Visualizza 96coll03 - LABLITA - Università degli Studi di Firenze

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Preprint 1996
N°3
CONDIZIONI COGNITIVE PER LA FORMAZIONE
DELL’ENUNCIATO COMPLESSO NELLA PRIMA
ACQUISIZIONE
Emanuela Cresti
LABLITA
Laboratorio Linguistico del Dipartimento di Italianistica
UNIVERSITÀ DI FIRENZE
2
Il laboratorio linguistico rende disponibili alla lettura esclusivamente i risultati delle ricerche e i corpora in esso elaborati sotto forma di preprint, reprint e pubblicazioni in proprio.
Le collezioni dei Pre-print sono disponibili all’indirizzo WEB
http://www.unifi.it/unifi/dipita/ling-lab/homepage.htm
[N°3 - Pr 1996]
For correspondence
Emanuela Cresti
LABLITA
Dipartimento di italianistica
Università degli studi di Firenze
Piazza Brunelleschi, 3
50121 FIRENZE
E-mail [email protected]
Presentato al XXVIII Congresso SLI, “Linguaggio e cognizione”, Palermo 27-29 ottobre
1994, deve apparire negli Atti.
Fino alla Pubblicazione le citazioni sono consentite solo dietro esplicito consenso
dell’autore. E’ vietata la vendita e la riproduzione non autorizzata, anche parziale, per
qualsiasi uso.
In copertina “Il cantante di Chungai”, rappresentazione della voce attraverso grafismi. Arte
rupestre della Tanzania Centrale (sito Chungai 3, 8000 a.c.- 1500 d.c.). Calco pubblicato
in Mary Leakey, Africa's Vanishing Art. The Rock Paintings of Tanzania, Doubleday &
Company, Inc, Garden City, New York, 1983.
3
Emanuela Cresti
Condizioni cognitive per la formazione dell'enunciato complesso nella prima
acquisizione
1. INTRODUZIONE
Uno dei problemi centrali dell'acquisizione del linguaggio, dopo la formazione
del simbolo verbale, è quello della formazione dell'enunciato complesso; in termini non tecnici possiamo indicare questo momento come "il passaggio da una a due
parole". Esempi tipici del passaggio da una a due parole nell'acquisizione dell'italiano possono essere considerati 1) e 2):
1) FRA: pù // (1; 1. 14) [più]
(COM ) F= non decidibile
FRA: luna // (1; 4.) [luna]
( COM ) F= non decidibile
FRA: eapù luna// (1; 5. 16 ) [ più luna]
( COM ) F= commento scomparsa 1
2) OMA: cicci // (1; 4. 23.) [cibo]
( COM ) F= commento
OMA: bupu // (età non ricostruibile ) [lupo]
( COM ) F= 0
1
Le tre lettere maiuscole, che precedono gli esempi, sono una sigla per il nome del bambino e i numeri tra
parentesi tonde, che li seguono, indicano la sua età. Gli esempi sono stati tratti dal corpus di riferimento
dell'acquisizione dell'italiano conservato presso il Laboratorio linguistico del Dipartimento di italianistica di
Firenze, seguono le indicazioni CHAT, vedi Mac Whinney (1991); ad esse sono però aggiunti segni diacritici specifici per la scansione intonativa, come le sbarre ( / fine di unità tonale) e doppie sbarre ( // fine di
pattern tonale), e segni per le unità d'informazione (COMMENT; TOPICALE) e la forza illocutiva (Forza
= asserzione, richiesta, commento sparizione, ecc...)
4
OMA: bupu cicci // (1; 11. 14.) [lupo cibo]
(COM ) F= narrazione
Quindi due parole o simboli verbali sarebbero implicati nella sequenza complessa, prodotta dallo stesso bambino a distanza di tempo più o meno ravvicinato
rispetto alla sequenza semplice e a partire da simboli già noti e usati separatamente in isolamento.
Si veda anche:
3) ELI: no cane // (1; 10.) [no cane]
( COM ) F= rifiuto o protesta
4) BEN: cane no // (1; 8. 23. ) [ cane no]
(COM ) F= narrazione
5) BEN: elo giallo// (1; 6.26.) [ quello giallo]
(COM ) F= valutazione
6) OMA: bù cacco // (2; 1.4.) [blù questo]
( COM ) F= asserzione contrastiva
7) NIK : mamma brum // (1; 3. 17) [mamma auto]
(COM ) F= narrazione
8) NIC : fante su // (1; 11.) [elefante su]
(
COM
)
F=
richiesta
9) GIU : aqui cuso // (2; 5. 12) [qui chiuso]
(COM ) F= constatazione
10) RIK : elà/ paallo // ( 1; 11. 20) [là, cavallo]
( COM TOPICALE ) F= deissi
In genere lo stadio viene identificato con il raggiugimento di uno "spazio" nel
quale possa esplicarsi la sintassi e quindi con l'inizio di essa 2; con il termine
enunciato complesso, quindi, spesso vengono intese le prime forme di frase toutcourt, o comunque realizzazioni parziali di frase, come sintagmi. I dati offerti dai
corpus tuttavia non consentono tale assunzione in maniera immediata.
Anche ad una prima notazione, infatti, risulta per prima cosa che la natura
stessa delle espressioni che partecipano agli enunciati non è chiarissima: no, più,
2
Vorremmo anticipare a tale proposito che anche se in effetti di sintassi non è possibile parlare al di fuori di
una condizione di pluralità di espressioni linguistiche, tuttavia non è necessario che una pluralità di espressioni debba essere connessa in maniera sintattica: per esempio è possibile che esse siano relate in modo
informativo, vedi Cresti 1995. In particolare proprio nell'acquisizione le prime forme di enunciato complesso devono essere definite in termini presintattici, come entità complesse a livello informativo, vedi Cresti
(1996).
5
sono parole alla stregua di luna o cibo? Forse potremmo sostenere che tali espressioni sono in ogni caso simboli verbali, se non parole, nel caso si voglia giustamente tenere distinte espressioni che hanno caratteristiche diverse e dare ai diversi termini valori tecnici 3. Tali simboli in sequenza mancano però di segnali chiari
di morfologia legata; solo alcuni dei simboli presentano forma fonologica e morfologica più vicina ad un target adulto, come per esempio (l)una e cane, altri sono
onomatopee come brum o ricostruzioni di parola come paallo; manca inoltre una
qualsiasi forma di accordo tra i simboli e anche per quanto riguarda la sintassi
non abbiamo manifestazioni positive di essa.
La sequenza dei simboli, infatti, non sembra costituire una forma ridotta o iniziale nè di costituente sintagmatico come SN o SV, né di frase; la traduzione
appropriata di sequenze come più luna, lupo cibo, cane no, elefante su non ha
corrispettivi adulti immediati, ma potrebbe essere simile a: 'la luna è scomparsa',
'il lupo ha preso il cibo', 'la storia non riguarda il cane', 'prendimi l'elefante'. Certamente essa è diversa da 'nessuna luna', 'il cibo del lupo', 'nessun cane' e 'sopra
l'elefante' che potrebbero essere invece proposti come i corrispettivi sintagmatici
più simili alle sequenze. In sostanza relazioni configurazionali, del tipo di quelle
proposte nella teoria X barra4, non sembrano aver luogo negli esempi 1)-10), nei
quali nessuno dei due simboli ha caratteristiche morfologiche, lessicali, sintattiche
e semantiche da poter essere identificato come la testa della configurazione. Del
resto nessun simbolo ha caratteristiche tali da poter essere identificato come un
complemento gerarchicamente subordinato ad una testa né come uno specificatore
di essa; quindi gli esempi sarebbero descrivibili come due teste lessicali senza
relazioni gerarchiche intercorrenti.
Gli esempi 1)-10) sono tratti da 8 soggetti del nostro corpus, che in totale assomma a 30, ma per tutti i soggetti, di cui abbiamo testimonianza del periodo in
questione, i primi enunciati complessi sono caratterizzati in maniera non configurazionale; vogliamo dire che nessun bambino passa da verbalizzazioni di un solo
simbolo verbale come mama a verbalizzazioni come prende la bambola, ovvero
un SV, o l'albero di Natale, ovvero un SN, ma produce sequenze di teste lessicali
come quelle mostrate 5.
Ci chiediamo, allora, quale sia il valore di tali enunciati, tuttavia la trattazione
che voglia esserne data fuori di soluzioni generativiste, che propongono un'interpretazione sintattica 6, si scontra con vari problemi, primo tra i quali, come ab3
Si propone che simbolo verbale debba essere considerata ogni forma di espressione significante prima di
quella che viene indicata come l'esplosione del lessico; si veda per esempio Dromi 1990. Essa è identificabile come quel momento in cui il bambino acquisisce nuove parole in maniera non più controllabile, con un
incremento esponenziale (Si veda per l'italiano Caselli (1995). Si fa l'ipotesi che questo sia possibile per
l'avvenuta formazione del concetto di parola, come entità formale del linguaggio, piuttosto che come singolo simbolo.
4
Vedi Jackendoff 1978, 1993.
5
Per le varie tipologie di enunciato complesso vedi Moneglia e Cresti 1993, Cresti e Moneglia (1995),
Cresti 1993, Cresti (1996).
6
Tale struttura sintattica viene motivata per dotazione innata e per un'attivazione che avviene come per
"accensione di interruttore", oppure per maturazione. Ricordiamo nella vasta letteratura generativista
sull'acquisizione alcune tappe fondamentali come quella della struttura sintattica innata (MCNeill 1970),
principi e parametri Roeper e Williams (1987), principio di apprendibilità: Pinker (1984 e 1989).
6
biamo già accennato, la spiegazione stessa di che cosa sia un enunciato complesso, dal momento che non appare chiaro nemmeno quale sia la natura delle espressioni che lo compongono, né certo essendo chiaro quale tipo di relazione leghi tali
espressioni a formare la complessità. Bisognerà indagare allora su quale sia:
a) la natura dei primi enunciati complessi;
b) la natura delle espressioni linguistiche che costituiscono l'enunciato complesso;
c) la natura delle relazioni che legano le espressioni formanti un enunciato complesso;
d) i criteri tramite i quali si può stabilire che tali relazioni hanno luogo.
Nella nostra proposta le questioni sono affrontate all'interno della teoria degli
atti linguistici, secondo ipotesi già sperimentate nella spiegazione del parlato e
dell'acquisizione. La nostra ipotesi in proposito è che:
a) la natura dei primi enunciati complessi è di tipo informativo ed essi sono definibili come contesti di riferimento, ovvero come espressioni pragmaticamente
interpretabili anche in isolamento;
b) le espressioni che li compongono sono necessariamente simboli verbali, definibili come entità semantiche piene, con un corrispettivo cognitivo referenziale;
c) la relazione che li lega è di tipo informativo, dovuta all'espressione della forza
illocutiva da parte di un simbolo e all'espressione del suo campo di applicazione o
riferimento linguistico da parte di un diverso simbolo lessicale;
d) il criterio riconoscitivo delle relazioni è dato dall'intonazione.
Come vedremo motivazioni semantiche e informative e in ultima istanza cognitive sono alla base di tali assunti.
2. LE UNITÀ LINGUISTICHE CHE COMPONGONO UN ENUNCIATO: MORFEMI O PAROLE?
Non è possibile decidere quale sia la natura di un enunciato complesso prima di
aver affrontato alcune questioni preliminari come per esempio quali siano le
espressioni che lo costituiscono.
Per quanto riguarda il punto b), dai nostri esempi saremmo portati ad assumere
che le prime espressioni che si combinano per formare un enunciato complesso
tutto sommato siano dei simboli verbali, anche se per lo più ancora privi di morfologia. Tale assunzione però non è scontata, dal momento che per esempio il
criterio di valutazione dello sviluppo linguistico del bambino, M.L.E., considera
come unità linguistica di base ogni espressione fonologicamente stabile e con una
certa stabilità di significato, in sostanza il morfema. Da esso deriva, come è noto,
che il sistema di misurazione del livello di sviluppo linguistico è fondato sul conto
numerico dei morfemi lessicali, flessivi e funzionali e non su quello delle parole 7;
secondo tale criterio lo stadio di sviluppo di ogni bambino è misurato non tanto in
base all'età cronologica quanto in base alla lunghezza media in morfemi dei suoi
enunciati. Il sistema è universalmente diffuso e accettato e mostra di avere una
7
Vedi Brown 1973.
7
notevole validità descrittiva. Enunciato complesso secondo tale ottica è ogni
espressione linguistica che raccolga più di un significato e alla quale corrispondano espressioni esterne stabili e identificabili, quindi in genere l'insieme di un
morfema lessicale più un morfema flessivo e/o funzionale. 8
Se teniamo conto di esso, però, dovrebbero essere considerate come prime forme
di enunciato complesso anche le semplici occorrenze di parola flessa, che nei
nostri corpus possono essere precocissime, coincidendo spesso con il primo simbolo verbale, mama, anche se esse non sembrano presentare le caratteristiche per
cui è significativo parlare di enunciato complesso: lo sviluppo linguistico verso
una distanziazione dal mondo e una piena indipendenza da esso 9. In questo modo
invece tutto si appiattirebbe in una classificazione di complessità omniestesa.
Naturalmente l'assunzione del morfema come unità di riferimento ha molto più
senso per l'inglese per cui vige una sostanziale coincidenza morfema lessicaleparola, ma per l'italiano 10, nel quale non vale tale condizione, si è preferito in
genere considerare i primi simboli verbali, che per lo più hanno flessione nominale obbligata di genere (mamma, nonno ), o di genere e numero (mimmi 'bambini', bobbele 'forbici') come enunciati semplici, escludendoli dal novero dei complessi. Non esiste certezza, infatti, che tali terminazioni abbiano un reale valore
morfologico distintivo (femminile vs maschile, singolare vs plurale), cosicchè se
questo è il caso, esse non sono niente di più dell'espressione di un semplice significato 11.
La possibilità di una complessità morfologica, tuttavia, si ripresenta relativamente ai morfemi liberi (articoli, ausiliari, clitici ecc); questi ultimi però appaiono
in maniera sistematica in genere dopo i due anni e dopo la chiara formazione di
frase 12.
Si veda per esempio:
BEN: Ma i gattoni/ sono brutti // ruffaa la la lana// (2; 2. 26) [ma i gattoni, sono
brutti. arruffa(no) la lana.]
( TOP
COM ) F= asser. ( COM ) F= asser.
BEN: vedere ! // non lo vedo// (2; 2. 26) [vedere. non lo vedo]
( COM ) F= richiesta ( COM ) F= asser.
NIK: 'n cioppéte /# che mangia ii gnomi// (2;3. 19) [ un serpente, che mangia gli
gnomi]
( COM
APP com ) F= asser.
8
Bisogna considerare che il criterio della lunghezza media dell'enunciato è stato concepito per la lingua
inglese ed infatti se applicato ad essa, rivela una consistenza descrittiva data la generale coincidenza tra
morfemi lessicali e parole, e dato che l'apparizione di parte della morfologia legata è più tarda che in italiano. In effetti l'occorrenza sistematica della morfologia legata o il suo apprendimento paradigmatico si trova
ad essere contemporaneo con forme di enunciazione complessa.
9
Si veda Moneglia (1994)
10
11
A questo proposito si vedano Pizzuto e Caselli (1992, 1993) e De Vescovi e Pizzuto (1995).
Come spiegheremo più avanti, in ogni caso la complessità degli enunciati per morfologia non può essere
considerata sullo stesso livello di quella lessicale. Quindi anche i casi più tardi di morfologia legata, come i
plurali dei nomi e la morfologia di persona dei verbi non consentono la formazione di enunciato. Si veda
per la morfologia flessiva italiana Pizzuto e Caselli (1993).
12
Si veda Radford (1990).
8
E' evidente che a tale livello di sviluppo la presenza di morfemi funzionali (articoli, clitici), ma anche flessivi (plurale, persona verbale) non può più essere considerata all'origine della complessità, poiché compare di pari passo con la complessità sintattica e in ogni caso dopo la combinazione di simboli lessicali, che
quindi costituirebbe essa la forma più semplice e primitiva di enunciazione complessa.
In tempi abbastanza recenti, però, è stata data attenzione ad un fenomeno, già
notato da Dore 13, ma al quale per lungo tempo non era stato dato il giusto rilievo:
l'anteposizione di segmenti vocalici ai primi, se non primissmi, simboli verbali
prodotti da molti bambini anche se certo non da tutti 14. Ecco alcuni esempi:
OMA: amamma // (1; 4. 2.) [ (la?) mamma]
( COM ) F= richiesta
FRA: anunna // (1;4. 16) [la? nonna]
( COM ) F= riconoscimento
BEN: echicco // (1; 6. 12) [ un o il ? chicco]
( COM ) F= risposta
Essi sono stati chiamati nella letteratura in maniera diversa: riempitivi sillabici,
segmenti fonetici indifferenziati, proto morfemi, proto indicatori sintattici, ecc...a
seconda della spiegazione che di essi è stata data; per quanto ci concerne li indichiamo con il termine generico di protoforme. Esiste comunque un certo consenso
sul fatto che essi siano antecedenti ontogenetici di morfemi legati ed espressioni
funzionali (articoli, ausiliari, clitici, preposizioni).
Si è sostenuto da più parti allora che i primi enunciati complessi devono essere
considerati quelli costituiti da una protoforma e da un simbolo verbale; secondo
questa ipotesi verremmo così ad avere esempi molto precoci anche di complessità
linguistica, costituiti da una protoforma più un simbolo verbale (amamma), diversa dalla complessità lessicale, due simboli verbali (bupu cicci), e in alcuni bambini antecedente a questa ultima 15.
L'enunciato complesso per la presenza di una protoforma, che possiamo indicare
col termine di complessità protomorfologica, verrebbe in alcuni casi ad essere
chiaramente precedente anche ad ogni tipo di complessità sintattica: tuttavia proprio chi riconosce come prima forma di complessità dell'enunciato quella protomorfologica in genere attribuisce ad essa anche un valore sintattico, rivendican-
13
14
Si veda Dore et alii (1976).
Si veda per il francese Veneziano et alii (1990), per l'inglese Peters (1990), per l'italiano Bottari et alii
(1993) e Nelli (1996).
15
Nei nostri due esempi lo stesso bambino OMA presenta la complessità protomorfologica amamma all'età
di 1; 4. 2. e quella lessicale bupu cicci all'età di 1; 11. 14. Le due date sono indicative, di tipo medio,
perché le prime attestazioni di entrambi i fenomeni si sono verificate in precedenza. OMA per esempio ha
un uso molto limitato delle protoforme e presenta quasi un'alternativa tra la complessità protomorfologica
e quella lessicale.
9
done una funzione di segnaposto o di antecedente della costituenza sintattica 16. Si
vedano alcuni esempi di quella che potrebbe essere una tipologia "sintattica" delle
protoforme 17:
a mama [la mamma]= SN
a collo [ in collo]= SP
e metti [lo metti]= SV
e lallo [ è (un) cavallo]= SV
Concludendo per quanto riguarda il punto b), poiché per l'italiano non ha senso
considerare alcune terminazioni di parola obbligatorie come morfologia legata o
comunque come espressione di complessità (mama), rimangono due possibilità di
complessità precoce in discussione: quella costituita da due simboli verbali (bupu
cicci), lessicale, e quella costituita da una protoforma e da un simbolo verbale
(amamma), protomorfologica.
3. SULLA NATURA DEGLI ENUNCIATI COMPLESSI
Come avevamo già anticipato per quanto riguarda il punto a) è facile capire che
la natura e la definizione di enunciato complesso variano molto a seconda del
fatto che siano considerati tali espressioni come amamma o bupu cicci. Del resto
anche la diffusione e i tempi di apparizione dei due tipi di enunciato complesso
sono molto diversi, infatti le protoforme non sono un fenomeno universalmente
diffuso nell'acquisizione:
a) molti bambini non presentano in assoluto protoforme e quindi enunciati complessi protomorfologici 18;
b) alcuni bambini hanno le protoforme e gli enunciati conseguenti magari in epoca precoce, per poi perderli al momento della complessità lessicale;
c) alcuni bambini presentano in epoche diverse, tarde o precoci, le protoforme e
dal momento della loro apparizione ne continuano l'uso in maniera sistematica e
parallela con la complessità lessicale, finché non sono formati gli appropriati
paradigmi morfologici.
La comparsa dei due tipi di complessità, lessicale e protomorfologica, inoltre
appare del tutto indipendente e motivata diversamente, cosicché non sembra che
esista una relazione tra di esse.
La complessità lessicale, al contrario appare un fenomeno universale; non sembra mai verificarsi in sostanza, almeno nell'acquisizione normale, che un bambino non produca due simboli verbali insieme ed in particolare due simboli verbali
insieme senza legami manifesti di tipo morfologico e sintattico; come abbiamo già
16
Con un esempio molto semplice possiamo spiegare l'assunto nel seguente modo: se la parola mamma è
preceduta anche solamente da un articolo la mamma, si deve arguire che la sequenza vale non tanto come
entrata lessicale, ma come costituente sintagmatico nominale SN, il cui valore è definibile sintatticamente.
17
Si veda per una trattazione sistematica della tipologia per l'italiano Bottari et alii (1993).
18
In questo caso le espressioni funzionali appaiono in epoca successiva, in genere dopo i due anni, ormai
sotto forma di sistemi, magari ridotti, ma paradigmatici degli articoli, degli ausiliari, delle preposizioni.
10
detto nessun bambino passa direttamente da un solo simbolo verbale (mamma) ad
un predicato (prende la bambolina) o ad un sintagma nominale complesso (l'albero di Natale). Quindi a fronte di una obbligatorietà della complessità lessicale
di tipo transizionale (bupu cicci), possiamo notare la grande variabilità e opzionalità della complessità protomorfologica (amamma), che in alcuni soggetti può
mancare del tutto 19.
Mantenendo aperte le due possibilità, se ci domandiamo quale sia la natura
rispettiva dei due tipi di enunciato, dobbiamo confrontarci con una vasta letteratura che non possiamo discutere in questa sede e di cui riportiamo solo le posizioni
più rilevanti. Relativamente agli enunciati protomorfologici già molte ipotesi sono
state fatte:
a) fonologica, intendendo che essi siano messi in atto soprattutto per una strategia
di imitazione dell'input (Leonard et alii 1992), oppure come strategia ritmico
intonativa per costruire sequenze più vaste, per cui la protoforma costituirebbe un
piedein più, una sorta di appoggio metrico ( Scarpa 1986);
b) morfologica, ancora all'interno di un processo di imitazione dell'input, di cui
sarebbe valutata la complessità e fatto spazio a dei primi e generici valori morfologici (Peters 1990);
c) sintattica, come attivazione di un input sintattico di costituenza sintagmatica
(Bottari et alii 1993);
L'ultima ipotesi presenta interessanti aspetti, salvo lasciare aperti problemi di
scarto tra la struttura sintagmatica e la produzione infantile, che ha un uso sovraesteso delle protoforme 20. In ogni caso con l'interpretazione sintattica delle
protoforme si avrebbe la costituzione di uno "spazio" sub-frastico e di conseguenza anche la relazione tra la protoforma e il simbolo lessicale dovrebbe essere spiegata in termini di struttura sintattica in accensione, nella quale la protoforma
fungerebbe da specificatore, o piuttosto prenderebbe il posto di esso, rispetto ad
una testa lessicale.
Per quanto riguarda poi la complessità lessicale, anche per essa sono state fatte
molte ipotesi, tra le principali ricordiamo:
a) linguaggio telegrafico: parole semanticamente piene in giustapposizione con
sostanziale mancanza di elementi funzionali e riduzione morfologica (Brown e
Fraser 1963);
b) linguaggio pivot: parole pivot più parole lessicali con una relazione di protopredicazione (Braine 1963 e 1976, Bruner et alii 1966, Slobin 1970);
c) struttura argomentale, combinazione di parole lessicali secondo varie relazioni
semantiche di tipo argomentale ( Schlesinger 1971, Brown 1973), struttura combinatoria del significato (Greenfield e Smith 1976);
19
A nostro parere l'obbligatorietà della complessità lessicale a fronte dell'opzionalità dell'altro tipo costituisce già una forte prova della rilevanza e preponderanza della prima, per cui essa appare il tipo di complessità significativa, quella di cui occuparsi e da spiegare come tappa all'interno dell'evoluzione.
20
Si veda per esempio, riprendendo da Bottari et alii (1993), alcune protoforme che non avendo corrispettivi nella lingua adulta sono considerate dagli autori delle estensioni fonetiche senza alcun valore linguistico: apù [più], èvia [via], éte [te], òpello [quello], evola [vola]. Non condividiamo però tale valutazione,
dal momento che ci sembra un procedimento ad hoc quello per cui debbano essere scartate quelle protoforme di cui non siamo in grado di trovare un trasparente e contiguo esito nella competenza adulta.
11
d) struttura cognitiva (Bloom 1973);
e) atti linguistici primitivi (Dore 1975).
Non possiamo discutere neppure le varie teorie circa la complessità lessicale,
vorremmo solo notare che in sostanza esse sono riconducibili o a strutture di predicazione tra parole pivot e non, oppure a funzioni argomentali, che sarebbero
svolte dai due simboli, al di fuori e prima che esista una struttura argomentale.
Questo implica di assumere al di fuori del lessico e prima che esso esista come
insieme strutturato, conoscenze comportamentali e acquisizioni cognitive come
fondamento immediato della struttura argomentale e della predicazione, all'infuori di ogni specificità linguistica 21.
Tornando allora all'argomento della nostra esposizione, richiamiamo l'attenzione
su un aspetto, a nostro parere centrale, quello concernente la profonda differenza
semantica tra i due tipi di enunciato complesso: amamma, in cui un unico referente è in gioco e bupu cicci, in cui due referenti sono implicati 22. Come abbiamo già detto nel caso lessicale le due espressioni non possono essere interpretate
come facenti parte di uno stesso costituente sintattico, come potrebbe essere un
sintagma adulto 'il cibo del lupo' o 'il lupo con il cibo', in cui cibo o lupo sono
teste lessicali del sintagma e le cui rappresentazioni semantiche concernono 'il
cibo di qualcuno' o 'un lupo con qualche cosa'. Avviene in questi casi una subordinazione semantica tra l'espressione testa e l' altra espressione; questo è ciò che
non succede nel caso degli enunciati complessi lessicali, poiché le due espressioni
rimangono semanticamente indipendenti l'una dall'altra.
Quindi mentre nel caso di enunciato complesso protomorfologico si può immaginare che esso effettivamente costituisca una forma di antecedente di costituenti
sintagmatici, come SN (amamma), o SP (acollo, 'in collo') o SV ( emetti, 'lo metti'), in modo che l'enunciato sarebbe un'entità subfrasale o prefrasale, ma sintattica, nel caso di enunciato complesso lessicale questo non è possibile. Anche se
l'indipendenza semantica delle espressioni, non è stata in genere vista dalla letteratura, che non ha fatto altro che proporre una forma di protopredicazione o di
configurazione semantica sui generis, costruita su delle relazioni argomentali tra
espressioni, di difficile motivazione da un lato e dall'altro di variazione molto
estesa a seconda del tipo delle espressioni in gioco. Quale ruolo tematico o funzione argomentale, infatti, lega cane a no, e quale bupu a cicci ? Quale similitudine esiste tra le relazioni del primo esempio cane no e quelle del secondo bupu
cicci?
Ma invece di rispondere facciamo un passo indietro ed occupiamoci piuttosto di
una questione spesso trascurata, quella riguardante i criteri per decidere quando
due espressioni appartengano allo stesso enunciato, quindi quella che abbiamo
indicato come punto c).
4. COME
SI PUÒ DECIDERE CHE DUE ESPRESSIONI APPARTENGONO ALLO STESSO
ENUNCIATO?
21
Il lavoro al quale invece ci sentiamo più vicini e che ci ha permesso di cercare una soluzione diversa è
senza dubbio quello di Dore. Esso, però, anche se citato e assai noto, non è stato più ripreso e sviluppato.
22
Anche nel caso di enunciati semanticamente diversi come cane no o eapù luna, si può propriamente
ritenere che ognuna delle due espressioni dell'enunciato ha un qualche tipo di referenza, perché sia no che
pù, sono espressioni normalmente usate in isolamento dal bambino.
12
4.1. Criterio fonetico per enunciati protomorfologici. Come abbiamo detto la
questione concernente i criteri secondo i quali decidere se due espressioni linguistiche "stanno insieme" a formare un'enunciato complesso, è stata spesso sottovalutata se non addirittura ignorata. Questo trova una sua giustificazione nel caso in
cui la complessità sia di tipo morfologico e protomorfologico, perché in sostanza
la verifica dell'unione della pluralità di significati, che ha dei precisi corrispettivi
di tipo fonetico, è irrilevante. Ogni morfema lessicale infatti, se da un lato deve
essere ben identificabile foneticamente, in ogni caso, però, risulta prodotto all'interno di una stessa sequenza fonetica insieme con quei morfemi flessivi e/o funzionali che lo accompagnano.
Nel caso, quindi, di complessità morfologica esiste un criterio fonetico che permette di valutare in maniera automatica la connessione delle espressioni in gioco.
Ad una molteplicità di significato e di morfemi distinti formalmente corrisponde
un'unità di esecuzione fonetica, legata da fenomeni di coarticolazione, da un accento e da caratteristiche intonative unitarie. La parola come entità fonetica in
questi casi garantisce, dunque, dell'unitarietà dei significati espressi 23.
La certezza che possiamo avere per sequenze adulte, naturalmente, deve essere
fortemente indebolita nel caso di produzioni infantili, la cui vaghezza semantica e
fonologica, insieme ad una immaturità esecutiva, può portare a realizzazioni
molto distanti dai criteri validi per gli adulti. Per esempio si può accennare alla
diffusa tendenza dei bambini a ritmare le due sillabe uguali, che molto spesso
sono la base dei primi simboli verbali, che vengono così prodotte con un lungo
intervallo tra di loro, con uguale lunghezza e con due accenti, sconvolgendo la
struttura stessa di parola 24:
ma ... ma
In genere, però, non c'è mai incertezza rispetto ad una divisione tra morfemi
lessicali e morfemi flessivi; non succede praticamente mai che una pausa sia inserita tra di essi
* mam .... a
e molto raramente anche tra una protoforma e il simbolo verbale che la segue è
dato rintracciare una pausa
? a .... mama
Con il procedere del tempo poi si fa più sicura l'esecuzione fonetica dei simboli e
nel caso di complessità protomorfologica un criterio formale di tipo fonetico può
23
La sequenza un cane, oltre ad essere identificabile per motivi sintattici e di accordo morfologico, corrisponde semanticamente ad un nucleo lessicale, cui sono aggiunti tratti di determinazione, di genere e
numero, ecc...Essa viene realizzata come una sequenza fonetica unitaria per fenomeni di coarticolazione,
strutturazione di accento, struttura ritmico-prosodica, essa è una parola fonetica.
24
Eppure motazioni contestuali quasi sempre ci permettono di riconoscere la sequenza sillabica come
unitaria e ci assicurano circa il valore di simbolo verbale mamma di tali produzioni.
13
essere il giusto garante di una produzione unitaria di simbolo verbale e protoforma.
4.2. Criteri di valutazione per enunciati complessi lessicalmente. Altro discorso
è invece cercare di trovare dei criteri che consentano di valutare due o più simboli
come relati, nel caso, appunto, la complessità sia di tipo lessicale. Del resto però il
fatto che tale tipo di complessità sia una tappa obbligata, alla quale tutti i bambini
prima o poi devono arrivare, costringe a interessarci della questione, che in qualche modo deve essere affrontata.
Ci chiediamo se anche in questo caso un criterio di esecuzione fonetica unitaria
possa essere sufficiente a garantire che la pluralità dei significati prodotti è un
insieme e non una pluralità di espressioni separate, che il bambino ha prodotto in
una certa sequenza, ma che non costituiscono un enunciato complesso.
Bisogna dire subito che nel caso di complessità lessicale un criterio stretto di
parola fonetica non è bastante perché nell'acquisizione i due simboli verbali possono:
a) essere distinti come parole fonetiche;
b) avere accenti di parola distinti e a volte neppure "gradati" l'uno rispetto all'altro;
c) essere separati addirittura da una pausa.
Ciò nondimeno essi possono far parte dello stesso enunciato.
Il problema di riconoscere enunciati complessi lessicali è stato affrontato in varie
maniere ed ha portato a conclusioni molto diverse. Esse sono riassumibili schematicamente come:
a) soluzione fonologica: che ripropone un criterio di parola fonetica, alleggerito,
nel senso che i fattori cui è dato maggior rilievo sono per esempio l'assenza di
pausa tra i simboli o una misura molto breve della sua durata, e una certa strutturazione ritmico accentuale della sequenza dei simboli;
b) soluzione semantica:che propone un criterio semantico, spesso completamente
slegato da ogni considerazione di tipo fonetico, per cui produzioni comunque
vicine del bambino, se legate semanticamente o dette a proposito di uno stesso
argomento, vengono considerate fare parte di uno stesso enunciato;
c) soluzione intenzionale: che rinforza il precedente criterio semantico tramite la
considerazione delle intenzioni comunicative del bambino, data la difficoltà di
giudicare i valori semantici delle produzioni infantili; viene quindi tenuto conto
della situazione nella quale avviene la verbalizzazione e alla luce di essa vengono
ipotizzate intenzionalità comunicative unitarie, a volte per produzioni slegate
foneticamente e in maniera apparente anche semanticamente.
14
Il criterio da noi proposto è di tipo intonativo e si discosta dai precedenti, anche
se di fatto è un criterio fonetico, purché a tale termine sia dato un'accezione non
solo limitata a fatti segmentali 25.
In lunghe ricerche sull'acquisizione è stato riscontrato un criterio formale per
giudicare se due espressioni lessicali possono e devono essere considerate in maniera unitaria, esso è un criterio intonativo, simile a quello che permette di valutare le relazioni all'interno di produzioni orali adulte 26.
Il continuum fonico, infatti, viene prodotto non in maniera percettivamente
indistinta ma organizzato in prominenze informative, segnalate dall'intonazione,
ed esso è conseguentemente analizzato percettivamente secondo tali prominenze.
E'stato dimostrato che a ciascuna di tali prominenze informative corrisponde un
atto linguistico, che può essere: semplice, composto da una sola unità d'informazione, o complesso, composto da più unità. L'intonazione, dunque, è segnale formale sistematico degli atti linguistici e delle unità d'informazione che li compongono27.
Anche nell'acquisizione l'esecuzione unitaria intonativa dei simboli verbali fa di
essi una sola prominenza informativa. L'esecuzione unitaria di tipo intonativo è
fondata su una valutazione percettiva di tipo gestaltico, verificata dalle variazioni
di F0 e dalle durate sillabiche, ed è indipendente da caratteristiche strettamente
fonetiche e anche dalla presenza di pause tra i simboli. L'unità intonativa di due
simboli, quindi, è il segnale di una programmazione unitaria degli stessi di tipo
informativo, ma secondo la nostra ipotesi ad essa corrisponde anche il compimento di un atto linguistico; il criterio intonativo assicura quindi la connessione
dei simboli verbali da un punto di vista informativo, ma anche illocutivo.
Bisogna sottolineare allora che la soluzione intonativa della valutazione degli
enunciati complessi non è solo una risposta obiettiva e specifica per la questione
di quale criterio adottare per il loro riconoscimento, essa è sì liberatoria rispetto ad
un criterio fonetico stretto, di fatto inapplicabile, e a criteri semantici o intenzionali, che possono presentare aspetti di arbitrarietà, ma è gravida di conseguenze
circa la natura della relazione tra le espressioni lessicali e in ultima istanza circa
la individuazione della natura dell'enunciato complesso.
5. ENUNCIATI COMPLESSI PER ARTICOLAZIONE INFORMATIVA E PER LINEARIZZAZIONE
25
Il criterio intonativo tuttavia non può però essere definito come strettamente fonetico, comprendendo in
esso solo caratteristiche fonetiche e accentuali di parola, perché esso è suprasegmentale.
26
Lo studio dell'intonazione nell'acquisizione non è certo più una novità. Si vedano tra gli altri i contributi
di Bortolini (1992) sull'importanza del periodo prenatale per la competenza intonativa, D'Odorico e Franco
per i primi mesi di vita e il valore comunicativo delle produzioni intonative codificate (1993, in stampa)
contro l'ipotesi di Rosenhouse (1970) e Crystal (1986), i lavori sulla caratterizzazione linguistica dell'intonazione di Boysson-Bardies et alii (1986 e 1987), l'importanza dell'intonazione nel dialogo madre-bambino
Stern et alii (19kx), uno studio puntuale sullo sviluppo prelinguistico e linguistico dell'intonazione di un
bambino Halliday (1975), gli studi di Dore che attribuisce valore distintivo all'intonazione per gli atti
linguistici (1975, 1976) e nel periodo di passaggio tra sequenze di enunciati monorematici ed enunciati
complessi (Bloom 1973, Scollon 1974, Dore 1975, Dore et alii 1976, Branigan 1979).
27
Si veda Cresti (1995)
15
Dato il criterio intonativo dobbiamo accennare al fatto che tuttavia esiste non
una sola modalità di formazione dell'enunciato complesso lessicale, ma sostanzialmente due.
In una serie di recenti lavori sull'acquisizione dell'italiano 28 sono state mostrate
le due tipologie fondamentali dell'enunciato complesso lessicale con le rispettive
caratteristiche intonative, quella di articolazione informativa e quella di linearizzazione 29.
La modalità di linearizzazione e di articolazione informativa possono essere
semplicemente descritte come:
A: linearizzazione, due simboli verbali "linearizzati" entro la stessa busta prosodica (unità tonale di comment); un solo movimento percettivamente rilevante di F0
unisce due simboli che per il resto possono essere foneticamente separati; per
esempio a) bupu cicci, b) pedi ciaccia [piedi acqua], c) no manno [no mano]:
TAVOLA 1
a)
b)
c)
B: articolazione informativa, un simbolo in una busta prosodica, (unità tonale di
comment) ed un altro in una diversa busta prosodica (unità tonale topicale) ad
essa formalmente legata; due distinti movimenti percettivamente rilevanti di F0,
legati formalmente entro un solo pattern melodico, collegano due simboli foneticamente del tutto distinti; per esempio elà/ paallo//, adù / adada// [giù, la? scatola].
28
Si veda Moneglia-Cresti (1993), Moneglia (1994a), Moneglia (1994b), Cresti (1993), Cresti (1993),
Operi (1993), Nardoni (1996).
29
Nei lavori succitati è stato esaminato anche lo sviluppo nel tempo delle diverse tipologie transizionali,
con i passaggi da uno stadio all'altro.
16
TAVOLA 2
a)
b)
Le modalità di linearizzazione e articolazione informativa coerentemente con le
ipotesi della teoria degli atti linguistici e la loro applicazione all'analisi della lingua parlata 30 , come abbiamo già detto, sono riconducibili ad una spiegazione che
prevede una corrispondenza sistematica tra intonazione e atto linguistico.
Ad ogni atto linguistico corrisponde un pattern intonativo, che può essere semplice, composto di una sola unità tonale di comment, quando l'atto è un atto semplice composto da una sola unità d'informazione che esprime l'illocuzione. Come
si può vedere dalla Tavola 3 una espressione come mangia, che viene interpretata
da un'unità tonale di comment, a seconda della forma di quest'ultimo, diventa un
atto con illocuzione assertiva nel caso di a), con illocuzione di domanda nel caso
di b) e di ordine nel caso di c).
TAVOLA 3
a)
b)
c)
30
Si veda Cresti (1987),(1992a), (1992b), (1995), (in stampa).
17
Il pattern tonale può essere complesso, composto da un'unità obbligatoria di
comment e preceduto da un'unità opzionale di topic, se l'atto linguistico è composto anche da un'unità informativa che esprima il campo di applicazione dell'illocuzione. Come si può vedere dalla Tavola 4 una espressione come Il figlio di
Arcibaldo va a Roma può essere interpretata tramite due unità tonali, la prima di
topic per il figlio di Arcibaldo la seconda di comment per va a Roma. L'atto
linguistico risultante ha forza assertiva, perché la forma del comment è di tipo
assertivo.
TAVOLA 4
Il pattern tonale può in realtà essere notevolmente complesso e quindi un'unità
tonale di comment o un pattern di topic-comment, possono essere affiancati da
ulteriori unità tonali: di appendice e/o unità tonali dialogiche, cui corrispondono
atti linguistici composti da una necessaria e sufficiente unità di comment coadiuvata testualmente e/o dialogicamente da unità informative con diverse funzioni.
Un esempi è offerto dalla Tavola 5, nella quale l'enunciato reale a-vvorte i'bbabbo / preso dalla disperazione / va a-ddormì di là // è interpretato da tre unità
tonali: una di topic, una di inciso e una di comment con forma assertiva.
TAVOLA 5
6. L'INTERPRETABILITÀ PRAGMATICA DEGLI ENUNCIATI COMPLESSI LESSICALI
Al di là di strategie individuali possiamo spiegare storicamente la formazione
dei primi enunciati complessi constatando che il bambino passa da compiere atti
linguistici primitivi, costituiti da un solo simbolo verbale - che naturalmente assomma il compimento di un atto locutivo di significazione, uno illocutivo concernente una specifica azione linguistica e uno perlocutivo, eseguito tramite una
unità tonale di comment -, a compiere atti linguistici che non sono più primitivi e
coinvolgono almeno due simboli verbali. Questo avviene perchè uno dei simboli
continua a compiere tutti e tre gli atti (locutivo, illocutivo e perlocutivo), mentre
18
l'altro simbolo perde la propria valenza illocutiva, non compie più una specifica
azione linguistica, e diventa perciò solamente il riferimento linguistico del primo
31
. Il simbolo che funge da riferimento può essere realizzato in un'apposita unità
tonale, di tipo topicale, in genere seguente l'unità tonale di comment, oppure essere linearizzato entro la stessa unità di comment in una parte dell'unità tonale che
non è quella di tonia, che invece è la parte dove si realizza il movimento significativo di F0.
Alla luce di tale ipotesi, dunque, la realizzazione di un enunciato complesso, sia
per articolazione che per linearizzazione, avviene come un passaggio da una situazione per cui ogni simbolo verbale compie una illocuzione ad una situazione in
cui di due simboli uno subisce un processo di neutralizzazione illocutiva, e trovandosi "senza illocuzione" diventa riferimento conoscitivo, articolato o linearizzato, dell'altro simbolo portatore dell'illocuzione.
Che conseguenze linguistiche ha il fatto che due simboli verbali facciano parte
dello stesso atto linguistico? I primi enunciati complessi sia per articolazione
informativa che per linearizzazione costituiscono delle configurazioni semantiche
che chiamiamo contesti di riferimento transizionali; con questo termine si intende
una espressione che risulta interpretabile pragmaticamente in maniera autonoma e
al di fuori del contesto situazionale. Per esempio prendiamo 2) (bupu cicci), bupo
esprime una narrazione, oltre a veicolare il proprio significato locutivo ('lupo'),
così il simbolo tramite la forza può essere "applicato come narrazione" o rifersi
all'altro simbolo, cicci , che privo di illocuzione non può riferirsi a niente e funge
invece esso da riferimento linguistico, tramite il proprio significato locutivo ('cibo'). Lo stesso dicasi per l'articolazione informativa, in cui per esempio in 10) (elà
/ pallo //) elà compie una deissi, e oltre a veicolare il proprio significato 'là', si
riferisce come deissi a paallo, che con il suo significato 'cavallo' funge da suo
riferimento linguistico. La relazione che lega i due simboli di un enunciato complesso lessicale, dunque, non è di tipo morfologico, né sintattico, ma non è neppure una relazione semantica predicativa o argomentale; essa è propriamente una
relazione informativa fondata sul riferimento illocutivo di un simbolo verso un
altro simbolo che non esprima una forza.
Il contesto di riferimento che viene a formarsi nei casi citati 2) e 10), per esempio, può essere tradotto come una 'narrazione compiuta da lupo con riferimento a
cibo' e una 'deissi compiuta da là con riferimento a cavallo' 32. Solo per ciò l'enunciato complesso lessicale, sebbene privo di ogni legame strutturato tra le espressioni che lo compongono, sia morfologico che sintattico che semantico argomentale, riesce ad essere interpretabile e non solo interpretabile quanto ai singoli sensi
delle espressioni sue componenti, ma interpretabile praticamente da parte del
proprio interlocutore.
Questi, infatti, tramite il riconoscimento di una certa forza (narrazione, deissi),
espressa tramite un simbolo verbale (lupo, là), e la sua applicazione ad un altro
simbolo che informativamente funge da suo riferimento (cibo, cavallo), sa come
interpretare praticamente quello che gli viene detto ( è una narrazione di x, è una
deissi di y) e come e a che cosa riferirlo ( riferimento conoscitivo a z, riferimento
31
32
Si vedano vari passaggi per cui questo avviene (Cresti 93, Moneglia e Cresti 93).
Sulle diversità tra enunciati complessi per articolazione e linearizzazione si veda Cresti (1996).
19
ostensivo a w). Oltre a capire i sensi distinti dei simboli verbali, quindi, è possibile sia relarli che comportarsi appropriatamente in relazione ad essi.
Allora se il criterio per valutare quando due simboli verbali sono prodotti insieme a formare enunciato complesso è un criterio intonativo, come sembra, esso
porta con sè una serie di conseguenze necessarie che vanno dalla individuazione
della natura dell'enunciato complesso a quella delle espressioni che lo compongono a quella della relazione che le lega.
7. NATURA SEMANTICA E INFORMATIVA DEI PRIMI ENUNCIATI COMPLESSI
Il fatto che la tipologia di enunciato complesso lessicale sia obbligatoria e il fatto
che il criterio per valutare se due espressioni lessicali sono legate sia intonativo,
da un lato ci permette di spiegare che la caratteristica di tali enunciati è quella di
espressioni interpretabili pragmaticamente e dall'altro ci svela che ogni bambino
passa necessariamente da un momento in cui cerca di produrre proprio tali espressioni.
Questo stadio è necessario, dunque, non solo ma noi sappiamo anche che esso è
precedente alla formazione di predicati verbali del tipo mangia l'osc e di prime
forme di frase come babbo dorme 33. Le prime forme di enunciato complesso
sarebbero dunque quelle di enunciato lessicale privo di relazioni configurazionali,
linearizzato o articolato informativamente, tuttavia avevamo lasciato in sospeso la
possibilità di considerare anche gli enunciati protomorfologici: protoSN, proto SP,
e proto SV come forme precoci di enunciato complesso.
Abbiamo già rimarcato la forte differenza semantica tra i due tipi di enunciato,
che prevedono da un lato una sola espressione lessicale accresciuta da tratti semantici grammaticali come la determinazione, l'ausiliare, una preposizione, e
dall'altro due espressioni lessicali distinte. E' possibile a questo punto formulare
un criterio di valutazione e di scelta rispetto ai due tipi di complessità, evidenziando che la separazione fonetica tra le due espressioni lessicali, nonché la loro
distinzione semantica, è correlata al fatto che ciascuna di esse è portatrice di una
distinta funzione informativa: quella illocutiva o quella di riferimento dell'illocuzione, sia che esse siano linearizzate che articolate. Come abbiamo visto, infatti, è
proprio la distinzione funzionale delle due espressioni che permette la formazione
del contesto di riferimento e assicura l'interpretabilità pragmatica dell'enunciato.
Ora è altrettanto evidente che qualsiasi morfema funzionale, e ancor più i suoi
antecedenti ontogenetici, le protoforme, non può essere portatore di una funzione
informativa, né di quella illocutiva né di quella di riferimento. Il fatto che un
morfema lessicale o una protoforma non sia pieno lessicalmente, cioè che non
corrisponda anche cognitivamente ad entità come individui, eventi o proprietà, ma
possa essere solo un tratto semantico applicabile ad una di tali entità semantiche,
esclude che esso possa compiere alcuna azione linguistica specifica 34 e quindi
anche che su di esso possa avvenire una neutralizzazione di illocuzione e che
diventi un riferimento della forza.
Quindi alle tradizionali distinzioni tra morfemi e parole dobbiamo aggiungerne
una nuova di tipo illocutivo, per la quale i morfemi non sono entità semantiche
33
34
Si veda Cresti (1993 e in stampa).
Non è possibile compiere una asserzione o una domanda o un ordine su un tratto grammaticale, ovvero
su una espressione che non ha una propria autonomia locutiva.
20
tali da permettere il compimento di azioni linguistiche, né di funzioni informative
in genere. L'osservazione naturalmente vale anche per morfemi legati di tipo
flessivo, come il plurale dei nomi o la flessione personale dei verbi, per i quali non
è prevista la possibilità di una distinzione funzionale di tipo informativo rispetto
al morfema lessicale che essi completano 35.
Che valore dare allora a quelli che abbiamo indicato come enunciati complessi
protomorfologici, che comunque sono presenti in maniera diffusa e a volte sono
antecedenti rispetto agli enunciati complessi lessicali?
La proposta di soluzione che di essi è stata data in termini di antecedenti sintattici non ci sembra risolva tutte le questioni che l'analisi dei corpus offrono, si
vedano anche i motivi esposti in nota 18 36. Indipendentemente da ogni soluzione in ogni caso rimane il fatto che la complessità in questione è al di sotto della
possibilità di distinzione di funzione informativa. Vogliamo dire che un enunciato
complesso protomorfologico può compiere una sola funzione informativa, in genere una di comment, e che quindi esso è al di sotto del contesto di riferimento, non
potendone mai costituire uno.
Forse è interessante sottolineare anche come l'intonazione, che in maniera puntuale segnala sia la complessità lessicale che la variazione di relazioni interne ad
essa 37, taccia in relazione alla complessità protomorfologica: per quello che ci
risulta, infatti, in connessione alla comparsa di protoforme non ci sono variazioni
di F0 di tipo apprezzabile.
Data l'obbligatorietà nell'acquisizione di uno stadio come quello del contesto di
riferimento e dato che l'enunciato protomorfologico è una realizzazione al di sotto
del contesto di riferimento, proponiamo di considerare enunciati complessi quelli
di tipo lessicale che soli, rispetto agli enunciati complessi protomorfologici, hanno
le condizioni per la realizzazione del contesto di riferimento.
8. CONCLUSIONI
Alla luce di quanto esposto proponiamo dunque che nell'acquisizione con il
termine enunciato complesso si debba intendere l'espressione composta da due
simboli verbali, uniti intonativamente, e compienti un unico atto linguistico. I
simboli possono essere linearizzati entro una stessa unità di comment, oppure
articolati informativamente in due unità una di comment e una topicale. La pro35
Naturalmente questo non esclude che possano esistere dei morfemi illocutivi o informativi. E' nota
l'esistenza dei morfemi giapponesi wa e ga, sul valore dei quali molto si è discusso, ma che proponiamo di
considerare come morfemi informativi con valore di topic il primo e di comment il secondo. Si veda in
particolare per l'italiano la ricerca di Fava sui morfemi illocutivi nei dialetti veneti (Fava 1991). L'illocuzione può essere lessicalizzata, come ne sono prova per esempio i verbi performativi o gli avverbi focalizzanti, ed anche morfologizzata, questo non equivale al fatto che con la produzione di tali espressioni locutive venga in effetti compiuta l'illocuzione da esse "significata". "E' partito?", che possiamo ipotizzare compia
un atto di domanda nel momento sia realizzato, compie un'azione diversa da quella di "Ti domando se è
partito", che grammaticalmente è un'asserzione la cui illocuzione è lessicalizzata nel verbo domandare; le
condizioni di uso dei due enunciati appaiono molto diverse ed anche le illocuzioni reali da essi svolte.
36
Principalmente per il motivo che la produzione di protoforme è sovraestesa rispetto ai corrispettivi
sintagmatici adulti. Vorremmo proporre una spiegazione delle protoforme in termini semantici di attualizzazione, ma non è questa la sede per affrontare la questione. Si veda Nelli (1996).
37
Si veda Moneglia (1994a), (1994b), Cresti (1996), Operi (1993).
21
duzione unitaria dei simboli lessicali è verificata tramite l'intonazione che in maniera apropriata per le due modalità scandisce i due simboli in gioco: una stessa
unità tonale di comment per gli enunciati linearizzati e due unità tonali, una di
comment ed una topicale, partecipanti ad uno stesso pattern melodico, per gli
enunciati articolati.
I simboli sono portatori di distinte funzioni informative: quella illocutiva e
quella di riferimento dell'illocuzione. I morfemi, che non sono entità semantiche e
cognitive adatte ad esprimere funzioni informative, non possono essere considerati
espressioni linguistiche appropriate a formare l'enunciato complesso; anche se
evidentemente niente esclude che essi siano presenti in un enunciato complesso.
La distinzione funzionale dei due simboli permette la formazione di un'espressione interpretabile pragmaticamente, i cui simboli componenti non sono relati né
morfologicamente né sintatticamente né secondo una struttura argomentale di tipo
semantico. Dunque le prime manifestazioni dell'enunciato complesso, che sono
obbligatorie, non implicano struttura sintattica.
Concludendo possiamo rispondere alle domande che avevamo posto asserendo
che la natura dell'enunciato complesso è quella di un'espressione interpretabile
pragmaticamente, così come la natura delle espressioni che lo compongono è
quella di simboli verbali, cioè entità semantiche piene, con un corrispettivo cognitivo, e la natura della relazione che lega tali espressioni è informativa, intendendo con essa quella dell'illocuzione verso il suo riferimento, mentre il criterio
che ci permette di valutare gli enunciati complessi è di tipo intonativo.
22
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