Statua di Atlante con il globo celeste sulle spalle, cd. Atlante Farnese

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Statua di Atlante con il globo celeste sulle spalle, cd. Atlante Farnese
Statua di Atlante con il globo celeste sulle spalle, cd. Atlante Farnese
ATLANTE FARNESE
IL GIGANTE E LA VOLTA CELESTE
di Lucia Gangheri
(da http://www.jayavidya.org/Articoli/ilGiganteElaVoltaCeleste.html) In questa conferenza, intendo presentare una diversa lettura su di una tra le opere più
intriganti, tra quelle raffiguranti il mondo mitologico greco: l’Atlante Farnese. Inizierò,
accennando al mito di Atlante, per poi illustrare la storia della statua e la sua
descrizione, quale testimonianza artistica di fama mondiale; continuerò accennando alle
scoperte astronomiche di Ipparco da Nicea, per concludere con le ipotesi del prof.
Schaefer.
Per la ricerca, mi sono avvalsa di vari testi, di articoli rilevati da internet e di un
articolo , messo a disposizione, molto gentilmente, dal Museo Archeologico di Napoli cui
vanno i miei più fervidi ringraziamenti. Ho cercato, quindi, d’integrare i vari elementi di
questo studio, considerando sia i ritrovamenti di approccio scientifico, sia i reperti di
origine artistica.
Numerose sono le opere che rappresentano costellazioni e segni zodiacali; molte sono
state realizzate con svariate tecniche artistiche, come quelle pittoriche, a rilievo o a
mosaico. Il reperto più antico e più conosciuto nel
mondo dell’arte, è la statua dell’Atlante Farnese,
opera considerata tra le più interessanti, sia per la
completezza degli elementi, sia per la complessità
esecutiva.
Quella che ammiriamo oggi, è una tarda copia
romana risalente al II s. d.C., proveniente da una
statua bronzea di epoca ellenistica. Inizialmente, la
statua sembra fosse stata inserita nella decorazione
della biblioteca del foro di Traiano a Roma e forse,
realizzata in uno dei più importanti centri culturali e
scientifici del tempo: il Museo di Alessandria.
Prima di addentrarci nella descrizione della statua e
del mistero che essa racchiude, è necessario
accennare al mito che essa sottende, perché anche
le più complesse teorie astronomiche diventano
comprensibili, attraverso simboli e racconti
mitologici.
1 Diversi autori classici hanno scritto sul mito di Atlante: Esiodo, Pindaro, Eschilo, Ovidio;
Virgilio, Apollonio Rodio e altri.
Atlante appartiene alla generazione divina anteriore a quella degli Olimpici ed in
particolare, al ceppo degli esseri mostruosi e giganti. Per alcune tradizioni era figlio di
Giapeto e dell’Oceanina Climene o Asia, mentre in altri miti era figlio di Urano e fratello
di Crono.
Atlante ebbe come figlie le ninfe Pleiadi da Pleinone e le Hyadi da Etra. Egli personifica
la qualità della perseveranza e fu considerato nella fantasia popolare ”colui che istruì gli
uomini all’arte dell’astronomia”, insegnando loro le leggi del cielo per navigare in modo
sicuro.
Inoltre, è considerato la Divinità che, come chiaramente mostrato dalla sua iconografia,
rovesciò i cieli intorno al proprio asse, permettendo la rivoluzione dei pianeti.
Il mito racconta: Crono e Rea avevano generato vari figli e figlie, ma Crono li aveva
divorati tutti, eccetto Zeus che era stato nascosto da Rea. Infatti, ella aveva ingannato
il marito, offrendogli una pietra avvolta nelle fasce al posto del figlio. Una volta
cresciuto, Zeus chiese consiglio alla Titanessa Meti che gli suggerì di rivolgersi a sua
madre Rea per ottenere l’incarico di coppiere di Crono. Rea acconsentì felicemente alla
richiesta del figlio che mescolò alle bevande del padre l’emetico consigliato da Meti.
Crono, dopo aver bevuto, vomitò la pietra, unitamente ai fratelli e alle sorelle maggiori
di Zeus che gli chiesero di guidarli nella guerra contro i Titani e contro Crono che nel
frattempo avevano scelto come loro capo Atlante. La guerra durò dieci anni e la Madre
Terra profetizzò la vittoria di Zeus se egli si fosse alleato con coloro che Crono aveva
esiliato nel Tartaro. Zeus, allora uccise la vecchia carceriera del Tartaro, le tolse le
chiavi e liberò i Ciclopi e i giganti centimani. I ciclopi premiarono Zeus e i suoi fratelli
con le armi per vincere Crono. A Zeus fu data la folgore, Ade ottenne l’elmo per essere
invisibile e Poseidone, il tridente. Con queste armi essi vinsero Crono, mentre i giganti
centimani contribuirono sotto una pioggia di sassi a far scappare il resto dei Titani
superstiti. Allora Crono e tutti i Titani sconfitti furono esiliati nelle isole britanniche
all’estremo occidente (o nel tartaro per altri), sotto la sorveglianza dei giganti
centimani. Alle Titanesse fu risparmiata la vita per intercessione di Meti e di Rea,
mentre Atlante fu condannato a reggere sulle spalle il peso di tutto il cielo.
Questo è quello che ci trasmettono le antiche tradizioni che, è bene ripeterlo,
forniscono una base essenziale per comprendere l’oggetto della nostra tesi.
La prima descrizione del famoso Atlante Farnese risale al tardo cinquecento. Nel libro
“Delle Statue Antiche” di Ulisse Aldrovandi (1550), l’autore racconta di aver visto a
Roma “un busto di Atlante, una cosa bellissima e rara”, inoltre lo descrive così: ”Senza
braccia, né viso, ma sulle spalle aggobbite, una sphera marmorea con tutti i circoli
celesti che per lo cielo sono, di mezzo rilievo scolpito”…
Dal 500 in poi, la statua, subì una serie di interventi per essere restaurata nelle parti
mancanti, come il volto, le braccia, le gambe ed il basamento (elementi dove a tutt’oggi
e possibile vederne gli innesti.)
Nel 1562, essa, fu venduta dal mercante d’arte Paolo Bufalo al cardinale Alessandro
Farnese che la inserì nella sua collezione, assegnandole il nome di Atlante Farnese con il
quale la statua è conosciuta in tutto il mondo.
2 La collezione Farnese, in seguito, fu ereditata dai Borbone di Napoli che la inglobarono
nel Museo Borbonico nel primo Ottocento. Qui l’Atlante ebbe un grande successo e
divenne famoso, grazie alle esposizioni tenute nelle sale del museo e alle relative guide
realizzate su carta stampata.
Ricordiamo che tra le tante edizioni quella di GEORG THIELE è considerata una delle più
importanti fonti citate per lo studio di quest’opera.
La statua, dopo diverse vicende di collezionismo e di antichità borboniche, giunse al
Museo Archeologico di Napoli,
dove attualmente è conservata
nella
preziosa
Collezione
Farnese.
Nel 1980 l’Atlante fu esposto al
Centro Pompidou, dove fu fatta
la misurazione del globo, grazie
al rilevamento fotogrammetrico
realizzato da una serie di studiosi
a Napoli, in quella occasione fu
calcolato l’esatta dimensione
della sfera e delle posizioni dei
vari circoli; il risultato di questo
studio fu poi pubblicato in un
ampio articolo del 1987.
La statua è alta più di 2 mt. e
rappresenta
il
Titano
che
sorregge con le due mani la sfera
celeste, quasi bloccata tra le
spalle e la testa. Enorme e
muscoloso, Atlante ci appare in piena tensione, schiacciato e contratto sotto il possente
peso
del
globo
celeste.
Osservandolo
più
attentamente, possiamo notare che le fasce muscolari
delle braccia, dell’addome e del torace sono in forte
contrazione. Lo stesso avviene per i solidi quadricipiti,
volti a suggerire che tutta la sua forza è rivolta a
sostenere l’enorme peso. A questo sforzo sono
chiamate anche le arterie che, sotto la pelle, appaiono
ben evidenti, partecipando così alla grande fatica del
Titano. Il corpo è modellato con maestria artistica e
grande abilità tecnica.
Anche la testa è rappresentata con la stessa forza
espressiva. Il volto volge a sinistra ed è coperto da una
folta barba ricciuta e incolta. Ondulati, sono i lunghi
capelli che incorniciano una fronte spaziosa,
attraversata, orizzontalmente, da rughe espressive che
marcano il gravoso compito che incombe sul gigante.
Le labbra socchiuse sembrano emettere un respiro
affannoso, il volto è contratto dallo sforzo e lo sguardo
comunica dignità e coscienza del peso da portare.
Il drappo che scende dalla spalla sinistra, offre
3 maggiore stabilità all’enorme statua, mentre le pieghe lunghe e verticali conferiscono al
corpo del gigante un delicato chiaroscuro, inoltre quelle pieghe sembrano quasi raggiera
di luce che dal cielo viene sulla terra, per raccogliersi ai piedi del Titano.
Sul globo dal diametro tra 65/70 cm. sono raffigurate in rilievo di circa 6mm., le
costellazioni conosciute ai tempi degli antichi Greci, i cerchi armillari, l’equatore
celeste, i tropici, il circolo artico ed antartico (con differenti funzioni e coordinate
rispetto alle attuali).
Ci sono anche due cerchi meridiani che attraversano i poli e i punti dei solstizi e degli
equinozi, l’ellittica con la fascia dello zodiaco e infine, 19 costellazioni boreali, i 12
Segni zodiacali e le 14 costellazioni australi per un totale di figure, comprese tra 41e 45.
Sul globo sono ben visibili gli emisferi che sono
separati dall’equatore e la cui fascia a rilievo è
attraversata
obliquamente
dall’ellittica.
Nell’iconografia delle costellazioni, emergono
alcune curiosità: sopra il segno del Cancro, sotto
l’Orsa Maggiore, appare un piccolo trono; forse si
tratta di una cometa visibile in Italia all’epoca di
Augusto e per questo, fu chiamata “Trono di
Cesare". Sono, inoltre, assenti il Piccolo Cavallo
(una costellazione secondaria vicina a Pegaso), il
Cavallo Alato e il Triangolo; non si vede il Pesce
Australe perché coperto dalle spalle dell’Atlante,
e infine, per la presenza di un foro sulla parte
superiore del globo, non sono evidenti l’Orsa
Minore e buona parte dell’Orsa Maggiore. Per il
suo particolare valore astronomico, cosmologico,
astrologico e mitologico, questa statua ha sempre
attirato l’attenzione di vari studiosi, e in
particolare quello dell’astrofisico Bradley E.
Schaefer della Louisiana State University che, in
un convegno dell’American Astronomical Society,
tenutosi a San Diego in California, il 10 gennaio
del 2005, ha dichiarato che sul globo dell’Atlante
Farnese sono riportate in modo accurato le
costellazioni del Catalogo stellare di Ipparco da Nicea, per molto tempo stato dato per
disperso.
Questa notizia in Italia fu accolta con
grande interesse dagli studiosi e in modo
particolare
dal
Prof.
Sigismondi,
docente di Storia dell’Astronomia presso
l’Università La Sapienza di Roma, che
ritenne
tale
“scoperta
davvero
importante
per
la
storia
dell’astronomia”.
L’astrofisico americano, dunque, dopo
aver condotto svariate ricerche e
raccolto
diversi
elementi,
ha
dimostrato, che il catalogo stellare di
4 Ipparco
è
effettivamente
riportato
sul
globo
della
famosa
statua.
Ma chi era Ipparco da Nicea?
Matematico e geografo, Ipparco nato a Nicea è ricordato come il primo astronomo
dell’antichità greca; a lui sono attribuiti accurati modelli sul moto del sole e della luna,
il perfezionamento della teoria sulla durata di un anno e l’astrolabio.
Tutte le scoperte realizzate da Ipparco, si basano sul metodo delle proprie osservazioni
e sulle conoscenze accumulate nei secoli dai Caldei babilonesi. Come astronomo, fu il
primo a sperimentare una nuova tecnica di misurazione, basata sulla trigonometria,
prevedendo in modo piuttosto sicuro le eclissi solari. Questa tecnica, gli consentì tante
altre scoperte, come quella della Precessione degli Equinozi (fenomeno per il quale,
l'asse terrestre non solo ruota su se stesso, ma compie anche un movimento a trottola
attorno alla sua verticale).
Confrontando le proprie esplorazioni con quelle dei suoi predecessori, Ipparco scoprì che
si erano verificati dei lievi spostamenti rilevabili solo, attraverso osservazioni fatte a
distanza di tempo tra di loro. Egli riportò il risultato di questa ricerca nella sua celebre
opera “Spostamento dei punti dei solstizi e degli equinozi”, di cui si ha conoscenza
attraverso riferimenti successivi. Di tutte le sue opere, l’unica sopravvissuta fino ad
oggi, è il “Commentario” con la descrizione dettagliata delle costellazioni. Ipparco
compilò un celebre catalogo stellare, nel quale sono riportate circa 1080 stelle con le
relative latitudini, longitudini, posizione rispetto all’ellittica e luminosità. Grazie alla
luminosità, Ipparco riuscì a classificare le varie stelle e ad assegnarle a diversi gruppi.
Egli in questo modo aveva scoperto la magnitudine stellare. Ricordiamo che questo
metodo leggermente modificato nell’Ottocento, è ancora oggi usato per misurare la
luminosità stellare. Il catalogo stellare di Ipparco, sembra che sia stato realizzato
intorno al 129 a.C. ed è considerato il primo catalogo in assoluto. Del Catalogo si dice
che fosse andato perduto all’inizio dell’era cristiana in seguito ad un rogo scoppiato
nell’immensa biblioteca di Alessandria nel 295 d.C. Della sua esistenza, si è avuta
notizia, solo molto tempo dopo, grazie a Claudio Tolomeo che lo menziona nel suo
Almagesto, realizzato nel 120 a.C., e che per certi versi si basa anche sulle scoperte
fatte dallo stesso Ipparco.
Il prof. Schaefer, affascinato dalle scoperte fatte dell’antico astronomo e dalle
costellazioni presenti sul globo dell’Atlante Farnese, ha incominciato a svolgere lunghe
ricerche durate svariati anni, per concludere che quei rilievi rappresentati erano una
riproduzione abbastanza fedele del catalogo stellare di Ipparco. Le osservazioni e gli
studi fatti dall’astrofisico circa le costellazioni rappresentate sul globo, si basano
principalmente su risultati ricavati sia da rilevamenti fotografici fatti personalmente sul
globo, sia dall’accuratezza dei dettagli con cui lo scolpite ha ritratto le costellazioni.
Quindi, secondo lo stesso Schaefer, lo scultore per realizzare quest’opera, avrebbe usato
osservazioni astronomiche specifiche, provenienti da un catalogo stellare che solo
Ipparco avrebbe creato, prima del 128 a.c. Per avvalorare la sua ipotesi, lo studioso ha
soggiornato a Napoli ed ha trascorso molto tempo al Museo Archeologico per fare la
prima analisi astronomica delle costellazioni. Usando il fenomeno della precessione di
Ipparco, Schaefer è riuscito a dimostrare che sul globo dell’Atlante Farnese è
rappresento, effettivamente, il celebre catalogo stellare dell’astronomo greco. Egli ha
riportato le posizioni delle stelle scultorie su di una mappa e poi le ha confrontate con
quelle sviluppate al computer, calcolando anche le coordinate e i moti stellari, tornando
indietro fino a 2130 anni fa. In questo modo, egli ha notato, che non tutte le posizioni
combaciavano esattamente, forse perché lo scultore aveva commesso alcuni errori.
Inoltre, Schaefer ha misurato attraverso osservazioni fatte a livello fotografico, circa 70
posizioni sul globo per ricostruire la posizione esatta delle costellazioni osservate da
5 Ipparco a suo tempo. In questo modo, ha ipotizzato, come data più verosimile per la
realizzazione del catalogo, quella del 125 a.C. La data è compresa tra il 180 a.C. e il 70
a.C., poiché, in questi casi può verificarsi calcoli di errori che variano tra +- 55anni, per
cui ne risulta che in qualunque dei casi o sottraendo o sommando il risultato è sempre
125.
Secondo il Prof. Sigismondi, convinto assertore delle ipotesi dell’astrofisico americano, il
fenomeno della precessione, cambia le coordinate celesti delle stelle e quindi, per
questo motivo gli equinozi si spostano nel corso del tempo sulle varie costellazioni.
Inoltre, la presunta data del 125. a.C., sembra coincidere più o meno, con alcune
testimonianze rilasciate dagli antichi e in particolare, da Tolomeo. Il Sigismondi sostiene
ancora che Schaefer, abbia dimostrato che l'unico catalogo stellare pervenutoci, fosse
quello dell’Almagesto compilato da Tolomeo. Esso fu in buona parte realizzato ad
Alessandria d'Egitto, mentre nella parte restante, le stelle del catalogo mostravano
alcuni errori di posizione, quasi come se fossero stati osservati da Rodi, che si trova più
a nord, rispetto ad Alessandria. Da questo, Schaefer ha dedotto che Tolomeo abbia
usato i dati che Ipparco aveva corretto per la precessione degli equinozi, proprio a Rodi
tre secoli prima di lui. «Con questa nuova scoperta - ha concluso Sigismondi - abbiamo
una prova ancora più valida che a partire dal 125 a.C. circolava un catalogo stellare, su
cui lo scultore dell’Atlante Farnese si è basato per rappresentare le costellazioni ».
All’astronomo americano va così dato il merito di aver risolto una questione dibattuta da
moltissimi anni. Allo stesso tempo, grazie a questa scoperta, l’Atlante Farnese, quale
custode e testimone dell’antica scienza celeste dei Greci, è riuscito ancora una volta a
catturare l’attenzione su di se e sugli abitanti di quel mondo che porta sulle spalle.
La statua è stata scolpita, tenendo presenti mappe stellari o un altro globo stellare, ma
la sua realizzazione potrebbe, per motivi puramente tecnico- artistici, aver
compromesso le reali posizioni stellari e la sua esatta datazione. Inoltre, la posizione
della mano della Vergine sulla quale è collocata Spica, si trova al disotto dell’equatore
(posizione data da Tolomeo nel suo Almagesto). Di là da tutto questo, oltre ogni
scoperta e ogni ipotesi, resta il fatto è che questo capolavoro di notevole bellezza, è sia
un’imponente espressione artistica che trasmette il mito di Atlante, ma anche una
straordinaria testimonianza sulle più antiche conoscenze scientifiche e astronomiche del
mondo mediterraneo.
BIBLIOGRAFIA DÌ RIFERIMENTO:
- Dizionario di Mitologia greca e romana – Ed. Paideia di Pierre Grimal
- I miti greci – Ed. Longanesi di Robert Graves
- L’Atlante Farnese le rappresentazioni delle costellazioni di Vladimiro Valeri
Da internet:
- Le costellazioni di Domenico Licchelli
- Delle virtù delle stelle inerranti di Lucia Bellizzia
- Miti cosmogonici e ordine di Valerio Valeri
- Ipparco di Nicea da Wikipedia
- Archeologia: Ecco la mappa celeste di Ipparco tratto dal quotidiano “Il Messaggero” (16
gennaio 2005.)
- L’astronomia nell’arte antica: l’Atlante Farnese di Claudio Del Duca
- Storia dell’arte: l’astronomia nell’arte greca- l’Atlante Farnese.
6 Siti:
www.astroarte.it-artivisive
www.antiqui.it/archeoastronomia/planetari.htm
www.ilmessaggero.it
http://en.wikipedia.org/wiki/BradleyE.Scharfer
Lucia Gangheri, vive e lavora a Napoli, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di
Napoli ed è docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Napoli. Artista
dalla personalità eclettica e dagli ampi interessi, nella sua formazione artistica,
culturale e professionale confluiscono non solo la ricerca e la passione per la pittura, ma
anche quella per la fotografia, il video, la musica, le pratiche meditative , lo zen-shiatsu
ed il gioiello . Dal 1983 ad oggi ha all’attivo diverse mostre collettive e personali in Italia
e all’Estero. Dal 1993 firma le sue opere con il nome d’arte Gāngāri.
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