La riforma dei partiti e il finanziamento della politica

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La riforma dei partiti e il finanziamento della politica
La riforma dei partiti e il finanziamento della politica
Dossier a cura di Vincenzo Menna e Marta Simoni
Dossier n. 4 - Febbraio 2014
Indice
Premessa
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1. I partiti e il tema della democrazia
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1.1 L’articolo 49 e i lavori dell'Assemblea Costituente
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1.2 Il dibattito negli anni Cinquanta e Sessanta
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1.3 La Commissione Bozzi
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1.4 Le proposte più recenti
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1.5 Contributi del dibattito dottrinale sulla riforma dei partiti
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2. Il finanziamento dei partiti
2.1 La proposta di Sturzo
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2.2 La Legge Piccoli, il referendum abrogativo del 1978 e le 14
prime modifiche negli anni '80
2.3 Dal Referendum del 1993 alla legge n. 156/2002: 15
abolizione e reintroduzione dei “rimborsi elettorali”
2.4 Il Rapporto Greco sulla trasparenza del finanziamento dei 16
partiti in Italia e la riforma del 2012
2.5 L’abolizione del dicembre 2013 per decreto legge
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2.6 Il regime del finanziamento nelle esperienze straniere e il
finanziamento pubblico ai partiti europei
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2.7 Contributi del dibattito dottrinale sul finanziamento dei 20
partiti
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Premessa
L’attualità politica ci pone davanti ad un’emergenza istituzionale sempre più impellente e
che non consente indugi. Siamo tutti d’accordo sull’urgenza di approvare in tempi brevi le
riforme necessarie per uscire dalla seconda Repubblica; riforme delle quali lo stesso Capo
dello Stato ha invocato la sollecita approvazione. Ma quali riforme?
L’esigenza di trasparenza, di regole chiare, di ridare voce al popolo sovrano è forte, ma ho
l’impressione che l'accordo fra Renzi e Berlusconi coinvolga e mescoli troppi temi, e tutti
bisognosi di riforma: dalla legge elettorale, alle riforme istituzionali ed in particolare del
bicameralismo perfetto, alla riforma del Titolo V della Costituzione e al riordino degli Enti
Locali. Peraltro per alcune di esse è necessario cambiare le regole della Costituzione,
processo che necessariamente richiede tempi più lunghi, mentre per altre (la legge
elettorale, la legge anti corruzione, la legge sulla regolamentazione del finanziamento ai
partiti) si procede con legge ordinaria1.
È sul nodo della nuova legge elettorale che si concentra principalmente l’attenzione,
poiché un accordo su tale punto costituisce la premessa per affrontare anche gli altri. Non
possiamo però pretendere dalla legge elettorale ciò che essa non è in grado di dare e che
attiene alla politica, alle capacità e alla solidità dei partiti. Molte delle attese assegnate alla
legge elettorale appaiono ingiustificate e vanno perciò smitizzate.
Non è certo questa la sede per esprimere le perplessità circa la proposta di legge
elettorale attualmente in discussione e per le quali rimando al documento sulla riforma
elettorale approvato dalla Direzione nazionale Acli. Ciò che più mi preme sottolineare
in questo momento è che quella che stiamo vivendo oggi è innanzitutto una crisi dei partiti
e degli uomini, che inevitabilmente si riflette poi anche sulle istituzioni. Non si può, infatti,
sottovalutare che il dibattito sulla legge elettorale ha ripreso vigore solo in seguito alla
recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito l’illegittimità delle modalità con
le quali il porcellum ammetteva le liste bloccate ed il premio di maggioranza. È appena il
caso di rilevare il fatto che il porcellum si è dimostrata una legge elettorale irreversibile per
via politica, perché alla fine il potere di nomina dei parlamentari faceva comodo a tutti i
capi dei partiti. Un gravissimo errore politico e un oltraggio alla democrazia, che ha
contributo ad alimentare l’onda dell’antipolitica e del populismo.
Per tali ragioni la riforma elettorale non deve essere solo un esercizio d’ingegneria
costituzionale utile a dare stabilità ai futuri assetti di governo. È fondamentale che questa
sia avvertita come un’opportunità affinché i partiti si riapproprino della loro capacità di
rappresentare la società e le esigenze dei ceti medi e popolari. Nelle democrazie
moderne, infatti, uno dei diritti più importati dei cittadini è quello di associarsi per
contribuire alla determinazione della vita politica nazionale attraverso i partiti e le
associazioni sindacali. Ma, il fatto che i partiti abbiano talmente perso fiducia e credibilità
sta trascinando a fondo anche l’idea stessa di democrazia. Purtroppo, però, senza partiti
non può esserci una democrazia rappresentativa.
Né la stessa lettura della pronuncia della Corte Costituzionale sull’illegittimità del
Porcellum sembra autorizzare l’idea di una contrapposizione del giudice delle leggi
1
Per un approfondimento si veda il dossier dedicato alle riforme costituzionali ed istituzionali e la relazione
del Presidente nazionale Acli all’ultima Direzione nazionale del 22 gennaio 2014 [NdR].
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all’istituto del partito politico (del resto sarebbe impensabile visto che i partiti politici sono
associazioni tipiche espressamente volute dalla Costituzione). Il partito politico è un
soggetto, espressione della società civile, che per volontà del legislatore risulta dotato di
alcune funzioni pubbliche (presentazione di alternative elettorali e selezione dei candidati).
Tali funzioni – ha ribadito la Corte – devono “essere preordinate ad agevolare la
partecipazione alla vita politica dei cittadini e alla realizzazione di linee programmatiche
che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta
più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati”. Il che è come dire che il partito
è strumento necessario di partecipazione, ma non può sostituirsi al titolare della sovranità.
Sono convinto che per recuperare la funzione dei partiti politici, non resti che “tornare” alla
Costituzione e attuare rigorosamente le norme che definiscono i limiti della sfera di azione
delle forze politiche, superando le gravi degenerazioni che hanno portato a una
delegittimazione degli stessi e alla negazione della loro stessa utilità. I partiti, per essere
rappresentativi, devono tornare ad essere uno strumento democratico in mano ai cittadini
e non feticci in mano ad una classe politica impreparata e sradicata dai territori. Gli elettori
devono poter controllare e verificare quel patto di fiducia che si stipula tra eletti ed elettori
nel momento del voto. I partiti dovrebbero riaffermare il loro ruolo istituzionale di
“intermediari” e “mediatori” tra i cittadini e le istituzioni, tornando tra la gente, recuperando
la vocazione territoriale e ricordando il loro essere “Associazione Politica”.
Da questo punto di vista, mi sembra sensato ipotizzare istituti che costringano i partiti a
darsi ordinamenti interni a base democratica, giacché questo pare essere uno dei noccioli
più sensibili della questione democratica nel nostro paese. Già Mortati in Assemblea
Costituente ebbe modo di proporre la formulazione di quello che poi sarebbe diventato
l’art. 49 della Costituzione, prevedendo la riserva al legislatore ordinario delle norme di
organizzazione interna su base democratica dei partiti politici. Allo stesso scopo,
comunque, potrebbe pervenirsi interpretando la locuzione “con metodo democratico”
contenuta nell'art. 49 Cost., nel senso dell’obbligo per i partiti di dotarsi di
un’organizzazione interna democratica, analogamente a quanto è stabilito dall’art. 39 per il
sindacato.
Il provvedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 149 che prevede l’abolizione
del finanziamento pubblico diretto per i partiti, ma anche disposizioni per la trasparenza e
la democraticità dei partiti, sembra andare in questa direzione. L’augurio è che anche per
questa via si inauguri una nuova stagione per il Paese.
Gianni Bottalico
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1. I partiti e il tema della democrazia
La materia dei partiti politici in Italia è regolata dall’art. 49 della Costituzione: “Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”. Come si osserva nel rapporto Amato del
2012 (Nota su una legge sui partiti in attuazione dell’art. 49 della Costituzione)
«questa laconicità dei parametri costituzionali ai fini di una regolamentazione dei partiti
politici ha lasciato il nostro Paese in una “felice” (o infelice) ambiguità. Da un lato, infatti, i
partiti hanno potuto interpretare in modo libero e fino in fondo le esigenze della neo-nata
democrazia italiana, permettendo alla nostra società di espandersi attraverso di essi in
modo armonico e aperto, dando modo cioè a tutti i cittadini e ad ogni istanza sociale di
potersi creare o trovare il proprio spazio politico attraverso la possibilità di costituirsi in
partito. Dall’altro questa intrinseca flessibilità, nel tempo, ha contribuito a favorire una reale
occupazione delle istituzioni da parte dei partiti politici che ne hanno abusato per lo più
senza particolari remore, trasformando diritti in favori e regalie, facendo degenerare la
stessa concezione, oltre che funzione, del partito nel nostro ordinamento».
L’art. 49 ha dunque riconosciuto la posizione e la funzione del partito quale strumento
generale al grado più elevato di dignità costituzionale: l’esercizio della sovranità popolare
e, in concreto, la determinazione della politica nazionale. Ma, allo stesso tempo, non ha
subordinato l’esistenza dei partiti ad alcun condizionamento che, al pari delle associazioni
previste dall’art. 18, sono espressione di autonomia privata. Questo vuol dire che il partito,
ancorché dotato di una funzione pubblica, ha nel nostro sistema costituzionale la struttura
propria di un ordinamento giuridico privato e, come qualunque associazione, non ha altri
limiti fuori da quelli costituiti dalla legge civile comune e dai divieti posti dalla legge penale.
L’unico limite specifico esterno posto al partito - oltre a quelli comuni a tutte le associazioni
private - è previsto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta la
riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Da qui l’ambiguità dei
partiti: da un lato godono della libertà propria delle associazioni, fuori da ogni
condizionamento di organi pubblici; dall’altro sono impegnati a svolgere una funzione
squisitamente pubblica qual è, ad esempio, quella della presentazione delle liste di
candidati per le strutture istituzionali pubbliche a ogni livello.
La regolamentazione di partiti è infatti un nodo che i nostri Padri Fondatori non sono
riusciti a scogliere durante l’Assemblea Costituente, rimandando ad un secondo momento
l’indicazione delle modalità in cui si svolge l’attività dei soggetti politici attraverso una
normativa attuativa. Purtroppo questo secondo momento non è mai arrivato e
l’“attuazione” dell’art. 49 non ha mai visto luce, nonostante il tema della democrazia nei
partiti (collegato a quello del finanziamento) sia sempre rimasto al centro del dibattito
politico. Né la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (1985) né i referendum
sulla riduzione delle preferenze (1991), sul “maggioritario” (1993) e sull'abolizione del
finanziamento pubblico ai partiti (1993) daranno il via ad una stagione di regole, indicando
le modalità in cui si svolge l’attività dei soggetti politici attraverso una normativa attuativa.
Nemmeno con la Seconda Repubblica il dibattito sulla regolamentazione dei partiti e sulla
democrazia interna giunge a soluzione. Pertanto, ancora oggi, i partiti non sono soggetti a
nessuna disciplina, godendo di una libertà di azione pressoché totale sia per quanto
concerne la scelta delle persone sia per la formazione delle decisioni in generale. Il
problema è inoltre aggravato dal fatto che con l’affermarsi della competizione
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“personalistica” imposta dal sistema maggioritario, è aumentato il potere nei vertici degli
apparati di partito.
1.1 L’articolo 49 e i lavori dell’Assemblea Costituente
I lavori dell’Assemblea Costituente sul tema dell’organizzazione e del riconoscimento dei
partiti politici che avrebbero condotto alla formulazione dell’attuale articolo 49 della
Costituzione durarono dal 25 ottobre 1946 fino al 22 dicembre 1947.
In una prima fase gli onorevoli Merlin (DC) e Pietro Mancini (PSI) propongono di inserire in
Costituzione il seguente articolo: “I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici
che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana,
secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno
dettate con legge particolare”. Venne però preferita la proposta dell’on. Basso che nella
prima parte ribadisce il “diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito
politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese”; mentre nella
seconda parte prevede una regolamentazione più puntuale: “ai partiti politici che nelle
votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute,
fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa
Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa e di altre leggi”. Come osserva Elia (A
quando una legge sui partiti?), non solo il testo di Basso era redatto in modo più lineare,
ma in suo favore giocò anche il timore suscitato negli onn. Marchesi e Togliatti dal
riferimento limitativo al “metodo democratico” e al rispetto “della dignità e della personalità
umana, secondo i principi di libertà ed eguaglianza”. Il timore era che queste formule
potessero essere interpretate a torto anche da un governo a base democratica “per
mettere senz’altro il partito comunista fuori legge”.
L’unica intesa possibile fu sulla prima parte della proposta Basso, integrata da un
riferimento al divieto di ricostituire il Partito nazionale fascista. L’on. Mortati propose un
emendamento volto a riformulare l’articolo: “Tutti i cittadini hanno diritto di raggrupparsi
liberamente in partiti ordinati in forma democratica, allo scopo di assicurare, con l’organica
espressione delle varie correnti della pubblica opinione ed il concorso di esse alla
determinazione della politica nazionale, il regolare funzionamento delle istituzioni
rappresentative. La legge può stabilire che ai partiti in possesso dei requisiti da essa
fissati, ed accertati dalla Corte costituzionale, siano conferiti propri poteri in ordine alle
elezioni o ad altre funzioni di pubblico interesse. Può inoltre essere imposto, con norme di
carattere generale, che siano resi pubblici i bilanci dei partiti”.
La differenza sostanziale rispetto alla proposta di Basso sta nell’accentuazione, espressa
con particolare chiarezza nell’intervento dello stesso Mortati, dell’esigenza di garantire la
democraticità interna dei partiti. E fu lo stesso Mortati ad indicare cosa si dovesse
intendere con “determinazione della politica nazionale”: “è nei partiti che si preparano i
cittadini alla vita politica e si dà ad essi la possibilità di esprimere organicamente la loro
volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel
Parlamento”.
Mortati, rileva Rossi (La democrazia interna nei partiti politici), esprimeva con
chiarezza quella che sarà l’evoluzione del ruolo dei partiti nella società italiana: non
soltanto strumento per la selezione della classe politica e per la determinazione
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dell’indirizzo politico, ma ancor più luogo di partecipazione civile, in cui i cittadini vengono
“educati” alla dimensione sociale - ancor prima di quella politica - e ad esserne attori e non
spettatori.
Tuttavia, lo stesso Mortati ritirò l’emendamento per la dura reazione di quanti vedevano
minacciata dalla maggioranza politica e parlamentare la libertà interna dei partiti che non
fossero al governo. L’Assemblea Costituente, finì così per approvare quello che è l’attuale
articolo 49 della Costituzione.
1.2 Il dibattito negli anni Cinquanta e Sessanta
Nemmeno in seguito si promulgò una legge generale sui partiti politici. Un tentativo
autorevole fu compiuto nel 1958 da Luigi Sturzo che presentò una proposta di legge volta
ad attribuire la personalità giuridica ai partiti, a definire regole per la loro contabilità e a
introdurre limiti per le spese elettorali dei candidati (Atto Senato 124, III legislatura,
“Disposizioni riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche e
amministrative”). La sua proposta però non ebbe alcun seguito in ambito parlamentare.
Nella relazione al progetto Sturzo scrive:
Per ottenere questi scopi di pubblica moralizzazione, occorre anzitutto affrontare il problema
giuridico della figura e dell’attività dei partiti. La costituzione contiene in proposito due
disposizioni fondamentali. All’articolo 49 sta scritto: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale”. All’articolo 67 si legge: “Ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il partito, pertanto, ha per fine di concorrere
a determinare la politica nazionale, tale concorso è attuato con metodo democratico; mentre i
membri del parlamento, pur eletti con l’organizzazione e l’ausilio dei partiti, rappresentano come
tali non il partito ma la nazione ed esercitano il proprio ufficio senza vincolo di mandato. Né
l’elettorato che li sceglie, né il partito che ne aiuta la scelta, può vincolare gli eletti a deputati e
senatori ad una predeterminata linea di condotta, perché in tale caso essi rappresenterebbero
una frazione della propria circoscrizione elettorale ovvero un partito cioè una sezione di cittadini
(spesso assai esigua) al quale hanno data la propria adesione. La costituzione implicitamente
contiene tutto quel che si può esplicitare in leggi per mantenere puro, alto e indipendente
l’ufficio di rappresentante della nazione, in modo da non essere mai accusato di aver contratto
legami per finanziamenti di dubbia origine o peggio essere portavoce di gruppi particolari contro
gli interessi generali. Per precisare la responsabilità occorre anzitutto che il partito, pur
conservando la libertà che deve avere il cittadino nella propria attività politica, sia legalmente
riconoscibile e sia posto in grado di assumere anche di fronte alla legge le proprie
responsabilità. Con il disegno di legge viene fatto obbligo ai rappresentanti dei partiti di
depositare nella cancelleria del tribunale competente lo statuto e le successive variazioni,
firmato dal presidente e dal segretario generale. Questo atto basta per poter attribuire al partito
la personalità giuridica e in tale veste potere anche possedere beni stabili e mobili senza alcuna
autorizzazione preventiva. La figura che verrebbe assegnata al partito non trova completi
riferimenti nelle disposizioni codificate; invero, il partito non può ritenersi, qual è al presente, una
semplice società di fatto senza personalità giuridica, perché mancherebbe di responsabilità; né
può essere equiparato ad una associazione o fondazione privata da essere riconosciuta agli
effetti legali con decreto del presidente della repubblica e quindi ricadente sotto la vigilanza
ministeriale, la qual cosa lederebbe l’indipendenza del cittadino nel campo della politica;
neppure potrebbe avere la figura di società con fine economico, patrimoniale o di qualsiasi
interesse materiale da tutelare. Pertanto, nel sottoporre gli associati non uti singuli ma come
corpo morale a determinati obblighi, la personalità giuridica e i diritti che derivano vengono
acquisiti con l’unico atto volontario, quello di darsi uno statuto e di depositarlo in forma autentica
alla cancelleria del tribunale competente. L’atto di volontà collettiva reso pubblico, senza
interventi di autorità politica o amministrativa e di formalità nelle quali partecipi un qualsiasi
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funzionario pubblico (notaio o giudice di tribunale) attua e completa il diritto alla personalità
politica del partito. Non ho previsto il caso che lo statuto contenga disposizioni non consone al
metodo democratico prescritto dalla costituzione, perché manca fin oggi una definizione che
possa giuridicamente fare stato per ciò che precisa il metodo democratico e quali possano
essere gli effetti legali di una violazione od omissione. Ciò nonostante, la discussione sul
metodo democratico dei partiti prenderà aspetto concreto in base ad una elaborazione teorica e
pratica che non mancherà da parte di giuristi e di interessati. Nella fase attuale, è meglio
lasciare che gli studi in merito diano sufficienti indicazioni per un susseguente atto legislativo.
Conseguente al primo articolo è il secondo che prescrive il deposito alla cancelleria del tribunale
dei rendiconti annuali.
Così come non mancano coloro che pensano si debba disporre per legge di una disciplina
interna all’organizzazione dei partiti, in quanto la necessità di tale disciplina discende dagli
stessi principi costituzionali, non manca chi ritiene che i partiti riescano a essere vitali solo
se la loro autonomia non è compromessa da specifici interventi legislativi. Le reazioni al
progetto Sturzo sono dunque molteplici. Nel 1965, in occasione del loro convegno
nazionale i repubblicani presentano un progetto che prevede l’attribuzione ai partiti della
personalità giuridica di diritto privato, il deposito dello statuto presso la Corte
Costituzionale e introducendo disposizioni sulla democraticità delle votazioni in tutte le fasi
della vita del partito. Tuttavia, sottolinea Tentoni (La regolamentazione giuridica del
partito politico in Italia), l’aspetto del problema che viene particolarmente in luce nel
dibattito a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta è quello del finanziamento
pubblico. Perché il tema della democrazia nei partiti riacquisti centralità bisognerà
aspettare fino ai primi anni ’80.
1.3 La Commissione Bozzi
Nel 1983 s’insedia la prima Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, avente il
compito di “formulare proposte di riforme costituzionali e legislative, nel rispetto delle
competenze istituzionali delle due Camere, senza interferire nella loro attività legislativa su
oggetti maturi ed urgenti, quali la riforma delle autonomie locali, l’ordinamento della
Presidenza del Consiglio, la nuova procedura dei procedimenti d'accusa”. La
Commissione bicamerale è presieduta dal liberale Aldo Bozzi (già deputato alla
Costituente) che sarà anche relatore di maggioranza. Il tema del ruolo dei partiti e dell’art.
49 della Costituzione sono da subito al centro del dibattito, il cui senso è ben riassunto
dalle parole dello stesso presidente Bozzi:
L’articolo, com’è noto, ha per soggetto i cittadini e considera i partiti come strumenti
organizzativi al servizio dei cittadini per concorrere alla determinazione della politica nazionale.
Da istituzioni della società civile, i partiti sono diventati istituzioni costituzionali, provocando
quell’occupazione dello Stato di cui ha parlato il Presidente Elia. La crisi dei partiti ha portato a
un’esplosione di forme associazionistiche diverse che hanno fatto pensare al Mortati a una
democrazia delle leghe. Queste formazioni si collocano spesso fuori dallo Stato ed offrono agli
aderenti protezione ed anche privilegi. Mi sembra che comune sia l’avviso della inutilità e
inopportunità di una legge organica sui partiti. Possono essere consigliabili un maggior rigore
della legge sul finanziamento pubblico, richiedendo, in particolare, l’effettiva trasparenza dei
bilanci, con efficienti controlli e sanzioni; si può prevedere la decadenza dal mandato
parlamentare in caso di violazione delle norme sulla pubblicità delle spese elettorali. E si può
coltivare l’ipotesi di un comitato di garanti - tre o cinque persone scelte dal Capo dello Stato o
dalla Corte Costituzionale - con il compito di vigilare sul rispetto della democrazia interna dei
partiti e sulle loro eventuali deviazioni, con il potere di denunciare all’opinione pubblica le
inadempienze, in vista della naturale sanzione in sede politica ed elettorale. Alla previsione
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delle leggi per evitare sconfinamenti dei partiti si deve accompagnare un coerente
comportamento della classe politica.
Nella relazione conclusiva (presentata il 29 gennaio 1985) erano formulate le proposte di
revisione costituzionale per le quali si era manifestato in seno alla Commissione un ampio
consenso ed erano riferite le posizioni differenziate o dissenzienti sui punti per i quali un
tale consenso non si era ottenuto. Complessivamente la relazione prevedeva la revisione
di 44 articoli della Costituzione.
In questa relazione Bozzi dedica alcuni passaggi
importati al tema dei rapporti partiti-stato-società:
a proposito della già ricordata tendenza dei partiti a straripare dalle funzioni loro proprie, a
sviluppare una eccessiva concorrenzialità e ad occupare le istituzioni, nella Commissione si
sono manifestate perplessità ad intervenire legislativamente all’interno dell’autonomia dei partiti,
che debbono conservare il carattere di associazioni volontarie; vi è tuttavia disponibilità ad
esplorare soluzioni normative che migliorino la democraticità delle strutture e della dialettica
interna, la disciplina del finanziamento sia privato sia pubblico (eventualmente configurandolo
almeno in parte come erogazione di servizi e garantendo in ogni caso una equilibrata
distribuzione tra organizzazioni centrali e periferiche), del regime patrimoniale, del sistema delle
incompatibilità (da perfezionare e rendere più rigoroso anche sulla linea della non rieleggibilità,
per rompere le cristallizzazioni di potere sorte un pò dovunque), dei meccanismi per la
selezione dei candidati alle competizioni elettorali anche mediante elezioni primarie (nella storia
repubblicana vi sono state numerose iniziative legislative per una regolamentazione giuridica
dei partiti, da quella del senatore Sturzo nel 1958 a quelle recenti), al fine di rendere meno
opaco il rapporto dei partiti con le istituzioni da un lato, con i cittadini dall’altro. È però
soprattutto necessaria un’autoriforma dei partiti stessi, che può essere agevolata da un sistema
di freni esterni e dall’influenza indotta di altre misure (revocabilità dei ministri, disciplina delle
nomine negli enti pubblici, modifica del meccanismo delle preferenze) e della revisione
complessiva dell’ordinamento, che promuove coerentemente il “rientro” dei partiti entro argini di
maggiore correttezza; argini assai più stringenti in concreto, di norme giuridiche di difficile
elaborazione e di ardua attuazione in un ambito particolarmente delicato. I partiti, nella loro
funzione unificante, debbono restare il perno del nostro sistema politico, senza tuttavia
monopolizzarlo, e quindi lasciando spazio ad altre formazioni sociali, come le associazioni, i
comitati, i gruppi che si formano nella società intorno a problemi specifici. Per attuare questo
indirizzo la Commissione ritiene opportuno riformulare l’attuale articolo 49 della Costituzione.
Il testo proposto da Bozzi era il seguente:
Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere, con strutture e
metodo democratici, a determinare la politica nazionale. La legge disciplina il finanziamento dei
partiti, con riguardo alle loro organizzazioni centrali e periferiche, e prevede le forme e le
procedure atte ad assicurare la trasparenza e il pubblico controllo del loro stato patrimoniale e
delle loro fonti di finanziamento.
La legge detta altresì disposizioni dirette a garantire la
partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà politica dei partiti, compresa
la designazione dei candidati alle elezioni, il rispetto delle norme statutarie, la tutela delle
minoranze.
Tali proposte furono assegnate alla Commissione Affari costituzionali della Camera che
però non ne iniziò mai l’esame.
1.4 Le proposte più recenti
Per tutti gli anni Novanta e Duemila, il tema della regolamentazione dei partiti passa di
nuovo in secondo piano: per quanto riguarda le riforme istituzionali le modifiche sono
circoscritte alla seconda parte della Costituzione e sia la seconda commissione
bicamerale (Commissione De Mita-Iotti; XII legislatura) sia la terza (Commissione
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D’Alema; XIII legislatura) non propongono modifiche all’articolo 49. Non mancano
comunque alcune proposte d’iniziativa parlamentare tendenti all’introduzione di una nuova
disciplina per i partiti: il progetto di legge n. 5326 dell’on. Mancina (Democratici di
sinistra) del 1998 e ripreso con poche variazioni nel 2001 dalla proposta Chiaromonte
(Atto Camera 598); la proposta dell’on. Veltri, Democratici (per Prodi), del 1999 (Atto
Camera 5553); il Disegno di legge costituzionale presentato dal sen. Pace (Alleanza
Nazionale) nel 2001 (Atto Senato 788), che riprende con poche variazioni la proposta
della Commissione Bozzi; la proposta dei senatori Compagna e Del Pennino (UDC-PRI)
del 2002 (Atto Senato 1540); un disegno di legge costituzionale dei sen. Bassanini,
Mancino, Amato (Ulivo) che inserisce una modifica dell’articolo 49 in un progetto più ampio
riguardante la forma di Stato e di governo; un disegno di legge costituzionale dei senatori
Compagna e Del Pennino (UDC-PRI), dedicato alla riforma di alcuni articoli della
Costituzione tra cui il 49 e assorbito dal disegno di legge 2544.
Dopo anni in cui il tema della regolamentazione dei partiti e della democrazia interna è
poco centrale, il dibattito è ripreso nel 2013, anche in risposta al clima di critica e
contestazione nei confronti degli abusi e degli scandali che hanno travolto i partiti. Il
Consiglio dei ministri del 31 maggio 2013 ha approvato un disegno di legge (Atto Camera
1154) che abolisce il precedente sistema di finanziamento dei movimenti e partiti politici,
prevedendo finanziamenti privati a regime fiscale agevolato, detrazioni per le erogazioni
liberali in denaro da parte dei privati, la destinazione volontaria del due per mille da parte
dei contribuenti nella dichiarazione dei redditi, la concessione di sedi per le attività
politiche, spazi televisivi, richiedendo però ai partiti l’osservanza di una normativa sulla
democrazia interna (art. 49 Cost.), in particolare circa il proprio statuto (è prevista inoltre
l’istituzione di un registro dei partiti) e di norme per la trasparenza e l’accesso alle
informazioni relative agli assetti statutari, agli organi associativi, al funzionamento e ai
bilanci oltre alla certificazione esterna dei rendiconti dei partiti e il controllo dei rendiconti.
Nella sua relazione illustrativa al disegno di legge, il Presidente del Consiglio Letta
precisa che la più significativa novità introdotta dal disegno di legge consiste nell’aver
delineato, nella sostanza, una prima attuazione all’articolo 49 della Costituzione,
riservando alcuni benefici esclusivamente in favore dei partiti che assicurino alcuni
standard “minimi” di democraticità dei propri statuti e di trasparenza, in particolare per
quanto concerne la gestione economico-finanziaria. In questa prospettiva, il disegno di
legge lega in modo strutturale il nuovo modello di finanziamento della politica ad un
sistema di regole che garantisca la democrazia interna dei partiti politici e la trasparenza
del proprio funzionamento e dei propri bilanci, individuando un punto di equilibrio fra il
principio di libertà di associazione politica (che costituisce un fondamento di ogni
democrazia) e le altrettanto rilevanti esigenze di legalità che devono assistere ogni
intervento pubblico di sostegno.
Per accelerare i tempi, nel dicembre 2013, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto
(ddl n. 149) che riproduce, con alcune correzioni, il disegno di legge approvato a ottobre
alla Camera, ma da allora fermo al Senato. L’esame in Senato del decreto sul
finanziamento pubblico dei partiti è ancora però alle battute iniziali. Per approfondimenti si
può consultare La nota di lettura n. 30 del gennaio 2014 del Servizio del bilancio del
Senato.
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1.5 Contributi del dibattito dottrinale sulla riforma dei partiti
Come si è visto in quasi 70 anni di dibattito sulla regolamentazione dei partiti, non sono
mancate le iniziative parlamentari volte a dare vita ad una disciplina delle formazioni
politiche e il tema della democrazia nei partiti è stato una costante anche nel dibattito
dottrinale. In particolare si segnalano i seguenti contributi:
De Martino F. R., La selezione delle candidature attraverso il metodo delle primarie.
Partecipazione politica e rappresentatività dei partiti
Gambino S., Il ruolo dei partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale
del paese e attualità
Marsocci P., L’etica politica nella disciplina interna dei partiti
Marsocci P., Le “primarie”: i partiti italiani alle prese con il metodo democratico
Rossi E., La democrazia interna nei partiti politici
Ruggeri A., Note minime in tema di democrazia interna dei partiti politici
11
2. Il finanziamento dei partiti
Il tema della democrazia interna ai partiti è strettamente legato a quello delle fonti di
finanziamento. Il legame tra finanziamento pubblico e partito si basa su un concetto molto
semplice: le disuguaglianze economiche e sociali sono alla base del partito di massa di
stampo ideologico, e pertanto con l’estensione del suffragio le formazioni rappresentative
delle fasce meno agiate della popolazione (a differenza dei partiti con una visione più
conservatrice) facevano maggiore fatica a raccogliere fondi tra i sostenitori.
Pertanto, osserva Amato (Nota sul finanziamento della politica), è necessario avere
presente che una qualche forma di finanziamento pubblico della politica esiste in ogni
democrazia, in quanto esso rappresenta, in misura maggiore o minore a seconda delle
specificità delle singole esperienze, l’effettiva e concreta garanzia che ogni cittadino possa
accedere al processo politico, in condizioni di parità secondo il principio d’uguaglianza,
concorrendo “alla determinazione della politica nazionale” così come scrive l’art. 49 della
nostra Costituzione.
Questa garanzia d’uguale opportunità anche nella politica costituisce il segno distintivo dei
regimi democratico-pluralistici rispetto a quelli liberal-oligarchici dove, invece, il censo è
misura tanto dell’accesso alla partecipazione alla politica quanto strumento di limitazione
dell’accesso all’esercizio di una funzione pubblica. In proposito, le strade seguite nel
tempo dai maggiori ordinamenti di democrazia pluralista sono sostanzialmente due: (a)
disciplinare i partiti con una legge ad hoc, come in Germania o in Spagna, che definisca
natura, caratteristiche, funzioni dei partiti (e delle fondazioni politiche collegate),
riconoscendo loro un finanziamento diretto e trasparente; (b) oppure, in alternativa, come
in Francia, disciplinare per lo più la funzione che i partiti svolgono nel momento elettorale.
Di certo, non esiste ordinamento realmente democratico che non preveda un accettabile
finanziamento pubblico del momento elettorale come garanzia minima di uguaglianza delle
chances di partecipazione di tutti alla vita politica. Ora, continua Amato, se esiste una
ragione nella necessità di dotare di finanziamenti le strutture partitiche in parlamento, il
finanziamento ai gruppi parlamentari si è venuto dilatando fino ad assumere i contorni di
un vero e proprio finanziamento parallelo e autonomo rispetto a quello standard dei partiti,
determinando non di rado un uso del denaro inevitabilmente improprio.
Così, in Italia, a partire dal 1974 - anno in cui anche per ovviare a fenomeni di corruzione oltre a un rimborso per le spese elettorali è stato introdotto anche un finanziamento
pubblico diretto, i partiti hanno accumulato un “tesoretto”, derivante dal gap tra le spese
effettivamente sostenute e il denaro erogato dallo Stato. In base ai numeri, stilati e forniti a
Repubblica.it da Openpolis, in questo lasso di tempo – in cui i cittadini sono stati chiamati
alle urne per ben 15 volte (amministrative escluse) – a fronte di una spesa che non
raggiunge i 700 milioni di euro, l’utile incassato è pari a tre volte tanto quanto si è speso
(1,9 miliardi di euro). Solo negli ultimi 20 anni, si stima che siano stati erogati sotto forma
di rimborsi pubblici circa 2,7 miliardi di euro.
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2.1 La proposta di Sturzo
Il primo disegno di legge per il finanziamento pubblico dei partiti venne presentato in
Senato da Sturzo nel 1958. Nella relazione al progetto Sturzo scrive:
Se si parla di moralizzare la vita pubblica, il primo e il più importante provvedimento deve
essere quello di togliere la grave accusa diretta ai partiti e ai candidati dell’uso indebito del
denaro per la propaganda elettorale. Il problema è più largo di quel che non sia la spesa
elettorale; noi abbiamo oramai una struttura partitica le cui spese aumentano di anno in anno in
maniera tale da superare ogni immaginazione. Tali somme possono venire da fonti impure; non
sono mai libere e spontanee di soci e di simpatizzanti. Non sarò io a dire le vie per il
finanziamento dei partiti perché la mia esperienza del 1919-1924 non ha nulla di simile con
l’esperienza del 1945-1958. Che i finanziamenti siano dati da stranieri, da industriali italiani,
ovvero, ancora peggio, da enti pubblici, senza iscrizione specifica nei registri di entrata e uscita,
o derivino da percentuali in affari ben combinati (e non sempre puliti), è il segreto che ne rende
sospetta la fonte, anche se non siano state violate le leggi morali e neppure quelle che regolano
l’amministrazione pubblica. Il dubbio sui finanziamenti dei partiti si riverbera su quelli dei
candidati; e con molta maggiore evidenza se si tratta di persone notoriamente di modesta
fortuna, professionisti di provincia, giovani che ancora debbono trovare una sistemazione
familiare conveniente, impiegati e così di seguito. Alla fine delle elezioni abbiamo sentito notizie
sbalorditive, che fanno variare da dieci a duecento milioni le spese di campagna di singoli
candidati. Naturalmente, la fantasia popolare e la maldicenza dei compagni di lista per le
elezioni della camera non hanno per confini che il risentimento di aver perduto la battaglia o
quello personale di essere stato scavalcato nell’ordine delle preferenze da concorrenti fino a ieri
creduti cavalli bolsi. E pur facendo a tali sentimenti e risentimenti post-elettorali le falcidie che
mentano, resta quel margine insopprimibile di verità che, allo stato delle cose, è sufficiente
indizio dell’entità di entrate e di spese sproporzionate alle possibilità normali dei candidati
stessi. C’è chi accusa l'apparato dei partiti, il quale, discriminando i candidati della stessa lista,
ne determina l’accaparramento di voti a favore degli uni con danno degli altri. Non mancano
indizi circa il patrocinio politico che enti statali e privati si assicurano in parlamento favorendo
l’elezione di chi possa sostenere e difendere i propri interessi, impegnando a tale scopo somme
non lievi nella battaglia delle preferenze. Quando entrate e spese sono circondate dal segreto
della loro provenienza e della loro destinazione, la corruzione diviene impunita; manca la
sanzione morale della pubblica opinione; manca quella legale del magistrato; si diffonde nel
paese il senso di sfiducia nel sistema parlamentare. Ecco i motivi fondamentali che rendono
urgenti i provvedimenti da me proposti circa i finanziamenti e le spese dei partiti nel loro
funzionamento normale; dei partiti e dei candidati nelle elezioni politiche e amministrative.
Il testo del progetto Sturzo è il seguente:
Art. 1 - È fatto obbligo ai cittadini che si associano in partito per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale, di depositare il proprio statuto e le successive
variazioni con le firme autenticate del presidente e del segretario generale, alla cancelleria del
tribunale civile del luogo dove è fissata la sede centrale. I trasferimenti saranno notificati anche
alla cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione si trova la nuova sede. Dalla data del
deposito dello statuto il partito acquista personalità giuridica.
Art. 2 – L’amministratore del partito dovrà presentare alla cancelleria del tribunale dentro ogni
mese di marzo il rendiconto delle entrate e delle uscite dell'anno precedente, compresevi, in
riassunto per provincia, le entrate e le uscite delle sezioni locali, distinguendo per queste ultime
i finanziamenti concessi dall'amministrazione centrale del partito da quelli ottenuti localmente. Il
rendiconto annuale sarà controfirmato dal presidente e dal segretario generale o da coloro che
ne fanno le veci.
Art. 3 - Nel rendiconto saranno tenuti distinti i contributi ordinari dai contributi straordinari dovuti
dagli associati; nonché i cespiti di beni mobili e immobili appartenenti al partito o a società ed
enti dai quali il partito abbia partecipazione. Ogni altra entrata deve essere indicata con il nome
e l’indirizzo di chi versa e per conto di chi versa e del motivo del versamento. È vietato ai partiti
accettare contributi di ministeri, enti e gestioni statali; di enti locali territoriali, enti o banche di
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diritto pubblico o di interesse nazionale; di cooperative, federazioni di cooperative, consorzi, enti
consortili e relative federazioni, e di ogni altra gestione autonoma, statale e non statale, che per
legge è sottoposta alla vigilanza e al controllo ministeriale. È vietato, inoltre, accettare offerte e
finanziamenti da confederazioni di lavoratori e di datori di lavoro o da qualsiasi impresa e
società che, come tale, è tassata in base a bilancio. Il divieto previsto si applica anche ai
contributi, sussidi, finanziamenti di qualsiasi ente, organizzazione e impresa stranieri. Art. 4 – L’amministrazione del partito deve tenere speciale contabilità delle spese elettorali
politiche e amministrative dal giorno dell'apertura del periodo elettorale fino a un mese dopo la
proclamazione degli eletti. Il rendiconto delle entrate e delle spese a scopo elettorale, con
l’indicazione dei residui attivi e passivi da regolare, sarà presentato non oltre tre mesi dopo la
proclamazione degli eletti. E' fatto divieto ai partiti di assegnare, sui fondi propri, concorsi
personali alle spese che ciascun candidato intende fare a proprio vantaggio.
Art. 5 - Le azioni appartenenti al partito debbono essere sempre nominative, siano anche titoli di
stato o titoli emessi all’estero ovvero nelle regioni a statuto speciale dove è consentito per legge
il titolo azionario al portatore. Anche i beni immobili appartenenti al partito debbono essere ad
esso intestati. Art. 6 - È fatto obbligo ai candidati elettorali, siano o no eletti a posti di pubblica rappresentanza,
di presentare alla cancelleria del tribunale competente un elenco delle offerte ricevute e delle
spese sopportate per la propria candidatura. Tali entrate e spese non possono superare lire
200.000 per le elezioni comunali; lire 300.000 per le provinciali; lire 400.000 per le regionali; lire
500.000 per le senatoriali, lire 600.000 per le elezioni a deputato. Nel decreto di convocazione
dei comizi elettorali è precisata, dentro i limiti indicati nel precedente comma, la spesa
consentita ai candidati con riferimento all'ampiezza della circoscrizione e al numero degli
elettori. Il disposto degli ultimi tre commi dell'articolo 3 della presente legge è esteso ai
finanziamenti, contributi e offerte per i singoli candidati.
Art. 7 - Ogni cittadino può prendere visione degli statuti e dei rendiconti annuali ed elettorali dei
partiti e dei singoli candidati. Può anche denunziare alla magistratura eventuali violazioni di
legge. In caso di accertata violazione delle disposizioni degli articoli precedenti si procederà
anche d’ufficio ai sensi di legge. La omissione del deposito degli atti può essere punita con la
multa da 500 mila lire fino a due milioni. In caso di recidiva, la multa è raddoppiata. La
violazione delle disposizioni riguardanti i finanziamenti e le spese è punita con la multa fissa di
lire 500,000, oltre l’aggiunta da tre a dieci volte la somma riscossa o pagata illecitamente. In tutti
i casi previsti sono responsabili della violazione di legge tanto chi versa quanto chi riceve.
Art. 8 - Se gli atti depositati nella cancelleria del tribunale dai partiti e dai singoli candidati
contengono tali omissioni e inesattezze da potersi dedurre essere stata occultata o alterata la
verità, i responsabili sono puniti a norma dell'articolo 483 codice penale, per falsità commessa
dal privato in atto pubblico.
Si è già detto affrontando il tema dell’art. 49 della Costituzione che la proposta di Sturzo
non ebbe alcun seguito: bisognerà aspettare fino al 1974 perché il parlamento dia il
proprio via libera al finanziamento pubblico ai partiti con la legge c.d. legge Piccoli.
2.2 La Legge Piccoli, il referendum abrogativo del 1978 e le prime modifiche negli anni '80
Il finanziamento pubblico ai partiti è introdotto dalla legge n. 195 (c.d. legge Piccoli) del 2
maggio 1974. La norma venne approvata con il consenso di tutti i partiti, ad eccezione del
Pli. In seguito proprio il Pli propose un referendum abrogativo sulla norma ma non riuscì a
raccogliere il numero firme necessario. La legge stabiliva due distinte forme di
contribuzione da parte dello Stato ai partiti politici: una regolata dagli articoli 3 e 9,
consistente nel finanziamento annuale per “l’esplicazione dei propri compiti e per l’attività
funzionale” dei partiti medesimi; l’altra prevista dagli articoli 1 e 2 della stessa legge e
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destinata, invece, al “concorso nelle spese elettorali sostenute per il rinnovo delle due
Camere”: cioè, i cosiddetti contributi o rimborsi elettorali.
Si imponeva l'obbligo di presentazione di un “bilancio” da pubblicare su un quotidiano e da
comunicare al Presidente della Camera - che esercitava un controllo formale assistito da
un ufficio di revisori, cioè il “Collegio di revisori ufficiali dei conti” - e disciplinava anche il
finanziamento privato. La norma nasce, infatti, a seguito allo scandalo Trabucchi (1965) allora ministro delle Finanze, che rischiò di essere incriminato davanti alla Corte
costituzionale per non essersi accorto che alcuni importatori di banane e di tabacco
messicano versavano ampie somme di denaro ad alcuni politici - e lo scandalo Petroli
(1974), quando i segretari amministrativi dei partiti di governo furono indagati dalla
magistratura genovese per aver ricevuto fondi dall’Enel e dalle compagnie petrolifere, per
una politica energetica contraria alle centrali nucleari.
Il parlamento intendeva rassicurare l'opinione pubblica sul fatto che attraverso il
sostentamento diretto dello Stato, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusione e
corruzione da parte dei grandi potentati economici. Tuttavia, a nemmeno due anni dalla
legge Piccoli, che avrebbe dovuto rappresentare una soluzione definitiva al problema delle
tangenti e della corruzione dilagante, il Paese fece di nuovo i conti con gli scandali: la
bufera Lockheed e il caso Sindona.
Nel giugno del 1978 si tiene il Referendum indetto dai Radicali per l’abrogazione della
legge 195/1974. Il referendum non passa, ma la percentuale dei “si” è decisamente alta,
raggiungendo il 43,6%. I promotori del referendum sostenevano che lo Stato dovesse
favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e
quanto necessario per fare politica; le strutture e gli apparati dei partiti avrebbero dovuto,
invece, essere autofinanziate dagli iscritti e dai simpatizzanti.
Nel 1981, con la legge 659 del 18 novembre, s’introducono le prime modifiche che
prevedono un raddoppiamento dei finanziamenti pubblici, il divieto per i partiti di ricevere
finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica
e nuova forma di pubblicità dei bilanci: i partiti devono depositare un rendiconto finanziario
annuale su entrate e uscite, per quanto non siano soggetti a controlli effettivi.
L’ostruzionismo dei radicali blocca invece la proposta d’indicizzazione dei finanziamenti.
2.3 Dal Referendum del 1993 alla legge n. 156/2002: abolizione e reintroduzione dei
“rimborsi elettorali”
Nel 1993, mentre la politica italiana veniva travolta dalla bufera di Tangentopoli, con un
referendum i cittadini furono chiamati ad esprimersi sull’abrogazione degli articoli 3 e 9
della Legge 195/74 e dunque non sui i contributi per le spese elettorali ai partiti politici, che
infatti, nonostante la vittoria referendaria, non furono cancellati dalla nostra legislazione.
Nel dicembre dello stesso anno, infatti, il Parlamento, con la legge n. 515 aggiorna la già
esistente legge sui rimborsi elettorali. La legge è subito applicata in occasione delle
elezioni del 27 marzo 1994 e per l’intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47
milioni di euro. La stessa norma è applicata in occasione delle successive elezioni
politiche del 21 aprile 1996.
Tuttavia, poiché la mancanza di entrate certe per l’attività ordinaria dei partiti non poteva
non avere conseguenze sulla loro già compromessa tenuta, sulla democrazia interna dei
diversi soggetti politici e quindi più in generale sulla vita democratica del Paese, nel 1997 il
15
Parlamento reintroduce una forma di finanziamento pubblico. La legge n. 2/1997 (“Norme
per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici”)
prevede infatti che i contribuenti attraverso la dichiarazione dei redditi possano finanziare
partiti e movimenti politici (senza però indicare quale) con un contributo volontario pari allo
0,4 per cento dell’I.R.P.E.F. La legge introduce, inoltre, l'obbligo per i partiti di redigere un
bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto economico, il cui
controllo è affidato alla Presidenza della Camera, mentre la Corte di Conti può controllare
solo il rendiconto delle spese elettorali.
Nel 1999, con la legge n. 157 del 3 giugno (“Nuove norme in materia di rimborso delle
spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai
movimenti e partiti politici”) si stabilisce che il rimborso non ha alcuna attinenza diretta con
le spese effettivamente sostenute: s’introduce pertanto, ad avviso di taluni, una forma di
finanziamento pubblico indiretto. La legge, che entra in vigore con le elezioni politiche del
2001, prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo,
Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di
legislatura politica completa (l’erogazione viene interrotta in caso di fine anticipata della
legislatura).
Quest’ultima legge è stata, a sua volta, oggetto di referendum abrogativo nel 2000, ma la
consultazione non ha superato il quorum di partecipazione. Addirittura nel 2002, con la
legge n. 156, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che modifica ulteriormente la
normativa trasformando in annuale il fondo e abbassando dal 4 all'1% il quorum per
ottenere il rimborso elettorale, il finanziamento già previsto di circa 194 milioni arriva a
quasi 469 milioni di euro: l’ammontare del rimborso per le elezioni, le 4.000 lire “a voto”
precedentemente previste, è convertito in 1€ e l'importo dei fondi non è riferito all’intera
legislatura ma a ciascun anno della stessa. Sopravvive la norma che prevede
l’interruzione dell’erogazione in caso di fine anticipata della legislatura rispetto alla naturale
scadenza. Nel 2006, però, si stabilisce che l’erogazione del rimborso è dovuta per tutti e
cinque gli anni di legislatura anche se la legislatura si conclude prima del tempo (legge n.
51).
2.4 Il Rapporto Greco sulla trasparenza del finanziamento dei partiti in Italia e la riforma
del 2012
Le varie storture del sistema italiano di finanziamento della politica sono state evidenziate,
nel marzo 2012, da un “Rapporto di valutazione sulla trasparenza del finanziamento
dei partiti politici”, redatto dal GRECO (Groups d'Etats contre la Corruptions/Group of
States against Corruption), un organismo formatosi in seno al Consiglio d'Europa per
aiutare gli Stati aderenti nella lotta contro la corruzione.
Nello stesso anno, a luglio, il Parlamento approva la “riforma” del finanziamento pubblico.
La legge n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici interviene sulla
disciplina dei rimborsi elettorali e sul controllo dei bilanci dei partiti, con l’obiettivo di
garantire la trasparenza e la correttezza della loro gestione contabile.
Le principali innovazioni del provvedimento, che ha origine da alcune proposte di legge di
iniziativa parlamentare presentate alla Camera (A.C. 4826 ed abbinate), sono le seguenti.
Riduzione dei rimborsi. I contributi a carico dello Stato in favore dei partiti politici sono
16
ridotti del 50% (anche quelli in corso di liquidazione).
Cofinanziamento. Viene modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il
70% degli stanziamenti a favore dei partiti viene erogato a titolo di rimborso per le spese
sostenute in occasione delle elezioni e come contributo per il finanziamento delle attività
istituzionali dei partiti, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento del
partito ed è erogato in maniera proporzionale alle quote associative e ai finanziamenti
privati raccolti.
Controlli e sanzioni. Si prevede l’obbligo di sottoporre i bilanci dei partiti al giudizio di
società di revisione iscritte nell’albo della CONSOB. Il controllo dei bilanci revisionati è
affidato ad una Commissione di nuova istituzione composta da 5 magistrati designati dai
vertici delle massime magistrature (Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti). È
previsto un articolato sistema di sanzioni che possono arrivare anche alla decurtazione
dell'intero importo dei contributi nel caso di mancata presentazione del bilancio.
Trasparenza. I documenti di bilancio sono pubblicati (anche in formato open data) sul sito
internet del partito o del movimento e in apposita sezione del sito della Camera. Viene
ridotto l’importo (da 50 mila a 5 mila euro) al di sopra del quale è necessario dichiarare
pubblicamente i contributi dei privati ai partiti.
Statuti dei partiti. Per accedere ai contributi loro spettanti i partiti devono dotarsi di uno
statuto, conforme ai principi di democrazia interna, e di un atto costitutivo che trasmettono
ai Presidenti delle Camere.
Detrazioni fiscali. La detrazione dall’imposta delle erogazioni liberali ai partiti, ora al 19%,
passa al 26% e viene abbassato (a 10.000 euro) il limite massimo dell'importo detraibile.
L'innalzamento dell'aliquota al 26% viene estesa anche alle donazioni a favore delle
ONLUS.
Limiti di spesa per le campagne elettorali. Viene fissato un tetto di spesa delle
campagne elettorali anche per le elezioni europee e per le comunali, analogamente a
quanto avviene per le elezioni politiche e regionali.
Pari opportunità. Qualora un partito o movimento politico abbia presentato, nel
complesso dei candidati ad esso riconducibili, un numero di candidati del medesimo sesso
superiore ai due terzi del totale i contributi pubblici ad esso spettanti sono ridotti del 5%.
Delega. Il Governo è delegato ad emanare un testo unico che raccolga tutte le
disposizioni in materia di finanziamento della politica entro 120 giorni dalla data di entrata
in vigore della legge. Tale delega non è stata esercitata.
È da tenere presente che la riduzione dei contributi pubblici ad opera della legge 96/2012
si pone a conclusione di un ciclo di interventi normativi che ne hanno progressivamente
ridotto l’entità. Già nella XV legislatura, la legge finanziaria 2008 ha ridotto di 20 milioni di
euro (circa il 10%) l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e
movimenti politici delle spese elettorali e referendarie (L. 244/2007, art. 2, co. 275).
Successivamente, nella XVI legislatura l’importo dei contributi è stato ridotto prima del
10% dal decreto-legge 78/2010 (art. 5, comma 4), e poi di un ulteriore 10% dal decretolegge 98/2011 (art. 6). Queste due ultime riduzioni, che avrebbero dovuto applicarsi a
partire dalla legislatura successiva, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla
legge 96/2012, che ha trovato immediata applicazione anche sui contributi in corso di
erogazione.
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2.5 L’abolizione del dicembre 2013 per decreto legge
Come si è visto (cfr. par. 1.4), l’esame in Senato del decreto sul finanziamento pubblico
dei partiti (decreto-legge n. 149/2013) è ancora alle battute iniziali, anche se entro il 26
febbraio il provvedimento dovrà ottenere il sì delle Camere per poter entrare in vigore ed
avere effetto da subito. Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, la sostituzione graduale dei
fondi pubblici con il meccanismo del due per mille slitterà di un anno e il finanziamento
resterà pubblico e diretto per tutto il 2014.
Il provvedimento è finalizzato all’abolizione dei contributi pubblici ai partiti come
attualmente disciplinati e la loro sostituzione con agevolazioni fiscali per la contribuzione
volontaria dei cittadini (detrazioni per le erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2
per mille IRPEF). L’accesso a queste forme di contribuzione è condizionato al rispetto di
requisiti di trasparenza e democraticità indicati del disegno di legge, in cui si prevede
anche l’istituzione di un registro dei partiti politici ai fini dell’accesso ai benefici.
Il testo originario del disegno di legge del Governo prevedeva anche una serie di benefici,
in favore dei partiti, di natura non monetaria, quali la disponibilità di immobili pubblici a
canone agevolato e la concessione a titolo gratuito di spazi televisivi da parte del servizio
pubblico radiotelevisivo. Nel corso dell’esame in sede referente tale previsione è stata
soppressa. Tra le altre modifiche apportate dalla Camera si segnalano inoltre:
– l’obbligo di allegare ai bilanci dei partiti anche i bilanci delle sedi regionali e quelli
delle fondazioni afferenti al partito
– l’introduzione di sanzioni pecuniarie in caso di violazioni relative alle modalità di
presentazione dei rendiconti
– la riduzione delle risorse loro spettanti per i partiti che non rispettano norme in
materia di parità di accesso alle cariche elettive
– l’estensione dell'accesso ai benefici anche ai partiti nuovi purché abbiano un
gruppo parlamentare di riferimento in entrambe le Camere
– l’introduzione di un tetto alle donazioni dei privati (300 mila euro) e delle persone
giuridiche (200 mila euro)
– la riduzione delle detrazioni per le erogazioni liberali (la prima aliquota del 52%, per
gli importi tra 50 e 5 mila euro, è stata portata al 37%, per importi tra 30 e 20 mila
euro mentre la seconda rimane al 26%, ma la fascia di riferimento diventa quella
degli importi tra 20 mila e 70 mila euro)
– la riduzione dell'autorizzazione di spesa per il 2014 a copertura del 2 per mille (da
21,4 a 7,75 milioni)
– la previsione di un apposito codice di autoregolamentazione delle raccolte
telefoniche di fondi
Con questa disciplina viene superata la parziale riforma della legge 96/2012, con la quale,
al sistema dei rimborsi elettorali, è stato affiancato il cofinanziamento dello Stato,
proporzionato alle capacità di autofinanziamento dei partiti, che viene abolito. Della legge
96/2012 viene mantenuta la parte relativa alla trasparenza e ai controlli dei bilanci, come
pure il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici, ivi introdotta per la prima
volta.
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Per quanto riguarda le forme di contribuzione alternative disciplinate dal disegno di legge,
di fatto si tratta del potenziamento di un istituto già previsto dall’ordinamento (la detraibilità
fiscale dei finanziamenti privati) e di un meccanismo (quello del 2 per mille) sperimentato
per un breve periodo nel 1997 (L. 2/1997 e, in gran parte, abrogato dalla L. 157/1999).
2.6 Il regime del finanziamento nelle esperienze straniere e il finanziamento pubblico ai
partiti europei
Nel settembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento
relativa allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni
politiche europee, volta a sostituire il vigente regolamento (CE) n. 2004/2003,
introducendo alcune novità. In particolare la proposta intende:
– riconoscere ai partiti politici europei ed alla fondazioni ad essi collegati una
personalità giuridica europea, che subentrerebbe alle personalità giuridiche
nazionali eventualmente preesistenti, consentendo di superare gli ostacoli legati
alle diversità degli ordinamenti giuridici nazionali (attualmente i partiti politici europei
e le fondazioni, benché ricevano fondi dal bilancio dell’UE, sono soggetti giuridici
nazionali);
– prevedere norme minime sulla democrazia interna dei partiti politici europei tra le
quali, in particolare, l’elezione democratica degli organi di partito e criteri chiari e
trasparenti per la selezione di candidati e l’elezione dei titolari di cariche pubbliche;
– introdurre forme di trasparenza e controllo più incisive sulle loro attività e su quelle
delle fondazioni, prevedendo in particolare sanzioni per le violazioni dei valori
dell’UE e delle disposizioni del regolamento;
– elevare il tetto delle donazioni individuali ai partiti politici a livello europeo dagli
attuali 12.000 a 25.000 euro su base annuale.
La presentazione della proposta tiene conto, secondo quanto indicato dalla Commissione,
delle innovazioni introdotte nel titolo II del Trattato sull’Unione; particolare rilievo
assumono i commi 3 e 4 dell’articolo 10 del Trattato, i quali prevedono che ogni cittadino
ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione e che i partiti politici a livello
europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la
volontà dei cittadini dell’Unione. La proposta recepisce altresì alcune delle indicazioni
contenute nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 6 aprile 2011 nella quale
si sottolineava che:
– attualmente i partiti politici a livello europeo non si trovano in condizioni di svolgere
compiutamente tale ruolo perché rappresentano soltanto organizzazioni ombrello
dei partiti nazionali;
– i partiti politici dovrebbero conformarsi a modelli organizzativi generali convergenti e
che ciò possa essere raggiunto solo attraverso uno loro status giuridico e fiscale
comune ed una personalità giuridica basata sul diritto dell'Unione.
– sulle questioni che riguardano sfide europee comuni e l'Unione europea, i partiti
politici a livello europeo debbano interagire e competere a tre livelli: regionale,
nazionale ed europeo;
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– tutti i partiti politici a livello europeo dovrebbero conformarsi alle norme più rigorose
di democrazia interna (in materia di elezione democratica degli organi del partito e
di processi decisionali democratici, anche con riferimento alla selezione dei
candidati).
Per una ricognizione su quanto accade in Europa e nel resto del mondo rispetto al
finanziamento pubblico dell’attività dei partiti politici, è possibile consultare l'International
Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA), un’organizzazione
intergovernativa mondiale il cui obiettivo è quello di sostenere il rafforzamento delle
istituzioni e dei processi democratici mediante lo studio comparato.
Oltre ai già citati rapporti GRECO e Amato (Nota sul finanziamento della politica), per una
rassegna sul finanziamento della politica in Europa e nel mondo è possibile consultare
anche i seguenti documenti:
– Il finanziamento della politica in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna,
Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera, Camera dei deputati Dossier
n. 2 – Giugno 2013
– Statuto e finanziamento dei Partiti Politici europei e delle fondazioni politiche
europee, Ufficio rapporti con l’Unione Europea, Camera dei deputati, Dossier,
n.136-Ottobre 2012
– Il finanziamento dei partiti in Italia e in Europa, a cura dell’Ufficio
Documentazione e Studi Gruppo PD Camera dei deputati, Dossier n. 9 - giugno
2013
2.7 Contributi del dibattito dottrinale sul finanziamento dei partiti
Allegri M. R., Il finanziamento pubblico e privato ai partiti politici europei: il regime
attuale e le modifiche proposte in vista delle elezioni europee del 2014
Flick G. M., Il finanziamento ai partiti: il caso del “caro estinto”, in “Federalismi.it”, n.
12/2012
Foti L., Modifiche alla legge sui rimborsi elettorali e dibattito sul finanziamento
pubblico ai partiti
Porena D., Nuove «norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei
partiti e dei movimenti politici»: come cambia in Italia il sistema di finanziamento
pubblico alla politica
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