzione identitaria, dal momento che non esiste un’identità
deontologica di Europa o delle singole nazioni, anzi, nel tempo e spostandosi nello spazio i valori di
riferimento mutano (cfr. Rossi, 2007). La stessa lingua nazionale è una costruzione. Il
monolinguismo supposto o imposto nel binomio ideale ‘una lingua-una nazione’ nasce a partire dal
XIX secolo, convenzionalmente, strategicamente, per fini politici: “Le monolinguisme de certains
pays européens s’est affirmé au XIXe siècle par le biais de la formule 'une langue, un peuple, une
nation' pour stabiliser ou agrandir les frontières et créer une conscience nationale […] une langue
commune représente le garant social de l’identité collective […]” (De Carlo, 2009: 67-76. Cfr.
2008: 7 e Pierdominici, 2011: 139-140).
L’Europa sta lavorando per costruire una ‘unità nella diversità’43 che distingue il tessuto linguisticoculturale-identitario dell’Unione Europea rispetto, per esempio, agli Stati Uniti. L’identità allargata
non sembra sposarsi con l’ideale americano del melting pot, dal momento che storicamente
l’Europa è sempre stata un mosaico complesso di popoli44: “In the U.S., the ideal of the cultural
‘melting pot’ has allowed ethnic communities to flourish without preventing immigrants from
regarding themselves as true Americans. But the same sort of multiculturalism has been less
successful in Europe, where small nations that have for centuries been defined by distinct
languages, customs and cultures now feel besieged by fast-growing ethnic populations” (Walt,
2005:34-35)45. Allo stesso tempo in Europa si fa sentire la paura di melting down, di uniformarsi, di
annullarsi, a livello linguistico culturale, identitario, sia a causa dell’internazionalizzazione
dell’inglese e della way of life globale, made in USA, più che di matrice anglosassone, ciò unito alle
recenti migrazioni46. Secondo Galisson “il diverso non è il melting pot, il minestrone, il
guazzabuglio, [...] il diverso sono le differenze che si incontrano, si aggiustano, si oppongono, si
accordano e producono l’imprevedibile” (Glissant, 1996:78). Gadamer (2003), con Derrida, insiste
nell’affermare che il monolinguismo in Europa è inaccettabile, come una forma di integralismo, dal
momento che la diversità linguistica è sempre stata una marca di identità e ricchezza per l’Europa.
Non è peraltro né pensabile né auspicabile la lingua unica in Europa:
43
Si ricalca qui il motto ‘Unity in Diversity’ adottato dall’Unione europea nel 2000 come slogan identitario, con
riferimento anche a quello made in USA ‘e pluribus unum’.
44
Si veda il ‘Patchwork model of identity’ di Keupp-Höfer (1998) in Cresić, M., “Language as a Medium of the
Multifaceted Self” in Miller-Pano, 2009, 40.
45
Gli Stati Uniti basano la propria identità sull’unità Vedi i motti “United we stand” “E pluribus unum”, anche se
ultimamente con la nuova presidenza si focalizza soprattutto sul patchwork di lingue-culture, pluralità nell’unità. Il
plurilinguismo in USA c’è sempre stato, ma solo negli ultimi anni sta venendo rivalutato in direzione interculturale.
46
Una immigrazione verso l’Europa che non può essere paragonata a quella degli europei verso l’America, o le
immigrazioni precedenti. (cfr. Chattat, R., “Immigrazione, integrazione e costruzione delle identità” in Miller-Pano,
2009).
28
“C’est dans la diversité linguistique de l’Europe que Gadamer situe en premier lieu le principe
de l’entente et du dialogue : le multilinguisme de l’Europe, ce voisinage de l’autre dans un
espace étroit et l’égalité de valeur de l’autre dans un espace plus restreint, me paraît constituer
une véritable école […]. C’est pourquoi je ne crois absolument pas au but idéal d’une langue
unitaire, ni pour l’Europe ni pour l’humanité. Cela peut être pratique et se trouve d’ores et déjà
pratiqué dans des domaines particuliers, par exemple dans celui du commerce. Mais la langue
est premièrement ce que parle la communauté linguistique naturelle, et seules les communautés
linguistiques naturelles seront en situation d’édifier dans la coexistence ce qui les unit et ce
qu’elles reconnaissent en l’autre” (De Carlo, 2009: 71).
Se il monolinguismo puro di fatto non esiste, il multilinguismo e il multiculturalismo o la pacifica
convivenza (quando non sfocia in intolleranza) non sono sufficienti per costituire una identità
sovranazionale47. Non solo la questione dell’inglese, ma anche quella dell’immigrazione sono
cruciali nel ripensamento identitario europeo e mondiale oggi. Di conseguenza le aziende formative
e di cultura devono promuovere la pluralità e l’apprezzamento delle differenze culturali, nella
consapevolezza della condivisione di ideali comuni di cittadini europei, nel mantenimento della
propria identità singola (cfr. De Carlo, 2009). Tale identità non è né una somma né una sovracultura, ma una cittadinanza transnazionale. É falsa la chimera del monolinguismo per l’unità e
l’identità europea, come è falsa l’idea del monolinguismo di ogni individuo:
“one can […] understand the role of interlanguage in the constitution of linguistic patrimony
and linguistic competence, or the shifting relationships among the languages that an individual
knows, or the definitive failure of the idea that fixed relations must exist between languages and
cultures or languages and nations, and the perception that many cultures can be present in the
same language, because otherwise we would be condemned to silence (Lévy 1990 in ZarateLévy-Kramsch, 2010: Notes to the translation of chapter Two).
Sicuramente una lingua comune nazionale funge da collante molto forte nelle società (cfr. De Carlo,
2008:7). E il rapporto lingua e cultura sono altrettanto forti e radicati nell’immaginario collettivo48:
“A language is one of the strongest symbols of identity and belonging, but also a challenge to
national identity, however international identity is an EXTENSION, not an alternative” (Byram,
2008:122). L’identità internazionale non è un’alternativa, ma un valore aggiunto alla propria
identità anche nazionale, ma va sensibilizzata, educata49.
Nel documento del Ministero della Pubblica Istruzione, “La via italiana per la scuola interculturale
e l’integrazione degli alunni stranieri” (MPI, 2007) si accenna alla necessità di una revisione
sistematica del curricolo, per una educazione alla cittadinanza in prospettiva interculturale (ibid.:
17). Nello stesso documento si ribadisce che il perno di tutta la pedagogia interculturale e
47
Si parla infatti di interculturalità e plurilinguismo, differenziandoli da multi-linguismo e multiculturalismo,
intendendo gli ultimi come mera presenza sul territorio di diverse lingue e culture, che non intrattengono fra loro
rapporti di sorta, o comunque non cercano il dialogo e il confronto (cfr. CEFR e Cavagnoli-Passarella, 2011).
48
Cfr. par. 3.1 della presente tesi. De Carlo afferma:“Il rapporto lingua e cultura è stato ampiamente dibattuto fin
dall’età dei Lumi da pensatori quali Locke, Leibniz, Condillac, Vico, che avevano già ridefinito il nesso di
rappresentatività della lingua, non più riferito alle categorie sostanziali del pensiero e della realtà, ma alle condizioni
storiche, culturali e ambientali dei singoli popoli” (De Carlo, 2008:6).
49
Gli stati membri dell’UE sono ancora preoccupati per le loro singole identità e ci vorrà ancora del tempo per
elaborare l’idea di cittadinanza europea. Nel campo dell’insegnamento/apprendimento delle lingue gli stati accettano
più di buon grado di prender parte a iniziative che provengono dalla casa madre europea, prendendo a modello il CEFR,
o godendo dei fondi monetari europei ad esempio per scambi di studenti. Tuttavia, bisogna lavorare ancora molto sul
senso di appartenenza più allargato.
29
dell’integrazione sia è formazione dei docenti. Gli educatori stessi devono assumere uno sguardo
critico nei confronti della propria disciplina e sono invitati a mantenersi aperti alla diversità,
superando l’atteggiamento informativo lineare, collaborando per realizzare un progetto comune di
educazione alla cittadinanza (cfr. ibid.: 18).
Se dunque l’anima europea somiglia ad un “caleidoscopio” (Londei, D. in Londei-Galli, 2009: 33),
come può calzarci a pennello l’abito della lingua e cultura unica? “Potrà questo patrimonio
continuare a rappresentare il minimo comun denominatore di un’Europa capace nello stesso tempo
di accettare la diversità, costitutiva o acquisita, che la caratterizza? Siamo in presenza qui della sfida
e del paradosso del progetto europeo” (De Carlo, 2008: 5). Per mantenere questa promessa, non è
secondario il ruolo che può giocare una politica linguistica ed educativa nella prospettiva pluralista
auspicata dal Consiglio d’Europa (ibid:10). Ma anche le aziende di formazione e di educazione
hanno un loro peso: “Le istituzioni poste alla base dei processi di integrazione – prima fra tutte la
scuola con il suo potenziale di diffusione di una lingua comune, di saperi e valori condivisi –
incontrano di fronte alla varietà delle differenze molte difficoltà a svolgere il loro compito” (Callari
Galli, in Londei-Galli, 2009: 27). Lo scopo dei mediatori di cultura sarà dunque:
“to create through reflection and exchange of experience and expertise, the consensus necessary
for European societies, characterized by their differences and the trans cultural currents which
create ‘globalised nations’, not to become lost in the search for the ‘perfect’ language or
languages valued at the expense of others. They should rather recognize the plurality of the
languages of Europe and the plurilingualism, actual or potential, of all those who live in this
space, as a condition for collective creativity and for development, a component of democratic
citizenship through linguistic tolerance, and therefore as a fundamental value of their actions in
languages and language teaching” (Beacco-Byram in Costanzo, 2003: 6).
Bisogna prendersi carico del cittadino nella sua interezza, puntare sul saper essere, lavorare su
tematiche quali l’identità, la cultura, l’intercultura, andando oltre le competenze funzionali, che
riducono le lingue a oggetti privi di anima. L’inglese, appunto, rischia in un tale scenario, di
diventare una lingua strumentale usata da tutti e non amata da nessuno, a discapito delle altre lingue
culture e del suo stesso patrimonio.
Uscendo dunque dal falso binomio una lingua = una cultura, dal momento che una lingua può
essere portavoce di più culture e viceversa, a seconda dell’uso che se ne fa, una sana intercultura
mentale, un appartenere tra le lingue-culture ci aiuterà sicuramente ad essere “più felici” (cfr.
Iannacone, 2009).
30
1.3 Alcune raccomandazioni per un curricolo plurilingue e interculturale
Sono anni che si parla di curricolo plurilingue; ne parlano, fra questi, Beacco, Byram (2008), Curci
(2005: 59-70), Dodman (2010), De Mauro (1993), ma anche Lévy (2008 et al.)50, De Carlo (2008 et
al.), Cognigni-Vecchi (2011), Cavagnoli-Passarella (2011) e tanti altri ricercatori ed esperti nel
campo dell’ educazione linguistica, oltre, ovviamente, a tutti coloro che hanno stilato documenti,
quaderni, quadri di riferimento (CEFR, CARAP, PEFIL, per citarne alcuni), più o meno
programmatici, provenienti dall’Europa51. Anche l’interculturalità, come afferma Mantovani52, non
è una rivoluzione, ma qualcosa che già esiste. Va fatta una premessa terminologica, al fine di non
creare fraintendimenti. Spesso confondiamo la sfumatura che i termini ‘lingua’ e ‘cultura’
assumono se dotati di prefissi quali ‘multi’, ‘pluri’, ‘inter’, ‘co-’ (cfr. CEFR, 2002:5; KellyGrenfell, 2004; Curci, 2005:3; CARAP, 2007: 79 e 97; Cavalli et al., 2009; Cavagnoli-Passarella,
2011:12-13).
A seconda del contesto, del periodo o della lingua di scrittura, tali parole sono impiegate
differentemente, come pure, tali termini possono afferire al contesto socio-territoriale, ma anche alla
sfera privata individuale. Dunque intenderemo di seguito per ‘multilinguismo’ la convivenza di
persone di lingue diverse su uno stesso territorio, senza legami dichiarati né ricercati fra esse.
Solitamente afferisce alla sfera territoriale, più che personale (cfr. Cavagnoli-Passarella, 2011). La
società oggi, salvo rari casi di isolamento e impermeabilità, anche forzati, è naturalmente complessa
e multipla al suo interno. Si parla di ‘plurilinguismo’ invece come compenetrazione dei sistemi
semiotici nell’individuo, ponendo l’accento sull’integrazione fra lingue. Plurilinguismo e
pluriculturalità afferiscono all’uso di più lingue-culture in sinergia, sia a livello territoriale che
personale: “Plurilingualism differs from multilingualism, which is the knowledge of a number of
languages. The plurilingual approach emphasises the fact that a person’s experience of language
expands from home to his/her own social context and then to other people’s languages” (KellyGrenfell, 2004: 121).
Entra in gioco il concetto di competenze parziali, dal momento che non tutte le abilità linguistiche
saranno impiegate nello stesso modo e con la stessa precisione. Se allarghiamo l’accezione di
‘lingua’ considerando anche i dialetti, i vari registri e le competenze parziali in lingue straniere,
potremmo affermare che siamo tutti plurilingui. Ogni lingua presenta varietà al suo interno. E
ognuno di noi, nel proprio patrimonio, presenta una stratificazione non indifferente di lingue e
linguaggi.
A integrazione delle competenze linguistico-comunicative, enunciate nel CEFR (2002), si mira oggi
alla costruzione di una ‘competenza plurilingue e interculturale’, che svolge il compito di transfer
di abilità da una lingua-cultura all’altra, alla propria (cfr. Quartapelle “Sviluppare e valutare le
50
Il Précis du Plurilinguisme et du Pluriculturalisme (2008) si presenta come una raccolta aperta, scritta a più mani, da
punti di vista differneti che afferiscono a campi di studio vari, ma interrelati fra loro. Contiene riflessioni sul tema del
plurilingusmo e dell’interculturalità a livello individuale, sociale, globale, privato e pubblico, in senso sincronico e
diacronico. Tale testo è ormai accettato negli ambienti di ricerca in politica, educazione e formazione linguisticoculturale. Per la sua estrema chiarezza e fruibilità, può fornire anch’esso spunti interessanti di riflessione nella
formazione continua degli insegnanti di lingue e di altre discipline.
51
Già nel 1954, con la European Cultural Convention, Paris, 19 dicembre 1954, anche se dagli anni Novanta in poi
sono state attuate politiche specifiche a supporto del plurilinguismo europeo.
52
Si vedano gli atti del seminario del Prof. Mantovani dal titolo “Problemi, metodi e teorie nella ricerca psico-sociale”
tenuto presso l’Università degli studi di Macerata, dip. di Mutamento Sociale, il 29 ottobre 2009.
31
competenze in lingua straniera” in Lend 1,2011: 27). L’interculturalità che ne deriva è un’azione di
interazione e scoperta delle lingue-culture proprie e altrui, in un dialogo costruttivo. Nel Glossario
del Profile, alla voce ‘intercultural education’ troviamo la seguente definizione:
“Intercultural education promotes a dynamic relationship between cultures. It allows learners to
experience and understand cultures from a number of perspectives. It deals with issues such as
cultural difference and diversity, human rights, anti-racist education, pluralism within a
democratic framework, migration, minority and refugee issues. It has particular implications for
language policy, curriculum and classroom organisation, and school development (Profile:
119)53.
Beacco e Byram (in Byram, 2008) affermano che non è una rivoluzione l’educazione interculturale,
perché prende in considerazione l’esistente, cioè la società multipla e l’individuo plurale; non è per
una élite, non è una nuova metodologia, bensì un cambio di prospettiva; l’educazione plurilingue
interculturale è un diritto del discente, essa è una competenza linguistica globale − non una raccolta
di competenze in parallelo − che è trasversale a tutte le lingue del repertorio linguistico di ciascuno,
a tutti gli ambiti, e plasma una identità aperta alla pluralità e alla diversità per mostrarne gli
elementi comuni e condivisi.
Puren intravede uno sviluppo dell’approccio comunicativo interculturale in prospettiva azionale, di
integrazione e costruzione in Europa e mostra i vantaggi nel passaggio dalla interazione alla coazione, dal parlare e agire in maniera interculturale al co-culturale : quest’ultimo responsabilizza e
motiva all’azione per scopi sociali:
"[…] la perspective interculturelle est à elle seule insuffisante pour assurer la formation éthique
des élèves dans le cadre de leur apprentissage d’une langue-culture. […]. Lorsque l’on travaille
avec des 'étrangers' […] il ne peut plus s’agir seulement de gérer au mieux les phénomènes de
contact (même permanent) entre des cultures différentes en étant conscient des représentations
qui vont déterminer les perceptions, attentes, attitudes et comportements des autres et de soimême : il faut, pour parvenir à faire ensemble, élaborer et mettre en œuvre une culture d’action
commune dans le sens d’un ensemble cohérent de conceptions partagées: c’est très précisément
ce processus qui constitue l’objet et l’objectif de ce que je propose d’appeler la 'perspective coculturelle’" (Puren, 2007:9).
L’autore non cancella quanto fatto finora, ma vuole rimodellarlo in base ai bisogni della nostra
società odierna, in cui la comunicazione non risulti fine a se stessa, ma sia un mezzo di azioni
socialmente significative. Vanno dunque formati, attraverso la didattica delle lingue-culture, degli
attori sociali che agiscono insieme in maniera autentica, non simulata, indipendentemente dal loro
livello di competenza linguistica (cfr. ibid.: 7 e 11): "L’objectif de l’enseignement/apprentissage
scolaire des langues-cultures, en effet, n’est pas seulement la formation d’individus autonomes,
mais également celle de citoyens tout à la fois créatifs et responsables, actifs et solidaires" (ibid.:
13). A tale scopo bisogna lavorare su una didattica complessa delle lingue-culture che risponda ai
bisogni della nostra società oggi. In questa sede si tratterà di interculturalità e di plurilinguismo
inglobando anche l’idea di azione sociale che proviene dalla prospettiva co-azionale e co-culturale
di Puren.
53
Notare il rimando, tra parentesi alla educazione ‘multiculturale’ afferendo al medesimo significato.
32
In tale ottica l’educazione linguistica non comporta una formazione alla mera lingua target, ma un
approccio critico, di comparazione, apprezzamento delle lingue in generale, e di collaborazione fra
persone attraverso le lingue (cfr. Costanzo, 2003: 6). La complessità di un tale scenario deve
emergere a scuola, come in tutte le agenzie formative, al fine di far dialogare gli apprendenti sia con
le lingue-culture che incontrano, sia con il proprio patrimonio linguistico. Compito della scuola
dovrebbe essere quello di valorizzare tale pluralità (Cavalli et al., 2009)54. Le indicazioni fornite dal
CEFR sono chiare, soprattutto in materia di diversificazione, ampiezza e varietà dell’offerta
formativa55.
Non è un nuovo metodo d’insegnamento di cui abbiamo bisogno, ma di un cambio di prospettiva. Il
prof. Anselmi, italianista dell’Università di Bologna, afferma che la prospettiva europea non è
quella di un insegnamento per segmenti, ma di una trama di percorsi trasversali: “Oggi quindi la
prospettiva aperta in Europa non è quella di ricostruire una sorta di tradizionale storia di linguistiche
o di letterature comparate, [...] ma quella di legare e combinare concretamente tra loro le lingue, i
grandi autori, i grandi testi e le grandi tradizioni delle culture tutte”( Anselmi in Londei-Galli, 2009:
98). È necessario un approccio multidisciplinare e transdisciplinare, che colleghi in qualche modo le
lingue e/con le discipline scolastiche:
“Following the dominant approaches within the field (linguistic, institutional, mass-media,
political, historical, anthropological, social and psychological), we shall use—indeed, blend—
instruments from the corresponding disciplines, always remembering that no unique or
irreversible conclusions should ever be drawn, and that those very conclusions may question
and transform not only what they are expected to interpret, but also the researcher him- or
herself” (Kramsch-Lévy-Zarate, 2010, Notes to the translation of chapter Two).
Anche Minardi propone una didattica della creatività: “occorre lavorare sull’organizzazione
dell’apprendimento/insegnamento delle lingue oggi nei singoli stati europei, a livello di definizione
e di scelte nel curricolo [...]” (2009: 7)56.
Come fa notare Pasquali, “Si devono formare innanzitutto insegnanti preparati a tal riguardo. E
comunque il team di docenti coinvolti dev’essere necessariamente convinto [...]” (2011:17).
Dunque la formazione innanzitutto. A Bolzano partiranno corsi per formare gli insegnanti alla
codocenza e l’insegnamento CLIL. Passarella afferma però che si tratta di formazione in servizio. Si
auspica che, affinché tale sperimentazione diventi una prassi, tale formazione sia inserita nella
formazione iniziale degli insegnanti: “Questa è formazione di personale in servizio. Per il futuro ci
auguriamo [...] di poter disporre di laureati già formati in tal senso” (ibid., 14).
54
Quando si pensa all’obiettivo di competenza comunicativa, non si deve pensare, dunque, al parlante nativo (ibid.: 7).
Si veda anche cap. II. della presente tesi. La lingua-cultura inglese, ad esempio, nelle sue sfaccettature, nel suo plurilinguismo e pluri-culturalismo insito nella sua storia e nel suo sviluppo, costituisce già di per sé un modello di
plurilinguismo. L’inglese stesso può diventare una passerella per introdurre altre lingue, e per riscattarsi nella sua
ricchezza (cfr. Cognigni, in Lévy, 2006)
55
Lo stesso CEFR è in via di revisione e integrazione in chiave di risorse dell’apprendente da valorizzare, oltre che alle
competenze da acquisire. Si veda a tal proposito il documento intermedio, frutto di studi ed esperienze, e promotore di
un futuro nuovo framework di riferimento per l’insegnamento/apprendimento delle lingue (Cavalli et al., 2009).
56
La professoressa Silvia Minardi è Presidente dell’associazione LEND, Lingua e Nuova Didattica, e responsabile
nazionale dei progetti europei. E’ Docente di lingua straniera presso il Liceo Classico con sperimentazione linguistica
“Salvatore Quasimodo” di Magenta (Milano) e formatrice di lingua inglese per il Progetto Lingue Lombardia e per il
Ministero della Pubblica Istruzione.
33
Un punto chiave per l’educazione linguistica è quello della forte relazione lingua-cultura, non
sempre presa sul serio. Spesso la cultura è sfruttata come pretesto per migliorare l’abilità
linguistiche, la lingua di comunicazione, le funzioni. Il tutto si riduce in un mero esercizio
comunicativo, in riflessione grammaticale o peggio, in una costruzione stereotipata della cultura
target, semplificata ai minimi termini, al fine di evitare che gli studenti si ‘scoraggino’ di fronte alla
complessità.
Se fino a qualche anno fa la lingua, a livello accademico così come nella scuola secondaria,
deteneva una posizione subalterna rispetto alla letteratura, ambito della cultura alta, oggi si
preferisce considerare il binomio lingua-cultura nel senso più ampio del termine, afferendo alla
cultura come insieme di cultura alta e cultura corrente57. L’apprendimento linguistico è sempre più
considerato come un momento sociale di crescita. Ecco perché negli ultimi anni il focus si sta
spostando dalla letteratura al campo più inglobante di cultura.
Secondo Beacco (2007) e Byram (2008) lo scopo da raggiungere è una competenza plurilingue
come capacità di acquisire e usare differenti competenze in diverse lingue, e una competenza
interculturale come capacità di comprendere, interpretare e accettare altri modi di pensare e vivere.
Byram afferma: “The intercultural speaker is the ‘outcome’ of teaching for intercultural
competence. The intercultural student is someone who is aware of cultural similarities and
differences and is able to act as mediator between two or more cultures, two or more sets of beliefs,
values, behaviors” (Byram, 2008: 75). Dunque non si tratta di biculturalismo, ma di un processo più
complesso e ricco. L’apprendimento plurilingue e l’atteggiamento interculturale, pertanto, sono
processi che investono l’intera persona (cfr. Cavalli et al, 2009). Vista da questa prospettiva,
l’educazione linguistica offre benefici anche cognitivi, per uno sviluppo psico-motorio totale, grazie
all’apprendimento lungo l’arco della vita, che vanno al di là del profitto economico. Dunque alla
domanda “Conviene essere plurilingui?” (Cavagnoli-Passarella, 2011: 7)58 si ribadisce che la
risposta è SÌ. I soggetti plurilingui in una società complessa come la nostra sembrano infatti
possedere ‘una marcia in più’ (cfr. Fabbro, 1996 e Delanoy, in Byram, et al., 1998).
Nel documento “Plurilingual et Intercultural Education as a Project” (Cavalli et al., 2009) si
sottolinea la NECESSITA’ di una educazione plurilingue e interculturale perché:
-l’educazione linguistica è passata al centro della formazione dell’identità scolare e sociale
dell’individuo (scopo identitario sociale) (cfr. Puren, 2002);
-per sottolineare l’unitarietà dell’esperienza linguistica frammentata nelle diverse discipline
scolastiche (scopo linguistico formativo scolastico);
-perché nel mondo multipolare la scienza delle lingue non sia ridotta all’efficacia comunicativa.
57
“La lingua straniera si sta emancipando dallo statuto subalterno che rivestiva nel mondo accademico nel rigido
binomio ‘lingua e letteratura’ per investire un binomio più produttivo, quello di lingua-cultura”(Curci, 2005:70; cfr.
Lévy, 2001, 61-80 e Galisson, 1989).
58
Sul calco del titolo di Fabbro “Conviene essere bilingui?” ( in Il cevello Bilingue. Neurolinguistica e poliglossia,
Roma, Astrolabio,1996), le autrici pongono provocatoriamente tale domanda ai lettori, dimostrando poi attraverso la
loro esperienza di insegnamento plurilingue nella scuola primaria di Bolzano “Manzoni”, i benefici concreti che se ne
traggono. Tale libro è molto interessante, non solo dal punto di vista della diffusione delle buone pratiche, peraltro di
grande necessità in un Paese come l’Italia in cui le scuole molto spesso vivono chiuse come isole. Questa esperienza
può fungere infatti da spunto per costruire percorsi anche nelle scuole di ordine superiore, e fornisce un esempio
concreto di approccio metodologico dell’osservazione, la verifica e la valutazione.
34
Di seguito sono state elaborate alcune indicazioni metodologiche per costruire un curricolo
plurilingue e interculturale, estrapolate da varie letture e ritenute utili sia per la classe, ma anche
come spunti per una formazione degli insegnanti in tale prospettiva:
-operare in maniera transdisciplinare e interdisciplinare fra lingue, ma anche fra discipline,
collaborando fra colleghi e con le istituzioni esterne alla scuola;
-passare dalla ‘competenza globale’, ovvero sapere tutto su una sola lingua-cultura, ad un repertorio
più vasto che valorizzi i repertori parziali;
-far uso delle conoscenze pregresse, della lingua madre, del repertorio linguistico degli studenti per
lo studio di altre lingue;
-lavorare e ragionare sulle rappresentazioni linguistiche, sui cliché, sugli stereotipi, e sui simboli
della cultura target (cfr. Londei, 1990);
-sensibilizzare alle lingue-culture59;
-non dividere nettamente lingua e cultura, o se questo dovesse avvenire, far sempre presente il
legame. Per ragioni di praticità si dividono le lingue dalle culture, ma ne va fatta notare la ragione
con criticità;
-pensare al pubblico e al contesto di riferimento;
-analizzare uno stesso problema da più punti di vista;
-porre attenzione ai codici non verbali (cfr. Cognigni-Mancini, 2003);
-stimolare il desiderio di studiare in un’altra lingua (es. attraverso il CLIL) senza rischiare di creare
un altro monolinguismo e lavorare sulle motivazioni allo studio delle lingue-culture;
-sviluppare competenze anche professionali;
-sollecitare la sensibilità alla varietà linguistica sin dai primi livelli di istruzione, ad esempio con un
approccio comparativo;
-consolidare il senso di appartenenza ad una comunità allargata, con senso di onestà e responsabilità
nel veicolare messaggi per aiutare gli studenti a crescere umanamente60;
-non scadere nella relatività assoluta (cfr. Benhabib, 2005);
-modificare la valutazione, non focalizzandosi solo sulla correttezza della performance finale (prove
sommative finali): uno dei gap maggiori nelle direttive europee sta nella valutazione, dal momento
che è complesso valutare, ad esempio, il ‘saper essere’. Gli stessi portfolii, diari etc. potrebbero
rimanere privati o comunque ermetici per l’insegnante: “We know that “No one but the individual
evaluates whether their response to an encounter was ‘good’ in any of the senses […] and in some
circumstances, the document could remain entirely confidential and not open to the read by a
teacher, or anyone else” (Byram, 2008: 226);
-tenere un diario, un portfolio, lavorare sull’autobiografia linguistica61;
-sviluppare un approccio critico fin dal primo contatto con le lingue-culture (cfr. la ‘critical cultural
59
Paulston fornisce alcune definizioni di possibili atteggiamenti verso le culture, in Paulston, K., “Sociolinguistic
perspectives on bilingual education”, (1992: 66)
60
Promuovendo il passaggio “Da un’educazione in lingue a un’educazione attraverso le lingue” (Lévy in “La
mediazione instabile:nuovi luoghi e nuovi protagonisti”, 2000).
61
Kramsch, Lévy, in “Actors of this discourse: conditions and situations” affermano: “Training of language teachers
through an approach that encourages their reflection on their own experiences with language in order to develop
awareness of these experiences and to acquire the skills to narrate and analyze partial data through biographical
methods” in Zarate- Lévy- Kramsch, a c. di, Notes to the translation of chapter Two, 2010.
35
awareness’ in Byram, 2008: 69) ed essere consapevoli delle scelte che si fanno in termini di studio
delle lingue e delle fonti da cui trarre le informazioni62;
-stimolare la ricerca-azione affinché gli insegnanti e gli apprendenti diventino ‘ricercATTOri’ del
proprio operato.
De Carlo indica inoltre competenze da sviluppare e finalità dell’educazione alle e con le lingueculture in seno all’Università, ma che possono essere prese in considerazione anche dalle istituzioni
scolastiche (De Carlo, 2007: 146):
-‘competenza plurilingue’ per saper fare, comunicare, analizzare e costruire il discorso in contesto
culturale e conoscere la dimensione interculturale;
-‘competenza strategica’ per comunicare e imparare a comunicare, negoziare, cooperare;
-‘competenza interculturale’: concerne lo spazio Terzo e l’Altro;
-‘competenza parziale’: il plurilinguismo non è la somma di molte competenza monolingue.
Si vedano anche gli obiettivi (ibid.: 75):
-‘formativo’, di riflessione, ragionamento, astrazione;
-‘comunicativo’, ovvero il sapere, saper fare, saper essere;
-‘culturale’, cioè come criticare, argomentare, affermare la propria identità, riconoscere l’alterità.
Ovviamente l’educazione al plurilinguismo e all’interculturalità deve prevedere un cambio di rotta
anche nella formazione degli insegnanti:
“Un ripensamento dei curricoli in questa direzione dovrà necessariamente essere accompagnato
da una profonda riforma della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Già nel
curriculum universitario non va mai perso di vista che sono loro, ancor prima degli studenti, a
dover soddisfare le priorità delineate dal Libro Bianco e ribadite energicamente con la strategia
di Lisbona, vale a dire la padronanza di almeno tre lingue. Gli insegnanti dell’area linguistica,
inoltre, dovranno possedere salde conoscenze di linguistica, anche di linguistica acquisizionale e
linguistica tipologica. La pratica didattica deve infine prevedere momenti comuni di
progettazione e di realizzazione dei percorsi, affinché la didattica integrata, punto cardine
dell’educazione plurilingue non resti una parola priva di contenuto” (Curci, 2005: 8).
62
Come afferma il prof. Mantovani, nella conferenza tenutasi presso l’Università degli Studi di Macerata il 29.10.2009,
dal titolo “Problemi, metodi e teorie nella ricerca psico-sociale”, la consapevolezza delle scelte che l’insegnante per
primo opera è fondamentale.
36
1.4 Direttive europee per la formazione degli insegnanti di lingue
Numerose sono le ricerche, le dichiarazioni e le richieste della Commissione Europea63 affinché
venga ripensata la formazione degli insegnanti di lingue: “Within the Lisbon process, enhancing the
quality and effectiveness of education and training systems in Europe is one of the three main goals
to be achieved in the period up to 2010” (Directorate-General for Education and Culture, 2006: 3).
Nel Glossario dello “European Profile for Language teacher Education-A Frame of Reference”
(Kelly-Grenfell, 2004) alla voce ‘European Language Teacher’ leggiamo:
“A term used in several teacher and education programmes and developed by the first
Directorate-General for Education and Culture/University of Southampton project (2002). It
refers to a future category of teachers who think of themselves as ‘languages teachers’ rather
than single language teachers (e.g. ‘teacher of Polish’). ‘Languages teachers’ learn and teach
through the concept of plurilingualism, and emphasise pluricultural approaches to language
learning. Such teachers would receive specialist education in the European dimension and
values of language teaching, and would have a high degree of mobility throughout Europe”
(ibid.: 118).
La formazione degli insegnanti è diventata di primaria importanza dal momento che concorre alla
salvaguardia del plurilinguismo che caratterizza l’Europa: “Language teaching, learning and teacher
education help safeguard Europe’s plurilingual and pluricultural heritage” (ibid.: 10).
Il Dipartimento per l’Educazione e la Cultura ritiene che la qualità della formazione degli insegnanti
di lingue debba essere migliorata64, allo scopo di formare una categoria altamente professionale di
insegnanti europei di lingue. Anche nel Piano d’Azione 2004-2006 (Commissione delle Comunità
Europee, 2003) affiora il tema-problema della formazione insegnanti di lingue, ma anche delle altre
discipline e del loro aggiornamento continuo, iniziale e in itinere in quanto “Più degli insegnanti di
altre materie, infatti essi sono chiamati ad illustrare i valori europei di apertura agli altri, di
accettazione delle differenze e di volontà di comunicare” (ibid.: 10).
Byram (2008) afferma che gli insegnanti di lingue hanno una grande responsabilità, non solo a
livello didattico, ma educativo, dal momento che insegnano qualcosa che riguarda l’essere umano,
un aspetto che può avvicinare, ma anche separare le persone65. Purtroppo la scarsa o inadeguata
formazione iniziale o in itinere, mina tale professionalità : “Language teachers of all kinds are
under-prepared for this task because so much emphasis has been placed on technical matters of
selection of content, theory of learning, and options for ‘delivery’ of teaching through old and new
technologies” (ibid.: 17).
63
Tramite il Dipartimento per l’Educazione e la Cultura.
64
L’inchiesta svoltasi sotto il nome “The training of teachers of a foreign language: developments in Europe” è legata
all’ Action Plan II.3.2 il quale proponeva di identificare le capacità pedagogiche e linguistiche necessarie per gli
insegnanti di lingue oggi.
65
Per la definizione di cittadinanza, democratica, attiva e globale si veda Enfant, A., “L'éducation à la citoyenneté”
Veille scientifique et technologique, Dossier d'actualité n° 57, 2010 http://www.inrp.fr/vst–octobre
37
Nel 2004 è stato istituito un gruppo di esperti che ha tentato di sviluppare indicatori in grado di
misurare i progressi nella formazione degli insegnanti (cfr. Directorate-General for Education and
Culture, 2006: 3)66. Nel 2005/2006 il gruppo Eurydice67 ha effettuato uno studio comparativo sui
vari tipi di formazione degli insegnanti nei Paesi europei. Dal reportage finale è emerso che il
dibattito sulla formazione insegnanti è tutt’ora aperto in numerosi Paesi:
“Germany, Estonia, Italy, the United Kingdom (Wales) and Romania have recently completed
or are engaged in reforms to redefine the aims and content of initial or in-service teacher
education at central or regional level, and often also their qualification standards or the skills
that teachers should possess on the completion of training” (ibid.: 65).
In particolare, per quanto riguarda l’Italia, si faceva notare che il decreto per la formazione iniziale
degli insegnanti è stato approvato, ma sono ancora in corso di elaborazione il curricolo dei corsi e le
procedure di reclutamento legate a tale training iniziale (ibid.: 66). Le riflessioni emerse mostrano
come non sia importante solo la formazione degli insegnanti, ma anche il controllo periodico della
qualità dei corsi offerti: “The group has identified the development of systems for the evaluation
and accreditation of the initial and in-service education of teachers as one of the priorities involved
in improving teacher education” (ibid).
I partecipanti al sondaggio hanno affermato all’unisono la necessità di far riferimento alle linee
guida offerte dall’Europa, in primis al CARAP (Candelier et al., 2007) come documento
complementare al CEFR (2002) per implementare la formazione insegnanti: “CARAP is a tool
which can be proposed for national and regional curriculum changes. It provides a source for setting
learning objectives which can contribute to developing language education policies, especially those
in which there is a global integrated approach to languages. It can provide a framework for
innovation, for revising national teaching materials and for the design of new approaches to teacher
training” (cfr. Profile, 2009: 112). Sicuramente una versione più snella del documento è necessaria
per una fruizione più agevole dello stesso come indicato anche a conclusione del documento.
Nel gennaio 2008 il Consiglio dell’Unione Europa di Bruxelles si è occupato nuovamente dello
scottante tema della formazione insegnanti. Cavagnoli ne fornisce i punti chiave; riportiamo di
seguito quegli aspetti strettamente legati alla formazione insegnanti: revisione dei contenuti
d’insegnamento, miglioramento delle capacità di insegnamento, valutazione della qualità, aumento
degli investimenti (Cavagnoli-Passarella, 2011: 20). Non va dimenticato che ciò che la
Commissione Europea propone sono solo suggerimenti (cfr. il Processo di Lisbona 2005, e di
Bologna, 2004/2005), ma che ogni stato ha i propri metodi di formazione e controllo della qualità
dell’insegnamento.
66
Si veda anche la ‘European association for Quality Assurance in Higher Education’ ENQA, la quale ha stabilito
standard e linee guida per garantire la qualità nell’educazione superiore in Europa: http://www.enqa.net
67
Eurydice, nata nel 1980 per volere della Comunità Europea, è una rete istituzionale, ma indipendente che osserva,
analizza e pubblica dati utili a livello internazionale, ma anche locale, circa le politiche linguistiche e sistemi educativi
in Europa. In Italia escono il ‘Bollettino di Informazione Internazionale’ e i ‘Quaderni di Eurydice’.
38
Esistono documenti programmatici che forniscono linee guida dettagliate e approfondite utili per le
istituzioni, e per gli organizzatori di corsi di formazione per insegnanti68. Di seguito vengono presi
in esame quattro documenti. La scelta di analizzare tali elaborati è stata dettata da ragioni di
pertinenza all’argomento, vicinanza cronologica al tempo della presente ricerca/azione e utilità per
eventuali sviluppi pratici della ricerca in questione.
Nel 2004 è stato emanato a livello europeo lo “European Profile for Language Teacher Education-A
Frame of Reference” (Kelly-Grenfell). Come spiega la brochure che guida alla lettura del Profile69,
quest’ultimo nasce in seguito ad un’inchiesta sulla formazione degli insegnanti di lingue straniere
nei 32 paesi europei, “The training of teachers of a foreign language: developments in Europe” e
dalla conseguente necessità che ne è scaturita di condividere scopi e terminologia in quest’area. La
ricerca e la scrittura di tale documento si sono svolte fra febbraio e luglio dello stesso anno
all’Università di Southampton, in Inghilterra. Si tratta di una serie di proposte, non prescrittive,
contenute in un quadro di riferimento per gli addetti ai lavori − istituzioni educative e formatori di
insegnanti di lingue in Europa − per ri-definire la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti
di lingue straniere. Il Profile risulta utile per costruire o rimediare a programmi già esistenti: “One
way of thinking about the Profile is as a toolkit that allows institutions to improve the programmes
they offer. Another way is to see it as a set of building blocks that policy makers, teacher educators,
teachers and trainee teachers can assemble to support their provision of foreign language teacher
education” (Profile, 2004: 19). Va fatta una precisazione per quanto riguarda il lessico utilizzato nel
Profile: gli stessi autori fanno notare la loro preferenza per l’espressione teacher education, cioè
‘educazione degli insegnanti’, anziché teacher training, ‘formazione degli insegnanti’, per
evidenziare un processo di sviluppo della persona che va al di là dell’acquisizione di abilità: “The
term ‘teacher education’ is used throughout the Profile, instead of ‘teacher training’, to highlight a
process that goes beyond acquiring a set of skills and competences. ‘Teacher education’ puts
considerable emphasis on values and attitudes as well as theoretical understanding and practical
skills. It comprises both initial and in-service teacher education” (Profile: 123). Vengono stabiliti
dunque dei criteri volti a migliorare la qualità della formazione e di conseguenza
dell’apprendimento linguistico.
Il team che ha collaborato alla stesura del Profile ha esaminato in un primo momento il contesto
europeo attuale nonché le politiche linguistiche adottate in Europa finora, dimostrando la reale
necessità di un tale documento. In un secondo momento sono stati tracciati quaranta punti chiave
(Profile: 22-81), ovvero gli elementi necessari per un corso di formazione per insegnanti di lingue,
suddivisi in 4 sezioni: la struttura, le conoscenze di base, le strategie e abilità, e i valori che tale
insegnamento dovrebbe promuovere e difendere. Seguono undici esempi di buone pratiche. Il
Profile termina con un glossario dei termini chiave utilizzati, gli undici casi analizzati nel dettaglio
e linee guida alla qualità e alla metodologia utilizzata. Questo quadro di riferimento va inteso come
68
Esistono anche riviste, cartacee e online, di riferimento per la formazione insegnanti. Segnaliamo la rivista europea
“The European Journal of Teacher Education” (EJTE), la gazzetta ufficiale dell’associazione per l’Educazione
Insegnanti in Europa, ‘Association for Teacher Education in Europe, ATEE’. http://www.atee1.org/publications/journal.
69
Brochure esplicativa: http://www.lang.soton.ac.uk/profile/report/MainReport.pdf D’ora in Avanti ci si riferirà al
documento in questione con l’abbreviazione Profile, impiegata anche all’interno del documento stesso.
39
spunto da adattare ai vari stili europei di formazione70.
Per quanto riguarda l’Italia, la SSIS della Cà Foscari di Venezia è menzionata (cfr. Profile: 100)
come uno degli unici casi studiati dal team. A tal proposito viene fatto notare che in Italia è in atto
una riforma della scuola e del sistema di formazione e reclutamento insegnanti71, ma che la
situazione è molto tesa, dal momento che vi sono opinioni divergenti sui bisogni della scuola
italiana oggi, nonché problemi ad abbracciare le misure proposte a livello europeo:
“Many of the case study institutions are in a transitional phase, either as a result of convergence
with the Bologna Process, or through internal re-organisation of language teacher education.
Occasionally, as in Italy, there are concerns about the effects that Bologna-related reforms will
have on existing language teacher education provision. Attitudes to the Bologna Process vary,
with some institutions keen to adopt measures to conform with it, and others much less
responsive” (ibid.: 106).
Non solo la formazione iniziale è in parte sospesa per riforme, ma anche la formazione in servizio è
scarsa, non continua e purtroppo non obbligatoria. Sicuramente c’è molta disorganizzazione e poco
lavoro di squadra. Nel Profile viene evidenziato che la formazione in Italia è: “often noncompulsory; unsystematically organized through a mixture of public and private institutions; often
reliant on the contributions of particular individuals at a teacher education institution being willing
to promote and encourage it for their trainee teachers” (ibid.: 105)72.
Tuttavia viene espressa, da parte del team italiano, la volontà di aggiornare i corsi di formazione
iniziale e continua per insegnanti, e si accenna all’impegno preso dallo Stato in tale direzione.
Di seguito sono evidenziati alcuni concetti interessanti, estrapolati dal Profile o che prendono
spunto da esso, che potrebbero risultare utili per programmare eventuali corsi di formazione per
insegnanti o per lo meno per far riflettere gli addetti ai lavori:
-è necessario incentrare la formazione non solo sugli insegnanti, ma anche sugli apprendenti
ipotetici, dal momento che la didattica a scuola si baserà fondamentalmente su un ‘patto formativo’
con i ragazzi;
-gli insegnamenti nei corsi di formazione devono essere legati strettamente alla pratica scolastica e
non fini a se stessi e/o tratti da riassunti di corsi monografici dei docenti universitari (ibid.: 60);
-si può lavorare per moduli, al fine, ad esempio, di approfondire un aspetto su cui i docenti sono
carenti, e non ricominciare tutti i corsi da principio (es. per quanto riguarda la storia della
letteratura) in tal modo i docenti si possono specializzare in un settore (ibid.: 24);
-va concretizzata la dimensione europea73: c’è molto entusiasmo per l’aspetto internazionale che sta
assumendo l’educazione linguistica, ma ancora poca coscienza di cosa ciò significhi tradotto nella
70
Esistono versioni tradotte e commentate del Profile in italiano. Si vedano l’opera di Pierangela Diadori (2009) e
Bosisio (2011).
71
Il documento è del 2004, ma non si allontana troppo dalla situazione attuale italiana, dal momento che la Riforma
Gelmini (D.M. 249/2010) è entrata in vigore solo nel febbraio 2011 e sono ancora necessari mesi per organizzare corsi
di formazione per insegnanti.
72
Un’altra precisazione va fatta in merito alla terminologia utilizzata nel Profile: trainee teachers sono gli insegnanti in
formazione iniziale e in servizio, teacher educators sono i formatori di insegnanti, supervisor è il tutor che segue i
trainee e i mentors, coordinando le attività fra università e scuola, e mentors sono quegli insegnanti di classe con
esperienza che si prestano a seguire la formazione dei trainee in classe, nella pratica come tutor di classe.
73
Alcune di tali definizioni sono anche presenti e ben spiegate nel glossario, molto utile, collocato nella V parte del
Profile:115-124.
40
pratica. Si potrebbe cominciare dall’osservazione delle buone pratiche di formazione insegnanti
presso altre istituzioni educative europee, senza per questo dover seguire pedissequamente quanto
fatto, bensì prendendo spunto e traducendo tali pratiche nella realtà dell’hic et nunc (ibid.: 105);
-bisogna sensibilizzare alle culture: il termine ‘culture’ viene spesso menzionato nel documento,
come processo continuo di apprendimento e insegnamento da parte degli insegnanti, i quali
dovrebbero mostrarsi permeabili a tali tematiche e a mettersi in gioco in maniera critica (ibid.: 123);
-bisogna ottenere dai tutor di classe un feedback più sostanzioso di una semplice scheda con griglia
a punti;
-ci vuole partecipazione più attiva al tutoraggio in classe;
-sarebbe opportuno incentivare anche con remunerazioni coloro che svolgono il ruolo di tutor
d’aula (mentors nel Profile), i quali dovranno essere formati adeguatamente;
-la formazione in servizio, parimenti, va considerata a livello di qualifica, ma anche monetariamente
(ibid.: 39,10 e 68, 27);
-va fatta esperienza di ambienti interculturali74, ad esempio prevedendo un periodo all’estero
obbligatorio per lo meno per la formazione degli insegnanti (ibid., punti 5 e 7) finanziato, ad
esempio, da progetti europei. In alternativa va fatta esperienza in classi multiculturali, sempre più
numerose in Italia (ibid.: 34)75;
-vanno previste ore di riflessione anche sulla propria lingua ‘madre’ (cfr. PEL: 36) nell’eventualità
di insegnarla come L2, o per operare confronti fra lingue;
-vanno formati insegnanti e docenti universitari ad essere bravi formatori a loro volta (ibid.: 41, 11);
-vanno istituiti laboratori in comune con insegnanti di altre lingue all’interno dei corsi preparatori,
al fine di abituare per lo meno gli insegnanti di lingue alla collaborazione e alla condivisione di
parte del sillabo scolastico (ibid.: 44, 13)76;
-va prestata più attenzione alla lingua non prettamente colta, letteraria, ad appannaggio dei soli licei,
se non con vere e proprie lezioni di microlingua, per lo meno con lezioni di introduzione a codici
‘altri’ all’interno della stessa lingua inglese e applicando un generale approccio comparativo alle
varietà linguistiche in gioco;
-si presuppone l’adeguamento ai ragazzi con disabilità (ibid.: 60)77;
-gli insegnanti in primis sono chiamati a fare ricerca/azione (ibid.: 74, 31) 78;
-CLIL: anche se dovesse partire il CLIL nelle scuole a livello sperimentale, o non fosse ancora
organizzato, è utile che i futuri insegnanti si formino a tale riguardo. Il Profile suggerisce che
soprattutto i docenti in servizio dovrebbero beneficiare di tale approccio, dal momento che
74
Il Profile adopera entrambi i termini intercultural e multicultural, distinguendo però nel Glossario fra i due significati
(Profile: 31 e Glossario).
75
Va fatto un appunto per quanto riguarda il punto 7: “a period of work or study in a country or countries where the
trainee’s foreign language is spoken as native”(corsivo mio): in realtà non risulta necessario, per quanto riguarda
l’inglese, che il Paese ospitante sia di ‘madrelingua inglese’. Anche la Riforma Gelmini (D.M. 249/2010) prevede
questo aspetto, sicuramente da ricalibrare.
76
La SSIS Marche, ad esempio, prevedeva alcuni laboratori in comune per i futuri insegnanti di inglese e tedesco,
ovvero lingue germaniche, quali ad esempio la costruzione di percorsi interdisciplinari, CLIL e utilizzo dei TIC.
L’esperimento, a mio avviso riuscito, purtroppo è stato limitato a certi insegnamenti e pochi laboratori. Poteva, inoltre,
essere esteso anche alla classe di concorso della lingua francese.
77
Tale punto è presente anche nella riforma Gelmini, in cui tutti i professori sono tenuti a svolgere delle ore di
formazione per la disabilità (D.M. 249/2010).
78
Si vedano anche Montuschi, (2005) e Mortari (2009) il quale afferma: “[...] si supera finalmente il preconcetto
secondo cui la pratica educativa sia il semplice campo di applicazione di teorie elaborate altrove, ma si sottolinea la
necessità di ‘coltivare un pensare radicato nella pratica’” (112)
41
potrebbero più facilmente attuarlo sul posto di lavoro (ibid.: 77, 33. Cfr. D.M. 249/2010: 67, 14 e
MIUR, 24-12-2011);
-l’insegnamento delle lingue veicola valori culturali e sociali, non solo della lingua target, ma di
cittadinanza, valori condivisi da tutti: gli insegnanti devono essere consci (aware) del loro ruolo di
mediatori culturali; (ibid.: 81, 35 e 86, 38; cfr. Byram, 2008; D.M. 249/2010; Pochettino-Berruti,
2003);
-cruciale l’aspetto del “training in the diversity of languages and cultures” (Profile, 82, 36), in cui si
fa riferimento esplicito all’inglese: “Trainee teachers see the importance of maintaining linguistic
diversity in Europe, given the growing trend towards English as a global lingua franca” (ibid.).
Educare gli insegnanti a veicolare il messaggio per cui tutte le lingue hanno valore intrinseco e a
promuovere il plurilinguismo. Vanno evidenziati il rapporto lingua/e-cultura/e e tale complessità
insita nella nostra società plurale oggi, evidenziando altresì che l’apprendimento linguistico va oltre
l’acquisizione di competenze tecniche linguistiche (ibid.: 84, 37);
-va posto l’accento anche sul background linguistico-culturale degli apprendenti a scuola (cfr. cap.
3);
-LLL: trasmettere l’importanza dell’apprendimento durante tutto l’arco della vita, sia per gli
insegnanti che per i loro studenti (ibid.: 89, 40).
Nel 2007 il Centro Europeo per le Lingue Moderne (ECML)79 ha pubblicato il CARAP, acronimo
francese per Framework of reference for pluralistic approaches to languages and cultures
(Candelier et al., 2007), ovvero un quadro di riferimento per approcci plurali alle lingue-culture. Si
tratta di approcci didattici che coinvolgono varie lingue e culture, in contrasto con l’abitudine,
soprattutto a scuola, a considerare una lingua, corredata della sua cultura come isolata dalle altre
lingue-culture (cfr. CARAP: 7). Il CARAP tenta di superare la compartimentalizzazione, per godere
dei vantaggi che si traggono nello studiare più lingue in sinergia, seguendo l’obiettivo del Consiglio
d’Europa di lavorare per valorizzare la diversità linguistica e preservare la coesione sociale in
Europa. Come afferma il CEFR riguardo la competenza plurilingue e pluriculturale, “[this
competence is not] a collection of distinct and separate competences” [but] a plurilingual and
pluricultural competence encompassing the full range of the languages available to him/her” (ibid.:
8-9).
Tale documento mostra quattro approcci pluralistici: “intercultural approach” (approccio
interculturale); “awakeining to languages” (in francese éveil aux langues), ovvero la
sensibilizzazione alla relatività linguistico-culturale nell’apprendimento precoce, nel contatto e nella
riflessione con le lingue in età infantile, lavorando su atteggiamenti (come apertura, dati
difficilmente quantificabili) e attitudini (più facile da osservare); “inter-comprehension of related
languages”, ovvero l’inter-comprensione, che significa capirsi parlando lingue diverse appartenenti
alla stessa famiglia senza bisogno di lingue ponte80; “integrated didactic approaches to different
79
European Centre for Modern Languages (ECML) del Consiglio d’Europa, lavora dal 1995 per la promozione di
approcci innovativi e per disseminare buone pratiche nell’educazione linguistica negli stati dell’Unione.
80
Evitando le lingue ponte si amplia il proprio repertorio linguistico, perché si impara a comprendere, lasciando e
avendo la possibilità di pronunciare enunciati più profondi nella propria lingua. L’intercomprensione porta con sé anche
benefici economici sul lungo termine perché facilita la comunicazione fra lingue vicine. Esercizi di intercomprensine
sono ad esempio quelli di analogia, somiglianza, comparazione, contrapposizione, ecc.
42
languages studied”, ovvero integrare le competenze in una lingua per apprenderne un’altra, per
approcciarsi ad altre discipline (CLIL) nel e oltre il curricolo scolastico.
L’ ECML lamenta una mancanza di linee guida nell’insegnamento: “The lack of a set of descriptors
is a serious handicap to the teaching and learning of languages and cultures in a domain which is a
key aspect of any didactic approach to the achievement of the goals and objectives set by the
Council of Europe” (CARAP: 11). Vengono supportati gli insegnanti già coinvolti nell’innovazione
e vengono incoraggiati gli altri a fare altrettanto (cfr. CARAP: 12).La lista di risorse fornita è intesa
dunque come un contributo che, insieme alla pratica dell’insegnamento, contribuisce allo sviluppo
di tali competenze (ibid.: 16).
Un altro strumento utile alla formazione dei futuri insegnanti di lingue, promosso a livello
sovranazionale e degno di esser menzionato, è il PEFIL, ovvero il Portfolio Europeo per la
Formazione iniziale degli insegnanti di lingue: uno strumento di riflesisone (ed. or. Newbie et al.,
EPOSTL, 2007)81, grazie al quale gli student-teachers (termine impiegato nel documento per
riferirsi agli insegnanti in formazione) possono riflettere sul proprio percorso, valutare le proprie
competenze, prender nota degli eventi a loro avviso importanti nel proprio tirocinio. Il PEFIL si
occupa di competenze didattiche, non linguistiche. Questo è diviso fondamentalmente in 3 macroaree in cui inserire: le riflessioni personali, l’autovalutazione e un dossier per contenere esempi
eclatanti e documenti del proprio operato fino a quel momento. I descrittori per l’autovalutazione
sono divisi in sette aree82, in cui ogni futuro insegnante dovrebbe maturare conoscenze e
competenze: il contesto, la metodologia, le risorse, la progettazione, la realizzazione didattica,
l’apprendimento autonomo, la valutazione degli apprendimenti.
Il PEFIL stesso sottolinea come il contesto in cui versano gli insegnanti, con i suoi limiti
istituzionali, sia un elemento da considerare quando si costruisce un curricolo scolastico: “Il
contesto è di solito predeterminato dalle esigenze dei curricoli nazionali o locali. Tuttavia possono
anche esistere delle raccomandazioni e dei documenti internazionali da prendere in considerazione.
I limiti istituzionali sono un altro fattore da tenere presente [...]” (ibid.: 13).
Alcuni elementi salienti contenuti nel documento sono:
-l’Introduzione del Portfolio, in cui possono essere annotate riflessioni personali, e in cui il futuro
insegnante può riconsiderare il percorso effettuato fino a quel momento, le motivazioni per
intraprendere una tale strada, il proprio curricolo, le proprie aspettative nei confronti della
professione futura;
-alla voce ‘metodologia’, al punto G (Pefil: 20), è indicata la “cultura”, non tanto come conoscenza,
quanto come sviluppo di competenze socio-culturali, confronto fra culture, individuazione di
stereotipi e di relazioni fra lingua e cultura (cfr. paragrafo 1.2 della presente tesi);
-viene suggerito come valutare le competenze culturali degli student-teachers (ibid.: 32 e 42);
81
La stesura del documento è stata curata dall’ECML, ovvero “The European Centre for Modern Languages”, con sede
a Graz, è un “Accordo parziale allargato” del Consiglio d’Europa, cui aderiscono 33 paesi. Tale gruppo promuove la
diversità linguistica e culturale e favorisce il plurilinguismo e il pluriculturalismo in Europa. Le attività che svolge sono
complementari a quelle svolte dalla Divisione per la Politica Linguistica del Consiglio d’Europa.
82
Secondo Cognigni-Vecchi (2011: 2) griglie e tabelle scoraggiano un’educazione al plurilinguismo-pluriculturalismo
in senso più ecologco, focalizzando soprattutto sulla padronanza linguistica. A loro avviso anche il Pefil sottoliea
l’importanza di un tale scopo, ma non convoglia verso lo sviluppo di una tale competenza
43
-nel glossario, alla voce “socioculturale/socio cultura/socio-culturel” si dice: “Si riferisce ad azioni,
attività, comportamenti, atteggiamenti, valori e norme che mettono in relazione la lingua con
specifiche comunità, come manifestazione e riflesso della particolare cultura (o particolari culture)
a cui si riferiscono)” (ibid.: 46).
Viene illustrato in sintesi un altro documento prodotto dall’ ECML, Plurilingual and pluricultural
awareness in language teacher education- A training kit (Bernaus et al., 2007) indirizzato
principalmente ai formatori di insegnanti. Attraverso tale documento83 si incoraggiano i formatori
ad intraprendere un viaggio alla ‘scoperta’ delle lingue84:
“What makes it different from similar thematic projects is the focus on language teacher
educators as the main addressees/target group and the focus on adequate training and raising of
awareness, serving to exemplify how to introduce plurilingual and pluricultural dimensions into
a language learning institution” (ibid.: 7).
In linea sia con il CARAP che con il CEFR, lo scopo non è quello di raggiungere i massimi risultati
in una sola lingua target ma di sviluppare competenze utili per l’esperienza di più lingue-culture in
interazione. Le tematiche affrontate ruotano attorno a: lingua, cultura, comunicazione, identità,
diversità, competenza plurilingue e pluriculturale. L’elaborato si apre con una spiegazione di
termini quali pluri-multi-inter-culturalismo, l’approccio alle lingue-culture, la formazione al ‘pluri’,
la dimensione personale e professionale delle lingue. Di seguito sono fornite le quattro ipotesi di
itinerari di formazione linguistico-culturale: “Exploring identity”(ibid.: 20), in cui l’insegnante
prova a tracciare la propria biografia linguistico-professionale e si interroga sul perché di tale scelta;
“Learning about languages and cultures”(ibid.: 27), è un’attività per aprirsi all’apprezzamento delle
lingue, all’inferenza di significato, alla scoperta di somiglianze e differenze, al riconoscimento delle
lingue, stimolando la curiosità; “Dealing with intercultural and plurilingual communication”(ibid.
44): attraverso questo percorso sono messe alla prova nove abilità utili per la comunicazione
interculturale - si riflette sul termine di cultura, su chi la trasmette, gli stereotipi ad esse collegati, e
vengono proposte attività che potrebbero migliorare la comunicazione interculturale. Infine,
“Exploring attitudes towards languages and cultures”(ibid., 54), comprende atività di riflessione sui
propri atteggiamenti verso le altre lingue, su come si potrebbero influenzare gli studenti, e in
maniera propositiva, vengono dati spunti per motivare gli studenti ad atteggiamenti di apertura
verso l’altro, motivandoli allo studio delle lingue.
Il documento è correlato di una lista dei contenuti del CD-Rom che propone a sua volta attività
pratiche85; si trovano altresì informazioni sul questionario della pre-indagine per gli insegnanti in
formazione e in servizio sul plurilinguismo e sul pluriculturalismo, e la bibliografia.
Secondo l’ECML un radicale ripensamento della formazione alle lingue è necesario per rispecchiare
la realtà linguistico-culturale che si vive oggi in Europa e nel mondo, in un’era di effettivo
multiculturalismo e di mobilità insito nell’identità delle nazioni e delle persone: “[...] Indeed that is
83
Disponibile in forma cartacea all’indirizzo http://archive.ecml.at/mtp2/publications/B2_LEA_E_internet.pdf. Il CD
Rom con le attività pratiche va acquistato.
84
Si veda uno dei 4 punti del CARAP, ‘éveil au langage’
85
Sono state elaborate 30 attività da un team di partecipanti provenienti da Paesi diversi. Nel documento pdf sono
illustrate solamente alcune di esse ad esempio. Le altre si trovano nel CDRom. Si tratta di esercizi di riflessione e di
prova affinchè i formatori possano poi proporre e rimaneggiare con i trainee le proprie attività.
44
what language education is all about: making languages a means of communication in the sense of a
mode of openness and access to otherness: linguistic otherness, cultural otherness and otherness of
identity” (ibid., 10).
L’educazione degli insegnanti di lingue è un processo che dura tutta la vita86, e va supportato anche
dall’esterno, da tutti quei contesti non istituzionalizzati, ma altrettanto utili87.
L’insegnamento è un processo di messa in questione continua delle proprie pratiche didattiche e di
costruzione-decostruzione-ricostruzione permanente, dal momento che le teorie impiegate sono
sempre parziali (Galisson-Puren, 1999: 58) 88.
A tale proposito Lévy parla di “rischiare di cambiare” (2001: 62): a suo avviso gli insegnanti
devono mantenere innanzitutto un atteggiamento di costante ricerca, dal momento che il percorso di
ricerca-didattica è un percorso “ [...] reversibile ed eternamente provvisorio” (ibid.). E continua
affermando che gli insegnanti dovrebbero essere in grado di “produrre soluzioni e materiali didattici
puntuali e allo stesso tempo estendibili ad altre situazioni” (ibid.)89.
1.5 La situazione in Italia
“Lo stato di emergenza è anche sempre uno stato in cui si emerge”
(H. Bhabha)90
Tullio De Mauro, nel lontano 1975, stilò un documento ancora oggi attuale e valido, le “Dieci tesi
per l’educazione linguistica democratica” (De Mauro, 1993)91. Le critiche mosse da De Mauro alla
pedagogia linguistica nelle scuole italiane sono tristemente attualizzabili ancora oggi, dopo più di
86
Si fa qui riferimento all’imperativo delle direttive europee del Lifelong learning (LLL), ovvero dell’apprendimento
lungo tutto l’arco della vita per una società della conoscenza.
87
Ad esempio, la formazione in rete e la formazione in servizio, soprattutto ad opera di associazioni professionali di
insegnanti, oltre che degli IRRE, che si adoperano per la formazione docenti. Esistono associazioni, quali il LEND,
Lingua E Nuova Didattica, che raccoglie insegnanti di tutti gli ordini di scuola, che si impegnano al rinnovamento della
didattica di tutte le lingue, anche di quella materna; l’ ANILS, Associazione Nazionale di Insegnanti di Lingue
Straniere e tante altre. Certe associazioni, poi, si focalizzano su una lingua in particolare, come ad esempio il TESOLItaly, Teachers of English to Speakers of Other Languages, divulga ricerche e proposte didattiche a sostegno dello
sviluppo professionale degli insegnanti di inglese.
88
Galisson e Puren (1999) si pongono alcune domande cruciali sulla formazione docenti e sull’insegnamento in
generale: “Comment enseigner pour faire apprendre?”; “Quelle place accorder à la reflexion sur la langue?”;
“Comment evaluer l’enseignement culturel?” e “Quel lexique enseigner?” (ibid.: 6).
89
Ecco perché il capitolo V della presente ricerca vuole essere un ‘Proposta’ formativa, e non anela ad essere un
regolamento, né un metodo d’insegnamento da imporre agli insegnanti.
90
Bollettieri Bosinelli-Di Giovanni, 2009: 224 con rif. a Bhabha, 2001: 63
91
Le Dieci tesi in questa redazione sono un testo collettivo preparato dai soci del GISCEL nell'inverno e primavera del
1975 e definitivamente approvato in una riunione tenutasi alla Casa della Cultura di Roma il 26 aprile 1975. Il Giscel,
Gruppi di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica, costituitosi nel 1973, è un gruppo di intellettuali,
studiosi di linguistica, insegnanti, psicolinguisti e sociolinguisti, interessati agli studi di teoria e descrizione dei fenomeni
linguistici e alla pratica educativa nel settore dell'educazione linguistica. Fra questi emerge la figura di De Mauro come
portavoce. Il gruppo intende definire i presupposti teorici basilari e le linee d'intervento dell'educazione linguistica,
proponendole all'attenzione degli studiosi e degli insegnanti italiani e di tutte le forze che, oggi, in Italia, lavorano per una
scuola democratica. Dunque, se i dieci principi proposti riguardavano principalmente lo studio della lingua italiana, tali
principi sono applicabili a tutte le lingue-culture in generale e a tutti gli ordini di scuola.
45
35 anni. Ma come è possibile se l’educazione linguistica in realtà è nata in seno all’Italia, dunque è
un concetto MADE in Italy92, promosso ‘profeticamente’ già alla fine degli anni Sessanta?
Lévy fa notare come il verbo inglese “made” significhi fatto, nel senso di prodotto concretamente in
Italia, dunque sia il disegno, sia la sua produzione concreta DOVREBBERO teoricamente avvenire
sul suolo italiano. La realtà è che l’Italia per ragioni socio-politiche ed economiche non ha permesso
a politica, educazione e formazione linguistico-culturale di procedere di pari passo, o per lo meno,
ai grandi ideali non è seguita la pratica. Ecco perché l’Italia ha bisogno dell’Europa, per
metabolizzare, far conoscere, attuare tali idee, e farle applicare poi in Italia. Gli stessi italiani
stentano a riconoscere tale merito all’Italia, pensando che concetti quali plurilinguismo, intercultura,
cittadinanza, educazione linguistica, promanino dall’Europa93.
Nei precetti di De Mauro si parlava già di autoriflessione, di legame fra lingua e competenza
comunicativa, di rispetto e negoziazione fra culture, di diritti linguistici; in particolare si ricorda
l’art.3 della Costituzione, in cui si riconosce l'eguaglianza di tutti i cittadini “senza distinzioni di
lingua” (De Mauro, 1993: 2, IV). Si lamenta, d’altro canto, il fatto che la pedagogia linguistica
tradizionale consideri le discipline, e le lingue studiate, per compartimenti stagni, quando, al
contrario, tutti gli insegnanti devono concorrere allo sviluppo linguistico degli studenti (ibid.: 3, VII
A. cfr. paragrafo 1.4 della presente tesi).
De Mauro si esprime anche in merito alla formazione dei docenti. A tal proposito vale la pena
citare il IX precetto, ‘Per un nuovo curriculum per gli insegnanti’:
“[...] in vecchie prospettive [...] si trattava di controllare soltanto il grado di imitazione e di
capacità ripetitiva di certe norme e regole cristallizzate, potevano contentarsi di una conoscenza
sommaria di tali norme (regole ortografiche, regole del libro di grammatica usato dai ragazzi) e
di molto (e sempre prezioso) buon senso, che riscattava tanti difetti delle metodologie [...]. In
una prospettiva futura e ottimale che preveda la formazione di insegnanti attraverso un
curriculum universitario e post-universitario adeguato alle esigenze di una società democratica,
nel bagaglio dei futuri docenti dovranno entrare competenze finora considerate riservate agli
specialisti e staccate l'una dall'altra. Si tratterà allora di integrare94 nella loro complessiva
formazione competenze sul linguaggio e le lingue [...] e competenze sui processi educativi e le
tecniche didattiche. L'obiettivo ultimo, per questa parte, è quello di dare agli insegnanti una
consapevolezza critica e creativa delle esigenze che la vita scolastica pone e degli strumenti con
cui a esse rispondere” (ibid.: 6).
In conclusione si auspica un interessamento da parte delle istituzioni nei confronti dell’educazione
linguistica democratica.
Le premesse erano buone (cfr. Costanzo, 2003: 15). Allora cosa non ha funzionato? Cosa si è fatto
effettivamente in Italia per l’educazione linguistica? Poco; nonostante le direttive del Consiglio
d’Europa e tante ricerche all’avanguardia, ciò non si traduce il più delle volte nella pratica. Si punta,
di fatto, su poche lingue prestigiose, fra cui l’inglese (cfr. par. 1.1) e spesso tali lingue sono
insegnate per scopi pratici. Per fare un esempio, la stessa lingua inglese, studiata a scuola per una
92
Appunti tratti dalla lezione dottorale tenuta dalla Prof.ssa Lévy il 17. 05.2011 dal titolo: “L’Educazione linguistica:un
concetto made in Italy?” presso il dipartimento di Mutamento Sociale, UNIMC.
93
Indicativo come Lévy nella sua lezione sia partita dalla situazione italiana per poi allargarsi a quella europea,
compiendo lo stesso movimento di uscita e di rientro successivo delle tesi e dei precetti del Giscel da e verso l’Italia.
94
Parti in corsivo della sottoscritta per evidenziare i punti salienti della questione
46
media di tredici anni non è approfondita come si dovrebbe, non è menzionata la varietà linguisticaculturale al suo interno né i rapporti che essa intrattiene con le altre lingue-culture, né tanto meno il
posto che occupa nel patrimonio linguistico di ciascun apprendente (cfr. dati cap. III della presente
tesi).
Vi sono isole felici di realtà scolastiche italiane in cui si lavora per un genuino potenziamento
linguistico plurilingue, ma al contempo sono in atto riforme che remano in direzione opposta,
mirando al potenziamento di una sola lingua straniera, l’inglese95.
Nella rivista LEND del febbraio 2009, è inserita una copia della lettera inviata a vari ambasciatori
europei, che porta come oggetto “l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola italiana”
(LEND 1, 2009: 61-62). Fra i vari punti evidenziati, al primo posto viene contestato
“l’insegnamento della sola lingua inglese [...] per ben 13 anni!” (ibid.), dal momento che le
politiche scolastiche italiane non si ispirano veramente ai principi dell’Europa. Per quanto riguarda
la formazione degli insegnanti, la riforma attuale in corso in Italia (D.M. 249/2010) è ancora molto
giovane, per cui bisognerà aspettare per vederne gli effetti, tuttavia si rintracciano già alcune falle
(cfr. par. 1.4 della presente tesi).
Secondo Costanzo due elementi fondamentali hanno minato la riuscita dell’educazione linguistica in
Italia: l’organizzazione scolastica e la formazione degli insegnanti.
In una intervista a Minardi (Tillier: 12) quando le si chiede quali siano le priorità del LEND nei
confronti degli insegnanti, risponde: “La priorité est leur formation. Nous avons à combler un
manque criant à l’heure actuelle. Ce sont surtout les groups locaux du Lend qui assurent ces
formations, le plus souvent plurilingues, d’autres fois consacrées à telle ou telle langue en
particulier” (ibid.) 96.
Inoltre, essendo l’educazione linguistica per sua natura interdisciplinare, non trova un terreno fertile
nel rigido orario scolastico compartimentalizzato per materie. Inoltre la stessa formazione dei futuri
docenti, fin dalle università, è stato da sempre diviso al suo interno, e nel caso delle lingue, poca
attenzione è stata data a tematiche che esulassero dalla lingua in senso stretto o dalla letteratura. Vi
sono resistenze da parte degli insegnanti a cambiare atteggiamento, a cambiar rotta, a ri-formarsi.
Ci vuole rimedi-azione, sicuramente. Senza cancellare tutto l’operato bensì rivedendo, riciclando, o
proponendo nuove prospettive ove necessario, ispirandosi ai grandi imperativi dell’Unione.
Sicuramente il CEFR, il PEFIL, l’ELP (European Language Portfolio), il CARAP e il Profile sono
strumenti di riferimento per la formazione del docente di lingue, nonché spunti per la riflessione e
suggerimenti per la didattica.
95
Si veda il Progetto lingue 2000, in cui si afferma che l’'acquisizione di almeno due lingue comunitarie oltre la propria
per ogni "cittadino europeo" è essenziale per il successo dell'Europa. Nello stesso Progetto Lingue 2000 però si afferma
anche che: “Il ruolo della lingua inglese […] indica alla scuola una scelta prioritaria […] l'offerta dell'Inglese deve
essere generalizzata”. Si veda anche la riforma Moratti (2003) che, se da un lato fa obbligo di inserire
curricularmenteuna seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado, dall’altra rende obbligatorio
solamente lo studio della lingua inglese nella primaria. Si veda anche la promozione dell’inglese potenziato’ nelle
scuole secondarie di primo grado con la riforma Gelmini (D.M. 249/2010), secondo cui gli studenti delle scuole medie
possono scegliere di seguire due ore d’inglese in più a settimana, rinunciando alla seconda lingua comunitaria.
96
Le case editrici, le aziende formative e le associazioni esterne hanno cercato di supplire alla mancanza di formazione
da parte dello stato per molti anni.
47
1.5.1 Le SSIS e l’attuale formazione degli insegnanti nella Riforma Gelmini97
L’educazione degli insegnanti in Italia ha visto numerosi cambiamenti a partire dal 1968 (cfr.
Quartapelle-Minardi, 2003). Se prima di questa data gli insegnanti venivano selezionati attraverso
esami che miravano a valutare le loro conoscenze della lingua e della letteratura target, seguendo
l’idea che ‘sapere’ significasse automaticamente ‘saper insegnare’, la rivoluzione educativa degli
anni ’70 ha portato alla ribalta questioni di didattica e pedagogia. Vengono indetti corsi di
formazione prima e dopo il reclutamento a scuola e nel 1998 finalmente escono le nuove direttive
MIUR (D.M. MURST-MPI, 1998): si attivano corsi di laurea in ‘Scienze della Formazione
Primaria’ per gli aspiranti insegnanti delle scuole primarie e le SSIS ovvero ‘Scuole di
Specializzazione all’Insegnamento Secondario’, per gli aspiranti alla secondaria, al fine di garantire
una strutturata preparazione professionale. La formazione, dunque, viene affidata all’Università.
Si riporta di seguito una tabella ‘comparazione fra corsi SSIS (D.M. 3/1998) e nuovi corsi di
formazione (D.M 249/2010)’ con un confronto in sintesi a livello organizzativo e di curriculum fra
le SSIS attivate dal 1999 al 2009 e i nuovi corsi di formazione iniziale per la Secondaria, di cui si
parla nella Riforma Gelmini:
Il percorso di formazione iniziale SSIS L’attuale decreto per la formazione dei futuri
prevedeva:
insegnanti della Secondaria prevede:
-Accesso da qualunque laurea quadriennale, -Accesso con laurea triennale
quinquennale di vecchio ordinamento, o
3+2, con nuovo ordinamento
-Prova d’accesso scritta e orale
-Prova d’accesso scritta e orale
-Durata: due anni
-Durata: due anni
-300 h Tirocinio Diretto e Indiretto durante i -475 h in un anno di Tirocinio Formativo Attivo
due anni
(TFA) nel secondo anno
-Un eventuale anno supplementare per -La formazione al sostegno è obbligatoria per tutte
l’abilitazione al sostegno
le discipline (con ulteriore specializzazione, per chi
vuole,
successivamente)
-Insegnamenti: di area comune (Psicologia, -Insegnamenti: Laboratori pedagogico/didattici e
Pedagogia, Didattica,...) e Insegnamenti di Insegnamenti di didattica specifici per ogni
didattica specifici per ogni disciplina
disciplina.
-Tutti gli iscritti a questo nuovo percorso di
formazione dovranno possedere:
.competenze linguistiche di Inglese (livello B2 del
Quadro di Riferimento Europeo)
97
Nel novembre 2011 è caduto il governo Berlusconi. Nel nuovo Governo Tecnico con Presidente del Consiglio il
Ministro Monti, il professor Profumo è stato nominato Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. La
Riforma Gelmini è già legge, dunque il nuovo Ministro è incaricato di integrare tale riforma scolastica.
48
.competenze digitali;
.competenze per l'integrazione di alunni con
disabilità.
-E’ previsto un corso di perfezionamento per
l'Insegnante CLIL (insegnamento di una
disciplina non linguistica) cui è richiesto il
superamento della prova linguistica nella lingua
straniera (livello C1 del CEFR).
Tabella 1: Comparazione fra gli ex-corsi SSIS (D.M 3/1998) e i nuovi corsi di formazione (D.M.
249/2010).
Il presente decreto aveva suscitato polemiche già durante i lavori di stesura dello stesso, e la sua
entrata in vigore non ha fatto che acuire tali critiche. Sicuramente sono necessarie ulteriori direttive
per rendere operativa tale norma da parte degli atenei.
L’Italia vive oggi un periodo di “transizione” dal momento che l’attivazione di percorsi di
formazione da parte degli atenei richiede tempi di organizzazione più ampi.
Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) propone che sia considerato prioritario l’avvio dei
lavori per quanto riguarda le Lauree di Scienze della Formazione Primaria e l’avvio del TFA per la
secondaria. Richiede inoltre − e desidero riportare questo punto della mozione per intero,
evidenziando i punti a mio avviso cruciali:
“che siano previsti opportuni tempi per l’istituzione delle Lauree Magistrali per l’insegnamento
nella scuola secondaria di primo grado, che consentano la necessaria programmazione e il
necessario coordinamento nazionale e regionale; che l’attivazione delle suddette Lauree
Magistrali per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado sia programmata in tempi
adeguati a garantirne una realizzazione ottimale, normando opportunamente la fase transitoria;
che siano definite al più presto le classi o i curricoli delle Lauree Magistrali per l’insegnamento
nella scuola secondaria di secondo grado” (MIUR, 11/3/2011).
Il Ministero della Pubblica Istruzione ipotizzava dunque che da settembre 2011 potessero partire i
nuovi corsi di Laurea in Scienze della Formazione e il Tirocinio Formativo Attivo per la secondaria
– operazione che, invece, sta richiedendo maggiore tempo di quello previsto − mentre per quanto
riguarda le lauree magistrali sarà necessario ancora più tempo per articolare i corsi.
1.5.2 Alcuni esempi dalle ex SSIS d’Italia
Sono stati analizzati ai fini di questa ricerca gli elenchi degli insegnamenti − di didattica e di
laboratorio − di alcune ex-SSIS d’Italia, estrapolando eventuali riferimenti all’educazione
plurilingue e interculturale, a documenti europei per l’educazione linguistica, e nello specifico alle
varietà dell’inglese in contesto plurilingue. Si è cercato di analizzare l’offerta formativa delle SSIS
del nord, del centro e del sud d’Italia, privilegiando gli ultimi cicli (VII, VIII e IX), selezionando
solo quegli insegnamenti pertinenti alla presente ricerca.
Di seguito i pochi dati ancora accessibili dalla rete tratti dai siti di alcune università italiane:
49
SSIS Veneto98:
.pedagogia sociale e interculturale (contenuti: formazione nella differenza, scuola dell’intercultura;
metodi e tensioni interdisciplinari per l’integrazione; strategie d’intervento e crocevia culturali: diari
e narrazioni ai confini del mondo; auto-narrazioni, storie di vita e biografie; scuola e innovazione
nel mondo del mercato globale)
.lab.
sulla valutazione linguistica (contenuti: valutazione delle competenze linguistiche; CEFR;
costruzione di un Portfolio del docente e dello studente)
.didattica della lingua inglese (contenuti: l’insegnante non madrelingua: valorizzare le conoscenze
contrastive; conoscere il CEFR: livelli e contenuti)
.didattica dell’italiano L2
.didattica delle culture straniere99
.didattica della cultura inglese (con l’obiettivo di stilare una Unità di Apprendimento sulla cultura
del mondo anglosassone)
.didattica dei linguaggi speciali della lingua inglese (contenuti: particolare attenzione per i linguaggi
insegnati nei principali indirizzi tecnici e professionali e CLIL)
SSIS Liguria100
.lab. di competenza comunicativa, abilità linguistiche e riflessione sulla lingua
.la dimensione interculturale e l'insegnamento dell'italiano per stranieri
.lab. sul CEFR, programmi ministeriali e attività comunicative
.aggiornamento del docente in servizio: strumenti e modalità
.didattica della microlingua in inglese
.didattica della letteratura inglese
SSIS Emilia Romagna101
.linguistica inglese
.CLIL
.ESP (English for Special Purposes)
.glottodidattica
.linguistica inglese (con laboratorio)
.didattica della lingua inglese
98
http://www.univirtual.it/ssis/default.htm Sede: Venezia
Purtroppo non sono disponibili online i contenuti del programma
100
http://www.ssis.unige.it/ArchivioSSIS.html Sede: Genova Non sono disponibili informazioni riguardo ai contenuti
del corso
101
http://www.gazzaro.it/s/Index_Old_Site.htm su questo sito si trovano ancora gli orari e le diciture degli
insegnamenti, con alcuni materiali. Sul sito ufficiale della SSIS Bologna, invece, non è più reperibile nulla
http://www.ssisbologna.it/ Sede: Bologna
99
50
.didattica della letteratura inglese
.cultura dei Paesi di lingua anglofona
.didattica della lingua e cultura inglese (laboratorio di tirocinio)
.tecnologie didattiche per la lingua inglese
SSIS Toscana102
Gli insegnamenti sono finalizzati alla “preparazione teorico-pratica del futuro insegnante di Lingua,
Letteratura e Cultura ‘straniera’ e intercultura”. Oltre a una conoscenza linguistica, letteraria e di
cultura generale, si parla di culture, letterature e linguaggi specifici. Si offrono fra l’altro,
competenze in:
. lingua straniera e linguaggi specifici
. glottodidattica
. utilizzazione in classe e in ogni tipo di scuola della cultura e letteratura straniera
. uso delle nuove tecnologie nella didattica delle lingue
SSIS Umbria103
.didattica della letteratura in lingua straniera
.didattica della cultura e delle istituzioni dei paesi anglofoni
.didattica del testo in lingua straniera
.didattica della lingua inglese
SSIS Marche104
.didattica della letteratura e della cultura inglese
.didattica e lab. della programmazione disciplinare e dei documenti europei
.didattica e lab. della lingua veicolare (CLIL)
.lab. di percorsi tematici di letteratura e civiltà e prove di verifica
.lab. di elaborazione di percorsi e materiali didattici di inglese
.lab. di fonetica e fonologia inglese
.lab. di lessicografia e lessicologia inglese
.lab. ESP (English for specific purposes)
.lab di percorsi linguistici inter- e multidisciplinari
.lab. di didattica della lingua inglese
102
http://www.ssistoscana.it/user/man_stu.php?fun=sel_field&id_ind=4&id_sede=4&field=prog_ind
Sede: Siena, Firenze, Pisa
103
http://www.unipg.it/~ssissegr/ind_ling-stra.htm Sede: Perugia
104
http://www.unimc.it/ssis Sede: Macerata
51
SSIS Puglia105
.didattica della letteratura
.metodologia dell’insegnamento del testo letterario
.didattica della civiltà
.lingua materna e lingua straniera: analisi contrastiva
I risultati, pur se non completi106, dal momento che i siti sono stati quasi tutti cancellati, o le
informazioni sulla SSIS non sono più accessibili, danno un quadro generale del tipo di insegnamenti
attivati nei vari cicli SSIS di alcune regioni d’Italia. Si rinforza l’impressione che le lingue siano
ancora piuttosto divise fra loro. Inoltre, ci si riferisce principalmente alla ‘civiltà’, più che alla
cultura, il legame lingua-cultura non sembra approfondito, e neanche il riferimento al ruolo
dell’intercultura e al legame con le lingue. Si fa riferimento alla cultura come cultura colta o
‘letteratura’; le varietà dell’inglese non sono menzionate, o, se lo sono, per lo più marginalmente.
Solo presso la SSIS di Bologna si parla di culture dei paesi di lingua anglofona. Il riferimento al
plurilinguismo e al pluriculturalismo, come pure ai documenti europei, è invece trattato.
1.5.3 La Riforma Gelmini: punti di forza e punti di debolezza
Il 31 gennaio 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 24107, il Decreto del 10 settembre
2010, n. 249, contenente il Regolamento sulla “Definizione della disciplina dei requisiti e delle
modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e
della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell'articolo 2, comma 416, della legge
24 dicembre 2007, n. 244". Trascorso il periodo di vacatio legis, a decorrere dal 15 febbraio 2011
tale decreto è diventato legge. Di seguito sono stati estrapolati ed evidenziati quegli aspetti ritenuti
positivi e quelli meno validi della riforma in questione concernenti la formazione degli insegnanti di
lingue e la didattica delle lingue-culture, con particolare attenzione al ruolo assegnato all’inglese
nell’insegnamento/apprendimento scolastico in Italia.
Il primo e più importante aspetto positivo è sicuramente la riattivazione stessa della formazione
iniziale degli insegnanti (cfr. DM 249/2010, art. 1), in cui si ritrovano elementi legati alle direttive
europee, fra cui la valorizzazione dell’insegnante come figura professionale (ibid., art. 2.1), la
presenza di tutor coordinatori dei rapporti fra scuola e università, l’istituzione di corsi di
perfezionamento per l'insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (CLIL)
(ibid., art. 14). Esplicito il riferimento al CEFR per le competenze linguistiche (ibid., art. 3.4 e
14.1), la presa in carico del contesto plurilingue e pluriculturale nel riferimento alla capacità da
parte degli insegnanti di gestire studenti di varie lingue e culture (tabella 1.e), la valorizzazione
105
http://data.tp.ac.id/dokumen/Programmi+Corsi+Ssis+Vii+Ciclo.doc.htm Sede: Bari
Si fa notare che la presente ricerca non va considerata come una statistica, dal momento che non è completa. Si tratta
di dati selezionati dalla sottoscritta, la quale ne ha analizzato gli elementi in comune e il trend generale dei corsi SSIS a
indirizzo lingue straniere-inglese.
107
Il documento si trova in forma più snella, ma sempre conservando i contenuti essenziali della riforma, all’indirizzo:
http://gazzette.comune.jesi.an.it/2011/24/9.htm Si veda anche http://www.istruzione.it/web/ministero/cs100910 (cfr.
Marongiu, Lend, 2011).
106
52
delle TIC108 (ibid., art. 3.4) e della Ricerca/Azione da parte degli insegnanti (attraverso il Tirocinio
Formativo Attivo). Sono altresì previste conoscenze di base di didattica per studenti con disabilità
da parte di tutti gli insegnanti (art. 3. 4). Infine si fa riferimento alla conoscenza di una lingua
straniera (quella inglese) come prerequisito necessario all’acquisizione dell’abilitazione (art. 3.4).
Per quanto riguarda l’organizzazione, invece, verranno indette Lauree Magistrali ad hoc per la
formazione degli insegnanti: verrà data libertà agli atenei, i quali potranno operare in base ai reali
bisogni regionali; si dovrà crare un collegamento Università-Scuola (art. 11.1) e andrà valorizzata e
promossa la mobilità studentesca nonché il legame con atenei esteri, al fine di promuovere la
circolazione di idee e persone evitando così l’autoreferenzialità.
D’altro canto i punti critici si fanno notare, anche in seno ad alcuni punti ritenuti potenzialmente
positivi: nell’articolo 2, ad esempio, si fa riferimento alle ‘competenze’ disciplinari, didattiche e
psico-pedagogiche, che gli insegnanti devono acquisire. Il Profile, al contrario, accennava
soprattutto all’educazione, più che all’acquisizione di competenze da parte degli insegnanti, al fine
di rendere meno tecnica la preparazione dei suddetti. Nell’art. 3.4 si fa riferimento alla sola lingua
inglese, con livello B2, come parte integrante e necessaria all’acquisizione dell’abilitazione
all’insegnamento di qualunque disciplina in qualunque ordine di scuola: non si accenna a quale
inglese109 si debba conoscere né a chi lo debba insegnare (cfr. tabella 7: didattica dell’inglese; e
Quartapelle- Minardi, 2003). Non è menzionato neanche il plurilinguismo e non è tenuta in
considerazione, né valorizzata, la possibilità che gli insegnanti conoscano o abbiano già appreso
altre lingue al di là dell’inglese. Si auspica che nei prossimi decreti sia integrato tale punto. A
livello didattico, non viene specificato se vengano ritoccati i programmi scolastici, se vi sia
compartecipazione fra docenti, se i curricoli degli insegnanti di lingue, compresa quella madre,
possano trovare punti di contatto; non si accenna al plurilinguismo a scuola, in linea con le direttive
europee, e neanche al percorso linguistico culturale che già gli studenti hanno intrapreso, e a come
fare per valorizzarlo. A livello organizzativo, la scelta dei tutor d’aula è lasciata alla discrezione dei
Dirigenti Scolastici, dunque non sono i professori che si propongono volontariamente e di buon
grado a eseguire tale compito. Non si presuppone una preparazione specifica dei tutors, di per sé
auspicabile; non si rende noto che caratteristiche debbano avere, né in base a quali pre-requisiti
vada assegnato tale ruolo. Peraltro, non è menzionata alcuna remunerazione per i tutor d’aula.
Inoltre, l’anno di Tirocinio Formativo Attivo rischia di essere avulso dagli insegnamenti della
Laurea Magistrale, nonché un lavoro a tempo pieno che rischia di ridurre il tempo del tirocinante
per la Ricerca/Azione e la riflessione (nonostante quanto detto nell’art 10.3.c). Gli insegnamenti
della Laurea Magistrale non sono ancora resi noti, si auspica che non siano una ripetizione dei corsi
monografici della Laurea di Primo livello. Si accenna soltanto alla didattica dell’italiano L2 e agli
approcci interculturali per la scuola Primaria (Tabella 1, E: rispetto delle culture dei bambini;
Tabella 6: didattica dell’italiano per stranieri) e resta vaga la tematica dell’integrazione scolastica
degli studenti provenienti dalla migrazione. Non è menzionata la formazione in servizio o il LLL,
né i documenti Europei cui fare riferimento (a parte il CEFR). Nell’art. 14. 1 viene adoperato il
108
TIC sta per ‘Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione’, in inglese ICT, ‘Information Computer
Technology’.
109
Probabilmente si fa riferimento all’inglese standard, di matrice britannica, delle grammatiche e dei libri di testo in
uno nelle scuole italiane oggi. Non si pone l’accento sul binomio lingua-cultura, ma sulla lingua.
53
termine “possono” per quegli atenei che desiderano disciplinare corsi CLIL110. Certamente saranno
necessari ulteriori chiarimenti in merito alla futura istituzione di corsi di perfezionamento per
l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera, nonché in merito a eventuali
riconoscimenti (incentivi monetari ecc.) al di là del certificato, per coloro che si specializzano nel
CLIL (si veda MIUR, 24-12-2011). Infine, non si accenna a incentivi per merito in nessun campo.
Minardi111, presidente dell’associazione LEND, afferma che molti punti restano da definire (2,
2011: 6-7), mentre altri necessiterebbero già di revisione, poiché non in linea con le direttive
europee. Si lamenta, ad esempio, il fatto che non viene menzionata la modalità di reclutamento
degli insegnanti di secondaria, né quali saranno le future classi di abilitazione per tale classe di
abilitazione. Criticabili, a suo avviso, anche le scelte in merito alle Lauree Magistrali per
l’insegnamento:
“Quello che non condividiamo è che l’anno di tirocinio sia preceduto da un quinquennio
prevalentemente di tipo disciplinare in cui solo 18 crediti su 300 sono destinati, nella laurea
Magistrale, all’area cosiddetta psicopedagogica. Ci sorprende che la Laurea Magistrale non
preveda una progettazione in connessione con l’anno di tirocinio formativo attivo e ci stupisce il
quasi inesistente rapporto con il mondo della scuola limitato a 19 crediti all’interno dei 60
relativi al tirocinio. Allo stesso modo, le didattiche disciplinari sono ridotte a meno di 18 crediti
anche in questo caso all’interno del tirocinio attivo”(ibid.: 7).
Assai criticata − non solo da Minardi − la scelta di privilegiare la lingua inglese rispetto alle altre,
dal momento che “tutto questo, ancora una volta, impedisce nelle nostre scuole di domani qualsiasi
reale plurilinguismo” (ibid.).
Dal momento che la riforma è storia presente, potrebbero nel frattempo essere apportate modifiche
e integrazioni al documento in questione. Pertanto i dati forniti vanno ricondotti al momento della
scrittura della presente tesi di dottorato.
1.5.4 Focus sulla legislazione concernente la didattica dell’inglese
“Bisogna proprio imparare solo l’inglese?” (Quartapelle, 2009: 9-10): con questa domanda
provocatoria Quartapelle intende opporsi alla proposta ministeriale tale per cui si incentiva lo studio
quasi esclusivo dell’inglese (cfr. par. 1.5 della presente tesi) a discapito delle altre lingue straniere,
invitando a non dare per scontato l’apprendimento dell’inglese: “[...] perché considerare ovvio che
tutti imparino l’inglese? Al di là delle nostre frontiere si pensa diversamente” (ibid.: 10). Minardi
sostiene che a suo avviso il monolinguismo che spesso scaturisce dallo studio dalla sola lingua
inglese per tredici anni nella scuola italiana rischia di diventare sul lungo termine una forma di
analfabetismo (cfr. Minardi, 1, 2010: 6).
110
Art. 14.1: Le università nei propri regolamenti didattici di ateneo possono disciplinare corsi di perfezionamento per
l'insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera. E ancora, al punto 4: “A conclusione del corso, al
candidato che supera con esito favorevole l'esame finale e' rilasciato il certificato attestante le acquisite competenze per
l'insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera”.
111
La professoressa Silvia Minardi è Presidente dell’associazione LEND, Lingua e Nuova Didattica, e responsabile
nazionale dei progetti europei. E’ Docente di lingua straniera presso il Liceo Classico con sperimentazione linguistica
“Salvatore Quasimodo” di Magenta (Milano) e formatrice di lingua inglese per il Progetto Lingue Lombardia e per il
Ministero della Pubblica Istruzione.
54
La formazione degli insegnanti di inglese, inoltre, ha in certo modo influenzato un atteggiamento
anglocentrico. I corsi di formazione sono spesso improntati sul modello anglosassone di
certificazione della competenza comunicativa, del saper produrre, attraverso scale di valore fornite
dagli stessi enti certificatori, utili per lo più per fini pratici, atte appunto a ‘testare’ le abilità del
discente nella lingua target, al fine di raggiungere il più possibile il modello del native speaker of
English, non tiene granché in considerazione il patrimonio linguistico-culturale, né approcci plurali
o plurilingui né, tanto meno interculturali alla lingua.
Di Pietrantonio (2011, in corso di pubblicazione) analizza la situazione italiana per quanto riguarda
le politiche linguistiche notando discrepanze abissali fra le direttive europee e la pratica italiana. Di
Pietrantonio opera un breve excursus sulle più recenti riforme di educazione linguistica in Italia, a
cominciare dall’ ‘inglese potenziato’ nelle scuole secondarie di I grado, introdotto nel 2009 con la
riforma della Ministro Gelmini, tale per cui gli studenti hanno la possibilità di optare per 2 ore
aggiuntive di inglese alla settimana, al posto della seconda lingua comunitaria. Si fa notare, poi,
come l’introduzione delle lingue straniere alle elementari con il Progetto lingue 2000 per la
promozione della cittadinanza europea grazie alle lingue, propenda di fatto per l’inglese: “Il ruolo
della lingua inglese […] indica alla scuola una scelta prioritaria […] l'offerta dell'Inglese deve
essere generalizzata”112. Ancora, nel 2003, la Riforma Moratti rende obbligatorio l’insegnamento
della sola lingua inglese alla scuola Primaria. E nel 2007 il Ministro Mussi, con la riforma delle
università, rende obbligatoria in tutte le facoltà universitarie l’idoneità di inglese a livello B1 per
tutti gli studenti, “condizionando così pesantemente le scelta della lingua straniera alle medie e alle
superiori” (Di Pietrantonio, 2011). La Riforma Gelmini, dunque, con l’inglese potenziato e con
l’eliminazione dell’obbligatorietà della seconda lingua comunitaria nelle scuola Secondaria di
Primo Grado, non è che la punta di un iceberg che si è andato costruendo negli anni: “La politica
dell’inglese potenziato sembrerebbe insomma rientrare a pieno nella seconda casistica di politiche
linguistiche, quelle che sottovalutano i benefici e sovrastimano i costi della diversità linguistica”
(ibid.).
Secondo Minardi le decisioni del governo, in particolare quelle dei Ministri Gelmini-Tremonti in
merito al contenimento della spesa pubblica, non prevedono una vera riforma della scuola e
debilitano non solo insegnamento/apprendimento linguistico in generale, ma della stessa lingua
inglese: “Occorre dire che questi provvedimenti penalizzano la seconda lingua comunitaria,
sviliscono l’insegnamento e l’apprendimento anche della lingua inglese, non sono in linea con le
indicazioni provenienti dall’Europa” (Minardi, 1, 2009: 7).
Se va operato un ripensamento in chiave plurilingue e interculturale, ciò va fatto anche all’interno
dello stesso curricolo di inglese. Questa lingua deve poter essere riabilitata nella sua complessità,
per mostrare le varietà linguistiche-culturali al suo interno, le sue ibridazioni, i suoi imprescindibili
rapporti con le altre lingue-culture113.
Molte le perplessità e la preoccupazione del gruppo LEND anche in merito alla nuova
regolamentazione della formazione iniziale degli insegnanti dal momento che questa non segue per
nulla le direttive europee, così, oltre a indebolire la formazione plurilingue e pluriculturale,
112
AA.VV, Progetto Lingue 2000, http://www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/progettolingue.pdf Si vedano già
i programmi per la scuola elementare del 1985, in cui si aferma "la scelta di questa o quella lingua non è
determinante.”ma si aggiunge “Si terrà conto, tuttavia, del carattere veicolare della lingua inglese”.
113
Si può prendere a prestito l’espressione “Quando una lingua dice più culture” (Lévy, cit. in Kramsch-Lévy- Zarate,
2008 : 73) per riferirci alle varietà insite nella lingua-cultura inglese.
55
paradossalmente rende meno efficace, meno realistico, meno critico anche lo stesso insegnamentoapprendimento della lingua inglese.
Minardi aveva posto dieci domande provocatorie alla ex Ministra dell’Istruzione Gelmini in merito
alle politiche linguistiche che si vogliono adottare nella riforma scolastica da lei intrapresa. Tali
domande possono essere poste ora al nuovo Ministro dell’Istruzione Profumo. Fra le varie
perplessità viene chiamata in causa la delicata e tanto discussa questione della formazione dei
docenti:
“Per quanto riguarda la formazione dei docenti di lingua, noi pensiamo che qui la posta in gioco
sia davvero molto alta. Come leggiamo nei documenti europei c’è la necessità di una
formazione per il docente di lingua straniera fatta di esperienze diverse tra loro correlate in
un’ottica di formazione continua. Che cosa pensa di fare per promuovere la formazione continua
dei docenti di lingua straniera anche facendo tesoro degli aspetti sia positivi che negativi di
progetti come [...] il progetto lingue 2000?” (Minardi, 5, 2009: 7).
Uno degli obiettivi primari di coloro che si occupano seriamente di didattica delle lingue-culture in
prospettiva interculturale sarà dunque, quello di riportare l’inglese al suo posto fra le lingue e non al
di sopra di esse, e che l’inglese sia riabilitato come lingua viva, plurale, versatile in tutta la sua
plasticità semantica: “Lo abbiamo fatto per l’educazione linguistica e, quindi, anche per l’inglese
perché vorremmo tanto che questa lingua potesse mantenere il ruolo che ha come lingua “plurale”,
veicolo di tante culture e non venisse semplicemente confinata in uno sterile ruolo di ‘strumento’
della comunicazione globale” (LEND, 2, 2009: 7): [...] Il compito è enorme” (QuartapelleMinardi, 2003: 7. cfr. Costanzo, 2003: 5).
56
Capitolo II
Old and New Englishes: lost and found in transculturation
2.1 English and identity
My mother says I’m becoming ‘English’.
This hurts me, because I know she means I’m becoming cold.
(E. Hoffman) 114
There is a strong connection - whether natural or unnatural, wanted or not – between
languages and identity (cfr. par. 1.2). Languages are not only an intrinsic aspect of our being
humans, but do concur in the construction of it (see Norton, 2000, in Kramsch-Lévy-Zarate, 2008:
307; see also Anselmi, in Londei-Galli, 2009: 104).
If a language is a strong identity mark, even before creed, race and nationality, it cannot be reduced
to a mere tool for communication: “the opinion […] that language is a mediator in the sense of an
instrument or a tool is not sufficient […]: the identity of the speaker is constituted in language,
especially in speech” (Kresić, in Miller-Pano, 2009: 43). Still, English can create a schizophrenic
relation between its instrumental use and its cultural implications. It often suffers from
simplification and abuse in order to fulfill practical needs; on the other hand, its employment as a
global lingua franca makes it mingled and variegated all around the world. New varieties, in fact,
are growing within the English pattern. In the latest years a rich field of studies on language and
identity has spread115. This branch of research is huge, unattainable, as English multiplies,
hybridizes and is hybridized by people. Obviously, language change is not a peculiarity of English,
but of all languages in general (see Mc Arthur, 2003). Still, the English issue apparently has no
precedents in terms of size and speed (See Mesthrie and Bhatt, 2008; Crystal, 1997; Jenkins, 2007;
Graddol-Meinhof, 1999). Academics today talk about the English ‘complex’, to denote the
multifaceted world of English languages and cultures. Mesthrie and Bhatt (2008) recently dealt with
the ‘English Language Complex’ (ELC), a term first suggested by McArthur (2003: 56). Used by
over a billion people (although a precise figure cannot be given); learned by millions of young
people; distributed more or less evenly worldwide; serving as the primary vehicle of the world’s
commerce, science, technology, computer activity, electronics, media, popular culture, and
entertainment (see Mc Arthur, 2003: 415). This language deeply belongs to many people’s lives,
whether they accept, support or hate it.
114
Hoffman, E., Lost in translation – A life in a new language, USA: Penguin Books, 1989:.149
The Journal of Language, Identity and Education, launched in 2002, and a special issue of TESOL Quarterly are
dedicated only to this topic.
115
57
The former British colonies themselves cannot deny the strong link they share with English,
language and culture, something they may have rejected, accepted, digested116, but definitely recreated in a hybrid identity.
Europe itself is experiencing a wide use of English as a lingua franca in many fields of life,
sometimes without even realising. Bhabha believes it is the verge, the hybrid space to be rich but
scary because it puts the individual into crisis (see Bhabha, 2001: 88). Europeans are losing their
national dimension of the language, to acquire one of a larger community, that of the ‘world at
large’; there isn’t anymore a simple bilateral correspondence between a language and its speakers’
culture (see Sapir, 1962: 27). There is deep concern proceeding from the expansion of English in
such a capillary way, among which the rise of an elitarian monolinguistic class and the
disappeareance of minority languages117.
As a consequence, Europeans struggle to recognize themselves in the external complexity and
inside themselves, as hybridized. They are more and more mestizos, “uomini tradotti” (Callari Galli
in Londei-Galli, 2009: 31; see Kapuściński, or. 2006, 2007). What do we, as individuals and as a
community, lose and what do we gain in this sort of transculturation? (Trivedi, 2005). Two more
questions arise: What cultures are linked to what language-s and to what people in such a hybrid,
globalized scenario today? Who, or rather, what is English related to, then? Where is the line
between intelligibility, reached by learning an international language, and identity, which implies
keeping your ethnic language and culture? (see Bhabha, 2001: 88). How can we make them coexist
through apt policies?
Glissant is quite pessimistic:
“[...] la difesa della lingua è irrinunciabile perché ci permette di difenderci e di opporci alla
standardizzazione che può provenire, per esempio, dall’universalizzazione dell’AngloAmericano. Dico che, se mai questa standardizzazione si stabilirà nel mondo, non minaccerà
soltanto la lingua francese o quella italiana o quella creola, ma in primo luogo quella inglese,
perché la lingua inglese smetterà di essere una lingua con le sue oscurità, le sue debolezze, i
suoi trionfi, i suoi slanci, i suoi punti di forza, le sue ritrosie e le sue arretratezze., smetterà di
essere la lingua del contadino, la lingua dello scrittore, la lingua del portuale, ecc. Tutto ciò
sparirà, la lingua smetterà di essere viva e diventerà una specie di codice internazionale, un
esperanto. Se la lingua inglese fosse la mia lingua mi preoccuperei dell’universalizzazione e
della standardizzazione dell’anglo-americano” (1996: 34-35).
Linguistic power relationships and new identity options are crucial to the EFL-ELF issue118, and
ethnicity still plays a crucial role in linguistic policies and attitudes. “One of the unfortunate aspects
of the world debate about culture is the emphasis which some people place on the preservation of
116
See the concepts of ‘digestion’ and ‘antropofagia’ related to languages by Else Ribeiro Pires Vieira in Bollettieri
Bosinelli-Di Giovanni (2009: 255-284).
117
See the statements of Isabel Meuret, Senior Lecturer in English and Cultures at the Université Libre de Bruxelles.
118
EFL stands for ‘English as a Foreign Language’, while ELF stands for ‘English as a Lingua Franca’. Early
interactional approaches see identities as fluid, always changing, they do not focus much on the individual or on
language norms, rather on ‘acts of identity’ in which the multilingual speaker chooses to which code he or she wants to
belong, creating his own linguistic world. Much criticized as they refer all linguistic changes to identity, still this
approach has moved something, admitting identity is produced in social interaction rather than being given as a fixed
monolith. Poststructuralist approaches, instead, study languages in their power relationships, a crucial point for ELF
studies. (see Jenkins, 2007).
58
culture, almost with the same attitude that one has towards the preservation of museum pieces”(see
Graddol-Meinhof, 1999: 42 and 56).
English language educators need to mediate between global trends, local needs and the AngloAmerican norms which still detain a priority position in ELT:
“In terms of the English language specifically, its rapidly-growing dominance as the world’s
main lingua franca is leading both to an increasing diversity in the way the language is spoken,
and to corresponding attempts to limit this diversity by the continued ‘distribution’ of NS norms
to an ever-larger number of English speakers” (Jenkins, 2007: 198)119.
Jenkins explains we are not dealing anymore with ‘brute force’, as it could have been in the colonial
past, but with something more subtle: “the power to which I refer is less overt, more subtle, and can
perhaps better be described as an ideological undercurrent that quietly pervades most aspects of
ELF […]” and “[…] acts as a constraint on learner/teacher choice, and is realized in practice as
(often) voluntary defense to a supposedly superior NS linguistic competence” (ibid.: 201).
The purpose of the present chapter is to highlight the kaleidoscopic faces of English, how much it
changes and is changed in transculturation; the attitudes towards it and the socio-political, but also
cultural and identitary implications deriving from the employment of English as a lingua franca.
We will question whether it still makes sense to look for the English ‘Norm’, reasoning over some
perspectives for an intercultural approach to English in didactics.
2.2 On the urgency to learn English
2.2.1 The press mirrors attitudes towards English
Below some excerpts from the press have been selected and briefly summarized. They all regard
what is said, thought, written about English today and the impact of this language on our
multilingual scenario. The focus is mainly on the Italian and, in part, on the European reality with
hints on the international situation. The following articles are quite recent, dating back no more than
2004, and they are taken from Italian newspapers, apart from some abstracts from the international
Economist. None of the journalists is an expert in the matter: by avoiding academic journals, we
aim to show what is commonly written and read about English as to demonstrate the overall mood
felt in our daily lives.
“L’Urlo del Poliglotta”
Livia Manera (2008: 58-60) deals with the urgency everybody, from the waiter to the great
manager, feels today: learning English. We get a focus on the situation in China, where people
believe in the high potential of English language, but have difficulties in learning it. Ly Yang found
119
The author purposely chooses to write ‘distribution’, instead of ‘spread’ (according to Widdowson’s views, 1991 and
1994) as distribution denotes a will to do so, while spread is considered as a natural, random event. (see also
Widdowson, 1997: 139-140 and Jenkins, 2010: 50).
59
a method called “Li Yang crazy English”: he pushes people to shout with him sentences in English,
with a specific, curiously patriotic, purpose: “Conquista l’inglese, rafforza la Cina!” (ibid.: 60). The
fear that English could bring about western values leads many Chinese to hypothesize that
possessing this language is a good way to control it better and closer, without being culturally
overwhelmed by it.
“Poca Ironia, parleremo Globish”
It is the review (Degl’Innocenti, 2010: 118) of a book viz. Globish120. This term stands for a
contraction of ‘global’ and ‘English’, and it is said to become the idiom of the future. This
“language” – inverted commas in the article - a must for those who are looking for a job, especially
in eastern countries, can be learnt in 6 months: you just need to memorise 1500 terms, in order to
build up short sentences. Forbidden humour and double meaning.
“Linguistic Follies”
The consequences of the rise of English in Europe are stated (The Economist, 19-7-2007): “[...] the
expansion of the European Union has left English not just edging ahead of the two other working
languages but in a position of utter dominance. The union now boasts 27 members and 23 official
languages, but the result has been the opposite of a new tower of Babel” (ibid.)121. Mr Baetens
Beardsmore launched an idea in order to stop English from ‘fagocitating’ the other languages: “[…]
this risk can be avoided if school pupils are taught English as a third tongue after something else”
(ibid.).
“Babelling on”
“In their loftier moments Brussels politicians say that languages are an expression of the European
Union’s unity in diversity. What they seldom admit is that languages are a logistical and expensive
headache […]”. The authors are referring here to the mismatch between ideals, theories and practice
among the E.U. officers, who cannot deny there are evident problems concerning time and money
spent for translations in all the languages of the member states of the European Union (The
Economist, 13-12-2006).
“L’Italiano? Non è performante”
Giancarlo Schiavi (22/08/2009: 85), Vice Director of the newspaper Corriere della Sera is critical
towards the abuse of English expressions today, and states that in Italy we are abandoning ourselves
to “un inglese da sbarco” (ibid.) lamenting: “[…] a furia di darci dentro con i termini anglofoni
stiamo deturpando anche loro, una cannibalizzazione linguistica che produce mostruosità
lessicali”(ibid.). He implores help to save Italy from this overdose of English terms. Sampietro (1409-2008: 32). makes us notice that curiously enough Italian media make wide use of the English
language, despite the fact that they are incomprehensible to the majority of the Italians.
120
Robert McCrum, a British writer and scholar, wrote the book titled Globish, a term coined in 2007 by Jean-Paul
Nerriere, a francophone manager.
121
The authors refer to German and French in Brussels and in the Union.
60
“Parlare inglese: un problema per 8 italiani su dieci”
This article (Arachi, 12-03-2004: 22) deals with the skills Italian people have, or rather, think to
have in English: many of them declare they know the language, but few can actually speak or
understand it. The school reform is mentioned, as is the idea of implementing English classes:
despite the fact that English is taught since Primary School, Italians still have poor knowledge of
the language. Italians are at the bottom of the European Pyramid for Plurilingualism: “Chissà per
quale motivo non ci siamo mai tolti dalla testa l’idea di parlare una lingua grande, diffusa
universalmente, come l’inglese o lo spagnolo. Dunque pensiamo di poterci permettere di non
studiarne altre”(ibid.: 23). However, British people are even worse: their language is spoken
globally, so they do not feel the necessity nor the will to learn other languages: they admit they
barely know other languages other than English.
“Giorgio Pagano: il governo, ma anche le opposizioni, non abbandonino l’italiano all’inglese o farà
la fine dell’indonesiano”
Bitter critics against the teaching of English as the only foreign language in Italian schools: “[...] le
politiche di Berlusconi, Moratti e Gelmini (e non solo) d’insegnamento dell'inglese come prima ed
unica lingua straniera, in competizione diretta con l'italiano, al punto che vengono insegnate materie
curricolari e attivati interi corsi di laurea in lingua inglese, sono politiche demenziali e
autolesioniste per il Paese e la sua identità” (Ufficio Stampa ERA,27-07-2010). Pagano laments the
fact that English is replacing Italian in education programmes, with consequent risks for the Italian
identity itself. According to Pagano, such linguistic policies in favour of English sound almost
colonizing: “Di fronte a questi effetti dirompenti e distruttivi per il Paese non comprendo nemmeno
il silenzio di Bersani o Vendola dinanzi a queste leggi di tipo quasi razziale, ispirate ad una sorta di
“Manifesto sulla superiorità della razza anglofona [...]” (ibid.).
2.3 Varieties of English
English has spread all over the world in the last 500 years, but the major developments have
occurred in the last 200 years. Before the Sixteenth Century, English was barely spoken, with its
dialects, loans and crossbreeding, mainly in the British Isles. Even there many people hardly knew
it: “English was not generally known, as a first or a second language, in large parts of Britain and
Ireland in the 16th and 17th centuries, and practically unknown in other parts of the world” (Görlach,
1998: 21)122. If English at the beginning borrowed from other languages − in particular from Latin
and French (see De Carlo et al., 2009) − then it was British English that massively influenced the
others: “All the present-day varieties of English are descendants of the English spoken in Britain
during the late sixteenth and early seventeenth centuries” (Görlach, 1995: 7).
The world expansion of English is due to several reasons among which we can list: colonisation123,
deliberate submission, economic convenience, trend, travels, media and communication. The
122
Manfred Görlach edited a rich and interesting collection of studies on varieties of English in the World, from the past
to our days.
123
At the beginning of the XVII Century the British Empire expanded for trading and colonisation, exporting its idiom
as well, as goods. This language spread once it had achieved homogeneity so the attitude of colonies was often one of
submission and imitation of British lifestyle and clear language. (See Görlach, 1995: 16).
61
English language benefitted from an official status in its colonies, as it was the language of
administration, taught as a school subject, used by the media; books and scientific research was
published in English, and it was by that time already a lingua franca for communication and trade in
many countries.
In the 20th century American English gained a preeminent position in the international linguistic
scenario (see Umberto Eco’s views in Haberland, 2009: 26). The radiophonic conversations
between Marckardt and Quirk, in which the spread of English was foreseen, belong to history (see
Marckwardt-Quirk, 1964: 76)124. English as a global language is a result of the last sixty years,
since World War II up to today.
‘Variety’ is a general term, quite a broad and inclusive, so a safe one, generally used to talk about
the range of Englishes in the world today, with reference both to a community and to its use. A
great amount of varieties of English is spoken today in the world and every single one has its own
peculiarities. They are due to a background of contact, imposition, claim for independence,
acceptance, or deliberate choice (see Mc Arthur, 2003).
A proper study on the varieties of English started in the '70s; before, only British and American
English were studied (ibid.: ix). McArthur argues the field of research was even more restricted to a
high variety of a specific geographic zone of England (south-eastern) and US (north-eastern) as a
“one-world common-denominator standard language” (ibid.: ix-x). However, “Who is centric
now?”125: nowadays it proves extremely hard and almost incorrect to talk about ‘proper’ English
norm, unless we refer to its historical matrix. We can regard English varieties as dialects, or proper
languages, according to the speakers’ point of view.
We should keep in mind that one thing is the phenomenon of the development of World Englishes,
and another is the labels given to it. Beware the rooted tendency to focus more on linguistic
varieties rather than on their speakers, as it may be misleading in the identification and
classification of variants. The major mistake is taking the nation as the example for all its speaker
(see Schneider, 1997: 48).
With a few exceptions, it is possible to trace some leit motifs among varieties of English. There
have always been two forces governing languages: innovation and conservatism. The most
important means of innovation is contact, but even this has its own diversities. Phonology is the
first trait which tends to change and is difficult to control, more than syntax, inflection and lexis.
Neologisms have always been conspicuous among Englishes, together with “loanwords, new
compounds, derivates, new meanings of old words, new collocations” (Görlach, 1995: 46). There
could be references to local referents, new meanings to old words or vice versa, erroneous
employment of words, reaction and contact to old words, changes connected with expressive
functions (divergent meanings, taboos in a culture, euphemisms), and new terminologies (e.g. in
politics, slang, etc.). Intricate mixes, due to scarce exposure to the so called ‘British English’, lead
124
A famous radio series broadcast by the ‘British Broadcasting Corporation’ and ‘The Voice of America’.
125
Part of the title of a collection of conference papers titled “Who is centric now? –the present state of Post colonial
Englishes, English worldwide”, Moore, B., ed., Canberra: Oxford University Press, 2002.
62
to changes in English, too. Literature itself is a privileged path that contributes to the extreme
variability of the language.
It is complex to classify the new varieties of language deriving from English or having contact with
it: do we consider them ‘code switching’, ‘jargon’, ‘broken English’, ‘a pidgin’, ‘a creole’, ‘a semilanguage’, ‘a mixed language (i.e. hybridisation)’, or something else? Such an operation depends
also on the speakers’ attitude towards languages in general.
Restricted input of natives’ English inevitably leads to variability and unpredictability in the change
of language. We can include also the so called ‘foreign talk’, i.e. “[…] the simplified registers used
in contact with speakers whose competence in the language is expected to be minimal-the
expectation being that simplified grammar is easier to comprehend” (Görlach, 2002: 157).
The term ‘sub-standard’ brings with it a negative connotation. Scholars prefer to employ the more
politically correct word of ‘non-standard’.
Below is a sample list of abbreviations commonly used by authors to refer to varieties of English.
The acronyms are partly taken from Görlach (1991: 6 et al.), partly from Mesthrie and Bhatt (2008)
and Jenkins (2010). Apart from some exceptions, they are mainly grouped according to nationalgeographical coordinates (see also Mc Arthur, 2003), in alphabetical order:
AAE African American English
AfE African English
AmE American English, GA, GenAm General American
AusE Australian English
BEV Black vernacular English
BrE British English
CanE Canadian English
CarE Caribbean English
CSE = Singlish=Colloquial Singapore English/Standard Singapore
English
Ebonic126 African American vernacular English
EE Estuary English
HKE Hong Kong English
IndE Indian English
IrE Irish English
ME Middle English
NigE Nigerian English
NEZ New Zealand English
SAf South African English
SAsE South Asian English
ScE Scottish English
UsE United States English
WAfE West African English
Tabella 2: List of some renown varieties of English and their abbreviations.
126
In the USA they are also labelled by a racist definition “the strangers within the gates” (see Jenkins, 2007: 217).
63
However, there are also new, hybridized forms of English which are employed in formal and
informal communication and are spoken by large communities, delocalized from the so called
English speaking countries. They are often regarded either as slang or as ‘new’ Englishes (see par.
2.3.3 of this research): Euro-English, Spanglish, Franglais, Italese, Japish Singlish, Tok Pisin
(Melanesian Pidgin English), Chinglish127, Tinglish (Thai English), to mention a few.
Jenkins (2010: 2-3) provides a list of countries in which English is spoken today, dividing between
those territories where English is L1 or an institutionalized L2.
127
Chinglish refers to spoken or written English language that is influenced by the Chinese language. The term
"Chinglish" is commonly applied to ungrammatical or nonsensical English in Chinese contexts, and may have
pejorative or deprecating connotations. […] The English word Chinglish is a portmanteau of Chinese and English. The
Chinese equivalent is […] ‘Chinese style English’ (http://en.wikipedia.org/wiki/Chinglish)
64
Tabella 3: ‘English speaking territories’
(source: Crystal 2003a: 62-5 cit. Jenkins, 2010:2-3)
She specifies, though, the majority of speakers of English in the world are made of non-native
speakers, and if we added those who speak English as a ‘foreign’, not institutionalized, language,
the list would considerably expand.
65
Also McArthur provides a map of English varieties in the world:
Figura 1: Map of World Englishes
(source: McArthur, 2003: XV-XVI)
The above lists show a wide spectrum of Englishes. The map shows in detail the various
declinations of the language we can find in each single territory (as for example the varieties of
English spoken in the UK, most of them deriving from migration).
Due to such variety, English has started to be referred to as the ‘English complex” (see MesthrieBhatt, 2008).
As the Englishness of the language itself is often in doubt, Görlach provocatively entitles a chapter
from his collection of studies on varieties of English “And is it English?” (1998) and analyses how
much has been done so far on varieties’ studies. The reason why these categories of Englishes were
not studied up to a few years ago was that “most colonial forms of native English were considered
provincial, backward, incorrect and not quite respectable”(Görlach, 1995: 11). Similar criticisms
were earlier leveled at American English as inferior to the original Queen’s speech (see
Marckwardt-Quirk, 1964: 68-73). Recently British and American English have been regarded as
66
‘more equal than others’128. With the rediscovery of social and communicative functions of
language variations from British English have started to be taken into consideration, rehabilitated,
with a consequent self-confidence of their speakers. Today ENL (i.e. English as a National
Language) speakers are diminishing, while EFL (i.e. English as a Foreign Language) has gained a
preeminent position, especially for international communication and trade, but also in FL education,
academic research, mobility and leisure (cfr. Jenkins, 2010: 2-4). Consequently, the adjective
‘foreign’ sounds a bit restrictive in defining many people’s position of actual speakers of English as
a ‘second language’.
Still, little has been done so far in Italian schools to teach varieties of English, which seems
relegated to specialists’ interest (cfr. par. 1.5.2 and chap.IV). Görlach invites language teachers to
consider English not anymore as a monolithic language, and he hopes students will arrive to have
“not merely [...] a technical acuity in the detection of regionally different varieties, but an awareness
of existing differences, their historical background, popular stereotypes and attitudes towards
varieties – of important sociocultural aspects of language” (See Görlach’s survey in Görlach, 1995:
94; cfr. Schneider, 1997; Rocco’s survey in Miller-Pano, 2009: 260; see also chap. III).
Some scholars lament the decline of English, departing more and more from what is considered the
Standard, the Norm, that is, the British idiom, especially in EFL, where the norm is given from the
external, while internal innovation is seen as an error (Görlach, 2002; see also par. 2.3.4 of this
research). However, it is too late to pretend to be blind in front of such variants.
2.3.1 English-es: labels and classifications
What do we mean by “English” today?
Below is a list of current definitions, epithets, adjectives, neologisms, labels, quotations referring to
the ‘English’ language and culture129. They have been searched for and collected among academic
but also current readings, from sources in many languages, as to gain a complex and faithful idea of
what comes under the label ‘English’. To give more emphasis, the phrases below start from those
considered as the most neutral ones, followed by the positive judgments, to conclude with the
negative attacks to the ‘English’ language and the culture it is supposed to bring with it. Each
section is highlighted by a short introductory and explanatory sentence:
The first two definitions are taken from the Dictionary of Contemporary English (Harlow-Essex
UK: Pearson Longman-New Edition, 2007), followed by two comments on the level of difficulty of
this language:
-English /’ɪŋglɪʃ/ n. 1.the language used in Britain, the U.S., Australia, and some other countries
[…] 2. The English [plural] people from England 3. Literature written in English, studied as a
subject at school or university […];
-English adj. 1.relating to England or its people […] 2. Relating to the language used in Britain, the
US, Australia and some other countries: English grammar (ibid.).
128
I am echoing here George Orwell’s famous sentence from Animal farm (1945) projecting the idea of ‘elitarism’ to
language issues. Mc Arthur (2003) prospects that in 20 years’ time neat differences will blur. Still, there are many
scholars who strongly believe in the superiority of the Anglo-American Norm.
129
Some words have been typed in bold, in order to highlight them as striking and meaningful to our purpose.
67
The sentences that follow regard the linguistic peculiarities of this language: while the first
considers English as a ‘simple’ language, ‘easy to learn’, the second one warns it hides in fact a
complex apparatus of rules:
-“L’inglese per la sua estensione, è la più mondiale delle lingue civili. Considerato di per sé
l’inglese ha il merito di essere di un tipo grammaticale semplice e regolare [...] solo la pronuncia
isola l’inglese” (Meillet in Lepschy, 1993: 879);
-Sapir warns that the “pseudo-simplicity” is a “masked complexity” (cit. Haberland, 2009: 26).
Here below some optimistic visions over English as a medium for intercultural communication:
-“It is precisely the status of English as a lingua franca that creates a myriad of opportunities for
learning about language awareness and intercultural communication” (Seidlhofer, 2005a, cit. in
Jenkins, 2007: 19);
-“English IS news” (Crystal, 1997: 131).
English could be seen also as a mark of prestige and power in the eyes of its speakers and listeners:
-“today control of Standard English is a mark of prestige in all countries” (Schneider, 1997: 56);
-“No-one pays attention to what you say unless you speak English, because English is the language
of power” (Phillipson, 2003: 1, quoting the declaration by the Ombudperson for Human Rights in
Bosnia and Herzegovina, Great Haller, 1999);
-“There’s a long standing assumption that the world ‘wishes to be enough like us’” (Scollon, 2,
2004: 271);
-“désir d’anglais” (Yaguello, in Londei-Galli, 2009: 117-118).
Follow less positive comments concerning the spread of English worldwide: it is becoming
nobody’s language, a conforming code, conveying consumerist ideals being the code used for
economic purposes, suffocating the other languages-cultures:
-A “homogeneous, aseptic variety” ( Görlach, 1998: 1, referring to the kind of English portrayed at
school and in dictionaries);
-“male necessario” (Sapir, 1962,: 38, referring to English as an auxiliary International language);
-“Et les langues […] en quelque sorte ‘disjonctent’ par une sorte de court-circuit qui se produit
lorsqu’elles entren en contect, et ells font appel à une langue tierce, à une langue globale, à cette
langue que certains appellant le ‘globish’ et d’autres un ‘desesperanto’(Michel Deguy), bref, à
l’anglais de communication internationale […] qui fait taire cette cacophonie universelle pour lui
substituer la monotonie ou la ‘monophonie’ d’une langue unique” (Xavier North in Londei-Galli,
2009: 88);
-“[…] la langue de tout le monde et donc de personne (d’aucune personne) meme plus la langue
d’autrui” (Chini, 2010: 131);
-“L’inglese è una lingua che non si ama. Si usa”130;
-Also the labels ‘Globish’ and ‘McDonaldization’ convey the negative ideas of conformism and
consumerism (see Phillipson, 2003: 12).
130
S.B.Flexner, S. B., 1987, in Severgnini B., L’inglese-Lezioni semiserie, Milano, Rizzoli, 1992: 11.
68
The ‘English’ label could mean, for some people, as for example was the case of the colonized
Indians, a vehicle of control and enslaving over the others:
-“To give millions a knowledge of English is to enslave them” (Gandhi)
-“langue de l’impérialisme anglo-saxophone” (Yaguello, in Londei-Galli, 2009: 115);
-‘half-baked quackery’ (Seidlhofer, 2005a, cit. in Jenkins, 2007: 19);
It is even feared as a menace, a disease, a killer language that suffocates the others:
- [English is N.d.R.] widely perceived as the 'tyrannosaurus rex' of languages (Swales 1997 cit.
Seidlhofer, 2003: 7);
-“[...] contro la minaccia di anglicizzazione terminologica” (Londei refers to French linguistic
politics against the ‘anglicization’ of terms and expressions occurring in France. in Londei-Galli,
eds., 2009: 39);
-“There is no danger of such deviant uses ‘polluting’ the standards of native speakers even if they
become a minority in the global Anglophone world” (Görlach, 2002: 12-13);
-“there is something sinister about those pools of corrupt English lying about the world [...] they
are not just unpleasant for English people to encounter [...] they could grow and [...] eventually
invade good English itself. They are like pools of language disease” (Jenkins, 2007:12 quoting
May, 2000: 4);
-"Monolingualism is curable” (Phillipson, 2003: 216, referring to English);
-killer language (Yaguello, in Londei-Galli, 2009: 114 and Jenkins, 2010: 49);
There is a myriad of opinions, representations, stereotypes, spinning around English, language and
culture. The public opinion appears to be split between a centripetal force, which salutes, celebrates,
embraces English as the solution to all incommunicability of the world, and a centrifugal one, full
of fear, diffidence, even hate, looking catastrophically at English as a sort of “anti-language”131.
McArthur talks about a centrifugal/centripetal force spinning within the English language,
potentially a blessing and a curse, a ‘juggernaut’.
Many, still, tend to identify English with England: “The fact that the traditional model of
sociolinguists, that of a monolingual (though possibly bi-dialectal) community, is the exception
world-wide is likely to be the most serious threat to the European concept of language systems and
functions” (Görlach, 1991: 17; see also chap. III).
Today points of reference change and multiply, ideas circulate much more rapidly than in the past,
thanks to new technologies, so as people move, meet, communicate ‘hybridizing’ their identities
(see Bauman, 2006). As a consequence, a new sensibility towards plurilingualism and
interculturality emerges as a consequence and as a necessity. The very term ‘English’ is swallowed
up into the broader ‘Englishes’: “L’expansion universelle de l’anglais se traduit d’ailleurs par une
dialectalisation croissante, qui amène les linguists à parler de Englishes plutôt que English”
(Yaguello in Londei-Galli, 2009: 117). It follows that traditional classifications are questioned:
“[…] researchers tend to question basic concepts such as mother language, monolingualism,
bilingualism, multilingualism, and interculturalism” (see Zarate-Lévy-Kramsch, 2010). Dodman
suggests accepting and working on difficult translations of terms as they are beneficial in
131
See Italo Calvino’s antilingua, in "Il Giorno", 1965: Saggi 1945-1985 edited by Mario Barenghi, Arnoldo
Mondadori Editore.
69
complexifying discourses on languages: “[...] é necessario convivere con l’inevitabile confusione
terminologica, vederla come potenzialmente proficua e arricchente” (Dodman, 2010: 5).
It is not easy to gather, for example, under the label ‘English as a mother tongue’ all the people
living in Britain: migrants may not feel English is their mother or even first tongue (see CognigniVitrone, in Kramsch-Lévy-Zarate, eds., 2008: 87-92). Some key-words and labels prove inefficient
to the purpose (see Zarate-Lévy-Kramsch, 2010). To give some examples: mother/native language,
first/ official/ national; second/ foreign; heritage132/ minority133/ ethnic134; indigenized/
institutionalized/ nativized/ new’ (see Jenkins, 2007: 13) language.
Below is a list of the most commonly used labels to categorize the position of English in regards to
a single or a community’s linguistic patrimony and heritage. They have been grouped according to
similarities of meaning (see also Mc Arthur, 2003). The first group refers to the kind of English
commonly considered as ‘the root’, the ‘origin’ of all the other varieties: grammar English and
Oxford English that mean the norm we can find in dictionaries, followed, often as a synonym, by
the geographical EngE, i.e. English English, British English (BrE or BE), ‘South Eastern England
English’ ‘England English’, ‘English of Great Britain’, ‘Anglo-English’. ENL, i.e. English as a
native language, refers to countries in which English is generally recognized as the official/national,
first language in use. The labels ‘the Norm’, RP, i.e. received Pronunciation, BBC English, Queen
English, the King’s English convey the idea of ‘best pronunciation’.
The second group, strictly linked to the first one, contains Plain English and St.E (or SE), i.e
Standard English, when it stands for a simple but correct version of English. Below a definition of
Standard English taken from Wikipedia, as it seems relevant to the present research to define it
clearly:
“Standard English […] refers to whatever form of the English language is accepted as a national
norm in an Anglophone country. It encompasses grammar, vocabulary, and spelling. In the
British Isles, particularly in England and Wales, it is often associated with the "Received
Pronunciation" accent, also known as Queen's English. In the United States it is generally
associated with the "General American" accent. Unlike the case of other standard languages,
however, there is no official or central regulating body defining Standard English”
(http://en.wikipedia.org/wiki/Standard_English)
However, we will see how this meaning proves blurred and slippery when applied to real contexts
of use.
The third group refers to those Englishes spoken as a second idiom, more or less officially, in a
country, but also belonging to the individual: ESL English as a second language, EAL English as an
Additional Language; ESD English as a second dialect; PE Pidgin English. It could match with the
outer circle of Braj Kachru’s model (1985. See below).
The fourth group contains labels of varieties considered more for their practical function or their
position in regards to the other people: the most commonly used is EFL, i. e. English as a foreign
language, followed by IntE, i.e. International English or English as an International language EIL
132
This adjective points to tradition.
Used in the U.S. to refer to immigrant, refugee and indigenous languages as well as former colonial languages See
Wiley, T.G., “The Reemergence of Heritage and Community Language Policy in the U.S. National Spotlight” The
Modern Language Journal 89: 4 (Winter 2005): 594-601.
134
It refers to a group of people focusing on their ‘race’.
133
70
(see Jenkins, 2007) come from the economic field of use. ELF, i.e. English as a lingua franca
conveys the idea of neutrality in communication. ESP, English for special purposes refer to the
specific codes used in the various professional fields.
To conclude, some labels referring to the extreme inner variety and the wide spread of English
around the globe: ELC English Language Complex, WE World English-es and Global English.
We should keep in mind that classifications themselves are never neutral: most of the time they
carry with them heavy burdens built up over the years, due to generalization, over-simplification,
cancellation, disguising, swallowing, oppression, ransom, recognition, etc. Classification has been
generally held over the last thirty years according to the following categorisations: history of a
language spread, causes and consequences, national/regional varieties, special purposes and
registers, institutional status of the language, or its impact on other languages (see Görlach, 2002:
1). Many authors, from different fields of research, have analysed and categorized varieties of
English around the globe (see also Mesthrie-Bhatt, 2009; Jenkins, 2003, Mc Arthur, 2003). Some
types of categorization are mentioned below, in order to show how complex this field of study is.
The hints that follow are not meant to give an exhaustive explanation of categorizations on varieties
of English, rather they provide some brief examples to show the difficulty in identifying variants to
the so called ‘British English’.
Grouping varieties of English could mainly refer to the process of variation, the function of the new
variety or even the outcome of this change (see Görlach, 1991: 14):
-Process: Dialect, mixture, koineization, booklanguage, nativisation, simplification, reduction,
expansion, regularization, pidgination, (de)creolization;
-Function: lingua franca, vehicular, link, trade, plantation language, interlanguage, loine,
written/spoken standard;
-Result-entity: broken, mix, jargon, learner’s language, code-mixing, pidgin, creole, creoloid,
dialect, regional-national standard.
One of the earliest classifications is Streven’s World Map of English (1992:33) dating back to the
80’s, with a clear two branch- diagram of English, with all varieties of English deriving from either
British or American English.
71
Figura 2: Strevens’ ‘World map of English’
(source: Strevens, 1992: 33 quot. in Jenkins, 2010: 17)
This is followed by the US linguist Braj Kachru’s circle model, one of the most influential models
ever: in fact, it is often quoted and referred to also in recent studies as a helpful approach to the
study on varieties of English. (see Kachru’s publications of the 80s; Quirk135, Strang136; Crystal,
1997: 54 and Jenkins, 2010: 19).
Figura 3: Kachru’s ‘Three circle model of world Englishes’
(source: Kachru: 1985 cit: http://matadmissions.wordpress.com/2010/01/07/english-as-lingua-franca-1/ )
135
136
Quirk, R., A grammar of contemporary English, Harlow, Longman, 1972: 3
Strang, B., History of English, London, Methuen, 1970: 17-18.
72
Kachru draws three concentric circles of languages:
An ‘Inner circle’ with the so-called British and American English, including the traditional base of
white speakers of English: UK, USA, OZ, NZ, IR and Malta, English Canada, South Africa and
some Caribbeans.
An ‘Outer circle’ including those nations where English is not the official language, but it is
important for historic reasons e.g. colonisation: India, Nigeria, Philippines, Bangladesh, Pakistan,
Malaysia, Tanzania, Kenya, etc.
An ‘Expanding circle’ containing those nations where English does not play a historical or political
role, but is used as a foreign language or a global lingua franca. This circle includes the rest of the
world.
Still, it presents some weak points: it is based on demographical and socio-political issues, rather
than on speakers’ identity and use; there are blurred areas between the circles, whereas the language
in reality is not so uniform; the circles do not take into account multilingualism and proficiency.
Kachru’s model does not take into consideration the individual speaker’s competence and changes
in interaction.
Joanne Rajadurai (2005)137 argues: “[…] Kachru (1985) himself noted that the concentric circles
may be an oversimplification and that fuzzy areas exist […]. The fact is that the categories are not
necessarily mutually exclusive, as Kachru himself has acknowledged, and grey areas exist between
the circles. Moreover, he has pointed out that languages have life cycles, particularly in multilingual
communities, and the status of a language may shift overall, or even within a given locality”(ibid.).
Seidlhofer points out how much we need to do now to bring about the expanding circle Englishes’
issue, as it was done in the past:
“[…] what this nomenclature shows is how deeply ingrained the notion of nativeness is in any
considerations of language theorising, description and teaching, and hence how urgent, and how
difficult, it is to shed the conceptual straightjacket of English as a native language when tackling
the task of working out appropriate frameworks for EIL […]. It seems that a quarter of a century
after the groundbreaking work on Outer Circle English entered the mainstream, the same
conceptual work needs to be done for Expanding Circle English now” (Seidlhofer, 2003: 14).
The statistics given by Kachru are now very outdated. Nevertheless, his approach helps to introduce
the topic and directs students towards the study of English varieties.
Many other models have followed (see for example Gorlach’s ‘Circle model of English’, 1988).
Tom McArthur has hypothesized an inner circle called ‘World Standard English’, which does not
exist in an identifiable form, while the outer circle shows standard and standardizing forms of
national varieties of English. Each of them has, in his turn, a large number of sub-varieties. In his
opinion there is a common ground of characteristics every variety of English shares with the others.
According to McArthur English is a universalizing language complex138, that is to say English is
inscribed in a set, with a membership of one, but with enough internal variety to form a family of its
own.
137
Rajadurai, J., “Revisiting the Concentric Circles: Conceptual and Sociolinguistic Considerations”, 2005
http://www.asian-efl-journal.com/December_05_jr.php Rajaduraj investigated phonological variation in Malaysian
English as part of her doctoral thesis.
138
Also Mesthrie and Bhatt (2008) talk about a complex, a family, rather than a language with some sub-varieties in.
73
Figura 4: McArthur’s ‘Circle of world Englishes’
(source: McArthur, 1987 cit. Crystal, 1995: 111)
McArthur offers a geographical overview of varieties of English and casts a light on those places
where English is not the native/first/national language. However, his categorization proves still very
crystallized: it considers languages as linked to territories, rather than revealing the active role of its
speakers, especially in situations of mobility. Nevertheless, his circular chart shows British and
American English among the others, not in a position of superiority as they are for example in
Strevens’ branch diagram139.
Moag divides Englishes into 5 types of speech communities (quoted in Görlach, 1995: 21. See also
Görlach, M., 2002: 158):
ENL=English as a native language (e.g. Britain, Canada, USA, OZ, NZ);
ESD=English as a second dialect (e.g. Caribbean countries, for formal, written communication);
EBL=English as a basal language (e.g. certain Caribbean communities, a creole with non English
standard);
ESL=English as a second language (generally inherited from former colonization, see Kenya and
India, as a ‘neutral’ compromise)140;
EFL= English as a foreign language, for international uses and standard functions) (e.g Western
Europe, Japan), language learnt almost exclusively at school.
139
See above.
English is considered as a ‘neutral’ compromise to glue ethnically variegated populations together, for a better inner
and foreign communication and commerce. It is part of a suffered, in part digested and exploited socio-cultural tradition
of colonization. It is also the outcome of specific linguistic policies moving towards the use of English as an
international language.
140
74
Moag focuses on groups of speakers, rather than selecting according to geographical or national
borders. Still, speakers are considered as communities, rather than individuals.
One of the most recent models is Modiano’s “centripetal circles of International English”141, which
proves innovative as he does not take into account the places of speech, but the speakers’
proficiency. Also here scholars raised concerns as to what is meant by ‘proficiency’ (see also
Graddol, 2006: 110 and Jenkins, 2010: 24).
Figura 5: Modiano’s ‘Centripetal circle of International English’
(source: Modiano, 1999a: 25 cit. Jenkins, 2010: 22)
A more inclusive model was developed by Mesthrie and Bhatt (2008) who divide the “English
Language Complex” into subtypes according to combinations of their history, status, form and
functions, into: metropolitan standards, colonial standards, regional dialects, social dialects, pidgin,
creole, English as a Second Language, EFL, immigrant Englishes, Language shift Englishes, Jargon
Englishes, Hybrid Englishes (see also Jenkins, 2010: 97-98).
These classifications are not crystallized: they are valid just for a specific historical period, in a
specific place and they pertain to a specific group of speakers, as the language continuously
changes. It is difficult to label all the varieties of English, both of older and of new formation142.
All varieties retain something unmistakably English, still, they are independent languages. But to
what degree? Görlach indicates some factors to state if a variety is independent or not (1995: 26):
1. the degree of standardization in the spoken and written forms;
2. prestige and users’ awareness of speaking a particular language;
3. range of uses;
4. linguistic distance from the historical ancestor (e.g. from Br. E.) and from neighboring varieties.
141
Modiano, M., “International English in the global village”. English Today, 15(2), 1999: 25.
To give an example, the English spoken in India should be called Indian English or English in India. The HindiUrdu-English complex is one of the most potent Anglo-hybrids.
142
75
Jenkins analyses labels such as L1, L2, FL, official, national institutionalized language, and
EIL/ELF, and claims the classical categorizations ENL ESL EFL are outdated: “[…] the categories
have become fuzzy at the edges and that it is increasingly difficult to classify speakers of English as
belonging purely to one of three” (Jenkins, 2010: 15).
Jenkins lists some problems in categorizing varieties of English (see ibid.: 16), as speakers do not
always fit neatly into one category or another. First of all we have to take into account the fact that:
1. ENL is not a single variety;
2. pidgins and creoles are difficult to position;
3. migration to and from ENL countries influences groupings;
4.the majority of people are bi or multilingual;
5.the classical division into natives – non natives does not consider proficiency in the language
certain non-natives could show143.
There are also discordant views about the issue of the “metamorphosis” (ibid.: 5) of English into
World Englishes. The English-ness (Görlach, 2002) of these varieties is questioned: do changes in
language undermine communication? What is the linguistic and didactic relevance of such changes?
Even though there are certain characteristics that remind us of a variety rather than another, Görlach
wonders “how many features must there be, and how regularly must they be present, to make up an
entity that we would like to call X-ean English?” (ibid.: 159). How homogeneous does it have to
be? What is the difference between dialect and variety? What is the relationship between language
and national identity? How much politics is involved in this process? Are we always aware of these
issues? Another ambiguous term applied to languages is that of ‘competence’: what degree of
knowledge does an individual need to have in order to declare himself or herself competent,
proficient in the language? In what fields does he or she need to be proficient? How can we measure
quality in English production? Do we need to measure this ability?144 The degree of individual
competence lacks a clear definition145.
It is also hard to define what a ‘speech community’ is, as in multilingual contexts it loses its
meaning. Until some decades ago research tended to focus on national varieties or individual
communities, which would be impossible to do today (see ibid.).
The fact is that linguistic heritage is linked to individuals. The status of a language does not say
anything about the quality of the speakers’ English. This is why the above mentioned classifications
are often inadequate, if not for statistic or academic purposes, as they do not take into account the
individual with his or her linguistic patrimony (see Görlach, 2002: 9).
New varieties of English still look for a neat definition, as for example ‘international English’: a
vague term, as it is sometimes called ‘world English’, ‘English as a world language’ or ‘global
English’, depending on the aspect we want to highlight. How is it possible, then, to make a
language ‘standard’? We need a grammar and a dictionary to enhance a language to that status.
Kachru says “The compilation of dictionaries for the non-native varieties of English is a crucial first
143
See those countries like the Scandinavian Peninsula in which English has been adopted not only a san international ,
but also as an INTRA-national lingua franca with remarkable results.
144
Knowing the language does not mean only production but also, for example, comprehension. See Dodman, 2010.
145
The CEFR tries to give guidelines in order to establish the degree of competence a person has in a language. Still,
such categorizations need revision and enrichment (see chap.1.3 of the present research).
76
step toward their standardization” (ibid., 1991: 40). However, is it that important to standardize
varieties of English?146
A brief analysis follows on three macro-groups of varieties of English, from the ‘Post-colonial
Englishes’ to the so called ‘New Englishes’.
We do not intend to give an exhaustive description nor a neat classification of Englishes, rather we
aim at raising some crucial issues concerning English-es and identity.
2.3.2 Post-Colonial English
To give millions a knowledge of English is to enslave them
(Gandhi)147
Bhabha entitles a passage of his book: “Il tempo inglese” saying: “Geografie immaginarie che si
estendono per paesi e imperi stanno cambiando” (Bhabha, 2001: 235). The identitary reconstruction of post-colonials spins around languages in a complex framework made of individual
and societal plurilingualism and pluriculturalism. Bhabha admits the ‘frangments’ of a vase remain
frangments, that is, the connivance in complexity and the acceptance of past oppression are not so
easy to conceive, still, they belong to the same story, to each person’s existence. You can see the
scars, but you recognize the shape of the vase anyway. The ‘splinters’ belong to the same vase, still
keeping their individuality: “[…] alle forme olistiche di spiegazione sociale, così, la prospettiva
postcoloniale oppone la consapevolezza della maggiore complessità assunta dai confini culturali e
politici al di là di universi politici spesso opposti fra loro” (ibid.: 239).
Today we refer to the former British colonies as the Commonwealth of Nations; comprising of 54
member states, the Commonwealth somewhat mirrors the composition of the former British Empire
in which the Queen is still the head, but governing de facto just 16 realms, while the others are
republics or monarchies with their regents148. There have been in history two great dispersals of
English: the first one regards English exported to North America, Australia and New Zealand
basically from the British Isles (see Jenkins, 2010: 5-9 and Mc Arthur, 2003), and these Englishes
are today worldly renowned and accepted as standardized varieties of English (see MarckwardtQuirk, 1964). The second migration movement occurred during the 18th and 19th Centuries to Asia
and Africa, the latter one mainly linked to the slave trade, followed by explorations. In Asia arrived
the East India Company, mainly to south Asia149.
Even though such varieties share their past as British or American Colonies, over the years they
developed their peculiarities, in terms of accent, vocabulary, expressions, culture, discourse
strategies that made them varieties of English, rather than sub-categories. However, the common
assumption was that the colonized were inferior. According to Jenkins (2010), value judgments
influence the life and spread of certain varieties rather than others. Negative attitudes towards
certain varieties definitely dig their roots back to the colonial past: “One major legacy of the two
146
Apart from classifications, there is growing recognition of such different forms of English, all worth respect.
Gandhi, M., 1908.
148
See the official website of the Commonwealth of Nations http://www.thecommonwealth.org/
149
The latter territories mentioned attract our interest as the issue of these varieties of English is still object to heated
debate today.
147
77
diasporas of English is the assumption of the inferiority of the indigenous language, culture, and
even character of the colonized, alongside the assumption of the superiority of the colonizers and
their language” (Jenkins, 2010: 56). Up to not long ago, roughly till the 70s, varieties of English
spoken in the colonies were considered as ‘bad’ English when they tried to distance themselves
from the British standard. A feeling called ‘cultural cringe’ used to pervade Australia, a complex of
inferiority in regards to the mother country’s idiom and ‘level of civilization’. Little by little, with
the dismantling of the British Empire, many countries have proudly started to celebrate their
uniqueness. In recent times L2 varieties of English have started to be recognized, gaining
confidence, starting to codify their local idiom150.
However, the independence or autonomy of most former British colonies from the Empire has not
meant a reduction or a disappearance of the English language in those territories, quite the contrary.
After colonization states have chosen to keep English alive as their ‘window on the world’(see Mc
Arthur, 2003: 310), giving it the leading role of official code, or exploiting it as an education
formula, a legal, an administrative, an economic, a military or even just a media language151:
“English is beginning to function independently, without the participation of nation speakers, for
the use and benefit of nonnative speakers” (Phyllis Ghim-Lian in Graddol-Meinhof, 1999: 42).
To give some examples: Hindi became the official national language in India in 1950 and the
English language remained in use for other fifteen years, in order to support political and economic
missions. However, due to the fact that not all populations welcomed Hindi, in 1967 English was
declared an official ‘associate’ language. In fact, English has been used in many countries as their
first official language, due to political reasons, but also because of the feeling of usefulness and
success that English brings with it.
In Nigeria English is not perceived anymore as the imperial language, and its population learns the
language willingly for pragmatic reasons (see Phyllis Ghim-Lian Chew, 1999: 42). Different is the
case of Hong Kong population, who still aspire to the British model (see Jenkins, 2010: 155).
Today there are conflicting attitudes towards what was the coloniser’s idiom, passing through deep
identity crisis.152 A productive potential has blossomed inside the confusion of languages of these
Countries, and English is part of that jigsaw, whether as a presence or an absence. The situation in
the English-speaking world is more complex than a mere two language contact: the language of the
colonizers has not been radically rejected, quite the contrary. English has also meant modernization
and westernization, providing a charge of potential as the highway to success and wealth. Influential
voices support the idea that the populations of the former colonies can attain final liberation only by
appropriating it: “conquer English is the only way to make us free” declared the British-Indian
writer Salman Rushdie (1991: 29)
There is a shift from the original dualism coloniser-colonised, to a deeper, internal difficulty in
determining confines:
150
See for example Australia and Canada, that celebrate and promote their national variety of English so their
uniqueness, through dictionaries, logos, children’s books and gadgets.
151
Jenkins (2010) clarifies what she means by pidgin, a ‘contact, improvised language’, and creole, a more stable, new
first language of a community.
152
See for example Native Americans, Indians, etc.
78
“Non si tratta del sé coloniale o dell’Altro colonizzato, ma della quietante distanza inter-media
che costituisce l’immagine dell’alterità coloniale – l’artificialità dell’uomo bianco inscritta sul
corpo dell’uomo nero […]. Proprio nel rapporto con questo oggetto impossibile emerge il
problema liminare dell’identità coloniale e delle sue vicissitudini” (Bollettieri Bosinelli-Di
Giovanni, 2009: 67).
‘The Empire writes back’, and we can no longer talk of voices from the edge, as that margin
emerges often becoming a leading voice. In recent times a rich production of hybridized literature
has flourished, often written in English, dealing with the multifaceted identity of the post-colonials
(see ibid.; Bhabha, 2001; Trivedi, 2005; Glissant, 1998). Varieties of English spoken in the former
British colonies are often regarded as ‘New Englishes’ or ‘Post colonial Englishes’ and their
literature has been defined as ‘Post-colonial literature’, or ‘Commonwealth literature’153. Many
authors who belong to the reality of post-colonialism question this label, as in fact they live a
conflicting relationship with their colonisers’ idiom. They belong to it but at the same time they
often refuse it as a step-tongue154, a source of sorrow: “L’effetto di mimetismo/imitazione
sull’autorità del discorso coloniale è profondo e perturbante; ‘normalizzando’ lo stato o il soggetto
coloniale, il sogno della civiltà postilluminista aliena infatti il proprio linguaggio di libertà e crea
un’altra consapevolezza delle proprie norme” (Bhabha, 2001: 124). English is felt both as internal
and external to the subject (Ibid.: 204), belonging to and imposed to him or her.
The oxymoron ‘intima alienazione’155 fully evokes this kind of painful internal crasis156. Still, many
authors have found their ‘Third Space’, a place for their hybrid identity made of English and their
home culture, in translation (See also Hoffman, 1989), in writing:
“I am Indian, very brown, born in
Malabar, I speak three languages, write in
Two, dream in one. Don’t write in English, they say,
English is not your mother tongue. Why not leave
Me alone, critics, friends, visiting cousins,
Everyone of you? Why not let me speak in
Any language I like? The language I speak
Becomes mine, its distorsions, its queernesses
All mine, mine alone. It is half English, half
Indian, funny perhaps, but it is honest,
It is as human as I am, don’t. You see?”157
Salman Rushdie maintains anti-English attitudes of post-colonials are useless, as the latter can
reshape their own space despite, or within, English language:
153
See Salman Rushdie’s essay “Commonwealth literature does not exist” saying: “the English language ceased to be
the sole possession of the English some time ago” published in Imaginary Homelands and quoted by Crystal, 1997:130.
154
See Gupta, A. F., The Step-tongue: children’s English in Singapore, Clevedon: Multilingual Matters, 1994.
155
Jhumpa Lahiri in her essay “Intima alienazione: letteratura degli immigrati e traduzione” laments “ [...] mi hanno
definito scrittrice americana, indiana-americana, autrice di origine britannica, anglo-indiana, NRI (ovvero non residente
in India) e infine anche ABCD (in note: American-born confused ‘desi’)” (in Bollettieri Bosinelli-Di Giovanni, 2009:
463).
156
There is a vast literature about. I will mention here some of the most recent authors, such as Zadie Smith, Meera
Syal, Toni Morrison, Rizard Kapushinski. See also Kristeva, J., Stranieri a se stessi, Milano: Feltrinelli, 1990.
157
Das, K, The Old Playhouse and Other Poems, New Dehli, Orient Longman, 1973 (quoted by Mc Arthur, 2003: 311).
79
“I don’t think it is always necessary to take up the anti-colonial – or is it post-colonial? –
cudgels against English. What seems to me to be happening is that those peoples who were once
colonized by the language are now rapidly remaking it, domesticating it, becoming more and
more relaxed about the way they use it. Assisted by the English language’s enormous flexibility
and size, they are carving out large territories for themselves within its frontiers” (Rushdie,
1983)158 .
Chinua Achebe suggests “The African writer should aim to use English in a way that brings out his
message best without altering the language to the extent that its value as a medium of international
exchange will be lost. He should aim at fashioning out an English which is at once universal and
able to carry his peculiar experience” (Achebe, 1975, quoted by Görlach, 1995: 34).
Plurilingualism seems the answer to fragmentation. And translation159 a choice of survival for plural
identities. We wonder to what extent the personal experience belongs to and reflects the broader
cultural discourse of a society. It is interesting to note what changes, what mixes, what is selected,
what is omitted in this sort of auto-translation. Even a silence is evocative in this case.
2.3.3 New Englishes
The expression ‘New Englishes’ started to be employed in academic contexts around the Sixties
(see Crystal, 1997: 131). The following definition is taken from Wikipedia:
“According to Tom McArthur (1992), New Englishes is a term for ‘recently emerging and
increasingly autonomous varieties of English, especially in a non-western setting, such as India,
Nigeria, or Singapore’. It refers to varieties of English in countries where English is an official,
but not necessarily the first language of all inhabitants. The term is used in contrast with the socalled Anglo Englishes or Older Englishes: the varieties of English spoken in the United
Kingdom, the United States, Canada, New Zealand and Australia. However, the term is
sometimes also used more broadly to refer to all varieties of English except for those spoken on
the British Isles” (Wikipedia: New Englishes).
According to other researchers NEs160 are used in plurilingual and pluricultural societies which do
not belong to the British past of colonies. NEs would tend to play complementary roles, becoming
the first language in certain social spheres, supplying functions for the indigenous languages, which
are relegated to the domestic sphere161.
Again we face the fact that classifications are too reductive or too redundant to give a clear
definition of these varieties. Nevertheless, New Englishes are a reality under everybody’s eyes, and
ears, they are filtering into people’s everyday life alongside their first language. It is not surprising
that, due to the huge spread of English around the world, English has started to be referred to as
Englishes, developing variants according to each context.
158
Salman Rushdie, Indian–born British author. "Commonwealth Literature' Does Not Exist," Imaginary Homelands
(1991, first published 1983) quoted by Crystal, D., 1997: 136.
159
Many ask themselves: ‘Traduzione = tradimento?’ Is Translation an intervention? Eco believes the plurilingualism of
the future relies in translation.(quoted by Haberland, 30, 2009).
160
NEs stands for New Englishes.
161
See “The non-Anglo Englishes” in Kachru, The Alchemy of English, 1986; Clifford Prator in The British heresy in
TESL (1968) provides a good example of linguistic purism and linguistic intolerance’ (also quoted in Kachru 1968:
100).
80
According to Jenkins (2010: 6) we could divide such varieties into ‘new’ and ‘New’ Englishes. The
adjective ‘new’ refers to those varieties that derive from the ‘first diaspora’, that is the division from
the ‘British Mother Country’, as for example North America, Canada, Australia, New Zealand (see
ibid.: 24-25). These idioms are direct descendants of British English, and they are spoken mainly as
mother tongues. The varieties defined as ‘New’ belong, instead, to the so called ‘second diaspora’,
which occurred later on, as in India and Philippines and are learnt as second languages. The author
insists in considering New Englishes as varieties, not as sub-categories, or, even worse, incorrect
derivations from native English162. Some consider variations as innovations, others talk about
interlanguage163, fossilized language164, or even errors.
Basically, Jenkins, (referring to Plat, 1984: 2-3) states a New English, despite its peculiarities, in
order to be called so, has to fulfill four main criteria (see Jenkins, 2010: 25-26):
-the area in which it developed is not ENL or ESL;
-the education system has helped its spread through apt linguistic policies;
-it is used for a variety of functions;
-it has been nativized by changing some language features and adapting them to the local patterns.
Bamgbose (1998:3-4, quoted in Jenkins, 2010: 26) adds ‘status’ as an important factor of
recognition of New Englishes, and most of all ‘codification’, i.e. if it appears in dictionaries and
grammars, and ‘acceptability’, i.e. attitudes towards it.
Of course all NEs share something with their ‘ancestral home’, i.e. Britain, as Chinua Achebe calls
it (see ibid.: 26). Still, it is questioned whether they are “legitimate or illegitimate offspring of
English” (ibid.: 71). Mufwene questions the idea of the offspring of Englishes from English, as it
would imply that they share a common spring, and that a mother language gives birth to a daughter
language, without taking into consideration contact features and previous languages. Sharing a
common origin, moreover, does not guarantee mutual intelligibility165.
If the question some years ago was whether it was the British or the American model to prevail over
the other, today New Englishes nullify this question, as they grow, expand, hybridize, and develop
their own rules. NE speakers do not necessarily aspire to attain the British model nor Older
Varieties. Certainly they are manipulations from an original English, but they deviate from it to
express new concepts which the basic English language could not supply.
NEs share internal rules and meanings for their speakers and are systematic in their own way.
Gorlach quotes Jowitt:
162
The situation is not so clear even for ‘new’ Englishes. In fact, only recently Australian English has started to be
recognised and ‘canonised’ as a variety of a language with its own rules and rights.
163i.e. going to reach the Standard.
164
i.e. when the speaker has poor knowledge of native language structures, vocabulary, etc. and uses just what he/she
knows of it.
165
It is curious to note how different vocabulary and accents are in various countries in which English is considered
‘standard’. see Australia, USA, and Britain, for example.
81
“[…] New English lexis has a tendency to stylistic homogeneity. This means the prevalence of
an abstract, impersonal, formal style […] The fact that English has been available for many
generations and that videos and films provide models for colloquial English (not always of the
British brand!) as an alternative to school English is likely to have made the problem less severe
than it may have been, say, fifty years ago” (Görlach, 1995: 44).
Kachru talks about ‘transplantation’, ‘indigenisation’ and ‘nativizaton’ (Kachru, 1986). Also the
label ‘deviation’ is often used alongside other terms like ‘interference’, ‘aberrancies’, ‘transfer’,
‘simplification’, with highly negative connotations, which suggest that NEs are the result of
imperfect learning and that speakers of NEs are perpetual non-native speakers. Negative evaluations
are pervasive in the description of NEs166. Some examples below:
-NEs cannot legitimately be equated with ‘mother tongue’ languages;
-they are mastered only by a minority who has ‘a very imperfect command of only a limited portion
of the language’;
-they are used in a restricted range of situations (see Marckwardt-Quirk1964; Prator, 1968);
-they are not coherent, homogeneous, stable linguistic systems;
-each individual personalizes these varieties according to his or her linguistic background and
patrimony;
-they are often not intelligible;
-the end-product is a ‘pidgin’ or ‘jargon’ which is ‘nobody’s language’, fossilised ‘interlanguages’
(Pride) an imperfect imitation of imitations the original model;
-they are ‘L2s’ which do not have ‘a status equal to those varieties of English which are used as
primary or first languages’.
However, Jenkins (2010) outlines a more formal and detached portrayal of what a NE is:
-“it has developed through the education system”, taught as a subject or used as a medium of
instructions;
-it has developed in an area where a native variety of English was not the language spoken by most
of the population;
-it is used for a range of functions among those who speak or write it in the region where it is used”
(22).
Jenkins cites many authors who provide criteria according to which we can identify if a variety of
English is to be considered as such. The first categorization comes from Platt, Weber and Lian, who
talk about ‘use’, ‘area’ ‘functions’, ‘evidence’ and ‘status’. Llamzon, instead, labels his categories
according to ‘ecological’, ‘historical’, ‘sociolinguistic’ and ‘cultural’ features. Bolton adds also
‘linguistic’, ‘political’, ‘attitudinal’ evidence. Bamgbose gives a checklist: demographic,
geographical, codification (if it appears in grammar, dictionaries, in written form), authoritative (if
teachers or publishing houses have sanctioned it), acceptability (see also Jenkins, 2007: 13). The
main point made by Jenkins is that of LEGITIMACY according to which the political recognition
166
Clifford Prator’s article ‘The British heresy in TESL’ (1968) provides examples of linguistic purism and linguistic
intolerance’ For a list of negative evaluations of NEs see also: http://courses.nus.edu.sg/course/elltankw/history/
82
and linguistic policies that derive count more than the real mastering of the language on people’s
part.
Graddol, in The future of English? (2004: 1329-1331) considers the high variety of Englishes as a
form of plurilingualism in itself, heading to the formation of new languages: “However, while we
lose older, rural languages, new urban hybrid forms may help maintain global diversity […] new
hybrid languages-just as hundreds of new forms of English have already been spawned around the
world” (ibid.) The author foresees a global multilingualism influenced by Englishes: “English will
indeed play a crucial role in shaping the new world linguistic order, but its major impact will be in
creating the new generations of bilingual and multilingual speakers across the world” (ibid.).
We cannot deny the fact that New Englishes exist, and they are spreading with personalized, hybrid,
and sometimes relaxed (see Crystal, 1997)167 forms of English around the globe.
2.3.4 English as a lingua franca
“[…] è concepibile che una delle grandi lingue nazionali dei tempi moderni come l’inglese […]
possa, a tempo debito, trovarsi nella posizione di lingua internazionale di fatto,
senza che sia stato fatto alcun tentativo consapevole
di porla in tale posizione”
(E. Sapir, 1949) 168
Today there are more non-native speakers of English than native ones. And their number keeps
growing (see Jenkins, 2010, 2-4). How has English become so widespread? How did it gain this
position? Why English and not other languages? Is it not due to its easiness, as its grammar and
phonetic rules are not so easy to grasp. Is it not even due to other aesthetic intrinsic characteristics,
as it doesn’t sound better than the others (see Crystal, 1997).
Some researchers adduce it to a positive attitude towards a language considered as the key to
success: “English is influential and popular worldwide because this brand of language connotes
pleasure, employment, influence, and prestige. English opens doors, it facilitates mobility”
(Philippson 2003: 7). Others consider its linguistic apparatus, so crossbred, naturally prone to give
voice to speakers around the globe: “Le caractère hybride et flexible de l’anglais (qui n’implique en
rien que la langue soit ‘facile’) lui confère les vertus d’un Esperanto naturel” (Yaguello, 2009: 117).
Crystal says English happened to be in “The right place at the right time” (1997: 110).
English has taken up the role of one of the most widespread international languages in the world. It
has gone far beyond its colonial status. It has become for many a symbol of modernity, prestige,
success, youth, global communication: “Its prestige is unchallenged in the media and the
entertainment industry worldwide: the number of music bands singing in English instead of their
mother tongue clearly shows the appeal of English, as does the number of people drawn to it as the
language of their idols”. (European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 25).
We could trace several intertwining reasons why English gained this position in the world, as its
167
Crystal employs the term “relaxed”, to allude to incorrectness, or not orthodox changes in grammar, style, use, etc.
but he admits this is the price English has to pay to be a globally used language, the language of everybody.
168
Sapir, 1962, or. 1949: 35, quoted here as a prophecy.
83
history, its internal changes169, political and economic choices, above all USA’s dominant position
in business, but also due to practical reasons, such as air traffic, tourism, communication, etc. Not to
mention intellectual reasons, i.e. scientific, academic research, entertainment, music, media, etc170.
Attitudes towards the spreading of this language as a ‘Lingua Franca’ are various and discordant:
“While some have seen ELF171 as common sense, even democratic, others have been outraged by
the notion that there could be any challenge to the authority of British and American English
standards in the Expanding Circle” (Jenkins, 2010: 148, reporting comments on ELF variety).
Others believe it is an imperialistic plan on the English speaking countries’ part.
Widdowson (1997:139-140) perfectly summarizes many scholars’ view over ELF’s life and
developments:
“English as an international language is not distributed, as a set of established encoded forms,
unchanged into different domains of use, but it is spread as a virtual language. When we talk
about the spread of English, then, it is not that the conventionally coded forms and meanings are
transmitted into different environments and different surroundings, and taken up and used by
different groups of people. It is not a matter of the actual language being distributed but of the
virtual language being spread and in the process being variously actualized. The distribution of
the actual language implies adoption and conformity. The spread of virtual language implies
adaptation and nonconformity. The two processes are quite different” (ibid.).
It is considered as a non-invasive lingua franca along with the others: “If you ask me what would be
an ideal future, it would be one where there is an accepted, non-invasive, world language available
to millions, with a culture of language learning which understands the richness that language
brings” (Interview with Julian Amey in Graddol- Meinhof, 1999: 18).
The very concept of ‘Lingua Franca’ must be set in a specific time and space, in historic
perspective172.
The European Directorate-General for Translation aimed at analyzing this phenomenon from the
synchronic and the diachronic point of view in order not to judge it or embrace it, rather to see what
good points are there and what we need to be aware of. First they make clear that English is just
ONE of the many linguas francas that have succeeded in the years173. A lingua franca is a contact
language used among people who do not share a first language so that English is not the only lingua
franca ever in history, not at present time either (see European Commission Directorate-General for
Translation, 2011). In the centuries, people have always felt the need to communicate and
169
Britain gained stability earlier than other European countries.
See Crystal, 1997, chapter 2 “Why English: the historical context” and 3, “Why English: the cultural foundation”. In
Crystal’s opinion a lingua franca is necessary to communicate in a fast and efficacious way, also because of today’s
high physical and electronic mobility and communication. Still, he believes it woud be a disaster if it were to remain the
only one. As the main language of new communication channels, such as blogs and social networks, it has even allowed
the opponents of totalitarian regimes to make their voices heard worldwide in spite of the harsh censorship put in place
by such governments to crush and silence them (See also European Commission Directorate-General for Translation,
2011: 25).
171
i.e. English as a Lingua Franca (my note)
172
History has shown that not necessarily the same language brought homogenization or peace we should not take this
role of vehicular language for granted.
173
The document talks about a very simplified language, which is not necessarily true. In fact every day we read news,
articles, etc. in plain, hybridized English, but its oral character is much more complex than it sounds at first sight. The
study gives some brief examples of linguas francas from the past and today: Latin and Greek, followed by Spanish,
Portuguese, French, Arabic, German, etc. Linguas francas are not only a European prerogative, but also of other
continents.
170
84
understand each other: it is the quest for a perfect language to overcome the confusion of Babel
(See Kramsch- Lévy-Zarate, eds., 2008, chap. 8). While it surfaces regularly throughout history, the
utopia of a common language to promote mutual understanding and global peace largely came to
the fore in the 19th century, when the triumph of national languages destroyed the previous
situation characterised by great fluidity and multilingualism.
Jocelyne Dakhlia in her inspiring work Lingua franca (quoted in European Commission
Directorate-General for Translation, 2011: 7-8) lists three different meanings:
-in general it refers to a shared en-code (as musical vocabulary could be);
-it could be a mixture of many languages whose existence is limited in time ;
-from the linguistic point of view, it is the language of a group of people, becoming a vehicular
language through contacts. This is the case of English.
To our purpose, we should not confuse between natural languages used as linguas francas and
constructed languages (see ibid.: 23)174.
The rise and spread of English is often compared to Latin, and its consequent fall foreseen as many
other linguas francas did175. However, the comparison is not really pertinent, even though among
scholars it still has some success. The Observatoire Européen du Plurilinguisme176 notes how Latin
wasn’t spoken by any nation in particular, but by some social classes; it was always followed by
vernacular languages, those the common people could understand. Moreover it remained quite fixed
and didn’t have any transformation in the centuries (see also Crystal, 1997: 5).
We must highlight the general characteristic of a lingua franca, i.e. its ‘non-territoriality’, as a
‘language for communication’ and not a ‘language for identification’177, a ‘language of
compromise’ which helped overcome otherness while at the same time underlining it. This way
people could communicate without intermediaries in a neutral way, still showing each other’s
differences178.
English is original in this way as it is used by specific communities, and is alive and changing, but
somehow it too disanchored from its original territories:
“Elle [la lingua franca] s’affranchit (franca) donc de ses points d’ancrages originaux, pays ou
nations, et devient un ‘outil vraiment transcommunautaire ou transnational’ (W. Frijhoff, 2010:
41). Ceci est vrai des langues (semi)classiques qui ont été et qui sont toujours utilisées comme
lingua franca telles le latin ou l’arabe coranique [...] En revanche, une langue moderne, vivante,
utilisée comme lingua franca est ancrée dans le temps et véhicule aussi une image de celui qui la
parle ; son universalité est amendée par une temporalité bien réelle qui la rend particulière”
(Anquetil, M., referring to M-C Kok Escalle’s dialogue with L. Briscese in Lévy, 2010: 284).
174
Among the myriad of experiments in search for the perfect ‘lingua universale’, Esperanto is undisputedly the most
successful. Invented in the late 1870s by Dr. Zamenhof, a Jewish Polish ophthalmologist and linguist, Esperanto is
highly regular, uses a modified Latin alphabet, a predominantly Romanic vocabulary, and makes extensive use of
prefixes and suffixes (see European Commission Directorate-General for Translation, 201: 22).
175
See articles related to Nicholas Ostler, linguist and author of the book The Last Lingua Franca: English Until the
Return of Babel in AA. VV., “English as she was spoke”, 2010; Peschel 23/12/2010.
176
See the notes from the Observatoire européen du plurilinguisme, 39, janvier-février 2011.
177
To use Juliane House's terminology.
178
See for example French in Maghreb (European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 20-21).
85
However, the most striking peculiarity about English is its huge and capillary spread with no
precedents. Native speakers have lost the right to control the language and should acknowledge that
“as ever increasing numbers of people learn English around the world, it is not just ‘more of the
same’. There is a new model. English is no longer being learnt as a foreign language, in recognition
of the hegemonic power of native English speakers” (Graddol, 2006: 19). It belongs to everybody
and nobody at the same time and no longer embodies a single culture, the Western Judaeo-Christian
culture (see ibid.: 28-29). The new language which is rapidly ousting the language of Shakespeare
as the world’s lingua franca is English itself – English in its new global form. As this book
demonstrates, this is not English as we have known it, and have taught it in the past as a foreign
language. It is a new phenomenon, and if it represents any kind of triumph it is probably not a cause
of celebration by native speakers (see ibid.: 11).
There are scholars from the inner, but also – which is even more striking – from the outer and
expanding circle (referring to Kachru’s distinction, 1985), who do not recognize ELF as a variety
with its own rights, and they always need to refer to the native speaker model to feel legitimized179.
Others, like Seidlhofer, admit that recognizing varieties enhances and safeguards also native
speakers’ varieties: “the option of distinguishing ELF from ENL (English as a native language) is
likely to be beneficial in that it leaves varieties of native English intact for all the functions that only
a first language can perform” (Seidlhofer, 2004: 229). Seidlhofer lists 5 major misconceptions
spinning around the issue of ELF: it does not take into account varieties, it does not tolerate
plurality, it aims at precise rules, it is a monolithic variety, it should be imposed to all non native
speakers (quoted in Jenkins, 2010: 206-207).
Professor Jenkins, an expert in issues related to English language and identity today180, offers a
deep and sensitive study of English as a lingua franca, starting from Sheidlhofer’s, McArthur’s and
Trudgill’s works. Basically, “it is English as it is used as a contact language among speakers from
different first languages” (ibid.: 143)181. It is a ‘variety’ which, according to Jenkins, exists “in its
own right” (Jenkins, 2007: 2), which implies a speaker can reach a proficiency level in it, and he or
she can make it his own language. It is not a simplified sub-category of British or American
English, rather an enhanced, hybridized variety which allows people to communicate. The native
speakers can be referred to as points of reference, but not as models, since ELF has a more
transcultural character. The author maintains that there is a sociocultural background also for a
lingua franca: “ELF is a sociocultural context of the English language every bit as much as ENL is”
(ibid.: 238 and 240) 182. As the other languages, it presents high, medium and low social levels (see
Mc Arthur, 2003: 413): the acrolects are standard and educated, generally viewed as good and
correct. Then there are the mesolects and the basilects, the latter generally seen as incorrect,
uneducated, broken, bad.
Jenkins follows: “Not only has ‘English’ become international in the last half century, but
scholarship about English has also become international: the ownership of an interest in English has
179
Jenkins gives evidence of the negative approach some scholars have towards ELF, including Trudgill and Quirk and
Görlach (see Jenkins, 2007: 8-13).
180
See Jenkins’ web page from the University of Southampton where she is Chair of Global Englishes and Director of
the Centre for Global Englishes, in order to browse her field of studies: http://www.soton.ac.uk/ml/profiles/jenkins.html
181
Studies on ELF in communication start in 1990s to detect how much, despite deficiencies, communication proved
successful.
182
Many scholars are trying to see the ELF speakers as a community with its own, even if hybrid, identity. The author
wonders to what point the varieties of ELF spoken in the world share elements.
86
become international. We are no longer a language community which is associated with a national
community or even with a family of nations such as the Commonwealth aspired to be. We are an
international community” (Brumfit 1995:16 quoted in Jenkins, 2010: 38).
Jenkins wonders if one day there will be also hierarchies within the ELF pattern. According to the
author the issue of ELF urgently needs to be addressed, in relation to attitude and identity studies.
The chart below by Jenkins (2010: 144) shows the differences between EFL/ELF:
EFL
ELF
Part of modern foreign languages
Part of World Englishes
Deficit perspective
Difference perspective (Some authors still
believe ELF is a basilectal variety used only in
certain contests, i.e. internet, by low proficient
English speakers)
Metaphors of Transfer/interference/fossilization
Metaphor of contact/evolution
Code-mixing and
interference errors
switching
are
seen
as Code-mixing and
bilingual resources
switching
are
seen
as
Tabella 4: EFL and ELF
(source: Kirkpatrick 2007b cit. Jenkins, 2010: 144)
Jenkins does not address the language for identification, rather for communication (see also the
European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 32). The concept of “community
of practice” defined by Etienne Wenger in 1998 “has gained wide currency in ELF literature
because the three features identified by Wenger to characterize a community of practice — mutual
engagement, co-negotiated enterprise, shared repertoire of negotiable resources — can perfectly suit
ELF” (ibid.).
As a natural consequence the world is led to refer to the language “gatekeepers” (see Jenkins, 2007:
239), those who take the policy decisions183, and choose what is good or bad about a language, thus
legitimating or not a certain attitude towards a variety. To reflect this new situation, the concept of
‘English as a lingua franca’ (ELF) has emerged, mainly to replace the concept of ‘English as a
foreign language’ (EFL): “The concept of English as a lingua franca ‘dethrones’ the native speaker
(NS) and defines the goal of English learning as the ability to communicate successfully with other
non-native speakers (NNS). […] we are facing a completely new phenomenon, which must be
tackled with new and specific means, notably in terms of language teaching and learning”
(European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 28).
183
See institutions, universities, examination boards, publishers, etc, those who transmit a certain linguistic ideology.
87
As David Graddol asserts in his recent study on the future of English, English Next184, “teaching
and learning English as a lingua franca (ELF) is probably the most radical and controversial
approach to emerge in recent years. It squarely addresses some of the issues which global English
raises” (Graddol, 2006: 87). He calls for a redefinition of the traditional tenets in this field and, in
particular, of the issue of “ownership”, i.e. who is entitled to set norms and pass judgments on
language usage. If the distinction between native and non-native speakers fades into the
background, the right of native speakers to claim ownership of the language is also called into
question. Under the EFL approach, English becomes a global asset belonging to all users, regardless
of whether it is their mother tongue […] Its supporters’ objective is not to replace local languages
through this new English, but to reserve it for specific situations and enrich it through the native
languages and cultures of all its speakers” (European Commission Directorate-General for
Translation, 2011: 28 and 47).
Jenkins detected a Lingua Franca Core, focusing especially on pronunciation, in which non
nativeness is not a limit, rather a resource185. Seidlhofer points to the fact that such speakers “are
not primarily concerned with emulating the way native speakers use their mother tongue within
their own communities, nor with socio-psychological and ideological meta-level discussions.
Instead, the central concerns for this domain are efficiency, relevance and economy in language
learning and language use… people need and want to acquire the instrument ‘English’ whatever the
ideological baggage that comes with it” (Seidlhofer, 2001: 141).
Another study on ELF worth mentioning is VOICE186, i. e. the Vienna-Oxford International Corpus
of English, built up by the Department of English at the University of Vienna. It is considered as
one of the most important projects in the field of ELF(see also Jenkins, 2007: 39). It is a structured
collection of language data, the first computer-readable corpus capturing spoken ELF interactions.
To date it contains approximately 1 million words from conversations on various topics, sometimes
pre-arranged, among non-native adults of different social backgrounds and education, whose
primary education was not in English187. Such corpora showed richness in expressions, even
idioms, despite fears of flatness and homologation on their part: “Contrary to expectations,
however, the available data show that it can be a supple and creative tool through which speakers
express their personality, culture and emotions” (European Commission Directorate-General for
Translation, 2011: 31). The aim of the VOICE project is an in-depth linguistic description of the
common contemporary use of English. It is free of charge and accessible by researchers all over the
world. Even if it is not its main concern, The VOICE project is likely to have implications also on
teaching188.
184
It is a report commissioned by the British Council in 2006 as a follow-up to a previous report published in 1997, The
Future of English? in which Graddol draws a detailed picture of the changes affecting English as a global language,
without triumphalism nor a priori monolithic recipes.
185
Numerous studies have highlighted recurrent features in ELF speech acts” (European Commission DirectorateGeneral for Translation, 2011.: 30).
186
VOICE was founded by the Austrian Science Fund (FWF). These funds were further supplemented by a contribution
from Oxford University Press in 2008. Supporting funds were also provided in the early pilot phase by Oxford
University Press and by the Hochschuljubiläumsstiftung der Stadt Wien. See the Vienna ELF corpus compiled at
Vienna University as part of the Voice project: VOICE. 2011. The Vienna-Oxford International Corpus of English
(version 1.1 XML). Director: Barbara Seidlhofer.
187
“English as a lingua franca is a hybrid tool for communication which develops through the participation of all
interactants on an equal footing” (European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 30).
188
Still, this is not the first scope of the VOICE project.
88
Seidlhofer’s and Jenkins’ final goal is not really to over-impose ELF to Native Englishes or, even
worse, over the other languages, but rather to raise awareness of this issue and the consequences
promanating from employing such a lingua franca. Their aim is: “[…] raising all English learners’
awareness of the global roles of English, and of the effort that everyone needs to make to achieve
global communication” (Seidlhofer 2006, quoted in Jenkins, 2007: 20), but also: “[…] there is no
intention among ELF researchers to patronize learners by telling them that they do not need to learn
native-like English […] ELF researchers merely suggest that learners should be put in a position to
make an informed choice by means of having their awareness raised of the sociolinguistic,
sociopsychological, and sociopolitical issues involved” (ibid.: 21-22).
McArthur concludes: “In any comprehensive approach to the teaching and learning of English by
students of any kind worldwide, awareness of such matters as rhoticity and non-rhoticity, stress
timing and syllable-timing, spoken prose, the nature of standardness in language, and the link
between a World standard and the printed word can safely be described as fundamental” (Mc
Arthur, 2003: 451).
Many people foresee its decline, as all the other linguas francas did. Nicholas Ostler, analyzing a
wide range of past linguas francas189, acknowledges the international role presently played by
English, but believes that this very role is its main weakness: “The decline of English, when it
begins, will not seem of great moment” (ibid.).
Still, whether we want to consider it a default language, i.e. a medium for communication. (see Mc
Arthur, 2003:15) or a meta-language, whether we love it or reject it, we undoubtedly use it. English
as a lingua franca cannot therefore be ignored. We have to come to terms with it and we cannot
stop students from choosing English, as they are aware of its value for their future profession. On
the contrary, it should be encouraged, albeit side by side with strategies promoting multilingualism,
such as the acquisition of other languages, translation and interpretation, various forms of
localization and the development of innovative tools like inter-comprehension or machine
translation (Ibid.: 51). Intercomprehension can be useful and effective, but does not work well when
the speakers have different non-neighbouring languages. Machine translation and the new
technologies in general are admittedly improving rapidly, but they still suffer from serious
weaknesses. ELF, instead proves today a genuine international means of communication: “[…] if
ELF is one day codified and its status as a legitimate means of communication is acknowledged,
then we shall be able to talk about teaching English OF Speakers of Other Languages: teaching the
ELF of proficient L2 users themselves” (Jenkins, 2007: 253).
The lingua franca issue is still debated. A continuous swing of the pendulum between supremacy of
English and multilingualism is probably the best metaphor for our current situation (see ibid.: 44).
Piet Verleysen in the preface to the study “Lingua Franca: Chimera or Reality?” (European
Commission Directorate-General for Translation, 2011) highlights that the issue of the ‘neverending search for a lingua franca’ is very controversial, but it cannot be ignored, as it is a reality. He
affirms: “[…] this phenomenon, though widely controversial, has acquired such dimensions that it
cannot be ignored. It is an inescapable reality to be approached with an open attitude. The aim is not
189
In his recent work The Last Lingua Franca. (See European Commission Directorate-General for Translation, 2011:
48).
89
to accept it as a panacea or reject is as a scourge, but to see whether and how it can contribute to
improve the work of the European institutions, promoting participation and inclusion” (ibid.: 5).
At this point it is worth analyzing terms such as ‘international’, global’ and ‘world’ English, as they
are often used, abused and confused with the idea of ‘lingua franca’, side by side with more vague
terms as ‘Global English’ and ‘English at large’ and ‘Standard English’190.
A very slippery expression is ‘Standard English’: it exists and is useful, but is not innocent, and
may even at times be harmful. For some people, it is not simply ‘a language of wider
communication’, as some have rightly enough put it, but often more like a loaded weapon pointed
in their direction” (Mc Arthur, 2003: 440).
Some consider this term “Standard” as negative, homologizing, flattening, others as neutral, a
common means of communication, others as a positive term as something important, high, educated
and elitarian191.
Some ‘standards’ do exist, and form the basis of school education in the world.
Peter Strevens tried to define what Standard English is by showing what it is not: it is not an
arbitrary a priori description of English (best, literary, Oxford, BBC English are too vague and
crystallized terms); it is not an elitarian code (upper class English); it is not the most widespread in
the world; it is not imposed on people, nor is it the outcome of a precise, conscious plan192. Still, the
standard is maintained to be more visible in print, in the news, and used by at least secondary
educated people.
It is considered also like a databank, where all the world has access, and contributes to. Generally,
literary canon, dictionaries and grammars, i.e. written forms, define the ‘standardization’ of the
language.
‘International English’, or ‘English as an international language’, or even ‘English used for
international relations’ is first of all, and sometimes exclusively, used to refer to the function of this
language as an international lingua franca for communication (Schneider, 1997: 63). According to
Jenkins talking about ELF and EIL193 means the same, as basically we are dealing with English
used by non-native speakers. ELF is to be preferred, as EIL connotes more the economic function
the English language performs, and ‘world’ English means all the world population knows it, and it
is actually untrue. ELF, instead, is to be preferred, as it brings with it a positive connotation, as a
means of communication, which implies its speakers as a community194.
Seidlhofer (referring to McKay, 2002: 132) affirms: “International English is used by native
speakers of English and bilingual users of English for cross cultural communication. International
English can be used both in a local sense between speakers of diverse cultures and languages within
one country and in a global sense between speakers from different countries” (Seidlhofer, 2003: 8).
However, as the author adds, this term is also employed to refer to that variety of English “[…] used
in territories where it is a majority first language or an official additional language. This approach
190
The latter one has long been associated to western Culture, and to a kind of attitude to opportunities.
Many fear it could create an elite of ‘Proper English Speakers’.
192
Strevens, P., “What is standard English?”, in the RELC Journal, Singapore, 1981(quoted by Mc Arthur, 2003: 442).
193
EIL stands for English as an International Language
194
Still, sometimes the idea of community does not exist in reality, rather, language is used as a tool for power, control,
exclusion, inclusion, to show internationality, building up ‘virtual groups’, networks, communities for practical aims.
191
90
of institutionalised intranational role is complementary to the perspective of English used as a
medium for communication between natives of the country” (ibid.).
Generally speaking, international English refers to a denationalized and uniform language,
especially in grammar and lexis: “[…] it has been employed to characterize a more or less abstract
form of English that is virtually identical with the common core or nucleus of its National varieties,
especially of their written standard forms” (ibid.). According to McArthur (2003: 445), ISE, i.e.,
International Standard English, refers to norms especially from AmE and BrE, but with
transnational identity. This type of English changes according to its speakers and the contexts of
use: “[...] the function of English as a medium of international communication may also lead to a
particular use of this language since speakers often tend to adjust their speech to whether they
communicate at the national or at the international level and will then prefer to use a more or less
‘denationalized’ form of English internationally” (see ibid.). This variety is then worth studying not
only because of its function, but also because of its linguistic apparatus. There have been attempts
to simplify English for international use, with limited success.
International English is also called ‘World English’195, ‘English as a World Language’, or even
‘Global English’196, to emphasize the fact that this language no longer belongs to one single
country, nor solely to the natives, but it is the property of the whole world as globalization breaks
up the narrow borders of nations and builds up a thick network among countries (Haberland, 30,
2009: 17-45): “In the closing years of the Twentieth century, the English language has become a
global resource. As such, it does not owe its existence or the protection of its essence to any nation
or group” (McArthur, 1992 in ibid. 2003: x).
The issue of English as a global language has raised fears, enthusiasms and many interrogatives (see
also Jenkins 2007 and 2010): will it become a globalist and hegemonic language? Will it eventually
weaken? One of the main deficiencies of 19th century ideas about globalization is that they required
simplicities and linear trends whereas the key to understanding the impact of globalization of
English, and the role of English in globalization, is to recognize the importance of complexity and
contradictory trends (see Graddol, 2006: 21):
“The English language finds itself at the centre of the paradoxes which arise from globalization. It
provides the lingua franca essential to the deepening integration of global service-based economies.
It facilitates transnational encounters and allows nations, institutions, and individuals in any part of
the world, to communicate their world view and identities. Yet it is also the national language of
some of the most free-market economies driving economic globalization, and is often seen as
representing particular cultural, economic, and even religious values” (ibid.: 66).
195
According to McArthur ‘World English’ is used in the broader sense, as very inclusive, while ‘International English’
means both standard and business language. See McArthur, Oxford guide. Sometimes we can find this term in plural as
World Englishes, or even just Englishes.
196
Some other interesting articles are listed on this web page entitled “The Non-Anglo Englishes:
http://courses.nus.edu.sg/course/elltankw/history/NE.htm (see also Crystal, 1997).
91
Brutt-Griffler (2002) identify "four central features of the development of global language":
1- econocultural functions of the language; [i.e., World English is the product of the development of
a world market and global developments in the fields of science, technology, culture and the
media];
2-the transcendence of the role of an elite lingua franca; [i.e., World English is learned by people at
various levels of society, not just by the socio-economic elite]:
3- the stabilization of bilingualism through the coexistence of world language with other languages
in bilingual/multilingual contexts; [i.e., World English tends to establish itself alongside local
languages rather than replacing them, and so contributes to multilingualism rather than jeopardize
it]
4-language change via the processes of world language convergence and world language divergence
[i.e., World English spreads due to the fact that many people learn it rather than by speakers of
English migrating to other areas; thus two processes happen concurrently: new varieties are created
and unity in the world language is maintained] (op. cit.: 110; glosses in square brackets added by
the author; cit. Seidlhofer, 2003: 9).
‘Global English’ is not a really welcomed phrase among several scholars as it sounds a bit too
boastful and imperialistic in its sense.
“If you take the view that the traditional history of English reflects a very national, modernist,
19th-century view of the world, then taking on a new chapter entitled ‘Global English’ may be a
serious mistake. It dangerously continues the grand narrative by adding a coda, suggesting that
English, which in modernity triumphed as a national language, has now triumphed as a global
language, overcoming its arch rival yet again, but this time in the global arena by displacing
French as the preferred international lingua franca, or as the preferred working language of
Europe” (Graddol, 2006: 60).
Haberland (2009: 18) distinguishes between globalization as a historical process, and globalism as
an ideology, both cause and consequence of globalization: the latter term suggests English could be
a hegemonic language and not a mere tool of globalization. Haberland wonders if the spread of
English is really something that comes from the head of the power (ibid.: 17-45), if English
hegemony is the outcome of the organization of “consent”, i.e. showing this language as an obvious
solution to the Babel of Languages, not something native speakers imposed, but who surely helped
its spreading once they realized they could get some economic benefit from (Graddol, 2006: 25,
quoted by Haberland, 2009)197.
In his well-known book English as a Global language, Crystal (1997) outlines the path of English
language and why in his opinion it has become a world one. The author fears the formation of an
élite who owns this language better than others. Moreover, he warns that, with the diffusion of one
common language, people could become lazy in learning other languages, consequently losing an
immense cultural patrimony. Nevertheless, in Crystal’s opinion a rejection of a common language
would lead to a Babel of languages. The author believes in the value of multilingualism, still, he
claims the need for a common language for international communication. He proposes that:
197
Haberland doesn’t deny the usefulness of an international language, but its speakers need be aware, they must
recognize they are using that language for a specific purpose.
92
-English should be taught since Primary school, to avoid the creation of an élite;
-the other languages won’t disappear, as this patrimony will be preserved;
-diversity and plural identities can still exist, even with a global language;
-translation can slow down this process, but it cannot stop it (see ibid.).
Scholars like Pennicock and Phillipson (2003), argue English as a global language is an imposition
in the long run. Conversely, others like Graddol (2006), Van Parijs and Mackiewicz (see the
interviews in European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 71 and 81),
Modiano (2010), Jenkins (2007), Seidlhofer (2001), Honey (1997) believe the very spread of
English on a global scale will discard it from any monopoly and monolingualism whatsoever and
‘disenfranchise’ (see also Modiano, 2001: 342) it. However, the promotion of a ‘standard English’
is equally doomed to failure. English as a lingua franca is public property and each speaker can add
their specific nuances in order to make it their own.
House takes Europe as a particularly good example because “[…] a diglossia situation is now
developing in Europe — English for various ‘pockets of expertise’ and non-private communication
on the one hand and national and local varieties for affective, identification purposes on the other
hand”. (House, 2003: 561). For this reason she advocates English as the “stateless language that
Europe must embrace”, because “using English as a lingua franca in Europe does not inhibit
linguistic diversity, and it unites more than it divides, simply because it may be ‘owned’ by all
Europeans — not as a cultural symbol, but a means of enabling understanding” (2001)198.
‘Euro-English’, or ‘Central European English’, is a form of international lingua franca for
communication within the Union. The issue of languages in Europe is central (see par. 1.2 of this
research): if the binomy one language = one nation which worked maybe well in the vision of the
intellectuals and politicians in the 19th and 20th centuries (see also De Carlo, 153, 2009: 67-76)
doesn’t apply anymore to Europe, what is, then, the language which best suits our identity?
Esperanto seems relegated to academic speculation or experimentations deprived of any possibility
of development. Not even Latin can be compared to English as a lingua franca (see par. 2.3.4 of
this research). According to Berns (1995) Europe is living “in the midst of an exciting, challenging,
and creative social and linguistic phase of their history” (ibid.: 10 cit. in Jenkins, 2010: 49).
The development of English in Europe came in the 19th century, with the Industrial Revolution, so
we could refer to it as to a recent phenomenon, still, quite a drastic one: “[…] the ubiquitous impact
of English is very much felt and talked about (and often intensely disliked) […]” (Schneider, 1997:
137). Phillipson admits: “there is so much exposure to English outside school. English is becoming
progressively less ‘foreign’ in continental Europe” (Phillipson, 2003: 95). According to Vettorel:
“Due fattori appaiono di sempre più rilevante importanza e impatto nello scenario relativo
all’apprendimento linguistico in Europa: da un lato la presenza del multilinguismo nelle società
dei paesi europei, e quindi di riflesso nella popolazione scolastica; dall’altro la diffusione
dell’inglese come lingua globale, e il ruolo di lingua franca (ELF) che esso sta sempre più
assumendo tra parlanti di lingue madri diverse” (Vettorel, 2010: 13).
198
It is emerging as a linguistic variety or rather as a group of varieties sharing some common features (see European
Commission Directorate-General for Translation, 2011: 33).
93
Europe has grown historically as a variegated mosaic, in which each country has jealously taken
care of its identity. Despite all, many factors have contributed to the settling of English as a lingua
franca in Europe, even without a specific policy to help it. Some reasons could be adduced to the
high cost of translations, the need for time saving and efficiency, linked to a “[…] deep rooted
acceptance of the dominance of a single language within a nation-state, and of a few privileged
international languages” (Phillipson, 2003: 136). Asian and Euro-English share some similarities, as
for example the fact that they are developing in a situation of multiculturalism; in both cases it is
used not only for business and intercommunication, but also for intra-communication, leisure, and
everyday life. Moreover, both de-class their variety of English, looking at the British model199. In
Europe studies have shown that English is becoming an identitary trait of many people, alongside
their native identity. In EU we have English as a national language, as a second, and as a lingua
franca; it is taught at school, it is widely employed in many fields of life, but it is not yet
institutionalized or indigenized.
Still, Euro-English, according to Crystal, is not homogeneous in itself (cit. in Jenkins, 2007: 40)200:
“Outside of the UK and the Irish Republic, English is traditionally regarded as a foreign, rather than
second language. This view may be out of date. Europe is rapidly integrating and reinventing itself
as a multilingual area in which English plays an increasingly important role as a second language.
In effect, it is becoming more like India as a geolinguistic space (Graddol in Graddol-Meinhof,
1999: 64). In recent years, especially in Northern Europe, many politicians have opted for a massive
use of English as a second language, either in the academic/educational field201, or for institutional
reasons202: “[…] English has emerged as the unofficial lingua franca of the EU, in which
representatives of smaller ‘member countries’ often give their press conferences” (Mc Arthur, 2003:
158).
Not only politicians, but a large portion of the population in Europe today speaks English, although
more or less proficiently:
“Europeans make adaptations and introduce innovations that effectively de-Americanize and deAnglicize English203. In the EC204 situation, such nativization, or ‘Europeanization’, involves a
variety of linguistic processes at formal, contextual and discoursal levels, e.g., functional
allocation, lexicalization, or semantic extension and restriction. […] in this situation the users of
English are a speech community that is not restricted to a native English-using EC member
state, that is, Great Britain; they speak and write as representatives of the larger European
speech community” (Berns, 1995: 64).
The EU and many agencies of culture and education promote plurilingualism and interculturality.
However, there are many paradoxes and contradictions behind these policies: English, is de facto
one of the main working languages within the European System; moreover, it is employed as major
lingua franca in many students’exchange programmes. Phillipson (2003) traces structural and
199
Kachru talks about the syndrome of the ‘linguistic orphans in search of their parents (1992:66. See also Jenkins,
2010: 44-49).
200
Crystal is considered by the author conservative in regards to new varieties of English.
201
See for example the Netherlands
202
See for example Finland and Sweden
203
Euro functionaries tend to use English vocabulary with their mother language syntax i. e. “I’ll take a coffee”, “Let’s
profit from the good weather”, “Here are my co-ordinates”.
204
EC stands for European Community. Added footnote, not present in the original text.
94
ideological factors contributing to the increased use of English in Europe, among which a
“substantial investment in the teaching of English in the education systems of continental European
countries” (ibid. 64). The powerful position of English is also due to the investments of the
European countries in English teaching and learning: there is a substantial ‘global trade’ in
educational services.
Is, then, English the language of the European Union? “cet idiome commun existe, les Européens en
ont fait le choix, de fait, sans concertation préalable véritable. C’est l’anglais” (Vigner, in RobertForlot, 2008: 113). With the title English in Europe −European English? (Schneider, 1997) Gorlach
provokes the reader: does a European English exist? If so, could it be considered a variety of British
English? Is English nativised in Europe, and to what degree? How does it influence other
languages? The author reassures there is no danger of English replacing any of the European
languages: “For a Euro-English to develop it would be necessary to have prescriptive school norms
discarded and to have a billion fond increase in international communication conducted in English”
(ibid.: 152).
But also: “It (ELF) does not deny that other linguistic tools besides ELF can be effective in
international communication and recognizes the importance of local languages as markers of
identity, especially in Europe where the citizens’ attachment to their mother tongues is still strong
and national languages are not endangered” (European Commission Directorate-General for
Translation, 2011: 34-35).
Marina Yaguello205 is quite catastrophic in her essay “Une langue pour l’Europe, l’impossible
alternative” (2009: 113-120). She maintains: “[…] le multilinguisme érigé en doctrine est propose
comme un antidote à la suprématie de l’anglais, don’t le statut est de facto celui d’une langue
véhiculaire mondiale […] nombreuses langues de par le Monde sont ajourd’hui proclamée ‘en
danger’[…] ‘sus à l’anglais, la langue tueuse’ (ibid.: 114). The author confesses to be quite
pessimistic, affirming this process cannot be stopped, it has no U-turn, and the market needs will
overcome the utopia of unity in diversity of the EU.
Tsuda, professor of international communication at Nagoya University, Japan, warns:
“English is no doubt a lingua franca, a global language of today, but the hegemony of English is
also very threatening for those who are not speakers of English. While it may be convenient to
have a common international language, we have to ask ourselves whether it will really
contribute to a democratic global communication to use a language which is historically and
culturally connected with particular nations […] the existing hegemony of English is first of all
anti-democratic because it is creating a structure of linguistic hierarchy as well as social
inequality and discrimination… the hegemony of English also gives the English speaking
countries enormous economic power. Because English sells well, English is now one of the
most important products of the English-speaking countries. So English is not merely a medium,
but a proprietary commodity to be marketed across the world” (Tsuda, 2000: 32-33)206.
Phillipson calls for “a sustainable balance between English and other languages, through processes
that lead to multilingual competence. Additive English for specific purposes is desirable, provided
205
Senior Professor, Université Paris 7-Denis Diderot
Tsuda, Y, (2000), ‘Envisioning a democratic linguistic order’, TESL reporter 33, 1, Hawaii, Brigham Young
University: 32-33.
206
95
English learning and use are situated in local multilingual ecologies” (European Commission
Directorate-General for Translation, 2011: 41 and 338).
Also Seidlhofer foresees a solution in a decentralization of the English ‘matter’ away from its
national identity, recognizing its international role so to complexify and deepen studies on
languages and their public and private roles: “First and foremost, a re-orientation of 'English' away
from the fascination with ENL and towards the cross-cultural role of EIL will make it easier to take
onboard findings from research into intercultural communication […] and language awareness”
(Seidlhofer, 2003: 22).
Van Parijs notes this does not mean replacing national and regional languages with English. He
suggests that they coexist because they serve different purposes in different contexts (European
Commission Directorate-General for Translation, 2011: 39). Van Parijs mentions Crystal’s view of
languages as living things, organisms, that need support in order to survive. He admits English is a
global force, not by chance, or by intrinsic qualities, but due to its powerful speakers. As a
consequence, we should think of complementarity, rather than contrast, between global and local
languages.
There are exactly as many people as those favouring English, who contrast its advent as a lingua
franca. François Grin and Ives are against the laissez faire policy, which is in fact not neutral at all.
“In this perspective, the laisser faire approach is not as neutral as it may appear at first sight. While
advocating that everybody should be free to choose the language they want to learn, and languages
should be allowed to develop and spread freely, in reality it spreads the Anglo-American culture
and its underlying values, granting English native speakers unfair economic and political
advantages.” (ibid.: 40).
Ives stresses the importance of approaching language “as a human institution subject to historical
change and open to humans collectively and consciously determining its role in society” and
underlines “how the communicative aspect of language must be taken hand in hand with the power
relationships and cultural and symbolic effects of language” (2006: 125-126). (ibid.: 41). In his
opinion translation is vital, and a symbol of the struggle to maintain all cultures in democracy.
Still, little research has been done to distinguish between what is “justified concerns” and what are
“allergic overreactions” (Schneider, 1997: 138).
How could English be learned in ways that do not affect or threaten other languages? What can be
done to bring about more informed and more inspired language policies? According to Phillipson
(2003) a multiplicity of languages is not a curse (see the Charter of Fundamental Rights of the EU,
art. 21,22) and we are not passing “from Babel to Eurobabble” (cit. in Phillipson, 2003: 3)207: on the
contrary, the author maintains the real curse, the tragedy, would be keeping a laissez-faire policy,
driven by globalization and Americanization of languages. It is evident that English is having a
global impact, but it is in the policy makers’ hands to handle it. If we want to preserve other
languages, we need to be aware and conscious that we are using English terms, loans, expressions
or even that we are borrowing a specific point of view:
207
The term has been employed by the British Minister of Europe, Peter Hain, in 2001, referring to official EU texts
written in “impenetrable” English.
96
“[…] language always conveys values, even when it is used as a practical tool and not as a
medium for cultural identification — like Global English. The risk of cultural and linguistic
uniformity cannot therefore be ruled out and should not be ignored. Diversity is one of the great
assets of Europe, nurtured by all those who move to Europe for various reasons, bringing their
cultures and values with them. So if we are out to promote genuine integration, we need to
foster the idea that multiple identities, including multiple linguistic identities, can and should
coexist harmoniously” (European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 49).
The Belgian economist and philosopher Philippe Van Parijs reaches similar conclusions, though
based on different assumptions: “he thinks that to reach a real democracy Europe needs a common
language, so that communication is not relegated to an élite who can afford paying for translation”
(ibid.: 37)208.
If Euro-English is indeed an emerging variety as a European lingua franca, then it should be
possible to describe it systematically and eventually provide a codification which would allow it to
be captured in dictionaries and grammars and be taught, with appropriate teaching materials to
support this teaching. While many might (still) find it difficult to countenance such thoughts, very
specific research efforts are currently under way to undertake these first steps required for an
eventual description and codification209.
‘English-Only Europe?’ We hope this provocative question will never come true, and the curse of
monolingualism will never take place: “[…] global trends will continue to impact on European
economies, cultures and languages […] if inaction on language policy in Europe continues, at the
supranational and national levels, we may be heading for an American English only Europe. Is that
really what the citizens and leaders of Europe want?” (Phillipson, 2003: 192).
Santipolo (2002) states English itself, becoming a lingua franca, has to pay a price: that of
becoming deculturalized, pidginized, a toolkit for international communication. Certainly, we have
to accept that the threshold of error is higher in varieties of English. However, globalization has not
led to shallowness, rather to diversity. That is a field to be re-discovered in class.
2.3.5 To be or not to be native, is that the question?210
Karen Dovring complains “English is being ‘body snatched’ when used as a lingua franca”211.
There is evidence of the fact that it is probably easier for EFL speakers to recognize English as a
world language, while its natives tend to question the legitimacy of a “Basic English spontané, dont
l’existence ne fait pas forcément plaisir aux Anglophones natifs” (Yaguello, 2009: 117. See also
Görlach, 1991). Curiously enough in the 19th Century, English was considered an impure language,
a hybrid (ibid.).
208
As De Swaan and House (2004: 577-578) maintain “a time-consuming, expensive and increasingly intractable
translation machinery” (in European Commission Directorate-General for Translation, 2011: 38).
209
Seidhofer, B.,Towards making ‘Euro-English’ a linguistic reality’ in English Today, 68 (17:4) Cambridge University
Press: 14.
210
Playing on the famous “To be, or not to be: that is the question” by W. Shakespeare’s Hamlet 3.1
211
Dovring, K., English as a Lingua Franca. Westport CN: Praeger, 1997: 25. See also Crystal (1997) laments the
tendency of native speakers to consider their language as superior to others: “There is no shortage of mother tongue
English speakers who believe in an evolutionary view of language (‘let the fittest survive’, and if the fittest happens to
be English, then so be it’) or who refer to the present global status of the language as a ‘happy accident’ (13).
97
Crowley in the preface of his collection of essays entitled Proper English? (1991) wonders whether
it still makes sense to ask ourselves what ‘proper’ English is. As his collection of essays show, there
isn’t a given, fixed definition of what is ‘proper’ in a language. We watch English, as all the other
languages, change according to time, space, situations, speakers, and we notice that adjectives such
as ‘proper’, ‘real’, ‘right’, ‘correct’ mean something different every time, as the language evolves
with its speakers. ‘The’ English language is in itself already a theoretical construct212. “Why teach
RP? Why not? After all, we have to teach something” (Jenkins, 2007: 16, quoting Trudgill, 2002:
172). The same RP in the years has held different nuances of meaning: if in the past it was the
language of the educated, elegant middle-upper classes, the ‘good’ ones in society, lately it has been
employed in cartoon to give voice to the ‘baddies’, stigmatized as sinister213. Still, RP remains a
myth. And only the smart and educated baddies talk perfect English while the rest bends over
dialects and other varieties of English214.
Is English experimenting a change, as it has always had in history, or is it suffering from an
impoverishment? According to Crowley language change is natural, it has always happened in
history: “[…] what counts as ‘proper English’ society or ‘way of life’, is also historically shifting,
mobile and indeterminate. Indeed we could claim that the language offers us a model of social and
cultural identity. For by a neat irony, if the argument of the linguistic nationalists is correct, that the
language is a rich, flexible and glorious instrument attesting to the nation’s cultural ascendancy,
then it is so precisely by dint of its history of linguistic and cultural ‘bastardisation’,
‘miscegenation’ and ‘promiscuous’ intercourse with other languages and cultures. Despite all the
attempts to delimit the language, to restrict it, to force it to serve only specific functions, it carries
on changing, developing and meeting the needs of its speakers” (Crowley, 1991: 10).
We cannot forget that the British government isn’t deaf to such problems, as it is interested in
exporting its ‘brand’ of English abroad, as it means big business to them215.
The problem is not only that of defining what is to count as ‘proper English’. It is also related to a
social question, that is “who are the proper English?” (Crowley, 1991: 2)216. That is why it is more
complex than it seems talking about a language like English, which is becoming the speech of
everybody, in a democratic way, but also the language of nobody, with consequent risks for its
cultural heritage.
Jenkins overtly attacks the very term ‘native’ as it does not make sense anymore in our mingled
society: “The term ‘native speaker’ perpetuates the view that monolingualism is the world’s norm
when, in fact, the majority of people are multilingual, and switch appropriately from one language
212
See also Jones, D., (1964, or. ed. 1917), Everyman’s English Pronuncing Dictionary, 12th ed. London: Dent and
Sons: xvi.
213
See Disney’s cartoon in which the evil one, the antagonist, is often a perfect Native speaker: see the Lion King’s
uncle in the homonym story, or Rasputin in Anastasia, etc.
214
See varieties such as Scottish, Irish, Afro-American English, generally used to individuate the bad characters.
Bolton, referring to the situation in HK, talks about the falling standard mith (a sort of neo-colonial nostalgia, the
monolingual myth and the invisibility myth (according to many HK speakers a variety of HK English does not exist).
(Bolton, 2003: 200 quoted in Jenkins 2007: 34).
215
See the ‘Blair initiative’ to invest five million pounds to promoting English as the global lingua franca.
216
It is not only ‘proper English’ language which is being debated, but also the values it incarnates, a particular
viewpoint which is conveyed through a specific idiom Language must be studied in relation to its speakers, but also to a
nation’s way of life, to political history and to institutions, so with regard to the importance the language has for its
users. (See also Kramsch-Lévy-Zarate, eds, 2008 and heteroglossia, 2010).
98
to another according to the situation” (Jenkins, 2010: 87)217. As Mesthrie and Bhatt (2008:36)
observe, “ […] the distinction between a native and non-native speaker of English – long taken for
granted in Linguistics – is being increasingly called into question in World English research” (in
Jenkins, 2010: 87).
If the model of the ‘mother tongue’ speaker falls, English learners in the world still need a model, or
at least some guidelines to follow. McArthur, in an interview, wonders: “The interesting question to
me is how separate are languages as they move on?” (in Graddol,-Meinhof, 1999: 7). How detached
is English now it has developed into a world language? And we add: What is the standard, the
norm, then?
Jenkins positions the term ‘standard’ into two different positions: as ‘standard language’ and as
‘language standards’. The former is “[…] the variety held up as the optimum for educational
purposes and uses as a yardstick against which other varieties of the language are measured”
(Jenkins, 2010: 33). It is a prestige variety. Language standards, instead, are the rules the others
need to conform in order to reach the standard. They are dynamic and subject to change in time.
Standard English is not easy to grasp. Trudgill describes what it is not: it is not a language, or an
accent, a geographical variety, a register, or a set of rules. It is generally referred to as a prestige
dialect of a minority group of educated British people, usually employed in written form. It is then
socially marked (see Trudgill, 1999:25 and Jenkins, 2010: 36).
When non natives make use of English, they employ a different communicative competence, which
is not to be considered “language deficit” from a “poor speaker of English” (see Gumperz, 1982:
232-234). Actually “[…] there are a number of standard Englishes, generally corresponding to
countries” (Bauer, 1994: 3)218. They change, and it is not true that English stopped and fixed its
rules 200 years ago. As Bauer notes:
“Students who are not native speakers of English, but foreign learners, are usually presented
with modern English as a homogeneous entity. This homogeneity is inevitably a fiction.
Moreover, it is usually a conservative fiction, showing the particular standard English as it was
some 30 years ago or more. At elementary level, this fiction may be beneficial rather than
harmful. But at advanced levels students need to be aware that the homogeneous picture
presented to them as beginners is a fiction, and also needs to be able to respond appropriately to
the variation that can be found in real language use” (ibid.: 10).
According to Vettorel (2010) it is incorrect to position the learner as an “outsider” or as a
“linguistic tourist” (op.cit.: 13 quoting Graddol, 2006), since it is inevitable that the learner will
never be able to reach the native speaker model. The model itself of ‘native speaker’ as the “owner
of the language” (ibid.: 14)219 is under question today. It is not interesting from a communicative
point of view to distinguish between natives and non-natives220. NNS221 feel they share something.
217
See the complete and interesting list in Jenkins, 2010: 87-88. Some scholars propose, in contraposition, terms as
‘expert’ (Rampton,1990:98), monolingual/bilingual/non-bilingual English speaker (in Jenkins, 2010: 90).
218
Bauer, L., Watching English Change: An introduction to the study of linguistic change in standard Englishes in the
Twentieth Century, London: Longman, 1994: 3. The progress of contact varieties in unpredictable, and sometimes there
is no way of categorising a native from a proficient non native! Moreover, today control of Standard English is “a mark
of prestige in all countries” (in Schneider, ed., 1997). However, there is also a neat gap between proficiency in oral and
in written English: written is still a prerogative of an elite, whether native or not. (See Mc Arthur, 2003: 56).
219
Quoting Widdowson, The Ownership of English, TESOL Quarterly:28/2, 1994.
220
See Kachru’s cristalyzed division into 3 circles of English (1985)
221
i.e. Non-Native speakers.
99
Still, they have a ‘love-hate relationship’ with NS English: “Correctness, prestige, and authenticity
are still linked to NS of English by traditional phoneticians, grammarians, mainstream SLA
researchers, and many corpus linguists. NNS English is still stigmatized as ‘interlanguage’, ‘broken
English’, ‘intermediate English’ and so on” (Jenkins, 2007: 232).
McArthur laments the typical monolingual cannot understand that “[…] a language does not have to
be a mother tongue in order to be capable of expressing aspects of a speaker’s social identity”
(Jenkins, 2010: 165). His vision of Standard English is: “I think one has to conceive of ‘Standard
English’ as a complex, not as a monolith. We all use it in different ways; we all approximate to
something which isn't there, but which we idealise about, negotiate and compromise.” (in GraddolMeinhof, 1999: 4. See also ibid.: 57).
There are still some movements in UK and in the USA that support the ‘English Only’, or ‘Official
English’ issue222. However, the multilingual motto is not only valid for non-native speakers of
English, but also for natives, “[…] to avoid being the monolingual dinosaurs in a multilingual world
(Brumfit 2002:11, quoted in Jenkins, 2010: 163)”. Graddol (2006) talks about the ‘the doom of
monolingualism’: monolingual English speakers face a bleak economic future, as the barriers
preventing them from learning other languages are rising rapidly, while, at the same time, the rest of
the world is improving plurilingual competences proving more competitive in the long run (ibid.:
14). English is not enough: “One of the cultural shocks of September 11 is, overwhelmingly, that
English is simply not enough. We cannot understand the world in English, much less search out
intelligence, build even larger coalitions of friends, and heal some of the long-standing wounds of
the past. We need to be aware as never before of foreign languages and of the ways in which
languages identify and represent their cultures”223. These realistic possibilities highlighted by David
Graddol (see 2006: 110 and 114) should therefore end any complacency among those who may
believe that the global position of English is so unassailable that the young generations of the
United Kingdom do not need additional language capabilities224.
The issue is not anymore that of acquiring and mastering one, or two or even many languages in
isolation nor in parallel: “The expectation that someone should always aspire to native speaker
competence when learning a foreign language is under challenge, as is the notion of ‘native
speaker’ itself” (Graddol, 303, 2004: 1329-1331; see also Curci, 2005: 3). Actually there is no
objective method to define when a person is a ‘speaker of English’, as the degree of competence
and language skills cannot tell the level of quality in mastering those skills (Görlach, 2002: 6):
“People often assume that acquiring the linguistic competence of a native speaker or someone
who is ‘near-native’ is the purpose: well, we won’t get tired to say this is just a frustrating
illusion, doomed to failure. First of all because there isn’t just one socio-cultural competence
behind a language, especially one like English, to understand, but also because of the
222
See for example “Life in the UK test” on http://www.lifeintheuktest.gov.uk/. See also the ‘citizenship test’
according to which if a person is not proficient in English, then he or she can’t be a good British citizen: “Can you pass
a citizenship test?”, 16.06.2005, http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/magazine/4099770.stm http://www.usenglish.org/.
However, the President of the USA, Barack Obama, believes English should not be considered as ‘the official’ language
of the U.S.: to this regards see http://www.positivelybarack.com/2007/10/25/obama-on-english-as-the-officiallanguage/,http://www.youtube.com/watch?v=dS24s4pYY28
,
http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_Uniti_d'America#Lingua
223
See Footitt, H. (2001) 'Lost for words' in Guardian Education, 23 October 2001: 15.
224
See the foreword written by Kinnock, Chair of the British Council to the edition of Graddol, 2006,
http://www.britishcouncil.org/learning-research-english-next.pdf
100
competence in grammar: a non-native will hardly succeed in choosing the best expression, the
most conventional meaning ever in each situation he or she comes across. The risk, if ever one
managed to get close to this model, would be identification with Native speakers, which is not
our purpose” (Byram, 2008).
The same CEFR (2002) makes clear that the final goal of language learning and teaching is not to
master a target language and culture as a native speaker, rather to attain a communicative
plurilingual and intercultural competence, taking into consideration each speaker’s patrimony and
partial competences. The alternative to the native speaker model is the plurilingual and intercultural
speaker, that is someone who does not simply have linguistic competence, but can negotiate among
languages and creates culture. In order to reach it, teachers need to mediate among cultures.
Teachers of English as a foreign language are most of the time non-native speakers themselves, but
not for this reason are they less competent, as they continuously have to re-consider their position
towards the ‘target’ language: “La non-appartenenza a una cultura […] rende maggiormante capaci
di scoprire ciò che sfugge ai suoi membri” (Londei, 1990: 17)225. ‘Acculturation’, in terms of
education to another culture, will never be the same of ‘inculturation’, that is, the natural acquiring
of mother culture (ibid.: 15). Nevertheless, many teachers of EFL feel insecure: “[…] troppo spesso
gli insegnanti lavorano a livello di bricolage perché risentono gravemente del problema della loro
formazione inadeguata alla realtà della classe. Vivono male la necessità di insegnare una realtà
culturale che non possono dominare per carenza di conoscenze scientifiche e quindi reagiscono con
disagio alla vastità, alla complessità”226. Phan Le Ha, a Vietnamese lecturer, admits she has to be
constantly under negotiation processes as a writer and an examiner and maintains it is necessary
“[…] to pay even more attention to the affective and sociopolitical investments that students have in
writing when English is an additional language” (Le Ha, 8, 2009: 136)227 as they are struggling with
dilemmas linked to voice and identity, such as intertextuality, hybridity, heteroglossia,
multivoicedness, all belonging to the third space of interculturality (see Kramsch-Lévy-Zarate,
2008).
Students need to become active agents who choose how to express themselves. And the teachers’
responsibility is “[…] to help students not only become acceptable and listened to users of English
by adopting the culturally sanctioned genres, styles and rhetorical conventions of the English
speaking world, but […] gain a profit of distinction by using English in ways that are unique to their
multilingual and multicultural sensibilities”(Kramsch, 2001: 138)228. We need to fight against the
British model as the only given one. ‘Different’ does not necessarily mean ‘deficient’. As
Canagarajah argues, “proficiency in the postmodern world is a matter of measuring not how
closely the English of certain inner circle speakers is imitated, but the ‘ability to shuttle between
different varieties of English and different speech communities’’” (Jenkins, 2007: 243, quoting
canagarajah, 2006: 233).
225
See also Bordieu, P., Le sens pratique, Paris, Ed Minuit, 1980, and Baktine, M., Esthetique de la creation verbale.
Gallimard: Paris, 1984.
226
Londei, D., “Une Formation interdisciplinare pour le professeur de langue?” In Studi Italiani di Linguistica Teorica e
Applicata, 1-2-3, 1986: 153-170.
227
Arianto, a student from the Faculty of Education, Monash University, Australia, wonders to what degree is he
allowed to express himself in English, to what extent can he feel confident in sharing the ownership of an appropriate
English as an international language.
228
Kramsch, C., Language, culture and voice in the teaching of English as a foreign language, novelty: a journal of
English Language teaching and cultural studies in Hungary, 8(1),16, 2001: 138.
101
Language learners in general should avoid self-colonisation by struggling too much to reach the
native speaker’s ideal. Instead of chasing the false promise of the native-like competence, teachers
should aim at reflecting with their students on how a language works, on its functions, or what it
represents for each learner and how it can be employed in communication. The binomial
communication/reflection seems the best approach in language classes (see also Costanzo, 2003:
14).
Quoting Defoe’s satire “The True-Born Englishman” (1703):
The wonder which remains is at our pride
To value that which all men else deride.
For Englishmen to boast of generation
Cancels their knowledge and lampoons the nation.
A true-born Englishman’s a contradiction,
In speech an irony, in fact a fiction;
A banter made to be a test of fools,
Which those that use it justly ridicules;
A metaphor invented to express
A man akin to all the universe”
This demonstrates that the ‘true’ ‘proper’ ‘real’ English is a construction supported by an élite in
order to distance itself from those who do not speak as ‘well’ as they do.
2.4 Perspectives for ELT
2.4.1 English at school: LS, L2 or L1?
‘Dès lors qu’on la tient pour un instrument,
la langue cesse d’être object d’étude et n’a plus à être enseignèe pour elle-même.
Cette reduction me paraît un erreur interculturelle”
(F. Rastier)229
Today it is almost incorrect to talk about foreign languages at school (see Kramsch-Lévy- Zarate,
2008 and Lévy, “Lingue sempre meno Straniere”, 2007), as in real life people are immersed in a
network of languages (see Trivedi, 2005 and Friedman, 2007). English, more than any other
language, can barely be considered ‘foreign’ at all, due to people’s high exposure to this
international language since early age. In Italian schools English is still labelled as a ‘foreign
language’ or a ‘discipline’ to be acquired, while, in fact, it is often the second, the first, the official
language of migrants, of non-native students (see Cognigni, 2007: 30), or it is simply not felt as
‘Others’ language’(see Cognigni-Vitrone in Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 87-92), belonging
somehow to students’ life and linguistic patrimony.
229
Rastier, F., "Éloge paradoxal du plurilinguisme". Revue Texto!, juillet 2007, vol. XII, n° 3. http://www.revuetexto.net/Reperes/Themes/Rastier/Rastier_Eloge.pdf., 7.
102
Moreover, it is impossible not to see that English is taking up the role of prominent language in
schools: languages are all worth studying, “However, it is increasingly difficult to pretend that this
is always true in the eyes of public opinion, decision makers, parents of pupils and the pupils
themselves. It is only realistic to note the increasingly pre-eminent position of English […]”
(Byram, 2008: 12). Forlot (2010) considers the educative system in Europe “schizolingue” (op.cit.:
109): institutions claim to enlarge their horizon to multi-pluri-interlingualism, but in fact national
educational policies invest, often exclusively, in English230, reinforcing monolingual tendencies231.
If on the one side, we fear unilingualism (see Phillipson, 2003: 216), on the other side many factors
contribute to it in Europe, starting from school programmes. The privileged position enjoyed by
English at school is evident (see also Byram, 2008 and chap. III) as it is:
-often the first foreign language;
-compared to new technologies for its utility;
-considered useful, a mark of prestige;
-often employed in CLIL232 and other experimentations.
In the majority of EU states, 90% of pupils study English at school at a Primary or a Secondary
level of studies (Eurydice report cit. in Robert-Forlot, 2008: 1-3). Theoretically students should at
least be highly proficient in English, but European surveys show quite the contrary (Arachi, 2004;
Eurydice, 2006): students do not automatically reach an advanced level of English. What has gone
wrong?
English becomes a near-universal basic skill (Graddol, 2006: 15). Still, there are some rooted habits
and views preventing English to free from dated teaching methods and approaches to it. We are
going to mention a few: many times teachers claim to focus on communication, but actually they
keep on following grammar based methods233. The teaching of English has largely been seen in the
past as a technical issue concerning methodology, a practical resource to be found in teacher
training courses and in text books, or a problem of imperialist propaganda. We can now see that it
has become much more than these things, although such issues have not gone away (ibid.: 12).
It sounds paradoxical, but a global, international language as English is often taught through very
classical methods: especially in secondary school, we can find a Latinist-like approach to foreign
languages, focused on grammar and syntax, as if English were a ‘semi-classical’ artifact234. Most of
the times English culture is simplified during the so called ‘civilisation’ classes, stereotyped,
referring just to British, American and few other varieties235. Too often English is considered only
as a national language, and efforts are made to teach the so called ‘native-speakers’ English, an
approach which has recently been criticized:
230
Forlot (2010) notes that 80% of European projects are run in English, despite the 23 official languages available. The
author refers in particular to the French educational system, but I believe this comment could apply to the Italian system
as well as many other countries’ education policies.
231
Forlot (2010) maintains also teaching practices reinforce its status.
232
Dodman affirms it does not make sense to talk about “content and language integrated learning, as in his opinion
content presupposes automatically a language to vehicle its messages, as much as a language implies, at least at school,
the passing of a content. See the lecture held by Prof. Dodman in March 2010
233
See the surveys conducted in 2010 among secondary school students of the province of Ancona (Italy), in chapter
III, and the survey among Italian teachers of EFL in chapter IV of this research.
234
According to McArthur (2003: 10) too fixed rules brought languages to death (see Latin, ancient Greek and so on).
235
See chapter III of the present research. The term ‘civilisation’ is not even the most suitable to refer to issues such as
plurilingual and intercultural within the language and across them. (see also Londei, 1990).
103
“the widespread faith in the value of the British variant of English and of British methods for
teaching it, in the profession known under various labels, English language teaching (ELT) and
English for speakers of other languages (ESOL) is founded on a number of fallacies,
particularly about the assumed universal relevance of the native speakers as a teacher of
English. Foreign language teaching has evolved along very different lines in continental Europe.
The assumed universal relevance of British ELT is increasingly being criticized, not only for
some of its unfounded pedagogical assumptions, but also because of the fundamentally
ideological and political nature of foreign language education” (Phillipson, 2003: 151).
The same teachers with their attitude towards their discipline, reinforce, willingly or not, the
monolingual status of English: “In Europe – as in many other parts of the world - the BrE standard
[…] remains largely unchallenged. This is not a bad thing in itself, but teachers will need to be
aware of this type of code selection and also to face the fact of the orderly heterogeneity of the
world language”. (Görlach, 2002: 164; see also Forlot, 2010). As the demand of English in
schooling is likely to remain stable or even to increase in the near future (see Seidlhofer, 2003: 11),
we need to reflect on what sort of English is more suitable to teach today.
What does teaching ‘good English’ mean? Up until the Sixties236 the difference between teaching
English to foreigners, to ESL people, to immigrants, and other groups had not even been explored.
Moreover, materials for teachers are full of hints to the ‘standard’ which actually in real life does
not exist: “ […] ELT practitioners are constantly being presented with a standard language ideology
that pervades the vast majority of publications available to them […] cumulative effects that long
after the end of the colonial period and in regions of the world which were never colonised in the
first place, NS norms continue to ‘colonise the minds’ (Tsuda, 1997) of non-native English
speakers, leading to assumptions of NS linguistic superiority and often, with them, feelings of
linguistic insecurity” (Jenkins, 2007: 32).
Jenkins refers also to the deeply rooted bias of the ‘unequal users of English’ infusing much of
teachers’ books available today. It is often the same NNS English teachers who self-marginalise,
becoming ‘complicit in the process’ (see ibid.: 44 and 248). Jenkins analysed three periodicals for
English teachers showing how their materials are NS centered237, warning: “the overall impression
created by teaching activities […] is that the language on which teachers should be focusing is
standard NS English along with NS idioms and collocations” (ibid.: 57). Several studies are trying
to detect if it is still worth expecting teachers and students to conform to NS norms (see Jenkins,
2007: 95)238. It is surprising to note how the majority of teachers and students prefer to stick to such
rules. At the moment there is little alternative, as the majority of didactic materials seem to go in
that direction. New materials for ELF teaching need developing239 and it is urgent for educational
systems to rethink ELT.
236
See for example TESOL, i.e. Teaching English to speakers of Other Languages, that began in US only in 1966, but
now the association has reached international status.
237
EL gazette, The Guardian Weekly, IATEFL Issues.. The survey shows how the vast majority of materials are NS
centered. (See Jenkins, 2007: 48 and 55). Note also conferences and courses for teachers’ training such as LEND, but
also language certifications, which maybe well organized, pushed by high ideals, but still call mainly natives to train
Italian teachers.
238
The author is referring to studies by Timmis, Decke-Cornill, Murray, Sfaki, Sugari, Hannam, Zacharias.
239
See TOEFL and IELTS who claim internationality only in theory, as de facto their tests are often NS oriented.
104
Even the way English is perceived outside school may influence in the long run students’ but also
teachers’ attitudes towards the target language240. A common place to dig out for example is that
this language is easy to learn and use: “In fact it [English N. d. R.] is in many ways a treacherous
language, because of the complexities of structure and usage […] and because there is massive
variation in the ways English is spoken by people from different parts of the world, and even from
different parts of the United Kingdom. It does not have a ‘standard’ pronunciation. ‘BBC English’,
which phoneticians call ‘Received Pronunciation’, the model that foreigners are supposed to aim at,
is spoken by only a small proportion of the population, and countless types of English can be heard
on the BBC nowadays” (Phillipson, 2003: 140).
Another argument many people put forward is that of favouring the native speaker teachers, as they
are supposed to know their culture better than anyone else. This insecurity is clear also in fluent
bilingual teachers, as witnesses declare: “non-native teachers of English suffer from an inferiority
complex caused by a glaring defect in our knowledge of English” (Jenkins, 2010: 58). This point is
questionable: “In postmodern times, this argument is far from being valid. What is a culture? Are
we talking about national cultures? Daily lives? Laws? Culture with a big C (literature,
painting…)?” (Firth, 1996). The fact that English is the language of the international community
helps many teachers, as they do not have to identify with a specific group, so they do not feel
swallowed into it. Still, this language brings about contrasting feelings: “[…] NNS teachers may
have very mixed feelings about expressing their membership of an international (ELF) community
or even an L1 identity in their L2 English” (Jenkins, 2007: 231). Some people even talk about
‘linguistic schizophrenia’, double standard’, conflicted people, which sounds a bit extreme. Still, it
is important to note that the choice of what variant of English to teach may cause trouble to teachers
of EFL. Most of the time NNS teachers prove better teachers of the language than native ones, as
they KNOW the path to reach fluency in that language, and can explain better how to reach it:
“NNS teachers may have greater declarative knowledge of the NS standard than do NS teachers,
whose knowledge is sometimes largely procedural” (ibid: 63).
Moreover, with reference to the fluency of non-native teachers of English, TESOL maintain: “nonnative English-speaking educators bring a uniquely valuable perspective to the ESL/EFL classroom,
and so can closely identify with the cross-cultural and language learning experience that their
students are experiencing. “[…] The distinction between native and non-native speakers of English
presents an oversimplified, either/or classification system that does not actually describe the range
of possibilities in a world where English has become a global language” (TESOL, 2006). More
important, however, the use of the labels “native speaker” and “non-native speaker” in hiring
criteria is misleading, as this labeling minimizes the formal education, linguistic expertise, teaching
experience, and professional preparation of teachers (see Schneider, 1997: 153). Possibly, the
expansion of English will lead to a greater tolerance in accepting utterances that are not strictly
compatible with native-speaker correctness teachers themselves can show their experience of the
language as non-natives: “Teachers of EFL can then project themselves as authoritative users of
240
“In sociolinguistics language ideology is emerging as an important concept for understanding the politics of
language in multilingual situations”. (Jenkins, 2007: 33). See also Umberto Eco’s “lectures on memory”, a conference
held in the republic of san Marino in 2009, in which he talks about what we choose to record and what to omit. As
tucker points out: “Discrimination on the basis of language is one of the few types of discrimination that is seemingly
still tolerated by many members of present society” (ibid.: 59). And “Accent is more important than race” (Derwing,
2003:557, in ibid.: 82).
105
English as a lingua franca rather than as less than perfect users of English as a native language”
(Phillipson, 2003: 166-167), as the final goal is not an imperfect British English, but a fluent ‘L2’
English. Moreover, all educators should be evaluated within the same criteria:
“[…] English language proficiency, teaching experience, and professionalism should be
assessed along on a continuum of professional preparation. All English language educators
should be proficient in English regardless of their native languages, but English language
proficiency should be viewed as only one criterion in evaluating a teacher’s professionalism.
Teaching skills, teaching experience, and professional preparation should be given as much
weight as language proficiency” (TESOL, 2006).
The problem could be partly overcome by changing not only syllabi and curricula, but also testing:
if the goal of testing remains the native speaker variety model, monolingual centered, then students
will feel the need for learning it: “the methodologies and materials that are promoted are still those
favoured by the ENL centres – communicative approaches with an emphasis on ‘learner autonomy’
and monolingual (English only) textbooks” (Jenkins, 2010: 119).
We cannot deny that teaching English as EFL is definitely a big business for Britain and for all the
institutions supporting it: maybe this is the reason why English is also called ‘lingua economica’241.
In Grin’s report (2005) it was estimated that “[i]n termini di entrate nette o di spese evitate, l’attuale
preminenza dell’inglese procura, ad oggi, al Regno Unito più di 10 miliardi di Euro annui” (Grin,
19, 2005 : 9 and 90). Mc Arthur entitles a paragraph of his guide, “English teaching: profession,
social service, or global industry?” (2003: 428).
Recently this language has been treated as a good, a commodity, so that it becomes subject to
marketing: “You need English? Buy British, buy American, buy Australian – buy Global” (ibid:
429). English is suffering from a kind of “marchandification” or “commodification”, being
considered as a good which can be capitalised. In addition, language teaching and learning has a
cost: “The cost of language learning is considerable, if one considers the investment in institutions,
teacher training, salaries, space on timetables, and the effort made by the individual learner over a
long period of time. Education systems are increasingly oriented towards instrumental skills and
markets in which certain types of linguistic capital are perceived as being a better investment than
others” (Phillipson, 2003: 147).
Last, but not least, a shared problem in Italian schools is the neat division and autoreferentiality of
subjects and languages, so students get to think languages are something other from real life: they
have to learn how to use a ‘kit of tools’, maybe useful in the future. This utilitarian approach to
languages is definitely not sufficient to meet society’s needs.
What kind of English-es should, then, be taught in an intercultural and plurilingual context and what
approaches should be employed? (see Görlach, 1995: 35). Should teachers follow the needs of the
circumstances? Should they simplify the idiom? Should they fear linguistic dependence? Will the
language lose richness, identity, significance? “The diffusion of whose English” should they
promote (see Phillipson, 2003: 163)? Should they prepare students for an ideal or for a real world?
Recent developments in English language teaching represent a response to the changing needs of
learners and new market conditions, but they mark a ‘paradigm shift’ away from conventional EFL
241
“It would be silly to claim that the continued use of English, especially as a second language in practically all
countries that inherited it as the medium of education, law, administration and trade, is a politically neutral decision”
(Görlach, 1991: 18. See also Phillipson (2003) who cynically says: “In money we trust” (2003: 146).
106
models (see Graddol, 2006: 15). Graddol is demystifying the EFL and ESL approaches: “EFL
approaches, like all foreign language teaching, positions the learner as an outsider, as a foreigner;
one who struggles to attain acceptance by the target community. The target language is always
someone else’s mother tongue. The learner is constructed as a linguistic tourist – allowed to visit,
but without rights of residence and required always to respect the superior authority of native
speakers.” (ibid.: 82-83).
Lummis suggests a local form of English, a kind of English as a lingua franca, with its practical
advantages242. Another option could be Bloomsbury’s idea, a kind of democratic world language, a
language which is “[…] the possession of every individual and community” (Phillipson, 2003: 163).
Vigner admits a common language for communication seems necessary within the Union:
“Le principe d’égalité stricte des 23 langues européennes est un principe politiquement
incontournable […]. En meme temps, ce principe dégalité dans un plurilinguisme élargi rend
l’usage d’une langue commune indispensable et explique le choix d’un anglais véhiculaire
comme langue d’echange, essentiellement dans le monde des affaires et dans celui des grandes
organizations internationals comme langue de travail omniprésente” (Vigner in Robert-Forlot,
2008: 118)
He adds in footnote “On ne doit pas non plus mésestimer le poids des contentieux historiques entre
voisins qui préféront passer par le canal d’un anglais considéré comme neuter plutôt que de passer
par la langue d’un voisin, qui pourrait être interprété comme une attitude subordination de fait à
l’égard d’un rival encore redouté”243. Alan Firth244 suggests that working on linguas francas in class
is not only useful, but also helps widening students’ perspectives, as they understand the native
speaker is not anymore the model, that people can share ideals, negotiate them, that not necessarily
a language conveys a certain culture, as each person brings with him/her its own patrimony245.
Teachers, in his opinion, should guide students “[…] in their future interaction in linguas francas
and maybe influence the way they will deal with such situations – and thus people […]” (Firth,
1996).
However, there are warnings against teaching a reduced, bad, simple English (Görlach, 2002).
Chini (2010) […] underlines the ambiguous nature of both social expectations and curricular
choices, warns against the temptation of International English being imposed as the norm. The
author argues that working on this variety of English, […] nobody’s language, could prove negative
for the quality both of the psycholinguistic perception learners would have of language in general
and of their own implication in the learning process” (ibid.: 126). English in her opinion has been
242
The lingua franca English is the kind of English spoken not as a mother tongue, which implies accent addiction
rather than elimination of foreign accent. It would facilitate communication, it would promote diversity and unity at the
same time. See also theories on ‘utilitarian’, ‘nuclear’ English, in Görlach, 1991: 21.
243
According to Vigner it is useless to oppose to English partial competence in other languages, it is intellectually
stimulating, but not very practical. Still, he traces in a multilingual competence the possibility to learn other languages.
(Vigner in Robert-Forlot, 2008: 118).
244
Alan Firth is Senior Lecturer in Applied Linguistics and TESOL at the School of Education, Communication &
Language Sciences at Newcastle University, UK.
245
Firth is willing to ask students: “What do learners think of such languages? Why do they think that they are good,
bad, unnatural, interesting, etc.? What impact(s) does the use of linguas francas have on relationships, on how learners
see other people? Also do they notice differences between interaction with natives and non-native speakers? Do they
feel more at ease with either of them? Do they think that native speakers speak the language perfectly (many people
believe that)? etc. (see Firth, 1996)
107
denaturalised and devalued as a language. She maintains a language cannot be discarded from its
cultural matrix, “la maîtrise d’une langue engage aussi bien l’expression de l’individu que la
communication sociale, et la transmission culturelle” (Rastier cit. in ibid.: 131).
We do not mean to simplify the language as to make a jargon of it. Rather, the aim is that of
complexifying and making it sound more personal and human, as shared by many people. This
raises the question: What is the confine between error and variant? When does the teacher have to
consider an error as part of the system? Görlach foresees that the number of speakers will grow so
much that the quality and variety of Englishes around the world will increase and diverge more and
more every year and the traditional categories of forms of English less and less adequate with the
consequent limited offer of education in that language (see Görlach, 1998: 37-38). Nevertheless, it
is still useful to set a standard of rules at school, as it is quite unlikely that all varieties of English
will change that much as to become something ‘other’ from English, rather, they will complexify
the language itself.
Phillipson favours an EFL approach, thanks to which people would interact and negotiate more
effectively, without wasting too much time with grammar or accent rules, or discriminating nonnative speakers. Of course the speakers should try and be as precise as possible, in order to be
understood: “[…] teaching must also involve a great deal of exemplification of the language of rich,
precise, error-free users of English, whether as a mother tongue or as a second language”
(Phillipson, 2003: 170. See also Seidlhofer, 2003). However, Phillipson recommends to avoid
laissez-faire attitudes making English the only working language in the EU, as it would impoverish
the language, which would be spoken with so much imprecision to inhibit communication itself. He
re-affirms the principles of the Vienna Manifesto on European Language Policies246, that on its
own, “there is no contradiction between using a lingua franca (predominantly English) in some
spheres of work and actively practicing multilingualism in other areas. In some cases understanding
will not be possible without a lingua franca (e.g. English) but European communication processes
should not rely exclusively on it” (the ‘Vienna Manifesto’, quoted by Phillipson, 2003: 203)247.
Phillipson adds that States should invest more in language teaching in order to avoid that only the
élites become multilingual; language policy decisions should be taken by experts in this field and
not by politicians; money should be invested also in other languages; students should be educated to
multilingualism and multiculturalism, attained only through a coordinated policy in schools, higher
education, and through media248.
Seidlhofer (2003) maintains “[…] EIL is likely to establish itself alongside local languages rather
than replace them, and to be shaped by all its users” (op. cit.: 11). According to Seidlhofer and
Jenkins (2007), we should think of English as an EIL, rather than ENL, if we wish to preserve the
teaching of other languages too at school: “For the foreseeable future, the demand for 'English' is
246
During the “European Year of Languages 2001, the Austrian Academy of Sciences organised the conference ‘the
cost of Multilingualism-Globalization and linguistic diversity’. Phillipson is reporting here the title, changing it into
“The cost of monolingualism”, in Phillipson, 2003.
247
Forlot (2010) maintains the only solution to overcome monolingualism and promote multilingualism in a realistic
way, is that English becomes a compulsory language, so that it can be employed as a ‘bridge language’: because of its
internal varieties and contamination it does help to learn other languages. Thanks to its “diversalité”, we can work on
comparison, reflection, comprehension, it is vital thinking of global diversity. If we cannot obstacle it, then let’s use it!
(ibid.: 116. See also Giloes-Forlot, 2008).
248
See also the journal Language Teaching; the Council of Europe; The EU website and Savage’s “Policies for foreign
language teaching in the member states of the European Union”, a Report prepared for the European commission, task
force Human Resources, Education, Training & Youth, Brussels, 1994.
108
here to stay, whether this is a welcome fact or not. The most constructive response to this, and the
only proactive course of action, would seem to be a reconceptualization and appropriation of this
'English' as EIL” . (ibid.). The author wonders how EIL can be dealt with in European curricula, as
“Conceptually, linguistically and pedagogically: EIL is practically nonexistent in language teaching
curricula and materials […] Instead, the focus has so far remained very much on 'cumulative'
proficiency (becoming better at speaking and writing English as native speakers do) and on the goal
of successful communication with native speakers […]”? (Seidlhofer, 2003: 12). Materials are still
mainly focused on the Anglo-American standard, very much focused on the native speakers’ idiom,
plus some ‘exotic’ variants (cfr. ibid.: 13 and 21). She asks herself what EIL actually looks like,
how teachers can teach it at an oral or a written level. Moreover, from the pedagogical point of
view, she puts forward another open question: “what would/could teaching EIL actually mean, and
how would it differ from teaching English as a foreign language or English as a second language?”
(Seidlhofer, 2003: 11-12). These questions are still far from being exhaustively answered.
Both Modiano and Graddol, making predictions about the future of English249, see English learning
as a quasi-inevitable pre-requisite a person needs to have in order to gain access to the world of
international, but also intranational activities. Still, we cannot consider plurilingualism as a dualism
English plus another language250. The primary aim at school is not only an effective communication
in FL, but autonomy and social integration (see CEFR, 2001: 13-17). Focusing only on
communicative competence is utopic at school. We need to start reasoned work on the system, on
norms not imposed, but discovered in order to develop a metalinguistic conscience (see Chini,
2010: 130) and, as a consequence, a solid plurilingual competence. The very core of the CEFR must
be revised251. Plurilingualism should become an attitude, not a means: “We mustn’t reduce
ourselves to a simplified pidgin, just for intercomprehension. otherwise we would have a superficial
multilingualism (see ibid., 2010). We should train our students to have an ecological approach to
languages, so that they will be able to handle a language when they need it: “[…] on se doit de
considérer qu'il y a "anglais" et "anglais", l'un, qui comme toute langue-culture, s'inscrit dans la
contingence de la diversité humaine, et l'autre, simplificateur, qui tend à l'universalité et y perd son
identité. Et, je reste convaincue que c'est en aidant les élèves à découvrir et construire le premier à
l'école qu'on leur permettra à terme d'acquérir la maîtrise sociale efficace du second” (ibid.: 137).
TESOL association (i.e. teaching English to Speakers of other languages)252 maintains in one of its
Position Statements that “Although TESOL's mission is to advance excellence in English language
teaching, TESOL values and encourages multilingualism in all learners at every age and level. As
research shows, multilingual capabilities have positive effects on development and learning.
TESOL supports and encourages programs that foster skills in both first and additional languages”
(3-2006).
In addition, TESOL supports individual language rights for all people and strongly encourages
governments and countries to promote policies that recognise and value the languages in their
population − whether they are indigenous, dominant, or foreign. Moreover, TESOL strongly
249
See also Modiano, M., “A Futurology of English”, 2011: 141.
Chini (2010) wonders if the problems of linguistic hegemony are really in primis “linguistic”, or if there is something
beneath them.
251
The CEFR (2002) is very pragmatic, mechanic as it focuses too much on use, students are considered as users.
252
Jenkins maintains it should change into teaching English of Speakers of Other Languages; (in Jenkins, 2007: 252)
250
109
encourages policies that promote and enhance multilingualism by recognising and building upon
national language resources (TESOL, 2004).
In Graddol’s English Next, part two: ‘Education’(2006: 68), the author gives an overview of the
present educational situation in secondary and in higher education: he outlines its potentialities
giving tips and models to change English curricula into multilingual ones, taking into account
language variation: the author brings also about initiatives such as CLIL253, EYL, English for
Young Learners (ibid.: 88), the World English Project, and ELF teaching. The latter one focuses
more on intelligibility than on the detail. Unlike traditional EFL, ELF focuses also on pragmatic
strategies required in intercultural communication. The target model of English, within the ELF
framework, is not a native speaker but a fluent bilingual speaker, who retains a national identity in
terms of accent, and who also has the special skills required to negotiate understanding with another
non-native speakers (see ibid.: 87). Such an approach is allowing researchers to identify a ‘Lingua
Franca Core’ (LFC) which provides guiding principles in creating syllabuses and assessment
materials.
Even though ELF is having a great impact on global scale, the teaching field seems to ignore it
(Jenkins., 2007: xi. See also Widdowson, 1997). Jenkins hopes that one day this linguistic variety
will be present in the didactic of English, “[…] to be offered as a pedagogic alternative to (but not
necessarily a replacement for) traditional EFL” (ibid.: xii). The most important feature Jenkins
brings about is that ELF is well inscribed in the plurilingual policy, as it is for its nature, hybrid:
“ELF is in tune with the plurilinguistic nature of a world Englishes paradigm […] they also serve as
a timely reminder that an international lingua franca cannot divorce itself from the world’s
linguistic situation and that ELF researchers (and speakers) should never lose sight of the
importance of all languages as well as all varieties of English, or they will run the risk of being
‘seen as introducing a form of neo-standardisation in the guise of a universal pedagogical solution
for L2 speakers of English’” (ibid.:18, quoting Ruby and Saraceni, 2006:14).
A lot of research is being carried out also on intercomprehension among languages (see for example
Robert-Forlot, eds., 149/1-3, 2008 and De Carlo, 2009, but also projects of e-learning such as
GALANET, GALAPRO, et al.):
“Various methods […] are based on comparisons between two or more languages […], with
which pupils may or may not be familiar (see Dabène 1994; Hawkins 1987, etc). These methods
are implemented in conjunction with awareness-raising activities designed to help teachers and
learners to reflect on their experiences, their representations of languages and their learning
culture (Grandcolas & Vasseur 1999). They enable pupils to distance themselves from their
mother-tongue system, and to relativise its position vis -à-vis the foreign system (Cain & Briane
1996). Multiple exposure to a range of language systems teaches pupils to establish
relationships between them through trial and error, encouraging them to form hypotheses and
giving them an effective tool for gaining access to certain operations in target systems. The
challenge is to create such relationships in order to support and enhance the learning process”
(Castellotti-Moore, 2002: 18).
253
The Portfolio, the CEFR, but also CARAP and PEFIL are new approaches to languages, which attest what a learner
knows, and does with the languages, his relationship with them, instead of detecting what he DOES NOT know (as does
a certain old fashioned trend in didactic). (see Graddol, 2006: 86).
110
Moreover, English has reached an exceptional amount of hybridations from other languages, as
much as it has influenced the others254. We can work on intercomprehension, in which English will
be present in relation to the other languages: “[…] la langue anglaise prendrait bien sûr un place de
choix, trés certainement charnière, mais dans un rapport plus égalitaire vis-à-vis des autres idiomes”
(De Carlo, 2009: 118) That is an interesting and never-ending field to discover.
Some other aspects need to be investigated (see also Görlach, 1991), as a descriptive work on
varieties of English (see Görlach, 2002)255. The analysis on varieties could help students be aware
of differences (i.e. linguistic awareness), operate comparisons, reflect on issues as language –
identity – hybridation - internationalisation and so on. However, until there is somebody who is
interested in keeping the standard high, such studies on varieties of English will result inferior:
“Where some kind of norm must first be agreed upon, and standards kept up to fight the alleged
corruption of English, the study of linguistic variation is obviously a minor concern” (Görlach,
1991: 35) 256.
Students can treat the language not only from the linguistic point of view, but also from the
historical and social one, in a more multicultural, wider context. Görlach proposes that “ELT should
increasingly make some use of varieties, including regional/national standards outside England and
the United States, and selected non-standard forms of English in order to increase comprehension
(teachers pointing out that languages are necessarily heterogeneous) […]” (Görlach 2002: 12).
Focusing just on one variety proves highly incorrect towards other varieties and towards personal
acquisition of a language in the individual’s linguistic framework and cultural background: “When
a practitioner explains to students that one variety is superior to others, as is the case when
proponents of AmE or BrE, for example, instill in the minds of students the idea that other varieties
are less valued” (Modiano, 2001: 339), bringing about the idea that English is the property of
SOME native speakers.
It would be interesting to read some of the so called ‘Commonwealth literature’ in a sociolinguistic
perspective. Some activities could be: see why these authors chose to employ the English-medium;
what choices of words are made; if there has been experimentation, etc. Some other steps to develop
awareness of linguistic variation are, for example, detecting deviances from the expected English,
see how much students understand of other varieties; investigate possible stereotypes, the
reasons/intentions of the author; hypothesize the type of audience the text has been written for;
reflect on grammar, norms, correctness, and prestige of the language employed in the text analysed;
consider the advantages and disadvantages of employing a standard English adequately learnt for
communication (see also Görlach’s proposals in 2002: 165).
Another issue worth analysing at school is the political role of English, both as a world language
and as a subject: “English as a world language is still not a properly demarcated scholarly discipline
employing well-defined terms within a theory developed for the purpose” (Görlach, M., 1995: 37).
According to Modiano, the only way to avoid fears of linguistic imperialism or ‘neo-colonialism’,
254
De Carlo and her team studied a sample of words from the Oxford English Dictionary realising only 10% of them
come from Germanic. 25% are neologisms born in the centuries, and 65% of English vocabulary comes from Latin,
French, Italian and Spanish. (see De Carlo, 2009: 7).
255
According to Kachru (1982) one way to avoid colonisation to support the indigenised variety of English in nonnative countries (See Kachru, 1982, cited in Modiano, 2001: 340).
256
Language variation has encountered little attention from language teachers. The author has discovered that regional
labeling is normally restricted to the British English vs. American English.
111
as many define it, is to consider English as an international language: “[…] while linguistic
imperialism is certainly real, and demands to be addressed, one possible way for the language
instructor257 to come to terms with the cultural imposition of English language learning is to utilise
ELT practices which position and define English as an International language (EIL)” (Modiano,
2001: 339).
According to Graddol the most democratic solution would be a global English with a high level of
proficiency, so as to make it the L2 for every speaker: “One of the themes of this book is that as
global English makes the transition from ‘foreign language’ to basic skill, it seems to generate an
even greater need for other languages” (Graddol, 2006: 118). But it takes time: “We are entering a
phase of global English which is less glamorous, less news-worthy, and further from the leading
edge of exciting ideas. It is the ‘implementation stage’, which will shape future identities,
economies and cultures. The way this stage is managed could determine the futures of several
generations.” (ibid.: 109). The author is aware of the possible backlash a global English could
cause: hegemony of the English language, danger for minorities, dealing with economic changes,
etc. Still, he believes that in the long run we should not fear any of these consequences, as, if there
are enough funds and rules to manage it, a democratic multilingualism is going to grow.
Nevertheless, teachers should never take for granted that English is everybody’s language: “So it is
with both postmodernity and global English. Interest in both is waning amongst intellectuals
precisely because it is now seen as a ‘done deal’. It is here, not something to come. Both have
become mainstream features of the 21st century world. But it is only now that both are seriously
transforming the world. This is the less exciting ‘implementation’ stage” (ibid.: 22).
Teachers need working on students’ attitudes, subjectivity, raising their awareness of language
issues (Phillipson, 2003), since an early age: “Students do not have to await graduation to become
aware” (Byram, 2008: 151). Extreme relativism does not lead to communication, so we need to
understand, accept and talk to diversity258. Learners are primarily ‘social actors’259: “[...] we cannot
argue in terms of ‘ideal speaker’, or of ‘balanced’ or ‘perfect’ bilingual, or of ‘dialogues between
cultures’. The multiple competence concerned is always individualised, evolving, heterogeneous,
unbalanced” (Coste-Moore-Zarate, 2009: 42. See also Ciliberti’s proposes in 1997: 134- 136). The
aim is not to copy the natives, or to reach an ‘ape-like received pronunciation’, but to create
intercultural citizens: “Going beyond the cultural to the intercultural, the goal is not to develop
native-like proficiency, but intercultural speakers, citizens able to mediate between cultures within
national, regional and European identities” (Phillipson, 2003: 147)260.
257
Personally, I wouldn’t use ‘instructor’, rather ‘educator’,’ teacher’.
Students need to acquire linguistic (produce and interpret language), sociolinguistic (give meaning for a purpose) and
discoursive competence (negotiate to produce) (see Benhabib, 2005).
259
Byram (2008) quotes Delanoy, 1998: “speakers acquire over their lifetime a whole range of various rules of
interpretation that they use knowingly and judiciously according to the various social contexts in which they live and
with which they make sense of the world around them” (59).
260
Phillipson is quoting here J. Sheils, ‘Council of Europe language policy’, Council of Europe, Linguistic diversity for
democratic citizenship in Europe, 2000: 129-136): “To act interculturally is different from being bicultural. If you want
to avoid internal conflict (i.e. bilingual), it is better to act interculturally, that is bringing into a relationship two
cultures”. See also Kleinjans Paulston (1992) who gives some definitions of possible attitudes towards another culture:
“sociolinguistic perspectives on bilingual education, (in Byram, 2008: 66). Byram (2006: 69) integrates the list with
some other intercultural attitudes. (see Mantovani, 2005).
258
112
Dodman suggests an intercultural curriculum made of ‘continuity’ (of cycles of studies); ‘essential’
(not an encyclopedic knowledge); ‘transversal ‘(foreseeing links among disciplines intra and extra
moenia); ‘plural’ (made of languages and cultures), ‘integrating and integrated’ of potential
outcomes in a lifelong learning perspective. As the demand for English continues, new forms of
communication are likely to develop in this idiom, especially in oral form. As a consequence,
English should be part of a broader educational and linguistic policy, not the core of it or the
“hyper-centre” (Forlot, 2010: 98). Graddol affirms there is not one highway to teach and learn a
particular variety of English as we are facing the so called language ‘complex’: “There is no single
way of teaching English, no single way of learning it, no single motive for doing so, no single
syllabus or textbook, no single way of assessing proficiency and, indeed, no single variety of
English which provides the target of learning. It is tempting, but unhelpful, to say there are as many
combinations of these as there are learners and teachers. The proliferation of acronyms in ELT
reflects this diversity of models” (Graddol, 2006: 82). Plus, the audience we face today is not
anymore homogeneous: “One feature of education in the postmodern world is the fragmented
nature, not just of knowledge, but also the community of learners in the classroom” (ibid.: 72).
Now teachers need additional, integrated skills to face such a complex situation within and outside
English language: retraining is needed for English specialists. Specialist English teachers will need
to acquire additional skills as English is less often taught as a subject on its own. Today we need
multi-skilled, pluricultural and plurilingual teachers to teach languages: “In today’s complex and
globalising world, well-trained, multilingual and culturally sophisticated teachers are needed to
teach learners of English. It is time for those involved in the ELT profession to resist the
employment of untrained native speaker teachers” (Andy Kirkpatrick, Professor at Hong Kong
Institute of Education, quoted by Graddol, 2006: 121).
Teachers’ training is vital at this point (see Forlot, 2010): “Unfortunately, there may well be a
strong case for reform of foreign language teaching in many countries, but focus on a single factor,
such as age or school exchanges, pales into insignificance when compared with fundamentals such
as teacher competence and established national traditions” (Phillipson, 2003: 99). Training courses
play a crucial role: “Les formations universitaires et les concours de recrutement portent eux aussi
une part importante de responsabilités, parce qu’ils produisent et reproduisent (mais peut-être est-ce
leur role?) ce que l’enseignant ne devra précisément faire devant ses élèves: du magistral, du
frontal, de l’hyperformatif et, sur le plan des contenus, du civilisationnel détaché du culturel
general…du linguistique…détaché de pratique langagières ’réelles’” (Forlot, 2010: 106-107). In
order to do so, the whole program of teachers’ training must be revised (Vigner, 2008: 115): if we
want teachers to work transversally and mingle their curricula, they have to mature a multilingual
and multicultural sensitiveness themselves. In order to do so, teachers must become researchers
themselves in detecting and complexifying their subject (see Ciliberti, 1997: 299; Montuschi, 2005;
Dodaman, 2010).
Teachers need to be trained for ELF and varieties of English in order to be aware and mature
criticism to pass on to their students. But, most of all, they need to be given the opportunity to
spend their knowledge in class: “Even when teachers do have an opportunity to learn about ELF
and NNS English varieties, as is sometimes the case of masters (and occasionally bachelors)
programmes around the world […] there is still a massive gap between theory and practice”
(Jenkins, 2007: 246). Teachers “tend to find curriculum change and innovation unsettling […] there
113
is also a need for institutional and national support […] and a need to address teachers’ concerns
about maintaining the esteem of others when they introduce innovations” (ibid.: 248), conscious that
teachers change, as the learning process, is “not linear, situated, and personal in nature” (ibid).
Jenkins (2007) affirms teachers’ education is “of pivotal importance” (ibid.: 249). She suggests a
good way to train teachers would be working on their attitudes, beliefs through language awareness
activities (see ibid.: 250). Other suggestions she gives are gaining familiarity with a range of L2
English accents, developing accommodating skills, using action research and their own experience
to replace standard NS targets, and changing their way of judging skills, encouraging
accommodation skills, regardless of their closeness or not to the NS model. Moreover, information
and discussion about these practices is crucial to give teachers the confidence they need in this
‘new’ field.
Rastier prospects a sociolinguistic sensibilisation not only to students, but in primis to teachers, the
mediators of culture: “La question du statut disciplinaire des profeseurs est la condition préalable à
la diffusion d’un enseignement diversifié des langues” (Vigner, 2008: 117). Teachers need a
different education, which does not focus only on academic knowledge of one language and
culture261, rather of networking languages-cultures:
“[…] attend-on des professeurs d'anglais, comme le suggère l'importance accordée à l'objectif
culturel, qu'ils enseignent une langue-culture, et ouvrent ainsi leurs élèves à la connaissance et
l'acceptation d'autrui, au même titre que leurs collègues d'allemand, d'espagnol ou d'italien,
démarche qui est le terreau indispensable à la construction d'une véritable compétence
interculturelle et plurilingue, ou finalement l'objectif majeur serait-il de s'assurer de la maîtrise
fonctionnelle par les futurs citoyens don’t ils ont la charge d'un outil linguistique certes
incontournable pour leur survie sociale, mais qui n'est, comme le précise G. Forlot, qu'une
"construction simplificatrice qui n'est plus à proprement parler de l'anglais" ?” (Rastier, quoted
by Forlot, 7/1, 2010).
There will be a period of transition, which, according to Graddol (2006) will not fade so quickly. It
may represent a stable condition of our postmodern era: “such messiness is not just a transitional
matter which will eventually go away. The need to cater for diverse combinations of levels, ages,
and needs may be an enduring feature of postmodern education (see ibid.: 121). Below are
Graddol’s (2006) predictions for the near future:
-during the next decade and beyond, there will be an ever-changing mix of age-relationships with
skill levels, making generic approaches to textbooks, teaching methods and assessment
inappropriate;
-the learning of English appears to be losing its separate identity as a discipline and merging with
general education;
-specialist English teachers in many countries can expect to see the nature of their jobs changing
during the next 10-15 years (ibid.: 102).
261
Byram (2008) suggests that teachers, in order to educate learners about values in society and democratic citizenship,
need to problematise their assets, be motivated to persuade, engage and act on the world, they need to develop critical
understanding, mediate with experience and environment, have willingness to problematise their own perceptions,
develop critical reflection on ethical questions, and master skills which are oriented and transferable.
114
In order to operate an efficacious change, without catastrophic consequences, institutions and those
involved in linguistic policies need to train specialists who can cooperate with them on the ground:
“In order to work well, it requires […] sufficient funding, and effective and timely training. Above
all, it requires patience and the time to allow teachers to gain experience and bring about the
necessary cultural change within institutions (ibid.: 120).
115
Capitolo III
Indagine: le rappresentazioni linguistiche degli studenti
Premessa: dai cliché alle rappresentazioni linguistico-culturali
“Ci sono prigioni con barriere,
ma ce ne sono di più raffinate da cui è difficile fuggire
perché non si ha la consapevolezza di esserne prigionieri.
Sono le prigioni dei nostri automatismi culturali”.
(H.Laborit)262
Nel presente capitolo verranno analizzate le rappresentazioni che gli studenti di scuola
secondaria hanno maturato sul proprio rapporto con le lingue-culture e con l’inglese in particolare, a
partire dal loro percorso di studi. Si tenta in tale maniera di individuare alcuni punti critici della
didattica dell’inglese e delle lingue in generale, a partire dai suoi effetti sul tessuto scolastico. Il fine
è quello di calibrare una successiva proposta formativa per insegnanti che tenga in considerazione il
retroterra linguistico-culturale e gli atteggiamenti verso le lingue da parte degli apprendenti, o come
sostengono Castellotti e Moore “[...] to acknowledge society’s representations of languages and
language teaching and learning so as to develop appropriate curriculum structures and teaching
methods” (2002: 21).
Negli ultimi anni la didattologia delle lingue e la riflessione metalinguistica sul plurilinguismo e
sull’interculturalità, ma anche la sociolinguistica e tanti altri campi di studio legati alle lingue (cfr.
ibid.: 7), hanno dedicato molto spazio alle rappresentazioni linguistiche in ambito educativo, dal
momento che si è osservato come queste influenzino la motivazione ad apprendere (o meno) altre
lingue: “[...] si riconosce come le rappresentazioni che gli apprendenti si fanno circa una
determinata lingua, le sue norme e le sue caratteristiche, nonché il suo statuto rispetto ad altre
lingue, influenzi le modalità e le strategie dell’apprendimento e dell’uso linguistico” (Dabène cit. in
Lévy, 2007: 42. cfr. Castellotti-Moore, 2002: 10; Mazzara, 1997 cit. in Cognigni-Vitrone, 2009:
249). Gli automatismi culturali presenti nell’immaginario individuale e collettivo, pur se
sotterranei263, spesso emergono quando ci si approccia all’ ‘Altro’, tanto a livello didattico, quanto
in contesti reali.
L’apprendente non ammassa conoscenze su binari paralleli (cfr. Castellotti-Moore, 2002: 9 e
Londei, 1990) ma si crea, in virtù di tali rappresentazioni, una visione soggettiva della “distanza
interlinguistica” (Mackey, 1971, cit. da Cognigni in Lévy, 2007), fra la propria lingua e le altre
262
Biologo, etologo, filosofo
Gli studi di sociolinguistica e linguistica sociale (‘folk linguistics’) osservano gli atteggiamenti consci e inconsci
verso le lingue e trattano di distribuzione geografica di una lingua, di affettività rispetto a certe lingue, le ideologie che
vi si celano, il grado di diversità percepito, l’imitazione, e gli aneddoti su di esse, per fare alcuni esempi. (cfr. Preston,
2006: 115 cit. in Jenkins, 2007: 75).
263
116
lingue che entrano in relazione con essa. Va dunque tenuto conto come l’apprendente, ma anche
l’insegnante, considera le lingue-culture da apprendere e dove le colloca rispetto al proprio
patrimonio culturale: “Perception of distance or proximity to a language goes beyond the actual
similarity among languages” (Castellotti-Moore, 2002: 76). Bisogna prestare altresì molta
attenzione non solo alla visione che l’apprendente si forma rispetto alle lingue cosiddette ‘target’,
ovvero le lingue da apprendere, ma anche e soprattutto al rapporto che si crea fra il proprio
patrimonio linguistico e la cultura-e straniera-e264 in generale, nella co-costruzione della propria
identità (cfr. Londei, 1990: 41, 51 e 69): “Linguistic identity [… ] is a complex phenomenon that
cannot be divorced from other phenomena such as language attitudes and ideologies, and linguistic
power, while the relationships among them are becoming even more complex in postmodern
societies” (Jenkins, 2007: 198). L’identità non è fissa, bensì frutto di un processo265: esistono
identità multiple in gerarchia all’interno di ciascun individuo (Omoniyi, 2006: 30, cit. in Jenkins,
2007: 202) e talvolta la percezione di tali gerarchie conta più dell’effettiva vicinanza/lontananza
glottologica da una lingua (cfr. Cavalli-Coletta, 2002: 17).
Di seguito vengono esplicitati alcuni concetti chiave a riguardo, tratti per lo più da Castellotti e
Moore (2002), spesso utilizzati nel cap. III e menzionati nel corso dell’intera ricerca, spesso
fuorvianti per la loro radice etimologica affine. L’intento è quello di creare un quadro di riferimento
chiaro entro cui collocare la definizione di ‘rappresentazione linguistico-culturale’: per ‘identità’ si
intende un insieme di caratteristiche che consentono di definire un oggetto, un individuo;
l’’identificazione’ è la ricerca esteriore di queste caratteristiche, mentre l’ ‘imagologia’ è la visione
che un determinato popolo o gruppo ha di sé e degli altri (cfr. Londei, 1990: 41, 51 e 69). Più nello
specifico, le ‘immagini sulla lingua’ si costruiscono attraverso l’uso concreto che si fa della lingua
stessa, mentre l’‘identità linguistica’ ovvero l’appartenenza, c’è quando la lingua partecipa alla
costruzione dell’identità. Le ‘rappresentazioni’ sono conoscenze e esperienze sulle e con le lingue,
proprie e altrui, e le relazioni che si instaurano fra esse. Infine, l’‘immaginario’, come un
magazzino, contiene il patrimonio rappresentativo, che colloca e razionalizza le percezioni delle
lingue, il valore che gli si attribuisce, l’uso che se ne fa. Le lingue dunque concorrono non solo
come oggetto, ma anche come soggetto alla costruzione dell’identità del parlante266. La riflessione
metalinguistica in tal senso non risulta una mera speculazione filosofica, ma è utile per
sensibilizzare gli apprendenti alla criticità alle lingue e nella visione di sé, in rapporto con gli altri:
“most language behaviours are [...] socially diagnostic” (Giles-Coupland, 1991: 32, cit. in Jenkins,
2007: 78). L’immagine che si ha di sé ha un peso ancora maggiore se analizzata, come nel nostro
caso, nel periodo dell’adolescenza, età generalmente connotata da grandi ripensamenti, dalla ricerca
identitaria e dal suo consolidamento (cfr. Nicolini, 1999).
Allo stesso modo, gli atteggiamenti e le rappresentazioni, come pure i cliché culturali, gli stereotipi
e i pregiudizi, sono interrelati, ma ognuno afferisce ad un determinato comportamento (cfr.
Castellotti-Moore, 2002: 8). Di seguito si cercherà di darne una definizione in sintesi:
l’atteggiamento (in inglese attitude) è la predisposizione a reagire in un certo modo a qualcosa: “an
264
Si veda Londei, (1990: 15) per la distinzione fra “inculturazione” della cultura materna, e “acculturazione” di una
cultura straniera.
265
Si veda Joseph (2004a:10 cit. in Jenkins, 2007: 233). L’autrice ci tiene a precisare che adopera spesso il termine
‘identità’, anche se l’accezione più corretta sarebbe ‘identificazione’.
266
Si vedano i capp. I e II della presente tesi in cui si rammenta che l’inglese non può essere considerato come mero
strumento della comunicazione.
117
acquired latent psychological (pre)-disposition to react to an object in a certain way” (Kolde 1981 in
Castellotti-Moore, 2002: 8) Tale comportamento è influenzato, a sua volta, da verità oggettive, o da
stereotipi, e tale visione può evolvere nel tempo. Gli atteggiamenti non si possono osservare
direttamente: “Attitudes […] are usually associated with the behaviour they generate, and evaluated
according to it (ibid.). Jenkins fa notare la differenza fra i concetti di ‘attitude’ e ‘belief’: la prima
categoria opera al di sotto della soglia del conscio, mentre la seconda è esplicita e conscia (cfr.
Jenkins, 2007: 106). Il ‘cliché culturale’ è una associazione convenzionale di immagini semplici
utili a caratterizzare e a identificare immediatamente, anche se in maniera semplificata, un qualcosa
di più grande e complesso267. Lo stereotipo è un tipo specifico di atteggiamento, ovvero
l’identificazione stabile e cristallizzata, decontestualizzata, semplificata di immagini condivise da
determinati gruppi: “Stereotypes identify stable, decontextualised, simplified, abbreviated images
that operate in the common memory and are accepted by certain groups. The degree to which
particular groups of speakers or individuals accept them as valid may depend on linguistic and
learning behaviour and practices” (Castellotti-Moore, 2002: 8). Lo stereotipo di per sé non è né vero
né falso, bensì una costruzione culturale268. L’idea stessa che abbiamo di noi (identità) è in parte
stereotipo perché è una dialettica continua fra il rapportarsi all’altro e all’idea che l’altro ha di noi.
Lo scopo non è tanto quello di decidere fino a che punto lo stereotipo sia vero o meno, quanto di
individuarlo come tale: “The key is not deciding whether a stereotype is “true”, but being able to
recognise it as such and acknowledging its validity for a given group” (Castellotti-Moore, 2002: 8).
Infine, le ‘rappresentazioni linguistiche e socioculturali’269 sono una visione socialmente sviluppata
e riconosciuta della realtà: “Representations [...] play a decisive role in the management of social
relations, in terms of both behaviour and communication” (ibid: 8). Non esistono rappresentazioni
migliori di altre, essendo soggettive. Esse vengono elaborate dagli individui per tutelare la propria
identità270. In didattica le rappresentazioni sono utilissime, anche se in principio ancorate a
stereotipi, perché illuminano sulla distanza che il discente pone fra la propria lingua e quella da
studiare (ibid.: 9).
Spesso gli insegnanti, come gli studenti, considerano la comunicazione come veicolo di messaggi
espliciti, senza considerare la miriade di informazioni extra-linguistiche filtrate implicitamente dalle
lingue: interpretazioni, traduzioni, descrizioni, generalizzazioni, riproduzioni, citazioni, possono
essere considerate all’interno della categoria ‘rappresentazioni’ come “compromesso tra
l’oggettività e le considerazioni soggettive” (Londei, 1990: 86).
Le rappresentazioni vanno sfruttate, non sradicate, perché sono parte della propria identità:
“Attitudes to cultural difference are closely related to the process of affirming one’s identity.
Consequently, teachers cannot treat them as attitudes that must be eradicated” (Cavalli-Coletta,
267
Una figura retorica evocativa per spiegare tale meccanismo potrebbe essere la metonimia, ovvero la parte per il tutto.
Tali immagini non sono necessariamente negative, anzi, il più delle volte sono immagini positive (es. Italia=‘pasta e
pizza’ in La Cecla, F., La Pasta e la pizza, Il Mulino: 1998). L’uomo ha bisogno di categorizzare e tuttavia va tenuto
presente che le metafore concettuali non sono universali. Si veda la ‘teoria dell’attribuzione’ in Balboni, 1999.
268
Londei (1990: 71) distingue fra auto-stereotipi e etero-stereotipi, i quali vanno distinti dal pregiudizio, che viene
“prima” di aver visto la realtà, dunque non è accettabile. Lo Stereotipo etnico, ad esempio è utile, se aiuta a individuare
subito l’altro. E’ quando si cristallizza che diventa negativo. Il pregiudizio etnico invece è un giudizio di VALORE, in
genere dispregiativo, verso un altro gruppo. (cfr. De Carlo, 1998).
269
Il francese ‘Représentation sociale’ è stato reso in inglese ‘social representation’.
270
Soprattutto in situazioni di contatto, come le condizioni di convivenza multiculturale. Vedi a tal proposito LéviStrauss, Razza e Storia, 1952.
118
2002: 17)271. In virtù della ‘malleabilità’ di tali rappresentazioni, si possono eventualmente educare
gli studenti ad atteggiamenti interculturali, sviluppando una sensibilità critica alle lingue, al loro
statuto e ai loro rapporti interni ed esterni: “[teachers] cannot but also consider the feelings and
linguistic representations of individuals, the ease or the difficulties they encounter in approaching
those languages, the irritation or help from languages they already know, the feeling of familiarity
or estrangement - the degree of foreignness (Communications n. 43) they are exposed to” (ZarateLévy-Kramsch, a c. d., 2010 e Castellotti-Moore, 2002: 6).
L’insegnante, in qualità di ‘mediatore linguistico-culturale’ ha il compito di rendere consapevoli gli
studenti dei propri ‘file’ di categorizzazione e dei ‘software mentali’ dell’altro, per esser consci
della complessità della realtà e della comunicazione, al fine di evitare l’omologazione272.
L’analisi delle rappresentazioni linguistico-culturali dovrebbe diventare prassi nell’educazione alle
lingue-culture. (cfr. Cavalli-Coletta, 2002:20 e Rizzardi, 1997). Puren afferma che bisognerebbe
andare ancora oltre, gestendo e lavorando sulle ‘concezioni’ poiché queste permettono di agire
insieme, e non solo di attestare l’identità propria e altrui (cfr. Galisson-Puren, 1999: 10). Le
rappresentazioni sono dunque genuinamente utili se funzionali ad un’attività più ampia e costruttiva
come l’azione sociale.
Focus sull’inglese
Per quanto concerne l’inglese, lingua/e e cultura/e, questa è spesso percepita come ‘vicina’ non
tanto per l’effettiva vicinanza all’italiano, ma perché gli studenti hanno avuto modo di
familiarizzare con tale idioma fin dalla scuola primaria, o perché ne sono influenzati con messaggi
provenienti dalla realtà che vivono tutti i giorni, dentro e fuori dalla scuola (cfr. Castellotti-Moore,
2001 e Forlot, 2008)273. L’inglese, proprio in virtù della sua vicinanza, effettiva o percepita, assume
talvolta persino il compito di àncora nel momento in cui si vanno a studiare altre lingue: “In
addition to the first language, other languages may emerge as alternative points of reference, either
because of a perceived relationship with the subject’s first language or because of an imagined
proximity to the languages encountered. Such languages – especially English, which, as we have
seen, plays a special role in some subjects’ representations – then acquires the status of a facilitator,
intermediary or mediator” (Cavalli-Coletta, 2002: 17).
271
Op. cit. Langues, bilinguisme et représentations sociales au Val d’Aoste, Aoste: Institut Régional de Recherche
Educative. Le rappresentazioni sono considerate dalle scienze sociali come una forma di conoscenza socialmente
elaborata e condivisa, con scopo pratico, e che incide sulla diffusione delle conoscenze e contribuisce alla cultura.
Cavalli-Coletta (2002) ritengono utile adoperare strategie lavorando sia sul macrotesto, ovvero sul curriculum
(didattica, scelte curricolari, etc.), sia sul micro testo, in classe (progettazione e sperimentazione di attività, etc.) (ibid.
12). Si vedano i “7 setacci” promossi dall’ECML di Graz, o progetti quali Galapro e Progetto Lingue 2000, fra i tanti.
272
Bisogna educare non solo a produrre, ma anche ad ascoltare e osservare. Si vedano le10 tesi di De Mauro per
l’educazione linguistica democratica, in cui si pone l’accento sulle abilità ‘ricettive’, oltre che su quelle ‘produttive’.
(cfr. De Mauro: 1975). Un’indagine simile alla presente, che vedeva come target studenti universitari e come lingua
bersaglio il tedesco, è stata condotta nel 2007 dalla dottoressa Goranka Rocco con circa 500 studenti dell’università di
Bologna. I risultati sono pubblicati nell’articolo, Rocco, G., “Rappresentazioni Mentali di Diverse Lingue e Culture,
Ipotesi sulla loro Diffusione e sul loro Ruolo nella comunicazione Mondiale” (in Miller-Pano, 2009: 260-271). Si veda
anche il sondaggio di Mariani (2011) a studenti di scuola secondaria del nord d’Italia sui propri atteggiamenti nei
confronti dell’apprendimento delle lingue straniere a scuola.
273
Si vedano le risposte fornite dagli studenti nei questionari analizzati nel presente capitolo.
119
Numerosi e disparati sono i tentativi di spiegare perché la lingua inglese sia percepita come ‘vicina’,
‘facile’, ‘necessaria’274. Forlot, in termini sociolinguistici, cerca di spiegare il sentimento di
‘necessità’ che governa oggi la lingua inglese, distinguendo fra ragioni ‘metalinguistiche’ ed
‘epilinguistiche’ (Forlot, 2010): l’autore mostra come il metalinguaggio metta in luce l’effettiva
struttura della lingua, mentre ad un livello epilinguistico emerge il valore dato alla lingua, lo status
che essa detiene. Nel caso dell’inglese, dal punto di vista del metalinguaggio, è vista come ‘più
facile’ da apprendere rispetto ad altre lingue (cfr. risultati par. 3.2 della presente ricerca). Dal punto
di vista epilinguistico, tale lingua è spesso associata alla sua funzione di lingua franca
internazionale e alla promessa di successo professionale.
In Giappone il mezzo di comunicazione incarnato nella lingua inglese ha raggiunto uno status tale
da fungere da messaggio stesso: ‘inglese’ è sinonimo di ‘internazionalizzazione’ di per sé, quasi in
modo ‘decorativo’, al di là del significato delle parole impiegate in tale lingua:
“the widespread use of English in Japan is a reflection of the country’s desire to internationalise
and of its fascination with the world of the gaijin (literally ‘outsider’ or ‘alien’), particularly
America […] Compared with the Chinese characters used for everyday purposes, the romaji
(Roman alphabet) of English seems smart, sophisticated and modern. […]. One company
recognizes this by printing on their writing paper, ‘The very best stationery for people who get
excited when they see English all over everything’. Apparently, the English is never even read,
even by students and teachers of the language: it is purely decorative” (Dougill, J., “English as a
decorative language”, cit. in McArthur, 2003: 420)
L’inchiesta che segue tenta di individuare in particolare quali siano le percezioni dell’inglese, lingua
e cultura, oggi, fra i banchi di scuola, al fine di rispondere alla domanda: di quale inglese parliamo
oggi? Cosa intendono per ‘inglese’ i giovani?
“Cela étant, de quelle anglais parle-t-on? S’agit-il de la langue du people britannique approchée
dans sa singularité et dans sa relation à une communauté particulière? S’agit-il d’un pidgin
d’hommes d’affaires, d’une langue expression d’une culture cosmopolite centrée sur les valeurs
du libre-échange, le ‘globish’ comme certains l’appellent? Certainment un peu tout cela, mail
l’anglais reste plutôt la langue des échanges économiques, lingua franca des marchands, langues
de voyageurs, égarés ou à la recherche d’un gîte, langue d’echange dans les grands organismes
internationaux, mais langue de la communication scientifique, [...], langue qui n’intervient pas
dans d’autres sphères de la vie sociale et culturelle. On notera ce pendant qu’auprès des jeunes
l’anglais est la langue de la modernité, d’une culture techno-jeune, pour aller vite, langue des
jeunes générations à la recherche d’un espace d’expression, en op position aux générations plus
anciennes” (Vigner, 2008:107-118).
Di seguito l’analisi qualitativa di questionari somministrati ad un gruppo di studenti di scuola
secondaria, interrogati sulle proprie categorie mentali legate alle lingue-culture in generale e
sull’inglese in particolare, intersecando l’apprendimento linguistico all’interno della propria
esperienza scolastica e di vita.
274
Si veda De Swaan il quale afferma che più un Paese, o un continente quale l’Europa si frammenta al suo interno a
livello linguistico, e maggiore sarà la percezione della necessità di una lingua comune veicolare, nel caso dell’Europa,
l’inglese:“the more languages, the more English” in Mc Arthur (2003: 36).
120
3.1 I questionari nella classe di inglese: “Lingue, identità e inglese oggi”
La presente indagine scaturisce dalla constatazione di una carenza, e talvolta di una totale assenza,
da parte delle istituzioni italiane, di investimenti volti alla formazione iniziale e in itinere dei
docenti di scuola secondaria. Dal 2009 la SSIS, ovvero la Scuola di Specializzazione
all’Insegnamento Secondario, che per nove cicli biennali ha provveduto alla formazione iniziale dei
docenti, è sospesa, il che significa che si è presentato un vuoto nella formazione iniziale dei docenti
che va colmato in tempi brevi. Se da un lato la SSIS ha permesso ai docenti275 di sviluppare
conoscenze e competenze in moti campi, si è rivelata, per certi insegnamenti, un prolungamento
delle programmazioni universitarie, o un ripasso di nozioni di scuola secondaria. Nello specifico, si
può notare come i programmi che finora hanno formato i futuri docenti di lingua inglese come LS
abbiano tenuto in scarsa considerazione l’attuale contesto mono-plurilingue internazionale e in
particolare il fatto che la lingua e la cultura inglese evolvono molto velocemente, diramandosi in
una varietà di cosiddetti “Nuovi Inglesi” (cfr. McArthur, 2003; Jenkins, 2010 e par. 2.3.3). Inoltre,
si ritiene che, nelle stesse scuole secondarie, soprattutto di secondo grado, risultano insufficienti o
isolati i progetti volti alla promozione del plurilinguismo e dell’interculturalità276. La secondaria in
Italia non ha beneficiato di una vera riforma dei sillabi (cfr. D.M. 249/2020), dunque le iniziative e i
progetti portati avanti sono stati finora lasciati alla buona volontà di alcuni professori a scuola, ma
restano, per lo più, episodi isolati. Si è cercato, dunque, attraverso un questionario, di evincere
lacune nell’insegnamento-apprendimento di lingua/cultura inglese in tale prospettiva plurilingue e
internazionale, a partire dalle percezioni di studenti frequentanti classi di scuola secondaria, in
particolare per quanto concerne le conoscenze sui Paesi anglofoni, sulle varietà dell’inglese oggi, il
suo rapporto fra le varie lingue e l’inglese oggi, soprattutto in Europa e nel nostro Paese, infine sui
rischi legati al monolinguismo.
Illustrerò in questo capitolo i risultati edotti e gli spunti di riflessione cui conduce il questionario di
indagine, il cui scopo è stato quello di fornire una base di dati empirici di partenza, da cui far
scaturire una più dettagliata proposta formativa in merito alla didattica delle lingue culture e di
quella inglese in particolare.
Il bacino d’indagine preso in considerazione è stato quello delle scuole secondarie di secondo grado
della provincia di Ancona. Tale territorio è interessante per la presente ricerca dal momento che è
una zona di migrazione per via dei numerosi siti industriali ivi presenti e per le condizioni di vita
favorevoli per le famiglie. Un tale tessuto sociale è risultato dunque indicativo di una varietà di
punti di vista da cui osservare le tematiche proposte. Come docente di lingua e cultura inglese nelle
scuole secondarie di secondo grado mi sono sentita molto vicina alle problematiche analizzate e
consapevole delle dinamiche interne alle istituzioni cui mi approcciavo.
Gli studenti che sono stati invitati a compilare i questionari sono alunni delle classi III, IV, V,
dunque adolescenti in età compresa tra i 16 e i 19 anni circa. Si è optato per questa fascia d’età dal
momento che tali studenti hanno ricevuto le basi della lingua e della cultura inglese (e delle altre
lingue curricolari) durante il biennio e si stanno avvicinando alla microlingua d’indirizzo. Le loro
conoscenze, pertanto, si ipotizzano maggiormente complesse rispetto a quelle degli studenti del
275
La sottoscritta ha frequentato il VII ciclo SSIS indirizzo lingue straniere- A346 inglese per la scuola secondaria,
presso l’Università degli Studi di Macerata, nel biennio 2005-2007.
276
La sottoscritta, in qualità di supplente, ha operato in vari istituti di Secondaria di secondo grado nella provincia di
Ancona e ha potuto constatare tale realtà.
121
biennio. L’adolescenza stessa è un periodo molto complesso, potenzialmente ricco di spunti (cfr.
Nicolini, 1999). L’adolescente vive a livello personale un dibattito identitario, che si fa sentire più o
meno insistentemente in questa fase della sua vita. Prendere in considerazione tale fascia d’età su
tematiche quali l’identità linguistico-culturale, il senso di appartenenza, le nuove identità, è
sembrato particolarmente stimolante.
Gli istituti considerati sono stati un liceo scientifico, un istituto tecnico commerciale a indirizzo
linguistico ERICA (Educazione alla Relazione Interculturale nella Comunicazione Aziendale), un
istituto tecnico industriale e un istituto professionale277. La scelta è ricaduta su tali indirizzi di studio
al fine di ottenere un quadro variegato di percorsi scolastici e individuare se ciò può avere
ripercussioni sull’apprendimento linguistico. Il numero di classi considerato è stato di due per
istituto.
Se in un primo momento si era optato per un questionario rivolto principalmente ad alcuni ragazzi
di nazionalità italiana e non italiana, selezionati in base alle loro esperienze pregresse con le lingue,
si è poi preferito coinvolgere il gruppo classe nella sua interezza, al fine di evitare inutili
categorizzazioni e discriminazioni al suo interno. Inoltre, si è cercato di far sentire gli studenti
coinvolti nel loro processo di apprendimento delle lingue, attori della propria formazione spiegando
loro il fine per cui si effettua questa ricerca, sottolineando l’importanza che per loro può avere l’
esercizio di riflessione sulle proprie rappresentazioni linguistico-culturali che deriva dalla
compilazione di un tale questionario. Gli studenti sono stati altresì informati del fatto che verrà
tenuto in considerazione il contributo di ciascuno, dal momento che le loro percezioni ed opinioni
sono tutte ugualmente valide e degne di essere ascoltate, senza giudizi o scale di livello di
correttezza. In generale, gli alunni si sono dimostrati collaborativi e interessati alla tematica. Salvo
rari casi, la maggioranza degli studenti ha compilato attentamente il questionario, richiedendo anche
del tempo extra per ampliare le risposte. I questionari sono stati fatti compilare in classe, durante le
ore curricolari, sotto la diretta osservazione della sottoscritta e dell’insegnante di classe, al fine di
rendere il più possibile attendibili le risposte.
La scelta del questionario come strumento d’indagine per la raccolta dei dati è stata suggerita dalla
necessità di ottenere dati fruibili in tempi piuttosto brevi, allo scopo di supportare empiricamente
l’assunto di partenza della ricerca. I quesiti sono stati inseriti in una griglia, con domande di tipo sia
soggettivo che oggettivo. L’analisi, tuttavia, non tende a stilare una mera lista di dati quantitativi,
ma a fornire informazioni qualitative sulle percezioni degli studenti (cfr. Silverman, 2000). Il
numero degli intervistati, peraltro, si può definire un campione localizzato e ristretto, dal momento
che lo scopo dell’indagine non è quello di fornire una statistica oggettiva, bensì di ascoltare le voci
di un variegato, pur se localizzato, pubblico di apprendenti.
Il questionario inizia con la richiesta di dati personali e prosegue con ventidue domande. La
tipologia dei quesiti inseriti nel questionario278 è stata quella di: domande mirate al soggetto, con
richiesta di dati personali, per identificare il background degli studenti279; domande con più
277
Gli istituti che hanno dato la loro disponibilità per somministrare i questionari durante le ore curricolari sono stati:
Istituto d’ Istruzione Superiore Corridoni-Campana, indirizzo liceo scientifico, di Osimo (An), l’Istituto Istruzione
Superiore Corridoni-Campana, indirizzo ERICA, Istituto tecnico industriale ISIS di Castelfidardo (An) e Istituto
Professionale IPSIA di Osimo (An).
278
Per la tipologia di domande che possono essere inserite in un questionario ci si è basati sulla “tipologizzazione”
proposta da Guidicini (1995: 19).
279
I dati personali degli studenti non verranno pubblicati né diffusi per motivi di privacy.
122
alternative scalari, per osservare la scala di giudizio su una tematica specifica; domande con più
alternative, in cui si offrivano giudizi determinati; domande a scelta chiusa e infine domande a
risposta aperta, in cui è stata lasciata maggiore libertà agli studenti di esprimere il proprio punto di
vista in merito. Si è cercato di variare il più possibile la modalità di porre le domande, in maniera
tale da evitare processi di automatismo nelle risposte.
Prima della somministrazione è stato illustrato agli studenti lo scopo dell’indagine e garantita loro la
tutela della privacy. La sottoscritta, inoltre, si è presentata come ricercatrice e ha illustrato le finalità
dell’indagine, senza per questo influenzare le risposte degli studenti280.
La somministrazione è avvenuta nella primavera del 2010, per lo più durante le ore di lingua
inglese, in co-presenza con il docente curricolare, al fine di rendere l’atto di pensiero e di
formulazione di risposte un momento di apprendimento e parte della riflessione linguistico–
culturale di ciascuno studente. Si è spiegato agli alunni che non esistono risposte corrette o errate,
migliori o peggiori da fornire, ma che il giudizio e le percezioni personali di ognuno sarebbero state
ascoltate con attenzione. Si è cercato, per quanto possibile, di strutturare e porre le domande in
maniera tale da non influenzare i fruitori.
3.1.1 Struttura e contenuti del questionario
I quesiti possono essere raggruppati per blocchi tematici al fine di indagare i seguenti aspetti:
informazioni sul soggetto (domande n.1-6); background linguistico (7-8); motivazione allo studio
dell’inglese (9,21); curricolo scolastico (11-13); percezione dell’inglese/inglesi281 (10, 14-20 e 22);
relazione dell’inglese con le altre lingue (23-24); mono-plurilinguismo oggi (25-28). Come si può
notare, le domande appartenenti ad una stessa categoria tematica non sempre sono presentate una di
seguito all’altra, proprio per evitare il rischio di ottenere risposte simili solo perché adiacenti, ma
anche per riscontrare eventuali contraddizioni nelle risposte fornite. In allegato è stato inserito il
questionario completo somministrato in classe (si veda All. 1 nella presente ricerca).
Nonostante si siano presi in considerazione i dati nella loro totalità, ci si è focalizzati con maggiore
attenzione sui seguenti aspetti:
-percezione della lingua e della cultura inglese oggi;
-curricolo scolastico di inglese e accertazione della conoscenza o meno di varietà della lingua
inglese e dei cosiddetti ‘nuovi inglesi’;
-motivazione allo studio della lingua inglese e delle altre lingue-culture;
-autoriflessione sulla propria identità linguistica mono–plurilingue in rapporto con l’inglese.
Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati, questa non è stata sempre automatica, dal momento che
alcune domande richiedevano risposte qualitative, o comunque difficili da interpretare essendo
molto personali. Si è cercato pertanto di rendere le notizie qualitative in dato numerico. Per le
risposte maggiormente personali ed eterogenee, ci si è rifatti alla costruzione di un documento detto
codebook (cfr. Guidicini, 1995: 161-163) per classificare le informazioni isolate, aperte, al fine di
280
Barbier suggerisce di dichiarare sempre e subito l’identità del ricercatore e il suo ruolo nel contesto di ricerca: “[...]
non si deve osservare senza dichiararsi apertamente come ricercatori” (2007: 104).
281
Per “inglese/inglesi” si intendono il British English e tutte le varietà della lingua inglese che ne sono derivate, sia
storicamente, per la colonizzazione, ma anche più di recente, con i New Englishes e il cosiddetto inglese internazionale.
123
creare classi omogenee (si veda, ad esempio, il caso della domanda n.28). Si è costruito, poi, un
codice riassuntivo per giungere infine alla trascrizione dei dati.
Nella prima fase di elaborazione dati (ibid.: 180), si sono prese in esame le frequenze, le tecniche di
riclassificazione e la misura dell’affidabilità del campione, oltre che degli strumenti. Con
un’osservazione incrociata di alcune risposte che si richiamavano a vicenda sono emersi tanto
alcuni dati significativi e preziosi per la ricerca, quanto quei risultati poco affidabili o incongruenti
al loro interno (si veda oltre par. 3.2). Si è cercato di porre domande che stimolassero, ma non
influenzassero gli studenti, che la semantica utilizzata fosse comprensibile e non ambigua. Si è
tenuto conto di quante domande fossero state saltate, di quante domande aperte fossero state
risposte in maniera superficiale, sbrigativa, lacunosa, generica, ad esempio notando quali risposte
fossero incoerenti rispetto a quelle fornite precedentemente, oppure, a spiegazioni richieste in sede
di somministrazione, sono state date risposte evasive.
Si è cercato infine di osservare se vi fossero dei punti contraddittori fra le risposte date da ciascuno
studente.
Nella seconda fase di elaborazione (ibid.: 203), sempre seguendo le direttive fornite da Guidicini
per l’analisi e l’elaborazione dei dati, si sono cercati i legami e le relazioni fra i risultati ormai
ritenuti “puliti”282 al fine di strutturare dei concetti.
I grafici, le tabelle e il materiale visivo, sono stati utilizzati per rendere più efficace la lettura di
alcune risposte e per evidenziare in modo immediato eventuali eccessi, carenze, informazioni
interessanti ai fini della ricerca.
Di seguito saranno analizzati i dati nella loro globalità, prendendo in considerazione tutti i 150
partecipanti, ovvero studenti tra i 16 e i 18 anni, iscritti ai vari indirizzi di scuola sopra elencati. In
un secondo momento, si prenderanno in considerazione alcuni dati maggiormente evocativi emersi
dalla suddivisione e dal confronto fra questionari provenienti dai singoli indirizzi di studi. Infine, si
cercherà di mettere in evidenza eventuali punti di contatto o di divergenza fra studenti di
cittadinanza italiana e quelli di altre nazionalità.
3.2 Analisi dei dati
3.2.1 Il campione
Si passa ad analizzare il primo blocco tematico, ovvero le informazioni sui soggetti partecipanti
(quesiti n. 1-6) 283.
Da un’analisi generale è emerso che, su 150 alunni, di cui 95 maschi e 55 femmine, nati fra il 1991
e il 1993284, il 93% è di nazionalità italiana, dunque solamente 10 studenti sono di altre nazionalità.
In particolare, la maggior parte degli studenti di nazionalità italiana proviene dalla provincia di
Ancona o dalle province limitrofe delle Marche. Ci troviamo dunque di fronte ad un pubblico
piuttosto omogeneo in termini di appartenenza linguistico-culturale.
282
Come li definisce l’autore stesso.
Si veda il questionario completo nell’Allegato 1. D’ora in avanti il numero dei quesiti sarà indicato fra parentesi).
284
L’anno di nascita varia per i ripetenti, dunque l’anno effettivo di nascita per alcuni studenti è il 1989 e anni
successivi.
283
124
Il secondo blocco tematico riguarda il background di studi linguistici degli intervistati (quesiti n. 7,
8).
Il quesito n. 7 ‘Quali lingue studi a scuola?’ contiene di proposito il termine ‘lingue’ e non ‘lingue
straniere’, dal momento che si è cercato di collocare sullo stesso livello tutte le lingue
eventualmente appartenute nel patrimonio linguistico-culturale degli studenti. Nella quasi totalità
dei casi, emerge una sola lingua ‘L2’ studiata a scuola rispetto all’italiano: l’inglese. Costituisce
un’eccezione l’ERICA, un istituto tecnico ad indirizzo turistico che prevede lo studio del francese e
dell’inglese obbligatori per tutto il quinquennio e l’opzione, da parte degli studenti, della lingua
spagnola o tedesca nel triennio. Per quanto riguarda l’italiano, molti studenti, sia italiani che
stranieri, l’hanno citato fra le lingue studiate, ma non la maggioranza. E’ interessante notare come,
quando si chiede di elencare le lingue studiate a scuola, alcuni studenti del liceo inseriscano anche il
latino.
Alla domanda n. 8, ‘Da quanto studi inglese?’ per gli studenti delle classi terze risulta una media di
nove anni, per le classi quarte la media è di dieci, mentre nelle classi terminali la media è di undici
anni circa. Dunque, la maggior parte degli studenti studia inglese dalla terza classe di scuola
primaria.
Il terzo blocco tematico si focalizza sul curricolo scolastico attuale degli studenti (quesiti n. 11-13).
Tali quesiti sono collegati alle domande sul background di studi linguistico, ma si focalizzano sugli
argomenti trattati specificatamente in classe negli ultimi tempi. La domanda n. 11, ‘A scuola,
durante le lezioni di ‘cultura e civiltà’ inglese, quali Paesi di lingua inglese avete analizzato?’285, è
una domanda aperta, dunque senza suggerimenti, al fine di non influenzare gli studenti nelle loro
risposte. Molti studenti non hanno risposto alla domanda, il 17% degli studenti afferma di non aver
mai studiato ‘civiltà inglese’ a scuola, la maggioranza, il 58% degli intervistati, ha indicato
l’Inghilterra e, a scalare, il Regno Unito e gli USA. Come per la risposta precedente, anche in
questo caso emerge la confusione terminologica fra “Inghilterra” e “Regno Unito”, ma anche fra
“America”, “Nord America” e “USA”286.
Si nota una chiara visione anglocentrica con una massiccia focalizzazione sull’Inghilterra (talvolta
su Londra in particolare) e sugli Stati Uniti d’America (New York in particolare), una visione che
probabilmente riflette le scelte operate in seno alle programmazioni scolastiche287.
285
Cfr. tabella che segue.
Si è preferito, in questo caso, accorpare le risposte ‘America’, Nord America’ e ‘USA’, per motivi di
rappresentazione grafica, dal momento che oralmente gli studenti hanno precisato che intendono gli Stati Uniti
d’America.
287
Bisogna ammettete che spesso agli studenti vengono offerti materiali centrati sul regno Unito e sugli USA, sia a
livello linguistico che culturale. Leggermente diverso il discorso per gli ESP, benché si tratti di codici ristretti a specifici
campi d’uso.
286
125
Paesi di Lingua Inglese analizzati a scuola
Nessuno
Inghilterra
U.S.A.
Regno Unito
Australia
Nord America
Canada
Sud Africa
Figura 6: Paesi di lingua inglese analizzati a scuola
Il quesito 12, ‘Avete mai analizzato varietà di accenti all’interno del Regno Unito’, tocca la delicata
questione degli accenti. Secondo Jenkins è l’accento che maggiormente
maggiormente marca una varietà e stimola
atteggiamenti verso
erso essa (Jenkins, 2007: 77). Una
Una differenza di accento è percepita come un diverso
universo di valori da parte di chi ascolta: “[...] the speaker’s voice patterns lead the listener to
assume that the speakerr holds dissimilar beliefs” (ibid.: 72) 288.
La risposta prevista per questo quesito era chiusa, con possibilità affermativa o negativa: il 23%
degli intervistati ha risposto di “sì”, mentre il 67% ha risposto “no”. Il 10% di astenuti. Da notare
quindi che solo un quinto circa degli studenti afferma di aver trattato tale argomento in classe. La
quasi totalità degli studenti non ha mai analizzato in profondità la tematica della varietà di accenti
che si possono riscontrare all’interno della macrocategoria dell’inglese.
ll’inglese. Ciò lascia intendere che
solo sporadicamente si accenna al fatto che possano esistere varianti rispetto all’inglese scolastico −
solitamente il British English delle grammatiche e di molti manuali − e che comunque, anche
trattando solamente di BrE289 spesso non si faccia riferimento alle sue varianti, siano esse
diatopiche, diastatiche, diamesiche o diafasiche290.
La stessa problematica si è riproposta con la domanda n.13,: ‘avete mai trattato dei tipi di inglese
parlati nel mondo oggi?’, a risposta chiusa con scelta multipla a quattro uscite ha portato alle
seguenti percentuali:
288
L’analisi
isi degli atteggiamenti nei confronti dei vari accenti risale agli anni ’30 (cfr. il programma BBC in Giles e
Powesland, 1975). Dagli anni ’70, però, si cominciano a studiare gli stereotipi in relazione alle lingue, notando che c’è
addirittura una relazionee fra l’atteggiamento dell’utente nei confronti di una lingua, un accento, e la comprensione della
lingua target (cfr. Jenkins, 2007: 67).
289
BrE sta per British English. D’ora in avanti,
vanti, ove possibile, si impiegheranno gli acronimi delle varietà linguistiche.
linguistic
290
Si vedano Lotman, J.M., Uspenskij,, B., Tipologia della cultura,, Tascabili Bompiani, or. 1970, 2001.
126
-sì, spesso: 3%
-sì, ma solo accenni: 38%
-più che altro ne abbiamo parlato a livello culturale, non strettamente a livello di differenze
linguistiche: 17%
-no, mai: 18%
Anche in questo caso, la quasi totalità degli studenti non ha analizzato nessuna varietà, o se lo ha
fatto, è stato in maniera superficiale. Da considerare l’elevato numero degli astenuti (26%), più di
un quarto degli intervistati, i quali, probabilmente, non hanno neppure inteso quale fosse
l’argomento in questione291.
3.2.2 Le motivazioni allo studio delle lingue-culture
Il quarto blocco tematico contiene domande circa le motivazioni che guidano allo studio
dell’inglese (quesiti n. 9, 21).
Alla domanda ‘Perché studiare inglese?’ (n.9), sono state fornite otto possibili risposte, da numerare
in ordine decrescente, dalla ragione principale per cui ciascun alunno studia inglese, fino a quella, a
suo avviso, più irrilevante. Tale catalogazione è soggettività, tuttavia, fornendo opzioni di risposta
uguali per tutti, si è riusciti a operare una qualche comparazione fra le risposte fornite.
Di seguito viene riportata la tabella riassuntiva delle risposte fornite da tutti gli intervistati.
Sono stati evidenziati i risultati che hanno ottenuto il più alto numero di adesioni:
1
2
3
4
5
6
7
8
Lavoro
58
32
19
16
13
5
3
1
Viaggi292
Cultura
personale
Conoscere
altre persone
Comunicare
col mondo
Capire i testi
musicali293
15
18
24
21
24
36
38
26
25
25
13
14
3
2
3
1
3
11
17
29
43
26
10
2
55
38
24
12
8
2
1
6
1
6
7
8
18
53
43
8
291
Barbier considera molto comunicativo anche un silenzio, dunque il tacere qualcosa (cfr. 2007: 77). Ecco perché si
sono tenute in considerazione anche le risposte non date. Potrebbero rivelarsi comunque dati indicativi ai fini
dell’indagine.
292
Bisogna ricordare che viaggi e vicinanza ad un Paese non significano automaticamente meno stereotipi
293
In merito alla scelta di inserite tale prompt si veda l’intervista a David Flack, Senior Creative Director per MTV
Asia, secondo il quale la musica è uno dei canali prioritari di espansione della lingua e della sua popolarità, fra giovani e
adulti: “It's in music where the English language is the biggest success. A lot of bands, even local bands, sing in
English: it's the language of rock and roll”. Anche se l’intervistato puntualizza che non in tutto il mondo è così: molte
sono le resistenze ad esempio in Cina. (in Graddol-Meinhof, 1999: 11).
127
È una
materia
obbligatoria
Altro
8
6
8
8
9
24
52
24
1
10
Tabella 5: Perché studiare inglese?
Commenteremo di seguito i dati più eclatanti evidenziati nella tabella. Nelle prime tre posizioni
sono risultate le risposte: lavoro, comunicazione e cultura personale. Per quanto concerne la voce
“lavoro”, 58 studenti lo collocano al primo posto, e risulta un totale di 109 gli alunni che lo
considerano nelle prime tre posizioni; “comunicare con il mondo” è la prima opzione per 55
studenti figura nelle prime tre posizioni per 117 alunni; “cultura personale” è fra le prime tre
posizioni per 75 studenti.
Si può notare, dunque, che lo studio dell’inglese è percepito dagli studenti come investimento per
un utilizzo pratico futuro, o altrimenti utile per la formazione della persona, ma essi non lo
ritengono un obbligo dettato dal curricolo scolastico.
Recenti studi dimostrano che la lingua inglese è molto ricercata fra le nuove generazioni: “about
90% of students in Europe choose English as their second language” (European Commission
Directorate-General for Translation, 2011: 35-36, quoting De Swaan, 2004: 577; cfr. Graddol,
2006: 10). Le ragioni che sono state rintracciate sono le più svariate: “English is […] attractive to
adolescents as an identity marker, as an indicator of cosmopolitanism and youth [However, N. d. R.]
people opt for the language that will enable them to communicate with the largest number of people
(prevalence) and that has the highest percentage of multilingual speakers (centrality) […]. When
people decide to learn a particular language, they are motivated more by communication functions
than by functions of identity” (ibid.).
La domanda n.21, ‘Secondo te obiettivo di un corso di inglese è parlare come gli inglesi?’
prevedeva una risposta chiusa: si/no. I ‘sì’ sono stati il 45%, mentre i ‘no’ il 55%.
3.2.3 Percezioni delle lingue-culture e dei loro rapporti
Il quinto blocco tematico mostra le percezioni dell’inglese/inglesi294.
Il quesito n.10, ‘A quale/i Paese/i associ la lingua inglese?’, ha provocato alcuni problemi di
interpretazione, dal momento che molti studenti hanno chiesto di specificare se si intendessero i
Paesi in cui la lingua ufficiale è l’inglese, o in generale i Paesi che hanno un qualche legame con
l’inglese. La domanda era a risposta aperta. Come si può notare nel grafico che segue, le risposte
sono state per lo più “Inghilterra” e “America”, probabilmente ad indicare la parte per il tutto nel
primo caso, e il continente per la confederazione del Nord America nel secondo caso. Sono state
citate anche molte ex colonie britanniche, in particolare Australia, India e Canada, quest’ultimo solo
294
Per “inglese/inglesi” si intendono il British English e tutte le varietà della lingua inglese che ne sono derivate, sia
storicamente, per la colonizzazione, ma anche più di recente, con i ‘nuovi inglesi’ e l’ inglese internazionale (si veda
cap. II).
128
da alcuni distinto fra Canada francofono e Canada anglofono. Anche l’Europa è presente, ma in
minima parte (solo 4 alunni l’hanno menzionata), e sono indicati anche alcuni Paesi specifici del
nord Europa in cui l’inglese è diventata una seconda lingua, in modo istituzionale o anche solo per
l’uso diffuso e capillare della stessa.
Paesi associati alla Lingua Inglese
120
100
80
60
40
N° alunni (su un tot. 150)
20
Islanda
Irlanda del Nord
Olanda
Isole Atlantico
Parte del Canada
Germania
Africa
Sud Africa
India
Nord America
Canada
Regno Unito
U.S.A.
Inghilterra
0
Figura 7: Paesi associati alla lingua inglese
La domanda ‘Quali di queste lingue consideri più importanti da apprendere oggi?’ (n.14)
prevedeva un giudizio personale dando una scala valutativa da 1 a 8, dalla più alla meno importante,
alle lingue proposte dal questionario.
Di seguito viene mostrata la tabella riassuntiva dei risultati, contenente la somma delle risposte
date:
129
1
2
3
4
5
6
7
8
Italiano
26
19
20
20
16
18
11
19
Inglese
119
20
1
4
1
2
5
Francese
1
22
30
26
32
14
15
6
Tedesco
1
20
14
21
42
29
12
7
Spagnolo 4
20
41
33
17
15
8
4
Russo
1
6
3
13
16
36
45
20
Cinese
7
34
21
14
15
18
29
6
Arabo
2
5
9
11
5
13
19
77
Tabella 6: Quali lingue consideri più importanti da apprendere oggi?
Come si può notare dalla tabella riassuntiva, l’inglese si distacca nettamente dalle altre lingue, con
il 79% circa degli studenti che la colloca in prima posizione. Nel loro giudizio sulla priorità da dare
a certe lingue straniere, si collocano il cinese in seconda posizione e lo spagnolo in terza, seguiti da
francese e tedesco. In ultima posizione l’arabo.
Interessante un confronto incrociato anche con i risultati dell’indagine di Cognigni e Vecchi (2011)
in cui l’inglese emerge come lingua ‘fondamentale’ rispetto alle altre: “Soprattutto l’inglese, che nel
campione costituisce la prima lingua ‘desiderata’ (52%), sembra rappresentare un’irrinunciabile
priorità rispetto ad altre lingue per la sua supposta natura di lingua veicolare” (ibid.: 9).
La domanda successiva, ‘Perché secondo te l’inglese è così diffuso nel mondo?’ (n. 15) prevedeva,
invece, una risposta aperta, dunque un giudizio personale. Nel grafico che segue si è cercato di
accorpare le risposte più simili in macro gruppi.
130
Diffusione Inglese nel mondo: opinioni
degli studenti
Colonizzazione
America potenza mondiale
Lingua Internazionale e di
Commercio
Lingua delle Tecnologie
Lingua più diffusa
Impara sin da bambini
Figura 8: Perché secondo te l’inglese è così diffuso nel mondo?
Si nota che le risposte sono state varie, con alcuni studenti che hanno espresso più di una
supposizione in merito. La colonizzazione è considerata, da un terzo degli studenti, il motivo
principale per cui la lingua inglese si è imposta, seguita da un 27% degli studenti che parla di
semplicità della lingua e facilità nell’apprenderla e da un 23% che ritiene che tale lingua si sia
diffusa grazie agli scambi commerciali. Seguono risposte riguardanti l’influenza che l’America ha
avuto e ha tutt’ora nel mondo. Un quinto degli studenti non ha fornito una risposta pertinente alla
domanda, o le loro risposte sono state evasive e vaghe. Solamente 5 studenti hanno tenuto in
considerazione i mezzi di comunicazione di massa come potenziale veicolo di diffusione
dell’inglese.
La domanda n.16, ‘Secondo te esiste un tipo di inglese ‘migliore’ di altri?’,
altri?’, prevedeva una prima
parte di risposta chiusa sì/no, e una seconda parte di ampliamento della risposta data, elicitando
quali varietà o tipi di inglese ritenessero effettivamente migliori, o se, al contrario, considerassero
allo stesso livello tutti i tipii di inglese parlati nel mondo oggi. L’aggettivo qualificativo ‘migliori’ è
stato impiegato di proposito dalla ricercatrice, al fine di provocare gli intervistati, stimolandoli a
riflettere su eventuali cliché linguistico-culturali.
linguistico
Il registro è stato altresì
resì mantenuto, quando
possibile, il più possibile vicino a quelli che potrebbero essere i registri espressivi impiegati dai
giovani in riferimento alle eventuali categorizzazioni delle lingue-culture.
lingue culture. Il 21% ha risposto
affermativamente, ma rare sono state
state le risposte alla seconda parte del quesito, da cui sono emerse:
Americano, Inglese, British English, l’inglese di Londra e l’inglese scolastico295. I ‘no’ sono stati il
62%, senza spiegazione data in merito. Uno studente afferma che le differenze fra le varietà
v
dell’inglese non sono paragonabili, avendo tutte una propria autonomia e identità. Vi è stato un 17%
295
Secondo Jenkins (2007)
2007) coloro che hanno una visone ristretta di ciò che è ‘proper’ English, l’avranno anche nei
confronti dei nuovi inglesi.
131
di astenuti. Si evince una chiara matrice anglocentrica nella cultura scolastica degli studenti
intervistati.
Il quesito n.17, ‘Cosa intendi per inglese standard?’296, prevedeva una risposta chiusa a scelta
multipla. Come mostra il diagramma di seguito, il 42% degli studenti ha fornito come risposta
“l’inglese degli inglesi”; a scalare, il 27% “un inglese semplificato”; il 22% l’“inglese delle
grammatiche”; il 5% “non so”; il 3% afferma che “non esiste”. Infine un 2% pensa che sia l’
“Americano”. Tre studenti hanno fornito più di una risposta. L’idea generale è che il canone
linguistico inglese sia associato al BrE. Il numero dei non nativi di lingua inglese è di gran lunga
superiore a quello dei nativi inglesi (cfr. Jenkins, 2007 e 2009; Graddol, 2006; Crystal, 1997);
tuttavia l’inglese britannico è ancora oggi considerato da molti come la norma cui tutti debbano
rifarsi.
Cosa intendi per Inglese Standard
70
60
50
40
30
20
10
0
N° Alunni
Figura 9: Cosa intendi per inglese standard?
La domanda n.18, ‘Hai mai sentito parlare di “New Englishes”?’, prevedeva una risposta chiusa
sì/no. La scelta coraggiosa di impiegare il termine inglese piuttosto che la traduzione italiana ‘nuovi
inglesi’ voleva essere d’aiuto dal momento che negli studi di linguistica è spesso impiegata tale
etichetta in lingua originale per riferirsi ad una determinata varietà di inglesi (cfr. Jenkins, 2007).
Nonostante ciò, le risposte affermative sono state il 13%, le negative 87%. Il quesito prevedeva
anche una parte di risposta semiaperta, a completamento di frase, in cui veniva richiesto di
specificare, in ambo i casi, che cosa gli studenti pensano che siano i New Englishes. Pochissimi
studenti hanno fornito una opinione in merito (solamente tredici). Di questi, cinque affermano che
siano “nuovi termini/neologismi”, tre “nuove varietà dell’inglese”, due dicono che sia “slang”, uno
parla di “un nuovo tipo di lingua più moderna”, e uno pensa siano “Americano, Australiano, e le
296
La ricerca sull’inglese come lingua franca, nonché quella degli atteggiamenti verso di essa sono ancora relativamente
giovani “The important issue of attitudes towards ELF by researchers, teachers, learners and the public at large has only
begun to be addressed (Seidlhofer, 2004: 229 cit. in Jenkins, 2007: 65)
132
lingue delle ex-colonie”. Infine, uno pensa siano “molti tipi di inglese”. Si può notare la grande
confusione che tale termine suscita e lo scarso spazio dedicato a tale argomento a scuola.
Per rispondere alla domanda n. 19, ‘Conosci altre varietà di inglese parlate nel mondo?’, è stato
fornito uno spazio bianco, in cui gli studenti potevano rispondere in maniera libera, aperta, o
semplicemente con un sì/no, oppure ampliando la propria risposta. Nella tabella che segue sono
elencate le risposte date in ordine decrescente. Alcuni studenti hanno fornito più di una risposta.
No
Americano
Australiano
Sì
Anglosassone
Scozzese
Irlandese
Spanglish
Inglese dei Paesi anglofoni
Canadese
Neozelandese
Indiano
Europeo
Dialetti
72
70
13
4
4
3
3
3
2
1
1
1
1
1
Tabella 7: Conoscenza di altre varietà di inglese parlate nel mondo
Come si può notare, il 48% degli studenti non conosce, o forse ha una vaga cognizione di cosa siano
le varietà di inglese parlate nel mondo. L’Americano, come nelle domande precedenti, risulta la
varietà di inglese maggiormente conosciuta dagli alunni. Seguono risposte isolate di studenti che
citano varietà di inglese per lo più derivate dalla colonizzazione, mescolate con nuovi inglesi, con il
BrE e con i dialetti interni al Regno Unito. Si nota che, in generale, non figurano quasi per nulla (a
parte l’Indiano) le varietà dei Paesi post coloniali, seppure il colonialismo sia dato come primaria
ragione di diffusione dell’inglese nel mondo. Se ne deduce una scarsa conoscenza dei Paesi
appartenenti al New Commonwealth, nato in seguito all’Old Commonwealth britannico (si veda par.
2.3.2). Tali conoscenze, anche solo a livello di nomenclatura di Paesi, probabilmente non sono
emerse né durante le lezioni di cultura inglese, né durante le lezioni di storia o di geografia.
Anche nella domanda n. 20, ‘Hai mai sentito parlare di “Commonwealth literature?”’, la scelta di
riferirsi alla letteratura prodotta nelle ex-colonie Britanniche con l’espressione inglese è voluta, dal
momento che tale etichetta viene spesso utilizzata per segnalare tale argomento nei testi di didattica
della letteratura inglese. L’opzione binaria di risposta chiusa sì/no ha portato i seguenti risultati: il
35% degli studenti ha risposto affermativamente, il 65% negativamente. Se negli istituti tecnici un
tale esito di risposta era prevedibile, al contrario, dagli studenti del liceo ci si aspettavano maggiori
conoscenze in merito. Anche in questo caso, le lacune segnalate in letteratura non strettamente
britannica, denotano scarsezza o mancanza di input a livello curricolare.
133
La domanda n. 22, ‘Consideri l’ “American English”:’, prevedeva una risposta chiusa con scelta
multipla297. Di seguito le opzioni di risposta con i risultati in percentuale:
-Più semplice del British English (BrE): 9%;
-Uguale al BrE: 3%;
-Un’altra lingua rispetto al BrE: 11%;
-Una varietà del BrE: 75%;
Il 2% degli studenti non ha risposto.
Il sesto blocco tematico contiene domande circa eventuali relazioni dell’inglese con le altre lingue
nelle rappresentazioni degli studenti (quesiti n.23, 24).
Tali quesiti si compongono ciascuno di una frase a completamento, ‘Pensi che l’italiano nel contatto
con l’inglese si stia:’ (n.23) e “Pensi che l’inglese, nel contatto con le altre lingue si stia:’ (n. 24), la
cui risposta chiusa a scelta multipla si basa su quattro uscite, le medesime nel primo e nel secondo
caso. Di seguito si riportano i risultati ottenuti, in una tabella composta di due colonne affiancate, al
fine di mostrare il differente atteggiamento degli studenti nei confronti della propria lingua
nazionale298 in mutamento, ibridazione, contatto con l’inglese, affiancato da percentuali riportanti
l’atteggiamento verso l’inglese che muta e che si “mescola”, per così dire, con altre lingue:
italiano nel contatto con
l’inglese:
Inglese nel contatto con le
altre lingue:
Arricchendo
47%
57%
Impoverendo
17%
5%
Semplificando, appiattendo
17%
21%
Diventando una lingua
diversa, non necessariamente
in peggio
18%
14%
Tabella 8: Riflessioni circa l’ibridazione della lingua inglese con l’italiano e con le altre lingue
Non tutti gli studenti hanno risposto alle domande299. Interessante notare come circa la metà degli
intervistati consideri in maniera positiva l’incontro fra lingue, sia nel caso delle ripercussioni che
297
Per la storica diatriba fra l’inglese americano e quello britannico, si vedano Marckwardt-Quirk (1964).
La lingua italiana è qui considerata “lingua materna” nella gran parte dei casi, o, comunque sia, la lingua più parlata
dalla maggioranza in Italia, lingua istituzionale, nazionale, identificativa, in contrapposizione alla lingua straniera
“inglese”, appresa a scuola.
299
Alla domanda n. 23, l’1% non ha risposto, mentre alla domanda n. 24, il 3% è la percentuale degli astenuti.
298
134
ciò può avere sull’italiano, che sull’inglese. Per quanto riguarda l’impoverimento, solo un 5%
ritiene che l’inglese si stia impoverendo300.
3.2.4 Conoscenze relative alla questione del mono-plurilinguismo oggi
L’ultimo blocco tematico indagava l’approccio e le conoscenze in merito alla questione del monoplurilinguismo oggi (quesiti n. 25-28).
Alla domanda ‘Pensi che studiare le lingue possa aiutare nel dialogo fra persone di diversa lingua e
cultura’(n. 25), il 94% degli studenti ha risposto di sì, mentre il 3% degli studenti ha risposto no. Un
3% si è astenuto.
Di seguito andava fornita una motivazione, con una frase da completare introdotta dall’espressione
‘Perché’. Non tutti gli studenti hanno fornito tale approfondimento, e coloro che l’hanno fatto non
sempre hanno capito la richiesta, perciò non verranno presi in considerazione301. Le motivazioni più
pertinenti sono state:
-Aiuta a comunicare più facilmente senza equivoci: 30%
-Aiuta nel dialogo/confronto con le altre culture: 25%
-Unisce gli stati :2%
-Per aiuto reciproco: 1%
Si può notare come il vantaggio maggiore rintracciato dagli studenti, soprattutto nei confronti
dell’inglese, è che può fungere da lingua franca, ovvero lingua facilitatrice, passerella, semplificata,
utile per la comunicazione internazionale (si veda par. 2.3.4).
Il quesito che segue (n. 26) voleva essere una maniera per sondare il terreno nelle scuole superiori al
fine di comprendere se e a quale livello è stato affrontato il tema del “plurilinguismo”, se tale
termine è familiare agli studneti e a cosa viene associato. La frase, aperta e da completare in
maniera personale era: ‘Plurilinguismo per te significa:’. Le risposte sono state raggruppate per aree
tematiche nel grafico che segue:
300
Si possono confrontare tali dati con le risposte fornite alla domanda n. 28, riguardante eventuali vantaggi e svantaggi
nel caso in cui l’inglese diventasse l’unica lingua parlata in Europa: l’11% degli studenti rintraccia, infatti, come
eventuale svantaggio la semplificazione linguistica e la perdita di varietà, nonché l’omologazione fra lingue europee.
301
Alcuni esempi di completamento frasi non pertinenti sono “lingua maggiormente diffusa/neutrale”, dal momento che
tali studenti hanno dedotto si parlasse solo dell’inglese e non delle lingue in generale; “plurilinguismo”, “viaggi” e
“lavoro”.
135
Plurilinguismo per te significa
Conoscere e parlare più lingue
Tante lingue
Presenza di più lingue sul
territorio
Esprimersi correttamente in più
lingue
Una lingua mista
Non so
Figura 10: Plurilinguismo per te significa...
La maggioranza, ovvero il 63% degli studenti, ritiene che un soggetto plurilingue debba conoscere e
parlare più lingue per essere considerato tale. Segue un 12% di alunni che, in maniera più vaga,
risponde “tante lingue”, cercando di fornire semplicemente un sinonimo al termine
“plurilinguismo”, senza specificare il grado di conoscenza o di competenza nelle lingue in
questione; il 7% pone l’accento sul
sul concetto di presenza di più lingue su uno stesso territorio. Un
5%, invece, si focalizza sulla correttezza dell’espressione in più lingue, un solo studente parla di
lingua mista, un 5% afferma di non sapere cosa significhi, mentre il rimanente 7% non ha fornito
alcuna risposta.
Come si può notare, c’è ancora molta confusione attorno a tale termine.
La domanda n. 27, ‘Se pensiamo all’Europa oggi, ti aspetti che arriveremo al monolinguismo, o
comunque alla prevalenza di un’unica lingua? Se sì quale?’, prevedeva
prevedeva una risposta chiusa a due
302
alternative sì/no e possibilità di fuga , con la richiesta di specificare, in caso di risposta
affermativa, quale lingua ipotizzassero. Tale quesito voleva essere una provocazione, al fine di
appurare la percezione del ruolo dell’inglese e delle altre lingue, fra cui la propria, in Europa. Molto
spesso, infatti, il rischio è che si utilizzi l’inglese in sostituzione alla propria lingua, in maniera del
tutto naturale, quasi necessaria, senza rendersene conto303. La percentuale riscontrata
iscontrata è di 16% di
‘sì’, 57% di ‘no’, 25% di ‘forse’, con un 2% di risposta non data. Coloro che hanno ampliato la
propria risposta, specificando quale idioma ritenessero potesse diventare la lingua dell’Europa,
hanno suggerito in percentuale maggiore che potrebbe essere l’inglese (25 studenti); uno studente
302
Come spiega Guidicini (1995: 82) la “possibilità di fuga” è l’opzione data al soggetto di astenersi dal rispondere in
modo diretto alla domanda.. In questo caso era data la possibilità agli studenti di rispondere “forse”.
303
Haberland (30, 2009: 33) afferma che in molti documenti, soprattutto nel nord Europa, ha rintracciato commenti
riguardanti laa lingua inglese, cui vengono associati aggettivi come “natural”, “necessary”, ovvero in cui,
cui per trovare il
consenso di popolo verso tale lingua, si propone come inevitabile il passaggio ad essa in Europa, a livello universitario,
internazionale e istituzionale.
136
ha segnalato lo “spagnolo”, uno il “cinese”, infine uno studente afferma che, se proprio dovesse
essere l’inglese, comunque non si arriverebbe mai al monolinguismo. Interessante notare che più
della metà degli studenti non ritiene l’espansione globale dell’inglese oggi una minaccia per la
sopravvivenza delle altre lingue304. Comunque, come previsto, anche in base alle risposte fornite ai
quesiti precedenti, molti studenti ritengono che in futuro l’inglese
l’inglese potrebbe diventare
diventar la lingua
preminente in Europa.
Infine, alla domanda più specifica sull’inglese, ‘Se l’inglese diventasse l’unica lingua parlata in
Europa, quali potrebbero essere i vantaggi e quali gli svantaggi?’(n. 28), ovvero proponendo io
stessaa agli studenti di pensare a cosa succederebbe se l’inglese fosse la mono-lingua
mono
europea, si è
cercato di osservare quali fossero gli atteggiamenti nei confronti di un eventuale monolinguismo
europeo, in particolare di matrice inglese. Di seguito sono riportati
riportati due grafici indicanti i vantaggi e
gli svantaggi individuati dagli alunni, con una risposta aperta, senza suggerimenti305. Nella legenda
ho assegnato definizioni che raggruppano le risposte simili.
Vantaggi
Facile comunicazione e
intercomprensione tra Paesi
Facili scambi commerciali e di
lavoro
Lingua unica
Mobilità agevolata
Nessuno
Figura 11: Vantaggi se l’inglese diventasse la monolingua
mon
europea
Alcuni studenti hanno individuato più di un vantaggio e svantaggio. Per quanto concerne i vantaggi,
la quasi totalità degli studenti (83%) allude alla facile comunicazione e intercomprensione tra Paesi.
Segue un 13% di risposte in merito al mondo del lavoro, e degli scambi economici più in
particolare, seguito da un 9% che accenna alla ‘facilità’ che scaturisce dal parlare una lingua unica;
un 4% delle risposte riguarda il vantaggio di muoversi con una sola lingua; infine il 2% degli
studenti
denti non rintraccia alcun vantaggio proveniente da un ipotetico monolinguismo inglese.
304
Görlach (2002: 138) conferma che tali paure di monolinguismo inglese con scomparsa delle varie lingue Europee,
siano infondate.
305
Nelle opzioni di risposta erano indicate solo le voci ‘vantaggi’, ‘svantaggi’.
137
Svantaggi
Perdita delle proprie radici e
cultura
Omologazione
Obbligo di studiare Inglese
Semplificazione linguistica
Difficoltà apprendimento
Inglese
Nessuno
Figura 12: Svantaggi se l’inglese diventasse la monolingua europea
Per quanto riguarda gli svantaggi, un 39% allude alla perdita delle proprie tradizioni, del proprio
passato, dunque di una perdita culturale; un 31% parla, più nello specifico, di perdita di identità e di
appiattimento, omologazione. Un 13% delle risposte concerne l’obbligo di studiare inglese, risposta
curiosa, dal momento che in Italia da molti anni è già obbligatorio studiare tale lingua fin dalla
Scuola Primaria; un 6% specifica che sarebbe difficile, soprattutto per gli anziani e per coloro che
non hanno studiato inglese a scuola, apprendere obbligatoriamente questo idioma da adulti; un 11%
circa parla di semplificazione linguistica e, più in generale, di appiattimento linguistico, di perdita
della varietà delle lingue europee; infine, 5% degli studenti non indica alcuno svantaggio in merito.
306
Se gli studenti rintracciano concreti vantaggi derivanti
derivanti dall’uso dell’inglese come Euro-lingua
Euro
,
soprattutto nella comunicazione internazionale, tuttavia hanno un alto grado di consapevolezza dei
rischi che il monolinguismo può comportare per la sopravvivenza delle altre lingue, ma anche del
legame inscindibile
indibile fra le lingue e le culture.
3.3 Focus sui questionari in riferimento agli indirizzi di scuola
Se andiamo ad osservare i risultati ottenuti dai questionari somministrati nei vari indirizzi di studi,
notiamo alcune differenze, ma non eclatanti.
Tutti gli studenti della medesima fascia d’età studiano inglese da circa lo stesso numero di anni307,
senza variazioni per indirizzo. Una prima distinzione va fatta, però, in merito al quesito ‘Quali
lingue studi a scuola?’308, dato che solamente l’ERICA, essendo
essendo un indirizzo linguistico, prevede lo
306
Anche Görlach, (2002: 135) commenta la ‘varietà’ di inglese utilizzata per la comunicazione all’interno dell’Europa.
dell’Europa
Si veda l’analisi dei questionari par. 3.2.
308
Per il numero della domanda, si fa sempre riferimento al modello di questionario fornito in classe.
307
138
studio di tre lingue straniere obbligatorie: inglese, francese e, a scelta, spagnolo o tedesco. In tutti
gli altri indirizzi l’unica lingua straniera studiata è l’inglese.
Per quanto riguarda la scelta delle motivazioni allo studio della lingua inglese, il liceo scientifico,
l’Erica e l’ISIS vedono l’utilità di tale conoscenza finalizzata principalmente al lavoro e alla
comunicazione con il mondo, totalizzando all’incirca la stessa percentuale di risposte, mentre gli
studenti dell’IPSIA si focalizzano sul lavoro, e solo uno studente per classe allude all’importanza
dell’inglese nella comunicazione.
Per quanto riguarda la voce ‘è una materia obbligatoria’, l’ERICA e l’ISIS la collocano tra le ultime
due posizioni, come pure il liceo scientifico e l’IPSIA, ad eccezione di una classe del liceo in cui
quattro studenti la selezionano come prima scelta, e quattro del professionale al secondo posto.
Per quanto concerne il quesito ‘A quale Paese associ la lingua inglese?’, tutti gli indirizzi hanno
parlato di Inghilterra e di Stati Uniti o, in alternativa, di America. Un gran numero di studenti del
liceo Scientifico e dell’ERICA ha citato l’Australia, forse dovuto al fatto che la loro insegnante di
inglese ha portato avanti, nel biennio 2009-2010, un gemellaggio con una scuola di Perth. Per
quanto riguarda gli altri Paesi, molti dei quali appartenenti al Commonwealth Britannico, questi
sono stati dimenticati (indicativo il bassissimo numero di studenti che ha citato l’India (cinque
studenti in tutto) e il Canada (undici studenti in totale, dal momento che tale Paese viene per lo più
associato alla lingua francese).
Pochi studenti dell’ISIS hanno citato l’Europa e i Paesi CEE, uno studente dell’IPSIA parla di tutti i
Paesi esteri. Ci sono state risposte singole all’ISIS e al liceo scientifico riguardanti Paesi specifici
del nord Europa, generalmente non associati alla lingua inglese (es. Germania, Olanda, Belgio).
Riguardo ai Paesi di lingua e civiltà inglese analizzati a scuola, la risposta preponderante, emersa da
tutti gli indirizzi, è stata “L’Inghilterra” o “l’America”. A parte il V ERICA e le due classi ISIS, che
presentano un più nutrito elenco di Paesi analizzati (pur se citati da pochissimi studenti, a volte
anche da uno solo), gli studenti degli altri indirizzi affermano di aver analizzato pochi Paesi
anglofoni, alcuni addirittura nessuno. Nello specifico, quando parlano di “analisi” di paesi
anglofoni, intendono letture di cultura generale, geografia, e usanze dei Paesi309.
Le varietà di accenti nel Regno Unito, come pure i tipi di inglese parlati nel mondo, vedono tutti gli
indirizzi concordi nell’affermare che, in più dei due terzi dei casi, non hanno mai trattato tale tema,
o, se lo hanno fatto, è stato solo a livello superficiale.
Alla domanda ‘Quali di queste lingue consideri più importanti da apprendere oggi?’ gli studenti di
tutti gli indirizzi hanno risposto coralmente “inglese”. Solamente gli studenti dell’IPSIA sono divisi
a metà, rispondendo “italiano” e/o “inglese” come lingue più importanti.
Segue una serie di domande riguardanti concetti quali l’inglese ‘migliore’, ‘standard’, e i ‘New
Englishes’. Tutti gli indirizzi hanno risposto in maniera nel complesso omogenea. Per quanto
riguarda la conoscenza di altre varietà di inglese parlate nel mondo, l’ISIS ha fornito maggiori
risposte, seguito dall’ ERICA e dal liceo scientifico. L’IPSIA, invece, risponde semplicemente con
un “no”, o indicando l’ “American English”.
Anche per quanto riguarda la coppia di domande ‘Pensi che l’italiano, nell’incontro con l’inglese si
stia:’ e ‘Pensi che l’inglese, nell’incontro con le altre lingue, si stia:’ le risposte sono state molto
309
I testi sono spesso impiegati per un ulteriore esercizio morfo-sintattico, grammaticale, e si riflette poco sui contenuti
stessi del testo.
139
simili fra indirizzi, dal momento che più del 50% delle classi afferma che gli incontri fra lingue
siano un momento di arricchimento per le lingue stesse.
Anche per il completamento della frase ‘Plurilinguismo per te significa:’ non ci sono state grandi
differenziazioni fra indirizzi, sia in termini di quantità che di qualità di risposte fornite, tranne le due
classi dell’IPSIA, dal momento che una buona percentuale di studenti non ha risposto alla domanda,
mentre l’altra classe ha risposto in maniera quasi univoca solamente “conoscere e parlare più
lingue”.
Infine, alla richiesta di elencare vantaggi e svantaggi legati all’eventuale emergere dell’inglese
come unica lingua parlata in Europa, si nota una omogeneità nelle risposte, nonostante la varietà di
indirizzi di studio: sia gli studenti del professionale, che quelli del tecnico e del liceo concordano
nell’affermare che la comunicazione sarebbe agevolata, ma con il conseguente rischio di
omologazione e perdita di radici e identità culturale dei singoli stati.
3.4 Focus sui questionari rispetto alla cittadinanza degli studenti
Infine, da un’indagine approfondita sui questionari compilati dagli studenti di nazionalità diversa
rispetto a quella italiana, o provenienti da famiglie di immigrati, all’interno delle classi prese in
considerazione, è emerso che sono ancora pochi gli studenti di nazionalità non italiana nelle scuole
secondarie di Osimo e Castelfidardo (AN), in totale nove, più due ragazzi provenienti dalla
migrazione, ma che hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Di questi, cinque frequentano l’IPSIA,
tre l’ISIS, due il liceo scientifico e uno l’ERICA. Per quanto riguarda la nazionalità, troviamo
quattro studenti albanesi, un argentino, un rumeno, un ucraino, due macedoni.
Il numero di anni di studio dell’inglese coincide con quello degli studenti di nazionalità italiana,
tranne che per due studenti, uno proveniente dall’Albania che lo studia da soli tre anni, e uno dalla
Polonia, nato nel 1990, che lo studia da diciassette anni. Le ragioni che spingono tali ragazzi a
studiare inglese sono circa le medesime degli italiani. Anche per quanto riguarda la graduatoria
delle lingue considerate maggiormente importanti da apprendere oggi, vi sono notevoli somiglianze
con le liste fornite dal resto degli studenti, con la lingua inglese o quella spagnola al primo posto.
Solamente tre di questo ristretto gruppo di studenti pongono l’italiano al secondo posto e uno al
primo. Uno studente lo colloca addirittura all’ultimo posto. Anche le risposte in merito a cultura
inglese, a tipi di inglese e a considerazioni sul cambiamento della lingua inglese si avvicinano a
quelle degli studenti ‘italiani’.
Infine, per quanto riguarda i vantaggi e gli svantaggi legati ad un eventuale monolinguismo inglese
in Europa, anche tali studenti parlano di maggiore comunicazione, intercomprensione e di dialogo
fra Paesi, ma ammettono il rischio di perdita di tradizioni, cultura e varietà linguistiche. Fra la
risposte più singolari, uno studente afferma che sarebbe “annoiante” parlare tutti un’unica lingua.
Tra i vantaggi, un altro studente afferma che non ne intravvede alcuno. Molti di loro mostrano
preoccupazione per la difficoltà che le popolazioni incontrerebbero nel dover obbligatoriamente
apprendere l’inglese, soprattutto gli anziani e coloro che non frequentano più la scuola. In generale,
non si sono notate grandi differenze nelle risposte fornite da tali ragazzi, rispetto agli studenti di
origine italiana. Anche per quanto riguarda tale categoria di apprendenti di cittadinanza non italiana,
la sensibilità verso il plurilinguismo e il pluriculturalismo dipende dai singoli casi, non è un tratto
140
accomunante tali studenti solo per il fatto che conoscono o appartengono ad altre lingue-culture.
Ciò fa dedurre la necessità di rendere tutti gli studenti consapevoli del proprio bagaglio linguisticoculturale e delle lingue-culture che si vanno ad apprendere, al fine di creare quella sensibilità di
cittadini interculturali.
3.5 Riflessioni conclusive
Gli studenti dimostrano di non essere a conoscenza, o di conoscere solo a livello superficiale, la
realtà della lingua-cultura inglese oggi, composta di numerose varietà tra cui i nuovi inglesi che
continuano ad emergere e imporsi. La percezione stessa dell’inglese è ristretta alla grammatica
studiata in classe sui libri di testo o alle lezioni tradizionali di civiltà, orientate alla conoscenza del
Regno Unito e degli Stati Uniti. Non viene approfondita a sufficienza la tematica del plurilinguismo
e del pluriculturalismo, e neanche si dedica del tempo all’autoriflessione sulla propria identità
linguistica e sul rapporto personale con le proprie lingue-culture e in particolare con l’inglese. La
motivazione allo studio delle lingue e culture straniere in generale è presente negli studenti, ma va
educata e orientata ad un critico e flessibile approccio all’altro. In conclusione, emerge dai
questionari una conferma dell’assunto di partenza, ovvero la necessità attuale di rivedere la
programmazione e l’approccio all’inglese nelle scuole secondarie di secondo grado.
Balboni (1999) afferma che lo scopo è quello di educare gli apprendenti ad una
autoconsapevolezza, ovvero indirizzarli verso una prospettiva interculturale, che è diversa
dall’annullamento dei propri valori. Sapir conferma che “[…] l’applicazione del punto di vista della
personalità tende a minimizzare il bizzarro o l’esotico delle culture straniere e a rivelarci sempre più
chiaramente la grande base umana su cui si è sviluppata ogni cultura” (Sapir, 1962: 163).
La language awareness (cfr. CARAP, 2007) è dunque necessaria. Ciascun individuo deve esser
conscio delle proprie scelte linguistiche per non ritrovarsi a parlare ‘la lingua d’altri’: “[…] we all –
native speakers and non-native speakers of English – need to think about why we make our
linguistic choices and what attitudes and beliefs (and myths) inform the identities we accept for
ourselves and ascribe to others” (Jenkins, 2007: 233). La riflessione metalinguistica e la dialettica
culturale sono efficaci per conoscere, confrontare, esser curiosi nei confronti degli altri, creare
dialogo e ricchezza nella diversità (cfr. Byram, 2008: 69 e Benhabib, 2005: 23-24)
A tal fine, considero prioritario un ripensamento, ancor prima dei curricoli scolastici, della
formazione stessa − iniziale e in itinere − dei docenti e dei formatori di lingua di scuola secondaria.
Con ciò non si ipotizza uno stravolgimento radicale della situazione attuale, bensì una rilettura ed
un riciclo del materiale prodotto e utilizzato finora. Vanno proposti nuovi approcci, ma anche
documenti e materiali aggiornati, ai fini di un confronto, di un aggiornamento e di una preparazione
di docenti che avranno il ruolo di guide all’apprendimento di un inglese trattato nella sua
complessità e varietà odierna, collocato al suo giusto posto all’interno del discorso plurilingue
europeo e mondiale.
Nei capitoli seguenti verranno mostrati i risultati derivanti da un’indagine fra gli insegnanti di
inglese in Italia, al fine di completare il quadro di riferimento riguardante la situazione della
didattica delle lingue e dell’inglese in particolare nella scuola italiana, operando così opportuni
141
confronti con quanto si è evinto dalle percezioni degli studneti a tale riguardo. Seguirà una proposta
formativa calibrata anche sugli effettivi bisogni e sulle richieste emerse da entrambe le indagini.
142
Capitolo IV
L’indagine sui bisogni formativi degli insegnanti di inglese di scuola
secondaria di II grado in Italia
Premessa
Nel capitolo III della ricerca si sono interrogati gli studenti di scuola secondaria circa le
proprie rappresentazioni linguistico-culturali, in particolare rispetto all’inglese come lingua franca
oggi nel suo rapporto con le altre lingue. É stato anche richiesto di ‘commentare’ il proprio corso di
studi, i curricoli di lingue-culture seguiti a scuola, per evidenziarne eventuali lacune, bisogni o, al
contrario, mostrarne gli aspetti positivi e costruttivi.
Con la presente indagine gli stessi insegnanti di inglese di scuola secondaria in Italia sono stati
invitati a riflettere sui propri bisogni formativi in merito alla didattica dell’inglese oggi e alla
propria posizione rispetto a tematiche quali il plurilinguismo, l’interculturalità e le politiche
linguistiche italiane e europee, cercando di motivare le proprie scelte professionali, evidenziando
eventuali carenze. Le rappresentazioni linguistico-culturali, pur se affiorano anche nel presente
questionario, non sono qui il focus della ricerca, bensì una modalità di approccio alla tematica.
L’obiettivo finale dell’indagine sono i bisogni formativi degli insegnanti d’inglese e l’analisi dei
campi d’azione su cui si può eventualmente lavorare nell’ambito di un corso di formazione iniziale
o in servizio per gli stessi.
Il questionario310 si è rivelato ancora una volta lo strumento di ricerca più funzionale agli obiettivi
della presente indagine. Ha permesso di ascoltare la ‘voce’ dei diretti interessati individuando non
solo i loro bisogni, ma anche estrapolando quanto di positivo eventualmente è già stato loro
proposto in precedenza, al fine di costruire, o rimediare a partire dallo stato attuale, una reale offerta
formativa disegnata attorno a reali necessità.
Il bacino d’indagine selezionato è stato quello delle scuole secondarie di secondo grado
principalmente di Ancona e provincia, e, a scalare, delle Marche e del resto d’Italia (le ultime in
percentuale nettamente inferiore). Si è cercato di coinvolgere, quando possibile, gli insegnanti che
esercitano la professione nelle classi di quegli studenti i quali, a loro volta, avevano partecipato alla
prima indagine, al fine di ottenere un quadro il più omogeneo possibile, pur se necessariamente
ridotto in termini di estensione sul territorio nazionale311.
La scelta di restringere il campo su questo specifico grado d’istruzione è dettata in primo luogo da
ragioni di coerenza con la prima indagine. E’ pur vero che la maggior parte degli informanti ha
prestato servizio anche nella scuola secondaria di I grado. La natura delle domande, dunque non
310
Il questionario è stato distribuito in formato sia cartaceo che telematico. Con ciò non si esclude la possibilità in un
secondo momento di impiegare altri strumenti di ricerca come l’intervista per approfondire la ricerca in questione. Per
quanto riguarda le tecniche di analisi del questionario si rimanda al par. 3.1della presente ricerca.
311
Gli istituti che si sono prestati a tale indagine sono: I.I.S. Corridoni-Campana di Osimo, comprendente Liceo
Classico, Liceo Scientifico, Ragionerie ERICA, Geometri; l’IPSIA Laeng Osimo-Castelfidardo (AN). I questionari
sono stati inoltre distribuiti, in formato cartaceo, presso il Liceo Scientifico Galilei di Ancona, e l’ISTVAS VanvitelliStracca-Angelini di Ancona. Si aggiungano tutti i questionari online da parte di insegnanti di cui non si conosce la
denominazione dell’istituto di provenienza poiché non richiesto esplicitamente.
143
escluderebbe un’utenza di scuola secondaria di I grado. Tuttavia, i contenuti delle domande e i
chiari riferimenti alla didattica dell’inglese lingua-cultura nella sua varietà e complessità sembrano
avvicinarsi maggiormente alle necessità che investono la scuola ‘superiore’312.
Non è stato semplice come per la prima indagine ottenere un numero minimo di insegnanti (in
questo caso cinquanta) che si prestassero ad una simile operazione, in parte a causa del periodo in
cui il questionario è stato somministrato, ovvero l’inizio dell’anno scolastico. Si è optato dunque per
una distensione dei tempi, da agosto a tutto il mese di ottobre del 2011 per raggiungere il maggior
numero di insegnanti possibile. Altra causa adducibile al difficile reperimento di questionari è la
bassa concentrazione di insegnanti di inglese per istituto. Anche la mancata risposta di molti
insegnanti313 ha inciso negativamente sui tempi di somministrazione dei questionari. Il dato positivo
è che comunque tanti insegnanti, sia con breve che con decennale esperienza professionale, si sono
dimostrati disponibili alla collaborazione a titolo gratuito e hanno altresì contribuito a diffondere
tale questionario fra i colleghi.
4.1 I questionari tra gli insegnanti di EFL: “La formazione degli insegnanti di inglese in Italia
in contesto plurilingue e interculturale”
Il questionario si apre con il seguente titolo: “La formazione degli insegnanti di inglese in Italia in
contesto plurilingue e interculturale” (si veda l’All. 2). Una breve sintesi iniziale spiega le
motivazioni dell’inchiesta con cui gli insegnanti si vanno ad approcciare, nonché la posizione della
ricercatrice come dottoranda e insegnante di inglese di scuola secondaria, alla pari dei destinatari.
La ragione di una tale scelta non è casuale: la ricercatrice ha voluto evidenziare la sua posizione nei
confronti dell’utenza al fine di far sentire loro la propria vicinanza professionale (cfr. Barbier, 2007:
104).
4.1.1. Struttura e contenuti del questionario
Il questionario si compone di 22 domande. Le percentuali sono ottenute su un campione di 50
questionari. Per quanto riguarda la natura dei quesiti, si è cercato di non influenzare, per quanto
possibile, le risposte degli interessati, evitando quelle domande che inevitabilmente avrebbero
portato a risposte scontate, pilotate, forzate. Si è optato, inoltre, per quesiti per lo più a risposta
chiusa, semi-aperta, oppure a scelta multipla o ancora di elenco di priorità314, in maniera tale da
poter ottimizzare i dati ottenuti, confrontarli, se pertinente, e operare di conseguenza proposte sul
medio termine. Per quanto riguarda l’analisi dei quesiti (o parti di essi) a risposta aperta, ci si è
rifatti, come per la prima indagine ad un codebook (cfr. par. 3.1 e Guidicini, 1995: 161-163) per
classificare le informazioni e creare classi omogenee. Si è costruito anche in questo caso un codice
312
Qui si intende l’accezione informale che ancora conserva a livello colloquiale la scuola secondaria di secondo grado;
‘superiore’ é una rimanenza della vecchia denominazione di ‘scuola media superiore’ o ‘istituto superiore’, preRiforma Moratti (2003) entrata ormai nell’uso colloquiale del gergo scolastico.
313
In molti hanno chiesto, ad esempio, quale potesse essere il riconoscimento pratico che segue la frequenza ad un tale
corso. Altri semplicemente non hanno accettato di partecipare, o hanno declinato l’invito, dal momento che l’indagine
era anonima e facoltativa.
314
Si vedano Ciliberti, 1997; De Marco, 2000; Santipolo, 2002, Guidicini, 1995 e il cap. III per terminologia e
metodologia di riferimento.
144
riassuntivo per trascrivere i dati. Sono stati impiegati anche grafici e tabelle al fine di rendere più
chiari e fruibili i risultati
La compilazione del questionario risulta volutamente anonima per dare una maggiore libertà di
espressione agli informanti315.
I contenuti delle domande si possono suddividere in 5 macro-categorie fondamentali, che per
ragioni di praticità di analisi corrispondono a cinque ‘blocchi tematici’ distribuiti per lo più in
maniera consequenziale. Il primo blocco tematico (quesiti n. 1,2,4) riguarda le informazioni
personali, mentre il secondo blocco (n. 3,5,6) ricostruisce la carriera scolastica professionale. Le
prime due fasce di contenuto mostrano a grandi linee il background di riferimento degli informanti,
dunque permettono alla ricercatrice di individuare il tipo di utenza con cui sta lavorando. Il terzo
blocco tematico (n. 7-11 e 13-17) contiene i dati concernenti le scelte curricolari degli insegnanti,
fra libertà d’insegnamento e necessità contingenti. Il quarto blocco (n. 12 e 19) riguarda le eventuali
conoscenze in merito alle due tematiche focus della ricerca: le varietà dell’inglese e le direttive per
l’educazione plurilingue in Europa. L’ultimo blocco tematico (n. 18 e 20-22) comprende quelle
domande afferenti ai bisogni formativi da parte degli insegnanti e ai consigli per un eventuale corso
che vada in tale direzione.
I dati sono stati analizzati nella loro totalità; tuttavia l’attenzione è ricaduta soprattutto su specifiche
domande allo scopo di:
-rintracciare eventuali carenze nella formazione degli insegnanti;
-individuare le conoscenze in merito alle varietà dell’inglese e alle direttive per l’educazione
plurilingue ed interculturale;
-ottenere suggerimenti per l’articolazione di un percorso formativo a partire dai bisogni e dalle
aspettative che emergono dagli stessi destinatari del corso in questione.
Si sarebbero potute inserire ulteriori domande nel questionario, o, all’interno degli stessi quesiti, si
sarebbero potute fornire molte più opzioni fra cui scegliere per istituire un corso di formazione.
Tuttavia si è preferito limitare le voci in maniera tale da non influenzare o confondere troppo gli
interessati. Dubbi o richieste specifiche da parte degli insegnanti potranno essere esplicitati ed
approfonditi durante la resa pratica del progetto.
Ad un’analisi generale dei dati seguirà un confronto incrociato fra i questionari della fascia di
informanti con l’età di servizio più bassa e quella più alta, al fine di constatare eventuali analogie o
differenze. A tale scopo non verrà condotta un’analisi statistica della globalità dei dati raccolti, ma
solamente di quelli ritenuti più pertinenti e d’aiuto per indirizzare verso la formulazione di una
proposta di formazione concreta e realistica.
315
È stato richiesto in modo opzionale l’indirizzo di posta elettronica al puro scopo di tenere aggiornati gli interessati
sugli sviluppi della ricerca.
145
4.2 Analisi dei dati
4.2.1 Il campione
Di seguito vengono analizzati i dati relativi al primo blocco tematico (quesiti 1,2,4), riguardante le
informazioni personali del campione di informanti selezionato316.
Si precisa che non sono stati richiesti dati personali quali nome, sesso, età, etc., al fine di garantire
l’anonimato, bensì informazioni riguardanti il background formativo-professionale e la realtà
lavorativa degli informanti, al fine di delinearne, in qualche modo, il profilo lavorativo.
Il campione è per lo più omogeneo, con 36 informanti su 50 provenienti dalla provincia di Ancona;
a seguire la provincia di Macerata con quattro questionari, e alcune città italiane del centro nord
(Pesaro, Fermo, Bologna, Teramo, Bergamo, Frosinone, Ravenna, Reggio-Emilia (quesito n.1: città
di residenza)317.
Omogeneo anche l’indirizzo di studi degli informanti (quesito n. 2: laurea), tutti laureati in lingue e
letterature straniere, essendo stata posta come condizione per la selezione del campione l’essere
insegnanti di inglese, dunque laureati in tale disciplina. Tre insegnanti segnalano la seconda laurea
in Lettere Moderne.
Per quanto riguarda il quesito ‘Altre lingue conosciute oltre all’inglese - inserire anche la lingua
madre’ (n. 4), il prospetto linguistico del campione risulta essere:
italiano
francese
tedesco
spagnolo
russo
cinese mandarino
100%
60%
44%
40%
6%
2%
Tabella 9: Altre lingue conosciute dagli insegnanti oltre all’inglese
Al di là dell’italiano, lingua conosciuta da tutti i partecipanti, e dell’inglese, per ovvie ragioni
lavorative, emergono principalmente le altre lingue europee di maggiore studio in Italia: il francese,
lo spagnolo e il tedesco. Un 6% conosce il russo, e una sola insegnante ammette di conoscere il
cinese mandarino318.
Il secondo blocco tematico (quesiti 3,5,6) invece, é funzionale a delineare a grandi linee la carriera
scolastica professionale degli informanti:
Anche nel caso delle classi di abilitazione degli intervistati (n.3) si ottiene un campione pressoché
omogeneo di abilitati in inglese (45/50), con alcuni casi di doppia abilitazione in francese (sette
persone) o spagnolo (tre persone). Vi sono cinque insegnanti non abilitati, che operano in scuole
316
Si veda il questionario completo nell’Allegato 2 per il riferimento alle domande.
D’ora in avanti si farà riferimento al n. del quesito fra parentesi.
318
La ragione per cui è stata richiesta anche la lingua madre è dovuta al fatto che si vuole mostrare sin dalle prime fasi
dell’indagine come le lingue siano tenute tutte in considerazione e non venga dato per scontato che la lingua ‘madre’ sia
per tutti l’italiano.
317
146
paritarie come insegnanti di inglese e sono in attesa di riforme in merito al TFA (i.e. tirocinio
formativo attivo: Si veda par. 1.5.3) per ottenere una abilitazione all’insegnamento.
Per quanto riguarda il quesito ‘Da quanti anni insegna inglese?’ (n.5) i periodi indicati variano
notevolmente. Vengono qui riportati suddivisi in fasce da 5 anni ciascuna:
da 1 a 5
Da 6 a 10
Da 11 a 15
Da 16 a 20
Da 21 a 25
Da 26 a 30
Oltre 30
30%
8%
12%
14%
16%
4%
16%
Tabella 10: Anni di insegnamento dell’inglese
Tale dato indica un range di età lavorativa molto variegato, con un picco nella prima e nell’ ultima
fascia. Dunque si dimostrano interessati a collaborare all’inchiesta sia insegnanti in erba che con
molti anni di esperienza alle spalle.
L’ordine e grado di scuola in cui operano gli intervistati (n.6) è risultato al 100% quello degli istituti
‘superiori’. Alcuni hanno segnalato di aver operato o di lavorare attualmente anche alle scuole
secondarie di I grado. Alcune insegnanti hanno indicato l’indirizzo di scuola. Gli indirizzi sono i più
svariati: liceo classico, liceo scientifico, i.t.c. ragioneria ERICA319, i.t.c. geometri, ist. biologico,
istituti professionali, corsi serali320. Altri hanno scritto “vari”, lavorando con contratti a tempo
determinato anche per istituti paritari.
4.2.2 Le scelte didattiche degli informanti
La terza e più ampia fascia di quesiti (n. 7-11, 13-17) riguarda le scelte didattico-curricolari degli
insegnanti, dettate da ragioni personali, ma anche misurate in base alle nuove direttive ministeriali
(cfr. D.M. 249/2010) o a necessità contingenti.
Per quanto concerne la domanda n.7, ‘Considera le riforme per il potenziamento della lingua inglese
nella scuola italiana:’ si prevedeva una risposta semi-aperta, a scelta multipla fra ‘molto utili’, ‘in
parte utili’ per nulla utili’, cui andava data una spiegazione. Nessuno ha lasciato questa domanda
non risposta: tutti hanno voluto commentare, in maniera a tratti critica, le ragioni della propria
risposta, anche inserendo numerosi esempi321.
I risultati sono:
319
L’acronimo ERICA sta per ‘Educazione alla Relazione Interculturale e alla Comunicazione Aziendale’.
Si notino anche gli indirizzi di scuola in cui sono stati consegnati i questionari in formato cartaceo, dai quali si risale
di fatto all’estrema diversità di istituti di provenienza degli informanti.
321
Le ragioni per cui è stata fornita una risposta piuttosto che un’altra sono qui riassunte e accorpate per ragioni di
praticità e per rendere maggiormente omogenee le risposte concordi. Tuttavia, si è cercato di mantenere la varietà
interna a ciascuna risposta, evidenziando eventuali sfumature di significato in quelle risposte risultate più evocative e
significative.
320
147
-molto utili: 8%
-in parte utili: 32%
-per nulla utili: 60%
Solo un 8% risponde ‘molto utili’, adducendo a motivazione il fatto che l’inglese è ormai lingua
fondamentale, veicolare, mondiale nello scenario internazionale e una maggiore esposizione a tale
lingua corrisponderebbe di conseguenza a una maggiore competenza linguistica.
Coloro che hanno risposto ‘in parte utili’ ritengono che un potenziamento dell’inglese potrebbe
servire ora che il CLIL è reso obbligatorio nelle classi quinte della secondaria di II grado, perché
verrebbe dato maggior spazio alla lingua autentica, alle indicazioni europee, migliorerebbe dunque
l’approccio alla lingua, anche attraverso le TIC. Alcuni insegnanti lamentano una riduzione effettiva
del monte ore, altri, al contrario, ritengono che siano state aumentate. Le problematiche segnalate
più in generale sono la carenza effettiva di ore di inglese, la carenza di risorse, l’assenza di
informazione adeguata per gli insegnanti che si dovranno occupare di CLIL.
La maggioranza risponde ‘per nulla utili’, portando le seguenti motivazioni: a livello organizzativoistituzionale, affermano che non si tratta di riforme serie, che non sono riforme calibrate per la
scuola italiana, bensì un ‘copia-incolla’ da riforme estere; per alcuni ci vorrebbe un adeguamento
dell’istruzione in generale, perché al momento tali leggi non sono inserite in un contesto
interculturale. Nel particolare, il numero delle ore risulta ridotto anziché aumentato, avendo seguito
il criterio del risparmio (addirittura un’ informante parla di legge che ‘deforma’ e non ‘riforma’ la
scuola), e non c’è di fatto disponibilità da parte dell’organico ad abbracciare qualsivoglia riforma.
Altri ancora, a livello di sillabo, affermano che tali riforme anziché facilitare l’apprendimento
linguistico, lo ostacolano, sia per quanto riguarda le altre lingue culture, sia per la stessa lingua
inglese, relegandola a disciplina secondaria, veicolare. Si constata pertanto che nella visione di chi
opera nelle scuole, le programmazioni curricolari non siano state veramente ritoccate al fine di
agevolare l’apprendimento linguistico.
Si lamenta peraltro la mancanza di un supporto fatto di insegnanti madrelingua senza i quali il
potenziamento non è reale. Altri ancora propongono che vengano suddivisi gli studenti per livelli di
competenza al fine di ottenere un avanzamento di competenza linguistica per fasce di livello. Infine,
alcuni si riferiscono alla questione dell’insegnamento CLIL, lamentando che gli insegnanti sia di
disciplina che di lingua non sono formati ad un tale compito, ed è impensabile che gli insegnanti di
disciplina insegnino in una lingua straniera dopo poche ore di corso di potenziamento linguistico.
La domanda ‘Che cosa insegna principalmente?’ (n.8) lascia trasparire un approccio di tipo morfosintattico lessicale alla didattica linguistica da parte degli informanti. Era possibile scegliere più di
una voce:
148
Che cosa insegna principalmente?
120%
100%
80%
60%
40%
20%
0%
Figura 13: Che cosa insegna principalmente?
Il 96% risponde grammatica; l’84% civiltà; il 52% letteratura; il 36% ESP; il 10% CLIL e il 4%
altro.
Non ci si allontana da un approccio generalmente tradizionalista, che vede il monte ore settimanale
speso ad insegnare per lo più grammatica, prevedendo sporadiche lezioni di ‘civiltà straniera’322.
Gli insegnanti dei licei hanno segnalato le ore di letteratura, come pure quelle degli istituti tecnici
l’inglese per scopi specifici, anche se in numero ridotto. Rimane un 10% che sperimenta il CLIL
(non specificando in che modalità), e un 4% che si occupa di altro (alcuni hanno segnalato ‘lezioni
di fonetica’ o ‘esercitazioni’).
Si è scelto di raggruppare i risultati delle domande n. 9 e n.10, ovvero ‘A quale inglese si rifà
principalmente quando insegna?’ e ‘Può spiegare le ragioni per cui ha operato la scelta suddetta?’ in
una tabella unica, al fine di mostrare le ragioni per cui ciascun insegnante ha operato determinate
scelte linguistico-didattiche. La domanda n. 9 prevedeva una risposta chiusa a scelta multipla fra le
seguenti opzioni:
-British English
-American English
-Inglese dei Native speakers
-Inglese internazionale
-Inglese semplificato per stranieri
-Inglese tecnico-commerciale
-Altro
Per quando concerne le ragioni che hanno spinto gli interessati ad operare la scelta suddetta, si sono
evidenziate sotto le risposte con i seguenti colori, al fine di procedere con dei confronti incrociati:
322
Come viene comunemente definita la ‘cultura della L2’ nella scuola italiana.
149
GIALLO: formazione
ROSA: materiali, programmi
VERDE: aspetti linguistici
AZZURRO: riferimento all’internazionalità o al mondo del lavoro
ROSSO: giudizi di valore323
Anche in questo caso le risposte sono state riassunte e rese omogenee a livello lessicale, quando
ritenute simili, al fine di operare un confronto più efficace324:
Nat.
per
BrE AmE
E
Int.E stranieri
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
ESP altro
x
Reale, per comunicazione internazionale
scelta naturale
formazione
la norma
fondamentale lingua standard, base per
studiare varietà
reale
per comunicazione globale
BrE-letteratura e gramm; AM E-per uso
colloquiale
formazione, parlare in UK
x
programmi scolastici
materiali
x
programmi scolastici, per comunicazione
x
materiali
per comunicazione globale
formazione
i più usati nel mondo
fondamentale lingua standard, base per
studiare varietà poi
formazione, obbligo
accento migliore
formazione
Br.E. per formazione; E-commerce per
x
lavoro
323
Spesso si chiede di descrivere una lingua e si riceve un commento di valore su essa o un tentativo di
gerarchizzazione. Jenkins trova che i giudizi verso le varietà dell’inglese siano generalmente negativi ‘prissy’, ‘error’,
‘bad language’, mentre quelli legati all’inglese dei nativi siano ‘correctness’, ‘pleasantness’. (cfr. Jenkins, 2007: 77).
324
Si veda il par. 3.1 per quanto riguarda la definizione di codebook. Per quanto riguarda gli acronimi impiegati per
abbreviare le varietà dell’inglese, si veda inoltre il par. 2.3.1).
150
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
no
formazione
purista del BrE
formazione
Formazione, materiali
formazione
formazione
standard e di ogni giorno
materiali e programmi
utile inglese veicolare e norma Native
programmi
purezza della lingua
formazione
lingua facile e specifica per classi miste
professisonali
per affrontare la lingua reale
programmi
passione
formazione
approccio umanistico
per confronto
inglese corrente
strumento di comunicazione internazionale
formazione, programmi, richieste famiglie
formazione, materiali,studi pregressi alunni,
utile per lavoro
formazione, confronto, programmi
formazione, materiali
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
10%
24%
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
92% 34%
x
x
20%
20%
0
Tabella 11: Ragioni che hanno spinto a operare determinate scelte di didattica dell’inglese
Il risultato più eclatante, ma anche prevedibile, viste le motivazioni, è che il 92% degli insegnanti si
rifà tuttora alla varietà Anglo-Sassone (BrE) nell’insegnamento dell’inglese, adducendo per lo più
motivazioni quali la propria formazione, i materiali didattici disponibili e le programmazioni
ministeriali, seguite da giudizi di valore quali “la purezza”, “la norma”, “l’accento migliore”. Al
secondo posto, con un 34%, si pone l’American English (AmE), scelto per operare un confronto con
il BrE, per selezionare, a seconda della circostanza, l’inglese Americano considerato più idoneo per
una comunicazione di tipo colloquiale o internazionale rispetto alla varietà britannica ritenuta ‘più
formale’. La quasi totalità di coloro che hanno selezionato l’inglese dei nativi, ha optato anche per il
BrE, come pure la quasi totalità di coloro che hanno scelto l’inglese internazionale hanno optato
anche per la varietà AmE. E tuttavia non è vero l’opposto, dal momento che le etichette ‘Inglese dei
151
Native speakers’ e ‘Inglese internazionale’ riscuotono solo un 20% di adesioni. L’inglese
semplificato per stranieri viene indicato solo da un 10% e le motivazioni di una tale scelta sono
state di ordine pratico: l’inglese ‘graduato’ per stranieri è ritenuto ‘facile e specifico per classi miste
professionali’, o è considerato come la lingua che realmente viene utilizzata nella comunicazione
internazionale dai non-nativi di lingua inglese. Ad ogni modo, tale scelta si accompagna ad altre nel
questionario, pertanto non è da considerarsi come esclusiva. Alcuni insegnanti segnalano
semplicemente che non ci sono motivazioni particolari per la scelta operata. Infine, un 24% sceglie
ESP (principalmente insegnanti di istituti tecnici e professionali) per ragioni curricolari, allo scopo
di preparare gli apprendenti al mondo reale del lavoro, della comunicazione internazionale, ma
anche per propria formazione. Non sono state aggiunte altre scelte alla voce ‘Altro’.
Il quesito n.11 entra nel merito del legame scuola-realtà esterna, domandando se l’inglese insegnato
a scuola rispecchi fedelmente la lingua effettivamente in uso nel mondo oggi: ‘Nota uno
scollamento fra l’inglese che insegna in classe e quello che si utilizza oggi per viaggi, lavoro, etc.?’.
La domanda prevedeva una risposta chiusa a due uscite. Si riscontrano risposte per lo più
omogenee, che pendono fortemente per il ‘sì’ (70%), contro il 30% di risposte negative. La
maggioranza ritiene che l’inglese curricolare non rispecchi la lingua reale che si parla e si sente oggi
nel mondo, evidenziando dunque una mancata corrispondenza fra la formazione che viene fornita a
scuola e i reali bisogni nonché le prospettive effettive per gli apprendenti una volta extra moenia.
Anche Jenkins (2007), in seguito a recenti studi sulla motivazione degli insegnanti di lingue
straniere nei confronti dell’ELF325, nota uno scollamento fra teoria e pratica a livello didatticocurricolare, ovvero atteggiamenti contraddittori e luoghi comuni da parte degli stessi docenti fra
l’attestazione del dato di fatto dell’esistenza di un cambiamento in seno alla lingua inglese oggi, ma
dall’altro la totale ‘indifferenza’ a livello di pratiche scolastiche (si veda anche par. 2.4.1).
Collegata alla domanda relativa alle conoscenze in merito alle varietà dell’inglese è la domanda
n.13, ‘Le è capitato di insegnarle a scuola?’. Questa domanda prevedeva una risposta chiusa a due
uscite (sì/no). Le risposte affermative sono più della metà, il 64%, pur se spesso seguite da
commenti quali ‘solo aspetti particolari, solo alcune frasi, parole, espressioni in American English
per un confronto con il British English’ e via di seguito, alludendo a sporadici confronti per lo più
morfo-sintattici e di comparazione linguistica. Le risposte negative sono state il 24%. Il 12% non ha
risposto affatto.
Il quesito n. 14, ‘I genitori e gli alunni stessi formulano mai richieste specifiche rispetto a una o
l’altra varietà di inglese?”, va a indagare se e in che misura i bisogni e le richieste di alunni e delle
loro famiglie possano influenzare le scelte didattico-educative degli insegnanti, dal momento che si
è riscontrato in altre inchieste326 un conflitto fra il dover essere un buon insegnante secondo i propri
principi, la propria formazione pregressa, e il bisogno di incontrare l’approvazione delle famiglie e
degli apprendenti, talvolta piegandosi a necessità o richieste contingenti (cfr Jenkins, 2007: 197). In
questo caso, invece, un 76% ha risposto negativamente, un 4% non ha risposto affatto, mentre solo
325
In particolare quelli di Timmis in 45 paesi, Decke-Cornill in Germania, Murray in Svizzera, Sfakis e Sugari in
Grecia, Hannam nel Regno Unito, Zacharias in Indonesia. L’indagine di Jenkins (2007) è stata condotta fra il 2002 e il
2005.
326
Inchieste recenti dimostrano come non solo gli insegnanti influenzano in qualche modo gli apprendenti, ma spesso
ne sono a loro volta influenzati. Anche i genitori possono avanzare richieste nei confronti degli insegnanti, i quali
cercano di soddisfarne le aspettative verso i propri figli. (cfr. Jenkins, 2007: 105 e 224).
152
un 20% ammette di cercare di soddisfare le richieste degli alunni desiderosi di conoscere meglio
soprattutto la varietà di Inglese Americano.
Il quesito n.15, ‘Qual è il suo obiettivo nell’insegnamento della lingua inglese?’, prevedeva
l’assegnazione di una scala di valore da 1 a 6 a fonte di obiettivi segnalati nel questionario. In media
risultano:
1° posto: Fare degli studenti i cittadini del mondo;
1° posto (parimerito): Fornire le basi per una comunicazione internazionale;
2° posto: Preparare gli studenti al mondo del lavoro;
3° posto: Far apprezzare le lingue e culture in lingua inglese;
4° posto: Rendere critici e sensibili nei confronti dell’apprendimento delle lingue;
5° posto: Far sì che la competenza degli studenti si avvicini il più possibile a quella di un
anglofono.
Non sono stati aggiunti altri obiettivi. Dunque viene privilegiato l’aspetto umano-relazionale
dell’apprendimento delle lingue, piuttosto che mirare all’acquisizione di competenze tecniche in
un’unica lingua. Molti insegnanti hanno commentato che tali obiettivi sono tutti importanti, dunque
non è facile operare una selezione o assegnare più o meno peso ad alcuni di essi327.
Il quesito n. 16, ‘Riesce sempre nel suo intento?’, prevedeva una risposta chiusa affermativa o
negativa. La percentuale che si ricava è affermativa solo per il 28%, correlata da commenti quali
“abbastanza”, “a volte”, “spero”, mentre un 72% risponde negativamente adducendo varie
motivazioni. Le ragioni, anche più di una per candidato, potevano essere fornite con una risposta
libera, aperta, senza suggerimenti. Per motivi di praticità queste sono state nuovamente elencate in
maniera sintetica e omogenea a livello lessicale, quando possibile, al fine di permettere una
fruizione più snella dei dati. Di seguito le risposte più frequenti: la poca motivazione da parte degli
alunni, ma anche degli insegnanti è la causa più citata (40%); seguono motivazioni legate al monte
ore ridotto (27%), alle classi troppo numerose (18%), alle poche o assenti risorse – in termini di
strumenti, lettori di madrelingua inglese, supporti extrascolastici, ecc. (10%). Si lamenta altresì la
poca considerazione della lingua e i troppi stereotipi legati alle altre lingue-culture (6%); viene
citato anche il fatto che è più facile valutare la competenza linguistica rispetto a quella plurilingueinterculturale. Infine sono elencate ragioni pratiche quali i pochi soldi, la schiacciante burocrazia e
la poca continuità didattica. Qualcuno ha affermato che il successo o meno nel proprio
insegnamento dipende in parte anche dal tipo di istituto e di classe che si ha di fronte, dal momento
che certi colleghi o studenti potrebbero non avere competenze di base o non aver ricevuto stimoli
pregressi per affrontare tali percorsi didattici.
Interessante notare come la motivazione e l’apporto personale di alunni e insegnanti incida
maggiormente sulla riuscita o meno delle lezioni e sul raggiungimento delle finalità a lungo termine
rispetto alla disponibilità di denaro o di supporti. Per quanto riguarda l’ultimo punto, ovvero le
scarse competenze per affrontare percorsi di questo genere, alcuni insegnanti hanno ammesso che
loro stessi non sarebbero in grado di gestire certe tematiche, forse per mancanza di esperienza
d’insegnamento.
327
Alcune affermazioni andranno certamente approfondite in un secondo momento con colloqui individuali.
153
La domanda n.17, ‘Sente la necessità di rivedere il curricolo di inglese?’, prevedeva una risposta
chiusa a due uscite che è risultata affermativa per il 96% e negativa al 4%: un dato evocativo e
incoraggiante legato alla consapevolezza dei reali limiti in merito al curricolo di inglese, che fa
sperare nella voglia da parte degli informanti di rimettersi in gioco anche personalmente.
A integrazione dell’eventuale risposta affermativa, è stata proposta una lista di opzioni, da
modificare o arricchire eventualmente con ulteriori suggerimenti. Tali risposte si rivelano cruciali
per gli intenti del presente questionario dal momento che emergono in maniera evidente i bisogni
degli insegnanti.
Aspetti da rivedere nel curricolo di inglese
60
50
40
30
20
10
0
Mod.
insegnamento
lingua
Aggiornamento
contenuti
Prevedere CLIL Ore in comune con
ins. Lingue
altro
Figura 14: Aspetti da rivedere nel curricolo di inglese
Le ipotesi di risposta fornite dal questionario e selezionate dagli intervistati sono state:
-modalità di insegnamento della lingua: 56%;
-l’aggiornamento dei contenuti: 50%;
-prevedere il CLIL: 46%;
-prevedere ore in comune con gli altri insegnanti di lingue: 34%;
-altro: 10%.
Per quanto riguarda l’opzione ‘prevedere il CLIL’, alcuni insegnanti hanno commentato che tale
approccio didattico non riguarda prettamente gli insegnanti di lingue: “non è per gli insegnanti di
lingua”. Altri sono propensi all’introduzione del CLIL nel curricolo di inglese, ma limitandolo a
“qualche modulo”. Infine, qualcuno afferma che senza abilitazione in un insegnamento disciplinare
in Italia non sia possibile fare CLIL: “senza abilitazione in un’altra materia in Italia non si può
fare”.
Segue un commento negativo relativo alla collaborazione fra colleghi: “i professori italiani non
sanno lavorare in team”. Infine un 10% suggerisce la divisione nei tecnici e nei professionali in
154
classi per livelli CEFR, si propone di prevedere più ore, o per lo meno un’ora in più a settimana
dedicata solamente per questo tipo di attività, di poter usufruire della LIM e di maggiori attrezzature
in ogni classe, avere a disposizione aule più grandi per classi meno numerose, prevedere ore di
laboratorio obbligatorie e non dover ripetere al biennio il programma svolto alle scuole medie.
Risultano confuse o comunque non note a tutti gli informanti le conoscenze di base in materia di
CLIL, nonché di integrazione degli alunni stranieri e di educazione al plurilinguismo. Alcune
affermazioni date sono state motivate da mancanze e ostacoli evidenziati nelle risposte alle
domande precedenti (si vedano a tale riguardo le motivazioni fornite nel quesito 16).
4.2.3 Conoscenze relative alle varietà dell’inglese e all’educazione plurilingue
Il quarto blocco (quesiti n. 12 e 19) riguarda le eventuali conoscenze in merito alle varietà
dell’inglese e alle direttive per l’educazione plurilingue in Europa.
Il quesito n.12, ‘Quali varietà dell’inglese conosce?’, prevedeva una risposta aperta, per
elencazione, senza richiesta di spiegazione sui livelli di competenza in materia328. Le risposte
fornite appartengono a categorizzazioni afferenti in parte alla funzione delle varietà di inglese
elencate, in parte alla loro localizzazione in certo modo geo-politica.
Quali varietà dell'inglese conosce?
35
30
25
20
15
10
5
0
Figura 15: Quali varietà dell’inglese conosce?
328
L’obiettivo a questo stadio della ricerca non è ancora quello di testare l’effettivo grado di conoscenza o competenza
in merito alle diverse varietà di inglese, quanto piuttosto di sollevare la questione relativa alla formazione pregressa,
facendo emergere gli interessi e i bisogni degli insegnanti.
155
Svettano in cima alla classifica l’AmE e il BrE con una percentuale rispettivamente del 60% e del
52%, seguite da molte altre varietà in percentuale nettamente ridotta.
Sappiamo, in base ad un confronto incrociato sulla formazione degli insegnanti risultante dai quesiti
9 e 10, che la percentuale di coloro che conoscono la varietà British è molto più elevata. La ragione
per cui alcuni non l’hanno inserita è che probabilmente non la considerano una ‘varietà’ bensì la
norma. Di conseguenza, potrebbero non aver ritenuto opportuno inserire quella che ritengono la
base della lingua inglese fra le sue varianti.
Dal punto di vista delle rappresentazioni linguistico-culturali è interessante notare il tipo di
‘etichetta’ che ciascun informante assegna alle varietà conosciute, anche quando si tratta di giudizi
di valore, più che di vere e proprie varietà linguistiche. In parte tali elenchi si rifanno alla funzione o
alla connotazione data alla lingua inglese: ‘business’, ‘received pronunciation’, ‘nativa’,
‘semplificato’, ‘spoken’, ‘web’, ‘slang’, ‘letterario’. Di matrice storico-linguistica le definizioni di
‘old’ e ‘middle’ English, legate certamente a studi di tipo letterario-filologico da parte di insegnanti
dei licei. Appartengono, invece, ad una categorizzazione di matrice geo-politica le seguenti
etichette: ‘American’, ‘British’, ‘Irish’, ‘Australian’, ‘Cockney’, ‘Scottish’, ‘English’, ‘Scouse’,
Canadian English329. Anche in questo caso le sub-varietà definite ‘dialettali’ da molti studiosi di
linguistica inglese (si veda il par. 2.3.1) sono qui menzionate a fianco di macro-varietà a livello
nazionale come l’American, il British, l’Australian e il Canadian English. Sono state menzionate
per lo più sub-varietà appartenenti al mondo anglo-sassone. Si nota ancora una volta come le varietà
britannica e americana siano le più diffuse fra gli insegnanti (si vedano anche le risposte al quesito
n. 9).
Alcuni insegnanti hanno ammesso di non conoscere alcuna varietà, altri non hanno risposto affatto
alla domanda, facendo dedurre che la risposta fosse negativa.
Il quesito n. 19, ‘Ha conoscenze di indicazioni europee in merito all’educazione plurilingue e
interculturale?’, si presenta di più ampio respiro sia a livello geografico, andando al di là delle
dinamiche scolastiche in Italia, che a livello di contenuti di educazione alle lingue (si vedano anche
i quesiti 20 e 22). Viene richiesto appositamente quali siano i documenti conosciuti dagli informanti
al fine di conoscere meglio il pubblico che si ha di fronte e con il quale eventualmente si andrà a
lavorare per la formazione futura. Il quesito è importante anche per gli stessi insegnanti i quali
hanno l’opportunità di riflettere e interrogarsi sulle loro effettive conoscenze in materia. Poco più
della metà (54%) risponde ‘sì’ e il 46% ‘no’. E’ stato altresì richiesto, a coloro che hanno risposto
affermativamente, di indicare quali documenti conoscono, con una domanda a risposta aperta, senza
suggerimenti: ‘Se sì, quali documenti o direttive conosce?’. Anche in questo caso le risposte sono
state molto omogenee, vertendo per la quasi totalità sul CEFR e sulle direttive di Lisbona. Seguono,
ma in percentuale drasticamente ridotta, altri documenti riportati di seguito così come sono stati
citati dagli informanti: il Libro Bianco (un’insegnante commenta “ma l’ho dimenticato”) e il
portfolio, i progetti europei LLP, la via italiana per l’ integrazione330, il T-Kit, l’Europass,
l’Ambassade de France (unica agenzia, più che un documento, prettamente francofona), i bench
marks dell' EU, il Piano d'Azione sull'approfondimento delle lingue e sulla diversità. Una sola
insegnante fornisce un elenco dettagliato e coerente in merito, citando oltre ai documenti appena
329
330
Per la definizione di varietà, dialetti, e per le varie categorizzazioni si veda il par. 2.3.1.
Si fa riferimento al documento del MPI (2007).
156
elencati, le Direttive del Consiglio Europeo 486/1997, la decisione 1983/2006, l’anno europeo del
dialogo interculturale, il Libro Verde su istruzione e immigrazione, e Eurydice (2009).
Dal momento che il questionario, sia online che cartaceo, poteva essere compilato da casa, o
comunque avendo la possibilità di consultare internet ed eventuali documenti cartacei a riguardo, il
dato non è attendibile al 100%. Ad ogni modo, il fatto di essere al corrente dell’esistenza di certi
documenti, nonché sapere come rintracciarli evidenzia il fatto che taluni informanti, anche
potenzialmente, sanno dove accedere all’informazione trovata (pur se di fatto potrebbero non aver
chiaro il contenuto dei documenti stessi). A tale proposito è interessante il confronto con i risultati
che si evincono dai questionari di Cognigni e Vecchi (2011). In particolare nel paragrafo “Immagini
del plurilinguismo nei docenti di lingue” (ibid.: 8) si evince, dai questionari a insegnanti di L1, L2,
LS della scuola di base, lo scollamento fra teoria e pratica, fra la consapevolezza del valore del
plurilinguismo ma della confusione nella pratica: “Il quadro si fa ben più articolato ed interessante
quando viene chiesto se e come tale didattica plurilingue venga messa in atto in classe,
evidenziando un chiaro divario tra conoscenza dichiarativa e capacità procedurale (CdE 2002) del
plurilinguismo”(ibid.).
4.2.4 Bisogni e proposte degli insegnanti per un percorso di formazione ‘su misura’
L’ultimo blocco tematico (quesiti n. 18, 20-22) in ordine di comparsa, ma non ultimo per grado di
importanza, riguarda i bisogni formativi da parte degli insegnanti e i consigli per un eventuale corso
che vada in tale direzione.
La domanda n. 18, ‘Ha mai frequentato un corso sulle varietà dell’inglese?’, è stata posta
volutamente a questo punto del questionario, e non fra le domande relative ai dati personaliprofessionali, né a quelli afferenti le varietà dell’inglese conosciute, in maniera tale da introdurre il
discorso sull’eventualità di corsi di formazione in merito. L’80% risponde negativamente. Solo un
20% degli insegnanti ha risposto affermativamente. E’ stato richiesto di indicare l’agenzia
formativa presso la quale si è tenuto il corso, al fine di constatare se le università, attraverso le
SSIS, effettivamente avessero fornito una tale offerta. Con un esame incrociato delle risposte si
nota, d’altronde, che, anche laddove sono stati già frequentati corsi sulle varietà dell’inglese durante
la SSIS, gli insegnanti coinvolti sentono comunque il bisogno di approfondire l’argomento. Le
agenzie formative segnalate e di seguito elencate sono, nella maggior parte dei casi, le medesime: la
SSIS, l’Università (Ca'Foscari in particolare), seguite dalle associazioni culturali LEND, British
Council, Pilgrims, o da località in cui questi corsi sono stati tenuti (Los Angeles e Regno Unito). La
tematica è stata dunque affrontata in alcune istituzioni pubbliche o attraverso agenzie esterne, per lo
più di impostazione Anglo-Sassone o in località estere.
Gli ultimi tre quesiti si focalizzano sull’offerta formativa in via di definizione e coinvolgono in
prima persona gli informanti.
La domanda 20, ‘Se ne avesse la possibilità, le interesserebbe frequentare un corso riguardante:’,
prevedeva una scelta multipla fra una lista di opzioni date. Non sono stati posti limiti al numero di
risposte possibili, volendo fornire solo dei suggerimenti:
157
Se ne avesse la possibilità le interesserebbe
frequentare un corso riguardante:
70
60
50
40
30
20
10
0
varietà inglese
Inglese lingua
franca
Direttive Eu
didattica Inglese
altro
niente
Figura 16: Preferenze circa gli argomenti di un futuro corso di formazione
Al primo posto, con una percentuale pari al 58%, si trova la voce ‘le varietà di inglese parlate nel
mondo’ seguita da ‘l’inglese come lingua franca e il suo impatto non solo a livello didatticoprofessionale, ma anche personale’ (50%); vengono poi le ‘direttive europee per la didattica
dell’inglese all’interno dell’educazione al plurilinguismo’ (38%). Un 6% segna ‘altro’ senza
specificare. Un 4% scrive “niente”.
Il quesito 21 costituisce un approfondimento della domanda precedente, focalizzandosi in
particolare sulle varietà dell’inglese e sull’inglese internazionale: ‘Ritiene utile istituire un corso di
formazione iniziale e/o in servizio sulle varietà dell’inglese e sull’inglese internazionale?’. La
ragione per cui viene posta una domanda così specifica è dovuta al fatto che il corso di formazione è
rivolto in primis agli insegnanti di lingua inglese. Lo scopo è quello di constatare la disponibilità e
la curiosità verso la complessificazione del curricolo e l’aggiornamento anche contenutistico per
quanto riguarda la disponibilità a dare spazio alla varietà insita nelle lingue-culture in inglese,
avendo riscontrato nella precedente indagine con gli studenti una grave lacuna in tale direzione. In
particolare, il focus sull’inglese internazionale, lingua franca331 nonché sulle varianti rispetto alla
cosiddetta Received Pronunciation sono punti cruciali e imprescindibili in un corso di formazione
che miri al plurilinguismo e all’interculturalità, dal momento che tali tematiche riguardano il
rapporto con le altre lingue nonché con la propria identità linguistico-culturale come singoli e come
cittadini.
La risposta chiusa binaria (sì/no) andava commentata in entrambi i casi. Il 90% degli informanti
risponde affermativamente, adducendo motivazioni rese qui omogenee (saranno menzionati in
originale solamente alcuni commenti particolarmente evocativi e indicativi del trend generale). La
ragione principale dichiarata dalla quasi totalità degli informanti è stata la sua utilità ai fini
dell’aggiornamento: “per necessità di aggiornamento, che a volte viene meno causa impegni”, o
331
Per le definizioni si vedano il par. 2.3.1 e 2.3.4.
158
anche per “soddisfare il bisogno di apprendimento lungo l’arco della vita”. Altra ragione è
l’arricchimento personale: “per ampliare gli orizzonti culturali”. Segue l’utilità per gli studenti,
soprattutto per aprire loro ulteriori porte sul mondo del lavoro, ma anche per onestà nei loro
confronti, poiché si dovrebbe consegnare loro un’immagine della lingua più rispondente alla realtà
dei fatti. Fra i vari commenti a riguardo: “per la comunicazione nella realtà internazionale e
complessa che ci troviamo a gestire oggi”; “è importante dare agli studenti un'immagine meno
ingessata della lingua inglese”; “agli studenti piacciono le novità”, e ancora “potrei rispondere alle
domande degli studenti”. Si specifica che in tale modo ne gioverebbe lo stesso approccio linguistico
all’inglese, la cui complessità è spesso ridotta per esigenze curricolari e di gestione della classe:
“per la complessità stessa della lingua inglese in continuo mutamento”; “per una visione più
realistica della lingua cultura inglese”. Alcuni affermano che le tematiche proposte permetterebbero
un allargamento del discorso a livello europeo, dal momento che inconsciamente tendono ad
insegnare il BrE, ma non sempre questo corrisponde agli obiettivi formativi prefissati. Alcuni
ritengono che un tale corso possa favorire atteggiamenti di “rispetto e tolleranza”, fornendo basi per
l’educazione alla cittadinanza. Un insegnante fa notare criticamente come si debbano comunque
testare in primis le effettive conoscenze degli insegnanti di lingue a riguardo, per non veicolare
messaggi deformati agli alunni. Infine, alcuni ammettono che frequenterebbero il corso per interesse
personale.
Il 10% che ha risposto negativamente avanza le seguenti motivazioni: per alcuni tale corso sarebbe
utile in un secondo momento, ma non a livello iniziale, non specificando tuttavia se si tratti del loro
livello ‘iniziale’ come insegnanti o di quello degli apprendenti. Altra ragione, che si collega in certo
modo alla prima, è la supposta “settorialità” della tematica, che comporterebbe dunque un
approfondimento personale, vissuto sul campo e non una formazione in merito: “l’inglese settoriale
va studiato individualmente o si acquisisce sul campo”. Segue un commento simile
sull’individualità dell’esperienza di formazione: “la formazione è cosa individuale”. Un altro
insegnante ritiene che a scuola non vi sia la necessità di complessificare il curricolo e che basti
fornire agli studenti le basi per ciascuna disciplina: “a scuola bastano le basi standard”. Quali siano
“le basi” e gli “standard” cui rifarsi rimane tuttavia un aspetto da indagare. Infine secondo alcuni le
priorità a scuola sono altre, quali ad esempio le TIC.
A chiusa del questionario, con il quesito 22 si fa richiesta esplicita di suggerimenti per
l’articolazione di un corso di formazione ritagliato su misura per gli interessati e per la classe
docente di scuola secondaria in generale: ‘Come pensa si potrebbe articolare un percorso formativo
che vada in questa direzione?’. Viene richiesta una valutazione (da 1 a 6, dalla più alla meno
importante) circa le priorità su cui bisognerebbe insistere. Di seguito si riporta l’elenco delle
opzioni con relativo grado medio di importanza assegnato: al primo posto è stata scelta l’opzione
‘ricerca di materiali e lettura di articoli, saggi, documenti utili per aggiornare il curricolo in
funzione plurilingue e interculturale’; al secondo ‘ampliare le conoscenze sulle varietà dell’ inglese
e sulla questione dell’inglese come Lingua Franca’; al terzo ‘analisi delle immagini degli studenti
sulla lingua/cultura inglese e sulle lingue in generale, dei loro bisogni e delle loro aspettative’; al
quarto ‘ricerca di materiali e lettura di articoli, saggi, documenti utili per aggiornare il curricolo in
funzione plurilingue e interculturale’; al quinto ‘dibattito e confronto sulle pratiche didattiche
proprie e altrui per quanto concerne l’insegnamento dell’inglese e delle lingue in generale’; infine
‘analisi di documenti EU concernenti l’educazione al plurilinguismo, utili all’insegnamento delle
159
lingue’. Alcuni informanti ammettono che è difficile stilare una graduatoria poiché i punti sono tutti
interessanti (qualcuno, infatti, assegna il primo posto a tutte le voci). Un insegnante suggerisce di
istituire “una piattaforma autorevole per il confronto fra docenti e esperti, anche dopo la formazione
iniziale”. In generale, tutti i docenti appaiono interessati alle tematiche, tranne quattro che non
hanno comunicato le proprie preferenze in merito.
È stato richiesto in maniera opzionale l’indirizzo di posta elettronica al fine di comunicare agli
interessati gli sviluppi della ricerca. Si valorizza così l’atto della compilazione del questionario
come un momento di riflessione sulla propria formazione e attività professionale nonché come
fondamentale contributo per la costruzione di un’offerta formativa per insegnanti.
I contatti si sono rivelati utili non solo ai fini dell’analisi dei questionari, per richiedere eventuali
informazioni aggiuntive, laddove non fosse stata chiara la risposta fornita, ma soprattutto in
previsione di una sperimentazione pratica di ricerca-azione del progetto di formazione per
insegnanti332, al fine di invitare al corso in primis coloro che hanno dato il loro contributo attraverso
la compilazione del presente questionario.
4.3 Analisi comparativa di alcuni dati in base all’anzianità di servizio
Attraverso un’analisi comparativa dei questionari degli insegnanti che rientrano nella prima fascia
d’età, ovvero con una breve esperienza lavorativa a scuola (massimo cinque anni) e quelli
dell’ultima, ovvero con oltre trent’anni anni di attività d’insegnamento, si riscontra che coloro che
appartengono alla prima categoria sono stati i più veloci nel rispondere al questionario online e
restituirlo nei tempi indicati, nonché ad indicare un indirizzo e-mail cui essere contattati per
eventuali informazioni e aggiornamenti sull’andamento della ricerca. Nel secondo gruppo, ad
eccezione di un candidato, tutti hanno compilato il questionario per via cartacea e lo hanno restituito
in tempi in media molto più diluiti.
Di seguito vengono ripresi ed analizzati solamente i quesiti ritenuti più interessanti ai fini della
ricerca, o quei dati in cui si riscontrano somiglianze o differenze eclatanti e utili da evidenziare in
questa sede.
Per quanto concerne gli indirizzi di scuola dove operano i suddetti (quesito n. 6), il primo gruppo
risponde in maniera generica, mentre il secondo in maniera in media piuttosto chiara, indicando
l’anno di ingresso in ruolo e il tipo di scuola in cui insegnano attualmente. Le riforme per il
potenziamento della lingua inglese a scuola (n.7) riscontrano pareri discordanti in entrambi i casi,
pendendo per il 90% verso affermazioni negative e pessimistiche. Anche per quanto riguarda gli
aspetti insegnati a scuola e l’inglese cui si rifanno (n.8 e 9) non si incontrano grandi divergenze. La
risposta più diffusa rimane ‘grammatica e civiltà’, insegnate attraverso la varietà British o
American, e talvolta inglese internazionale o tecnico-commerciale. Quando viene richiesto di
esplicitare le ragioni per cui si è scelta una varietà piuttosto che un’altra (n.10), entrambi i gruppi
avanzano ragioni quali la formazione pregressa o giudizi di valore quali il fatto che il British
English sia “la norma” o la “varietà più pura”. Tuttavia si riscontra maggiormente nel primo gruppo
una tendenza a specificare che il British, e talvolta l’American English, vengono insegnate “perché
si deve”, a causa del sillabo, o delle classi miste, con presenza di immigrati, ma anche per aiutare gli
332
Si veda la “Proposta Formativa” al cap. V.
160
studenti ad inserirsi meglio nel modo del lavoro. Il primo gruppo nota uno scollamento maggiore fra
l’inglese che si insegna a scuola e quello del contesto reale (n.11). Per quanto riguarda gli obiettivi
nell’insegnamento linguistico (n.15), il primo gruppo risponde in maniera piuttosto varia (solamente
due candidati affermano che l’obiettivo principale sia quello di “preparare gli studenti al mondo del
lavoro” (una voce che si ipotizzava avrebbe potuto riscuotere maggiore successo, per lo meno fra
gli insegnanti più giovani). La totalità dei candidati del secondo gruppo pone al primo posto la
seguente ragione: “fornire le basi per una comunicazione internazionale”. Per quanto concerne il
quesito 17, ‘Sente la necessità di rivedere il curricolo di inglese?’, la totalità dei candidati
selezionati risponde “sì”. Per quanto riguarda la selezione degli aspetti particolari da revisionare a
tale riguardo, le risposte sono varie. Si nota uno scollamento per quanto concerne la voce
‘prevedere il CLIL’, poiché viene selezionato dal 50% del primo gruppo contro il 20% del secondo.
Nessuno, salvo un caso in entrambi i gruppi, ha mai frequentato un corso sulle varietà dell’inglese
(n.18).
In merito al quesito sulle indicazioni europee per l’educazione plurilingue (n.19), meno di 1/3
(appena il 31%) degli informanti appartenenti al primo gruppo ne è a conoscenza, in confronto al
78% del secondo gruppo. Tuttavia, salvo un caso, anche gli insegnanti del secondo gruppo
mostrano o affermano di conoscere poco tali documenti (a parte il CEFR e le direttive di Lisbona).
Varie sono invece le risposte di entrambi i gruppi al quesito 20.
La richiesta ‘Ritiene utile istituire un corso di formazione iniziale e/o in servizio sulle varietà
dell’inglese e sull’inglese internazionale?’ incontra il 100% di risposte affermative da parte del
primo gruppo, e un 67% da parte del secondo gruppo. Per quanto riguarda le ragioni delle risposte
negative, si avanzano affermazioni quali “la formazione si può fare da soli”, “a scuola non occorre
dare una competenza standard per ogni occasione” e “temo che esistano altre priorità legate alle
TIC”.
Varie le risposte al quesito 22, che riguarda le scelte eventuali da operate per articolare un percorso
formativo: anche in questo caso non si sono riscontrate grandi discrepanze fra i bisogni delle
‘giovani leve’ e degli insegnanti con più esperienza.
Il 56% degli insegnanti del primo gruppo segnala un indirizzo e-mail cui essere contattati e
aggiornati sugli eventuali sviluppi della ricerca, contro il 33% del secondo gruppo.
4.4 Riflessioni conclusive
Dall’analisi generale dei questionari è emerso un chiaro appello alla formazione, iniziale e in
itinere, da parte degli insegnanti di inglese di secondaria. Si percepisce un bisogno di cambiamento
sia a livello strutturale-organizzativo, sia curricolare-contenutistico, ma anche di approccio alle
lingue nell’insegnamento/apprendimento delle lingue a scuola.
Interessante notare come abbiano risposto all’appello anche tanti insegnanti cosiddetti ‘precari’
della scuola, nonché coloro che non sono ancora in possesso di abilitazione all’insegnamento nella
scuola pubblica. Questi, pur nella difficoltà di trovare una collocazione fissa in un istituto di
riferimento, desiderano comunque aggiornarsi e, di conseguenza, arricchire il proprio curricolo in
merito alle tematiche loro proposte nel questionario. Anche gli insegnanti di ruolo, e soprattutto
coloro che, con parecchi anni di servizio possono vantare una discreta esperienza di didattica alle
161
spalle, hanno risposto positivamente agli impulsi ricevuti dall’indagine, dimostrando, salvo rari
casi, il bisogno e la voglia di aggiornarsi in servizio. Ciò conferma che l’età lavorativa non è
discriminante in termini di interesse o meno alla propria formazione/aggiornamento. Al contrario, si
testimonia il bisogno di educazione continua.
Le richieste di aggiornamento sono varie. Si riscontra la necessità di una formazione per insegnanti
che risulti adeguata e coerente con il periodo storico che stiamo vivendo, alla luce dei recenti
sviluppi a livello europeo, internazionale, ma anche italiano (con tutte le sue carenze) a livello
politico-decisionale, educativo, ma anche socio-culturale. Si evidenziano in generale lacune da parte
degli interessati in merito all’educazione plurilingue e ai documenti di riferimento all’interno dei
quali collocare il proprio percorso professionale, al fine di concorrere alla realizzazione degli ideali
linguistici promossi dall’UE. Tuttavia, gli stessi informanti non dimostrano interesse per un
approfondimento in tale direzione.
Dalla presente inchiesta emerge il desiderio di formazione soprattutto in merito alla questione
dell’inglese come lingua franca, come lingua di comunicazione internazionale, lingua veicolare di
tutti e di nessuno, soprattutto per i suoi risvolti a livello linguistico-identitario per la lingua-cultura
stessa e per i suoi soggetti parlanti. Siamo di fronte alla necessità per gli insegnanti di lingue, e in
particolare di inglese, di ripensare alla propria formazione anche alla luce dei recenti sviluppi dell’
ELF al fine di operare scelte ponderate nei curricoli scolastici:
“[…] awareness raising of ELF in teacher education programmes. This kind of opportunity
would enable pre- and in-service teachers to reflect at length on ELF and should, in turn,
prevent the kinds of knee-jerl reactions to it [...]the process needs to involve more than a basic
introduction to the notion of varieties of English” (Jenkins, 2007: 248).
Si riscontra altresì la necessità di far riflettere gli insegnanti in primis sulle proprie motivazioni e
rappresentazioni linguistiche-culturali, con l’obiettivo di porli nella condizione di saper, a loro
volta, stimolare atteggiamenti critici fra gli apprendenti, consapevoli e aperti alle lingue e culture,
proprie e altrui.
162
Capitolo V
Proposta formativa per insegnanti di inglese in prospettiva plurilingue
e interculturale.
5.1 Indicazioni per costruire un corso di formazione iniziale/in servizio per insegnanti di
inglese di scuola secondaria
5.1.1 La motivazione
La didattica delle lingue in Italia risulta oggi, salvo rare eccezioni, ancora fortemente
compartimentalizzata, fatta di insegnamenti monolingui, in cui il discorso interculturale non sembra
emergere, se non in via sperimentale e talvolta poco approfondita (cfr. Dodman, 2010). Si lamenta
peraltro una concezione dell’apprendimento linguistico che porta alla ribalta certe lingue, nonché
certi approcci didattici, a discapito di altri, considerati meno ‘utili’ dal punto di vista pratico:
“[...] concezioni dell’insegnamento linguistico sempre più utilitaristiche hanno portato a
sottovalutare, in anni recenti, i rapporti di potere fra lingue internazionali e lingue locali,
legittimando di conseguenza alcuni modelli linguistici a scapito di altri, nonché ad una forte
ineguaglianza a livello di prestigio culturale e di rappresentatività delle lingue e di conseguenza
dei suoi parlanti” (De Carlo, 2008: 2).
Si è dimostrato inoltre che, nonostante la lingua inglese sia la più studiata in Italia, (cfr.
Commissione Europea, 2007; Arachi, 2004), i rendimenti scolastici in tale disciplina siano nel
complesso piuttosto deludenti o comunque non proporzionati al monte ore dedicato a tale lingua.
Da quanto emerge da recenti studi in seno alle politiche linguistiche e alla lingua inglese in
particolare, e a seguito delle inchieste svolte fra gli insegnanti e gli studenti della scuola secondaria
di secondo grado333, si evince la necessità di un ripensamento della didattica delle lingue,
dell’inglese in particolare e, a monte, della formazione degli insegnanti di lingua in Italia. Per
quanto riguarda la didattica dall’inglese sono emerse grandi discrepanze fra l’immagine della
‘lingua e civiltà’ inglese offerta nei libri di testo e nei programmi scolastici e la lingua reale e
complessa che gli studenti si trovano a gestire una volta fuori dalla scuola. Si è optato pertanto per
una proposta formativa in cui si offrono spunti per l’insegnamento delle lingue e culture, a partire
da quelle in inglese, nella scuola secondaria334.
Si parlerà di educazione linguistica335 che non prevede una formazione dei docenti alla mera lingua
‘target’, ma ad un approccio critico di apprezzamento e dialogo fra lingue in generale, partendo dal
333
Si vedano i capp. III e IV.
Cfr. Allegato 3 per una sintesi programmatica del corso dal titolo “Percorso di formazione iniziale/in servizio per
insegnanti di inglese di scuola secondaria in prospettiva interculturale”, da proporre eventualmente a Dirigenti
Scolastici ed enti pubblici e privati interessati all’educazione linguistica e alla formazione degli insegnanti di lingue, di
inglese in particolare.
335
Si veda Costanzo (2003: 6) per il concetto di ‘educazione’ linguistica contrapposto a quello di ‘istruzione’.
334
163
proprio patrimonio linguistico-culturale e dalla propria disciplina, al fine di contribuire alla
creazione di genuini percorsi di plurilinguismo e interculturalità336.
Si coglie il suggerimento di Cognigni e Vecchi (2011) di una formazione che possa tener conto non
solo di saperi tecnici, ma anche di un atteggiamento di riflessione sulle e attraverso le lingue nella
propria professione, al fine di formare un docente ‘interculturale’ (si veda ibid: 3, cit. Kramsch,
2004: 44), attento al valore della diversità e pronto a gestire la pluralità linguistica e culturale (cfr.
Cavagnoli-Passarella, 2011; Jenkins, 2007 e 2010). Dodman auspica un cambiamento di
prospettiva, di superamento di atteggiamenti ‘etno-socio-ego-euro-antropo-centrici’ che potrebbero
persistere in approcci monolingui. Una reale competenza plurilingue e interculturale non deve
restare mera speculazione filosofica che si esaurisce in un corso di aggiornamento, bensì va sentita
da parte dei docenti come una necessità nei confronti di se stessi, della propria professione e in
primis degli studenti (cfr. Cognigni-Vecchi, 2011: 1). Si propone pertanto un approccio critico di
progressiva language awareness (CARAP, 2007: 8) su tematiche afferenti le rappresentazioni
linguistico-culturali e sugli ‘inglesi’, intesi sia come varietà linguistiche (new Englishes) sia come
parlanti non-nativi di lingua inglese, la quale lingua-cultura, però, appartiene, in qualche modo, al
loro patrimonio linguistico (si veda il par. ii dell’Introduzione). Tali questioni saranno inserite
indissolubilmente nel più ampio discorso dell’educazione alle lingue-culture oggi.
Per quanto riguarda la ‘questione inglese’ che si è venuta delineando in seguito al suo uso su scala
internazionale, possiamo prendere in prestito l’espressione “Quando una lingua dice più culture”
(Lévy, 2001: 62-73) per riferirci ad un “English Complex” (cfr. Mesthrie-Bhatt, 2008) fatto di
polivalenti rapporti al proprio interno e con le altre lingue-culture, tale per cui il tradizionale
binomio ‘lingua e civiltà’ inglese di matrice Anglo-Americana non rispecchia più la realtà attuale,
né a livello globale, né locale, né personale (cfr. Graddol, 2006; Kramsch-Lévy-Zarate, 2008). Da
qui la volontà di non parlare più di ‘inglese’, o di ‘EFL’, ma di ‘inglesi’ in contesto plurilingue. Si
cercherà di indagare e complessificare il discorso su questa lingua, nella sua estrema varietà e allo
stesso tempo nella sua veste di lingua franca, ricollocandola all’interno di un’educazione linguistica
di più ampio respiro, evitando ‘neo-auto-colonizzazioni’ sul modello dei cosiddetti ‘madrelingua’
inglesi (cfr. Jenkins, 2007).
La presente proposta non ha l’ambizione di imporsi come modello programmatico. Si tratta, al
contrario, di suggerimenti e approcci ‘apripista’ per la riflessione e l’azione didattica, che cercano di
ovviare ad una carenza di fatto di formazione iniziale e in itinere degli insegnanti su tali temi,
dovuta in parte ai lavori in corso nella nuova Riforma della scuola italiana (cfr. D.M. 249/2010).
Questo percorso è stato progettato come un’esperienza di ricerca-azione che vede coinvolti gli
insegnanti, gli alunni e la stessa ricercatrice. Esso prevede momenti per la riflessione, altri per
esercitazioni laboratoriali, altri ancora per la pratica didattica. Gli esiti andranno a riversarsi
nuovamente nella ricerca didattologica, per un miglioramento partecipato e continuativo nel tempo
tra scuola, università e istituzioni nella prospettiva di permettere agli insegnanti di ri-scoprirsi così
‘ricercAttori’ del proprio operato (cfr. Montuschi, 2005).
336
Per quanto riguarda i termini ‘multi’, ‘pluri’ ‘inter’ linguismo e culturalismo ci baseremo principalmente sulle
definizioni date da Cavagnoli e Passarella (2010).
164
5.1.2 La struttura
Si è cercato di sviluppare un profilo dinamico e professionale del nuovo docente di lingua, sia dal
punto di vista socio-affettivo sia professionale, per avvicinarsi all’idea di ‘European Language
Teacher’, una qualifica proposta a livello europeo (cfr. Kelly et al., 2002: 69-70). Si tratta di
professionisti mobili sia fisicamente che intellettualmente a livello internazionale, in grado di
gestire situazioni di plurilinguismo, di alterità culturale, che sanno offrire agli studenti, attraverso il
proprio esempio e la giusta preparazione, una reale competenza plurilingue e interculturale. La
formazione di insegnanti specializzati dovrà prevedere, con un andamento a clessidra, una fase di
confronto, seguita da momenti di focus sulla propria disciplina, per poi affinare e mettere
nuovamente a disposizione le proprie competenze nella fase di collaborazione con i colleghi,
sviluppando così una competenza interculturale e plurilingue più complessa e organica.
Per quanto riguarda le finalità del progetto, si è cercato di mantenere una certa continuità con le
direttive europee e con quei testi programmatici analizzati durante i lavori di ricerca (cfr. Graddol,
2006:91; Bernaus et al., 2007:16-18; Kramsch-Lévy-Zarate, 2008; Candelier et al., 2007; KellyGrenfell, 2004; Kelly et al., 2002), quando ritenuti coerenti con gli ideali posti alla base del presente
percorso dottorale. Si è tenuto conto anche della voce emersa dai questionari, in cui gli insegnanti
hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie esigenze, le proprie aspirazioni, e formulare
richieste. La proposta può essere così calibrata sui loro reali bisogni. Gli esiti di un tale corso si
prevedono sul breve-medio, ma anche sul lungo termine.
Sono state tenute particolarmente in considerazione, come risvolti inter e intra-personali, le variabili
‘motivazione’ e ‘curiosità’, nonché la volontà di rimettersi in gioco a livello personale e identitario.
Attraverso l’indagine delle proprie rappresentazioni linguistico-culturali e la riflessione sul proprio
percorso di insegnante di lingue, si auspica che il docente maturi una certa consapevolezza dei
propri atteggiamenti verso la lingua-cultura insegnata, verso il proprio patrimonio linguistico e
verso le lingue-culture altrui. Benhabib (2005) afferma che la diversità culturale, ancor prima che
linguistica, crea problemi, i quali vanno gestiti in maniera critica e storicizzata (ibid.: 23-24). È
dunque necessario rendere critici gli insegnanti di fronte alle scelte operate, anche in base a
politiche linguistiche non sempre e non necessariamente condivisibili. Gli insegnanti, in particolar
modo quelli di lingue e culture, devono essere consci del loro ruolo cruciale come educatori in
questo momento storico e delle sfide che ciò comporta a scuola, a livello locale e su scala
internazionale (cfr. Bernaus et al., 2007).
Si cercheranno di porre in relazione gli atteggiamenti degli insegnanti (cfr. Surian, 2010: 16) con
variabili afferibili alla loro condizione, al fine di notare eventuali influenze dal punto di vista
dell’anzianità di servizio, del corso di studi compiuto, del tipo di scuola in cui operano. Si
tenteranno di individuare anche eventuali nessi fra gli atteggiamenti e la pratica didattica degli
insegnanti, tenendo conto dell’asse “metodologico-organizzativo (le prassi e i documenti ufficiali)
sia quello simbolico culturale (opinioni, proiezioni, pregiudizi)” (ibid., 2011: 16). Infine si cercherà
di comprendere come tali rappresentazioni possano avere o meno ricadute sul loro operato.
Sul piano didattico-professionale, un punto di partenza efficace per parlare di competenza
interculturale è il quadro di riferimento proposto da Byram nel 1997, ripreso dallo stesso nel 2008 e
promosso dalla Commissione Europea, che prevede cinque ambiti di competenza interculturale (cfr.
Byram, 2008: 69 e 1997:34,73; De Carlo, 2008; Cognigni-Vecchi, 2011):
165
-il ‘sapere’, ovvero la conoscenza degli altri in società (savoir);
-il ‘saper ri-conoscere’ in maniera critica e consapevole se stessi, la propria cultura e quella altrui,
valutandone le relative politiche linguistiche (savoir s’engager);
-il ‘saper comprendere’, ovvero sviluppare le abilità di interpretazione e relazione (savoir
comprendre);
-l’abilità nella scoperta e/o interazione, nell’acquisire buone prassi e metterle in pratica (savoir
apprendre/faire)”;
-infine il saper essere (savoir être), ovvero sviluppare un atteggiamento di curiosità e apertura verso
i valori e i comportamenti altrui, relativizzando il proprio.
L’obiettivo finale non sarà l’accumulo di conoscenze contenutistiche, o di competenze tecniche utili
per l’esecuzione di attività fini a se stesse, o a una lista di ‘so fare’, ‘non so ancora fare’. La
competenza comunicativa, ovvero ‘l’esecuzione’ (cfr. Ciliberti: 1997: 134) è tanto importante
quanto la competenza metalinguistica:
“Altra competenza molto importante se i discenti non vogliono limitarsi ad una produzione
‘pidginizzata’ limitata, approssimativa nel momento in cui i discorsi si fanno più complessi.
Dunque spiegare il perché di certe costruzioni, espressioni, i valori sottostanti culturalmente, le
espressioni maggiormente usate, [...] è visto come momento fondamentale nell’insegnamento
apprendimento” (ibid.: 136).
L’insegnante dovrebbe inoltre essere in grado di “produrre soluzioni e materiali didattici puntuali e
allo stesso tempo estendibili ad altre situazioni”(Lévy, 2001: 62). Oltre a fornire chiavi di lettura
alternative e suggerire esercitazioni in visione di una flessibilità maggiore come professionisti in
percorsi intra-interdisciplinari e transdisciplinari, saranno date indicazioni per la ricerca individuale
e autonoma.
I laboratori prevedranno momenti di progettazione e di realizzazione di percorsi in comune con altri
colleghi di inglese, ma anche di altre lingue e discipline, affinché la didattica integrata e la
collaborazione fra insegnanti, punto cardine dell’educazione plurilingue, non resti una parola priva
di contenuto (cfr. Curci, 2005: 8).
5.2 Finalità, obiettivi specifici e risultati attesi del progetto formativo
Di seguito si esaminano i traguardi che ci auguriamo di raggiungere attraverso questo percorso. Tali
obiettivi sono stati suddivisi per motivi di praticità e di facile consultazione in ‘finalità’, ‘obiettivi
specifici’, ‘risvolti pratici’ e ‘risvolti per la didattica’. I risvolti pratici sono inseriti fra gli obiettivi
in virtù del fatto che tale percorso è sentito come una ricerca-azione, che prevede dunque un
outcome in certo modo pratico, nonché un riversarsi della ricerca nella pratica didattica, pur se con
tentativi inizialmente passibili di imprecisioni da ambo le parti.
Le ‘finalità’ sono da ritenere come un contributo più generale e trasversale all’educazione
plurilingue-interculturale attraverso la formazione degli insegnanti di lingue. Tali esiti sono
riscontrabili sul lungo termine, ma è comunque fondamentale elicitarli allo scopo di segnare, come
dei fari, la rotta per progetti futuri.
166
Gli ‘obiettivi specifici’ sono quelle mete raggiungibili sul medio termine, che riguardano più da
vicino gli insegnanti di lingue, in particolare quelli di inglese. Si riferiscono ai contenuti che essi
andranno a veicolare, e alla lingua-cultura inglese in particolare che si trovano a gestire all’interno
del proprio sillabo.
Per ‘risvolti pratici’ si intendono i prodotti elaborati durante le esercitazioni, i laboratori, o in
seguito a lavori di gruppo, sperimentazioni in classe, o più semplicemente emersi in seguito a
riflessioni personali. Pur essendo obiettivi a breve termine, con feedback immediato, hanno
anch’essi lo scopo di gettare le basi per un futuro esercizio costante di azione progettuale e di
riflessione sul proprio operato attraverso portfolii, diari, etc.
Infine i ‘risvolti per la didattica’: si tratta nuovamente di proiezioni per il futuro, dal momento che
vengono ipotizzati alcuni obiettivi relativi alla futura pratica didattica post-corso di formazione. Pur
se il focus dell’attenzione è rivolto agli insegnanti, non si possono perdere di vista gli apprendenti,
coloro che beneficeranno della formazione dei loro insegnanti in tale prospettiva. Si nota come
molte delle attività proposte agli insegnanti durante il corso − come ad esempio i lavori sulle
proprie rappresentazioni linguistico-culturali, sul proprio patrimonio linguistico, o ancora sulle
impressioni in merito alla questione dell’inglese − potranno poi, con i dovuti accorgimenti, essere
ricalibrate e proposte agli studenti.
Le finalità che il progetto si propone sono:
-evidenziare l’aspetto personale e umano nella professione di insegnanti di lingue,
valorizzandone il patrimonio linguistico-culturale, comprese le competenze parziali, sfatando il
mito della competenza globale nella sola lingua-cultura insegnata curricularmente;
-far ripensare il proprio percorso in prospettiva di una educazione plurilingue e
interculturale;
-formare figure professionali flessibili, che siano in grado di collaborare con i colleghi di altre
lingue, di disciplina, o con agenzie esterne, le quali condividano gli stessi obiettivi e siano
interessate a percorsi di plurilinguismo;
-educare ad un approccio interculturale e critico alle lingue: gli insegnanti devono essere consci e
supportare le ragioni per cui va sviluppata una competenza plurilingue e interculturale (Bernaus et
al., 2007: 15), mostrando e trasmettendo ai propri studenti il valore delle lingue-culture in generale
in una società democratica;
-stimolare a essere ricercAttori del proprio operato (cfr. Montuschi, 2005: 4), ovvero essere
coinvolti o proporre una ricerca-azione attiva, partecipata, responsabile, autonoma;
-promovere l’imperativo del lifelong learning, ovvero la necessità per gli insegnanti, come per tutte
le figure professionali, di un apprendimento lungo l’arco della vita lavorativa e personale;
-riabilitare la scuola come spazio cruciale per l’educazione e lo sviluppo degli alunni.
167
Gli obiettivi specifici che il progetto si propone sono:
-portare gli insegnanti a conoscenza dei principali documenti programmatici e delle
raccomandazioni in merito all’educazione linguistica337, ma anche fornire loro gli strumenti per
ricercare informazioni in maniera autonoma e critica, riconoscendo quali politiche potrebbero
celarsi dietro scelte che riguardano le lingue e le culture;
-rendere critici nelle scelte curricolari, ripensandole anche in base alle programmazioni dei
colleghi, al fine di operare scelte trans-curricolari ponderate;
-sviluppare competenze trasversali e adattabili alle varie lingue-culture;
-incentivare il lavoro di squadra con i colleghi di lingue e di disciplina;
-far riflettere sulle proprie e altrui rappresentazioni linguistico-culturali;
-rimettere in discussione, approfondire, allargare gli orizzonti della didattica delle lingue-culture in
inglese complessificando il discorso sugli ‘inglesi’, con particolare attenzione verso l’inglese come
lingua franca, con le sue implicazioni a livello identitario, sociale e individuale. Focus di
contenuto: i ‘nuovi inglesi’, come varietà linguistiche e come persone, e il contraccolpo personale
dell'evento globale338;
-mostrare approcci alternativi alla disciplina e promuovere l’analisi di conflitti e differenze fra
culture339;
-ripensare la valutazione linguistica in base ai reali obiettivi prefissati;
-dare tempo, ovvero dare la possibilità agli insegnanti in formazione iniziale, ma anche in itinere,
di ripensare a cosa riproporre e a cosa modificare nelle proprie scelte curricolari, poco alla volta, di
fronte ad un disciplina sempre più complessa.
I risvolti pratici che il progetto si propone sono:
-redigere un portfolio personale, contenente la propria biografia linguistica sia privata che
professionale (cfr. PEFIL);
-sperimentare nuovi percorsi laboratoriali inter e transdisciplinari di didattica, di
approfondimento su certe tematiche − inerenti ad esempio le lingue e l’identità, le varietà
linguistiche, i parlanti nativi e non-nativi, gli obiettivi e la valutazione, le riflessioni sul CLIL in
Italia oggi − o lezioni di educazione linguistica;
-provare a costruire o anche a ‘riciclare’340, ovvero ri/adattare i contenuti curricolari di inglese
alla luce degli input ricevuti durante il corso di formazione e alle direttive europee in merito
all’educazione plurilingue341;
-‘prendere in carico’ le rappresentazioni e gli atteggiamenti verso le lingue-culture, proprie e
altrui, al fine di promuovere e incentivare atteggiamenti interculturali;
337
Ad esempio i documenti CEFR, Profile, CARAP, PEFIL, ma anche iniziative quali il CLIL, i partenariati scolastici, i
progetti linguistici, etc.
338
Ovviamente questo è un campo molto vasto, che si presta a futuri approfondimenti.
339
Si veda anche Melucci A. Culture in gioco. Differenze per convivere, il Saggiatore, Milano, 2000: 121-123
340
Il termine riciclare' è legato all’idea negativa di riutilizzo di espedienti e materiali vecchi per mancanza di volontà di
rinnovarsi. A livello ecologico, però, ha un’accezione positiva, perché allude all’imperativo che nulla si butta via, ma
tutto si trasforma. Riciclare in questo contesto significa pertanto riprendere in mano il proprio background personale e
professionale e studiare come adattarlo alle nuove necessità. Significa non fare tabula rasa di quanto fatto in
precedenza, un’idea che, al contrario, potrebbe bloccare soprattutto per quegli insegnanti che vantano molti anni di
esperienza nel settore educativo.
341
Graddol propone una interessante tabella di obiettivi per l’ ‘English for Young Learners’ e ‘English as a Global
Language’, diversificati rispetto al tradizonale EFL (Graddol, 2006: 91)
168
-diffondere i risultati e le buone pratiche fra colleghi e in rete.
I risvolti che il progetto si propone per la didattica sono:
-adottare un approccio interculturale e inter/transdisciplinare ai contenuti;
-stimolare negli studenti la curiosità e la motivazione allo studio delle lingue-culture, sollecitando
la sensibilità alla varietà linguistica e alla ricerca di confronto fra lingue, e all’interno della stessa
lingua inglese, come momenti positivi di arricchimento e crescita;
-sfruttare pre-giudizi, stereotipi e rappresentazioni, per mostrarne i punti di forza e di debolezza;
-sviluppare e valorizzare le competenze parziali proprie e degli apprendenti, supportando
l’iniziativa del portfolio delle lingue;
-valorizzare strategie di apprendimento, di interazione e procedure atte a condurre una
comunicazione efficace (cfr. Andrade-Araújo-Sá, 2001; Coste-Moore-Zarate, 1997; Lüdi-Py, 1995;
Bernaus et al., 2007: 15), alternati a momenti di riflessione metalinguistica;
-far comprendere il valore delle altre culture e sensibilizzare ad un approccio critico verso le scelte
linguistiche: “Students do not have to await graduation to become aware” (Byram, 2008: 151);
-incentivare una mentalità interculturale, consolidando il senso di cittadinanza in una comunità
allargata, combattendo discriminazioni ed esclusione sociale, veicolando con onestà e responsabilità
messaggi per aiutare gli studenti a crescere umanamente e democraticamente;
-collaborare coi colleghi di lingue, ma anche di disciplina, a progetti di educazione linguistica;
-aiutare gli studenti a proseguire autonomamente nell’apprendimento linguistico.
5.3. Destinatari e caratteristiche generali del corso
-i destinatari:
I destinatari del corso sono gli insegnanti di lingue, in particolare quelli di inglese di scuola
secondaria di secondo grado, in formazione iniziale o in servizio. Ciò non toglie che possano
partecipare anche quegli insegnanti non ancora in possesso di abilitazione, ma che operano presso
istituzioni educative o scuole private. Tale percorso può risultare interessante anche per gli altri
docenti di lingue e di disciplina interessati all’educazione plurilingue e alle tematiche qui proposte.
I destinatari indiretti del corso, invece, saranno gli apprendenti, in particolare di secondaria di
secondo grado, ma, a scalare, di tutti gli ordini di scuola.
Il contesto di lavoro su cui si riverseranno gli effetti di questo corso è, dunque, in primis, la scuola.
Come considerato nei capitoli precedenti, la scuola non è più la sola istituzione educativa operante
oggi. Tuttavia non le si può negare il ruolo ancora centrale − purtroppo talvolta in maniera negativa
– che ricopre nella vita degli apprendenti, nel nostro caso in età adolescenziale (cfr. cap. III e
Nicolini, 1999). Pertanto si è ritenuto opportuno investire in questo ambito.
Si sono chiamati in causa proprio gli insegnanti perché si è notato come questi possano giocare un
ruolo cruciale nell’educazione non solo linguistica, ma alla cittadinanza democratica (cfr.
Castellotti-Byram, 2006: 151), trovandosi in una posizione privilegiata, vicini ai bisogni di grandi
fasce di popolazione ancora giovane e in formazione. E gli insegnanti di lingue, gestendo una
materia che si presta al confronto, alla problematizzazione, alla comunicazione, alla negoziazione, a
maggior ragione possono fungere da mediatori linguistico-culturali. Essi possono, attraverso la loro
169
testimonianza, veicolare messaggi e buone pratiche, creando ponti fra gli insegnamenti curricolari e
la realtà che circonda gli apprendenti.
È altresì necessario colmare il vuoto che si è venuto a creare nella formazione dei docenti,
effettuando un passaggio graduale da quelli che erano i corsi di specializzazione all’insegnamento –
al momento sospesi, ma previsti per il futuro prossimo dalla nuova riforma della scuola – in
direzione di una formazione plurilingue e interculturale.
La ragione che spinge a rivolgersi a docenti di scuola superiore è dovuta principalmente alla portata
dei contenuti piuttosto complessi e di approfondimento rispetto alle programmazioni di scuola
primaria e secondaria di primo grado. Tuttavia, non si esclude che gli effetti di un tale percorso
risultino parimenti efficaci e utili per insegnanti di altri ordini di scuola, anche solo a livello di
riflessione e aggiornamento personale e professionale.
Il motivo del focus sui docenti di lingua inglese è dovuto ad una emergenza pratica, ovvero alle
pressioni da parte delle nuove normative per il potenziamento linguistico, per il CLIL nelle classi
finali degli istituti di secondaria, ma anche per tutti quei progetti che prevedono l’utilizzo
dell’inglese e che troppo spesso mirano solo ad una competenza tecnico-pratica in questa lingua. È
emerso, inoltre, che i programmi di inglese necessitano di aggiornamento al fine di garantire una
profondità e una freschezza di approcci e contenuti vicine al contesto attuale (cfr. par. 4.4).
Il numero dei partecipanti al corso non potrà superare le 20 unità, per ovvie ragioni di gestione degli
spazi, dei tempi e delle risorse a disposizione, nonché per seguire in maniera più capillare i lavori
all’interno dei laboratori. L’obiettivo non è quello di offrire lezioni plenarie unidirezionali – qualche
lezione frontale è prevista, ma non è l’obiettivo del corso – quanto di creare uno spazio per il
confronto e la collaborazione con gli insegnanti, nonché il tutoraggio in presenza e online.
Il percorso proposto prevede anche la collaborazione con i colleghi di altre discipline, nonché con le
aziende formative esterne alla scuola. Questo si vuole inserire all’interno di un discorso di
informazione, riflessione e sensibilizzazione all’apprendimento linguistico, al fine di non
compartimentalizzare nuovamente l’insegnamento ‘monolingue’ dell’inglese rispetto al resto dei
curricoli scolastici.
-tempi e luoghi
Gli spazi in cui si può svolgere il corso possono essere i più vari, a seconda della disponibilità che
istituti, università ed enti vorranno dare. Luoghi idonei potrebbero essere l’aula magna o le aule
delle scuole secondarie, aule appartenenti agli atenei, sale conferenze, etc. E’ importante che siano
luoghi forniti di proiettore, lavagna (normale o LIM), tavoli, mobili di utilizzo didattico, sedie, che
possano ospitare almeno 20 persone e che prevedano la possibilità di svolgere lavori di gruppo.
Anche per quanto riguarda il periodo dell’anno in cui svolgere tale attività, non ci sono indicazioni
precise in merito. Dipende dalla disponibilità oraria dei partecipanti. Sicuramente saranno favoriti i
periodi invernale e primaverile, al pomeriggio, al fine di non interferire negativamente sull’attività
didattica. Si tratterà di 5 fasi della durata di 3 ore ciascuna, per un totale di 15 ore in presenza, più
un monte ore di lavoro individuale da casa o a scuola, per la preparazione e la sperimentazione di
materiali, che stabilirà ciascun partecipante in base alla propria disponibilità.
Tale percorso può essere concepito come corso a se stante, inserito nell’offerta formativa per
l’aggiornamento degli insegnanti all’interno del POF delle scuole, o a progetti di sperimentazione,
ad esempio come preparazione per gli insegnanti di lingue a supporto dei docenti di disciplina che si
170
cimenteranno con il CLIL. Si può proporre anche all’interno dell’offerta formativa degli atenei
universitari o di progetti più ampi di educazione linguistica e di formazione, legato a cicli di
conferenze presso associazioni private o pubbliche.
-metodo di lavoro:
Come illustrato nell’Introduzione, la ricerca-azione è risultata la metodologia che più si adatta alle
finalità proposte da tale progetto. Si passa qui da una fase di ricerca e studio, iniziata tre anni fa
dalla ricercatrice − la quale ne ha estrapolato gli esiti fondamentali e pertinenti al percorso −
all’azione, ovvero alla sperimentazione sul campo d’indagine. Si prevede un ritorno alla ricerca, con
un andamento a spirale, al fine di non considerare conclusa la ‘missione’ una volta raggiunti gli
obiettivi prestabiliti, quanto piuttosto di ottenere qualche risultato e altri postulati, e rimettersi
nuovamente in gioco.
Si cercherà, in qualche occasione, di proporre i contenuti in forma di loop input (Woodward, 2003)
un approccio attraverso il quale i contenuti e il processo coincidono, al fine di fornire esempi
concreti di buone pratiche in classe342.
E’ previsto lo svolgimento di alcune attività in lingua inglese. I documenti e i materiali saranno
principalmente in lingua italiana o inglese per ragioni pratiche, nonché di coerenza con i contenuti.
Ciò non toglie che vengano operati confronti e collegamenti a fonti e dati in altre lingue, in
particolare per quanto riguarda la riflessione sui documenti europei e il plurilinguismo, ma anche in
quei laboratori in cui si ipotizzano percorsi integrati con i colleghi di altre discipline.
-la posizione della ricercatrice:
La sottoscritta non si presenterà come una docente-formatrice, quanto come una collega con cui
confrontarsi, e la quale a sua volta può imparare dall’esperienza e dalla condivisione con colleghe e
colleghi.
La ricercatrice cercherà di gestire l’attenzione dei partecipanti in quelle situazioni di plenum e di
lezione frontale, mentre si collocherà come tutor d’aula e osservatrice nei momenti di laboratorio.
Condurrà una osservazione “partecipata e riflettuta” (cfr. la posizione dell’ ‘amica critica’ in
Cavagnoli-Passarella, 2011: 156) al fine di monitorare i lavori e mostrare eventuali mancanze, ma
anche carpire quegli elementi che possono risultare utili all’interno del corso e nei corsi successivi e
riversando tali osservazioni nuovamente nella ricerca didattologica. Dovrà osservare sia
l’andamento del gruppo, sia dei singoli, cercando di valorizzare, per quanto possibile, le singole
esperienze e analizzandone gli atteggiamenti. Compilerà schede di riflessione in forma narrativa o
sintetica, offrendo reazioni alle attività, ma anche invitando i partecipanti a fare altrettanto. Fornirà
altresì un breve feedback di reazione alla fine di ogni lezione e a fine corso.
Le attività da casa e da scuola saranno monitorate in itinere, fornendo anche in questo caso un
resoconto in presenza o online. Taluni accorgimenti saranno resi pubblici in classe o tramite un
blog/forum, al fine di mettere in comune le esperienze e mantenerne una traccia anche in futuro.
Successi e aspetti problematici verranno documentati e diffusi al termine del corso (cfr. Patriarca:
15).
342
Il termine loop input fu coniato nel 1986. E’ una forma specifica di apprendimento esperienziale, in cui lo stesso
contenuto parla del modo in cui ciò va fatto, facendo coincidere la spiegazione e l’esperienza di un contenuto con il
contenuto stesso. Molto utile rimane l’apprendimento esperienziale, ovvero ricerare durante il corso di formazione
pseudo-lezioni/situazioni didattiche, al fine di esercitarsi per la futura pratica in classe.
171
-descrizione del corso:
Il piano di lavoro che segue va inteso come un quadro di riferimento, fatto di indicazioni, esempi e
spunti utili al fine di illustrare l’andamento di massima del corso. Si tratta di una proposta, che, per
quanto realistica, andrà adattata alle esigenze particolari dei partecipanti nel contesto reale.
La scansione delle attività andrà per fasi. Ciascuna fase cerca di abbracciare una tematica
particolare, ma tutte le tappe sono intersecate fra loro, nonché ancorate alle pre-conoscenze e al
tessuto attuale in cui operano i partecipanti. Sono previste fasi bilingui, che alternano lezioni in
inglese a lezioni in italiano, a seconda della pertinenza con la tematica trattata (si veda di seguito la
descrizione delle singole fasi).
Per quanto riguarda gli strumenti, si farà uso delle TIC (computer, in particolare programmi Word,
PPT, Excel, nonché supporti come la LIM343 e la lavagna luminosa).
I materiali di supporto utilizzati saranno: questionari, tabelle, mappe mentali, immagini, fotografie,
libri e documenti cartacei e sitografici, articoli di giornale e web, dizionari, realia e materiale che si
possa riciclare da scuola. Si farà largo uso di giornali e documenti tratti dal web, perché sono facili
da reperire, in un formato snello e conosciuto a tutti, attuali, riadattabili e vi si possono operare
confronti di contenuto e di stile su una stessa notizia, attraverso punti di vista locali e internazionali
(cfr. Görlach 1995: 65-66). Si auspica che i materiali autentici, essendo estrapolati dal contesto
originale, non diventino un mero esercizio grammaticale, ma siano funzionali ad una riflessione più
ampia che tenga in considerazione i parlanti in generale, gestendo e simbolizzando i conflitti come
risorse, ragionando sul perché di determinate scelte espressive (cfr. Lévy, 2007: 99).
Tutti i materiali prodotti tramite LIM, PPT, lavori da casa, saranno resi disponibili al termine delle
lezioni per coloro che lo desiderano e a fini documentativi.
Si alterneranno momenti di lezione in plenum ad altri di lavoro in coppia e di gruppo, tutorati e
monitorati. Si richiederà – quando possibile − un impegno ulteriore, esterno al corso ma funzionale
ad esso, di sperimentazione durante le ore curricolari di quanto teorizzato al corso. Si prevede un
test formativo in entrata e una verifica formativa in uscita.
343
L’acronimo LIM sta per ‘Lavagna Interattiva Multimediale’, un supporto tecnologico importante per la didattica, dal
momento che tale lavagna permette di scrivere, gestire immagini, riprodurre file video, consultare risorse web, salvare i
lavori prodotti su tale superficie, nonché condividerli, riutilizzarli. E’ un supporto utile sia per lezioni frontali che per
quelle interattive, cooperative.
Si veda il link: http://www.innovascuola.gov.it/ alla voce ‘didattica digitale’.
172
5.4 Le fasi di lavoro del progetto
Di seguito si propone la descrizione dettagliata delle varie fasi di lavoro:
Fase I: Dal monolinguismo nazionale al monoplurilinguismo europeo: i documenti di
riferimento per l’educazione plurilingue e per l’insegnamento dell’inglese in Italia
La ragione per cui si aprono i lavori con la documentazione relativa all’educazione linguistica in
Europa e in Italia è dovuto al fatto che tali documenti sono ritenuti un fondamentale punto di
partenza per la riflessione didattologica e per costruire solide basi che mirino ad obiettivi elevati e
lungimiranti quali il plurilinguismo e l’interculturalità che accomunano tutti i paesi europei. Si
cercherà in particolare di fare lo stato dell’arte sulla didattica dell’inglese e sulla situazione italiana,
in modo tale da sviluppare un approccio critico alla propria professione e alle politiche linguistiche
che eventualmente guidano le scelte didattiche. Si è notato, attraverso la seconda indagine della
presente ricerca, come la maggior parte degli insegnanti, di fatto, abbia conoscenze lacunose o
confuse a riguardo. Si mira a sensibilizzare sui punti di forza e quelli di debolezza dei vari
documenti e quaderni scelti per l’occasione, riflettendo su tematiche attuali quali lo statuto delle
lingue, il potenziamento linguistico, l’insegnamento CLIL, la valutazione della competenza
plurilingue, l’integrazione e l’educazione alla cittadinanza attraverso le lingue-culture. Verranno
altresì forniti quadri di riferimento pratici cui rifarsi anche in seguito. Si costituirà uno “European
Benchmark” di riferimento (Kelly et al., 2002: 60), lavorando sull’approccio critico alla professione
e alle lingue e sul lavoro di squadra.
Step 1: (plenum-15 min. c.ca) viene introdotto il discorso sulle politiche linguistiche e sull’inglese
oggi. Per timolare la curiosità e la motivazione, ma anche per verificare la situazione di partenza,
viene proiettato un brainstorming illustrato (PPT) (sotto forma di loop input. Si veda a tal riguardo
Woodward, 2003), in cui immagini evocative e grafici mostrano la diffusione dell’inglese oggi nel
mondo. Sarà richiesto di commentarle, con l’ausilio di dati sul plurilinguismo in Europa. Di seguito
vengono letti commenti di esaltazione o di critica della lingua inglese rispetto ai quali i docenti sono
inviatati a prendere posizione (si vedano ad esempio le citazioni estrapolate nel par. 2.3.1 della
presente tesi). Vengono spiegate le ragioni di un tale brainstorming.
Step 2: (plenum-15 min. c.ca) vengono illustrate in sintesi le tematiche e le finalità dell’intero
corso e della fase I nel particolare.
Si mostrano (LIM o PPT) le tabelle con i dati relativi alle pre-conoscenze di alunni e insegnanti
nelle indagini svolte, evidenziando dati eclatanti circa le conoscenze, spesso lacunose e confuse, in
merito alle questioni appena menzionate. Si passerà ad accertare qualche pre-conoscenza
fondamentale riguardante i principali documenti da analizzare, a livello di contenuti e di esperienze
pregresse.
173
Step 3: (plenum e gruppi-2 h) vengono illustrati i principali documenti funzionali al corso (CARAP,
Profile, PEFIL, CEFR), e alcune ricerche programmatiche344, partendo dalle Dieci Tesi per
l'educazione linguistica democratica di Tullio De Mauro (1993) e da “Language Education
(Educazione Linguistica) in Italy: an Experience that could benefit Europe?: Guide for the
development of Language education policies in Europe: from linguistic diversity to plurilingual
education-Reference study”di Edvige Costanzo (2003).
Sarà richiesto agli insegnanti di formare gruppi da 4-5 persone, scegliere uno dei documenti forniti
in classe dall’insegnante e cercare di estrapolarne i contenuti fondamentali, con i punti di forza e di
debolezza, riguardanti l’educazione linguistica e rintracciando in particolare quei passaggi
riguardanti o afferenti l’insegnamento/apprendimento dell’inglese.
Domande guida: cosa cambiare e cosa mantenere nel curricolo di inglese “LS” a scuola? Quali
finalità per l’educazione linguistica in alternativa agli insegnamenti monolingui? Quali le eventuali
emergenze per la ‘questione inglese’?
Step 4 (plenum-30 min. c.ca): vengono mostrati (Lavagna Luminosa) e commentati i risultati dello
step 3, prestando attenzione a definizioni quali: plurilinguismo, multilinguismo, L1, lingua madre,
lingua nazionale, competenza etc. (rifacendosi soprattutto a Cavagnoli-Passarella 2011; CastellottiMoore, 2009; Glossario del Profile; CEFR).
Verranno forniti link di riferimento per l’autoaggiornamento (si veda la bibliografia ragionata alle
voci “Politiche Linguistiche”, “Educazione Plurilingue e Interculturale”, “Formazione insegnanti di
lingue”, “Siti di consultazione: documenti europei”).
Proposta di Lavoro: (per insegnanti di inglese, estendibile anche a quelli di altre lingue) Autoriflessione attraverso le autobiografie linguistiche. Viene chiesto di redigere (in max. 3 cartelle) il
racconto della propria biografia linguistica, parlando in forma più o meno discorsiva del proprio
patrimonio linguistico-culturale, della propria carriera professionale, facendo emergere in
particolare la posizione dell’inglese345.
Domande guida: perché ha scelto di studiare tale lingua? E perché desidera insegnare proprio
questa? Avverte una crasi fra conoscenze linguistiche personali e pratica didattica?
Gli elaborati vanno inviati via e-mail alla ricercatrice-tutor d’aula, la quale fornirà a ciascun
partecipante un feedback personale.
Tale attività funge da auto-riflessione per gli insegnanti (in linea con le raccomandazioni sopra
analizzate, cfr. PEFIL et al.) ed è funzionale per la tutor d’aula al fine di conoscere meglio i
partecipanti, nonché per introdurre la fase II.
Viene inoltre chiesto ai corsisti di portare libri di testo e materiale di uso quotidiano per la didattica
in classe, riguardanti la ‘civiltà inglese’.
344
Si vedano a tal proposito: Byram, (1997 e 2008); Castellotti-Moore (2002); Kelly-Grenfell (2002 e 2004); Curci
(2005); Candelier (2007); MPI (2007); Bernaus et al. (2007); Cavalli-Coste (2009); Coste (2009); D.M. 249/2010;
Cavagnoli-Passarella (2011).
345
Si possono fornire tracce di riferimento per la redazione delle ‘biolings’.
174
Fase II: Le rappresentazioni linguistiche e la propria storia attraverso le lingue
Le rappresentazioni linguistico-culturali occupano una posizione centrale, a cominciare dalla
propria storia: “l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue straniere vengono per lo meno
influenzati dalla propria storia linguistica e dal racconto e dalla valutazione che ne fa ciascuno di
noi” (Lévy 2001: 71-72; cfr. Cognigni-Vecchi, 2011: 4). Si andrà a lavorare sulle proprie percezioni
della lingua inglese nel rapporto con le altre lingue, ma anche del proprio patrimonio linguistico e
delle ripercussioni nella pratica professionale (una sorta di applicazione del PEFIL, utile per
maturare competenze utili al fine di guidare, in un secondo momento, anche gli studenti nella
redazione del proprio Portfolio linguistico). Particolarmente utile questo passaggio perché
coinvolgerà in un secondo momento insegnanti e alunni con i loro repertori346.
Step 1: (individuale-30 min. c.ca) Si introduce la lezione commentando brevemente con un
feedback collettivo le biolings prodote online dai partecipanti (anche al fine di creare un raccordo
con la lezione precedente). Segue un brainstorming in cui viene richiesto di compilare un
questionario sulle proprie percezioni delle lingue, ricalcato, con opportuni tagli, sul modello del
questionario proposto agli studenti nell’indagine di ricerca (cfr. Allegato 1). Verrà poi commentato
(plenum) il questionario attraverso esempi (segnati alla lavagna luminosa o LIM o normale) forniti
dagli stessi insegnanti. Vengono mostrati (PPT) e commentati anche alcuni dati evocativi emersi dai
questionari dell’indagine precedente con gli studenti (attraverso tabelle, grafici o frasi suggestive),
cercando di indovinare quali potrebbero essere state le loro risposte, quando funzionale alla
riflessione. Viene altresì esplicitato l’intento di un tale questionario e il tema della II fase:
l’importanza delle rappresentazioni linguistico-culturali per insegnanti e apprendenti.
(Verrà specificato che il questionario dello step 1 è un’attività formativa di riflessione, strumento di
orientamento e non di valutazione sommativa)
Step 2: (plenum-30 min. c.ca) warm up: partire da alcuni ‘casi’, analizzando esempi di cliché,
stereotipi e pregiudizi legati all’inglese e alle altre lingue-culture in generale per giungere alla
spiegazione di cosa significhino i concetti di ‘rappresentazione linguistico-culturale’, ‘stereotipo’,
‘pregiudizio, ecc. (cfr. premessa al cap. III).
Step 3: (a coppie-30 min. c.ca) lavoro sui libri di testo di ‘civiltà straniera’ dei partecipanti: si
analizzano eventuali immagini dell’inglese, luoghi comuni, stereotipi, ecc. Domande guida: quale
inglese (varietà, funzione) viene veicolato? Quali i rapporti con le altre lingue-culture? Quale il
rapporto inglese-parlanti? Seguirà il commento in classe (plenum).
Step 4: (gruppi-1 ora e ½) a partire da alcuni esempi dati, si propone di costruire in piccoli gruppi
attività che potrebbero essere utili in classe, al fine di far emergere eventuali pregiudizi, motivare
allo studio delle lingue, indirizzare ad uno studio consapevole dell’inglese.
346
Il confronto si rivelerà particolarmente interessante e arricchente nei contesti di migrazione e ibridazione.
175
Proposta di Lavoro: (per insegnanti di inglese e alunni) provare a lavorare con le rappresentazioni
linguistico-culturali in classe, sperimentando le attività costruite durante lo step 4. Preparare un
resoconto dell’attività svolta in classe. Inviarla via e-mail alla tutor d’aula.
(Verranno forniti anche in questo caso riferimenti sitografici e bibliografici per l’approfondimento
individuale ).
In questa fase si chiede di raccogliere articoli di giornale e portare i libri di testo di didattica della
cultura inglese, ma anche di grammatica o di narrativa in inglese (storie in cui emerga il rapporto
dello scrittore con la lingua-cultura di scrittura adoperata). Tali materiali saranno utili per la fase III.
Fase III: Nuovi e Vecchi inglesi: Lost and found in transculturation
Questa fase mira alla complessificazione del discorso sull’inglese, tanto nelle sue varietà che come
lingua franca d’uso internazionale, e nei suoi rapporti con le altre lingue culture. Si analizzeranno i
limiti e le potenzialità per il curricolo di inglese a scuola: contenuti, status dell’inglese, ideologie
sottese, competenze previste, valutazione, nonché la difficoltà da parte del docente nel selezionare
materiali o nel rifarsi ad un modello di inglese multiplo e caleidoscopico piuttosto che al modello
considerato di ‘Received Pronunciation’ dei parlanti nativi. Questa fase prevede l’uso della lingua
inglese per alcuni step.
Step 1: Warm up (LIM-plenum-45 min. c.ca): viene visionato uno spezzone di film in lingua
originale (es. “Bend it like Beckham”), e/o viene letto ad alta voce, in lingua inglese, un passo di
narrativa (es. Hoffman, Lost in translation, 1989; Syal, Anita and Me, 1998) sull’ibridazione con
l’inglese (anche all’interno di quella che viene definita ‘la norma’, lo ‘standard’), che mostri, più o
meno esplicitamente, le ripercussioni a livello identitario per il soggetto ‘parlante’. Tale attività non
verrà commentata in modo strutturato, bensì attraverso attività di skimming (ovvero di scrematura a
grandi linee dei punti cruciali nel testo). Tale attività è funzionale per incuriosire e introdurre la
tematica ai partecipanti, che cominciano a riflettervi.
Segue un brainstorming (plenum-LIM): mappa concettuale sull’inglese, nelle sue varietà e funzioni:
Varietà/aree
geografiche
interessate
funzioni
ENGLISH-ES
...
Cause della
sua espansione
Figura 17: Ipotesi di mappa mentale per brasinstorming sulle varietà dell’inglese
176
La tutor d’aula guiderà i lavori, cercando di indirizzare gli insegnanti verso l’elicitazione delle
varietà dell’inglese conosciute, le etichette utilizzate per definirle, le cause per le quali si è espanso
così tanto, i contesti-funzioni d’uso dell’inglese oggi, il suo status e le aree geografiche in cui si usa.
Il discorso si può complessificare esplorando eventuali giudizi-pre-giudizi sottesi a riguardo, e le
questioni che ruotano attorno all’identità/identificazione dei suoi parlanti: chi sono gli ‘inglesi’
oggi? Qual è il grado di competenza da raggiungere (se esiste) tale per cui si può dire di ‘possedere’
la lingua? ecc. Si commenterà a questo punto anche quanto visto/ascoltato nel warm up.
Step 2: (plenum-30 min. c.ca) Verrà illustrata in lingua inglese la tematica dell’ ‘English Complex’,
delle varietà dell’inglese e la conseguente difficoltà nel classificare, ma anche nel gestire tanto
materiale in contesto scolastico. Si farà esercizio di conoscenza/riconoscimento di labels cruciali
quali ‘new englishes’, ‘RP’, ‘native speakers’, EIL, EFL, ELF, ecc. (si veda a tal riguardo il cap. II
della presente tesi, in particolare il paragrafo 2.3.1 ‘Labels and classifications’). Possono essere lette
anche le definizioni tratte dai dizionari, dai glossari, da libri di specialisti in materia quali ad
esempio Byram, Jenkins, Seidlhofer, Görlach, (si veda la Bibliografia Ragionata, in particolare alle
voci ‘Rappresentazioni delle lingue-culture e statuto dell’inglese’ e ‘Varietà dell’inglese’).
Step 3: (plenum-15 min. c.ca) viene stimolata una riflessione sulle motivazioni che spingono a
determinate scelte curricolari: perché faccio determinate scelte? Su cosa mi focalizzo? Gli studenti
sono soddisfatti, interessati?
Commento da parte della tutor d’aula sui lavori che i partecipanti le hanno inviato, afferenti la
scorsa fase.
Step 4: (in gruppi/coppie-1h e ½) analisi di brani (tratti da web, giornali, e da Jenkins (2007 e 2010,
ma anche portati dai partecipanti), nelle o sulle varietà dell’inglese, di letteratura post-coloniale,
casi di ibridazione, di traduzione o pagine di riflessione grammaticale sugli inglesi. Costruzione di
ipotesi di attività, moduli, unità di apprendimento, etc. fruibili in classe.
Visione e commenti in plenum in classe.
Proposta di lavoro: (per insegnanti di inglese) Completare, eventualmente, il lavoro iniziato in
classe e ricercare altri materiali utili per costruire tali attività, sia a livello di contenuto che
linguistico. Ricerca di: frasi ed espressioni ad alto potenziale semantico, parole composte (cfr.
Görlach, 1991), neologismi, calchi, frasi idiomatiche (nei loro contesti), significati, etimologia,
traduzione, seguendo due filoni principali: il rapporto dell’individuo con le lingue-culture in inglese
e il rapporto con le altre lingue. Può risultare utile, ai fini del riutilizzo e della condivisione dei
materiali, la costruzione di specchietti di riferimento per l’analisi dei passi visionati. Tali linee guida
possono vertere su aspetti più o meno teorici dell’argomento in questione, quali ad esempio la
motivazione per cui si è scelto quel brano, la presenza di determinati contenuti, il focus morfosintattico funzionale alla riflessione metalinguistica, i tempi, i modi di somministrazione e i
destinatari, nonché l’eventuale valutazione dell’ attività.
Il lavoro va spedito alla tutor d’aula, la quale provvederà, attraverso una mail collettiva, a rispedire i
lavori a tutti i partecipanti con commenti e riflessioni. In tale modo i materiali prodotti nonché il
feedback saranno accessibili a tutti.
177
Bibliografia di riferimento: in particolare Jenkins, 2007 e 2010 e il sito “Speechinaction”, ma
verranno anche indicati testi specifici reperibili dalla ‘Bibliografia Ragionata’ della presente ricerca
alla voce: ‘Rappresentazioni delle lingue-culture e statuto dell’inglese’; ‘Varietà dell’inglese’;
‘Didattica/didattologia delle lingue-culture’.
Fase IV: English as an international Lingua Franca
La quarta fase si focalizza su una tematica che interessa direttamente gli insegnanti di inglese, ma
può essere estesa a tutti gli insegnanti interessati a progetti, iniziative, che prevedono l’utilizzo di
una L2 per l’insegnamento curricolare o extra-curricolare (es. CLIL). Ci si focalizzerà in particolare
sulla varietà di inglese cosiddetta ELF o EIL, inglese come lingua franca o internazionale,
analizzandone le caratteristiche principali, nonché i pro e i contro a livello identitario dei parlanti e
le ripercussioni sul curricolo scolastico.
In questa fase è previsto l’utilizzo della lingua inglese alternata a quella italiana, al fine di mostrare
l’utilizzo dell’inglese come lingua d’uso internazionale da parte di non-nativi di lingua inglese.
Step. 1 (plenum-20 min. c.ca): Brainstorming con visione di immagini e articoli sull’ELF (English
as a Lingua Franca) che siano di forte impatto, al fine di attirare l’interesse dei partecipanti. Può
essere letto o somministrato il questionario costruito da Jenkins sulle percezioni dell’ EFL/ELF da
parte di insegnanti e apprendenti (Jenkins, 2007: 209).
Step. 2 (plenum-40 min. c.ca): si rifletterà in plenum sulle differenze che intercorrono fra
l’insegnamento/apprendimento dell’inglese come EFL rispetto a ELF.
Domande guida: cosa cambia a livello identitario? Quali i vantaggi e quali gli svantaggi a livello
personale e sociale? La lingua si impoverisce, si complica, si ibrida? Quali eventuali ripercussioni
sul curricolo scolastico? Si tratta di un out out o si può pensare un curricolo più inclusivo che le
comprenda entrambe? Commenti in plenum, oralmente, in lingua inglese. La tutor d’aula integrerà
con notizie relative allo stato dell’arte i merito a tali questioni, con particolare riferimento alle
ripercussioni sull’educazione linguistica.
Lettura e analisi (a coppie) di passi scelti dalla tutor (con domande di riflessione) tra cui:
-Jenkins (2007 e 2009) in particolare le sezioni C e D, riguardanti il dibattito attuale sui World
Englishes e le letture consigliate e guidate a riguardo347.
-Seidlhofer (2003: 10): domande emerse durante la conferenza “Languages, Diversity, Citizenship:
Policies for Plurilingualism in Europe” organizzata dalla Language Policy Division (Strasbourg, 1315 November 2002) che ruotano attorno ai concetti di ELF, EFL, ELT.
347
Molto utile il testo World Englishes di Jenkins (2009), dal momento che può essere letto in maniera ‘verticale’
ovvero ‘sintagmatica’, cronologica, oppure ‘orizzontale’ cioè paradigmatica, per argomenti, andando a selezionare per
ciascuna sezione l’aspetto legato ad una certa tematica.
178
-European Commission Directorate-General for Translation, “Lingua Franca: Chimera or Reality?”
(1/2011), in particolare le interviste a studiosi delle varietà dell’inglese e dell’ELF in appendice al
documento (alla voce ‘Attachments’) .
-Graddol, English Next-Why global English may mean the end of ‘English as a Foreign Language’
(2006), offre molti spunti di riflessione e contiene molte frasi, sintesi e tabelle facilmente fruibili in
tempi stretti.
-VOICE (Seidlhofer, 2011): un corpus interessante, disponibile gratuitamente anche in rete,
contenente corpora di parole appartenenti all’ELF.
Step 3 (gruppi-2 h.): viene richiesto ai partecipanti di costruire un percorso didattico (modulo,
progetto, U.A., ecc.) incentrato su uno degli argomenti trattati: educazione al plurilinguismo, varietà
dell’inglese, inglese come lingua franca, lavoro sulle percezioni linguistiche nella classe plurilingue
con presenza di alunni provenienti dalla migrazione, biografia linguistica o progetti quali il CLIL e
il ruolo delle lingue-culture. I percorsi vanno pensati come inter e transdisciplinari, prevedendo
l’eventuale coinvolgimento di insegnanti di altre lingue, nonché di altre discipline.
Griglia di riferimento per la costruzione di un percorso didattico:
Pro memoria:
FASE INTORDUTTIVA
-persone coinvolte
-brainstorming
-attività di language awareness sulle -discipline coinvolte
-tempi e luoghi
pre-conoscenze degli studenti
-strumenti
-illustrazine del percorso
-materiali impiegati
-obiettivi e finalità
FASE CENTRALE
-attività individuali, di gruppo e in -parole chiave
-eventuali problematiche
plenum, teoriche e pratiche
-posizione dell’osservatore
FASE FINALE
-outcome pratico
-valutazione del percorso
-auto-valutazione
Tabella 12: Griglia di riferimento per la costruzione di un percorso di educazione plurilingue-interculturale
Proposta di lavoro: (per tutti gli insegnanti) continuare con l’aiuto dei colleghi a scuola e del corso
il modulo dello step 3.
179
Fase V: Considerazioni finali e Feedback
Il quinto e ultimo incontro servirà come riflessione su quanto fatto durante tutto il percorso di
formazione, ma anche come verifica formativa, di autovalutazione e di feedback da ambo le parti:
sono previsti un questionario anonimo per i partecipanti al corso e una relazione-reazione da parte
della tutor d’aula per quanto concerne le attività svolte in classe e da casa/scuola.
Step. 1: (gruppi e plenum-1h e ½) terminare e visionare i lavori di gruppo della fase IV, step 3:
ciascun gruppo illustrerà il proprio percorso didattico (LIM).
Step 2: (plenum-30 min. c.ca) considerazioni sui metodi alternativi di valutazione dei nuovi
approcci.
Step 3: (individuale-30 min. c.ca) compilazione di un questionario formativo anonimo riguardante
il percorso formativo attuato e le prospettive per la futura didattica in classe:
Ipotesi di questionario formativo:
-Considero questa esperienza formativa nel complesso:
positiva
negativa
-Quali aspetti si sono rivelati maggiormente interessanti lezioni frontali
o utili? Quali meno?
brainstorming
lavori di gruppo
lavoro individuale da casa
la pratica in classe
altro:
-Quali sono stati i contenuti maggiormente interessanti
(riprendere le varie fasi del corso)?
-Perché?
-A livello personale, mi sento arricchito da questa
esperienza perché:
-A livello professionale ho acquisito/ho fatto emergere le
seguenti competenze:
-Quali aspetti penso di rivedere all’interno del mio
curricolo?
180
-Ho vissuto il lavoro in team con i colleghi come:
una forzatura
un aiuto
una piacevole esperienza
indifferente
altro
-Desidero approfondire le seguenti tematiche:
-Consigli per migliorare il corso:
Tabella 13: Ipotesi di questionario formativo
In alternativa, si può richiedere una narrazione sintetica da parte di ciascun partecipante su quegli
aspetti ritenuti più interessanti del corso, fra i quali: le esperienze di laboratorio e in classe; il lavoro
di squadra con i colleghi; la riflessione professionale e personale. Si specificherà se le attese sono
state soddisfatte, quali gli interrogativi permangono, ed eventuali consigli per corsi futuri.
Step 4: (plenum-30 min. c.ca) feedback da parte della tutor d’aula - Linee guida per la riflessione:
saranno menzionati nuovamente gli obiettivi del corso, verranno mesi in evidenza i punti deboli e
punti di forza della sua messa in pratica, nonché della partecipazione degli insegnanti. Infine si
rifletterà su quali spunti possano essere d’aiuto al fine di rielaborare il proprio sillabo di inglese.
Verranno altresì forniti consigli per l’auto-aggiornamento.
Follow up:
Le attività di approfondimento possono riguardare ciascun contenuto delle singole fasi sopra
esposte. In particolare si segnalano le seguenti tematiche ritenute di particolare interesse:
-approfondire l’aspetto riflessivo dell’educazione linguistica con interviste agli insegnanti sulle
proprie motivazioni all’insegnamento linguistico e in particolare all’inglese, in una sorta di racconto
di sé attraverso le lingue;
-sviluppare percorsi di educazione al plurilinguismo per gli studenti, che siano propedeuticicomplementari a eventuali percorsi CLIL utili per tutte le fasce d’età di scuola secondaria, non
ristretti alle sole classi terminali. Nel particolare lavorare con gli apprendenti sulla propria
identità/identificazione linguistico-culturale, sul ruolo che le lingue giocano nella loro vita. Si
approfondirà il discorso sulle rappresentazioni dell’inglese, nonché sul rapporto che gli apprendenti
hanno con le lingue degli altri in percorsi che prevedano una educazione al rispetto, alla
cittadinanza, al confronto e all’apprezzamento critico reciproco, senza fermarsi a meri esercizi di
confronto fra lingue e usanze (cfr. Kelly et al., 2002: 64);
-creare moduli interdisciplinari di educazione alla cittadinanza in compartecipazione con altri
insegnanti di lingue e di disciplina (si veda la modalità CLIL) che ruotino attorno a tematiche di
interesse comune e in cui l’inglese sia affiancato ad altre lingue come contenitore e contenuto stesso
di cultura;
-elaborare tabelle di riferimento per la valutazione delle nuove competenze parziali, anche per le
stesse varietà dell’inglese;
181
-elaborare una rete online per la formazione degli insegnanti in cui vengono condivisi materiali,
esperienze didattico-formative positive e negative con commenti a riguardo, riflessioni, link e
informazioni utili ad esempio riguardanti conferenze, corsi, ecc.
I risultati stessi emersi dal corso saranno resi noti al fine di condividere esempi di buone pratiche,
ma anche per riflettere su problematiche che eventualmente emergeranno.
5.5 Considerazioni conclusive: difficoltà previste, elementi di innovatività e di rimediazione
del progetto formativo
-Eventuali difficoltà:
Di seguito sono elencate alcune perplessità, principalmente legate a questioni di ordine pratico, che
potranno trovare risposta al momento della concretizzazione della proposta:
-l’eventuale difficoltà nel trovare locali che ospitino i partecipanti al corso;
-gli insegnanti potrebbero declinare l’invito a causa dei troppi impegni di lavoro o per ragioni
personali;
-i tempi potrebbero risultare insufficienti per l’espletamento delle attività laboratoriali;
-la mancanza di fondi per supportare il corso.
Dal momento che si tratta di una proposta ancora teorica, possono essere apportate modifiche in
termini di scelta e quantità delle attività, se ritenute necessarie al momento della resa pratica.
Saranno d’aiuto la volontà e la forte motivazione da parte dei partecipanti per far proseguire in
maniera armoniosa il corso, pur se in via sperimentale.
-Elementi di innovatività e di rimediazione
Tale percorso non intende stravolgere totalmente la formazione pregressa degli insegnanti che
parteciperanno. Al contrario, l’obiettivo sarà proprio quello di rimediare e rivitalizzare a quanto di
positivo è ormai parte del patrimonio linguistico-profesisonale-umano degli interessati, anche
quegli aspetti che di solito non si considerano come professionalizzanti, e leggerli in chiave
plurilingue, complessificando e aggiornando contenuti e approcci.
Innovativo il taglio interculturale, trasversale non solo alle lingue e alle discipline scolastiche, ma
all’interno della lingua inglese stessa. Un percorso che, con i dovuti accorgimenti e adeguamenti di
contenuto è spendibile anche negli ordini di scuola inferiori e in altre agenzie di formazione
linguistica e culturale. Tale discorso perderebbe la sua carica innovativa e plurale se rimanesse
nuovamente compartimentalizzato a mero appannaggio degli insegnanti di lingua inglese. Pertanto
si auspica che siano coinvolti, anche se solo a livello laboratoriale, anche gli insegnanti di altre
lingue e quelli di disciplina.
Si auspica che un domani tale corso possa divenire una sorta di modulo di formazione per
insegnanti di lingue inserito in maniera stabile all’interno dell’offerta formativa di ateneo o di altre
aziende o associazioni che promuovono l’educazione linguistica. A tal fine sarà necessaria la
182
collaborazione non solo dei docenti che vorranno essere coinvolti, ma anche dei Dirigenti
Scolastici, delle università e delle agenzie che vorranno dare spazio a tale progetto.
183
Considerazioni Finali
L’inglese nell’educazione linguistica
“Dietro ad ogni ricerca-azione ritroviamo una sociologia della speranza
(Henri Desroche) che si oppone ad ogni pensiero cinico o fatalista”
(R. Barbier)348
La presente ricerca ha voluto far luce su alcuni aspetti cruciali nella didattica delle lingue e
in particolare dell’inglese oggi quali le raccomandazioni europee per l’educazione plurilingue e la
questione dell’ ‘English Complex’ (cfr. Mesthrie-Bhatt, 2008). Ci si è soffermati in particolare sul
delicato tema dell’inglese utilizzato come lingua franca di comunicazione internazionale, con le sue
ripercussioni nella cultura alta e corrente (Galisson, 1988), nel patrimonio linguistico-identitario dei
suoi parlanti e soprattutto nell’insegnamento/apprendimento delle lingue.
L’etichetta di ‘lingua e civiltà straniera’ come disciplina scolastica si è rivelata datata e troppo vaga
per contenere e descrivere il contesto attuale delle lingue culture vive, a maggior ragione di una
lingua d’uso internazionale come l’inglese. La preparazione degli insegnanti e, di conseguenza, le
conoscenze degli studenti coinvolti nelle indagini di ricerca sono risultati carenti in merito alle
tematiche sopra esposte. Tuttavia la maggioranza degli intervenuti si è dimostrata desiderosa di
approfondimento a riguardo.
In questo elaborato sono state dedicate pertanto sezioni specifiche che offrono indicazioni per una
educazione linguistica che non miri ad una sovrapposizione, o alla giustapposizione di conoscenze e
competenze in singole lingue per compartimenti stagni (cfr. CEFR, 2001; Cognigni-Vecchi, 2011),
ma ad una competenza plurilingue e interculturale che valorizzi le competenze linguistiche parziali,
con spirito critico. Si tratta di spunti per l’approfondimento, in linea con l’approccio metodologico
della ricerca-azione, volto al raggiungimento di obiettivi concreti e allo stesso tempo votato
all’apertura su nuove questioni: “Una ricerca-azione, più di ogni altro tipo di ricerca, pone più
domande di quante non ne risolva” (Barbier, 2007: 115). Come in una clessidra, saranno necessari
momenti di riflessione sull’educazione linguistica in generale, per poi focalizzarsi sulla propria
disciplina, e tornare infine ad agire nell’ambito plurilingue.
Per quanto riguarda l’inglese, si è notato come slegare in certo modo la sua funzione di lingua
internazionale di comunicazione dal resto dell’impianto storico-linguistico-culturale della stessa
potrebbe giovare per entrambe le realtà: “[...] in contexts for which a conceptualisation of EIL is
deemed appropriate, it advocates the shift of the bulk of 'English' teaching away from a separate
subject 'English' and into 'language awareness', precisely because of the unique status of English as
an international language […]” (Seidlhofer, 2003: 22). La scuola dovrà prendere atto della evidente
varietà e ibridazione insita nelle lingue-culture in inglese, mostrando di saper rielaborare gli input
che provengono dalla realtà odierna. Le varietà nazionali non saranno toccate o spogliate di
significato, ma neppure sovrastimate come monoliti imprescindibili di identificazione che generano
348
Barbier, 2007: 95.
184
aspettative troppo alte e frustranti nell’apprendente che voglia approcciarsi allo studio delle lingueculture.
Senza dubbio l’inglese ha mostrato la sua utilità come lingua internazionale, un patrimonio dato e
non costruito, che risulta sicuramente utile a livello non solo economico, ma anche di scambi di
persone e di idee, se riuscirà veramente ad essere appannaggio di tutti, o per lo meno non solo del
potere costituito349. Tale tendenza non va esaltata o demonizzata350, bensì controllata e vissuta in
maniera critica e responsabile, come estensione e non come alternativa identitaria (cfr. Byram,
1997: 122). Occorre essere consci dei messaggi che tale lingua-cultura può veicolare, e allo steso
tempo rispettare la preziosa diversità linguistico-culturale nel nostro contesto italiano, europeo e
internazionale: “sarebbe veramente una disgrazia che una lingua internazionale, non importa se
l’esperanto o l’inglese o una forma semplificata di quest’ultimo, dovesse esser considerata, da un
certo punto in poi, come sacra ed inviolabile” (Sapir, 1962: 53)351.
Vettorel ritiene che in una realtà plurilingue, in cui l’inglese prende piede come lingua franca, sia
fondamentale introdurre pratiche riflessive che beneficino dell’appoggio e dell’esempio dell’inglese
in visione di un apprendimento plurilingue:
“In questi termini l’utilizzo dell’inglese come lingua franca di comunicazione verrebbe ad
assumere un ruolo non tanto sostitutivo di altre lingue [...] ma di base comune in questo
processo di consapevolezza. E’ uno dei codici disponibili nel repertorio plurilingue, una linguaponte (Mariani, 2006), un trait d’union complementare nell’apprendimento di altre lingue, che
potrebbe essere utilizzata come trampolino comune per innescare azioni di educazione
(pluri)linguistica, facendo in questo modo leva sul “multilinguismo all’interno dell’inglese per
promuovere il multilinguismo con l’inglese” (neretto nell’originale) (Vollmer, 2001 cit. in
Vettorel, 2010: 21).
C’è bisogno di ‘reidratare’ l’inglese come lingua/e-cultura/e nella sua varietà interna, a livello
fonetico, morfo-sintattico, e semantico, ma soprattutto per gli inensi e complessi rapporti che tale
lingua intreccia con le culture delle persone che la parlano, sia che si tratti di parlanti nativi che
non-nativi. Inoltre, la complessità di tale lingua va gestita all’interno del più complesso quadro fra
le altre lingue, non al di sopra di esse. Minardi auspica che l’inglese sia riabilitato come lingua viva,
plurale, versatile in tutta la sua plasticità semantica e non ridotta a mero strumento di scambio: “Lo
abbiamo fatto per l’educazione linguistica e, quindi, anche per l’inglese perché vorremmo tanto che
questa lingua potesse mantenere il ruolo che ha come lingua “plurale”, veicolo di tante culture e non
venisse semplicemente confinata in uno sterile ruolo di ‘strumento’ della comunicazione globale”
(LEND, 2009: 7).
Quando fu chiesto a Umberto Eco quale sarebbe stata la lingua parlata in futuro dall’Europa, questi
rispose: “è la traduzione” (cit. in Londei-Galli, 2009: 99). La speranza per gli anni a venire è
dunque la traduzione, non l’omologazione: “Non ci sarà quindi una lingua unica; bisognerà
abituarsi a tradurre e a parlarsi tra più lingue. Ciò non vuol dire ricostruire l’incomunicabilità
caotica di Babele, ma riattivare la volontà di comprendersi, parlando, anche in modo mescidato e
‘contaminato’(cfr. ibid.). Non sarà il protezionismo nei confronti delle varietà nazionali a salvare le
349
Si veda George Orwell, Il potere della lingua (cit. in Phillipson, 2003).
“Lepschy (1993) prevede per i prossimi decenni una drammatica riduzione del numero delle lingue usate nel mondo,
accompagnata da una vigorosa diffusione dell’inglese di tipo americano”(ibid.: 870; cfr. anche cap. III della presente
ricerca).
351
Cfr. Haberland, 2009: 17-45; Crystal, 1997: 140.
350
185
lingue, quanto il riconoscimento della diversità, la transculturazione come risorsa (cfr. Trivedi, 2005
e Haberland, 2009: 39): “Come le regole grammaticali di una lingua, una volta apprese, non
esauriscono la nostra capacità di formare in quella lingua un numero infinito di frasi ben costruite,
così la socializzazione e l’acculturazione non decidono della biografia di un individuo o della sua
capacità di intraprendere nuove azioni e di formulare nuove frasi in una conversazione” (Benhabib,
2005: 23-24). Un progetto, dunque, che non mira al passaggio dal monolinguismo nazionale al
monolinguismo internazionale, bensì ad una pluralità di voci che sanno interloquire e soprattutto
ascoltarsi e comprendersi.
Un cambio di prospettiva deve necessariamente nascere in seno alla lingua dominante stessa, per
riposizionarsi all’interno di un discorso più ampio e arricchente quale l’educazione alle e con le
lingue. L’insegnamento/apprendimento dell’inglese, dunque, come ‘LSMS’, ovvero, una ‘lingua
sempre meno straniera’, all’interno di una ecologia linguistica (cfr. Modiano, 2001: 345)352 in cui
non ci si deve difendere dalle ‘impurità’ che l’ibridazione naturalmente porta con sé. Si dovranno
piuttosto salvaguardare, anzi, valorizzare le differenze interne alle varie lingue e fra lingue, a partire
dalle varietà maggiormente diffuse e riconosciute a livello socio-politico-culturale, fino alle
declinazioni più locali, cavalcando le opportunità che l’inglese in un tale scenario saprà offrire,
senza esserne travolti o aver paura di essere annientati.
Riprendendo il titolo di un paragrafo del Précis du Plurilinguisme et du Pluriculturalisme,
“l’acceptation de la diversité des langues signifie le 'surpassement de la malédiction de Babel'”
(Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 397), quella maledizione cui per molti secoli si è tentato, invano, di
porre rimedio, oggi si ripresenta, in veste di occasione: e se la maledizione del plurilinguismo fosse
in realtà una benedizione? Il discorso si fa più che mai attuale.
Derrida affermava che l’origine delle sue sofferenze dipende dal fatto di possedere una sola lingua,
ma che questa lingua non è la sua: “I only have one mother tongue, and it’s not mine” (Derrida
1996, cit. in Londei-Galli, 2009: 36)353. Auspichiamo per il futuro che sia piuttosto ‘I have many
languages, and they’ re all mine!’.
In Italia la questione della formazione degli insegnanti è tutt’ora dibattuta e necessita ancora di
modifiche, integrazioni, specificazioni (cfr. D.M. 249/2010). Si auspica tuttavia un percorso di
educazione critica alle lingue-culture (cfr. CARAP) sia per gli studenti che per gli insegnanti. Se
questi ultimi non hanno competenze interculturali e non sono flessibili nei confronti del proprio
sillabo, come potranno i loro studenti erigerli a esempi e modelli di buone pratiche? (cfr. Dodman,
2010 e Vigner, cit. in Forlot, 2008: 107). Imparare ad insegnare le lingue presuppone pertanto un
docente preparato alla diversità linguistica e culturale, e tuttavia capace di prendere le distanze da
una concezione di diversità “énoncée comme un principe” (Cognigni-Vecchi, 2011: 2).
Vanno allenati gli insegnanti, e di conseguenza gli apprendenti, a maturare un pensiero critico di
fronte alle relazioni fra lingue, alla fitta rete di incontri e scontri all’interno della stessa lingua
inglese, nel macrocosmo dei rapporti internazionali così come nei microcosmi del singolo
patrimonio culturale di ciascuno. Va fornito altresì agli studenti un quadro il più possibile realistico
352
Il termine “language ecology” fu lanciato da un pioniere degli studi di lingusitica, Einar Haugen, nel 1972, cit. in
Graddol-Meinhof, 1999:20.
353
Cfr. anche Kramsch-Lévy-Zarate, 2008: 78.
186
del panorama linguistico attuale accennando alle politiche che ne guidano gli sviluppi, al fine di
motivare allo studio stesso delle lingue, al di là dell’obbligo scolastico.
L’impulso primario, all’interno di questo circolo fatto di stimoli reciproci tra docenti e discenti,
deve senz’altro partire dai primi. Sarebbe opportuno, dunque, prevedere, al di là della proposta
formativa in questione, un approfondimento su questo fronte inserito stabilmente nell’attuale
contesto di rielaborazione della formazione degli insegnanti. Si può trattare di lezioni pomeridiane
− o di ore di “tirocinio formativo attivo” − per coloro che sono in formazione iniziale. Quando
saranno istituite le lauree magistrali specializzanti per l’insegnamento nella scuola secondaria, tale
tematica potrebbe essere contemplata come un modulo all’interno dell’offerta formativa
dell’università. Inoltre, può essere progettato un percorso didattico, monitorato e con una prova
finale, per quegli insegnanti che sono già inseriti nella scuola, senza porre limiti in termini di
anzianità di servizio (si veda anche par. 5.3).
Il percorso di formazione sopra illustrato (cap. V) è il frutto di studio, pratica e osservazione clinica
sul terreno di lavoro; sono stati coinvolti i diretti interessati apprendenti e insegnanti, questi ultimi,
in particolare hanno potuto esprimere i propri bisogni formativi, i quali sono stati tenuti in
considerazione al fine di offrire un corso il più possobile realistico e utile sul breve, ma anche sul
lungo termine. La proposta didattica che ne deriva vuole essere un approccio apripista, che si
auspica possa inserirsi in maniera sempre più stabile nell’offerta formativa per gli insegnanti. Si
tratta di un percorso in parte di ‘rimediazione’, dal momento che si bada a riciclare, in senso
ecologico, ovvero a non sprecare né fare tabula rasa del pregresso degli insegnanti, bensì a
valorizzare il pregresso e le competenze parziali dei singoli docenti come base su cui lavorare e
crescere in direzione plurilingue-interculturale. La proposta è altresì innovativa dal momento che
mette in discussione dall’interno i capisaldi stessi della didattica dell’inglese di stampo
tradizionalista e nazionalista e lo statuto stesso dell’inglese come lingua globale.
Il contributo che si desidera portare è quello di cercare di stemperare la ‘grande voce’ dell’inglese,
criticizzando il suo ‘status’ oggi spesso dato per scontato.
Se non è chiaro dove collocare l’inglese, ovvero all’interno di un più ampio discorso di ‘educazione
alle e attraverso le lingue’ sarà difficilissimo sensibilizzare gli studenti all’apprendimento e alla
valorizzazione di qualunque altra lingua, comprese le proprie. L’intento è anche quello di
‘reidratare’, riabilitare in certo senso le lingue/culture in inglese, nella loro estrema plasticità e
ricchezza, dovuta anche alle ibridazioni da parte dei suoi parlanti non-nativi, dal momento che
sempre di più rischia di essere ridotta a mero strumento di comunicazione tecnico-funzionale.
Dunque si è tentato di esplorare le potenzialità legate all’insegnamento/apprendimento dell’inglese
fra le altre lingue, anzi, a COMINCIARE da qui – pur con le sue urgenze e peculiarità -– in
prospettiva di un dialogo plurilingue-interulturale.
Il messaggio che si vuole lanciare è innanzitutto di speranza di poter cambiare quegli aspetti poco
efficaci nella didattica dell’inglese e delle lingue a scuola in generale. La criticità risulta vincente in
un tale percorso, al fine di non dare per scontate le decisioni che si prendono nella vita
professionale, ma anche privata, in merito alle lingue-culture, bensì scegliere, e, qualora non fosse
possibile, esser consci delle ragioni, delle politiche e degli scopi per cui si intraprendono delle
strade piuttosto che altre. Sarà altresì necessaria la pazienza, ovvero darsi tempo, perché la stessa
competenza interculturale non è un dono che viene dato in dotazione o un ‘know how’ che si impara
187
ad un corso di formazione, bensì un atteggiamento, una sensibilità che va affinata nel tempo, a
contatto diretto con la ‘materia’ più viva e reale che sono gli apprendenti.
Si auspica una imminente messa in partica del percorso di formazione teorizzato.
In generale si può affermare con certezza che tale ricerca dottorale, con gli spunti per la didattica
che ne derivano, non potrà mai dirsi esaustiva, compiuta, definitiva, dal momento che la tematica
stessa non lo consente, e non lo vuole. Il punto di vista offerto, al contrario, si presta al dialogo che
eventualmente ne deriverà e rimane aperto al confronto su tematiche quali l’identificazione e le
rappresentazioni linguistico-culturali, i nuovi inglesi, l’inglese come lingua franca di
comunicazione, guidati dalla presa di coscienza e una necessità di azione di fronte alle reali
emergenze di educazione linguistica e soprattutto culturale nella ibrida realtà europea.
La tematica si presta, oltre che ad approfondimenti interni alla stessa, a ulteriori aperture, a nuove
ramificazioni e complessificazioni. Certamente la riflessione sulle rappresentazioni linguisticoculturali si presta a più profondi ragionamenti e ad azioni nella classe multiculturale oggi in Italia.
Sarebbe interessante indagare le ripercussioni dell’inglese e delle lingue-culture nel patrimonio
linguistico-culturale degli insegnanti e degli apprendenti, approfondendo l’altra faccia della
medaglia, quella dei racconti privati, le ‘piccole storie’, che poi si intrecciano alla ‘grande storia’,
quella delle scelte di politica linguistica, di educazione alla cittadinanza, di rispetto dei diritti
linguistici e umani.
L’ingranaggio che si innesca attraverso la formazione degli insegnanti è quello di un lento ma
inesorabile lavoro di sensibilizzazione all’educazione plurilingue e allo sviluppo di competenze
interculturali.
È stato detto durante il percorso dottorale che bisogna sognare la realtà per costruirla, ma non si può
credere che tali progetti si realizzino tutti e subito. Tale ricerca non va pertanto vista come un punto
di arrivo, piuttosto come un punto di partenza, realistico, ma allo stesso tempo visionario, ottimista
del fatto che le grandi rivoluzioni siano fatte giorno per giorno dalle persone comuni.
Desidero concludere con una citazione volutamente tratta dalla chiusa di uno dei capitoli dell’opera
di Cavagnoli-Passarella, Educare al Plurilinguismo (2011) sia perché riassume e concentra il
percorso finora intrapreso con la presente ricerca, sia perché va ad inserire e intrecciare quest’ultima
in una serie di ricerche, studi, sperimentazioni linguistiche che, pur focalizzandosi ciascuna su
determinati aspetti, mirano allo stesso scopo: l’educazione plurilingue e interculturale. Il massimo
comun denominatore di tutte queste esperienze sarà:
“orientare le finalità della formazione linguistica verso l’acquisizione di un’unica competenza,
che comprende la lingua cosiddetta materna, la o le lingue nazionali, le lingue regionali, le
lingue straniere, europee ed extraeuropee, come pure le lingue minoritarie [...] in questi termini
la costruzione di una competenza plurilingue diventa inevitabile e necessariamente uno
strumento per realizzare una vera educazione interculturale” (op. cit: 42).
188
ALLEGATO 1
Questionario: LINGUE, IDENTITA’ E INGLESE OGGI
1.Cognome
Nome
Cognome:
Nome:
2.Classe
III
3.Scuola
Liceo Scientifico
4.Luogo e Anno di nascita
Luogo
Anno
IV
V
ERICA
ISIS
IPSIA
5.Nazionalità
6.Sesso
M
7.Quali lingue studi a scuola?
1
2
3
F
8.Da quanto studi inglese?
9.Perché studiare inglese?
(numera da 1 a 8, dalla più alla
meno importante)
A- lavoro
C- cultura personale
E- comunicare col mondo
G- è una materia obbligatoria
10.A quale/i Paese/i associ la
lingua Inglese?
11.A scuola, durante le lezioni
di “cultura e civiltà”inglese,
quali Paesi di lingua inglese
avete analizzato?
12.Avete mai analizzato varietà
di accenti all’interno del Regno
Unito?
Sì
No
189
B- viaggi
D- conoscere altre persone
F- capire i testi musicali
H- altro
13.Avete mai parlato dei tipi di
inglese parlati nel mondo oggi?
Sì, spesso
Sì, ma solo accenni
Più che altro ne abbiamo parlato a livello culturale, non
strettamente a livello di differenze linguistiche
No, mai
14.Quali di queste lingue
consideri più importanti da
apprendere oggi?
(numera da 1 a 8, dalla più alla
meno importante)
Italiano
Inglese
Francese
Tedesco
Spagnolo
Russo
Cinese
Arabo
15.Perché secondo te l’inglese è
così diffuso nel mondo?
16.Secondo te, esiste un tipo di
inglese “migliore” degli altri?
Sì
No
Se sì, quale?
Se no, consideri allo stesso livello tutti i tipi di inglese parlati
nel mondo oggi?
17.Cosa intendi per inglese
“Standard”?
(fai una X)
L’inglese degli inglesi
L’Americano
L’inglese delle grammatiche
Un inglese semplificato che funge da lingua neutra nel mondo
Non esiste un inglese standard
Non so
18.Hai masi sentito parlare di
“New Englishes”?
Si
No
Penso che siano:
19.Conosci altre varietà di
inglese parlate nel mondo?
20.Hai mai sentito parlare di
“Commonwealth Literature”?
21.Secondo te, l’obiettivo di un
corso di inglese è arrivare a
parlare come gli inglesi, con lo
stesso accento, la stessa
naturalità?
Sì
No
Sì
No
190
22.Consideri l’”American
English”:
Più semplice del British English (=B.E.)
Uguale al B. E.
Un’altra lingua rispetto al B.E.
Una varietà del B.E.
23.Pensi che l’italiano, nel
contatto con l’inglese, si stia:
Arricchendo
Impoverendo
Semplificando, appiattendo
Diventando una lingua diversa, non necessariamente in peggio
24.Pensi che l’inglese, nel
contatto con le altre lingue, si
stia:
Arricchendo
Impoverendo
Semplificando, appiattendo
Diventando una lingua diversa, non necessariamente in peggio
25.Pensi che studiare le lingue
possa aiutare nel dialogo fra
persone di diversa lingua e
cultura?
Sì
Perché
No
26.Plurilinguismo per te
significa:
27.Se pensiamo all’Europa oggi, Sì la Lingua
ti aspetti che arriveremo al
monolinguismo, o comunque
No
alla prevalenza di un’unica
lingua? Se sì, quale?
Forse
28.Se l’inglese diventasse
l’unica lingua parlata in Europa,
quali potrebbero essere i
vantaggi e quali gli svantaggi?
Vantaggi:
Svantaggi:
Grazie per la collaborazione!!
191
ALLEGATO 2
La formazione degli insegnanti di inglese in Italia in contesto plurilingue e
interculturale
Gentile collega, sono un’insegnante di inglese di Scuola Secondaria, dottoranda presso l’Università
di Macerata e sto svolgendo un’indagine sulla formazione degli insegnanti di inglese in Italia, per
individuarne eventuali bisogni e costruire un percorso che possa essere utile per la formazione
iniziale e in servizio.
A tal fine, chiedo la sua gentile collaborazione nel compilare il questionario che segue.
1.Città di residenza:
2.Laurea in:
3.Abilitazione/i in:
4.Altre lingue conosciute oltre
all’inglese (inserire anche la lingua
madre)
5.Da quanti anni insegna inglese?
6.In quale/i istituto/i? (ordine e
grado)
7.Considera le riforme per il
potenziamento della lingua inglese
nella scuola italiana:
Molto utili perché…
In parte utili perché…
Per nulla utili perché…
8.Che cosa insegna
principalmente?
(sottolineare)
Grammatica
Civiltà/cultura
Letteratura
ESP
CLIL (materia insegnata in inglese)
Altro:
192
9.A quale inglese si rifà
principalmente quando insegna?
(sottolineare)
British English
American English
Inglese dei Native speakers
Inglese internazionale
Inglese semplificato per stranieri
Inglese tecnico-commerciale
Altro:
10.Può spiegare le ragioni per cui
ha operato la scelta suddetta?
11.Nota uno scollamento fra
l’inglese che insegna in classe e
quello che si utilizza oggi per
viaggi, lavoro, etc.?
Sì
No
12. Quali varietà dell’inglese
conosce?
13. Le è capitato di insegnarle a
scuola?
Sì
No
14. i genitori e gli alunni stessi
formulano mai richieste specifiche
rispetto a una o l’altra varietà di
inglese?
15.Qual è il suo obiettivo
nell’insegnamento della lingua
inglese?
(numerare da 1 a 6 dalla più alla
meno importante)
- Preparare gli studenti al mondo del lavoro
- Fare degli studenti cittadini del mondo
- Far sì che la competenza degli studenti si avvicini il più
possibile a quella di un anglofono
-Far apprezzare le lingue e culture in lingua inglese
- Rendere critici e sensibili nei confronti
dell’apprendimento delle lingue
- Fornire le basi per una comunicazione internazionale
-Altro (specificare)
193
16.Riesce sempre nel suo intento?
Sì
No
Perché …
17.Sente la necessità di rivedere il
curricolo di inglese?
Sì
Quali aspetti in particolare?
(sottolineare)
- modalità di insegnamento della lingua
- l’aggiornamento dei contenuti
-prevedere il CLIL
-prevedere ore in comune con gli altri insegnanti di lingue
- altro
No
18.Ha mai frequentato un corso
sulle varietà dell’inglese?
Sì
Se sì, presso quale agenzia/istituzione formativa?
No
19.Ha conoscenze di indicazioni
europee in merito all’educazione
plurilingue e interculturale?
Sì.
Se sì, quali documenti o direttive conosce?
No
20.Se ne avesse la possibilità, le
interesserebbe frequentare un corso
riguardante:
(segnare con una X)
-direttive europee per la didattica dell’inglese all’interno
dell’educazione al plurilinguismo
-le varietà di inglese parlate nel mondo
- l’inglese come lingua franca e il suo impatto non solo a
livello didattico - professionale, ma anche personale
-Altro (specificare):
194
21.Ritiene utile istituire un corso di
formazione iniziale e/o in servizio
sulle varietà dell’inglese e
sull’inglese internazionale?
Sì, perché...
No, perché...
22.Come pensa si potrebbe
articolare un percorso formativo
che vada in questa direzione?
(numerare da 1 a 6, dalla più alla
meno importante)
- analisi di documenti EU concernenti l’educazione al
plurilinguismo, utili all’insegnamento delle lingue
-analisi delle immagini degli studenti sulla lingua/cultura
inglese e sulle lingue in generale, dei loro bisogni e delle loro
aspettative
-riflessione sul proprio percorso linguistico-professionale di
insegnante e sulle proprie immagini linguistico-culturali
-ricerca di materiali e lettura di articoli, saggi, documenti
utili per aggiornare il curricolo in funzione plurilingue e
interculturale
-ampliare le conoscenze sulle varietà dell’ inglese e sulla
questione dell’inglese come Lingua Franca
-dibattito e confronto sulle pratiche didattiche proprie e altrui
per quanto concerne l’insegnamento dell’inglese e delle
lingue in generale
-Altri suggerimenti:
(opzionale) indirizzo e-mail per
aggiornamenti su eventuali sviluppi
della ricerca
Grazie per la collaborazione!
195
ALLEGATO 3
Percorso di formazione iniziale/in servizio per insegnanti di inglese di scuola
secondaria in prospettiva interculturale.
Titolo del corso: I ‘nuovi inglesi’ a scuola: il curricolo di inglese come lingua ‘sempre meno
straniera’ in prospettiva interculturale.
La motivazione:
Da quanto emerge da recenti studi in seno alle politiche linguistiche e alla lingua inglese in
particolare, si evince la necessità di un ripensamento della didattica delle lingue, dell’inglese in
particolare e, a monte, della formazione degli insegnanti di lingue in Italia. Per quanto riguarda la
didattica dell’inglese, il tradizionale binomio ‘lingua e civiltà’ inglese di matrice anglo-americana
non rispecchia più la realtà attuale, né a livello globale, né locale, né personale. Recenti studi hanno
evidenziato grandi discrepanze fra l’immagine della lingua e della civiltà inglese offerta nei libri di
testo, nei programmi scolastici, e la lingua reale e complessa che gli studenti si trovano a gestire una
volta fuori dalla scuola.
Si è optato pertanto per una proposta formativa in cui si offrono spunti per l’educazione plurilingue
e interculturale a partire dalla riflessione sulle lingue-culture in inglese.
Si auspica un’ampia adesione da parte dei docenti di inglese provenienti da qualunque indirizzo di
scuola secondaria di secondo grado, a partire dal contesto marchigiano.
Finalità e risvolti pratici per la didattica:
Finalità:
-evidenziare l’aspetto personale e umano nella professione di insegnanti di lingue, valorizzandone il
patrimonio linguistico-culturale, comprese le competenze parziali;
-far ripensare il proprio percorso in maniera critica, in prospettiva di una educazione plurilingue e
interculturale, per diventare mediatori di messaggi di democrazia;
-formare figure professionali flessibili, che siano in grado di collaborare con i colleghi di altre
lingue di disciplina in percorsi di plurilinguismo;
-promuovere l’imperativo del lifelong learning, ovvero la necessità per gli insegnanti, come per
tutte le figure professionali, di apprendimento lungo l’arco della vita lavorativa e personale.
196
Obiettivi specifici:
-portare gli insegnanti a conoscenza dei principali documenti programmatici e delle
raccomandazioni europee in merito all’educazione linguistica (come CEFR, Profile, CARAP, Pefil,
ma anche iniziative quali il CLIL, i partenariati scolastici, i progetti linguistici, etc.);
-rendere critici gli insegnanti nelle scelte curricolari, ripensandole anche in base alle
programmazioni dei colleghi, al fine di operare scelte trans-curricolari ponderate;
-rimettere in discussione la didattica delle ‘lingue-culture in inglese’ prestando attenzione
all’inglese come lingua franca, con le sue implicazioni a livello globale e individuale;
-ripensare la valutazione linguistica in base ai reali obiettivi prefissati.
Risvolti pratici:
-sperimentare nuovi percorsi laboratoriali inter e transdisciplinari di didattica su certe tematiche
inerenti l’educazione linguistica, quali ad esempio il rapporto lingue-identità, le varietà linguistiche,
gli obiettivi e la valutazione per EFL, ruolo delle lingue e dell’inglese nei percorsi CLIL;
-costruire o ri/adattare i contenuti curricolari di inglese alla luce degli input ricevuti durante il corso
di formazione e alle direttive europee in merito all’educazione plurilingue.
Ripercussioni sulla didattica:
-stimolare negli studenti la curiosità e la motivazione allo studio delle lingue-culture, facendo
comprendere il valore delle altre culture e sensibilizzando ad un approccio critico verso le proprie e
altrui scelte linguistiche;
-sfruttare pre-giudizi e stereotipi per una riflessione sulla diversità e sui valori condivisi fra persone
appretenenti alle varie lingue-cutlure;;
-sviluppare e valorizzare le competenze parziali proprie e degli apprendenti, supportando
l’iniziativa del Portfolio delle lingue europee;
-lavorare in ‘squadra’ con i colleghi di lingue e di disciplina;
-incentivare una mentalità interculturale, consolidando il senso di cittadinanza in una comunità
allargata, combattendo discriminazioni e esclusione sociale, veicolando con onestà e responsabilità
messaggi per aiutare gli studenti a crescere umanamente e democraticamente.
I destinatari:
I destinatari del corso sono gli insegnanti di lingue, in particolare quelli di inglese di scuola
secondaria di secondo grado, in formazione iniziale o in servizio. Ciò non toglie che anche quegli
insegnanti non ancora in possesso di abilitazione, ma che operano presso istituzioni educative
pubbliche o private possano partecipare. Tale percorso può risultare interessante anche per i docenti
di altre lingue o di disciplina interessati all’educazione plurilingue e interculturale.
Il numero dei partecipanti non potrà superare le 20 unità, al fine di garantire una gestione ottimale
del gruppo, nonché delle risorse a disposizione. Qualora le adesioni superassero tale numero, il
corso potrà essere riproposto in seguito.
197
Tempi e luoghi:
Il corso è strutturato in 5 fasi della durata di 3 ore ciascuna, per un totale di 15 ore in presenza, più
un monte ore di lavoro individuale a casa o a scuola, per la preparazione e la sperimentazione di
materiali, che sarà negoziato con ciascun partecipante in base alla propria disponibilità.
Gli spazi in cui si può svolgere il corso possono essere i più vari, a seconda della disponibilità che
gli istituti, le università e gli enti vorranno dare. E’ importante che siano luoghi forniti di proiettore,
lavagna (normale o LIM), banchi, tavoli e sedie, che possano ospitare almeno 20 persone e che
prevedano la possibilità di svolgere lavori di gruppo.
Il periodo di svolgimento del corso sarà concordato con l’istituzione e i partecipanti sulla base delle
reciproche esigenze organizzative. Saranno tuttavia privilegiati i periodi invernale e primaverile, al
pomeriggio, al fine di non interferire con l’attività didattica diurna.
Strumenti:
Computer; LIM/lavagna luminosa o lavagna; realia, immagini, libri di testo e materiali didattici;
giornali; materiale sitografico e bibliografico; questionari; presentazioni in Power Point; mappe
mentali.
Struttura del corso:
Il corso si articola in 5 incontri, di 3 ore ciascuno. Ogni incontro ruota attorno a un nucleo tematico.
Di seguito sono elencati nell’ordine in cui verranno trattati: i documenti europei e italiani per
l’educazione linguistica; le proprie percezioni delle lingue-culture, con particolare riferimento
all’inglese; la riflessione e la presa in carico della complessità insita nella stessa lingua-cultura
inglese, con tutte le sue varietà e ibridazioni; un’analisi focalizzata sull’inglese come lingua di
comunicazione internazionale, nonché sulle sue ripercussioni a livello didattico e identitario per
insegnanti e apprendenti. In conclusione, si proporrà una verifica formativa sull’intero percorso.
Ciascuna lezione prevede una parte teorica e una pratica laboratoriale. Sono previste fasi bilingui,
che alternano la lingua inglese all’italiano, a seconda della pertinenza con la tematica trattata.
Di seguito vengono elencate in sintesi le tematiche e le attività che si svolgeranno durante ciascun
incontro:
198
1°incontro: Dal monolinguismo nazionale al mono-plurilinguismo europeo: i documenti di
riferimento per l’educazione plurilingue e per l’insegnamento dell’inglese in Italia
Si cercherà di fare luce sulle politiche linguistiche italiane e europee che guidano le scelte didattiche
degli insegnanti, con particolare riferimento alla didattica dell’inglese all’interno del quadro
dell’educazione plurilingue. L’intento è quello di suggerire un approccio critico su tematiche attuali
quali lo statuto delle lingue, il potenziamento linguistico, l’insegnamento CLIL, la valutazione della
competenza plurilingue, l’integrazione sociale e l’educazione alla cittadinanza attraverso le lingueculture in classe.
2°incontro: Le rappresentazioni linguistiche e la propria storia attraverso le lingue
Si andrà a lavorare sulle proprie percezioni della lingua inglese, in rapporto con le altre lingue, ma
si proporranno spunti e attività per riflettere anche sul proprio patrimonio linguistico-culturale, sulle
proprie competenze, anche parziali, e sulle ripercussioni a livello di pratica didattica.
3°incontro Nuovi e Vecchi inglesi: Lost and found in transculturation
Questa fase mira alla complessificazione del discorso sull’inglese nelle sue varietà e nei suoi
rapporti con le altre lingue e culture. Si analizzeranno i limiti e le potenzialità per un curricolo di
inglese che ne tenga conto a livello di contenuti, di competenze e di valutazione. Verranno altresì
forniti spunti per la selezione di materiali alternativi afferenti ad un inglese più compesso che
integri il tradizionale modello di parlante nativo di matrice anglosassone o americana.
4°incontro: English as an international ‘Lingua Franca’
Ci si focalizzerà sulla varietà di inglese cosiddetta ELF (inglese come lingua franca) o EIL (inglese
come lingua internazionale), analizzandone le caratteristiche principali. Si indagheranno eventuali
lati positivi e negativi per i suoi parlanti a livello identitario e pratico, nonché le sue ripercussioni a
scuola.
5°incontro: Considerazioni finali e Feedback
L’ultimo incontro è dedicato alla riflessione sul cammino di formazione percorso insieme.
E’ prevista la compilazione da parte dei partecipanti di un questionario anonimo come
autovalutazione.
Elementi di innovatività
.approccio transdisciplinare e interculturale alla didattica dell’inglese
.riflessione sulle varietà dell’inglese con particolare attenzione all’inglese come lingua d’uso
internazionale e alle sue ripercussioni a livello didattico, ma soprattutto identitario degli insegnanti
e degli apprendenti.
Attestato di partecipazione: al termine del corso verrà rilasciato un attestato di partecipazione. La
frequenza è obbligatoria per il 75%.
199
Bibliografia ragionata354
Didattica/didattologia delle lingue-culture
-AA.VV., “Dichiarazione di Bruxelles sull’Apprendimento delle Lingue Straniere”. Reperibile
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-Balboni, P. E., (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le Lingue nelle Società Complesse. Torino:
Utet Libreria.
-Balboni, P. E., (1999), Dizionario di glottodidattica, Perugia: Guerra.
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Intercultural Experience. Yarmouth, ME: Intercultural Press. Reperibile online:
http://www.library.wisc.edu/EDVRC/docs/public/pdfs/SEEDReadings/intCulSens.pdf [cons.: 032011].
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-Callari Galli, M., (2000), Antropologia per Insegnare: teorie e Pratiche dell’Analisi Culturale.
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-Candelier, M., Camilleri-Grima, A., Castelletti, V., de Pietro J-F., Lörincz, I., Meissner, F-J.,
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http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/Source/LE_texts_Source/EducPlurInter-Projet_en.pdf
[cons.: 2009-2010-2011]
-Ciliberti, A., (1997), Manuale di Glottodidattica: per una Cultura dell’Insegnamento Linguistico,
La Nuova Italia.
-Cognigni, E., Mancini, D., (2003), “La comunicazione interculturale”, modulo per il corso
ministeriale in e-learning integrato dal titolo Italiano L2: Lingua di Contatto e Lingua di Culture,
URL: http://www.unive.it/italdue. [cons.: 25-10-2009].
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-Consiglio d’Europa, (ed. or. 2001, 2002), Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.
Apprendimento, Insegnamento, Valutazione. Milano: La Nuova Italia-Oxford. Versione inglese
354
Le sottosezioni della bibliografia seguono un ordine alfabetico. Fra parentesi quadre la data di consultazione dei siti
internet. La sitografia si trova alla fine della bibliografia ragionata.
200
Common European Framework of reference for Languages: learning, teaching, assessment (CEFR)
Cambridge: Cambridge University Press. Reperibile online:
http://www.coe.int/T/DG4/portfolio/documents/0521803136txt.pdf [cons.: 03-2011].
-Consiglio D’Europa, “European Language Portfolio”. Reperibile online:
http://www.coe.int/t/dg4/portfolio/default.asp?l=e&m=/main_pages/welcome.html [cons.: 2011].
-De Marco A., (a c. di) (2000), ed. Manuale di Glottodidattica. Roma: Carocci.
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http://www.hueber.de/forum-sprache/
-Historical Variation in English: http://courses.nus.edu.sg/course/elltankw/history/
-Innova Scuola: http://www.innovascuola.gov.it/ (in part. alla voce didattica digitale: LIM)
-Lingua Madre: http://www.circololettori.it/linguamadre/
-Journal of Language Identity & Education (Interessante rivista online con articoli di ricerca
riguardanti lingua, identità e educazione):
http://journals.academia.edu/JournalOfLanguageIdentityAndEducation
-Learning paths: http://www.learningpaths.org/ (in particolare la sezione ‘competenza
interculturale’,‘convinzioni’ e ‘stili e culture’)
-SDL (Sociolinguistique et dynamique des langues): http://www.sdl.auf.org/
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principalmente dall’Inner e dall’Outer Circle): http://www.world-english.org/accent.htm
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http://www.funtrivia.com/quizzes/humanities/english/varieties_of_english.html
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inglese)
-Azzaro, G., “Worldwide Accents of English - Modulo a.a. 2000/2001” (Si possono ascoltare
alcune varietà di inglese): http://www.gazzaro.it/accents/files/accents2.html
-British Council, BBC, “CLIL Essentials - An online course about teaching other subjects in
English” 18-11-2010 (corso CLIL online): http://www.teachingenglish.org.uk/train/clil-essentialsonline
-British Council, ‘Learn English’, (sito web in cui vengono selezionati e offerti materiali e spunti
per studiare inglese. Utile per trarre spunti per U.D.): http://www.britishcouncil.org/new/learning/
-Education & Formation (Sito per la formazione degli insegnanti) http://ute3.umh.ac.be/revues/
-Wikipedia, “List of dialects of the English language” (informazioni sulle varietà dell’inglese nel
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