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Collana
Di Viole e d’ombre e altri racconti
A cura di Fabio Fox Gariani
Editing e Redazione:
Fabio Fox Gariani e Angioletta Storaci
Progetto grafico e impaginazione: Roberta Toresani
Stampato da: Centro Stampa Moderna
In copertina: Foto del “Chiostro dei Glicini”, Società Umanitaria
indice
Presentazione
7
Rotary International
9
Prefazione
11
Di Viole e d’ombre
15
Quel de la Mascherpa
47
Cascina Cuccagna
75
Piazza Grandi
107
Due mondi a confronto
139
La scuola dei bianchi
159
Un pò più a Nord
187
La necessità del fare
207
Le cose non sono come sembrano
239
Generale Koster
259
Bruxa
281
Postfazione
365
Biografie autori
389
Cenni storici
397
generale Koster
di Marco Cantoni
A mio figlio Matteo,
perché il suo sorriso lasci un segno in ogni sguardo che incontrerà.
“Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi.
Gli occhi vedono solo ciò che è limitato.
Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già,
allora imparerai come si vola (...)
Si rese conto d’un tratto che il suo amico
non era più divino di quanto lui stesso non fosse. Senza limiti.”
di R. Bach, da “Il gabbiano Jonathan Livingstone”
Jacopo Foresti anche quella sera, prima di coricarsi, si sedette a gambe incrociate in sala davanti all’ampia finestra che dava sul balcone. Gli piaceva scrutare attraverso i vetri la notte milanese: le stanze illuminate dei palazzi adiacenti,
le luci fioche e giallastre dei lampioni lungo la strada, il rumore ovattato delle
auto che passavano qualche decina di metri sotto di lui. Sentiva il brusio lento
dello scorrere della vita, il suo e quello degli altri là fuori. Poi subito dopo puntava lo sguardo verso l’alto, in direzione dell’immenso foglio nero uniforme
posto sopra la sua testa reso disomogeneo solo da qualche sole, così lontano
e isolato nello spazio da percepirlo ancora più freddo di Plutone45, avamposto
del lontano sistema solare.
Pensava e scrutava alla ricerca di qualche improbabile segno; alieno, soprannaturale o forse solo umano
La sua vita ultimamente si era rivelata molto diversa da come, in realtà, aveva
pensato potesse essere; ancora una volta il destino aveva mostrato più fantasia di lui. Come un metronomo la sua esistenza oscillava sempre attorno allo
stesso punto: la gente nasceva, moriva, si evolveva. E lui era sempre li, apparentemente fermo, intento a scrutare il mondo da quel rettangolo di cielo.
Era come se avesse cucinato con cura una ciambella. Ma poi quando finalmente gli sembrava cotta a puntino, estratta con cura dal forno, notava con sorpresa e disappunto che il buco era molto più grande di quello che avesse immaginato; di sostanza attaccata al bordo della pentola ne rimaneva ben poca.
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Plutone: il nono ed ultimo pianeta appartenente al Sistema Solare.
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generale Koster
Da quando Laura se ne era andata quel buco aveva iniziato a crescere: lo stava
divorando pian piano, lentamente ma inesorabilmente, simile ad una ameba
protoplasmatica. E lui come uno spettatore passivo non era in grado di fare
altro che osservare quello scempio. Quasi che la cosa non gli interessasse, che
in fin dei conti non fosse poi affare suo.
Quella notte, davanti a quel panorama cittadino-stellare sicuramente poco
suggestivo che a Jacopo trasmetteva comunque sempre forti emozioni, giunse ad una semplice conclusione.
Era giunta l’ora, finalmente, di vendere quella casa.
“Basta, è ora di venderla. Sono troppi i ricordi che continuano a fluttuare in questi
locali. I sapori e gli odori di lei ormai hanno impregnato anche i muri. Domani
mattina prima di andare in ufficio passerò in agenzia.” pensò prima d’alzarsi dalla posizione più conosciuta della disciplina Yoga.
Fece un respiro profondo, si passò la mano sinistra tra i folti capelli castano
scuro; appoggiò poi con decisione entrambi i palmi delle mani sul pavimento
sollevando così tutto il suo corpo ossuto e spigoloso fino a trovarsi in posizione eretta.
Il divario tra rilassamento fisico e tensione emotiva scomparvero. Jacopo si ritrovò in piedi.
Diede un ultima controllata a quello scorcio di città e andò a sognare stelle,
donne e camere sconosciute.
La matricola AC21345 quel giorno era molto agitata.
Non che avesse ancora molta esperienza, ne era ben conscia. Sicuramente
però l’incarico che le era stato affidato non risultava per nulla semplice. Oggi
era il giorno di relazione quindicinale, era giunta l’ora dell’incontro col Gran
Capo. E purtroppo non aveva ancora fatto alcun passo avanti per districare
quella matassa. Soprattutto non sapeva bene che strategia seguire per il proseguimento della missione. O per lo meno, forse una soluzione poteva esserci
ma ben sapeva che avrebbe trovato in quel momento una ferma opposizione
da parte del Gran Capo stesso.
Una fredda voce metallica proruppe dall’altoparlante, pronunciando il suo
nome:
- E’ il turno della matricola AC21345. Con passo incerto quasi tremolante, si diresse in direzione della porta. L’aprì a
fatica ed entrò nella stanza.
Come al solito quella luce bianca potentissima lo inondò, avvolgendolo. Era
impossibile vedere qualcosa con tutto quel chiarore latteo diffuso; estrasse al-
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lora dalla tasca la mascherina di protezione degli occhi indossandola con un
gesto automatico a dir poco teatrale.
- Allora, matricola AC21345 cosa mi dice? Qualche passo avanti rispetto all’ultima volta? Come pensa di potere aiutare il nostro assistito ? – chiese la voce
baritonale del Gran Capo.
- Di passi avanti veramente… mi sa che non ce ne sono. Sto cercando ancora di
analizzare tutti i possibili scenari. Ma certo il soggetto non mi aiuta. - Beh, aspettare che siano loro ad aiutare noi fa un po’ sorridere cara la mia
matricola AC21345. Vorrei ricordarle che la nostra missione è quella di sorreggere individui in difficoltà, soggetti che pare non riescano ad uscire da certe
situazioni contando solamente sulle loro energie. A proposito il suo assistito
come sta? - Domandò la voce senza inflessioni.
- Non molto bene. E’ sempre depresso. Osserva, come fosse un soggetto estraneo, il lento declino della sua esistenza - Rispose precisa la matricola.
- Noi sappiamo che il punto sul quale dobbiamo agire, su cui possiamo fare
leva è quella scoperta legata ad un evento passato del quale il soggetto stesso
non è a conoscenza.
E’ davvero di vitale importanza che gli venga svelata la verità. - Questo lo so. Oltretutto ha preso una decisione che non ci aiuta; venderà casa
e andrà a vivere da un’altra parte. - Convenne AC21345.
- Ma questo fatto è davvero un disastro! Se cambia zona diviene praticamente
impossibile fare in modo che avvenga l’incontro. Abbiamo davvero poco tempo a disposizione. Bisogna agire al più presto -.
- Forse un idea ce l’avrei Eminenza. - Accennò timidamente la matricola.
- Pensava forse di recarsi direttamente sul luogo? - La voce vibrò incuriosita.
- No, non pensavo a questo veramente. Sa, la distanza è considerevole. E poi
anche se fossi là non saprei proprio come poterlo aiutare. - Per quanto riguarda la distanza, invece di utilizzare i mezzi tradizionali potrebbe impiegarne uno speciale. Immagino che sappia bene a cosa mi riferisco. Quando poi sarà là di persona magari le viene in mente qualcosa. Alla povera matricola AC21345 gli si alzarono all’improvviso, involontariamente, tutte le prominenze che possedeva. Lottò per fare uno sforzo mentale
perché ubbidissero al suo pensiero, costringendole a riabbassarsi.
Sapeva bene cosa intendeva il Grande Capo quando parlava di mezzo speciale. Non ci era mai entrato in uno di quegli affari, ma aveva sentito racconti
di altre matricole e di semplici cadetti che avevano avuto un’esperienza a dir
poco terrificante con quel mezzo di trasporto.
Deglutì quel ramarro che si teneva in gola, poi con voce tremolante disse:
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generale Koster
- E se provassimo con il raggio verde? - Il raggio verde? Ma sa quanto è rischioso? Oltre ai problemi tecnici legati
al puntamento direzionale, sa quanto può essere pericoloso da un punto di
vista psicologico utilizzare tale strumento. Invece di fare del bene potrebbe
anche peggiorare la situazione, creare una sorta di panico nell’individuo che
potrebbe leggerlo come un segno sinistro, premonitore. E’ chiaro che spetta
a lei scegliere perché si tratta del suo assistito ma in questo momento glielo
sconsiglio. Faccia un tentativo di persona, si rechi direttamente lei laggiù. Teniamoci il raggio verde come ultima carta. - Sentenziò il Grande Capo.
AC21345 annuì. Sapeva di non avere altra scelta.
- E quando potrei partire ? - Subito. Domani mattina. Vi sono le condizioni astrali migliori, i nostri calcoli
sono precisi. In caso contrario dovrebbe aspettare venti giorni e lei sa che a
quel punto potrebbe essere troppo tardi. Alla matricola si gelò il sangue che non possedeva.
Salutò rispettoso con la protuberanza mediana il Grande Capo ed uscì dalla
stanza, rassegnato.
Già sapeva che quella notte non avrebbe chiuso alcuna cavità vagamente simile ad un bulbo oculare. D’altra parte, anche per un Angelo Custode il solo
pensiero di entrare in un Buco Nero, superare il bordo dell’orizzonte degli
eventi46, il vortice stimolante del campo gravitazionale della singolarità quantica47, l’essere in intimo contatto con bosoni e particelle affini, e d’utilizzarlo
come mezzo di spostamento era qualcosa di rischioso e terrificante.
Se avesse potuto provare una vera, sana, totale paura umana, quella sarebbe
stata la situazione giusta.
C’era solo un pensiero che lo rinfrancava: sapeva che in quella città del pianeta
Terra c’erano delle discoteche niente male. Chissà, magari sarebbe riuscito a
farci un salto. Mise in valigetta il suo vestito bianco, la camicia rosa e i mocassini appena lucidati.
“Che balli e che conquiste avevo fatto un po’ d’anni fa con questo armamentario!”
pensò melanconica la matricola AC21345.
Orizzonte degli eventi: superficie immaginaria intorno ad un Buco Nero. La velocità
di fuga all’interno di questo spazio sarebbe maggiore di quella della luce. Nulla può
impedire a oggetti o radiazioni esterni di varcare l’orizzonte.
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Singolarità quantica: luogo in cui le leggi della fisica quali le conosciamo perdono la
loro validità.
Quella mattina Jacopo si alzò di buon ora; doveva passare in agenzia per la
vendita della casa prima di andare al lavoro.
Anche il suo Angelo Custode s’alzò presto; doveva prendere il Buco Nero principale per spostarsi dalla Galassia M33, visibile solamente alle frequenze relative ai raggi ultravioletti, alla Via Lattea.
In particolare doveva raggiungere un insignificante stella di nome Sole, una
nana gialla, planare su di un piccolo pianeta chiamato Terra e poi scendere più
precisamente in una nazione di nome Italia dove, aggrappata al centro nord,
sorgeva una città chiamata Milano, in una zona semiperiferica vicino alla linea
metropolitana identificata come “linea gialla”. Un gioco da ragazzi per lui.
Jacopo dopo avere fatto colazione prese la metro gialla “linea tre” in direzione
del centro. Il solito tragitto abitudinario che faceva tutte le mattine. L’avrebbe
potuto fare quasi ad occhi chiusi.
Lo stesso discorso non poteva certo dirsi per la matricola AC21345. Lo portarono su un Drogante, una creatura aliena simile ad un Dromedario gigante
provvisto d’ali simili ad un drago, in grado di muoversi nell’iperspazio48 tra gli
ammassi galattici, fino al confine spiraliforme della Galassia M33. Poi gli dissero: - Forza amico, è il momento di scendere. Noi ovviamente non ci pensiamo
nemmeno a portarti più in là. - Disse l’Angelo comandante.
Scese contro voglia e lentamente si diresse verso l’abisso vorticante sotto di
lui, in direzione del baratro del Buco Nero. Quello che apparve ai suoi cinquantaquattro sensi fu l’immagine più sconvolgente che qualsiasi mente dell’Universo potesse concepire. Sotto i suoi piedi c’era il nulla.
Uno spaventoso vortice nero che inghiottiva ogni cosa s’apriva come un’impossibile spaccatura circolare nel tessuto dell’universo: stelle, pianeti, civiltà
intere venivano risucchiati inesorabilmente al suo interno.
Si vedevano forme di qualsiasi genere roteare vorticosamente, collassare e
subito dopo implodere, per poi disintegrarsi dentro le pareti di quell’imbuto
siderale. Raccolse tutto il coraggio di cui era dotato, chiuse gli occhi e con un
balzo a piè pari si buttò dentro.
Anche Jacopo in quello stesso istante socchiuse gli occhi in metropolitana.
Cominciò a ricreare pian piano quel pensiero ricorrente che spesso gli capitava di fare quando si trovava su un convoglio della metropolitana. Percepì la
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Iperspazio: spazio a quattro dimensioni secondo le moderne teorie fisico-matematiche legate ai modelli cosmologici sull’origine e l’evoluzione dell’Universo.
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generale Koster
sensazione netta di risucchio all’interno del suo inconscio.
Immaginò che la metrò, dopo la fermata di Crocetta, cominciasse ad accelerare
sempre di più, totalmente fuori controllo.
Dopo circa un minuto dall’ultima fermata, tutte le persone presenti sulla carrozza
avevano iniziato a chiedersi cosa stesse succedendo, gli sguardi seriamente preoccupati.
Perché il convoglio non si era fermato alla stazione successiva accelerando sempre più? Missori, Duomo, Monte Napoleone. Niente da fare.
Le stazioni passavano come schegge impazzite oltre i finestrini della carrozza;
sfrecciavano a velocità supersonica tanto che quasi i passeggeri non riuscivano
nemmeno più ad intravedere le pensiline delle fermate, fuse in un caleidoscopico
fotogramma colorato.
La gente, ormai terrorizzata, era in preda al panico. Quei vagoni di disperati si trovavano ora all’ultima fermata; tutti, compreso Jacopo, pensavano ormai ad un
impatto catastrofico che avrebbe ridotto le carrozza ed il loro contenuto a poco
più che poltiglia.
Contro ogni logica la metropolitana aveva proseguito la sua folle corsa: non
v’erano più fermate, ma continuava a macinare vorticosamente chilometri di binari impossibili.
I passeggeri erano pressati in fondo alle carrozze a causa dell’impressionante velocità raggiunta dal convoglio.
Le urla si erano fatte sempre più inumane, rivestite di un terrore puro.
Ad un certo punto anche la luce dalle carrozze era stata risucchiata da quel vortice. Quando pareva che tutto fosse finito, la morte imminente per l’impatto, ormai
inevitabile, la metrò aveva cominciato a rallentare fino ad arrestarsi dolcemente.
Tutte le persone, dopo i primi momenti di stupore, avevano iniziato a scendere,
confuse e barcollanti. Per ultimo Jacopo che, come ogni altra volta, si era ritrovato
in un’enorme piazza sotterranea, sempre la stessa, con cinquanta uscite e sempre
con la medesima domanda:
“Da che parte andare, dove porta ogni uscita, qual è la mia ? Non so scegliere, non
ce la faccio. Vi prego qualcuno decida per me!”
Quando la matricola AC21345 si riprese, si trovò sdraiata supina in un giardinetto con un grosso naso di cane Labrador proprio sopra di lui che pareva
annusarlo con curiosità.
A fatica, ancora stordito per il balzo oltre l’orizzonte degli eventi, si rimise in
piedi.
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La sensazione che invase subito tutto il suo nuovo pseudo corpo umano era
più simile ad un calzino appena rovesciato: lo stomaco fluttuava al posto della
testa e viceversa. Barcollò prima di riprendere il controllo di tutti i nuovi sensi.
Pareva integro ed anche i suoi pensieri erano tutti lì, ordinati e raggruppati al
loro posto, raccolti come in un archivio, pronti per essere estratti uno per uno.
Jacopo riaprì gli occhi con un sobbalzo: si trovava già alla fermata della Stazione Centrale.
“Accidenti a me e ai miei incubi… ho superato la fermata della agenzia immobiliare. Sarà per un altro giorno.” pensò seccato ma al tempo stesso rincuorato.
“Certo, vedere una persona e la sua sofferenza da vicino fa tutto un altro effetto.
Un conto è seguirla con lo sguardo da lontano, vedere i suoi passi goffi, sentire la
sua voce insicura. Ma da vicino è tutta un’altra cosa; annusi l’odore della disperazione, della solitudine, tasti direttamente la sofferenza logorante. Ora io sto qui e
devo fare qualcosa per questo ragazzo, devo fargli capire che non tutto è insensato e caotico in questa esperienza terrena.” Pensò seriamente preoccupato la
matricola AC21345.
Stava a pochi passi da Jacopo; lo vedeva cucinarsi svogliatamente qualcosa,
fissare la tv accesa, monotona, con la mente che continuava a volteggiare verso altri lidi, perso nel suo vuoto interiore.
Ogni azione svolta era per lui come camminare nella neve fresca sprofondando fino alle anche mentre uno zaino imbottito di sassi lacerava le spalle. Da
Jacopo traspariva quel male oscuro che attanaglia la mente, che non lascia
più spazio ad alcun sogno, ad alcun ideale da seguire, ad alcun progetto di
riscatto.
Jacopo spense la tv, poi la luce. Rimase al buio anche quella sera sedendosi a
gambe incrociate davanti alla finestra in posizione Yoga. L’Angelo custode stava seduto sul divano a pochi metri dietro di lui, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e i palmi delle mani che sorreggevano il mento, pensoso e preoccupato.
Gli occhi di Jacopo iniziarono a scrutare i piani illuminati del grattacielo di
fronte alla sua casa, quasi cercassero di penetrare nella sua struttura d’acciaio
e cemento.
“Chissà chi abita al diciannovesimo piano? C’è sempre una luce calda che esce da
quella porta finestra. Chissà se anche il cuore del suo proprietario emana lo stesso
calore? Oppure anche lui sente un gelido inverno nel cuore? E al diciassettesimo
piano chi ci starà? Si intravedono a volte diverse ombre…forse una famiglia, magari dei bambini che ora sognano beatamente. Quante luci, quante storie, quanti
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generale Koster
pezzi di vita.” pensò, mentre con l’immaginazione spaziava in quel mosaico
colorato.
“Domani devo entrare assolutamente in azione, devo cercare di spingerlo verso
quei giardini. Lui ogni tanto ci va, ogni tanto ci passa.” Rifletté l’Angelo, scrutando la sagoma filiforme di Jacopo nel buio.
“Quante vite diverse ci saranno in quel palazzo! Ognuno con il proprio nastro, con
una parte registrata, più o meno lunga, e un’altra ancora da scrivere. Chissà cosa
potranno memorizzarci su ancora, quali sensazioni, quali attimi di vita, profumi
ed essenze? Quante stelle in questa notte così limpida…” Pensò Jacopo, fissando
la volta stellata.
“Un odore, un rumore, una visione. Qualcosa dovrà pur incuriosirlo verso quel
giardino. Lui va sempre in direzione opposta, la metropolitana sta verso il viale
alberato, ma è dall’altro lato che deve passare. Là si nasconde il suo segreto. Ognuno ha la risposta al proprio enigma ed il suo è a pochi metri da dove abita. Ma lui
non lo sa!” Giocò con i propri pensieri AC21345, concentrandosi nel tentativo
di trovare una soluzione.
“Si, coloro che vivono in quel grattacielo avranno i propri dubbi, le loro ansie, scheletri nell’armadio da nascondere. Ma forse nessuno come me ha quell’incubo ogni
volta che sale sulla metropolitana… Nessuno forse è così confuso da non sapere
più cosa vuole, cosa gli è successo e di come mai si trova a questo punto. Nessuno
come me ha il timore che il passato abbia sterminato tutti i sogni di una esistenza,
che quel che resta del giorno non sia altro che una sequenza d’immagini sbiadite che riaffiorano dal passato, che ogni azione futura sia comunque segnata dal
rimpianto.”
Jacopo si mosse nell’ombra, accompagnato da un leggero lamento, strappato
a forza insieme ai quei pensieri dalla gola.
“Devo fare qualcosa in fretta. Il ragazzo è proprio giù Rischioso, molto rischioso
che scenda ancor di più nel baratro. Se domani va buca bisogna passare direttamente al raggio verde. Non si può restare inerti ancora a lungo.”
L’Angelo, teso, si alzò di scatto.
Jacopo ruotò gli occhi ancora una volta verso la semisfera stellata del cielo.
Quella notte milanese mostrava, nonostante l’inquinamento luminoso, grappoli di stelle che solitamente erano celate dietro una spessa cortina di smog.
Sarà stato per tutti quegli astri, sarà stato per la sua piccolezza di fronte all’Universo, sarà stato per la sua inadeguatezza nei confronti dell’esistenza, per le
istantanee di Laura che ancora occupavano totalmente la sua mente, che ad
un certo punto una lacrima corse veloce lungo la guancia sinistra continuando
la sua caduta sulla parte laterale del collo. La breccia fu aperta da quella prima
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lacrima; poi poco dopo, come se le altre che stavano tutte quante ancora aggrappate al di sotto delle palpebre, avessero preso coraggio da quella prima
loro intrepida sorella, partirono spedite, coraggiose, gareggiando fra loro nell’intento di primeggiare, rompendo ogni argine emotivo.
Pianse come non gli capitava da molto tempo.
Una tristezza infinita attraversò in quel preciso istante l’Angelo custode. Fu un
dolore che lo sconcertò.
“Quanto è triste non potere aiutare un amico. E’ la cosa più frustrante che può
capitare quando gli si è di fronte… Ti senti completamente inutile, come una marionetta alla quale qualcuno tira i fili, muovendoti. Com’ è insondabile il pianeta
delle lacrime e come può apparire disumano in certi momenti il dolore di questa
esistenza.” Si disse AC21345, lasciandosi ricadere sul divano di Jacopo. Ma il
tonfo non fece ovviamente nessun rumore. Come la disperazione di Jacopo,
soffusa in tutto l’appartamento.
Quella notte trascorsa appollaiato sulla testata del letto non era certo stata
riposante per la matricola AC21345. Si sentiva tanto “Eta Beta”; aveva passato
più di otto ore in bilico sul materasso per stare vicino al suo amico osservandolo durante il sonno.
Jacopo al mattino si alzò alla solita ora, alle sette e trenta. Si fece una doccia, si
rase la barba, preparò la colazione, si vestì.
Scesero poi entrambi in ascensore. Uscirono dalla porta del palazzo ritrovandosi nella via già trafficata a quell’ora. Jacopo girò come al solito a sinistra.
“Che rabbia! Ma dove vai? Sempre di qui, e gira di là; vai verso i giardini, prenditi un
quotidiano e fermati a leggertelo nel giardinetto. Potessi darti un bel calcione nel
sedere… vedi come ti farei cambiare direzione.” Pensò l’Angelo, camminando
dietro di lui.
Con uno sforzo mentale AC21345 provò allora con i suoi poteri ad influenzare
le forze della natura in modo da far cambiare direzione di marcia a Jacopo.
Di colpo s’alzò un grande vento. Una folata tesa e continua si formò da un momento all’altro quasi fosse emersa dall’asfalto proprio di fronte al suo assistito,
che per stare in piedi dovette abbassarsi e allargare le gambe. Jacopo rimase
basito di fronte a quel turbinio così improvviso ed oltretutto focalizzato attorno alla sua persona.
“Che strano fenomeno atmosferico, mai visto niente di simile.” Pensò.
Proseguì, indifferente, in direzione della metropolitana.
“Ma allora sei de coccio? Mò ti sistemo io!” Urlò interiormente l’Angelo, rivelando così le ascendenze laziali della sua precedente esistenza umana, ancorate
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generale Koster
nel quartiere “Garbatella” di Roma.
Provò una seconda arma. D’improvviso, dal nulla, si creò un muro di fetore allucinante; un odore che nemmeno cento scrofe rinchiuse in agosto in un container sarebbero riuscite a produrre.
- E che è? Ha esondato il “re de Fossi” ? - Esclamò ad alta voce Jacopo, portandosi una mano alla bocca. Con un balzo felino si portò dall’altra parte del
marciapiede.
Dopo qualche istante di tentennamento, il tempo per capire dove si stesse
dirigendo l’onda fetida, continuò a camminare sul marciapiede, sempre nella
stessa direzione.
Al povero Angelo cominciò a crescer dentro un incontrollabile nervosismo.
Peccato che non lo si poteva vedere, ma l’abito lindo, completamente bianco
con quel faccione tondo e paonazzo faceva un certo contrasto.
Jacopo scese dai gradini della metropolitana mentre, in preda ad una frustrazione più che terrena, AC21345 prese a battere pugni di rabbia sul cofano
d’una vecchia Ypsilon parcheggiata lì vicino.
“Ho bisogno di sfogarmi, non ce la faccio più! Stasera quando Jacopo se ne va a
letto mi spiace, ma non me ne starò tutta la notte appollaiato su un trespolo ad
osservarlo. Ho bisogno di assorbire energia, di sgranchire le mie vecchie gambe
terrene, di sentire pompare il battito della vita dentro di me. Si… Stasera vado proprio a farmi quattro salti in discoteca. Ieri sera osservavo dalla finestra che ce ne
è una proprio qui sotto. Ragazzi tremate, Tony Manero è tornato.” Pensò, mentre
un sorriso sornione s’impossessava di quella maschera.
Jacopo Foresti com’era suo solito, anche quella sera prima di coricarsi, ripensò
alla giornata trascorsa e, più in generale a che punto si trovava la scialuppa
della sua esistenza.
La mente ad un certo punto prese una direzione ben precisa, un’autostrada
che aveva percorso innumerevoli volte: le donne importanti della sua vita. Non
che ci volesse un grande sforzo mentale per ricordarsele. Erano soltanto due:
Laura e Micole.
“Che dire di Laura? Se n’è andata nel momento in cui avevo un maledetto bisogno che ci fosse qualcuno che credesse nella mia vita più del sottoscritto. Pensavo
fosse lei ma mi sbagliavo. Sono stato uno sciocco ad illudermi che lei potesse mettersi in discussione pur di salvarmi. Era una persona come tante altre: altruista,
sensibile, coraggiosa, innamorata nel momento in cui uno sta bene con se stesso.
Quando l’altro ti fa stare male tutto svanisce e si fa spazio la paura, l’egoismo, il
disinnamoramento. Alla fine, è atroce dirlo, c’è più che altro indifferenza. La crede-
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vo una persona speciale. Ma di speciale ho visto solo la differenza tra un uomo e
una donna, il divario nei confronti della determinazione nel perseguire un’idea, la
diametrale differente visione dei colori della vita. Il guaio è che per me non c’è un
motivo perchè una vita finisca, che un amore si concluda. E la fine di un amore è
la fine anticipata di una vita.” Pensò Jacopo, corrucciato e disilluso, sospeso nel
suo monologo interiore.
“E di Micole, invece? In una sera, in una sola sera ci siamo conosciuti, piaciuti, forse
posseduti, persi. Ma ero così ubriaco che non mi ricordo neanche bene l’evoluzione di quell’ incontro. Che sfiga però… Una volta che incontri una tipa giusta non
ti ricordi neanche bene se ci hai fatto qualcosa! Si, la festa era quella di Pablito
in quel disco pub vicino alla Darsena. C’erano contemporaneamente altri due festeggiati con le loro allegre combriccole. Lei era lì perché amica di una degli altri
due. Anche il ricordo del suo aspetto fisico era ormai offuscato. Colpa delle Tequile
Bum Bum di quella sera, dell’alcol che in quelle ore si era impadronito di me, delle
decine d’altri visi di donne che ho incrociato dopo. Anche il più bel ricordo lentamente ma inesorabilmente svanisce: subentrano nel cervello dettagli di altri eventi che consideri del tutto superflui. La memoria ti frega in questa vita…Distorce la
realtà, sovrappone immagini, confonde i sentimenti.” meditò Jacopo, ispirato da
una forza che gli parve quasi soprannaturale.
“Certo i capelli me li ricordo: biondi e mossi. Gli occhi castani con un leggero taglio
alla giapponese. Ma il sorriso… È soprattutto l’immagine di quel sorriso che ho
di fronte ai miei occhi, oserei dire disarmante. Per quanto mi sforzi non ti ricordo
proprio Micole, di come ci siamo conosciuti. Ho solo in mente io e te appoggiati al
muro ubriachi persi. Non so chi dei due sorreggesse l’altro. Probabilmente stavamo
in piedi per puro miracolo, parevamo due bastoncini di Shanghai. E poi nei miei
ricordi un buio totale per una certa finestra temporale d‘ampiezza assolutamente
incognita. Mi risvegliai in una stanzetta appartata sopra un divano sgangherato
e tu non c’eri più. Mi sentivo stordito, come un pugile che aveva appena ricevuto
il colpo del knock out. Lentamente riaffiorasti dalle tenebre della mia mente, facendoti spazio tra le arterie ancora intrise di alcol. Cominciai a vagare nelle varie
stanze alla ricerca di te. Eri letteralmente sparita. Nessuno ti aveva vista appartata
con me. Pablito, Franz e Gibi avevano perso ogni mia traccia per un paio d’ore. Ma
dove e con chi fossi stato non lo sapevano proprio. Punto e basta. Game over.”
Jacopo s’alzò, si stiracchiò facendo scrocchiare le ossa, portandosi nella spaziosa cucina; aprì il frigo e con un gesto automatico prese una lattina di birra gelata. Un paio di sorsi di quel liquido fresco ridiedero linfa al suo motore.
Rinvigorito, ritornò in salone davanti alla finestra, sedendosi nuovamente per
continuare la solitaria elucubrazione.
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generale Koster
“Tu non sai quante volte sono stato in quel maledetto locale, quante volte ho chiesto a quel povero barista se ti aveva più vista. Nessuno ha saputo aiutarmi, fornirmi anche un minimo indizio per ritrovarti. A volte, sai Micole, mi viene il dubbio
che tu non esisti, che sei frutto solo dei miei neuroni sfilacciati e disarmonici.
Se ci penso, mi sembra d’essere un povero squilibrato perché a cinque anni di distanza sto ancora a pensare a quell’incontro fugace di una sera. Sono un incorreggibile ipersensibile essere romantico che vive spesso in un suo mondo, in un
pianeta fantastico. Poi però mi viene ancora in mente l’energia, la straordinaria
scintilla foto voltaica che si era scatenata dal nostro contatto. Sento ancora friggere tutto il mio corpo alla generazione di quel lampo, sento ancora l’odore di bruciato nell’aria stagnante e fumosa di quel locale. E allora capisco che, a differenza
di Laura, dove tutta la bobina del film è stata avvolta e non vi è nessuna scena
da tagliare o aggiungere, nel nostro caso la trama non è completa, la linea non è
chiusa e qualcosa d’incompiuto volteggia ancora in quella stanza del disco pub,
nei meandri della mia mente come il volo perfetto e silenzioso di un’aquila Si… Un
volo perfetto e silenzioso!”
Fu questo il lungo pensiero di Jacopo prima di andare a coricarsi.
La matricola AC21345 aveva seguito da vicino la contorta elucubrazione mentale del suo amico Jacopo. Ora era però arrivato il momento tanto atteso.
“Insomma, in fin dei conti uno strappo alla regola me lo merito anche.” Pensò.
Estrasse la sua valigetta bianca con sopra disegnate delle nuvolette azzurre
e un cerchio aureolato d’oro; l’aprì e indossò con fare teatrale camicia rosa,
giacca e pantaloni bianchi, mocassini perfettamente lucidati.
Un ciondolo indiano completò la vestizione.
Per ultimo si cosparse il viso con il profumo francese “Eau des Dieux”. Si versò
infine un mezzo chilo di brillantina nei capelli. Si guardò nello specchio e si
disse:
“Però, faccio ancora la mia bella figura!”
Diede un ultima occhiata a Jacopo:
“Dorme come un angioletto…”
Ridacchiò, precipitandosi in planata libera giù dal balcone verso la discoteca
“Tropicana” situata nella via parallela dietro la casa.
La musica suonata da quella sciatta discoteca non era un granché. AC21345
prediligeva le canzoni del suo tempo, la disco anni ‘70. Ora invece era tutta
musica Techno, suoni sincopati e senza una melodia. Tanta era la voglia di ballare e scatenarsi che per l’Angelo anche quella “sinfonia” era un atto liberato-
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rio, una pazza corsa come su di un filo teso posto a diecimila metri di altezza.
La pista era ancora mezza vuota, solo qualche timida figura indefinibile ciondolava nelle sue vicinanze senza che ovviamente s’accorgessero della sua presenza.
Poi pian piano, la gente cominciò ad arrivare a gruppi sparsi ed anche qualche
bella figliola fece capolino dalla porta d’ingresso. Improvvisamente la sua carica energetica aumentò esponenzialmente. Più ragazze, più energia.
Con passo ciondolante che ricordava il Woody Allen di “Sparisci sgorbio” s’avvicinò ad un gruppo di fanciulle dai capelli lunghi, sudate, le schiene nude ed
inguainate in minigonne vertiginose, abbarbicate su tacchi a spillo degni delle cime dolomitiche.
Certo, era un Angelo, ma una pseudo memoria umana era rimasta ancora in lui.
Che diamine: anni e anni di “tacchinaggio” professionale non potevano svanire così nel nulla. Ci sono cose che gli uomini, intesi nel senso stretto di esseri
maschili, si portano dietro come una dote genetica dal primo vagito fino all’ultimo soffio di respiro.
E lui era la prova evidente che questa predisposizione continuasse ad essere
patrimonio umano anche in una vita ultraterrena.
Insomma, l’Angelo si stava proprio divertendo: si sentiva vivo come non si ricordava d’esserlo mai stato da quando stava in quella fredda e lontana costellazione.
Era lui al centro della scena in quel momento; il suo amico Jacopo in quegli
attimi era, sinceramente, un po’ lontano dai suoi pensieri. Poi, all’improvviso, la
musica si spense e calò un silenzio ingombrante sulla pista.
“Eccolo, qui è saltato l’intero impianto! L’ho sempre detto io che le vecchie valvole
e i BJT di potenza sono più affidabili di questi microprocessori sempre più sofisticati!” Pensò guardandosi attorno.
S’accorse subito di un fatto strano: la gente continuava a ballare. Era fermo al
centro della pista avvolto da un silenzio irreale mentre gli altri esseri presenti
nel locale si dimenavano e ruotavano attorno a lui come pianeti legati alla
propria stella.
- Matricola AC21345 cosa sta combinando? - Una voce sovrumana e inquisitoria si levò sopra lui.
Il povero Angelo dallo spavento si rattrappì tutto. Iniziò ad indietreggiare. Goffamente cercò di nascondersi dietro ad un divano, posto in un angolo del locale. Tremava tutto.
- Ma bene, invece di stare di fianco a Jacopo ci divertiamo! - Tuonò severa la
voce possente.
271
generale Koster
Lo riconobbe: era sua Eminenza in persona. Prese il coraggio a due mani e
rispondendo con voce tremante, disse:
- Mi scusi Eminenza ma avevo bisogno di prendere un po’ d’aria, di caricarmi
un po’. Non è facile vivere a fianco del dolore, dopo un po’ ti senti mancare
l’aria. Soffoca. - Allora, a che punto siamo ? - Chiese il Gran Capo tagliando corto.
- Niente, ho provato in tutti i modi a spingerlo verso quei giardini ma non c’è
verso di farlo andare. Lui ha come un sesto senso, sente che quella storia ha
qualcosa d’incompleto ma ovviamente non ne conosce il motivo. Dobbiamo
usare il raggio verde, non c’è altra possibilità. - Sentenziò l’Angelo.
- Lo sapevo già – rispose deciso Sua Eminenza - Si tenga pronto per domani
sera. Alle 23 e 05 il Raggio giungerà li da voi. E speriamo che tutto vada bene.Concluse la voce autoritaria.
- Non si preoccupi - rispose la matricola. Fece una pausa, poi aggiunse:
- Vedrà che andrà tutto per il meglio. - E ora torni su in casa a vedere come sta dormendo il suo assistito. E lasci stare
le ragazze, è un Angelo, perbacco! - Concluse il Gran Capo.
Una vampata di calore s’impossessò del tondo faccione dell’Angelo custode.
Il viso sembrava un pomodoro troppo maturo infilato in un bianco manto di
neve. A stento deglutì i due etti di saliva che aveva in bocca.
- Sì, mi scusi tanto. Non succederà più. - Si limitò a bofonchiare sommesso.
Fece per uscire dalla discoteca.
Prima che la porta alle sue spalle si chiudesse del tutto, per l’ennesima volta
emerse spavalda quella “dote” umana maschile: la testa ruotò di un’angolatura
spiccatamente ottusa, permettendogli di dare un ultimo sguardo a due gambe perfette che spuntavano da sotto una minigonna color oro.
Poi, con estrema facilità, si librò nell’aria e con un soffice batter d’ali giunse sul
balcone della casa di Jacopo, atterrandovi sopra.
Ore 22:45
Jacopo, come d’abitudine, si sedette davanti alla finestra che dava sul balcone,
raggranellando altri frammenti della sua vita.
La matricola AC21345 stava seduta tre metri dietro sul divano, nell’ombra.
Aveva assunto l’identica posizione del suo amico. Era nervoso l’Angelo: sapeva
che i rischi erano elevati. Jacopo invece si crogiolava nella sua disillusione. I
minuti parevano non passare mai. Ogni secondo pesava come un macigno.
Per l’ennesima volta, la “variabile temporale” mostrò tutta la sua imponderabi-
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lità. Non è vero che ogni secondo ha la stessa durata: si contrae e si espande
in maniera spaventosa a seconda dello stato d’animo di chi lo vive, un cuore
pulsante che pompa un flusso all’interno del corpo temporale umano.
Ore 23
Jacopo tirò un sospiro profondo, gettò un ultimo sguardo verso le stelle e si
rialzò. Si diresse con passo dinoccolato verso la stanza da letto.
“Ma che fai, ma sei impazzito?” tuonò l’Angelo custode, alzandosi in piedi costernato.
“In tutte queste notti è sempre stato davanti a quella finestra per almeno mezz’ora
e stasera cosa fa? Se ne va a letto dopo un quarto d’ora…” Borbottò attonito.
Ore 23:04
Jacopo era già a letto con le coperte rimboccate appena sotto il mento, gli
occhi chiusi. L’Angelo agitatissimo prese ad andare avanti e indietro dalla sala
alla camera da letto, impaziente, divorato da un dubbio atroce:
“Cosa faccio? E ora come lo sveglio questo qui?” Si ripeté ossessivamente.
Di colpo gli si illuminò una protuberanza. Si diresse a passi veloci verso lo
stereo e con il potere telecinetico, schioccando le dita nell’aria, riuscì ad accenderlo. D’improvviso le casse spararono la voce di David Bowie che cantò con
la sua voce bassa:
- Can you hear me Major Tom? Can you hear me Major Tom?49Jacopo balzò dal letto sospinto in aria come da un’enorme molla compressa
sotto il sedere. Sconcertato, si precipitò in sala per vedere cosa stesse succedendo.
- Chi cavolo l’ha accesa? - Domandò a se stesso con voce decisa e allo stesso
tempo spaventata. Scrutò nel buio.
Stava per spegnere lo stereo ma, per un riflesso incondizionato, ruotò di poco
la testa verso la finestra. In quel momento comparve nel cielo uno stranissimo
raggio verde, una luce fluorescente smeraldina ed intensa che pareva avere
origine da un punto molto lontano fermandosi sopra la sua casa. Strabuzzò gli
occhi. Pensò subito che fosse la luce proiettata dal “Tropicana”. Si avvicinò con
passi incerti ai vetri.
Notò subito che non era assolutamente la luce della discoteca. Era troppo diversa: partiva dall’alto invece che dal basso e si allungava ed accorciava fer-
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Testo tratto dalla canzone di David Bowie intitolata “Space Oddity”.
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generale Koster
mandosi in certi momenti ad un centinaio di metri sopra la casa, fluttuando
come un pennello sottile, scintillante. Quel raggio sembrava in cerca di qualcosa. Spalancò incuriosito la porta finestra ed uscì sul lungo balcone, il naso
all’insù.
Anche l’Angelo custode lo seguì soddisfatto. La luce allora s’abbasso ulteriormente fino ad arrivare in un piccolo anfiteatro del giardino pubblico che stava
dietro alla casa di Jacopo. Pensò allora che quello stranissimo fenomeno volesse indicargli qualcosa. Era come se gli dicesse:
“Forza Jacopo, vai a vedere cosa c’è laggiù in quel punto.”
Calzò le scarpe e corse ai giardini. Il raggio verde stava ancora lì, fluttuante,
indicando placidamente un muretto distante qualche metro da Jacopo. Quando, con il cuore in gola s’avvicinò a quel punto, il raggio iniziò a ritirarsi sempre
più verso gli abissi della volta stellata, scomparendo da li a poco alla sua vista.
Si ritrovò così in quello spazio verde con indosso soltanto il pigiama e ai piedi i
mocassini: sembrava proprio un folle appena uscito dal manicomio.
“Il raggio verde ha fatto il suo lavoro, ha indicato con precisione il punto in cui si
nasconde il segreto. Speriamo ora nella determinazione di Jacopo e in un pizzico
di fortuna” Pensò l’Angelo seduto sul muretto, le gambe ciondolanti.
Da quell’esperienza paranormale, nei giorni successivi Jacopo cominciò a domandarsi il significato recondito, l’origine di quell’evento: cosa c’era di così
importante in quei giardinetti? Quale segreto si celava laggiù? Iniziò a frequentarli quotidianamente, soprattutto alla sera e al primo mattino ma non
c’era proprio nulla che gli paresse degno di nota. Nessun mistero particolare
aleggiava in quel luogo ameno.
Una notte, consumato da una febbrile curiosità, armato di un piccolo badile, si
mise addirittura a scavare proprio di fianco al muretto; fece una buca profonda
almeno un metro e mezzo ma non trovò nulla, tranne l’umidità della terra e
qualche lombrico solitario.
Provò a prendersi anche qualche permesso al lavoro recandosi ai giardini di
pomeriggio. Ma anche allora non gli parve di notare nulla di particolare. C’erano solo bambini accompagnati dalle mamme che giocavano spensierati: chi
con la palla, chi con la bici, altri indaffarati con quegli umanoidi che si trasformano in macchinine e che vanno tanto di moda oggi, i Gormiti, creature di
fantasia. Nulla di che.
Decise di recarsi lì per l’ultimo pomeriggio: non avrebbe sprecato altro tempo
per qualcosa che gli pareva sempre più un’allucinazione creata dallo stress,
dalla sua mente ogni giorno sempre più stanca.
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C’erano i soliti bimbi che si divertivano. Un gruppetto di tre stava giocando sul
muretto del piccolo anfiteatro centrale con quei robot-macchina.
Notò subito che uno dei tre teneva stretto in una mano, oltre ad uno degli
onnipresenti Gormiti, anche un normale soldatino, di dimensioni molto più
piccole appartenente ad un tipo che gli ricordò nostalgicamente un oggetto
d’altri tempi. Si avvicinò per vederlo un po’ meglio sedendosi sul muretto di
fianco al bambino.
Quel soldatino aveva un non so che di familiare.
Titubante, gli chiese se poteva prenderlo in mano. Il bambino annuì.
Jacopo lo esaminò con attenzione, studiandolo nei minimi dettagli, seguendone le forme plastiche. Aveva il piedistallo mangiucchiato sulla parte destra
e uno sfregio sulla fronte appena sotto il cappello, risultato di mille battaglie.
D’improvviso cominciò a tremare mentre teneva davanti agli occhi con entrambe le mani il soldatino.
- E’ impossibile! Non può essere il Generale Koster… - proruppe a voce alta
- Senti, dove l’hai preso? - Chiese infine al bambino.
- Non so dove l’ho preso. Mi sa che l’ho sempre avuto. Mamma dice che è un
soldatino speciale perché conosce un segreto. Sai, è il mio soldatino portafortuna, difende i Templari del tempio di Kratamon. Rispose con naturalezza il piccolo.
- Ascolta, come ti chiami ? - Matteo. - Il bambino lo fissò perplesso, gli occhi scuri e indagatori.
- Bene Matteo, se ti chiedessi un favore, di darmi il soldatino per oggi tu me
lo daresti? Ti prometto che domani te lo riporto. - La domanda gli uscì dalla
bocca come una supplica.
Matteo sorrise e annuì.
- Domani però me lo riporti, promettimelo. - Esclamò con tono severo.
- Te lo prometto. - Sorrise Jacopo.
Si allontanò dal giardino con passo quanto mai deciso. Era agitatissimo, molto
di più che all’esame di laurea o al primo bacio dato a Laura.
Con il soldatino in tasca si precipitò verso casa. Prese le chiavi del solaio e ci
salì immediatamente. Mentre cercava ansioso di inserire le chiavi nella toppa
della porta si ripetè:
“No, non può essere il Generale Koster, non c’è nessuna risposta plausibile riguardo al fatto che sia andato a finire nelle mani del bambino. No, non può essere…”
Una volta in solaio, inciampò in una vecchia valigia che conteneva chissà quali
ricordi. Cercò la sua scatola dei soldatini, sbuffando, ansando. Alla fine, nascosta in un angolo dietro un vecchio giradischi, la trovò. Era tonda, di colore mar-
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generale Koster
roncino. Si trattava di una cappelliera. Se la ricordava benissimo.
La sollevò con entrambe le mani come una reliquia e, di corsa, scese in casa;
rovesciò tutto il suo contenuto sul tappeto. Saranno stati un centinaio di soldatini. C’erano tutti i suoi eroi dell’infanzia: dalle diverse squadre di calciatori,
Inter e Milan, Lazio e Juventus, ai ciclisti, ai Marines, e ovviamente agli immancabili Indiani e Cowboy.
Li sparpagliò freneticamente con entrambe le mani sul tappeto come i pezzi di
un puzzle. C’erano proprio tutti: l’indiano senz’arco, il Nonno Cowboy, Gianni
Rivera con la maglia numero 10 del Milan, il Pistolero, il Cowboy col lazzo, lo
Scozzese con la cornamusa.
Tutti tranne uno. Il Generale Koster: lui stava in attesa nella tasca della giacca
di Jacopo.
Quasi si sentì svenire. Si lasciò cadere sul divano mentre un turbine di pensieri
disordinati travolse i ricordi nascosti negli anfratti della sua testa. Riprese in
mano il Generale Koster. Non capiva, non capiva proprio come fosse possibile
una cosa del genere. Eppure era assolutamente sicuro che quel soldatino trovato nelle mani di quel bambino fosse il suo.
Era praticamente impossibile che fosse un altro Koster, un clone di plastica.
Era troppo simile: il piedistallo smangiato e soprattutto quella cicatrice fatta
col fiammifero appena sotto il cappello erano del tutto identici al suo vecchio
Generale.
Arrivò la notte. Jacopo era di nuovo seduto nella solita posizione Yoga a gambe incrociate di fronte alla porta finestra. Di fianco a lui il Generale Koster sembrava volergli tendere un attacco e, più indietro, seduto sul divano la matricola
AC21345 che controllava incuriosito entrambi. Davvero un quadretto insolito.
Lo sguardo di Jacopo scivolò più volte dalla stella dalla quale era partito quel
raggio verde misterioso al soldatino ritrovato in un modo altrettanto insolito.
Non capì. Gli parve d’impazzire.
“Cosa hai in mente pazzo furioso di un generale? Qui non si tratta di difendere Fort
Alamo dall’assalto dell’Indiano senz’arco e i suoi compari! Qui c’è in ballo qualcosa di ben più serio, la mia vita… Vuoi forse condurmi verso una missione suicida,
vuoi farmi impazzire?” Pensò sconvolto Jacopo, i nervi a fior di pelle.
Ad un certo punto si mise ad urlare: prese quel maledetto soldatino e lo scagliò contro il muro. Si portò le mani al volto rimanendo in quella posizione per
un tempo che parve eterno. Poi, molto lentamente, le mani cominciarono a
scivolare verso il basso, penzolando inerti.
Nello stesso istante la risoluzione dell’enigma trovò un varco tra i mille pensie-
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ri caotici che gli affollavano la mente.
Così, come per magia, come a volte capita nell’esistenza di ogni individuo, la
soluzione emerge spontanea dai gorghi profondi dell’inconscio, simile ad un
canto angelico sospeso nell’aria. Si accoccolò sul pavimento, le gambe strette
al petto, il mento ossuto appoggiato sulle ginocchia, fermo in posizione fetale,
pronto a rinascere.
“Quella sera, prima di andare a quella festa mi ricordo che passai da mia madre.
Mi disse che non funzionava il telefono. Diedi un occhiata alla presa: era correttamente inserita. Provai comunque ad estrarla e a reinserirla, sollevai la cornetta
del telefono ma l’apparecchio continuava a non funzionare. Andai a vedere dietro
alla tenda dove stava la scatoletta di derivazione. E lì proprio sotto il marmo della
finestra chi trovai? Il generale Koster. Chissà da quanto tempo stava lì. Ricordo che
lo presi e lo misi in tasca del cappotto.”
Il viso di Jacopo cominciò a rilassarsi sull’onda di quei ricordi. Già intravedeva
il prosieguo di quella ricostruzione sommaria.
Strinse più forte le gambe al petto.
“Uscendo di casa salutai mia madre dicendolei che non avevo trovato il guasto
ma che avevo ritrovato un generale coraggioso. Le sorrisi. Poi la sera alla festa, l’incontro con Micole. Ora ricordo che avevo attaccato bottone perché casualmente
lei non trovava la borsa: scoprimmo che era finita sotto il mio cappotto. E così vuoi
vedere che quel gran figlio di…un Generale è uscito dalla tasca del mio cappotto
e si è infilato nella borsa di lei? E’ stato per quindici anni fermo su quella scatoletta
sotto la finestra per aspettare il momento giusto, l’istante per portare a termine la
sua missione più difficile, per contraccambiare il suo padrone di tante avvincenti
guerre fatte assieme.”
Stanco, ma con un sorriso colmo di gioia dipinto in viso, allungò le gambe sul
pavimento, liberando il corpo da quella morsa.
La matricola AC21345 provò un’immensa felicità. Lo scrutò nella penombra
dell’appartamento.
Ce l’aveva fatta, Jacopo aveva trovato la risposta che cercava. La sua vita, il susseguirsi degli eventi, il dolore e la solitudine avevano un senso all’interno della
variabile più misteriosa e insondabile: il tempo. E se aveva trovato una soluzione un po’ il merito era anche suo. Soddisfatto, sorrise.
Ora doveva andarsene. Il raggio invisibile era pronto. L’avrebbe riportato nella
Galassia M33 dove sicuramente l’aspettava una riunione tecnica con il Grande
Capo. Almeno nel viaggio di ritorno a casa gli avrebbero risparmiato la forza
del vortice del Buco Nero e il suo terrificante orizzonte degli eventi.
E poi era giusto che quell’incontro tra Jacopo e Matteo avvenisse in solitudi-
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generale Koster
ne. Ci sono istanti che sono scritti per essere vissuti solo in due, senza alcuna
interferenza, senza alcun rumore che possa disturbare. Quello era proprio uno
di quei momenti.
Abbracciò da dietro il suo amico che ancora stava seduto lì per terra davanti
alla finestra. Poi gli sussurrò:
- Coraggio Jacopo, sappi che nessuno è solo anche quando si sente solo. Jacopo si guardò alle spalle: provò in quel preciso momento un forte senso
di calore, di protezione, un vento caldo che gli sfiorò la nuca, dissolvendosi
rapido nell’aria circostante.
Jacopo si diresse quel pomeriggio puntuale all’appuntamento ai giardini. Lo
vide da lontano, intento giocare come sempre con i suoi due amici.
Anche la matricola AC21345 quel pomeriggio, in un luogo lontano anni luce,
aveva un appuntamento importante con il Gran Capo.
Era curioso di sentire come avrebbe giudicato la sua missione. In fin dei conti
pensava di avere svolto tutto sommato un buon lavoro anche se c’era stato
quel rimprovero al “Tropicana” .
Mentre si trovava sdraiato su un soffice manto erboso color rosa fucsia, in attesa d’essere convocato, notò con piacere poco distante da dove si trovava, due
angeli dai lunghi capelli neri e dalle esili fisionomie che guardavano divertite
nella sua direzione.
Si misero a sorridere cercando di coprirsi timidamente la bocca con le loro
splendide mani affusolate simili a quelle di una pianista.
Alzò la protuberanza alare destra simulando un gesto di saluto, sorridendo
nella loro direzione.
“Carine… sono nuove. Dovrò parlarci prima o poi.” Pensò, seguendo i movimenti flessuosi dei loro corpi eterici.
poi si è ripreso e ha fatto un ottimo lavoro. Quindi le annuncio il passaggio di
grado: sarà promosso a ACS2134550. - Disse il Gran Capo.
L’Angelo si inorgoglì. Stava per uscire dalla porta quando la voce lo bloccò.
- Fermo, dove va? Devo darle ragguagli sulla sua prossima missione. Si tratta di
un pescatore che vive in un’isola. Ha bisogno di aiuto. “O mio Dio. Io che soffro il mal di mare dovrò starmene tutto il giorno su una barchetta in chissà quale isola sperduta. Forse era meglio restare AC e essere mandato sulla terra ferma in qualche grande città.” Pensò l’Angelo.
- Un ultimo dettaglio - disse il Gran Capo - Si tratta di Ibiza, non so se la conosce. L’Angelo, che quando era stato in vita serbava ricordi esilaranti di quel luogo, si
girò, strinse tutte le sue prominenze e felicissimo pensò:
“E vai! Ibiza, regno delle discoteche, sto arrivando.”
Jacopo si avvicinò a Matteo. Ancor prima di parlare sapeva di avere già la risposta. Non voleva crederci, gli appariva troppo incredibile, troppo bella.
Gli sorrise e gli allungò il Generale Koster.
- Questa notte lui ha difeso con onore Fort Apache. Se non ci fosse stato lui i
Cowboys avrebbero perso. - Come, in che senso ? - Chiese il bimbo, il viso sorpreso.
Le mani grandi e quelle piccole si sfiorarono; in quel momento Jacopo percepì
quella stessa fonte di energia straordinaria che s’era sprigionata quella notte,
in quel contatto così intimo, unico, con Micole.
Percepirono uniti il senso della vita e l’amore scorrere dentro di loro. Jacopo
non ebbe più dubbi: Matteo era suo figlio.
Si sorrisero, avviandosi entrambi verso Micole.
Mentre Jacopo si avvicinava a Matteo sentì una voce femminile che chiamò il
piccolo. Ancor prima di vederla seppe che era lei, Micole. Parlava con un gruppo di altre donne e rideva.
Quel sorriso disarmante era rimasto inalterato nel tempo.
La matricola AC21345 entrò rispettosa nella stanza del Gran Capo. La voce baritonale gli disse:
- Venga avanti matricola AC21345, non sia timorosa. Le devo fare i complimenti per la sua missione. Devo ammettere che in certi momenti ho dubitato di
lei, della serietà con la quale affrontava l’impegno, lei sa a cosa mi riferisco. Ma
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ACS : Angelo Custode Senior.
279
autori
DONATELLA LORENZA ITALIA
(Due mondi a confronto)
È nata a Milano il 4 aprile 1984, dove
tuttora vive.
Diplomata al liceo linguistico “A. Manzoni”, si è laureata all’Università Cattolica di Milano nel febbraio 2007 in
Linguaggi dei Media con curriculum
in Cinema, Teatro ed Eventi culturali
con una tesi sul cinema degli anni ’30
e ‘40.
Dopo un’esperienza alla FICTS nella
realizzazione dell’edizione 2005 del
Festival del cinema sportivo “Sport
Movies & Tv”, dal settembre 2006 lavora nel campo della pubblicità. Ha
frequentato nell’anno accademico
2007-2008 il corso di Sceneggiatura e
Regia Cinetelevisiva presso la Società
Umanitaria di Milano tenuto da Fabio
Fox Gariani.
Da tre anni tiene una rubrica giornalistica dal titolo “Visti e letti per voi”, sul
mensile OSSIMO NOI.
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PAOLA ROSCI
(Le cose non sono come sembrano)
TIZIANA MARTINELLI
(La necessità del fare)
Nata a Milano. Ha frequentato la Facoltà di Biologia dell’Università statale di Milano.
Lavora attualmente nel campo amministrativo- finanziario.
Ha frequentato il corso di “Scrittura
Creativa“ alla Società Umanitaria dove
ha trovato un ambiente intellettuale
particolarmente vivace ed attivo. Un
punto di partenza per sviluppare la
passione letteraria in modo organizzato, insieme ad un gruppo di neofiti,
con cui confrontarsi e migliorarsi.
E’ nata a Novara, ha frequentato il liceo a Lecco e l’università a Milano.
Si è laureata in Lettere, con un qualche rimpianto per non aver scelto
una facoltà più impegnativa e meno
scontata per una ragazza degli anni
Sessanta.
In questa scelta, come per altro nelle
successive, ha prevalso l’interesse per
la letteratura e l’abitudine alla lettura. Ha insegnato nella scuola media e
nei corsi serali per i lavoratori. Poi ha
lavorato per un importante editore
scolastico, occupandosi di formazione della rete di propaganda e di progettazione dei testi.
E’ ora consulente editoriale e docente
del master dell’editoria dell’Università degli Studi di Milano.
MARCO CANTONI
(Il Generale Koster)
E’ nato a Milano il 1 dicembre 1963.
Laureato in Ingegneria vive e lavora
nel capoluogo lombardo come consulente informatico.
Tra i suoi hobby preferiti c’è quello
della scrittura. Ama inventare storie
dove il confine tra realtà e fantasia
è labile ed in continuo movimento,
dove la psicologia dei suoi personaggi è spesso caotica e sofferta.
Lettore non molto assiduo, due libri
su tutti i suoi preferiti: “Il piccolo Principe” e “Memorie di Adriano”.
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