quinta unita araldini 2015-2016

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quinta unita araldini 2015-2016
V - BEATI I MITI
MAGGIO - GIUGNO
V UNITÀ
BEATI I MITI,
PERCHÉ EREDITERANNO LA TERRA (MT 5,5)
Maggio - Giugno
Introduzione
Un’altra beatitudine proclama: «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra». Francesco, nei suoi
Scritti, usa due sole volte l’aggettivo “mite”, e come per la misericordia o per la giustizia, egli applica
questo termine sia a Dio «che solo è buono, pio, mite, soave e dolce» (Rnb 23,9), sia ai rapporti
fraterni, esortando i frati che «quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole
e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente
con tutti, così come conviene» (Rb 3, 10-11).
Obiettivi
• Imparare la differenza tra forza e violenza;
• Scoprire il coraggio come dono
• Imparare che per essere forti occorre vivere nella fiducia
Con Gesù, Come Gesù
Mc 4,35-41
In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E,
congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche
con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che
ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli
dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Si destò, minacciò il vento e disse al
mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete
paura? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro:
“Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
“Certo che Gesù aveva proprio il sonno pesante!”, verrebbe subito da pensare, leggendo questo brano. Ma
come è possibile? Tanti uomini su una barca non dovevano essere un granché silenziosi e il vento soffiava
talmente forte che le onde si rovesciavano dentro la barca al punto che i suoi amici sono sicuri di affondare da
un momento all’altro. E Gesù dorme. Osserviamo tutto per bene:
• La barca parte, i discepoli chiacchierano tranquilli mentre si avviano verso l’altra riva. Gesù si distende a
poppa e si addormenta dopo una lunga giornata di predicazione.
• Si alza un forte vento, che fischia e ulula: i discepoli iniziano a preoccuparsi e a sperare che il tempo non
peggiori. Gesù continua a dormire.
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• Il vento si fa più forte, solleva onde altissime che con fragore si riversano sulla barca. I discepoli si agitano,
urlano, si lanciano funi, riescono a malapena a stare in piedi. Gesù dorme.
• La barca sta per affondare: questo pensano i discepoli e hanno talmente paura che decidono di svegliare
Gesù.
Individuiamo insieme ai ragazzi sensazioni e atteggiamenti provati dai discepoli:
• Paura
• Confusione
• Agitazione
• Urla
• Rabbia
• Senso di inutilità: capire di non poter fare nulla per cambiare le cose
• Altro…
I discepoli sono amici di Gesù, lo seguono, lo ascoltano, lo osservano. Proprio in quella giornata lui ha parlato
a tante persone raccontando delle parabole che poi, in disparte, ha spiegato o spiegherà loro, come sempre. Si
sentono dei privilegiati a seguire questo uomo così in gamba e autorevole. Ma ancora non hanno capito bene
chi è Gesù e con chi hanno a che fare. E, infatti, quando succede qualcosa che va oltre le semplici forze umane
(una tempesta così forte, chi potrebbe fermarla?) si perdono nelle loro paure. Di cosa hanno timore? Di morire,
sicuramente. Ma anche di perdere la barca, che è il loro strumento di lavoro per guadagnare il cibo per sé e
per le loro famiglie. Ci sono poi, tra i discepoli come tra tutti gli uomini, alcuni che credono di essere davvero
forti…
Forza ragazzi… Scegliamo un po’ di parole che descrivano un uomo “davvero forte”!
• Ha i muscoli?
• Sa picchiare duro?
• Non china la testa davanti a nessuno?
• Decide tutto per tutti?
• …
•
Anche tra i discepoli, dicevamo, ci sono alcuni che credono di essere forti e devono fare i forti, perché la vita di
tutti i giorni è dura e ogni giorno c’è una tempesta da affrontare. E allora bisogna avere braccia muscolose
per governare la barca, per tirar su le reti piene di pesci, voce potente per farsi sentire al di sopra dei venti, un
carattere duro per farsi obbedire. Ma quando scoppia una tempesta come quella, che succede? Anche l’uomo
più forte si fa prendere dalla paura: non sa cosa fare, le cose non dipendono più da lui, non è più invincibile,
tutto è a rischio. Ma c’è, in tutta quella confusione, qualcuno che agisce diversamente:
Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva.
Perché Gesù dorme?
Poniamo questa domanda ai ragazzi e ascoltiamo con attenzione le loro risposte, prima di andare avanti.
E cosa fa Gesù quando viene svegliato?
Ci si aspetterebbe che anche lui si spaventi e inizi a urlare, invece Gesù resta calmo e sereno. Non solo! Dopo
aver ordinato alla tempesta di calmarsi sembra quasi stupito, quasi rattristato, delle reazioni dei discepoli:
“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.
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Ecco che allora i discepoli si fanno le stesse domande che ci facciamo noi. Perché Gesù riusciva a dormire,
nonostante tutto? Perché, una volta sveglio, non si è agitato e arrabbiato e non ha urlato come tutti per la
paura?
“Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.
Nella vita di ciascuno di noi ci sono delle tempeste, piccole o grandi, e non conta l’età che abbiamo né se siamo
pronti o abbastanza forti per affrontarle. Succedono semplicemente.
C’è oggi una tempesta nella tua vita? Sta succedendo qualcosa che ti porta a reagire come gli amici di
Gesù? Che ti spaventa, ti fa soffrire, non sai come affrontare?
Come ti comporti, quali sono i tuoi atteggiamenti davanti a situazioni difficili che non puoi cambiare?
Un lutto, la separazione dei genitori, una lite pesante in famiglia o con i vicini, l’aggressione di un
bullo, una malattia,…
I discepoli hanno visto la tranquillità di Gesù quasi come un’offesa:
“Maestro, non t’importa che siamo perduti?”.
Sembra che gli chiedano: “Perché non ti svegli e non urli anche tu? Non ti interessa che moriamo, che perdiamo
tutto? Come puoi essere così indifferente?”.
Ma la calma di Gesù non nasce dall’indifferenza. Lui ama profondamente i suoi amici, l’ha già dimostrato
e lo dimostrerà con forza, fino alla fine. Gesù non si arrabbia perché viene svegliato, infatti ordina subito al
mare e al vento di calmarsi, ma si rattrista nel vedere che ancora i discepoli non hanno capito. La sua calma
dipende dal fatto che laddove Lui è presente, nulla di veramente grave può succedere. Gesù ha piena fiducia
nel Padre suo, sa che ogni cosa è nelle Sue mani, per cui anche davanti alla tempesta più forte, non c’è nulla
da temere.
Se un bambino cammina su un muro alto ha giustamente paura di cadere. Ma se sotto quel muro alto c’è il
papà che gli chiede di saltare, il bambino lo fa, non ha paura, perché sa che suo padre non lo lascerebbe mai
cadere. Questa è la fiducia di Gesù, questa è la sua forza e questa è la forza che anche noi, piccoli e grandi,
dobbiamo imparare. Una forza che nasce dalla fiducia.
Ma qui si parla di forza… che c’entra con la mitezza?
Cos’è la mitezza? Sentiamo un po’ cosa hanno da dire i ragazzi.
Spesso si pensa che l’uomo mite sia quello che non si arrabbia mai, che va d’accordo con tutti, che è sempre
calmo. Forse anche quello che viene facilmente messo sotto, il più debole, quello che non fa sentire la sua voce.
Ma secondo l’insegnamento di Gesù le cose non sono proprio così.
Tanto per incominciare Gesù ci dice “Beati i miti, perché erediteranno la terra”. Non è possibile che il Signore
affidi la terra a chi vive passivamente, a quelli che non decidono niente e che fanno tutto quello che dicono gli
altri. C’è qualcosa che non quadra!
E poi, lo stesso Gesù dice: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore!” (Mt 11,28). E di Gesù possiamo
dire tante cose, ma non di certo che sia un debole o che abbia paura a dire la verità, anche con forza quando
ce n’è bisogno.
I miti sono coloro che sperano in Dio; hanno un atteggiamento di speranza e di fiducia totale in Dio, perché
sono certi che Dio non può deludere. Anche quando l’oscurità copre tutto continuano a vivere nella speranza,
sono forti dell’amore di Dio.
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Per Gesù le cose non erano certo facili, ma Lui sceglie liberamente di continuare la sua missione nella mitezza
e nell’umiltà: non discute, non grida, nemmeno mentre lo processano e dicono calunnie su di Lui. Continua a
dire la verità, a testa alta. Viene offeso ma sceglie di non offendere, anzi, il suo sguardo continua a esprimere
misericordia anche nei confronti di chi lo offende.
La mitezza non è, dunque, un aspetto del proprio carattere per cui si nasce miti oppure arroganti. La mitezza,
come ogni caratteristica di Gesù, è un dono di Dio che viene dato all’uomo, come ci dice san Paolo nella lettera
ai Galati (Gal, 5,22-23).
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge.
E come ogni dono, non ci viene imposto, ma scegliamo di utilizzarlo oppure no, di farlo crescere nei nostri modi
di fare, oppure no.
Ascoltare insieme: Il Canto dell’Amore di Fra Federico Russo
Come Gesù, Francesco d’Assisi
Fonti Francescane 278
Lo stesso [fra Leonardo] riferì nello stesso luogo che un giorno il beato Francesco, presso Santa
Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: «Frate Leone, scrivi». Questi rispose:
«Ecco, sono pronto». «Scrivi - disse - quale è la vera letizia». «Viene un messo e dice che tutti i
maestri di Parigi sono entrati nell’Ordine; scrivi: non è vera letizia. Cosi pure che [sono entrati
nell’Ordine] tutti i prelati d’oltralpe, arcivescovi e vescovi, e anche il Re di Francia e il Re
d’Inghilterra; scrivi: non è vera letizia. Ancora, [si annuncia] che i miei frati sono andati tra
gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla fede, e inoltre che io ho ricevuto da Dio tanta grazia
che risano gli infermi e faccio molti miracoli; io ti dico: in tutte queste cose non è vera letizia».
«Ma quale è la vera letizia?». «Ecco, io torno da Perugia e a notte fonda arrivo qui, ed è
tempo d’inverno fangoso e così freddo che all’estremità della tonaca si formano dei dondoli
d’acqua fredda congelata, che mi percuotono continuamente le gambe, e da quelle ferite
esce il sangue. E io tutto nel fango e nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo
che ho picchiato e chiamato a lungo, viene un frate e chiede: «Chi è?». Io rispondo: «Frate
Francesco». E quegli dice: «Vattene, non è ora decente questa, di andare in giro; non
entrerai». E poiché io insisto ancora, l’altro risponde: «Vattene, tu sei un semplice e un
idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di
te». E io resto ancora davanti alla porta e dico: «Per amor di Dio, accoglietemi per questa
notte». E quegli risponde: «Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là».
Ebbene, se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questo è vera letizia e vera virtù
e la salvezza dell’anima».
Leggiamo insieme una delle pagine dettate direttamente da san Francesco a frate Leone e che sono una forte
testimonianza di come intendeva vivere la sua vita. In questo episodio Francesco ci racconta un’esperienza
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molto dura di solitudine, incomprensione, fatica e maltrattamenti. A renderla ancora più dura è che non
sono degli estranei e neanche i cittadini di Assisi a trattarlo così, ma i suoi stessi frati, gli stessi fratelli che
condividono con lui la scelta della povertà, dell’umiltà e obbedienza. Francesco ci tiene davvero tanto a spiegare
ai frati il suo concetto di perfetta letizia, di felicità, di beatitudine attraverso una proposta di forte mitezza,
perché sa bene che chi vive dentro i conventi o dentro i monasteri o nelle fraternità non vive in un’isola felice.
Anche tra i frati, infatti, capitano incomprensioni e litigi.
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Ti è mai capitato, in fraternità, di non sentirti accolto?
Nella tua fraternità si fanno i gruppetti che isolano alcune persone?
Ti sei mai sentito criticato, preso in giro per come sei fatto o come ti comporti?
Come ti senti in questi casi?
Ti capita di sentirti forte perché riesci a umiliare qualcuno più debole?
Francesco sa bene che i frati non sono liberi dalle tentazioni, anzi! Più la loro vita si avvicina a Dio più la
strada si fa in salita, soprattutto nelle piccole cose, quelle che sembrano semplici e di poco conto, soprattutto
nei rapporti tra le persone più vicine. Ecco che Francesco si prende cura dei suoi frati mettendoli in guardia e
offrendo loro consolazione.
Vuole dire a tutti noi che la vera felicità non sta nell’essere sempre accolti, sempre capiti, sempre benvoluti. La
vera felicità non sta nell’avere sempre ragione, nell’avere successo, nel vincere ogni volta.
La vera felicità è l’amore di Dio, saperlo riconoscere e saperlo custodire nel cuore. Allora dentro di noi avremo
una tale pace e una tale forza che, anche quando affronteremo delle prove difficili, come la tempesta per i
discepoli di Gesù e come l’abbandono dei fratelli per Francesco, riusciremo ad avere pazienza, a non essere
turbati, a riconoscere, anche in queste cose, l’amore di Dio e a lodarlo e ringraziarlo per ogni cosa. Francesco,
alla scuola di Gesù, diventa per noi esempio di mitezza e ci insegna che non dobbiamo scoraggiarci quando
perdiamo la pazienza, ci arrabbiamo o ci girano i famosi “cinque minuti”… Però è importante che costruiamo
nel nostro cuore una sorta di palestra in cui allenarci, a partire dalle situazioni più semplici e piccole.
Vogliamo organizzare una palestra di mitezza nella nostra fraternità? Chiediamo a ogni ragazzo
di individuare una o più situazioni in cui di solito perdono la pazienza, diventano intolleranti o si
arrabbiano e proviamo a darci degli obiettivi di “pazienza”, “calma”, “serenità”, “benevolenza” da
verificare all’incontro successivo. Si potrebbe anche scrivere insieme una piccola preghiera da rivolgere
a Dio quando ci si accorge di avere difficoltà a essere miti e una con la quale chiedere perdono quando
proprio non si riesce.
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Beatitudini in Attività
LA TERRA IN EREDITÀ
(Medie)
Ognuno ha una tessera su cui può scrivere un’azione
mite, una benedizione, un atto “buono”. Successivamente
con tutte queste tessere si va a comporre il puzzle e si
scopre che viene fuori la Terra.
MITEZZA IN IMMAGINI
(Elementari)
Materiale: Fotocopie di 4-5 vignette rappresentanti un’azione con fumetto, pennarelli,
cartoncini, matite, gomme.
L’animatore prepara una serie di fogli dove avrà disegnato 4-5 vignette. Su questi disegni
sarà rappresentata una situazione dove c’è una risposta violenta, un atteggiamento iroso,
aggressivo (ad esempio un bambino che toglie ad un altro il pallone). Ciascuna squadra
dovrà realizzare la seconda vignetta rappresentando la risposta “mite” che secondo
loro si può adottare in quella situazione, usando il disegno, i fumetti, ecc. Alla fine del
tempo prestabilito si vedranno insieme i disegni fatti, si discuterà e commenterà e si
assegnerà un punto ad ogni vignetta giudicata da tutti come atteggiamento mite.
Beatitudini in Gioco
SOLO BELLE PAROLE
(Elementari/Medie)
Scopo del gioco: Scopo è far capire ai ragazzi che il mite non è il debole ma il non
violento, colui che sceglie una via diversa rispetto a quella dell’aggressività. Inoltre il
mite è chi promuove l’altro cioè lo edifica e sa anche accettare l’aiuto dell’altro. Essendo
questo un argomento molto complesso per i bambini che hanno il loro senso di giustizia
e di innata difesa, proponiamo piccoli giochi e attività che possano aiutare a mettere in
pratica questa beatitudine. Anche in questo caso rimandiamo alla fantasia degli animatori
che potranno scegliere il gioco che ritengono migliore, farli tutti e tre o integrarli con
altre idee.
Materiale: Fogli di carta, penne.
Ci si divide in due o più squadre. Scopo del gioco è urlare “benedizioni” all’altra squadra,
cosa che suona strana… in un mondo dove invece troviamo solo improperi, no??? E invece
noi proporremo ai bambini di scrivere e urlare più cose belle possibili ai membri dell’altra
squadra. Prima avranno un tempo in cui scrivere tutte queste cose sopra un foglio stando
distanziati e poi al via ciascun componente dovrà dire tutte le cose belle che ha pensato.
Vince il gioco chi ne ha scritte di più e chi le ha dette meglio.
Materiale: Non serve materiale.
Ci si divide in due squadre. Ci si dispone come se si dovesse giocare a bandierina, quindi
una fila davanti all’altra distanziati. L’animatore, come a bandierina, chiamerà un numero.
Il bambino di ogni squadra che ha questo numero, dovrà correre davanti all’animatore. A
questo punto i due bambini dovranno dire una cosa bella dell’altro chi ci riesce conquista
il punto. Non conta chi dice prima la cosa sull’altro, l’importante è che non deve essere
la stessa.
V - BEATI I MITI
MAGGIO - GIUGNO
BEATITUDINI IN PREGHIERA
“Beati i miti perché erediteranno la terra” (Mt 5,5)
Guida: Chi è il mite? È colui che non si irrita davanti al male e non si lascia
trascinare dalla rabbia e dal risentimento. La mitezza non ha tuttavia niente
a che fare con la debolezza o la paura. Al contrario, essa richiede una grande
forza d’animo, dove il sentimento del rancore e della vendetta cede il posto
all’atteggiamento energico e calmo del rispetto degli altri.
Ascoltiamo come Francesco voleva che si comportassero i suoi frati con coloro che incontravano:
DALLE FONTI FRANCESCANE
Lettore: Quando i frati vanno per il mondo non portino niente per il viaggio, né sacco, né bisaccia,
né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa.
E dimorando in quella casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro. Non resistano al
malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. E se uno vuol togliere loro il
mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il
loro non lo richiedano.
Araldino: Quanto è difficile però non arrabbiarsi… quando qualcuno ci provoca. Porgere l’altra guancia
a chi ci colpisce. E quando qualcuno ci porta via qualcosa… come si fa a dargli anche qualcos’altro?
È proprio vero che ci vuole tanta forza per essere miti!
Guida: La mitezza è segno di forza perché sa vincere il male col bene, perché sa cambiare il mondo
attorno a sé, soprattutto nei rapporti con gli altri. In un mondo dove sembrano comandare la violenza,
la prepotenza, l’egoismo, chi vive la mansuetudine non si agita, non ha fretta, non offende, non
risponde con rabbia ma con gentilezza, si autocontrolla.
Araldino: Sarebbe bello anche per noi piccoli essere così forti! Ma come si fa? Anche noi siamo
stanchi della prepotenza, degli atteggiamenti aggressivi di giovani e grandi…e sembra che possiamo
difenderci solo facendo altrettanto. In che modo possiamo imparare la mitezza?
Celebrante: Per sapere come fare basterebbe guardare come ha vissuto Gesù! Prepariamo il cuore a
ricevere una grande e bellissima notizia. Mettiamoci tutti pronti all’ascolto attento perché il Signore
stesso ora ci parlerà.
Celebrante: Dal Vangelo di Matteo 11, 25-30
In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto
mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e
imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è
dolce e il mio carico leggero”.
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Animatore: “Ti benedico, Padre”.
La mitezza si manifesta, anzitutto, come augurio di bene e come parole di bontà. È facile nei rapporti
affettuosi e sereni, ma è doveroso per noi cristiani anche nelle situazioni di conflitto.
Tutti: Aiutaci Signore a vincere l’egoismo e a non maledire, cioè a non parlare mai male di nessuno,
soprattutto a chi ci ha offeso. Aiutaci a benedire tutti e a vincere il male con il bene.
Animatore: “Le hai rivelate ai piccoli”
La mitezza nasce dall’umiltà. È istintivo e facile assumere atteggiamenti bruschi, prepotenti (anche in
famiglia), gridare parole di minaccia. Aprirsi al vangelo e decidere comportamenti gentili è possibile
solo nella via della semplicità e dell’umiltà.
Tutti: Aiutaci Signore ad essere non solo piccoli ma umili e semplici come vuoi tu. Mentre il mondo ci
propone la prepotenza, tu aiutaci a scegliere la mitezza: a scegliere di non giudicare, di non vendicarci,
di perdonare e guardare con occhi limpidi e positivi la vita e le persone.
Animatore: “Sì, o Padre”
La mitezza è obbedienza e abbandono a Dio. Quando crediamo che Dio è Padre perché ci ama
infinitamente, impariamo ad affidarci totalmente a Lui!
Tutti: Aiutaci Signore a dire sempre Sì a Dio e a ciò che desidera da noi! Aiutaci a superare il clima di
sfiducia, di paura e di incertezza in cui viviamo: dacci la forza di abbandonarci con fiducia nelle mani
di Dio Padre che vuole per noi solo il Bene!
Animatore: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”
La mitezza è un albero buono che solo Gesù pianta e fa crescere nel nostro cuore con la rugiada
dello Spirito Santo. Gesù ci parla di sé per insegnarci che l’unico mito, l’unico modello per noi è Lui.
“Imparate da me”.
Tutti: Aiutaci Signore a non perderci tra i “miti” che ci propone il mondo: noi vogliamo essere forti,
miti come te. Tu, nella Parola e nell’Eucaristia, sei il buon alimento, la vera medicina che guarisce
anche noi alla radice, nel cuore e nella mente. Con la forza dello Spirito, Gesù facci dono della tua
mitezza!
Celebrante: Il Signore ascolti le vostre preghiere, dia forza ai vostri propositi e vi conduca sulla via
della beatitudine! Il Signore vi benedica nell’impegno di diventare mansueti affinché, lavorando per
edificare una società più giusta ed evangelica, possiate ereditare la terra, quella che Gesù chiama il
Regno dei Cieli!
Amen
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BEATITUDINI IN MISSIONE
Chi sono i miti proclamati da Gesù nelle Beatitudini?
Curioso è osservare la traduzione del termine mite nelle lingue più comuni. In
spagnolo viene tradotto con los mansos, i mansueti; in francese con doux, dolci,
che sta per coloro che possiedono la virtù della dolcezza; in inglese c’è un’altra
sfumatura, the gentle, come gentilezza, cortesia. In tedesco ci sono più traduzioni,
una che intende i miti per coloro che “non fanno alcuna violenza”, i non violenti,
l’altra machtlosen, sfocia più nel significato sociologico: “senza potere”. Tutte le interpretazioni, pur
parziali, sono vere. Occorre unirle tutte per avere un’idea più completa della ricchezza evangelica del
termine “mite”. Ecco che ci troviamo ora di fronte a “Gesù il mite”, nel suo variegato aspetto che
potremmo semplificare in pazienza e umiltà.
Opera di misericordia MATERIALE
Leggere questa storia agli araldini
LA TARTARUGA E LA RABBIA
“È la storia di una piccola tartaruga. A questa piccola tartaruga piaceva giocare da sola e piaceva
giocare con gli amici. Le piaceva guardare la televisione e andare fuori a giocare, ma non le piaceva
tanto andare a scuola. Starsene seduta in classe ad ascoltare per tutto quel tempo il maestro non gli
piaceva. Era durissima. Spesso la tartarughina si arrabbiava con i suoi amici. Le prendevano la matita,
a volte la spingevano o la infastidivano e, quando succedeva, la tartarughina si arrabbiava proprio
tantissimo. Spesso rispondeva con la stessa moneta o diceva cose cattive. Dopo un po’ gli altri bambini
non vollero più giocare con la tartarughina. La tartarughina rimase spesso da sola nel campo giochi ed
era fuori di sé. Arrabbiata e confusa, si sentiva triste perché non riusciva a controllarsi né sapeva come
venire a capo del problema.
Un giorno infine incontrò una vecchia e saggia tartaruga che aveva trecento anni e viveva ai margini
del paese. La tartarughina le disse: ”Che cosa posso fare? Per me la scuola è un problema. Non riesco a
comportarmi bene. Ci provo ma non ci riesco mai”. La vecchia e saggia tartaruga le disse: “Dentro di
te c’è già la soluzione al problema. È la tua corazza. Quando sei fuori di te o ti senti molto arrabbiata,
al punto da non riuscire a controllarti, puoi andare dentro la tua corazza”.
“Quando sei dentro la corazza puoi calmarti. Quando io entro nella mia” disse la vecchia e saggia
tartaruga “ faccio tre cose. Mi dico di fermarmi; faccio un lungo respiro e, se è necessario, ne faccio
un altro; poi mi chiedo qual è il problema”.
La vecchia e saggia tartaruga praticò questo metodo con la tartarughina. Quest’ultima disse di volerlo
provare al suo ritorno in classe. Il giorno successivo ecco che mentre sta facendo il suo lavoro, un
bambino si mette a infastidirla. Comincia a sentire la rabbia che sale dentro di lei; ha le mani calde e il
battito più veloce. Ma si ricorda quello che le ha detto la vecchia tartaruga, così ripiega mani e gambe
nella corazza, dove c’è pace e nessuno potrà disturbarla, mettendosi a pensare sul da farsi. Fa un lungo
respiro e, quando esce dalla corazza, vede il maestro che le sorride. Ripete più e più volte il sistema. A
volte funziona e a volte no, ma a poco a poco la tartarughina impara a controllarsi usando la corazza.
Fa’ nuove amicizie e comincia ad apprezzare di più la scuola perché adesso ormai sa come gestire la
rabbia”.
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MAGGIO - GIUGNO
Dopo aver raccontato la storia della tartaruga, si potrebbe farla recitare ai bambini aiutandoli di volta
in volta a prendere la parte della tartaruga vecchia e saggia, della tartarughina e dell’insegnante. La
storia viene così recitata da punti di vista diversi e compresa nei diversi aspetti:
• la tartaruga insegna come diventare consapevoli delle proprie emozioni, prima di adottare
comportamenti distruttivi, gestire quindi la rabbia e diventare miti;
• la tartaruga insegna come assumersi responsabilità e autoregolarsi;
• la tartaruga stimola l’uso del corpo: fare la tartaruga significa incrociare le mani sul petto (così non
si può colpire nessuno) e respirare profondamente, per calmarsi. Si associa quindi un’azione con
l’idea di calmarsi.
La riflessione finale dovrebbe rendere ogni araldino consapevole del motto che MITE SI PUO’
ESSERE.
Opera di misericordia SPIRITUALE
Assieme all’aiuto degli animatori si potrebbe realizzare un cartellone intitolato:
“IL DECALOGO DELLA MITEZZA”
Ogni araldino lo riscriverà poi in un foglio/pergamena da tenere sempre con sé e magari rileggerlo e
interiorizzarlo per farne buon uso.
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TESTIMONI DI BEATITUDINI
Padre Pio da Pietrelcina
Francesco nasce in una semplice e rustica casetta di
vico Storto Valle numero 32, il 25 maggio 1887.
I genitori, Grazio Forgione e Maria Giuseppa Di
Nunzio, sono intenti a badare ad un podere posto
su a Piana Romana, poco lontano da Pietrelcina.
Improvvisamente Maria Giuseppa dice al marito di
non sentirsi bene. Zi Grazio allora le chiede di avviarsi
verso casa. Dopo aver percorso la via di campagna
che da Piana Romana conduce al “Castello”, Peppa si
ritrova nella sua piccola, ma confortevole abitazione.
Alle 5 del pomeriggio, assistita dalla levatrice Grazia
Formichelli, partorisce un bel maschietto avvolto
in un velo bianco. Al colmo della gioia, la levatrice
esclama entusiasta rivolta alla puerpera ed al marito:
“Il bambino è avvolto in un velo bianco: sarà grande
e fortunato”. Francesco: il futuro Padre Pio venne
battezzato la mattina presto del 26 maggio 1887
dall’economo curato don Nicolantonio Orlando, che
dopo la morte dell’arciprete don Nicola De Tommasi
(1801-1884) resse la parrocchia in attesa della
nomina di un arciprete locale per la chiesa arcipretale
e ricettizia di Pietrelcina. Nonostante il brevissimo
periodo in cui ha esercitato la funzione di parroco (1885-1888), costui ha avuto un ruolo molto
importante nella storia di Pietrelcina. Infatti, anche se non l’ha mai saputo, quell’infante che battezzò
il 26 maggio 1887 con il nome di Francesco è adesso noto a tutto il mondo con il nome di Padre Pio
da Pietrelcina, il frate con le stigmate, il primo sacerdote stigmatizzato, prima venerabile, ora beato e
prossimo a ricevere gli onori dell’altare. Non capita a tutti i sacerdoti di battezzare un futuro santo!
Don Nicolantonio Orlando era nato a Fragneto l’Abate (BN) il 2 gennaio 1846 e dopo il periodo di
economato a Pietrelcina ritornò come arciprete al suo paese natale dove morì il 20 ottobre 1913.
Francesco trascorse l’infanzia e l’adolescenza impegnandosi in piccoli lavori agricoli e portando al
pascolo le pecore. Dal direttore spirituale sappiamo che fin dalla tenera età di 5 anni ebbe le prime
estasi e desiderò di consacrarsi totalmente a Dio. Subì anche le prime vessazioni diaboliche e iniziò ad
infliggersi le prime penitenze corporali.
Il giovane Francesco fece gli studi ginnasiali privatamente, con i soldi che il padre inviava dall’America
dove era emigrato come tanti suoi conterranei. All’età di 15 anni maturò la decisione di farsi frate
nell’ordine dei minori cappuccini, confortato anche dal consiglio del parroco, don Salvatore Pannullo.
Il 2 gennaio 1903, non ancora sedicenne, entrò nel convento dei Cappuccini a Morcone (Benevento)
e il giorno 22 indossò il saio francescano col nome di fra’ Pio. Nel 1904, dopo un anno di noviziato,
pronunciò la sua consacrazione e all’inizio del 1907, nel convento di S.Elia a Pianisi (Campobasso),
emise i voti di professione perpetua. Lo attendevano ora sei anni di studio per diventare sacerdote.
Li trascorse in conventi diversi: S. Marco la Catola, Serracapriola, Montefusco e Benevento, dove
ricevette gli ordini minori e il suddiaconato.
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V - BEATI I MITI
MAGGIO - GIUGNO
Fra’ Pio si sottoponeva a severissime penitenze che, unite al forte impegno nello studio, furono la
causa di una grave malattia diagnosticata come “broncoalveolite all’apice sinistro”, che ichiedeva vita
all’aria aperta e riposo. Per tale motivo nel maggio 1909 gli fu concesso di trascorrere un periodo
di convalescenza a Pietrelcina. Ma anche nel suo paese natale continuava a star male ed era tanto
prostrato che gli fu accordato il permesso di essere ordinato sacerdote prima del compimento dei
regolamentari 24 anni d’età.
Così il 10 agosto 1910, nel Duomo di Benevento, ricevette la consacrazione sacerdotale e il giorno
14 celebrò la sua prima Messa a Pietrelcina. Il giovane fra’ Pio era continuamente perseguitato dagli
attacchi dei demoni che egli chiamava “cosacci” e dovunque andava lo seguivano per tormentarlo. Se
li portò anche nel convento di Venafro, dove era andato ad imparare Sacra Eloquenza. Qui Padre Pio
venne assalito da febbri altissime e forti emicranie; per una ventina di giorni l’unica cosa che riuscì ad
ingerire fu l’ostia consacrata.
A febbraio del 1916 venne mandato nel convento di Sant’Anna a Foggia, dopo anni di spola tra
Pietrelcina e una decina di conventi alla ricerca di un posto benefico per la sua salute. Ma anche a
Foggia Padre Pio seguitò a star male: vomito, sudorazioni improvvise, capogiri, febbri altissime.
La notte, poi, dalla sua cella provenivano terrificanti rumori che si concludevano con un boato tale da
scuotere i muri e terrorizzare i confratelli. A Padre Benedetto disse poi che era il diavolo il quale, non
potendo vincere, per la rabbia “scattiava”. Per sfuggire all’afosa calura estiva di Foggia, Padre Pio a
luglio del 1916 giunse per un breve soggiorno nel convento di San Giovanni Rotondo, piccolo paese
sul versante meridionale del Gargano. Il clima si rivelò salutare ed egli vi resterà cinquantadue anni,
fino alla morte.
La sera del 5 agosto 1918 subì la “trasverberazione” del cuore e nella mattina di venerdì 20 settembre,
nel coretto della chiesa di Santa Maria delle Grazie, ricevette le stimmate che portò fino alla morte
con sofferenza fisica e morale, in quanto quei segni esterni gli erano di “una confusione e di una
umiliazione insostenibile” perché non si riteneva degno di tale similianza al Redentore. Altri doni
carismatici ricevette da Dio per accreditare la sua missione di santificazione: la profezia, le bilocazioni,
la scrutazione dei cuori, gli effluvi odorosi.
San Giovanni Rotondo divenne ben presto meta di pellegrinaggi di fedeli che accorrevano al convento
per avere dal frate stigmatizzato aiuto, consiglio, guida spirituale. Per Padre Pio cominciò una
frenetica attività: fino a sedici ore al giorno di confessioni, migliaia di lettere con richieste di grazie,
visite continue di persone anche autorevoli. Tra gli uomini di Chiesa si vennero a delineare due
schieramenti: da una parte v’era chi guardava con simpatia ed ammirazione a Padre Pio; dall’altra
parte, invece, si trovavano coloro che diffidavano del Cappuccino. Dal 1923 al 1933 Padre Pio fu
sottoposto ad una serie di restrizioni personali e di inibizioni di attività. Venne privato dei direttori
spirituali, gli fu ordinato di non confessare e di non celebrare la Messa in pubblico, di non rispondere
alle lettere dei fedeli. Erano punizioni durissime che Padre Pio umilmente accettò, dichiarando: “Sono
figlio dell’ubbidienza”.
Ma a San Giovanni Rotondo i fedeli continuavano ad affluire sempre più numerosi e grazie alle loro
offerte e alla carità di molti, il 19 maggio 1947, alla vigilia del 60° compleanno di Padre Pio, fu posta
la prima pietra per la costruzione della “Casa Sollievo della Sofferenza” che rappresenta tuttora uno
dei più moderni ed efficienti ospedali europei. Il 1° luglio 1959 venne consacrato il nuovo Santuario
di S. Maria delle Grazie, eretto a fianco dell’antica e ormai insufficiente Chiesa del Convento. Tanto
sconfinato era l’amore di Padre Pio per la Madre celeste, che trascorse la vita stringendo fra le mani
la corona del S. Rosario e raccomandando tale preghiera ai suoi figli spirituali quale arma infallibile
contro il male. Il 22 settembre 1968, giunto ormai all’età di 81 anni, al termine della celebrazione della
S. Messa per la ricorrenza del cinquantenario del doloroso dono delle stimmate, venne colto da malore
e durante la notte, alle ore 2.30 del 23 settembre, cessò di vivere.
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CALENDARIO FRATERNO
MAGGIO
lun mar mer
GIUGNO
gio ven sab dom
lun mar mer
gio ven sab dom
1
1 23 45
2 34 56 78
6 7 8 910 1112
9101112131415
13 1415 1617 1819
16 1718 1920 2122
20 2122 2324 2526
23 2425 2627 2829
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30 31
LUGLIO
lun mar mer
gio ven sab dom
1 23
456789
10
11 1213 1415 1617
18 1920 2122 2324
25 2627 2829 3031
Mercoledì
13 Luglio
Inizio 25° Convegno Nazionale Araldini
“Nel passato e nel presente ci sei Tu”
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