le donne saharawi e la cooperazione internazionale

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le donne saharawi e la cooperazione internazionale
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Economia
Corso di Laurea in Sviluppo Economico e Cooperazione
Internazionale
TESI IN ECONOMIA DELLO SVILUPPO
TESSERE LA LIBERTÁ:
LE DONNE SAHARAWI E LA COOPERAZIONE
INTERNAZIONALE
Candidata:
Relatore:
Olivia Bruno
Prof. Mario Biggeri
Anno Accademico 2006-2007
INDICE
Ringraziamenti
Premessa………………………………………………………………….iii
Introduzione…………………………………………………………........iv
1.
Capitolo 1
1.1
Inquadramento storico.…………………………………………...1
1.2
I campi profughi……….…………………………………………19
1.3
Le donne: il motore della società saharawi…………………..24
2.
Capitolo 2
2.1
Storia del progetto ………………………………………………32
2.2
Progetto: Tessere la libertà …………………………………….41
2.3
Rapporto I missione (gennaio–maggio2007).………………...44
2.4
Rapporto II missione (novembre2007)………………………...50
2.5
Limiti e sviluppi del progetto nel contesto dei campi
profughi…………………………………………………………………...56
3.
Capitolo 3
3.1
Il sistema di cooperazione nei campi profughi ……………….64
Conclusioni ………………………………………………………………69
Bibliografia……………………………………………….……………….71
i
Ringraziamenti
Desidero ringraziare il professor Nicolò Bellanca, per la disponibilità e per gli
interessanti spunti di riflessione, il professor Mario Biggeri, per gli utili consigli
durante la stesura di questo mio elaborato.
Grazie a Nancy Bailey e alla Commissione Comunale per la Pace del Comune di
Bagno a Ripoli, che mi ha dato l’opportunità di partecipare al mio primo viaggio nei
campi profughi saharawi e aver creduto nelle mie capacità durante il mio tirocinio.
Un ringraziamento speciale a Costanza Sanvitale che in questi anni mi ha fatto
conoscere il popolo saharawi accompagnandomi e sostenendomi nel mio percorso
di conoscenza.
Grazie anche a Mia Froelicher, Clara Daffra, Anna Ancilotti, Barbara Cattaneo e
Marco Giunti per i consigli, le riflessioni e l’incoraggiamento durante questo ultimo
anno, e ad Angela Giordano, per il suo entusiasmo e la sua grande esperienza e
professionalità.
Un sincero ringraziamento all’Associazione Concausa in particolare Elena
Mondovecchio per il materiale audiovisivo ma soprattutto a Jacopo Merlini per il
supporto morale durante il viaggio di novembre.
Inoltre vorrei ringraziare Gianna, per il sostegno e le correzioni durante la
composizione della tesina, mia sorella Giulia, mia nonna e miei parenti per il loro
appoggio costante.
Senz’altro, desidero ringraziare le mie amiche e i miei amici vicini e lontani per
avermi sopportato in questi mesi e supportato con il loro entusiasmo durante questi
anni, che non sto qui ad elencare perché rischierei di dimenticarne qualcuno e poi
son dolori… un grazie agli Studenti di Sinistra, per aver rallentato il mio percorso di
studi ma di averlo arricchito e reso più completo.
Infine, credo sia doveroso ringraziare i miei genitori per la pazienza e per le
numerose possibilità che mi hanno offerto in questi anni e per la fiducia in me
riposta.
ii
Premessa
La prima volta che ho sentito parlare di Saharawi è stata in
occasione di un’assemblea di istituto organizzata nel gennaio 2003.
Mi incuriosì la particolarità della loro storia e venni a sapere che un
piccolo comitato di Greve in Chianti ogni anno organizzava un
viaggio di solidarietà.
Nell’estate del 2003 ospitammo in casa una bambina saharawi e
iniziando ad interessarmi sempre di più ai temi della cooperazione,
mi feci coraggio e decisi di partecipare al viaggio nei campi profughi
nel gennaio del 2004.
Fu per me un’esperienza importante, non solo formativa ma anche
molto coinvolgente sul piano emotivo. Dopo quel viaggio, mi sono
sempre sentita in debito con questo popolo, con le persone che mi
hanno accolto e mi hanno fatto sentire a casa dal primo momento in
cui ho messo piede negli accampamenti.
L’opportunità di visitare gli accampamenti saharawi mi ha permesso
di mettere in pratica, attraverso il tirocinio e il lavoro sul progetto
Tessere la libertà, parte degli insegnamenti ricevuti durante gli anni
di studio, dando un senso più completo al mio percorso.
Desidero, quindi, dedicare questo mio elaborato a tutti i saharawi che
in questi anni ho conosciuto, ai Rappresentati in Italia del Fronte
Polisario, alle donne con cui ho avuto il piacere di lavorare e ai
bambini saharawi ospitati e quelli che ho conosciuto nei miei tre
viaggi nei campi profughi.
iii
Introduzione
Il tema di questo mio lavoro è la descrizione della condizione in cui è
costretto a vivere da oltre trent’anni il popolo saharawi, in esilio,
cacciato dalla propria terra di origine, il Sahara Occidentale. Credo
sia importante parlare e far conoscere tale esperienza perché quello
che colpisce è la forza di resistenza che i saharawi stanno
dimostrando nonostante l’evidente ingiustizia storica che stanno
subendo.
Una scelta di pace e di rispetto del diritto internazionale che
dovrebbe essere portata d’esempio, ma che viene invece offuscata e
messa
a
tacere
dal silenzio
assordante
delle
istituzioni e
dell’informazione.
Attraverso la descrizione di un piccolo progetto, l’obiettivo della mia
tesi è mettere in risalto la necessità di valorizzare le potenzialità delle
donne saharawi in un contesto di isolamento completo, per
continuare a mantenerle vive e attive.
Obiettivo da non trascurare, non solo per dare un senso alla loro
attesa ma per fornire capacità spendibili in un prossimo futuro.
Nel quadro di una soluzione politica lontana dall’essere risolta, è
necessario strutturare in modo più coordinato gli interventi, data la
disorganizzazione presente nel sistema di cooperazione in favore dei
saharawi, al fine di evitare duplicazioni e spreco di risorse.
La preparazione di questo elaborato è stata possibile grazie
all’utilizzo: del materiale bibliografico purtroppo carente, della
documentazione presente sul web, della partecipazione a conferenze
regionali, nazionali e internazionali sul tema, ma soprattutto dalle
visite sul campo attraverso le interviste e il lavoro con le donne
saharawi.
Questo mio lavoro si compone di due parti. Nella prima parte riporto
una presentazione della storia e dell’organizzazione del popolo
saharawi, con un accento sul ruolo della donna nella società
iv
saharawi, fondamentali aspetti per una corretta chiave di lettura della
parte successiva.
Nella seconda parte analizzo due aspetti centrali: la storia del
progetto “Tessere la libertà”, con una descrizione delle varie fasi e
una previsione sui possibili sviluppi, e la riflessione sul problema del
coordinamento delle azioni della cooperazione internazionale nei
campi profughi, tentando di trovare una modalità per poter strutturare
in modo più efficiente gli interventi evitando duplicazioni tra i progetti.
Nel primo capitolo presento la storia, l’organizzazione dei campi
profughi e il ruolo della donna.
Nel secondo capitolo espongo la storia di come nasce il progetto
Tessere la libertà , la sua realizzazione durante le prime due missioni
dal gennaio 2007 fino al novembre dello stesso anno e i possibili
sviluppi e limiti nel contesto dei campi profughi nei prossimi anni.
Infine nel terzo e ultimo capitolo analizzo il sistema di cooperazione
in favore dei saharawi, ponendo l’accento sulle problematiche legate
al coordinamento delle azioni, tentando di dare una soluzione
possibile al fine di riequilibrare gli interventi evitando duplicazioni e
spreco di risorse non abbondanti.
v
Capitolo 1
1.1
Inquadramento storico
1.1.1 Il periodo precoloniale
La struttura sociale delle comunità nomadi del Sahara Occidentale e
la storia, marcata da costanti correnti migratorie, rendono l’entità
territoriale di questo paese, così come quello di altri paesi africani,
difficilmente definibile se non con il ricorso ai confini tracciati
nell’ottocento dalle potenze coloniali.
È quindi dal XIV secolo che si può costatare una netta distinzione
politica che separa la regione dal resto del Magreb. A partire dal XIII
sec. i Maquil, nomadi provenienti dell’oriente arabo, si sono insediati
progressivamente nel territorio che si estende dall’Oued Draa
all’attuale Mauritania, entrando in simbiosi con i berberi, anch’essi
nomadi. È da questa unione che nasce l’attuale popolazione del
Sahara Occidentale.
Ciò che fa oggi del Sahara Occidentale una “nazione” e un popolo,
come per altri Paesi, africani e non, non è il riferimento del passato
precoloniale ma la volontà di un popolo che si identifica nella
medesima impronta sociale e linguistica.
Il periodo precoloniale fu caratterizzato da un alto livello di
frammentazione delle relativamente piccole unità sociali con un forte
grado di mobilità e dispersione e dalla stratificazione gerarchica
interna. Nonostante questi elementi disgreganti, le tribù potevano
essere assimilate da alcuni tratti comuni e omogenei che le
distinguevano dalle popolazioni vicine: l’organizzazione sociale è
1
simile, i costumi e lo stile di vita sono uguali, la religione comune è
quella musulmana sunnita e identico è il dialetto, l’hassanya1.
Ogni tribù si strutturava organizzativamente in una Djeema,
assemblea composta da anziani e notabili, scelti per saggezza,
sapienza e coraggio, con il compito di amministrare e regolare gli
affari della tribù, esercitare il potere legislativo sulla base del codice
islamico ed eleggere i giudici. Le diverse tribù che si spostavano
all’interno dell’attuale territorio del Sahara Occidentale erano legate
da una sorta di coordinamento, il Consiglio dei Quaranta, l’Ait Arbiin,
che rappresentava il massimo livello del potere giudiziario, legislativo
ed esecutivo, veniva convocato sporadicamente e in circostanze
particolari, ad esempio per questioni legate al territorio in caso di
difesa contro un’aggressione esterna o per la distribuzione delle terre
coltivabili durante la stagione delle piogge2.
Il vicino Regno dei sultani marocchini fino al XX secolo si presentava
diviso in due: i bled el-makhzen, regioni controllate dal sovrano, e i
bled elsiba, terre della ribellione dove il controllo effettivo veniva
esercitato da gruppi nomadi3. Nonostante questo, la dinastia alauita,
tutt’ora regnante, che conquistò il potere all’inizio del 16004, riuscì a
raggiungere il Seguiat el-Hamra e il Rio de Oro con spedizioni militari
tentando di controllarne il commercio con scarsi risultati effettivi e
apportando solamente un minimo impatto sul territorio, senza
arrivare a sottomettere le tribù ivi stanziate5.
1
M., Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, ed. L’Harmattan, Paris, 1982, pagg.
21-22.
2
M., Galeazzi, La questione del Sahara Occidentale, Quaderni della Fondazione
Internazionale Lelio Basso, Roma, 1985, pagg. 13-16.
3
A., Mari, Il deserto della contesa, in Calendario del Popolo, n 555, giugno 1992
4
A., Gaudio, L’Ouest Saharien, Polaris, Firenze, 1997, pagg.133-134.
5
La documentazione di questi fatti che il governo di Rabat ha impugnato di fronte
alla Corte Internazionale di Giustizia per sostenere la storicità dell’appartenenza
del territorio del Sahara Occidentale al Regno del Marocco ha, alla luce della
sentenza emessa, sottolineato più i limiti che la vera e propria sovranità sostenuta.
2
1.1.2.
La
colonizzazione
e
la
resistenza
all’occupazione
spagnola e francese
Le mire espansionistiche dei sultani marocchini vennero arginate
dall’avvio del processo di colonizzazione da parte delle potenze
europee.
L’occupazione
coloniale
del Sahara
Occidentale
ebbe
inizio
ufficialmente nel 1884 quando la Spagna fu legittimata dalle altre
potenze europee riunite nella Conferenza di Berlino a prendere
possesso di questo territorio e l’esploratore Emilio Bonelli dette inizio,
per conto della Corona Spagnola, ad un’occupazione effettiva di
alcune porzioni di costa favorendo la stipula dei primi accordi
commerciali tra compagnie private spagnole e le tribù indigene.
L’interesse della Spagna può essere ricondotto a motivazioni sia
strategiche che politiche ed economiche: la posizione del Sahara
Occidentale avrebbe potuto permettere una buona base di difesa e di
comunicazione verso l’interno del continente africano e il suo
controllo avrebbe potuto contenere le mire di Francia e Gran
Bretagna che costituivano una minaccia per i progetti spagnoli di
dominio ed espansione commerciale 6.
Fu solo nei primi mesi del ‘9007 che le frontiere meridionali vennero
definite in modo preciso e si sarebbe dovuto attendere fino al 19128
per vedere il Sahara Occidentale ritagliato entro i confini ancora oggi
esistenti. Queste frontiere, nate meramente da accordi diplomatici,
possono facilmente esser considerate artificiali e discutibili in quanto
basate su meridiani e paralleli che riflettevano, come spesso è
successo in Africa, non diverse realtà sociali e geografiche ma
rapporti di forza tra potenze coloniali9.
6
M., Amimour-Benderra, le Peuple saharaoui et l’autodétermination, Enap, Algeri,
1988, pagg. 28-31.
7
Con la Convenzione di Parigi stipulata tra Francia e Spagna il 27 giugno 1900
8
Con la Convenzione di Madrid del 27 novembre 1912.
9
L. Ferrais e S. Ruggiero, Marocco: Saharawi l’ultima colonia, 27 maggio 2005, da
www.equilibri.net
3
La scarsa penetrazione spagnola effettiva nell’entroterra sahariano
favorì l’affermarsi dei primi movimenti di resistenza all’occupazione
costringendo Madrid, in difficoltà a chiedere l’aiuto della Francia per
neutralizzare questi ultimi almeno momentaneamente e procedere
con la reale occupazione dell’interno10 installando postazioni militari
e creando strutture amministrative locali efficienti in grado di
mantenere l’ordine. La presenza coloniale rimase debole ma riuscì
ad instaurare una capillare rete di controllo tramite una costante
presenza militare e amministrativa.
Nella prima fase della colonizzazione la popolazione non si poteva
considerare omogenea, date le diverse peculiarità di ogni tribù, e
mancava un diffuso senso di comunità. I Saharawi erano
semplicemente un’insieme di tribù che, storicamente, abitavano il
Sahara Occidentale; questo bastò, dopo l’inizio della vera e propria
invasione, a far sviluppare nella popolazione un sentimento diffuso
contro l’occupante rafforzando la coesione popolare e contribuendo a
costruire una mobilitazione delle tribù basata su una resistenza
quotidiana contro i valori, i modelli sociali e culturali importati. Questa
attitudine portò i Saharawi ad identificarsi sempre più profondamente
con le proprie radici comuni11
Solamente nel 1934, la Spagna riuscì ad occupare effettivamente
tutto il territorio del Sahara Occidentale, mise fine al sistema politico
allora esistente tra le diverse tribù e iniziò ad applicare misure
amministrative puntuali istituendo uffici di stato civile e introducendo
visti obbligatori per la transumanza12. Queste misure apportarono
grandi cambiamenti: un rapido processo di disgregazione tribale e
sedentarizzazione intorno ai più grandi centri furono due degli effetti
più significativi.
10
M., Barbier, op. cit.
C., Bontemps, La Guerre du Sahara Occidental, ed. Puf, Paris, 1984, pagg.4044.
12
E., Mancinelli, L’odissea del popolo saharawi, ed. Dell’Arco, Bologna, 1998, pag.
18.
11
4
Verso la fine degli anni ’50 vennero scoperti nella regione di Bu Crâa
ricchi giacimenti di fosfati che portarono a un rapido intensificarsi
dell’interesse di Madrid nei confronti della sua colonia13. Mentre nel
resto del continente africano il processo di decolonizzazione era agli
onori delle cronache, in Sahara Occidentale la presenza spagnola si
intensificava in maniera intensiva. Nel 1958 la colonia venne
trasformata in “Provincia d’oltremare”, espediente che consentiva alla
Spagna di rispondere negativamente alla questione posta dall’ONU
circa l’esercizio di eventuali funzioni amministrative “al di fuori del
proprio territorio” e di continuare a sfruttare le rendite dei fosfati
sahariani non calcolate al momento della colonizzazione. Gli abitanti
legalmente potevano essere assimilati ai cittadini metropolitani ma la
struttura del potere rimaneva tipicamente coloniale basata sulle forze
armate14.
1.1.3 Le rivendicazioni sul territorio del Sahara Occidentale e il
progetto del “Grande Marocco”
La fine degli anni Cinquanta, con la maturazione dei movimenti
indipendentisti africani e arabi, rappresenta un punto di svolta nella
storia della regione infatti, nel Sahara Occidentale così nel resto del
Maghreb, si crearono movimenti per la liberazione dal giogo
coloniale.
La transizione verso l’indipendenza in Marocco fu tutt’altro che
conflittuale: nel 1956 il sultano Mohamed V stipulò accordi diretti con
Parigi per veder riconosciuta la propria sovranità sul proprio Regno.
Rabat continuò a coltivare buoni rapporti sia economici che politici
con la Francia tanto da arrivare a chiederle aiuto per ristabilire
l’ordine interno e, poi, per sciogliere l’Esercito di Liberazione
marocchino (ALM).
13
S., Poscia, Il Maghreb e la questione saharawi, Centro di documentazione “El
Uali”, Cooperativa Universitaria Editrice, Napoli, 1987, pag. 7.
14
E., Mancinelli, op. cit., pagg. 20-21.
5
L’Algeria,
invece,
arrivò
alla
sua
indipendenza
in
modo
diametralmente opposto e il ruolo del Fronte di Liberazione
Nazionale (FLN) fu centrale: la lotta contro l’occupante sconvolse il
Paese e solo dopo otto anni e un milione di morti la Francia si
convinse a lasciare la sua colonia.
La morte di Mohamed V e l’acuirsi della guerriglia interna algerina
portarono
ad
un
repentino
cambiamento
dell’atteggiamento
marocchino nei confronti della vicina Algeria: se in un primo
momento il governo di Rabat si era reso disponibile a concedere
anche basi sul proprio territorio come retroguardia per l’Fln, in
seguito lo svilupparsi della lotta per l’indipendenza e lo scontro
aperto con i francesi misero a rischio l’ambizioso disegno della
monarchia alauita: costituire un “Grande Marocco”, dallo Stretto di
Gibilterra al Senegal, dall’Atlantico al deserto libico, inglobando parte
del Mali, dell’Algeria, la Mauritania e il Sahara Occidentale15. Questo
progetto, accolto benevolmente alla Corona, era nato in seno
all’Istiqlal, il più vecchio partito politico marocchino che ancora oggi si
erge a principale difensore dell’integrità territoriale e contesta il
principio di autonomia regionale16. Il successore Hassan II coltivò
con fervore questo piano entrando in rotta di collisione con i paesi
vicini tanto da scatenare una breve e intensa guerra nel 1963 contro
l’Algeria17, appena liberatasi dalla potenza coloniale, rivendicando i
propri diritti territoriali sulla regione algerina di Tindouf e da non
riconoscere per quasi 10 anni l’indipendenza della Repubblica
islamica di Mauritania18. Solo nel 1969 si giunse a una conclusione
diplomatica del contenzioso territoriale con l’Algeria con il Trattato di
Ifrane e ma si sarebbe dovuto aspettare la Conferenza di Naudhibu
15
S., Poscia, op.cit., pagg. 4-5
K., Finan, L’inestricabile conflitto del Sahara Occidentale, in Le Monde
Diplomatique, gennaio 2006.
17
La cosiddetta “Guerra delle sabbie”, nata come rivendicazione storica del
Marocco sul territorio algerino nascondeva anche interessi sul controllo dei
giacimenti di ferro in quell’area.
18
A., Mari, op.cit.
16
6
nel 1970 perché si potesse arrivare al riconoscimento della
Mauritania e alla parziale normalizzazione dei rapporti nell’area.
Le dichiarazioni d’intenti post conferenza di questi tre Paesi non
lasciavano molti dubbi riguardo le loro intenzioni sulle sorti del
Sahara Occidentale: l’Algeria mise ben in chiaro di non avanzare
alcuna ambizione territoriale nei confronti della colonia spagnola; il
Marocco, non vedendo immediatamente riconosciute le proprie
rivendicazioni per la costruzione del “Grande Marocco”19, lasciò anzi
tempo i lavori della conferenza, non riconoscendo legittime le
conclusioni; la Mauritania, al pari del Marocco, non nascose le sue
volontà espansionistiche sul territorio sahariano lasciando per la
prima volta intravedere l’eventualità di una spartizione territoriale20.
La Conferenza di Nuadhibu può essere considerata un momento
decisivo per la ridefinizione delle posizioni e degli equilibri nella
regione
evidenziando
le
due
visioni
opposte
riguardo
alla
decolonizzazione del Sahara Occidentale: da un lato quella
marocchina e mauritana che mettevano in primo piano i propri
interessi e un’azione strettamente strumentale, dall’altro quella
algerina di ricerca di soluzioni che non escludevano il rispetto del
principio di autodeterminazione e indipendenza.
Il
1975 è per i Saharawi un anno cruciale: finisce l’occupazione
coloniale e iniziano quella marocchina e quella mauritana(Fig. 1).
Messa
sotto
pressione
sia
da
parte
delle
organizzazioni
internazionali che sollecitano l’effettuazione di un referendum di
autodeterminazione sia da parte del Marocco e della Mauritania con
le loro rivendicazioni territoriali, agli inizi degli anni ’70 la Spagna
decise di accelerare il processo di decolonizzazione cercando, però,
di non compromettere i propri interessi nella regione.
Il Governo di Madrid informò ufficialmente il Segretario Generale
dell’ONU, Kurt Waldheim, della propria volontà di convocare un
19
AA.VV., Conflitti e aree di crisi nel mondo, Istituto geografico DeAgostini,
Novara, 2005, pagg. 147-149.
20
S., Poscia, op. cit., pagg.6-7.
7
referendum sull’autodeterminazione del Sahara Occidentale per il
primo semestre del 1975 e organizzò un censimento completo della
popolazione21.
La Corona marocchina, in difficoltà interna dopo lo scioglimento del
Parlamento nel 1965, la proclamazione dello stato di emergenza
dopo due tentativi di colpo di stato da parte dei militari e il crescente
malcontento sociale, vide nell’annunciato disimpegno spagnolo
un’utile occasione per rafforzare il proprio potere e superare il
periodo di crisi22. In questo clima, l’attività diplomatica tra Marocco,
Mauritania e Spagna23 si intensificò fino a portare, il 14 novembre
1975, alla firma degli “Accordi di Madrid” in base ai quali gli spagnoli
ritiravano le proprie truppe e accettavano il trasferimento del controllo
del territorio del Sahara Occidentale ai due Paesi confinanti (Il Rio de
Oro alla Mauritania, il Seguia El Hamra al Marocco)24.
21
A., Mari, op.cit.
K., Finan, op.cit.
23
Già durante l’agonia Francisco Franco il re Juan Carlos I di Borbone tornò
formalmente ad essere Capo di Stato.
24
J., Gurr, Western Sahara: a Forgotten Land, in Peace News, n 2437, febbraio
1999 – gennaio 2000.
22
8
Fig. 1: Mappa del Sahara Occidentale dal 1975 al 1979.
Fonte: sito internet: www.peacereporter.net
La nuova occupazione del territorio fu realizzata in tempi brevi ma,
mentre quella mauritana assunse un basso profilo e rimase blanda,
quella marocchina fu compiuta attraverso l’uso della forza e della
violenza contro la popolazione che già abitava il territorio.
Immediatamente dopo la firma degli “Accordi di Madrid” partì dal
Marocco una “Marcia Verde”25 di oltre 350mila civili che varcarono la
frontiera a Sud e presero possesso effettivo del territorio26. Mentre i
civili occupavano, più o meno, pacificamente il Sahara Occidentale,
le forze armate marocchine attaccavano, sia da terra che con
25
26
Colore dell’Islam e della Corona Alauita.
Da www.ambasciatadelmarocco.it
9
bombardamenti aerei con napalm e cluster bombs, la popolazione
spingendola ad un esilio forzato verso il deserto algerino 27.
Parte dei Saharawi intraprese questa strada, altri rimasero nei
territori sottomessi ai nuovi occupanti.
Secondo i giornalisti stranieri testimoni delle vicende, ad esempio,
solo circa seimila Saharawi rimasero a El Aaiun, tra questi la maggior
parte anziani non più capaci di sopportare sforzi per arrivare vivi nei
campi profughi.
1.1.4 La nascita del Fronte Polisario e proclamazione della
RASD
Il “popolo saharawi”, ormai riconosciuto come entità unica e
omogenea, non tardò a rendersi conto dei rischi a cui era esposto
ancor prima degli Accordi di Madrid; infatti, il 10 maggio del 1973
venne fondato il Fronte Polisario (Fronte Popolare di Liberazione del
Seguia El Hamra e del Rio de Oro) e immediatamente furono
organizzate piccole offensive contro l’esercito coloniale spagnolo28. Il
Fronte Polisario si impegnava militarmente per la liberazione
nazionale da tutte le forme di colonialismo e per la realizzazione di
un’indipendenza completa. Nel lungo periodo i suoi obiettivi erano
altrettanto ambiziosi: garantire le libertà fondamentali a tutti,
rilanciare un’economia nazionale autonoma annullando tutte le forme
di sfruttamento, ristabilire tutti i diritti politici e sociali, costruire uno
Stato sociale in grado di fornire servizi gratuiti e garantiti a tutte le
fasce della popolazione29.
Nel primo periodo immediatamente successivo alla partenza delle
truppe
spagnole
e
all’inizio
dell’occupazione
marocchina
e
mauritana, il Fronte si impegnò ad aiutare la popolazione durante
27
J., Gurr, op.cit.
W. De Neutre e H. Teuwen, “Les Sahraouis. Colères et espoirs”, pubblicazione
dal Centre national de Coopération au Dévelopment (CNCD) del Belgio e OxfamSolidarieté, Bruxelles, 2000, pag. 6 .
29
M., Amimour-Benderra, op.cit., pagg. 235-239.
28
10
l’esodo cercando di contrastare le ritorsioni militari avversarie e a
proteggere i rifugiati nella prima fascia di deserto algerino;
successivamente l’impegno si estese a garantire la sopravvivenza
nei campi profughi e, soprattutto, al tentativo di recuperare le terre
perdute e permettervi il rientro della popolazione stessa30.
L’esodo di massa della popolazione esprimeva chiaramente il suo
rifiuto di identificarsi con l’aggressore e la volontà di affermarsi come
entità distinta da questo.
Su un piano più strettamente formale, dopo la firma degli accordi di
Madrid, la Djemâa nazionale, assemblea saharawi, venne sciolta e la
quasi totalità dei suoi membri entrarono nel Fronte Polisario. La
Proclamazione di Guelta del 28 novembre 1975, sottoscritta dai
membri della Djemâa ormai sciolta e da sessanta capi tribù,
affermava con chiarezza il sostegno incondizionato al Fronte
Polisario come rappresentante unico e legittimo del popolo saharawi.
Sul piano internazionale l’ONU, già nel 1975 nel rapporto della
missione Rydebeck di osservatori inviati nel territorio del Sahara
Occidentale, sottolineava chiaramente che
“(…) Il Fronte Polisario è apparsa la forza politica dominante nel
territorio, la missione ha assistito a manifestazioni di massa in suo
favore31.
(…) La missione ha constatato che questo soggetto gode
dell’appoggio di tutti i settori della popolazione, in particolare delle
donne che, nella stessa misura dei giovani e dei lavoratori,
rappresentano la parte più attiva dei suoi aderenti32.
(…) La popolazione, o per lo meno la quasi totalità delle persone che
sono state incontrate si è pronunciata categoricamente in favore
30
Doutrelant P.M., Les Palestiniens du Maghreb ou la grande misère des réfugiés
sahraouies, in Le Monde, 16 febbraio 1976.
31
Documento ufficiale delle Nazioni Unite, Rapport de la Mission de visit au
Sahara Occidental, A/10023/Rev.1, vol.III, pag. 7.
32
Documento NU A/10023/Rev.1 vol. III, Op. Cit., pag. 67.
11
dell’indipendenza e contro le rivendicazioni territoriali del Marocco e
della Mauritania33.”
Un altro esempio del riconoscimento formale della legittimità ed
effettività del Fronte Polisario fu, certamente, la firma, e quindi la
capacità formale di concludere atti internazionali, dell’Accordo di
Pace il 5 agosto del 1979 tra questo e la Mauritania34 ormai in
procinto di abbandonare il Rio de Oro, che immediatamente dopo
venne invaso dalle forze marocchine e portando in questo modo a
compimento l’occupazione di tutto il Sahara Occidentale.
Il giorno successivo alla definitiva partenza delle truppe spagnole, il
27 febbraio 1976, il Consiglio Nazionale Saharawi Provvisorio, diretta
emanazione del Fronte Polisario, proclamò la costituzione della
Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), a Bir Lahlou nei
territori non ancora occupati, per far sì che si potesse affermare
l’esistenza di uno Stato sovrano reale e non di una terra nullius o un
vacuum di potere35. Il testo della proclamazione, successivamente
ampliato, ruotava intorno a quattro punti di argomentazione: la
legittimità, la legalità, l’opportunità e la necessità della nascita della
RASD. Pochi mesi dopo, il Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione
dell’Unità Africana (OUA) si pronunciò sul merito della proclamazione
della RASD affermando fermamente il diritto del popolo del Sahara
Occidentale a esercitare il suo diritto all’autodeterminazione e a
dichiararsi uno Stato libero, indipendente e sovrano36.
La Repubblica Araba Saharawi Democratica, sebbene nata senza
una terra su cui poter esercitare la propria sovranità, si dette da
subito una precisa organizzazione strutturata su più livelli nella
prospettiva di poter, un giorno, riuscire efficacemente a gestire un
territorio. I campi nel deserto algerino si strutturarono da subito con
amministrazioni proprie e elezioni con cadenza fissa venivano
33
Documento NU A/10023/Rev.1 vol. III, Op. Cit., pag. 118.
M., Amimour-Benderra, op.cit., pag. 240.
35
F., Kamal, The decolonisation process in Western Sahara, in Indigenous
Bullettin, Agosto-settembre 1999, vol. 4, issue 23.
36
M., Amimour-Benderra, op.cit., pag. 241.
34
12
organizzate per designare i rappresentanti e i delegati del Congresso
Popolare Generale.
1.1.5 Il conflitto tra Marocco e Fronte Polisario
Sebbene le iniziative diplomatiche in seno all’OUA rispetto alla
questione del Sahara Occidentale rivestissero un ruolo importante
nelle attività di quest’organizzazione37, queste non bastarono, alla
fine degli anni ’70 quando la Mauritania lasciò il Rio de Oro, a
impedire lo scatenarsi di una vera e propria guerriglia tra il Polisario e
l’esercito marocchino. La fazione saharawi contava un numero
ridotto di unità rispetto all’esercito marocchino ma una perfetta
conoscenza del territorio e una forte motivazione ideale facevano sì
che riuscissero ad organizzare offensive mirate efficaci mettendo in
difficoltà l’avversario38. Il Polisario mirava principalmente obiettivi
strategici di carattere economico e molto vulnerabili: gli impianti
estrattivi dei giacimenti di fosfati di Bu Crâa, i centri commerciali di
Smara e El Ayoun e la rete ferroviaria. La tattica della guerriglia
costrinse l’esercito marocchino a una guerra di posizione costosa e
logorante fino a trovare una soluzione all’escalation di agguati: la
costruzione di una “cintura di sicurezza” per ovviare all’impossibilità
di un controllo concreto del territorio separando materialmente il
“triangolo utile”39 dalle zone da cui potenzialmente sarebbero potute
partire le incursioni del Polisario. Fu così che all’inizio degli anni ’80 il
re Hassan II adottò la “strategia dei muri”. Rischiando una sconfitta in
campo militare il Marocco decise di riorganizzare la propria difesa e,
con la collaborazione economica di Stati Uniti, Francia e Arabia
Saudita, iniziò la costruzione di un sistema di muri difensivi40. Questo
37
M. C., Ercolessi, Gli aspetti diplomatici della questione saharawi, Centro di
documentazione “El Uali”, Cooperativa Universitaria Editrice, Napoli, 1986, pagg.
4-6.
38
A., Mari, op.cit.
39
Per “triangolo utile” si intende la zona di Smara, El Aiiun e Bu Crâa.
40
E., Mancinelli, op. cit., pagg. 50-51
13
sistema, costruito durante tutti gli anni ’80, si snoda dal sud del
Marocco fino alla costa atlantica al confine con la Mauritania per una
lunghezza complessiva di 2400 km, circa 60 volte il muro di Berlino41,
che racchiude circa 200.000 kmq e lascia incustodite solo alcune
piccole porzioni di territorio confinante con l’Algeria e la Mauritania42.
I “muri” consistono in terrapieni di pietrisco o sabbia, ricavati con i
materiali di riporto dall’escavazione delle trincee che li circondano e
sono preceduti da campi minati. La gestione di questi “muri”, il
sistema radar, le fortificazioni, i posti di guardia a questi legati
comportano una spesa elevatissima per Rabat; nei momenti di
massimo dispiegamento di forze arrivò anche a sfiorare il 40%
dell’interno bilancio statale. Sul piano militare, questo nuovo sistema
ripagò gli sforzi marocchini, rendendo, infatti, molto meno efficace
l’azione del Fronte Polisario che non poteva più penetrare nel
territorio occupato43.
Intanto la questione del Sahara Occidentale iniziò ad essere
affrontata diplomaticamente in sede multilaterale: sia l’OUA che
l’ONU elaborarono piani e risoluzioni per concludere il processo di
decolonizzazione e permettere l’autodeterminazione di questo
popolo. In questo contesto, nella primavera del 1991, si concretizzò
all’interno del Consiglio di Sicurezza un reale piano di pace e
l’attuazione di un referendum per l’autodeterminazione con la
risoluzione 69044 in cui si prese atto delle frontiere esistenti (Fig. 2),
si impose il cessate il fuoco tra le parti e si istituì la Missione
Internazionale delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara
Occidentale (MINURSO).
41
E., Galeano, Muri, in La Jornada del 24 aprile 2006
M., Berramdane Abdelkhaleq, Le Sahara Occidental enjeu maghrébin, ed.
Karthala, Paris, 1992, pag. 76
43
E., Mancinelli, op. cit., 1998, pag. 53
44
In seguito alle risoluzioni 621 del 20 settembre1988 e 658 del 27 giugno 1990
42
14
Fig. 2.: Mappa del Sahara Occidentale dal 1991 a oggi.
Fonte: Sito internet www.peacereporter.net.
1.1.6 La situazione attuale
Lo spartiacque della costruzione del muro contribuì in maniera
evidente a segnare una separazione netta tra il popolo saharawi: gli
esuli trovarono rifugio nell’area di Tindouf del deserto algerino e si
composero
in
tendopoli
riproducendo
organizzativamente
e
amministrativamente le città forzatamente abbandonate, la parte
rimasta nei territori occupati si ritrovò sotto la Corona marocchina e
nell’occhio del ciclone durante il processo di “marocchinizzazione”
del
Sahara
Occidentale45.
La
cultura
saharawi
venne
45
L., Ardesi, Sahara Occidentale trent’anni di repressione, in Missione Oggi del
dicembre 2005
15
sistematicamente osteggiata, fu proibito parlare il dialetto hassanya e
di vestire i costumi tradizionali, inoltre, forti discriminazioni furono
messe in atto nelle scuole e nei luoghi di lavoro, fu proibita
qualunque
assemblea
pubblica46.
Molti
furono
gli
arresti
indiscriminati, i casi di tortura e di processi non equi; molti saharawi
vennero fatti scomparire a scopo intimidatorio47.
Oggi la vita nei campi profughi continua a svolgersi in maniera
pacifica e grazie all’aiuto algerino, della cooperazione internazionale
e della solidarietà della società civile48. La situazione nei territori
occupati non è molto variata, la vita dei saharawi rimasti in patria
viene continuamente resa difficile dalle autorità marocchine accusate
ripetutamente per la violazione di diritti umani. Una legislazione
eccessivamente repressiva continua ad essere applicata verso chi
esprime pacificamente qualsiasi forma di dissenso e, sebbene una
legge contro la tortura sia stata varata dal governo di Rabat nel 2006,
gli agenti di sicurezza e la polizia non sono mai chiamati a rispondere
dei propri atti di violenza. Su temi politici e sulle libertà personali i
tribunali rifiutano regolarmente di svolgere processi equi per alcuni
imputati49. Dalla primavera del 2005 le manifestazioni di dissenso
verso l’atteggiamento repressivo di Rabat verso i saharawi residenti
nel territorio della ex colonia spagnola si sono intensificate dando
origine alla cosiddetta “Intifada saharawi”50; di conseguenza anche la
condotta delle autorità si è inasprita portando a reprimere con
eccessiva forza dimostrazioni non violente e continuando a non
rispettare diritti umani fondamentali nelle carceri e durante i processi
46
E., Mancinelli, op. cit., pagg. 54-55
Associación de Familiares de Presos y Desaparecidos Saharauis, ¿Sahara
Occidental hasta cuàndo?, Tercera Prensa-Hirugarren Prentsa, San Sebastiàn,
2002, pagg. 23-30
48
E., Galeano, op.cit.
49
Human Rights Watch, country summary, Morocco/Western Sahara, gennaio
2007, reperibile su www.hrw.org
50
Prospettiva 2005-2006, Osservatorio Strategico, Centro Militare di Studi
Strategici, Roma, anno VII, n. 12, Dicembre 2005, pag. 13
47
16
contribuendo a mantenere un clima di tensione permanente nella
regione51.
Attualmente, nonostante la situazione tutt’altro che pacifica e dopo
varie fasi di stallo, sono ripresi i colloqui tra le due parti sotto l’egida
delle Nazioni Unite sul futuro dei territori contesi52.
Riporto qui le ultime notizie riguardanti gli sviluppi più recenti.53
Il 23 dicembre 2007 a Tifariti54 è terminato il dodicesimo Congresso
del Fronte Polisario: in questa occasione è stato eletto il nuovo
segretario generale ed è stato deciso il programma di azione
nazionale relativo alla politica interna ed estera per i prossimi tre
anni.
Molti rappresentanti di paesi africani e latinoamericani hanno portato
il loro saluto, esprimendo il loro sostegno alla causa saharawi e
condannando l’intransigenza del Marocco e le sue violazioni contro i
saharawi nei territori occupati.
Il Fronte Polisario, a seguito di una lunga discussione al suo interno,
ha ripresentato la volontà di continuare i negoziati, quindi di
proseguire la via diplomatica di risoluzione, riaffermando il diritto
all’autodeterminazione del popolo saharawi.
Tale decisione rappresenta ancora una volta una scelta di pace e di
rispetto del diritto internazionale, che deve trovare una risposta
concreta dopo anni di negoziazione e di attesa estenuante.
Il governo italiano il 19 luglio scorso, attraverso un voto alla Camera
dei deputati, ha espresso una mozione che impegna il governo
italiano a mettere in pratica ogni iniziativa per giungere ad una
soluzione condivisa e definitiva del conflitto nel Sahara occidentale,
nell'ambito di quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite e a riconoscere lo status diplomatico alla rappresentanza in
Italia del Fronte Polisario, come è stato fatto in passato per altri
51
Amnesty International, coordinamento Nord Africa, La situazione dei diritti umani
in Marocco, novembre 2005, reperibile su www.amnesty.it
52
Da www.peacereporter.net
53
Da www.spsrasd.info
54
Sahara Occidentale, città che si trova nei territori liberati.
17
movimenti di liberazione riconosciuti dall'Onu come interlocutori
ufficiali in processi di pace.
Analogamente la Camera dei deputati spagnola ha espresso la
necessità di una soluzione “urgente, giusta e definitiva” che deve
dichiarare il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi,
attraverso l’organizzazione del Referendum.
Tali dichiarazioni sono un passo avanti rispetto all’indifferenza
dimostrata negli anni passati e rappresentano un punto di inizio
importante per la soluzione di questo difficile processo di pace.
Dal 7 al 9 gennaio 2008 è stata convocata una negoziazione tra
Fronte Polisario e Marocco, a Manhasset55 sotto l’egida dell’ONU.
Speriamo che le attese siano soddisfatte o comunque venga dato un
segnale forte verso una soluzione imminente.
La pazienza di questo popolo è stata abbondantemente messa alla
prova e credo che se non si risolverà a breve tale situazione, il
ritorno alla guerra sarà inevitabile.
55
Località vicino New York.
18
1.2
I campi profughi
Si calcola che siano presenti 200.000 Saharawi nei campi profughi
nell’estremo sud-ovest dell’Algeria. Tuttavia, si tratta di un numero
approssimato perché una buona parte della popolazione, per motivi
di lavoro e/o studio, si trova all’estero.
Il territorio che ospita i campi profughi è di circa 100 kmq ed è
completamente desertico.
Il clima è quindi arido, con piovosità quasi assente. L’acqua è
reperibile a breve profondità, ma ha una salinità elevata. Le tendopoli
nel deserto algerino hanno, a fini amministrativi, gli stessi nomi e
funzioni delle città vere del Sahara Occidentale, le stesse che i
Saharawi hanno dovuto abbandonare a causa della guerra di
occupazione portata avanti contro il Marocco.
Ci sono in tutto 4 province, dette willaya: El Ayoun, Smara, Dajla e
Auserd. Ogni willaya è divisa in 6 o 7 “comuni” detti daire.
In questo modo, attraverso l'organizzazione spaziale dei campi, si
ricreano l’identificazione ed il legame con la patria di origine.
Fig. 3. Panorama di Dajla (foto di J. Merlini).
Di seguito riporto una mappa delle tendopoli (Fig. 4) e una tabella
(Tab. 1) in cui sono riportate le distanze calcolate in chilometri.
19
Fig. 4. Mappa delle tendopoli saharawi (Fonte: rielaborazione da M.
56
Caramelli, giugno 2002 ).
56
Associazione Ban Slout Larbi, Sesto Fiorentino.
20
Tabella 1. Distanze tra i campi profughi, in chilometri.
Tindouf
57
Tindouf
Rabuni
25
58
El Ayoun
Smara
Auserd
Dajla
12
40
22
180
35
25
30
150
40
20
190
18
160
Rabuni
25
El Ayoun
12
35
Smara
40
25
40
Auserd
22
30
20
18
Dajla
180
150
190
160
170
170
Fonte: M. Caramelli, giugno 2002.
Ogni tendopoli ha la propria organizzazione politica rappresentativa,
con tanto di responsabili per l’igiene, la scuola e l’alimentazione, il
tutto reso ancora più sorprendente dall’armonia fra la gente.
A questo riguardo, è facile accorgersi della solidarietà che c’è tra le
persone, ma non solo, balza subito agli occhi la consapevolezza e la
fierezza di appartenenza al popolo saharawi.
Tale aspetto è intuibile ogni volta che vengono trattate questioni
politiche ma anche sociali; la politica, che è stata fatta e si continua a
fare, è fondata sull’importanza di aumentare il più possibile
l’appartenenza al popolo, attraverso il recupero e la valorizzazione
della tradizione e della storia saharawi.
I Saharawi hanno costruito un’organizzazione sociale, dove tutti sono
chiamati a ruolo attivo, dove sono valorizzati gli anziani e soprattutto
dove le donne condividono responsabilità a tutti i livelli.
La priorità spetta all’educazione e alla sanità, campi in cui il ruolo
delle donne è particolarmente importante. Tutti i giovani ricevono
un’istruzione a livello elementare e ora anche medio, ed esiste,
malgrado lo scarso materiale sanitario, una diffusa medicina di base.
In questo modo, si evita l’instaurazione di quei meccanismi di attesa
passiva, di fatalismo, smobilitazione, corruzione, così comuni nei
campi profughi africani.
57
58
Città militare algerina più vicina agli accampamenti.
Distretto Amministrativo Saharawi, sede del Governo e dei Ministeri.
21
Il largo margine di autonomia e di iniziativa lasciato ai Comitati di
base, ha stimolato l’ingegnosità e la creatività saharawi, che si
esplica in attività come il recupero e il riciclaggio di qualsiasi tipo di
materiale e nella creazione di esperimenti agricoli.
L’aspetto dei campi è profondamente cambiato dal 1975 ad oggi. Le
tende innalzate con pezzi di stoffa sono state sostituite da teli più
resistenti e sono state progressivamente arredate.
Quando appare evidente che l’attesa sarà lunga, accanto alle tende
inizia la costruzione di piccole stanze in mattoni di sabbia, di gabinetti
con fossa biologica per evitare le epidemie, di recinti per delimitare
gli spazi e vivere in maggiore intimità.
Le strutture pubbliche, quali scuole, dispensari, centri amministrativi,
sono tra le prime costruzioni in mattoni di sabbia, progressivamente
ingrandite e migliorate, e ormai le tendopoli sono diventate villaggi in
mattoni di sabbia. A partire dagli anni ‘90 è cominciato a circolare
denaro, in questo modo è stata migliorata e integrata l’alimentazione
con l’acquisto di alcuni beni di consumo. L’illuminazione delle case
nello stesso periodo è cominciata ad essere assicurata anche da
pannelli solari.
Gran parte dei mezzi materiali proviene dalla cooperazione
internazionale, anche se negli ultimi anni gli aiuti sono stati
dimezzati.
La Commissione Europea, in particolare il suo Ufficio per gli aiuti
umanitari (ECHO), rappresenta il principale fornitore di aiuti quali
quelli alimentari (riso, orzo, latte in polvere, carne di cammello),
assistenza medica e logistica, con un programma di ripristino
d’emergenza e depurazione dell’acqua. Dal 1993 ha destinato a loro
favore circa 96 milioni di euro. Nel 2001 ha adottato una decisione
per assicurare loro la fornitura di scorte di generi di prima necessità,
così da garantire un regolare e costante approvvigionamento ai
campi profughi. A questa decisione è seguito un piano globale
destinato al fabbisogno sia di prodotti alimentari sia non (soprattutto
22
tende e assistenza medica), nonché al sostegno nella produzione
locale di uova.
Le scorte di sicurezza degli alimenti base, forniti dal Programma
Alimentazione Mondiale (PAM) che finanzia a sua volta la Direzione
Generale degli aiuti Umanitari Europei, stanno subendo diminuzioni
continue negli ultimi anni.
La Croce Rossa Saharawi denuncia giornalmente che tale
discontinuità e diminuzione può provocare una vera carestia nelle
tendopoli, che dipendono esclusivamente dall’aiuto internazionale.
Le cause principali di questa difficile situazione secondo le fonti
saharawi sono sia il mancato rispetto degli impegni presi dalle
agenzie dell’ONU, in modo particolare dall’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR), sia l’atteggiamento del PAM
che si è piegato alle pressioni del governo marocchino e dei suoi
alleati per stremare i profughi saharawi.
In questa situazione la vita negli accampamenti diventa ancora più
difficile e la condizione di isolamento sempre più forte.
Le famiglie sono costrette ormai a comprare il necessario per il
sostentamento quotidiano nei mercati, perché anche quando
arrivano gli aiuti, le quantità sono scarse e non bastano per la
sussistenza.
Le conseguenze della scarsità di aiuti alimentari stanno modificando
la struttura sociale egualitaria presente nei campi profughi, la
disuguaglianza tra le classi sociali si sta accentuando e anche se è
presente una forte solidarietà tra le persone, se non avverrà a breve
un cambiamento di rotta, la pazienza di questo popolo verrà meno.
È molto grave quello che sta accadendo e se non ci sarà un
miglioramento ciò si rifletterà sulle scelte politiche future di questo
popolo, che, stremato dall’attesa di una soluzione politica, non può
essere tenuto anche digiuno.
23
1.3
Le donne: il motore della società saharawi
La popolazione residente nei campi profughi saharawi è composta
essenzialmente da bambini, anziani, donne e pochi uomini in età
adulta, questo perché la maggior parte degli uomini sono impegnati
nell’esercito o sono emigrati all’estero in cerca di lavoro.
In questo contesto, alle donne sono affidati i compiti principali della
vita civile, perché se da un lato si occupano della famiglia, dall’altro
sono impegnate nel funzionamento dei servizi del villaggio.
La storia del ruolo della donna saharawi ha subito molti cambiamenti
nel corso degli anni e se oggi è la forza più attiva della società, deve
questo risultato ad un percorso di rivendicazione molto articolato ed
interessante.
La colonizzazione spagnola del Sahara Occidentale, iniziata ai primi
del ‘900 e completata solo nel 1934, dopo una lunga resistenza
anche da parte delle donne, fece scomparire le antiche abitudini
proprie dei Saharawi ed in particolare quelle legate all’universo
femminile. Il colonizzatore destabilizzò le loro tradizioni e cambiò le
consuete usanze, rendendo sedentaria gran parte della popolazione.
Le donne divennero semplici consumatrici di beni che provenivano
dalla Spagna, togliendogli il loro ruolo di produttrici. Inoltre il
maschilismo proprio del colonizzatore spagnolo, non contribuì
certamente all’emancipazione della donna saharawi, infatti non le
offrì alcuna possibilità di istruzione.
Le ragazze persero così l’occasione, peraltro già rara, di poter
frequentare le “scuole coraniche” della società tradizionale nomade
dei Saharawi. Nel frig (accampamento nomade), l’educazione dei
giovani saharawi, e spesso anche delle ragazze, era sotto la guida
del Taleb (maestro coranico) che aveva la funzione d’impartire
insegnamenti generici, più che altro di tipo linguistico, con lezioni di
arabo e di hassanya (dialetto), e non unicamente di carattere
religioso. Gli spagnoli però non avevano certo l’intenzione di
24
continuare
questa
usanza
e
non
facilitarono
dunque
la
scolarizzazione.
Le donne si ritrovarono così prigioniere in un ruolo che non era loro
familiare, chiuse in casa, con le abituali tradizioni nomadi, predilette e
tramandate, che si andavano a poco a poco sgretolando e con nuove
usanze, per loro estranee, con cui dovevano ormai convivere.
È in questo periodo che le donne saharawi cominciano a partecipare
alla protesta contro il colonizzatore spagnolo che le stava
costringendo all’ignoranza, che le giudicava cittadine di rango
inferiore, e non le garantiva il diritto all’educazione.
Quando nel 1973 si crea il Fronte Polisario, il movimento di
liberazione del Sahara Occidentale, le donne ritrovano nuova
speranza. Si uniscono alla resistenza e creano una rete attraverso
tutto il paese. Nel 1974 si tiene la loro prima conferenza nazionale.
Nasce l’Union Nacional de las Mujeres Saharauis (UNMS). Le finalità
principali dell’UNMS consistono nel partecipare direttamente alla
lotta di liberazione nazionale del proprio paese, nel rendere visibile la
presenza ed il protagonismo delle donne saharawi nella società e nel
prepararle intellettualmente e professionalmente per il presente e il
futuro.
Durante il conflitto contro il Marocco, le donne dell’UNMS dettero
prova della loro capacità organizzativa, infatti non partecipando al
conflitto armato, organizzarono la tragica fuga verso il deserto
algerino, aiutando famiglie disperse in difficoltà, fornendo assistenza
ai malati, feriti, mutilati, anziani e bambini.
In questa situazione di agitazione e precarietà, trovarono rifugio ad
ovest di Tindouf; le donne, visto la loro esperienza passata durante
la colonizzazione spagnola, in cui si erano ritrovate sole, iniziarono a
organizzarsi.
L’organizzazione della vita nei campi profughi venne gestita fin
dall’inizio dalle donne, che diressero tutte le attività, mentre gli uomini
erano a combattere al fronte.
25
L’angoscia e l’inquietudine hanno ceduto il passo alla ferrea volontà
di ricostruire, partendo da ambiti vitali come la salute, l’igiene,
l’alimentazione e l’approvvigionamento d’acqua. Vengono istituiti dei
comitati popolari in cui le donne si autorganizzano per coordinare
anche altri settori: i rifornimenti, la giustizia, l’artigianato. Una volta
soddisfatti i bisogni primari, l’UNMS dedica tutte le riunioni
all’insegnamento degli adulti: è un insieme di vari “saperi” messi in
comune, per riuscire a superare le difficoltà iniziali e poter andare
avanti passo dopo passo, nel processo di alfabetizzazione, che parte
dallo stato embrionale delle prime esperienze della scuola “27
febbraio”, per arrivare attualmente al 95% della popolazione
saharawi scolarizzata, almeno fino ad un livello medio. L’Unione
decide
di
puntare
sulle
competenze
effettive,
favorendo
la
formazione professionale femminile, cercando di sostituire la
presenza obbligata della donna ovunque, e affidando ad ognuna il
compito che più le è idoneo, senza voler strafare nell’assegnare alle
donne ogni genere di responsabilità - anche se, giocoforza, poi nella
realtà è stato quasi sempre così.
Fin dai primi congressi popolari di base le donne cercano di
autogestirsi anche nelle capacità individuali, nella forza fisica, nelle
attività: erano e sono state per anni tutta l’impalcatura sociale ed
economica della RASD, mentre gli uomini vivevano per la maggior
parte del tempo in guerra, al fronte, su terreni minati, a rischiare la
vita per un conflitto che mobilitava famiglie intere, affetti, vigore,
gioventù, forza e speranze.
L’organizzazione democratica dell’UNMS oggi conta circa 12.000
membri tra le donne dei campi profughi intorno a Tindouf, quelle che
risiedono nelle zone occupate sotto l’oppressione del Marocco,
quelle delle zone liberate, e le altre donne emigrate all’estero e
organizzate in comitati locali e regionali.
26
Sul piano nazionale l’Unione si occupa dell’attuale situazione della
donna saharawi, del suo sviluppo, della sua emancipazione, del suo
benessere.
Inoltre, sempre sul piano interno, è cura dell’Unione dare aiuto alle
donne dei territori occupati del Sahara Occidentale, poiché è qui che
effettivamente le donne soffrono un calvario senza fine e per di più
taciuto al resto del mondo, e dove torture, sparizioni, processi
sommari ed irregolari, incarcerazioni arbitrarie sono all’ordine del
giorno.
L’UNMS con consapevolezza e partecipazione, cerca di alleviare le
sofferenze e i soprusi che le saharawi dei territori occupati
subiscono. Del resto, nei momenti di conflitto sono, senza eccezione,
le donne il soggetto principale. Drammaticamente la maggior parte
delle violenze ricade sempre su di esse: per la speciale simbologia
che il corpo della donna ha nel mondo musulmano e per il ruolo di
resistenza sociale e culturale che le donne saharawi svolgono da
così lungo tempo, pur non impegnate nella resistenza armata, esse
sono oggetto di un accanimento particolare nei territori occupati.
L’appoggio
dell’UNMS
dei campi profughi di Tindouf
è
di
fondamentale importanza per le Saharawi sotto occupazione, per la
circolazione delle notizie dai territori occupati. In segreto e sempre
sotto stretta sorveglianza, è molto importante che, al di là del muro
della vergogna che si snoda per oltre 2400 km, in quelle zone
occupate illegalmente dal Marocco, il popolo femminile Saharawi
imprigionato, si senta sostenuto e appoggiato dalle altre donne,
parenti, amiche, sorelle, che “hanno la fortuna” di vivere, da
trent’anni, negli accampamenti dei rifugiati.
L’Unione, inoltre, nei campi profughi si dedica anche a migliorare la
situazione dell’infanzia, degli anziani e dei diversamente abili. Sono
su questi versanti che le donne, nei comitati di base che ci sono in
ogni willaya e di conseguenza in ogni daira, hanno assunto
responsabilità della gestione, a livello “manageriale” fin dai primi
27
momenti
del
loro
insediamento
nelle
tendopoli.
Sul
piano
internazionale l’UNMS si preoccupa di notificare le disuguaglianze
delle donne nel mondo, e la violazione dei loro diritti. Denuncia le
guerre e i conflitti di cui le prime vittime sono sempre i bambini e le
donne. Condanna energicamente ogni violazione dei diritti umani che
sempre si riscontrano nonostante le convenzioni e gli accordi
internazionali. Ha contatti con altre organizzazioni e movimenti
femminili ovunque nel mondo, e cerca di far proprie le altrui
esperienze,
per
migliorare
al
massimo
la
situazione
dell’emancipazione femminile della donna saharawi.
L’Unione è diretta da una Segreteria Nazionale composta da 57
membri eletti dal Congresso (le elezioni si tengono ogni 5 anni).
Della Segreteria fa parte il Direttivo esecutivo che è presieduto dalla
Segretaria Generale, eletta sempre dal congresso, e che fa parte
anche lei per statuto della Segreteria Nazionale del Fronte Polisario.
Il Direttivo è suddiviso in 4 settori che si occupano di relazioni
esterne, informazione e cultura, territori occupati ed emigrazione, ed
affari sociali. Inoltre nelle 4 principali willaya del paese, El Ayoun,
Smara, Auserd, Dajla, ci sono gli uffici regionali addetti ai differenti
settori. Ogni 6 mesi la Segreteria Nazionale dell’UNMS si riunisce
per valutare i rapporti ricevuti dalle willaya, dai 4 settori del Direttivo,
e dal Direttivo stesso. Si impostano le azioni future, si tracciano le
linee delle prossime manifestazioni, si vota il programma semestrale
e si decidono le posizioni politiche da prendere, se necessario.
Molte sono le sfide con le quali in questi anni l’UNMS si è confrontata
e ancora oggi s’imbatte, per esempio:
•
la maggiore partecipazione politica delle donne, data la scarsa
rappresentatività femminile a livello del Parlamento e dei
Consigli di willaya e di daira;
•
il nuovo ruolo che le donne hanno dovuto assumere dopo il
cessate il fuoco del 1991, con il ritorno degli uomini dal fronte;
28
•
l’inserimento
delle
donne
con
le
nuove
competenze
professionali, anche di livello elevato e specialistico grazie agli
anni di studio all’estero, nel nuovo contesto dei campi
profughi;
•
le nuove responsabilità familiari createsi negli ultimi anni, con
gli uomini che emigrano in Spagna per poter portare reddito
alle famiglie e la donna che resta sola nei campi profughi.
La profonda convinzione delle donne saharawi è che tutti gli sforzi
per progredire nella libertà devono partire dalla base della società,
che sono la famiglia e la donna, e per realizzare ciò bisogna
sostenerli nell’approfondimento del loro ruolo educativo, formativo,
culturale, col fine di dipendere sempre meno dall’esterno, e far
diventare la famiglia il motore dinamico della politica del paese.
A titolo di esempio riporto un’intervista di Tfarah, la responsabile del
laboratorio di tessitura di Dajla, in cui ci racconta come hanno
organizzato e mantenuto la confezione di tappeti tradizionali59.
“Anticamente la maggioranza dei Saharawi erano tutti nomadi e
pochi erano cittadini, quindi erano abituati ad allevare capre e
cammelli, ma anche a confezionare tappeti e coperte per ripararsi dal
freddo.
Quando nel 1975 parte del popolo Saharawi è dovuto scappare nel
deserto iniziarono nuovamente a fare i tappeti ma non avevano la
lana, e quindi non avevano l’autosufficienza per fare i prodotti. Non
solo, al momento della fuga, le persone sono dovute scappare con
una mano davanti e l’altra dietro, quindi chi nel Sahara Occidentale
tesseva iniziò a cavarsela con quello che aveva, scucendo maglioni
per fare coperte per ripararsi dal freddo, da qui iniziò l’abitudine ad
adattarsi a vivere con il poco che aveva. Dal 1975 al 1988, per
risolvere a questa mancanza di materiale, il governo saharawi
comprò un quantitativo sufficiente di lana che distribuì alle donne
59
Dal video Tessere la libertà realizzato dall’Associazione Concausa.
29
delle daire che producevano una media dai 25 ai 30 tappeti (molto
grandi) all’anno destinati ad essere venduti. I guadagni delle vendite
furono investiti nei primi anni dall’arrivo per comprare medicinali e
generi di prima necessità per il sostentamento dei nascenti campi
profughi.
Dal 1988 ad oggi c’è stato un cambiamento nella politica e anche nel
comportamento stesso del popolo saharawi perché le donne hanno
avuto l’opportunità di iniziare attività proprie, di essere indipendenti
studiando all’estero, quindi alcune hanno continuato a confezionare
tappeti ma per conto proprio e l’intervento del governo è proseguito
finanziando la scuola “27 febbraio” di formazione professionale per le
donne.
In ogni willaya le donne si sono organizzate autonomamente grazie
all’aiuto internazionale di associazioni e ONG.
Il laboratorio di Dajla è nato nel 2003 dall’esigenza della scuola delle
donne di fornire un luogo alle donne diplomate in sartoria e in
confezione di tappeti per continuare l’attività e non cedere nella
rassegnazione e nella depressione.
È stata fatta quindi una selezione nelle daire privilegiando le più
bisognose. In tutto sono 36, così suddivise: 17 nel settore di
confezioni di tappeti, 15 nel settore di sartoria e 4 aiutanti due in ogni
settore, tutte le donne che partecipano al laboratorio sanno già
lavorare”.
Come è facile intuire il problema della depressione tra le persone che
vivono nei campi profughi è molto comune, data la condizione di
isolamento.
La mancanza di prospettive per il futuro genera inerzia e una
condizione di completa dipendenza dagli aiuti.
Per arginare questo problema sono quindi organizzate queste attività
per sostenere e dare un senso all’attesa nei campi profughi.
30
In una lettera indirizzata al Comitato Selma e al Villaggio dei Popoli,
che da molti anni lavorano con il popolo saharawi nei campi profughi,
le donne della UNMS di Dajla scrivono:
“Ci siamo rese conto, anche se un po’ tardi, che la nostra
dipendenza dagli aiuti internazionali è fatale, giacché, alcune
persone stanno utilizzando questi aiuti come pressione per toglierci i
nostri legittimi diritti all’indipendenza e all’autodeterminazione. Per
questo l’UNMS locale ha creato un dipartimento di cooperazione e
cooperative incaricate di organizzare il lavoro artigianale (…) al fine
di
creare
un’economia
particolare
che
servirà
per
l’autosostentamento della famiglia saharawi”.
Ed è proprio grazie alla cooperazione tra le donne dell’UNMS della
willaya di Dajla ed il Comitato Selma di Greve in Chianti che è nato
un progetto pluriennale, maturato poco per volta, coinvolgendo molti
enti pubblici e associazioni, che ha alla base una profonda solidarietà
ed amicizia.
31
Capitolo 2
In questo secondo capitolo vorrei descrivere un progetto promosso
dal lavoro di un piccolo Comitato che per la sua storia, ha un
rapporto lungo e consolidato con le donne della UNMS di Dajla.
Dajla è la tendopoli più a sud di tutte, la più lontana, in assoluto
rispetto alle altre tre, la più svantaggiata, ma è quella che presenta
l’esperienza di attività di lavoro delle donne più energica e
sorprendente.
Prima di descrivere nello specifico il progetto “Tessere la libertà” che
ho seguito da vicino in tutte le sue fasi, credo sia necessario
spiegare qual è stato il percorso intrapreso che ha portato a tale
risultato.
2.1
Storia del progetto
Il Comitato Selma di Greve in Chianti si è costituito nel 1998 ed ogni
anno organizza un viaggio di solidarietà nei campi profughi saharawi.
Inizialmente, essendo un piccolo Comitato, si occupava di progetti
con le scuole materne portando ogni anno insieme alla delegazione
in visita nelle tendopoli materiale didattico per le scuole elementari e
materne nella willaya di Dajla.
Dal 2002 ha cominciato un percorso di collaborazione con la scuola
di formazione professionale delle donne dell’UNMS di Dajla, motivata
dall’interesse di esportare i tappeti realizzati dalla scuola, per
verificarne la commerciabilità in Italia attraverso i canali del
commercio equo e solidale.
La qualità dei manufatti, però, si è subito rilevata bassa e la tipologia
del prodotto non in linea con i gusti occidentali.
32
Nel gennaio 2004 i rappresentanti del Comitato Selma e il gruppo
progetti del Villaggio dei popoli si sono recati a Dajla, dove hanno
potuto vedere le attività organizzate dalle donne.
Tfarah, la responsabile delle cooperative di Dajla, ha presentato loro
una situazione strutturata, legata alla scuola di formazione
professionale, tramite una rete di cooperative aperte a tutte le donne
che desiderino farne parte.
Le donne, soprattutto quelle più anziane, a rischio di isolamento e di
depressione, lavorano in casa oppure in locali destinati ad uso
laboratorio. Le attività sono svariate, vanno dall’uncinetto alla
tessitura, alla cesteria e alla bigiotteria. Sono stati acquistati una
serie di oggetti con l’intenzione di utilizzarli come campionario per le
botteghe del commercio equo.
Vista la produzione, l’obiettivo iniziale era quello di dare l’avvio
all’esportazione di questi prodotti realizzati dalle donne saharawi, su
ordinazione dall’Italia, iniziando con acquisti simbolici fatti dalle
delegazioni nei viaggi di solidarietà per testare la vendibilità.
Tutto ciò in attesa di studiare un modo per rendere ufficiale il
commercio dalle tendopoli all’Italia. Ben presto, tale obiettivo a lungo
raggio si è in seguito rivelato molto difficoltoso da raggiungere poiché
i saharawi, profughi in Algeria, hanno un particolare status giuridico e
sono sottoposti al controllo della Croce Rossa Algerina.
Non avendo ancora ben chiaro quale sfera della produzione
artigianale incentivare, la delegazione si è resa conto, però, che lo
spirito di iniziativa delle donne della scuola di Dajla doveva essere
ben indirizzato, ed in questo senso in accordo con loro, è stata
proposta l’introduzione di un tecnico specializzato per migliorare la
qualità dei prodotti.
A tal proposito uno dei dubbi iniziali era relativo alle materie prime, o
meglio, la questione era se fosse stato meglio inviare denaro per
l’acquisto di questa in Algeria, oppure inviarle direttamente dall’Italia,
magari sfruttando alcuni contatti nell’area pratese.
33
Inoltre a proposito della tessitura, le donne saharawi hanno esposto
più volte la loro necessità di recuperare il loro know-how.
Da queste idee iniziali si sviluppa, un progetto di cooperazione
internazionale con il fine di promuovere l’attività delle cooperative
delle donne di Dajla, chiamato “Progetto Maima” (dal nome della
direttrice della scuola femminile di formazione).
Il progetto Maima è nato dal desiderio di intervenire a favore del
miglioramento qualitativo dell’artigianato femminile e della sua
commercializzazione, utilizzando i canali del commercio equo e
solidale, tenendo presente le usanze e le tradizioni del popolo
saharawi.
L’idea delle donne di Dajla era, infatti quella di riuscire a creare un
laboratorio di tessitura ispirato alla tradizione tessile saharawi.
Nell’ottobre del 2004 il Comitato Selma insieme al villaggio dei Popoli
hanno coinvolto in questo progetto attraverso un partenariato: il
Comune di Bucine, il Comune di Tavarnelle Val di Pesa, la provincia
di Arezzo, l’associazione valdarnese di solidarietà al popolo saharawi
e l’ANPAS Toscana.
Prendendo atto di questa volontà il Comitato Selma, insieme ai
partner progetto, ha stabilito i seguenti obiettivi:
•
Mantenere l’identità culturale, delle tradizioni e delle usanze
del popolo Saharawi
•
Incentivare la diffusione delle cooperative artigianali
•
Sostenere la scuola di formazione femminile di Dajla
•
Organizzare corsi di formazione professionale sulla qualità del
prodotto
•
Verificare la possibilità di commercializzazione.
Il progetto viene, quindi presentato alla Regione Toscana e inserito
nell’azione III del Progetto Quadro Saharawi 200460, chiamato
“Recupero e miglioramento della tradizione tessile Saharawi”, i cui
capofila sono il Centro Nord-Sud di Pisa e il CNA di Arezzo, con il co60
Legge Regionale 23 marzo 1999 n. 17.
34
finanziamento della Regione Toscana e del tavolo di coordinamento
regionale Saharawi. Vengono unite le azioni e concordata la
rimodulazione finanziaria in base agli apporti del nuovo partenariato,
che viene allargato alle seguenti associazioni ed enti:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Comune di Bucine
Associazione Valdarnese di solidarietà al popolo saharawi
Comitato “Selma” di Greve in Chianti
Conferenza dei sindaci – zona ValdarnoProvincia Arezzo
Bottega del Mondo “il Villaggio dei Popoli”
Coordinamento tessitori
ANPAS Toscana
Comune di Greve in Chianti
Comune di Bagno a Ripoli
Comune di San Casciano Val di Pesa
CNA di Arezzo
Comune di Tavarnelle Val di Pesa
Durante il viaggio di gennaio 2005 sono stati presi accordi con le
donne per l’organizzazione del corso e per la condivisione degli
obiettivi.
Il progetto intende intervenire a favore del miglioramento qualitativo
dell’artigianato locale e della sua commercializzazione, al fine di
attivare percorsi di sviluppo equo e sostenibile tenendo conto delle
tradizioni e delle usanze del popolo Saharawi.
Nello specifico l’azione III si propone di promuovere la formazione di
n. 4 donne saharawi che operano all’interno della scuola delle donne
di Dajla.
Durante la prima fase le quattro donne saharawi sono state ospitate
per due mesi in Toscana (26 giugno-16 agosto 2005) al fine di
iniziare un percorso di formazione artigianale, che ha coinvolto gli
operatori del Coordinamento dei Tessitori di Firenze.
Le quattro ospiti sono state introdotte a vari aspetti della tessitura a
mano e nell’ambito di un workshop con l’artista tessile Luciano
35
Ghersi hanno potuto 1) apprendere come costruire telai usando
materiali di recupero e 2) realizzare alcuni campioni di tessuto.
La seconda fase, che si è svolta nel novembre 2005, ha visto
nuovamente la partecipazione di Luciano Ghersi, il quale si è recato
a Dajla per proseguire la formazione con 30 donne e contribuire alla
nascita del laboratorio alla scuola delle donne.
Il corso è stato incentrato in particolar modo sulla stimolazione della
creatività delle donne saharawi che hanno appreso, ad esempio
l’importanza dell’abbinamento dei colori, del disegno, utilizzando
strumenti di lavoro presenti nel laboratorio.
Intanto il Villaggio dei Popoli ha portato avanti il suo impegno di
sensibilizzazione alla causa saharawi, allestendo all’interno della
bottega equo e solidale di Firenze, sin dal 2004, uno spazio
interamente dedicato all’esposizione della bigiotteria proveniente dai
campi, con l’ulteriore scopo di verificare la vendibilità dei prodotti.
Dunque, acquistando una serie di oggetti principalmente di bigiotteria
(come braccialetti, collane, ma anche oggetti creati con materiali
riciclato), si è cercato di studiare meglio la produzione.
Per questo scopo è stato chiesto alle donne che avevano realizzato
gli oggetti di compilare una scheda, indicando per ciascun manufatto
alcuni dati, quali i materiali usati, la provenienza, il costo dei
materiali, le fasi di lavorazione ed il tempo impiegato.
Queste informazioni, se attinenti alla realtà e se ben analizzate
avrebbero potuto fornire delle indicazioni per stabilire il prezzo di
vendita degli oggetti e la giusta retribuzione per le lavoratrici.
Di seguito un esempio di scheda del prodotto.
36
U.N.M.S. di Dajla
Nome del
Descrizione del
prodotto
prodotto
Materiali utilizzati
Nome del
materiale
Provenienza
Quantità
Costo per
Costo
unità
totale
1.
2.
3.
4.
Scheda del prodotto
Fase di elaborazione del prodotto Tempo impiegato Persone impiegate Materiali utilizzati
1. Pianificazione del lavoro:
- Disegno
- Selezione dei materiali
2. Filato
3. Preparazione dei licci
4. Tessitura
5. Prodotto finito
Campionario
Nomi delle artigiane:____________________________________________
Daira di realizzazione:_______________________________________________
Cooperativa di realizzazione:__________________________________________
Commenti particolari:____________________________________________
37
Le risposte diverse date nelle schede, hanno ben presto lasciato lo
spazio al sospetto che in realtà tali prodotti fossero acquistati altrove
e perciò non appartenenti alla tradizione del “popolo del deserto”.
Il Villaggio dei popoli, allora cercando un prodotto artigianale
originale e caratteristico, ha spostato la sua attenzione sul settore
tessile, concentrandosi sulla possibilità di creare un filo diretto per
l’esportazione.
A conclusione del lavoro fatto durante l’estate-autunno 2005,
l’associazione
Concausa61
si
è
occupata
di
realizzare
un
documentario sul progetto.
Hanno infatti raccolto le immagini, le interviste ed i momenti più
esplicativi dell’esperienza toscana delle quattro ragazze saharawi,
così come del corso fatto da Luciano Ghersi a Dajla e ne hanno
ricavato un dvd intitolato “Tessere la libertà”.
Purtroppo nel febbraio 2006 i rifugiati Saharawi sono stati
protagonisti di un drammatico evento, ovvero un’alluvione, che,
devastando le tendopoli saharawi, ha reso difficile la prosecuzione
immediata del progetto.
Fortunatamente Dajla non è stata investita in modo grave
dall’alluvione e nel viaggio di febbraio 2006 il Comitato Selma si è
incontrato con le referenti del laboratorio di tessitura, Tfarah e
Hindu62 , desiderose di sapere se i prodotti fatti dalle donne erano
stati venduti.
Nel corso dei due stage le donne di Dajla hanno potuto apprendere
molto, ma la sensazione generale, comune sia ai partner progetto
che alle dirette interessate, è stata che il tempo a disposizione
potesse essere meglio equilibrato tra gli aspetti di elaborazione
artistica e la progettazione esecutiva.
Sono rimaste molto entusiaste dal lavoro fatto con Luciano, perché
hanno lavorato molto sulla loro creatività e sull’importanza del
61
62
Associazione Culturale Comunicazione Visiva.
Presidentessa della UNMS di Dajla.
38
disegno e dell’accostamento dei colori, fattori sui quali non avevano
riflettuto veramente.
Tuttavia a causa di una non condivisione degli obiettivi con il
tessitore non sono stati venduti i manufatti delle donne ma
semplicemente utilizzati come campionario.
Le donne hanno manifestato in seguito la volontà di voler proseguire
la formazione tessile, attraverso una lettera nella quale ringraziano
per la possibilità ricevuta.
Ufficio Esecutivo dell’UNMS
Dipartimento locale di Dajla
Grazie alle seguenti associazioni italiane: Regione Toscana, ANPAS Toscana,
Comitato Selma per aver compiuto un po’ del nostro sogno. E grazie in particolar
modo al dott. Luciano Ghersi per aver condiviso insieme a noi un periodo ricco
però di molto lavoro.(…)
Durante questo corso le partecipanti hanno imparato molte cose nuove per loro
come: la libertà nella creatività, l’importanza delle combinazioni di colori, il servirsi
di tutti i colori disponibili, il lavorare con l’ordito continuo, lavorare con nuovi
strumenti, produrre nuovi prodotti utilizzando gli stessi materiali.
Abbiamo ancora bisogno di:
Formazione:
•
sulla tecnica artistica delle donne motivata da un compenso;
•
di una manager incaricata di provvedere al materiale e alla distribuzione
dei prodotti;
•
di una maestra di tessitura per la direzione tecnico-artistica del laboratorio.
Produzione:
•
il reperimento di una fonte costante di filo di lana di qualità;
•
la creazione di prototipi per dimensioni e tipologia, con disegno libero.
Attrezzature:
•
il miglioramento delle attrezzature del laboratorio;
•
un sistema di illuminazione con pannelli solari.
Commercializzazione:
•
commercializzazione dei prodotti nel mercato interno e esterno
•
promozione
attraverso
documentazione,
show
room,
sito
web,
esposizione.
39
Grazie di nuovo per tutto quello che avete fatto per le donne di Dajla e speriamo
che un giorno potremmo restituirvi un po’ del vostro impegno, della riconoscenza e
dell’appoggio incondizionato alla nostra causa.
22 febbraio 2006
Tfarah Seyidi – Direttrice del laboratorio di tessitura
Hindu Gailani – Presidentessa UNMS della provincia di Dajla
Alcuni problemi, infatti restavano irrisolti, come il reperimento di lana
di buona qualità e la possibilità di realizzare un’attività lavorativa per
le donne con la vendita dei prodotti.
Il recupero della tradizione tessile saharawi si traduce in una presa di
coscienza che i telai presenti nel laboratorio non sono parte della
tradizione ma sono il frutto di una donazione fatta negli anni Ottanta,
infatti la tessitura tradizionale fatta dalle donne saharawi veniva fatta
con telai a terra tipici delle popolazioni nomadi.
Nel corso del 2006, una volta concluso il progetto, alcuni dei partner
visti i risultati non del tutto soddisfacenti, decidono di non dare
seguito alla collaborazione.
40
2.2
Progetto: Tessere la libertà
Dalle conclusioni delle donne dell’UNMS, il Comitato Selma, ANPAS
Toscana,
Associazione
Villaggio
dei
Popoli
e
Associazione
Concausa, decidono di dare continuità al progetto cercando di
imparare dagli errori commessi dando inizio ad un nuovo progetto
chiamato “Tessere la libertà”.
Nell’ottobre del 2006 a Victoria una rappresentante del Comitato
Selma partecipa al gruppo di lavoro “donne e equità di genere” in
occasione
della
32° edizione
della
Conferenza
Europea
di
Coordinamento di Appoggio al Popolo Saharawi (EUCOCO). In
questa sede si rilevano dei punti fondamentali da cui poi il progetto
ne ricaverà in parte alcuni dei propri obiettivi.
Conclusiones del Taller sobre las Cooperativas de mujeres
La prolongada situación de refugio que padece el pueblo saharaui requiere
acciones que promuevan el desarrollo en el refugio. En este sentido, queremos
visibilizar la iniciativa y energía de las mujeres saharauis, que han sido pioneras a
la hora de impulsar cooperativas en los campamentos.
Las participantes refrendamos las líneas estratégicas propuestas por la UNMS
para este sector y además queremos realizar las siguientes consideraciones:
1. El Departamento de Cooperativas de la UNMS es la contraparte e
interlocutora imprescindible para cualquier proyecto productivo dirigido
a las mujeres saharauis, ya que cuenta con la experiencia previa y la
visión de conjunto en el sector.
2. Los procesos de formación dirigidos específicamente a mujeres en
aspectos económicos han de tener la coherencia y duración suficientes
como para generar un impacto real en la mejora de las capacidades de las
mujeres.
3. Urge diversificar las actividades económicas de las mujeres en el
mercado local, que supone incorporar a las mujeres también a los
sectores de comercialización y servicios, y a actividades tradicionalmente
no femeninas.
41
4. Las actividades económicas dirigidas a mujeres deben contar previamente
con un plan de viabilidad. Insistimos en ello dada la tendencia
generalizada a encasillar a las mujeres en actividades que refuerzan sus
roles
tradicionales
sin
generar
beneficios
que
redunden
en
su
empoderamiento y calidad de vida. Los proyectos productivos deben estar
orientados a la comercialización, es decir, iniciarse a partir de la demanda
del mercado antes de planificar la producción, y no al revés.
5. Consideramos que la producción para el mercado interno y los circuitos
cortos de producción, distribución y comercialización generan más
capacidades
y
mayor
sostenibilidad
para
las
cooperativas.
Recomendamos que se promueva la producción para el mercado externo
únicamente si se puede asegurar una demanda seria y estable de los
productos. En cualquiera de los dos casos, antes de poner en marcha una
actividad es preciso realizar estudios de consumo interno y externo.
6. Dado que la UNMS ya cuenta con un programa de microcrédito,
entendemos que las organizaciones, a la hora de contribuir a este
programa, deben ajustarse a los criterios ya establecidos por la UNMS,
a fin de evitar duplicidades o descoordinación.
7. Queremos realizar una mención especial a la necesidad de diversificar la
Formación Profesional de las mujeres, incentivar su formación en oficios
no tradicionalmente femeninos y aumentar la calidad de la formación, ya
que ésta condiciona su acceso al mercado de trabajo y desempeño
empresarial posterior.
8. Finalmente, el objetivo de la cooperación en el sector productivo es
fortalecer el mercado local. Para apoyar el tejido productivo propio y
hacerlo posible, es importante que las ONGD y Asociaciones de Amistad
con el Pueblo Saharaui opten en las compras necesarias para la ejecución
de sus proyectos por productos producidos en los campamentos. En la
misma línea sería una apuesta importante de la población saharaui optar
por el consumo de artículos de producción propia.
Tenendo presenti queste conclusioni decidiamo di impostare
l’organizzazione del progetto insistendo su tre punti fondamentali:
1. diversificare la produzione dei prodotti lavorando sulla
creatività delle donne,
2. rivolgere la produzione sul mercato interno e non solo alla
vendita estera,
42
3. creare una produzione che porti all’accumulazione di un
reddito per le donne.
Rispetto al precedente progetto, decidiamo di concentrarci sulla
creatività e non sul recupero della tradizione vista la presenza di telai
arcaici non tradizionali della cultura tessile saharawi. Comprendiamo
che è importante non limitare la produzione alla tessitura di tappeti
ma far creare alle donne prodotti utili a loro stesse nella prospettiva
primaria di indirizzare i manufatti nel mercato locale prima che in
quello estero attraverso i canali del commercio equo e solidale.
Fig. 5. Tessere la libertà (foto di O. Bruno).
43
L’incremento dell’attività delle cooperative attraverso la produzione
del laboratorio di tessitura dovrà servire per l’accumulazione di un
piccolo reddito per le donne, con il fine ultimo nel lungo periodo di
renderle autonome.
Visti gli obiettivi molto ampi crediamo necessario fare un percorso
lento, calibrando a poco a poco le azioni, in sintonia con le nostre
referenti nelle varie fasi, rispettando i tempi e le esigenze delle
donne.
2.3
Rapporto della prima missione (gennaio-maggio 2007)
Nel viaggio di gennaio 2007 presentiamo alle responsabili della
UNMS la volontà di non voler abbandonare il tema della formazione
tessile, infatti si desidera ripresentare il progetto con alcune
modifiche, cercando di non ripetere gli errori commessi in
precedenza.
In primo luogo Costanza Sanvitale63 consiglia, vista la mancata
coordinazione sugli obiettivi finali con il precedente esperto, di
proporre un altro tessitore, che verrà in visita a maggio nel
laboratorio di tessitura.
Suggerisce di introdurre nel laboratorio di tessitura un nuovo tipo di
telaio più piccolo (orizzontale) per rendere il lavoro più rapido, e
permettere non solo la produzione di tappeti ma di oggetti utili alle
donne come scialli, turbanti, borse, ecc.
La responsabile del laboratorio e delle cooperative Tfarah, è
soddisfatta dal lavoro svolto dal tessitore che ha tenuto il corso
perché è riuscito a stimolare le donne ad esprimere la propria
creatività. Vista l’attrezzatura presente, sostiene che per ora è meglio
continuare solo con la tessitura, ma si dichiara entusiasta da subito
63
Presidentessa Comitato Selma, capo progetto.
44
sulla possibilità di far produrre alle donne manufatti utili per loro
stesse.
Concordiamo sull’importanza di allungare il periodo dello stage nei
campi profughi (almeno tre settimane) e anteporlo al corso previsto
in Italia.
Hindu, la responsabile della UNMS di Dajla, propone di selezionare
le quattro donne che parteciperanno allo stage in Italia, attraverso
una sorta di concorso per individuare nel gruppo le migliori
potenzialità nel proseguire il percorso.
Esprime un giudizio positivo per l’introduzione di nuove attrezzature
per la tessitura ma mette in risalto il problema della reperibilità del
materiale per la tessitura di buona qualità e la necessità viste le
difficoltà economiche delle donne di dare alle partecipanti un piccolo
compenso.
Chiede infine se i prodotti fatti dalle donne nel precedente progetto
siano stati venduti.
Le viene risposto che durante la mostra “Tessere reti di libertà”
prevista nell’ottobre 2007 verranno esposti i tappeti fatti dalle donne
e in più chiediamo che con la lana che abbiamo portato in questa
occasione, di prepararne altri, secondo i modelli e i disegni fatti con il
progetto appena concluso.
In questa occasione consegniamo inoltre i pannelli fotovoltaici.
Decidiamo quindi di dare avvio al progetto con le seguenti modalità:
•
organizzazione di uno stage di 3 settimane nel campo
profughi;
•
successivo stage in Italia, previa selezione da definirsi;
•
introduzione dei telai orizzontali più piccoli;
•
risoluzione del problema del reperimento dei materiali di
buona qualità (lana e filo), attraverso uno studio di mercato
per stabilire la convenienza di acquisto della lana o in Italia o
sul posto (inteso come Algeria).
45
Al ritorno dal viaggio il gruppo dei partner progetto Tessere la libertà
si ritrova con scadenza mensile, per coordinarsi e iniziare l’attività
organizzativa.
Le attività che porta avanti in questa fase sono le seguenti:
•
Elaborazione di un Protocollo di intesa con i Comuni tra i
partner progetto per la condivisione degli obiettivi e degli
strumenti per la prosecuzione del progetto in modo unitario.
•
Comunicazione continua e diretta attraverso internet con le
referenti a Dajla
•
Presentazione
progetto
per
i
finanziamenti
alle
Amministrazioni Comunali
•
Pubblicizzazione progetto
•
Ricerca filati e attrezzature per il laboratorio
•
Preparazione del viaggio di conoscenza della tessitrice in
maggio.
Il Comune di Pelago si rende disponibile a finanziare il progetto, sia
come Giunta Comunale, sia dalle varie realtà associative del
territorio (Diacceto Festival, Pelago On The Road Festival, ecc.).
Decidiamo quindi di riversare questo finanziamento nell’allestimento
del laboratorio per comprare telai e lana.
La presenza attiva della nuova tessitrice, Angela Giordano, grazie
alla sua esperienza nel campo della tessitura porta al progetto una
ventata di novità, concordando sulla necessità di introdurre i telai
orizzontali molto più veloci e facili da usare.
Nel viaggio di maggio si rende conto che i telai presenti nel
laboratorio sono primordiali e adatti alla tessitura solo dei tappeti,
alcuni sono da restaurare con piccole modifiche al fine di renderli più
pratici.
In quell’occasione portiamo alla scuola delle donne la seguente
attrezzatura:
•
1 Orditoio
46
•
1 Telaio a pettine licci 60 cm
•
1 Telaio a pettine licci 30 cm
•
1 Telaio a cinture (per bordure)
•
Telaio a tensione (da viaggio)
•
Filati vari (20kg)
Angela monta nel laboratorio l’attrezzatura e presenta alle donne
individuate per il corso i telai orizzontali, spiegando loro i
miglioramenti in termini di tempo e maneggevolezza per la tessitura.
Inoltre, mostra i prodotti fatti con questa nuova attrezzatura e le
donne restano positivamente soddisfatte.
Sono consegnati i tappeti richiesti in gennaio per la mostra mercato e
viene presentato e accettato il protocollo di intesa dalla UNMS di
Dajla.
Il piano di lavoro per il laboratorio viene discusso e approvato con la
responsabile Tfarah. Il corso durerà 15 giorni dal sabato al giovedì
dalle 9 alle 13 con la giornata libera di venerdì. L’incentivo giornaliero
per le donne viene concordato a Euro 1.50 al giorno per ogni donna
all’incirca in linea con quanto percepiscono altri lavoratori.
In questo viaggio inizia un percorso con le donne per capire il costo
della vita nei campi, attraverso una scheda di consumi, percepiamo
che i prezzi dei prodotti non sono chiari.
Come già abbiamo ampiamente ripetuto la riduzione degli aiuti
costringe le famiglie a comprare prodotti alimentari e non al mercato.
Le famiglie non avendo redditi stabili e sicuri sono costrette a
comprare facendosi fare credito dai negozi, pagando a fine mese o
quando c’è disponibilità di denaro, non potendo di fatto trattare sui
prezzi.
Spesso mandano i bambini a fare la spesa e non hanno coscienza
dei prezzi, non solo, le aspettative sono cresciute e il desiderio di
beni di consumo dettati dalla moda e dalla televisione sono in
aumento.
47
Rispetto ai mercati vicini, quelli presenti negli accampamenti hanno
prezzi molto alti dovuti agli alti costi di trasporto e ai rischi del viaggio
cui sono esposti i commercianti. Se fino a qualche anno fa, la società
saharawi appariva fondata su principi egualitari e ridistribuitivi,
adesso si stanno evidenziando le disuguaglianze presenti tra la
popolazione.
I prodotti nei mercati delle tendopoli, che i commercianti saharawi
acquistano in Algeria e in Mauritania, per fare alcuni esempi, i tessuti
delle melfe64 e dei turbanti, ma addirittura il tè, arrivano direttamente
dalla Cina.
Va da sé che i prezzi dei prodotti fatti dalle donne del laboratorio
sono in diretta concorrenza con i prodotti cinesi.
Al ritorno dalle tendopoli Costanza si trattiene ad Algeri con l’obiettivo
di trovare materie prime (lana e filati vari) da poter comprare per il
laboratorio ma ben presto si rende conto che anche nei mercati e nei
negozi algerini ci sono prodotti fatti in Cina e India.
La tradizione artigianale tessile algerina sembra rimasta solo nella
zona di Garbhaia situata al centro dell’Algeria, ma a causa della
concorrenza con filati meno pregiati e a prezzi più bassi, la
mancanza di finanziamenti e di lavoro, questo settore sta subendo
una grave crisi.
Per il momento quindi dobbiamo continuare a portare tutti i materiali
dall’Italia, ma non escludiamo la possibilità di visitare questi luoghi e
trovare un canale con le tendopoli.
La lana e filati portata nel mese di maggio viene trovata
gratuitamente da Angela, dagli avanzi di magazzino (di ottima
qualità) che l’Aziende nella zona del Pratese non utilizzano e
bruciano regolarmente quando ne hanno in eccesso.
La nostra attività di pubblicizzazione del progetto prosegue con la
presentazione a Terra Futura e con l’organizzazione della mostra
prevista per ottobre.
64
Vestito tradizionale usato dalle donne saharawi.
48
Purtroppo una delle nostre referenti Tfarah ha problemi di salute e
quindi anche a causa del caldo nei mesi estivi il laboratorio riprende
a lavorare solo dal mese di settembre.
Intanto partecipiamo all’assemblea nazionale dell’ANSPS65, alla
Conferenza Nazionale sulla Cooperazione al Popolo Saharawi e in
ottobre all’EUCOCO a Roma.
In occasione di questi incontri di coordinamento delle varie
associazioni, enti e ONG che operano in favore del popolo Saharawi
è sempre più palese il bisogno di creare una rete stabile, una
necessità che viene ribadita ad ogni incontro, a parole, ma che non
incontra nella pratica nessuna azione concreta.
65
Associazione Nazionale Solidarietà con il Popolo Saharawi.
49
2.4
Rapporto della seconda missione (novembre 2007)
Angela ci presenta il campionario della lana che ha trovato presso
l’Azienda Campolmi e cercherà con i soldi che ha a disposizione di
comprare i filati necessari e i telai considerando il peso.
Decidiamo di portare giù con il gruppo del viaggio di solidarietà le
seguenti attrezzature per il laboratorio:
1. la strumentazione:
•
2 telai a 4 licci comandati da 4 pedali
•
1 telaio a pettine
•
1 telaio a 4 licci con pedali frontali
•
3 telai a pettine a tensione
•
Restauro di un telaio già presente.
2. accessori:
•
8 pettini per arazzi
•
40 spole ad ago
•
40 spole doppie
•
3 arcolai a morsetto
•
3 apparecchi per fare gomitoli
•
6 pettini per corredo
•
Corredo di 2000 maglie di acciaio
In accordo con l’associazione Concausa realizzeremo un video-film
del progetto, in una forma un po’ particolare rispetto al precedente,
meramente descrittivo.
Chiediamo a Tfarah di individuare una delle partecipanti al corso con
la quale girare un film sulla vita quotidiana di una donna saharawi
che partecipa a questa esperienza.
I nostri obiettivi per questo viaggio sono:
•
Realizzazione del Corso di Formazione
•
Consegna e montaggio dei telai orizzontali e della lana
•
Realizzazione video
50
•
Consegna compensi per le partecipanti al corso (Euro 1,50 al
giorno per ogni donna)
Senza pagare nessuna sovrattassa all’aeroporto di Fiumicino, alla
dogana di Algeri vengono bloccati tutti gli scatoloni contenenti tutta la
strumentazione e gli accessori per il laboratorio.
Nella confusione dell’aeroporto algerino, le motivazioni addotte sono
che il sabato precedente al nostro arrivo è stata approvata una legge
che impone, a tutti gli aiuti che passano dalle dogane algerine, un
visto di un’agenzia privata.
In altre parole, si tratta di una sorta di tassa sugli aiuti umanitari da
pagare obbligatoriamente per far passare i bagagli non personali
verso i campi profughi.
Sgomenti da questa notizia, due dei nostri volontari, tra cui la
tessitrice, restano due giorni ad Algeri cercando di inviare i 480 kg di
materiali attraverso la Croce Rossa Algerina con l’aiuto della Croce
Rossa Saharawi.
Arrivati a Dajla cominciamo a girare le prime immagini del video e
dall’intervista fatta alla protagonista, una donna di circa 40 anni,
sposata con due figli, scopriamo che è una tessitrice esperta che ha
fatto un corso in Algeria di tessitura.
Si è specializzata in confezione di tappeti alla scuola “27 febbraio” ed
ha insegnato a molte donne di Dajla, ma ha smesso di insegnare per
occuparsi dei suoi genitori anziani.
Ci racconta che a causa della diminuzione degli aiuti è stata costretta
a riprendere a lavorare dopo la morte di suo padre.
Vuole partecipare al corso perché ha saputo che l’esperta le
insegnerà a realizzare prodotti che lei non sa fare, vuole imparare
soprattutto a cucirsi i vestiti da sola, ma anche a fare la tela.
Desidera quindi imparare prima gli elementi basici e poi con la
fantasia creare prodotti per le donne. Con la pratica vuole acquisire
esperienza e se si sente sicura, le piacerebbe insegnare alle altre in
51
un prossimo futuro. Riscontriamo da subito un ottimo atteggiamento
verso il lavoro e la collaborazione con il laboratorio.
Nella
previsione,
fortunatamente
sbagliata,
di
non
riuscire
nell’intento, decidiamo di far iniziare il corso anche senza
attrezzature utilizzando i telai e la lana portata a maggio.
La tessitrice, quindi, arrivata a Dajla con qualche giorno di ritardo,
inizia il corso.
Nei primi giorni viene montata la poca attrezzatura, e la tessitrice
verifica la manualità e la preparazione delle partecipanti che sono in
tutto 19, compresa Tfarah, che non si mette a lavorare al telaio ma
traduce e coordina il corso.
Fig. 6. La tessitrice con le sue allieve (foto di G. Tropeano).
Non essendoci telai per tutte, un gruppo si occupa della tessitura con
le dita e vengono fatte delle cinture che poi serviranno come manici
delle borse, un altro lavora ai telai a tensione.
L’atteggiamento delle donne è molto positivo, sia nel rispetto degli
orari sia del lavoro: le partecipanti arrivano puntuali all’inizio del
corso, alcune anche in anticipo e si trattengono nel laboratorio fino
all’orario stabilito.
52
Dopo una settimana arrivano finalmente le attrezzature e una volta
montati le donne riescono ad utilizzare da subito la nuova tecnologia
del telaio orizzontale, segno evidente che anche se la tradizione si è
un po’ dissolta negli anni, con stimoli giusti dimostrano grandi
capacità.
La dimensione più piccola dei telai orizzontali permette ad alcune di
loro di portarsi il lavoro a casa nel pomeriggio, ed è evidente che a
casa lavorano più che al laboratorio perché non hanno distrazioni.
Tra le willayas si sparge la voce del corso e inizia un via vai di curiosi
e di donne che visitano il laboratorio, si aggiungono pertanto al corso
l’insegnante della scuola dei disabili di Dajla e una tessitrice di
un’altra provincia.
I prodotti realizzati dalle donne sono borse, turbanti, cinture, pezzi di
stoffa per fare porta-cellulari, tenendo conto in modo preciso delle
misure, fattore prima ignorato.
Rispetto al corso precedente non si lavora sui disegni fatti su carta
ma direttamente applicati alla tessitura. Vengono inizialmente dati dei
compiti precisi di realizzazione poi lasciate libere di tessere secondo
la loro creatività.
I risultati sono ottimi in termini qualitativi, anche se non gli è ben
chiara la differenza tra i materiali migliori da usare. Infatti Angela ha
dovuto insistere molto sull’importanza di usare filato puro, ma, il
fascino del sintetico ha conquistato – potere della brillantezza dei
colori artificiali – anche le donne saharawi.
Insieme alla tessitrice elaborano una lista di materiali e attrezzature
che potrebbero servire al laboratorio, anche in questo caso
dimostrano di avere le idee ben chiare su strumenti che non vogliono
più usare e altri che a loro avviso apporteranno miglioramenti, ad
esempio i telai più piccoli utili per poter lavorare anche in casa.
53
Fig. 7. Le donne saharawi ai telai a tensione e orizzontali (foto di A.
Giordano).
Il corso dunque suscita grande scalpore e il Governatore della
willaya di Dajla visita il laboratorio, e rimane sbalordito.
Chiede alle donne se hanno intenzione di proseguire nella
produzione e propone il trasferimento del laboratorio in uno spazio
più grande più luminoso e addirittura con il bagno.
Le donne chiaramente accettano e sono entusiaste dei risultati,
ricevono persino un’ordinazione che realizzeranno in collaborazione
con la scuola dei disabili per produrre i cordoncini per le medaglie
della maratona dei disabili che si terrà il mese prossimo.
L’esperta ha insegnato loro a smontare e rimontare i telai, così nel
trasferimento nell’altra sede non avranno difficoltà. I manufatti
realizzati durante il corso sono stati lasciati, dato che a dicembre il
54
presidente Saharawi farà visita a Dajla, ma fanno parte della
collezione del progetto e verranno ritirati nel prossimo viaggio di
febbraio.
Con la molta lana avanzata dal corso le donne hanno già fatto
intendere che realizzeranno prodotti vari come ad esempio scialli per
ripararsi dal freddo.
All’interno del gruppo delle partecipanti la tessitrice ha individuato le
quattro possibili insegnati che potrebbero partecipare al corso di
perfezionamento in Italia, aspettiamo però il prossimo incontro per
definire gli obiettivi con le donne, anche sul tema dei prezzi dei
prodotti.
Le relazioni con le nostre referenti sono ogni giorno più forti e stabili
grazie anche al collegamento stabile via internet.
Non pensiamo di aver raggiunto l’obiettivo finale, ossia quello di
rendere le donne indipendenti grazie alla creazione di un loro reddito,
ma vogliamo proseguire questo cammino con un passo alla volta,
sempre in accordo con loro.
55
2.5
Limiti e sviluppi del progetto nel contesto dei campi
profughi
Il successo ottenuto dal corso di formazione per le donne di Dajla,
non deve distoglierci dai numerosi problemi ancora non risolti, i quali
non sono necessariamente legati al progetto.
Occorre fornire una formazione più specializzata ad alcune di loro,
per permettere la prosecuzione dell’attività del laboratorio, per dare
autonomia ed inizio ad una produzione stabile.
Se adesso siamo consapevoli che le donne sono in grado di produrre
manufatti di buona qualità, ed il laboratorio, con l’introduzione di
nuove tecnologie, ha ottenuto grossi miglioramenti, restano tuttavia
da sciogliere molti nodi legati alla condizione di esilio.
Per dare una risposta concreta, tenendo conto della situazione in cui
si trova il popolo saharawi, occorre essere molto prudenti nei
passaggi del percorso che occorre seguire, per raggiungere
l’obiettivo di renderle autonome e indipendenti.
A Dajla, la willaya più lontana dalle altre, la popolazione subisce un
doppio esilio, sia per l’esilio imposto a tutti i Saharawi sia quello in
termini di lontananza dai centri amministrativi saharawi. Infatti si
riscontra una maggior penuria di aiuti alimentari a causa delle vie di
comunicazione più difficili.
I collegamenti tra gli accampamenti negli ultimi anni sono migliorati
ma ancora, per quanto concerne Dajla, non sono del tutto efficienti,
ma fortunatamente il governo saharawi sta continuando ad investire
in questo campo.
La condanna della diminuzione degli aiuti alle tendopoli saharawi
costringe le famiglie a comprare generi di prima necessità nei
mercati delle tendopoli.
Lo sviluppo del commercio e la circolazione del denaro hanno
favorito la nascita di botteghe, in cui i commercianti hanno stabilito
56
una
sorta
di
oligopolio
della
distribuzione,
ponendo
prezzi
spropositati dovuti agli alti costi di trasporto delle merci.
Le famiglie mandano a fare la spesa i bambini, i quali non hanno
nozione dei prezzi, i genitori comprano quindi contraendo un debito e
pagano quando hanno la disponibilità.
La non conoscenza dei prezzi è testimoniata da un’indagine eseguita
un anno fa attraverso una scheda sul consumo sottoposta ad un
campione di famiglie. I dati riportati, ancora una volta erano dispersivi
e non coincidevano tra loro.
Per evitare che la situazione degeneri, e che l’insolvenza delle
famiglie sfoci in qualcosa di più grave, sarebbe necessario
intervenire sulla distribuzione.
Le nostre referenti ci hanno illustrato la loro volontà di unirsi in
cooperative, ma è essenziale capire se questo desiderio è comune
tra la popolazione, se c’è uno spirito di gruppo, perché se non è
presente tale caratteristica, qualsiasi azione intrapresa sarà inutile.
Questo passaggio è molto delicato e assai cruciale. Si tratta
dell’ennesima sfida che questo popolo si trova ad affrontare per venir
fuori da questa situazione tragica d’isolamento e di mancanza di
aiuti.
Verificata la volontà di voler mettere insieme gli sforzi, dalla piccola
esperienza del laboratorio, nella prossima fase è nostra intenzione
fornire alle donne gli strumenti necessari per l’organizzazione e la
gestione, per dare inizio ad un esperimento di cooperativa di
produzione e di consumo delle donne tessitrici.
Dal corso di formazione svolto nel mese di novembre, abbiamo
compreso che per molte donne è un sacrificio raggiungere il
laboratorio a causa delle distanze, da percorrere a piedi e a causa
degli impegni familiari che ciascuna donna ha.
In termini di produttività, la tessitrice si è resa conto che a casa le
donne lavorano meglio perché hanno minori distrazioni.
57
L’introduzione di piccoli telai trasportabili sarà una delle prerogative
del progetto per permettere il lavoro a domicilio.
Il laboratorio avrà il compito di formare altre giovani tessitrici per
garantire continuità all’esperienza, mentre la cooperativa si occuperà
di:
1. Organizzare la produzione (Fig. 8)
2. Reperire il materiale
3. Vendere i prodotti
Fig. 8. Ipotesi di organizzazione della produzione della cooperativa
delle donne tessitrici di Dajla.
1. La cooperativa delle donne della provincia di Dajla attraverso i
comuni (daire) distribuirà il materiale e gli ordini per la realizzazione
dei prodotti finiti che le donne fabbricheranno nelle proprie case.
L’organizzazione
della
cooperativa
di
produzione
gestita
principalmente dalle donne, dovrà assicurare una produzione stabile.
2. La regolare produzione di manufatti è strettamente legata al
reperimento di materie prime, quindi, in accordo con le donne, sarà
una prerogativa del progetto trovare un canale stabile con la zona di
Garbhaia situata al centro dell’Algeria, o addirittura tentare un canale
58
per il reperimento del cotone nel Mali, così da evitare il trasporto
dall’Italia di lana e filati vari.
3. La vendita dei prodotti fatti dalle donne potrà essere portata avanti
su più livelli, attraverso una promozione:
•
Alle delegazioni straniere, che fanno visita ai campi e cercano
un prodotto originale saharawi.
•
Ai saharawi stessi, che invece di comprare un prodotto di un
altro paese potrebbero preferire qualcosa fatto dal proprio
popolo.
•
Verso i mercati vicini, in cambio di altri generi di prima
necessità.
•
Verso il mercato estero.
La possibilità di commercializzare verso il mercato estero è invece
strettamente legata alla politica e alla condizione di esilio cui sono
condannati tutti i saharawi.
I Saharawi “godono” dello status di rifugiati, che impedisce secondo
accordi internazionali ogni tipo di commercio, poiché ricevono aiuti
dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
Molti Saharawi possiedono il passaporto algerino, quindi potrebbero
registrare la cooperativa presso la Camera di Commercio Algerina, e
tentare una via di commercializzazione verso l’Italia.
Pertanto, le importazioni sarebbero di provenienza algerina ma con
un marchio di origine diverso, ad esempio un Made in Saharawi66.
Insieme alla diffusione di questi prodotti potrebbero essere promossi,
attraverso una campagna di sensibilizzazione l’identità e la storia del
popolo saharawi.
Compito del progetto sarà oltre alla sensibilizzazione quello di
trovare un referente commerciale67, che si impegni a comprare e
promuovere questi manufatti non solo come prodotti in sé, ma come
il simbolo di un’esperienza. Attraverso l’elaborazione di un marchio e
66
Sarebbe migliore la dicitura Made by Saharawi, a testimonianza del fatto che
quello non è il loro territorio.
67
Attraverso il Commercio equo e solidale, la Coop, ecc.
59
di un logo ideato dalle donne, che simboleggi la determinazione del
popolo saharawi che non si vuole arrendere.
L’esperimento di questa cooperativa di donne deve essere sostenuto
e incoraggiato sia dal governo della RASD, sia dai soggetti68 che
operano in favore dei Saharawi nei campi profughi.
Sono già attivi da alcuni anni progetti di microcredito che sostengono
l’iniziativa imprenditoriale volta alla creazione di un reddito.
Si potrebbe favorire, con incentivi e crediti, chi presenta progetti
imprenditoriali mirati a unificare le forze creando cooperative non
solo di artigianato ma anche per tutti gli altri beni essenziali per la
sussistenza quotidiana.
È indispensabile far capire che il perdurare di azioni individuali volte
al raggiungimento di un interesse e un guadagno personale
porteranno solo ad un aumento delle divisioni e la conseguente
conflittualità tra i saharawi.
L’investimento maggiore si rivolgerà alla sensibilizzazione dell’intera
popolazione sull’opportunità di creare altre cooperative, sulla
necessità di farlo come ultima chance per resistere, in assenza di
aiuti umanitari, alla sopravvivenza quotidiana.
In questo senso, è fondamentale far capire l’importanza e il
vantaggio che l’intera comunità può trarre dall’unione delle forze,
portando come esempio la cooperativa delle donne.
In caso di successo la cooperativa permetterebbe alle donne di
generare un loro reddito, mezzo capace di dare sia indipendenza sia
soddisfazione e appagamento; non solo per aver creato un prodotto
ma anche per aver trasmesso un messaggio69 più forte attraverso il
commercio estero.
Il lavoro più duro sarà quello di convincere gli uomini, che nella
società saharawi hanno un’attitudine meno collaborativa rispetto alle
donne.
68
69
ONG e associazioni che operano nel settore non alimentario, ad esempio.
Marchio e logo originale Saharawi.
60
Nel caso in cui questa iniziativa dovesse conseguire consensi, si
potrebbe creare una vera e propria cooperativa di villaggio di
consumo e di produzione.
L’istituzione di tale cooperativa potrebbe rappresentare, attraverso
un’organizzazione stabile, un vantaggio per tutta la comunità.
Attraverso degli intermediari collettivi, diretti rappresentanti della
cooperativa, si potrebbero formare mercati più stabili sia per
l’acquisto di prodotti necessari per la sussistenza, sia per la vendita
dei manufatti prodotti dalle donne.
Il vantaggio dell’unione si manifesta, ad esempio, in termini di
abbassamento di costi nell’acquisto dei prodotti.
L’intermediario collettivo, che a nome della cooperativa si recherà in
Algeria o in Mauritania, si occuperà di acquistare uno stock di
prodotti più ampio, quindi, con la richiesta di una quantità maggiore,
otterrà un prezzo più basso.
Di conseguenza tali prodotti, una volta acquistati a minor prezzo
potranno essere venduti ad un costo più basso e più accessibile alle
famiglie, ma soprattutto a un prezzo noto a tutti.
Assicurata la produzione dei manufatti, potranno essere sostituiti
nella cooperativa di consumo ai prodotti provenienti da altri paesi, di
minor qualità artigianale.
Allo stesso tempo potranno essere utilizzati dagli intermediari come
prodotti da presentare e vendere al di fuori delle tendopoli come
prodotto originale saharawi, realizzato dalla creatività delle donne.
Una volta formate le relazioni commerciali con i paesi vicini, e
accertata la sostenibilità della cooperativa, potrebbe iniziare un
percorso più ampio, soprattutto dimostrando alle altre province che
possono seguire l’esempio di Dajla nella formazione di cooperative e
nell’unione delle forze della comunità.
Nella prossima fase del progetto, che si svilupperà da febbraio 2008
in poi, sarebbe opportuno sviluppare i seguenti obiettivi:
61
•
formare esperte insegnanti di tessitura70, per permettere la
prosecuzione autonoma del laboratorio,
•
ricercare un canale in Algeria, per l’acquisto della lana e dei
filati, o nel Mali per il cotone,
•
formare esperti per l’organizzazione della cooperativa,
•
promuovere dei prodotti in Italia fatti dalle donne attraverso i
canali delle associazioni che operano in favore dei saharawi,
attraverso una campagna di sensibilizzazione sui prodotti, sul
progetto, ma soprattutto sulla causa di questo popolo,
•
trovare un soggetto commerciale per la commercializzazione
dei prodotti,
•
collaborare unendo le forze con altri soggetti che a Dajla e in
altre province stanno lavorando sullo stesso tema elaborando
un progetto unico, confrontandosi nei risultati,
•
cercare linee di finanziamento più stabili attraverso i Comuni
dell’area del Chianti, o altri enti,
•
introdurre analisi d’impatto, un monitoraggio e una valutazione
continua,
•
procedere
nella
continuazione
del
progetto
con
una
programmazione comune in accordo con le donne e con gli
altri soggetti,
•
mantenere un contatto stabile con le nostre referenti
dell’UNMS di Dajla.
È indispensabile, ai fini della riuscita del progetto, la collaborazione
con altri soggetti che operano nel nostro stesso settore, perché se è
vero che le donne saharawi devono unirsi per un obiettivo comune, è
assurdo continuare questo percorso ognuno per la propria strada,
quindi è fondamentale individuare le sinergie ed elaborare un
progetto unico.
Ci sono molti ostacoli nel compimento di questo progetto, ma è
necessario
70
continuare
a
valorizzare
chi,
in
una
situazione
Attraverso uno stage in Italia.
62
d’isolamento completo, vuole essere attivo e non cedere alla
rassegnazione.
Purtroppo un fattore abbastanza evidente che si percepisce, negli
uomini soprattutto, è che il sentimento che predomina da molto
tempo è di stanchezza nel sopportare questa situazione ingiusta.
In questo senso, nelle donne abbiamo invece riscontrato un
atteggiamento diverso.
Viene visibilmente lasciato intendere che il bisogno di tornare nei
propri territori è forte ma la loro attitudine è più rivolta a non
arrendersi. È proprio per questo che sono loro il motore della società
saharawi.
63
Capitolo 3
3.1 Il sistema di cooperazione nei campi profughi
Il progetto che ho descritto nei capitoli precedenti rappresenta un
piccolo contributo portato avanti con pochi finanziamenti da volontari
che da anni lavorano con i Saharawi.
La solidarietà in Italia verso il popolo saharawi si compone di tante
associazioni e ONG, inoltre, sparsi in tutta la penisola, ci sono
numerosi gemellaggi e patti di amicizia stipulati tra i nostri comuni e
le daire delle province dei campi profughi.
Esiste un’Associazione Nazionale di Solidarietà con il Popolo
Saharawi che è una federazione di associazioni con l’obiettivo di
coordinare le iniziative di carattere politico e di sensibilizzazione. Non
ha tuttavia il compito di coordinare i progetti umanitari e di sviluppo
nei campi profughi; coordina alcuni specifici progetti nazionali, in
particolare attualmente: l’Accoglienza Estiva dei Bambini, le
Carovane Nazionali e la Campagna sui Diritti Umani. Ognuno di
questi progetti possiede dei coordinatori responsabili.
Ciononostante si riscontrano diverse problematiche soprattutto per
quanto riguarda l’accoglienza dei bambini.
A Roma è presente una rappresentanza del Fronte Polisario che si
occupa di gestire tutte le relazioni tra l’Italia e gli accampamenti.
Negli ultimi anni a causa della diminuzione degli aiuti c’è stata una
richiesta da parte dei Saharawi di interventi più articolati e mirati per
venire incontro a questa emergenza.
L’esigenza di questa intensificazione delle azioni non è corrisposta
però da un coordinamento tra i soggetti che operano in favore dei
Saharawi.
In occasione delle conferenze nazionali, cui ho partecipato, la
discussione maggiore è stata sul fatto che ad oggi in Italia non
abbiamo un elenco di tutte le realtà che operano nei campi profughi.
64
Il problema però non è solo di conoscenza dei nomi ma delle azioni,
infatti è molto frequente, a causa di questa non comunicazione tra
progetti, che si intervenga sulle stesse situazioni in troppi,
lasciandone magari scoperte altre, infatti tra le varie province nei
campi profughi il Ministero della Cooperazione Saharawi riscontra
grosse disuguaglianze di interventi.
A livello italiano non c’è coordinazione sui progetti umanitari e di
sviluppo: si sprecano occasioni di incontri nazionali per stabilire chi
ha più responsabilità senza trovare una soluzione.
Le ONG se la prendono con le associazioni e viceversa, altri con i
Saharawi perché dovrebbero essere loro a gestire tutto, altri ancora
con l’ANSPS. Il provincialismo e l’individualismo nelle azioni
alimentano la frammentazione e la mancanza di coordinamento che
riducono al minimo l’impatto degli interventi, che, anche se utili
risultano marginali in una visione d’insieme.
Le incomprensioni sono a tutti i livelli, è scoraggiante vedere
discussioni infinite per stabilire chi non si sta occupando del
problema, quando in realtà la risposta è semplice: tutti sono
responsabili, ed è giunto il momento di mettere da parte certi conflitti
e indirizzarsi tutti verso un obiettivo comune.
Siamo tutti uniti sul piano politico e ideologico sul sostegno
incondizionato ai Saharawi, ma sul piano delle azioni pratiche di
intervento ognuno agisce autonomamente.
È stato proposto in più occasioni, per dare inizio a un coordinamento,
l’introduzione di un database diviso per settori di azione, per avere
notizie sui progetti, su chi fa cosa e dove.
Questo bisogno di coordinarsi è comune a tutti ma poi nella pratica
anche il tentativo di realizzare un database delle azioni si perde al
primo passaggio.
Il cammino tra creare un coordinamento e farsi coordinare, quindi
dare e ricevere informazioni, risulta molto difficile.
65
L’impressione che ho avuto durante tutti gli incontri, è che manca un
punto di riferimento a livello nazionale, che sia in grado con i
Saharawi di raccogliere le informazioni e diffonderle a tutti.
Se è vero, che è indispensabile un coordinamento per le azioni per
evitare lo spreco delle risorse e la duplicazione degli interventi, è
necessario formare un’agenzia nazionale per la cooperazione ai
Saharawi.
L’obiettivo principale di tale istituzione deve essere quello di
equilibrare gli interventi nelle varie province, unire le forze ed evitare
frammentazioni negli interventi e la mancanza di coordinamento.
Tale organizzazione, gestita sia dalla rappresentanza del Polisario e
sia da referenti italiani, dovrebbe servire come istituzione dalla quale
tutti
i
soggetti
che
operano
con
i
Saharawi
debbano
obbligatoriamente passare prima di intraprendere qualsiasi azione;
un’agenzia specializzata che abbia l’obiettivo di gestire in modo più
razionale gli interventi in accordo con le autorità saharawi.
La sede di tale agenzia dovrebbe essere a Rabuni e collaborare in
modo unitario con il Ministero della Cooperazione Saharawi e con gli
altri referenti degli altri paesi come la Spagna e la Francia.
66
Dalla figura sopra, un’agenzia che:
1. si occupi, una volta ricevuto dal Ministero della Cooperazione
in accordo con le varie province l’elenco delle priorità e delle
urgenze, di predisporre le linee guida di intervento in accordo
con il Ministero della Cooperazione Saharawi;
2. abbia costanti informazioni sullo stato dei progetti attraverso la
gestione di un database pubblico diviso per settori, nel quale
ogni associazione o ONG dovrebbe comunicare ogni sei mesi
le proprie azioni, fornendo i risultati e i possibili problemi
riscontrati, informando tutti della propria attività;
3. metta in comunicazione i soggetti per aree di azione.
L’Agenzia, pubblicando tali risultati, ponga in collaborazione
coloro che per aree di azione si occupano degli stessi temi,
dando la possibilità di comunicare e unire le forze;
4. divida i progetti in settori di intervento (es. sanitario,
alimentario,
non
alimentario,
ecc…),
organizzando
semestralmente tavoli di concertazione settoriali di confronto;
5. organizzi altresì, seminari di formazione e di scambio con il
popolo saharawi per valorizzare e conoscere in modo più
approfondito questo popolo;
6. si coordini con le altre agenzie. L’agenzia deve ricevere e
acquisire informazioni sui progetti fatti dalle agenzie degli altri
paesi che operano con i saharawi, al fine di evitare
duplicazione di interventi (agenzia spagnola);
7. abbia il compito di monitorare l’impatto degli interventi e ponga
il vincolo di coordinarsi e collaborare individuando le sinergie.
Tale schema, vuole semplicemente dimostrare che è possibile, se
c’è la volontà da parte di tutti di far circolare le informazioni e farsi
coordinare,
riuscire
ad
evitare
duplicazione
nelle
azioni
e
conseguente dispersione di risorse non abbondanti.
67
È indispensabile avere una visione d’insieme selezionando gli
interventi con più severità, attraverso l’agenzia, indirizzando le azioni
verso le priorità che si presentano, non accentando qualsiasi cosa
ma suggerendo secondo le necessità le operazioni utili.
Potrebbe essere elaborato una sorta di regolamento, discusso
elaborato condiviso e concertato dalle Autorità Saharawi in primis e
dai soggetti che operano in favore dei saharawi, che stabilisca un
modus operandi e vincoli di coordinamento da introdurre per
raggiungere tale obiettivo da far rispettare a tutti.
Probabilmente non esistono ancora le premesse necessarie tra chi
opera in questo campo per realizzare tale coordinamento, forse non
è ben chiaro il vantaggio che tutti potrebbero ottenere, ma numerosi
esempi ci dimostrano che se è nota una visione d’insieme e se c’è
comunicazione sui risultati, si può imparare dagli errori commessi e
migliorare le azioni future.
Credo che il movimento associativo ma anche alcune ONG
avrebbero bisogno di più umiltà e serietà nel riconoscere che il
continuo litigio non porta a risultati ma danneggia solo i Saharawi (in
questo caso) e mette costantemente in discussione la credibilità della
cooperazione internazionale.
68
Conclusioni
Il progetto Tessere la Libertà ha l’obiettivo di incoraggiare le donne
saharawi, costrette a convivere con le difficoltà quotidiane legate alla
condizione di rifugiate, in un deserto tra i più inospitali della terra.
La loro forza di volontà si è manifestata durante questi anni di esilio
forzato nell’organizzazione dei campi profughi e nella conduzione
della vita familiare.
Il bisogno di impegnarsi al fine di trovare un’attività da poter
introdurre nella vita quotidiana è per loro fondamentale; fornisce una
ragione per andare avanti sia a loro stesse sia alle persone che
vivendo là stanno perdendo gli stimoli.
L’impatto di questo piccolo progetto in termini di benessere può
essere rilevante se vengono forniti gli input giusti per superare
l’inerzia dell’isolamento e insegnare loro un mestiere per dare senso
alla loro attesa, ma soprattutto farle abituare ad un lavoro per la loro
dignità personale.
È fondamentale per questo, continuare e ampliare questa iniziativa in
tutte le province, coordinando questo intervento con gli altri soggetti
che operano in favore delle donne saharawi in questo settore, con un
progetto unitario, dando a tutte loro la possibilità di poter rendersi
autonome e creare un loro reddito, seppur piccolo per le loro
famiglie.
La realizzazione di questi prodotti e la loro commercializzazione in
Italia, attraverso una campagna di sensibilizzazione sulla questione
saharawi, possono fornire uno stimolo per non arrendersi e
continuare a resistere e palesare la loro determinazione nonostante
l’ingiustizia che stanno subendo.
Non resta che continuare a incoraggiare il forte spirito dei rifugiati,
dando continuità ai progetti intrapresi, consentendo alle persone di
imparare un mestiere e di fare proprie capacità spendibili anche in
69
futuro nella loro terra. Tutto questo nell’ottica che si possa verificare il
prima possibile.
Data la situazione internazionale non favorevole, i Saharawi che
vivono nei campi profughi devono riuscire a prendere il meglio dai
progetti,
proponendo
azioni
permanenti
e
favorendo
la
coordinazione, e dalla formazione professionale per mantenersi attivi
e pronti per riuscire un giorno a costruire il loro futuro nel Sahara
Occidentale libero.
Nell’attesa di tale obiettivo, la diminuzione degli aiuti ai campi
profughi è giustamente intesa da tutti come un’ulteriore condanna
contro chi, in una situazione estrema, vuole continuare a resistere
ma soprattutto a esistere.
È gravissimo infatti, il tentativo evidente di stremare questa
popolazione spingendola verso soluzioni estreme, quali il ritorno alla
guerra.
Purtroppo una frase che ho sentito ripetere tante volte nei miei viaggi
nei campi profughi dagli uomini soprattutto è la seguente: - “i
Saharawi preferirebbero morire combattendo, non aspettando.”
Tale frase testimonia la stanchezza e la rabbia comprensibile di tale
situazione aggravata dall’esilio, dalla diminuzione di aiuti ma
soprattutto dalle violenze e dalla repressione che i loro fratelli stanno
subendo nei territori occupati. Il sentimento che anima tale frase è
dettato anche dall’impotenza di non poter fare niente in esilio.
Le conseguenze di un ritorno alle armi potrebbe rappresentare una
catastrofe immane, ed è sicuramente una soluzione da non
incoraggiare.
È necessario continuare a far pressione sulle organizzazioni
internazionali che dovrebbero provvedere alla distribuzione degli
aiuti, perché è evidente che la soluzione politica del popolo saharawi
è molto lontana dall’essere risolta dalle Nazioni Unite attraverso i
negoziati.
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Preso atto di tutti i limiti degli sforzi diplomatici ufficiali, viziati da
equilibri di potere che esulano dal rispetto del diritto e trascendono
dalla considerazione delle organizzazioni internazionali, non rimane
che tentare vie nuove.
La solidarietà internazionale deve fare la sua parte sostenendo la
popolazione che vive nei campi profughi, ma deve anche tentare di
oltrepassare il muro eretto dal Marocco.
Ad esempio, potrebbe essere percorribile la strada di progetti di
sviluppo nei territori occupati per favorire il dialogo tra la società civile
marocchina e saharawi, costruendo relazioni di fiducia reciproca
indispensabile per raggiungere un obiettivo comune di stabilità nella
regione, fondamentale passo, per sbloccare questa empasse politica
che in sedi internazionali non riesce a trovare soluzioni.
71
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