Malvaglia, 1951: da Chiesa alle Rongie a piedi, con
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Malvaglia, 1951: da Chiesa alle Rongie a piedi, con
MAGGIO 2010 Malvaglia, 1951: da Chiesa alle Rongie a piedi, con valigia, per 5 centesimi Mezz’ora per riavvolgere la storia del quartier de la route de la Gare durante e dopo la guerra di Willy Baggi Luglio 1951. Fra un paio di chilometri, il treno avrà terminato la sua discesa della valle Leventina. Sono passati tre mesi dalle ultime vacanze di Pasqua trascorse a Malvaglia. Gli occhi sono pronti, pronti ad aprirsi sulla valle di Blenio. Il naso è incollato al finestrino… ed eccola la mia valle, coi suoi monti e il loro orizzonte, a me così familiari! Ho già le mani sulla porta d’uscita. Tra le gambe la valigia, dentro la quale ci sono panni sporchi, panni puliti, un paio di quaderni, qualche libro di scuola, ma soprattutto tanta gioia: per più di due mesi sarò di nuovo con i nonni e i miei due fratellini, con i cuginetti, gli ex-compagni di scuola elementare, ritroverò i luoghi della mia felice infanzia, riprenderò in mano gli attrezzi dei campi, risentirò quel “bravo” di nonna Carolina quando l’avrò aiutata nei lavori estivi richiesti dalla vigna e dai prati! Non sto sognando: fra meno di mezz’ora sarò di nuovo in quel mondo che sento tutto mio, sarò di nuovo sulla mitica route de la Gare (viale della Stazione), sull’uscio di una casa dove sono cresciuto con i fratellini Gianino e Guido (e anche con i cugini più grandi Jeannot e Lily) nell’aura protettiva dei nonni. Papà Victor non ci ha voluti a Parigi, perché impegnato a recuperare il tempo e il denaro persi durante i cinque anni dell’occupazione tedesca, mentre la sofferenza di mamma Lucie è infinita. Ed io, in collegio al St-Michel di Friburgo. Quanto magone, quanto piangere, quanto pensare ai compagni di scuola rimasti con gli affetti dei loro cari! Scendo a Biasca. Nonostante il peso della valigia, in un attimo sono davanti alla biglietteria della Biasca-Acquarossa: “Andata Malvaglia-Rongie, mezza piazza”. Ricevo il biglietto. “Quanto costa?” Risposta: “65 centesimi”. Un dubbio mi assale, è più di quanto pensassi. Rovescio il borsellino. Escono solo 60 centesimi. “Con 60 puoi andare fino a Malvaglia-Chiesa”. Mi va benissimo. Quante volte in passato ho fatto a piedi il tragitto da Malvaglia-Chiesa alla route de la Gare. Unica differenza: devo accompagnare la valigia o la valigia accompagnare me. Ma non mi faccio alcun problema, tanta è la gioia! Dopo il Vallone, il trenino imbocca la valle di Blenio. I monti di Dagro, di Bufarora, di Cassina di Dagro, mi appaiono più vicini del solito. Lassù, in passato, ho già trascorso parecchi mesi estivi, prima di terminare le vacanze con i genitori a Parigi. Quest’estate, dopo il primo, lungo, duro anno di St-Michel, mi è stato concesso di trascorrere le vacanze intiere nei miei posti più amati. Passa il controllore, che conosco e che mi conosce. Consegno il biglietto. “Ma come, scendi a Chiesa?” Non oso dirgli che mi sono mancati 5 centesimi per il biglietto fino a Malvaglia-Rongie e rispondo: “Sì, sì”. All’altezza di Brugaio, mi preparo sul pianerottolo. È una tipica giornata estiva, uggiosa e afosa con una lieve pioggerella. Scendo a Chiesa. Saluto da lontano S. Cristoforo e l’alto campanile che lo sovrasta. La stravachina si allontana, e mi accingo ad affrontare a piedi, con una valigia quasi più grande di me, quel chilometro e mezzo che mi separa dalla route de la Gare. Ho scelto di percorrerlo sugli stessi binari della Biasca-Acquarossa. L’incedere è difficoltoso. La valigia non consente al mio passo un appoggio da una traversina all’altra. Mentre i piedi litigano con il pietrame della massicciata, gli occhi valutano di continuo il cammino ancora da compiere. Il 1 MAGGIO 2010 pensiero, invece, corre lungo la storia dei binari. Hanno quarant’anni, giusti giusti. Erano stati posati nel 1911 e sarebbero dovuti arrivare fino alla Cima-Norma di Dangio se non fosse arrivata una crisi finanziaria a bloccare i promotori all’altezza di Acquarossa. Da allora quei binari avevano consentito ai numerosi emigranti di raggiungere Biasca in modo più rapido e agevole rispetto al secolo scorso e ai primi anni del XX. Venuta Bertazzi Un giorno, la cara postina Venuta Bertazzi mi avrebbe raccontato che, prima della costruzione di questa linea ferroviaria di valle, chi voleva usufruire della nuova Gotthardbahn, aperta nel 1882, doveva raggiungere a piedi il borgo della Riviera, a piedi o su un qualche traballante carro quasi sempre trainato da un asino o da un mulo. Pochissimi coloro che potevano pagarsi una diligenza. Mamme, mogli, figlie accompagnavano i familiari maschi in partenza per la terra della speranza, quella francese per la maggior parte di loro. Gli abitanti di Biasca venivano a sapere del giorno del grand départ dei malvagliesi e non volevano assolutamente perdersi gli abbracci alla parisienne tra gli uomini in partenza e le donne che rimanevano per crescere i bambini ed accudire al bestiame. L’occhio voleva la sua parte, certo. Ma qualche biaschese era presente anche per adocchiare un’eventuale giovane donna da consolare… La cara Venuta! Rivedrò anche lei, se non oggi, di sicuro domani. Due volte al giorno, 7.30 e 14.00, percorre la route de la Gare per consegnare al tram il corriere da spedire e prendere quello in arrivo. Il suo è sempre un saluto discreto, quasi voglia dargli una sottile impronta di rispetto. Venuta, con mamma Alba (proveniente dalla famiglia Andreoli di Orino) e papà Giuseppe (originario di Cavagnago e per molti anni insegnante presso la scuola tecnica di Malvaglia), svolge il suo lavoro in modo a dir poco encomiabile (più tardi sarà coadiuvata da Mily Righenzi, pure lei un’amabile persona). Chi ha bisogno per telefonare, spedire o ritirare pacchi-express, inviare un telegramma, riempire un formulario, scrivere una lettera, può sempre bussare alla porta dell’ufficio postale delle Rongie, in qualsiasi orario e anche di domenica. Venuta sa che cosa sia il vero servizio pubblico. Più tardi mi racconterà che mia mamma Lucie le telefonava sovente da Parigi per avere notizie sui suoi due figlioletti (tre dopo la nascita di Guido): Vous les voyez? Sont-ils en bonne santé? Sont-ils sages? E, per associazione di idee, mi torna in mente che il mio primo ricordo da bambino, proprio sulla mia route de la Gare, risale al giugno 1942 quando vidi arrivare una crocerossina con in braccio il mio fratellino Jean-Pierre (Gianino), nato tre mesi prima nella Parigi occupata dai tedeschi e che i nostri genitori erano riusciti, grazie alla Croce Rossa appunto, a mettere in salvo presso i nonni di Malvaglia. Negozi Scossa-Romano e Canzali Il pensiero è così tutto immerso nel piccolo ma quanto amato mondo della mia gente e delle mie cose che per poco non mi accorgo di essere già sul ponte dell’Orino. E qui mica posso deconcentrarmi! Devo stare attento a mettere i piedi sulle traversine, altrimenti un bagno con la valigia non me lo toglie nessuno. Superato il ponte, lascio i binari del tram per prendere il sentiero di campagna. Non è che abbia vergogna di farmi vedere quando sarò giunto alla stazione delle Rongie. Voglio solo procedere più in fretta, non incontrare nessuno, perché so che i nonni mi aspettano, e che cosa devono pensare se non mi hanno visto arrivare con la corsa delle 14.10? Qualche giorno prima, da Friburgo, li avevo avvertiti del mio arrivo. Mi guardo attorno. Nei campi il formentone è già alto, le piante di patate dicono che la maturazione è ben avanzata, nelle vigne i grappoli verdi annunciano, salvo gravi bizze del tempo, una buona vendemmia. Sento il forte e tipico profumo dell’erba appena falciata in qualche filare. So che questo è il lavoro che mi attenderà nei prossimi giorni. In effetti, al termine della quarta elementare, il nonno aveva comperato alla fiera in Piazza d’Armi e nel negozio degli Scossa-Romano, due falci fienaie a misura della mia piccola statura. Mi aveva pure 2 MAGGIO 2010 insegnato la tecnica, per niente facile, dell’affilatura di base con martelletto e incudine appropriati. Usavo quasi sempre quella acquistata presso gli Scossa-Romano. La sentivo meglio. Lama e manico mi parevano formare un insieme più compatto, più facile da usare, e quindi assicurava una maggiore efficacia nel movimento. Il negozio degli Scossa-Romano è un punto di riferimento obbligato per chi abita sul viale Stazione, pardon sulla route de la Gare. Da anda Rosa (zia di mio zio Riccardo e cioè sorella di sua mamma Luisa, o Lüisora com’è chiamata dalla gente delle Rongie), si va a comperare il sale, il riso, lo zucchero, la farina bianca, la farina di polenta, il pane, büchèla o riàl (e nei primi anni del dopoguerra dietro consegna dei tagliandi delle tessere annonarie, ossia i bollini del razionamento), e, a ogni morte di vescovo, come si suol dire, un secchiello di tonno sciolto. Il negozio non vende solo commestibili, ma anche tutta una serie di articoli di ferramenta. A volte ci serve la figlia Marisa, dal viso sempre solare. Il retrobottega è pure un’osteria! Accanto, l’officina di fabbro-ferraio di Cesare Scossa-Romano, figlio di Arnoldo e di Rosa, appunto. Mio nonno Giovanni ricorre sovente ai suoi servigi per riparazioni varie, come quelle richieste dai brentini per solforare la vigna. Casa, bottega, officina degli Scossa-Romano si trovano accanto alla Posta gestita dai Bertazzi. Costituiscono una sorta di prolungamento della route de la Gare nel quartiere delle Rongie. Più sotto, in faccia allo sbocco dello stesso viale Stazione sull’unica strada che attraversa il paese, un altro punto di riferimento: il negozio di merceria tenuto da Carolina Canzali, una persona molto affabile. Mi ci manda sovente la nonna per comperare un filo di cotone, un gomitolo di lana, un bottone, una spilla. È prozia di Roger, cresciuto con lei, perché i genitori del ragazzo sono oltre Gottardo. Roger ha due anni meno di me. Andiamo molto d’accordo. Con lui la route de la Gare diventa spesso un vélodrome. Ci piace inforcare le nostre biciclettine per sfidarci su più giri: dall’inizio del viale e ritorno, dopo aver aggirato la stazione lungo i binari. Col fondo sterrato, le cadute non mancano. Ci curiamo le abrasioni con un po’ d’acqua della fontanella vicina alla fermata del tram. Se le ferite sono più serie, ci si disinfetta con la medicina della nonna, sempre a portata di mano: la grappa! Casa Timothée Il campanile di Semione batte le 14.30. Assieme agli orari del tram, quel rintocco scandisce i tempi della giornata. Con la valigia, sempre più pesante, i capelli sempre più bagnati, mi appresto a girare a destra per incamminarmi sul sentiero che mi condurrà a casa passando davanti alla stalla dei nonni. Andassi diritto arriverei sulla route de la Gare e lì, come detto poc’anzi, non voglio farmi vedere. Cambio direzione proprio all’altezza della casa Timothée, costruita nel 1913 con i risparmi di una vita di sacrifici a Parigi da Timoteo Cavargna. A pianterreno vi abita il figlio del fratello Modesto, Charles, e questi con il proprio figlio Robert. Al primo piano c’è la figlia di Timoteo, Germaine, sposata con Joseph Mugnier. Si sono conosciuti a Parigi: lei lavorava rue Faubourg du Temple con papà Timothée nel suo café (d’inverno con huîtres et marrons), lui, proveniente dall’Alta Savoia, nel quartier des Halles. Nel 1927, i giovani sposi si erano stabiliti in Ticino, dove a Biasca gestivano il Caffè Federale. Nel 1939, le sorprese della vita avevano poi portato la coppia nella terra del marito, ad Albertville, dove li aspettava la gestione di un albergo. Purtroppo, con lo scoppio della guerra, Joseph viene mobilitato. Attraverserà cinque anni molto difficili, gli ultimi pericolosamente trascorsi al fianco della Résistance. Nel 1948, lasciano Albertville e tornano a Malvaglia con il figlio più giovane, Paul, un fanciullo vivace, talvolta un po’ discolo, di tre anni più giovane di me. È pienamente integrato nel gruppo dei ragazzi che, fuori dagli orari scolastici, occupano con i loro giochi il viale della Stazione. A volte, qualche sua birichinata fa uscire dai gangheri ul Lampadina: così viene simpaticamente chiamato, a causa della sua calvizie, il nuovo capostazione Carletto Ferriroli. Anche il suo predecessore Gualtiero Scossa aveva un sopranome: ul spata’cha merda, per il suo pesante incedere con i piedi piatti aperti a V. 3 MAGGIO 2010 I Ceresa Tra l’abitazione di Paul e la stazione del tram, abita Defe, figlio di Elvezio Ceresa, cofondatore a Biasca dell’impresa di costruzioni Casagrande & Ceresa, presso la quale lavora lo stesso papà di Paul, Joseph Mugnier. Defe ha un anno più di me, ha pure un fisico più possente. È l’amico col quale andavo e tornavo da scuola durante gli anni delle Elementari. Lui frequenta la Scuola Maggiore di Malvaglia e ha già terminato la seconda da più di quindici giorni (al St-Michel, le vacanze di Natale e di Pasqua sono più lunghe, per contro quelle estive cominciano più tardi). Nostro divertimento quasi quotidiano è sempre stato il gioco del pallone, con qualche altro amico sul viale, oppure da soli contro il muro della stazione sul quale rimaneva l’impronta della sfera quando calciavamo col terreno inzuppato di pioggia. Defe amava mostrare la potenza del suo tiro facendone notare il rimbalzo. Io, mi divertivo piuttosto a palleggiare. Cosa che suo papà Elvezio rilevava, rimproverandogli di non saper dare del tu alla palla! Anche la famiglia Ceresa ha un trascorso parigino. La mamma Maria è una Peduzzi, originaria di Schignano come il marito Elvezio. I nonni di lei erano emigrati a Parigi (nei pressi del Sacré Coeur) e i suoi genitori l’avevano cresciuta nella Ville Lumière, dove era pure andata a scuola. Aveva incontrato Elvezio negli anni Trenta durante un soggiorno estivo proprio a Schignano. Dopo il matrimonio, Maria arrivò a Malvaglia dove lavorava già il marito. Fa un certo effetto sentire questa signora, dai modi estremamente discreti, fare calcoli sottovoce in francese, esempio “six fois six, trente-six”. Case Saglini La mia marcia quasi forzata (lo ricordo: valore 5 centesimi) sta per concludersi. Prima di aprire il grande cancello, fissato da un lato nel muro della stalla dei nonni, getto uno sguardo verso la casetta Baggio. Quanti i ricordi della mia prima infanzia passati con le cugine Mariella e Carla! La prima, purtroppo, già volata tra gli angeli per una malformazione congenita al cuore. Mentre con Carla, quante le birichinate! La loro mamma Lina, sposata con Riccardo Saglini, è sorella di mio papà Victor. Detiene di sicuro un record: prima malvagliese a frequentare la Sorbona di Parigi (19301931). Abitava in rue d’Amsterdam dove i genitori Carolina e Giovanni gestivano un negozio di frutta, verdura e soprattutto di gelati, aperto negli anni Cinquanta dell’800 da Giuseppe, padre di Giovanni, nonno di Lina, di conseguenza mio bisnonno paterno. Conosciutisi negli anni Trenta, mentre Lina insegnava alle Elementari di Malvaglia-Chiesa e Riccardo alle Maggiori, si sposarono nel 1938. Per dieci anni hanno abitato la casetta Baggio, prima della costruzione della loro, nel 1948, sul viale della Stazione. La famigliola si era accresciuta con l’arrivo di Marco e di Valerio. L’abitazione del profer (anche Riccardo ha il suo sopranome) confina a est con un’altra casa Saglini, questa costruita molto prima, nel 1913 (stesso anno di casa Timothée), grazie al duro lavoro svolto a Parigi dall’emigrante Marino, detto Guerino, Saglini. Uno dei suoi figli, Enrico, è rimasto a Parigi dove, rue des Amandiers (Père Lachaise), gestisce una fiorente Triperie; con la sua bella famigliola, raggiunge la casa paterna solo per brevi soggiorni estivi. La casa di Guerino Saglini è invece dimora fissa per il fratello Albert, da qualche anno rientrato da Parigi per sposare Bruna Ambrosetti-Giudici. Hanno un caro ragazzo di nome Guerino, proprio come il nomignolo del nonno. Nella stessa abitazione vive pure la sorella di Enrico e di Alberto, Denise, moglie del nuovo capostazione Carletto Ferriroli. Un giorno, Denise mi racconterà che fine settembre del 1939, arrivata a Biasca da Parigi, raggiunse Malvaglia sull’auto venuta a prendere mia mamma in procinto di mettermi al mondo e, al tempo stesso, anche al riparo dal cataclisma che si stava abbattendo sull’Europa. Con Denise, questo episodio darà la stura a tanti ricordi della Ville Lumière portati nei cuori delle nostre famiglie. In faccia all’abitazione di Denise e Alberto, dall’altra parte del viale, il loro zio Luigi aveva costruito nel 1904 la prima casa che dà sulla futura route de la Gare (solo nel 1911 si sentirà il fischio della nuova arrivata in valle, la Biasca-Acquarossa). Verrò a sapere più tardi che Luigi 4 MAGGIO 2010 Saglini fu un grande personaggio. Aveva lavorato a Genova, a Parigi, esercitato parecchi mestieri, dal vitrier al marunatt. Era rientrato au pays appena quarantenne. Fu pure eletto in Gran Consiglio. La sua casa è ora abitata da una delle tre figlie, Félicie, vedova di Romeo Scossa e titolare di un negozio di triperie et volaille, rue de la Roquette, vicino alla Bastille. Il figlio Louis, padre di Michel e Jean-Louis, è impegnato nell’importazione ed esportazione di fruits et légumes, e ovviamente abita vicino al quartier des Halles, deuxième arrondissement. In estate, dalla prozia Félicie, arrivano in vacanza da Parigi due simpaticissimi fanciulli, Michèle (da noi chiamata con il vezzeggiativo Michou) e il fratellino Jean-Pierre, la cui nonna Marcelle è appunto sorella di Félicie. In quelle settimane, non si dice più Paris in Francia, ma Paris à Malvaille. Les deux petits parisiens si sono integrati bene nel nostro gruppo, anche se il nostro francese sapeva parecchio di vache espagnole! Ma si sa, i bambini non conoscono frontiere, non hanno mai problemi ad intendersi e fare amicizia. Tra l’altro, proprio in quest’estate del 1951, la bella e simpatica Michou sarà con noi sui monti di Cassina di Dagro. Accanto a casa Saglini-Scossa, la casa di un altro Saglini, Bernard, costruita nel 1931. Bernard, anch’egli figlio dell’emigrazione malvagliese a Parigi, è fratello di Carlo, detto Carlota, e di Martino Saglini. Rientrato au pays, è controllore a Puntéi della filovia che scende e sale da Orino. A questo punto, con tutte queste case Saglini, mi dico che la route de la Gare dovrebbe chiamarsi route des Saglinì! I Baggi ne avevano una sola: quella costruita dai miei nonni nel 1914, casa dove sto finalmente per arrivare in questo inizio luglio 1951. Arrivo a casa Baggi Arrivato dai sentieri di campagna, entro quindi dal lato opposto al cancello che dà sulla route de la Gare. Avanzo con lo sguardo attento e fisso sulla finestra della cucina (le altre in estate hanno le persiane chiuse). Ovviamente sempre con la mia valigia, salgo lentamente gli scalini per accedere alla porta d’entrata secondaria. Attraverso la finestra intravedo nonna Carolina sistemare pentole nei piani inferiori della credenza, mentre, di sicuro, il nonno sta schiacciando il suo pisolino in saletta. La nonna non mi vede. Abbasso pian pianino la maniglia. Ma la porta scricchiola leggermente. La nonna si gira e, come sollevata, mi chiede tra il serio e il faceto: “ma dà doa t’um sorta?” Mezz’ora prima era uscita sul viale per accogliermi. Le spiego che cosa è successo per quei miseri 5 centesimi che mi mancavano. Risposta: “Ma porù nèr, tu pudéva bè stè sü sul tram ch’at bütèva gü nasün!” Cara nonna, ero un fanciullo di sessant’anni fa. Non facevo altro che seguire i tuoi preziosi insegnamenti. Ricordi dedicati a tutti coloro che resero felice la mia infanzia Willy ■ 5