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La Commissione Il montelukast nel trattamento della rinite allergica Un Critically Appraiced Topic (CAT) A cura della Commissione Rinocongiuntivite Coordinatore: Giuseppe Pingitore Componenti: Sergio Arrigoni, Gabriele Di Lorenzo, Gian Luigi Marseglia, Neri Pucci, Giovanni Simeone, Anna Maria Zicari Scenario clinico fronto), migliora la sintomatologia soggettiva (Indicatore di esito) ? 2. Ovvero in bambini con rinite allergica stagionale (Popolazione) l’aggiunta dei farmaci antileucotrienici ai farmaci antistaminici (Intervento), rispetto all’uso dei soli farmaci antistaminici e/o dei soli steroidi nasali (Confronto), migliora la sintomatologia soggettiva (Indicatore di esito)? Raffaele è un simpatico ragazzo di 9 anni, frequenta la scuola elementare. Non è che sia molto... contento (come direbbe Edoardo Bennato) all’arrivo della primavera. Infatti soffre di rinite allergica stagionale (persistente moderata-grave), i genitori arrivano nel mio studio per la scorta degli immancabili farmaci antistaminici e steroidi inalatori nasali. L’altro giorno ho ricevuto la visita di un informatore farmaceutico che mi ha illustrato la possibilità di usare gli anti-leucotrienici, in particolare il montelukast, nella seasonal allergic rhinitis. Me ne ha decantato l’efficacia e la potenza e mi ha proposto di “cominciare a farmi una certa esperienza in qualche caso di SAR al posto dei soliti farmaci”. Mi ha detto proprio così. Questi farmaci costano un po’ e quindi, perché ciò sia compensato e farmi cambiare la mia solita prescrizione “stagionale”, mi piacerebbe che potessero ridurre i sintomi della rinite di Raffaele (sia diurni che notturni) diciamo del 50% rispetto alla terapia solita, forse è però pretendere un po’ troppo. Allora, mi accontenterei di sapere intanto se il montelukast è veramente efficace (più del placebo insomma) e, se sì, se lo è tanto da poter costituire una alternativa, anche solo temporanea, ai due classici farmaci che qualche effetto avverso ogni tanto potrebbero darlo. Affronto quindi le fatiche di un Critically Appraiced Topic (CAT), chiedendo aiuto agli amici della Commissione Rinocongiuntivite, cominciamo proprio dal … Poche informazioni di fondo Il trattamento della rinite allergica si avvale, accanto a misure atte a ridurre l’esposizione allergene (qualora possibile), di presidi farmacologici. Questi sono rappresentati fondamentalmente dai farmaci: • anti-istaminici che antagonizzano gli effetti dell'istamina mediante un'azione di tipo competitivo e reversibile a livello dei recettori H1; • corticosteroidi topici nasali che, grazie alla loro attività antinfiammatoria, hanno la capacità di sopprimere simultaneamente a più livelli la flogosi allergica; • anti-leucotrienici, che antagonizzano l’ azione dei leucotrieni, mediatori endogeni dell' infiammazione e giocano un ruolo importante nelle malattie allergiche delle vie respiratorie stimolando la broncocostrizione, la produzione di muco, l'edema delle mucose, l'infiltrazione da parte degli eosinofili e delle cellule dendritiche. I leucotrieni giocano un ruolo importante nell'ostruzione nasale, mentre la loro influenza sulla rinorrea è molto modesta e quella sul prurito e sulla starnutazione quasi nulla. Il montelukast per i pazienti >12 anni è disponibile in compresse da 10 mg , nei bambini dai 6 ai 12 anni è presente sotto forma di compresse da 4 e 5 mg masticabili. L'utilizzo di tale farmaco è stato esteso a Quesito Clinico Strutturato (PICI) 1. In bambini affetti da rinite allergica stagionale o perenne (Popolazione) la somministrazione di antagonisti dei leucotrieni (Intervento) rispetto alla terapia con antistaminici o steroidi nasali (Con- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 16 La Commissione Tab. I. Autore, data Popolazione e Intervento Wilson AM et al., 2004 La revisione sistematica comprende 11 Studi Clinici Randomizzati (SCR) per un totale di 4.210 pazienti, non è descritta una popolazione pediatrica. Vengono comparati gli anti-leucotrienici (10 studi con il montelukast, 1 studio piccolo con lo zafirlukast) vs. placebo o vs. antistaminici e steroidi nasali. La durata della terapia oscilla tra 2 settimane e 50 giorni. Esiti Risultati primario: punteggio che valuta i sintomi nasali diurni e/ o notturni; secondario: score ottenuto da un questionario standard Antileucotrieni (aLT) vs. placebo: Migliorano i sintomi nasali del 5% (Intervallo di Confidenza, IC, 95% = 3-7%) rispetto al placebo, molti studi hanno uno score di Jadad basso. Nei riguardi dello score realizzato nel RQLQ migliorano la qualità della vita di 0,3 U rispetto al placebo senza poter vedere in dettaglio quale sintomo sia in realtà migliorato. aLT vs. steroidi nasali Vi sono 4 studi nei quali gli steroidi nasali migliorano i sintomi nasali del 12% in più rispetto agli aLT. Gli studi sono comunque eterogenei come metodologia e hanno valutato quattro differenti molecole con potenza differente. Nessuno degli studi ha valutato la qualità della vita. aLT + antistaminici vs. steroidi nasali La terapia associata (antiLT +antistaminico) riduce i sintomi della rinite del 3-4% in più rispetto all’uso del solo aLT o del solo antistamico (3 SCR). Tale differenza tuttavia non appare significativa riguardo al punteggio che valuta la qualità della vita. Non sono rilevabili differenze significative tra l’uso di uno steroide nasale da solo vs. la terapia combinata aLT più antistaminico orale per ciò che riguarda i sintomi nasali Note • 4 degli otto studi che valutano il montelukast vs. un placebo sono sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche e tali studi comprendono ben il 90% del campione della popolazione in studio • Tutti gli studi riguardano pazienti con rinite allergica stagionale, pertanto le conclusioni potrebbero non essere applicabili ai pazienti con rinite allergica perenne. bambini dai 6 mesi di vita ed è disponibile in bustine granulate da 4 mg. In Italia, secondo la recente revisione della scheda tecnica del montelukast, tale farmaco (con nota 82) è approvato per la terapia della rinite allergica stagionale solo in soggetti > di 15 anni con asma concomitante, per la quale vi è indicazione all'uso dell'anti-leucotrienico. In effetti, non è esattamente il caso di Raffaele, ma la nostra curiosità ha la meglio, andiamo avanti. nenti per la mia ricerca 3 RS e 4 studi primari 1-7. Li sintetizziamo di seguito. Wilson et al., Am J Med 2004 1 L’ esito primario di questa RS è stato quello di valutare i sintomi nasali (daytime nasal syntoms) attraverso un punteggio, calcolato dal paziente giornalmente, che teneva conto della presenza di rinorrea, starnutazioni, prurito e ostruzione nasale. Il punteggio veniva espresso come percentuale del punteggio massimo, più elevato era il punteggio registrato, peggiore era il controllo dei sintomi. L’ esito secondario riguardava la qualità di vita misurata attraverso il questionarrio Standard rhinoconjuntivitis quality of life (RQLQ), che prende in considerazione 7 parametri riguardanti eventuali disturbi del sonno, la presenza o l’ assenza di sintomi nasali e/o oculari, lo svolgimento più o meno regolari delle normali attività quotidiane. Esaminiamo attraverso l’uso di una tabella riassuntiva (Tabella I) i risultati di questa RS. Strategia di Ricerca Cerchiamo prima delle sintesi di evidenze, sono comode, diamo un’ occhiata al database della Cochrane Library ma non vi sono, alla data della nostra ricerca (18 Luglio 2007), revisioni sistematiche (RS) sull’argomento. Ci rivolgiamo allora alla banca dati Medline, usando Pubmed Real Time, una simpatica utility messa a punto dal Coordinatore della nostra Commissione: riesco a reperire 75 citazioni, la stringa completa della ricerca la allego alla fine dell’ articolo), giudico perti- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 17 La Commissione Tab. II. Autore, data Popolazione Rodrigo G et al., 2006 Pazienti di età >18 anni con SAR per un totale di 6.260 persone. La RS comprende 17 SCR: 16 studi hanno valutano il montelukast al dosaggio 10 mg e uno lo zafirlukast 20 mg. Gli aLT vengono valutati vs. placebo o verso antistaminici e steroidi nasali. La durata del trattamento è di 2-4 settimane. Esiti Risultati primario: sintomi nasali sia diurni che notturni secondario: misurazione del flusso nasale inspiratorio e della rinomanometria aLT vs. placebo 8 SCR valutano gli ALT vs. placebo. I risultati sono i seguenti: gli aLT riducono significativamente i sintomi diurni e notturni e i sintomi oculari, e producono un miglioramento maggiore rispetto al placebo nello punteggio relativo alla valutazione della qualità di vita aLT vs. antistaminici 6 SCR valutano questo confronto: 5 usano loratadina e 1 cetirizina come antistaminico. Non si evidenzia alcuna differenza nei sintomi nasali diurni, notturni e oculari e nel punteggio relativo alla valutazione della qualità di vita aLT vs. steroidi nasali 3 SCR disponibili, solo due però riportano i punteggi per i sintomi giornalieri e notturni nasali. Gli steroidi nasali (fluticasone) riducono in misura maggiore i sintomi nasali notturni e diurni rispetto agli aLT aLT + antistaminici vs. antistaminici da soli 5 SCR hanno valutato questo confronto. Due studi hanno valutato montelukast + loratadina vs loratadina, 1 studio montelukast + loratadina vs. fexofenadina, e 1 montelukast + cetirizina vs. cetirizina da sola. Le informazioni sono insufficienti per valutare i sintomi nasali e la qualità della vita. La terapia associata produce un miglioramento dei sintomi oculari rispetto alla monoterapia. aLT + antistaminici vs. steroidi nasali Viene riportata una migliore riduzione dei sintomi di congestione nasale da parte degli steroidi. Non vi sono informazioni sufficienti per altre valutazioni come l’uso degli antileucotrieni orali + antistaminici vs. steroidi nasali + antistaminici orali. Punti di debolezza • • • 10 SCR con Jadad score ≤ 3 (segno di qualità metodologica non sufficiente) non vi è una popolazione pediatrica tutti gli studi riguardano pazienti con SAR Rodrigo et al., Ann Allergy Asthma Immunol 2006 2 Grainger et al., Clin Otolaryngol 2006 3 Gli Autori, nei criteri di inclusione della loro RS, affermano di voler prendere in considerazione solo studi che siano in lingua inglese, vengono esclusi studi pertinenti l’età pediatrica e studi che confrontino il montelukast con farmaci non usati in Gran Bretagna. I risultati finali, in ogni caso, non sono dissimili da quanto emerso nelle RS precedenti. La RS comprende SCR pubblicati entro il 2005, la popolazione era composta da giovani dai 15 anni in su con rinite allergica stagionale (SAR). L’ esito primario considerato è stato la sintomatologia nasale sia diurna che notturna, i sintomi oculari, e la qualita della vita. Gli esiti secondari sono stati rappresentati dalla registrazione dal flusso nasale inspiratorio e dalla rinomanometria. I trattamenti duravano dalle 2 alle 4 settimane. I risultati della RS di Rodrigo et al sono riassunti nella Tabella II. Gli studi primari Nella Tabella III abbiamo sintetizzato gli studi primari 4-7, pubblicati negli ultimi 3 anni, che abbiano valutato l’uti- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 18 La Commissione Tab. III. Autore, data Popolazione e Intervento Outcome Risultati Hsieh JC, 2004 60 pazienti tra 6 e 12 anni con rinite allergica perenne Intervento: montelukast 5 mg vs. cetirizina 10 mg vs. placebo per 12 settimane Valutazione dei sintomi mediante punteggio per la qualità della vita, inoltre picco espiratorio nasale e conta eosinofili nel muco La cetirizina migliora la rinorrea, la congestione nasale, gli starnuti più del montelukast (p <0,01); entrambi i farmaci riducono gli eosinofili nasali ed il picco espiratorio nasale Chen ST, 2006 60 bambini tra 2 e 6 anni con ri- Valutazione di un puntegnite allergica perenne gio per la qualità della vita e dei sintomi, conteggio di eosinofili circolanti, degli eosinofili nel muco nasale e delle resistenza delle vie aeree Entrambi i farmaci sono attivi nel ridurre, le resistenze delle vie nasali e gli eosinofili. Sul prurito nasale è più efficace la cetirizina. Sulla qualità del sono notturno il montelukast è più efficace dell’antistaminico Keskin, 2006 50 bambini con rinite allergica stagionale e sensibilizzazione a pollini. Intervento: montelukast 5 mg + loratadina 10 mg vs. placebo Valutazione della reazione infiammatoria dopo test di provocazione nasale con allergene a 15 minuti e a 4 ore La combinazione migliora significativamente i sintomi nasali (p = 0,004) durante la prima ora e gli starnuti (p = 0,012) a 15 minuti rispetto al gruppo placebo. Successivamente il montelukast (p = 0,017) e l’associazione causano minore ostruzione nasale a 4 ore (p = 0,011) e l’associazione riduce il sintomo starnuti a 6 h (p = 0,015). Razi C, 2006 57 bambini di età compresa tra 7 e 14 anni con SAR. SCR in doppio cieco a gruppi paralleli. Dopo una settimana di run-in viene effettuata una terapia di 2 settimane con montelukast 5 mg die o placebo. Valutare il ruolo del montelukast sui sintomi, sul livello dell’eNO, sulla conta degli eosinofili periferici nei bambini con SAR, durante la stagione pollinica Dopo il ciclo terapeutico si osserva un miglioramento dei sintomi nasali diurni, composti (diurni e notturni) e dei sintomi oculari maggiore del braccio “montelukast” ( p < 0,001) Sempre nel braccio attivo si osserva una diminuzione della conta degli eosinofili, mentre non vi è alcun effetto sui livelli dell’eNO. lizzo del montelukast nella cura della RA in età pediatrica e che non siano già stati inclusi in nessuna delle RS finora analizzate. costa 46 euro per un mese di terapia, la prescrizione con nota 82 è a carico del SSN solo per soggetti > di 15 anni con SAR e asma concomitante, pertanto la famiglia di Raffaele lo dovrebbe pagare di tasca propria. Una confezione di antistaminico da 10 mg, 20 compresse costa un po’ più di 9 euro, prescrivibile con nota 89. Una confezione di steroide nasale da 60 dosi costa 15 euro, non rimborsabili però dal SSN. Quello che ci risulta strano, in questa ricerca, è come mai una classe di farmaci (gli steroidi somministrati per via nasale) di provata efficacia nella SAR, alla luce delle diverse RS finora prodotte, non venga ritenuta rimborsabile dal nostro SSN, mistero. Raffele in fin dei Risoluzione dello Scenario Ci sa tanto che anche quest’anno Raffaele dovra’ sopportare la “solita prescrizione” di farmaci antistaminici per os e steroidi nasali. Le evidenze scientifiche fino ad ora esaminate, seppure con alcuni limiti metodologici, confortano questa decisione. E ci sono anche altre considerazioni, per esempio riguardo i costi e la rimborsabilità. Il montelukast compresse da 5 mg Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 19 La Commissione conti è un ragazzo diligente, i farmaci li prende senza tante storie e non ha avuto finora effetti collaterali di rilievo, vedremo in futuro. • L'uso degli aLT associati ad antistaminici non migliora il punteggio dei sintomi della rinite, rispetto all' uso separato dei singoli farmaci • Gli steroidi nasali permettono di ottenere un maggiore beneficio nei riguardi della sintomatologia rinitica (composite nasal symptoms scores) sia diurna che notturna rispetto all'uso degli aLT Clinical Bottom Lines • Esistono evidenze che dimostrano che l’ aLT nella terapia della SAR è più efficace del placebo • Non sono riportati effetti avversi significativi negli SCR considerati per terapie di durata tra le 2 e le 6 settimane • Non esistono evidenze che dimostrino un effetto superiore degli aLT nei riguardi degli antistaminici per il miglioramento dei sintomi della SAR • L'uso concomitante di aLT e antistaminico migliora il punteggio dei sintomi allergici nasali rispetto al placebo (Number Needed to Treat, NNT=3) Stringa di ricerca Pubmed (allergic[All Fields] AND (“rhinitis”[MeSH Terms] OR rhinitis[Text Word])) AND (“montelukast”[Substance Name] OR montelukast[Text Word]) OR ((“leukotrienes”[TIAB] NOT Medline[SB]) OR leukotrienes”[MeSH Terms] OR leukotriene[Text Word])) AND (“2002/06/28”[PDat] : “2007/06/26”[PDat] AND humans”[MeSH Terms] AND (“infant”[MeSH Terms] OR “child”[MeSH Terms] OR “adolescent”[MeSH Terms])) Bibliografia 1 2 3 4 5 Wilson AM, O’Byrne PM, Parameswaran K. Leukotriene receptor antagonists for allergic rhinitis: a systematic review and meta-analysis. Am J Med 2004; 116: 338-44. Rodrigo GJ, Yanez A. The role of antileukotriene therapy in seasonal allergic rhinitis: a systematic review of randomized trials. Ann Allergy Asthma Immunol 2006; 96: 779-86. Grainger J, Drake-Lee A. Montelukast in allergic rhinitis: a systematic review and meta-analysis. Clin Otolaryngol 2006; 31: 360-7. Hsieh JC, Lue HL, Lai DS, Sun HL, Lin YH. Comparison of cetirizine and montelukast for treating childhood pe- 6 7 Caprarola da Palazzo Farnese - Stefano Miceli Sopo rennial allergic rhinitis. Pediatr Asthma Allergy Immunol 2004; 17: 59-69. Chen ST, Lu KH, Sun HL, Chang WT, Lue KH, Chou MC. Randomized placebo-controlled trial comparing montelukast and cetirizine for treating perennial allergic rhinitis in children aged 2-6 yr. Pediatr Allergy Immunol 2006; 17:49-54. Keskin O, Alyamac E, Tuncer A, Dogan C, Adalioglu G, Sekerel BE. Do the leukotriene receptor antagonists work in children with grass pollen-induced allergic rhinitis? Pediatr Allergy Immunol. 2006; 17: 259-68. Razi C, Bakirtas A, Harmanci K, Turktas I, Erbas D. Effect of montelukast on symptoms and exhaled nitric oxide levels in 7- to 14-year-old children with seasonal allergic rhinitis. Ann Allergy Asthma Immunol 2006; 97: 767-74. Palazzo Farnese da Caprarola - Stefano Miceli Sopo Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 20 La Commissione Perché devo adoperare un antistaminico per via orale invece che uno spray nasale al cortisone nella rinite allergica intermittente lieve? A cura della Commissione Rinocongiuntivite Coordinatore: Giuseppe Pingitore Componenti: Sergio Arrigoni, Gabriele Di Lorenzo, Gian Luigi Marseglia, Neri Pucci, Giovanni Simeone, Anna Maria Zicari Il quesito che dà il titolo, apparentemente banale e dalla risposta scontata, aveva suscitato un vivace scambio di opinioni tra gli iscritti alla mailing list dell’ApPAL (www.apalweb.it). Tra le risposte arrivate ve ne sottoponiamo alcune: 1. Per la sua maggiore rapidità di azione, il cortisone spray impiega giorni prima di essere efficace. 2. Perché il cortisone spray è a carico del paziente e sui sintomi “istaminici” l’antistaminico è efficace. 3. Se prevale la componente ostruttiva adopero il cortisone spray e se prevalgono le componenti irritativi e secretiva l’antistaminico; 4. Non adopero gli antistaminici nella terapia della rinite allergica, il cortisone spray è più efficace. 5. Li associo a volte, se il prurito è dominante, non adopero l’antistaminico da solo. 6. Li associo sempre. 7. Adopero l’antistaminico se è presente anche congiuntivite. 8. Riservo gli steroidi ai casi più severi. 9. Adopero l’antistaminico in caso di sintomi rari e saltuari, salvo che in caso di ipersensibilità a questo farmaco. La domanda, come dicevamo, può sembrare banale, ma tra le righe sottintende delle sottili valutazioni che tenteremo di approfondire, cominciando da una classica pietra miliare. Gli autorevoli esperti che hanno approntato le Linee Guida ARIA (Allergic Rinithis and its Impact on Asthma), nel 2006 hanno partorito un dettagliato update sul trattamento farmacologico 1, chi meglio di loro? In questo documento vengono elencate le proprietà ideali che antistaminici orali e steroidi topici nasali dovrebbero possedere. L’antistaminico ideale dovrebbe, fra l’altro, “possedere rapida insorgenza d’azione, per dare immediati ed evidenti benefici clinici e permetterne l’uso anche al bi- sogno”. Lo steroide topico ideale dovrebbe, fra l’altro, “essere valutato in ulteriori studi per essere proposto in un impiego al bisogno”. Va bene… questo per il futuro. Ma le evidenze scientifiche su cui basare la nostra scelta oggi? Scopriamo che nelle conclusioni i livelli di evidenza si riferiscono ancora a rinite stagionale e perenne, con qualche indicazione, per estensione, alla persistente, di intermittente non si parla (Tab. I). Gli autori ci lasciano dunque senza risposta, auspicando la messa in opera di nuovi lavori utilizzando la nuova classificazione ARIA (che contempla, appunto, la suddivisione in intermittente e persistente, e per ciascuna delle due, in lieve, moderata e grave). Non ci perdiamo d’animo e cerchiamo di costruire un Critically Appraiced Topic (CAT). Scenario clinico Lorenzo ha dieci anni, è un bel bambino che frequenta con diligenza la quinta primaria (la nostra vecchia scuola elementare). Dopo 6 anni di odiate lezioni di nuoto ha chiesto quest’anno di iscriversi ad un corso di calcetto, ed è stato accontentato. Già da 2 anni soffre di rinite allergica primaverile, con sintomi che vanno e vengono, senza dargli troppi problemi. Dopo insistenze il papà pediatra gli ha fatto in studio i prick test ed è comparso un bel pomfo per le graminacee. Giocando a calcetto nei tornei di aprile e maggio ha iniziato ad avere crisi di starnuti con naso chiuso e la mamma per qualche giorno gli ha dato il “solito” antistaminico. Facendo il tifo a bordo campo ha saputo dalla mamma di Federico (il portiere), che lui, con gli stessi sintomi, fa gli spruzzi nel naso e riesce a parare meravigliosamente, senza il fazzoletto in mano. Tor- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 21 La Commissione Tab. I. Forza della raccomandazione per l’utilizzo dei farmaci indirizzati al trattamento della rinite allergica (modificata da Bousquet et al. 1). Categorie di farmaci Rinite stagionale Rinite perenne Rinite persistente† Adulti Bambini Adulti Bambini Antistaminici H1 orali A A A A A Antistaminici H1 intranasali A A A A B* Steroidi intranasali A A A A B* Cromoni intranasali A *** A *** A A *** *** Antileucotrienici A A B** Anticorpi monoclonali Anti-IgE A A A A B* B : per trasferimento dagli studi sulla rinite allergica perenne di durata ≥ a 4 settimane, studi che adoperino la nuova classificazione devono però essere effettuati per confermare questa indicazione. B**: per trasferimento dagli studi sulla rinite allergica stagionale di durata ≥ a 4 settimane, studi che adoperino la nuova classificazione devono però essere effettuati per confermare questa indicazione. A***: la maggioranza degli studi è di piccolo numerosità campionaria. † Adolescenti e adulti. * nata a casa la mamma di Lorenzo chiede al marito se non sia il caso di provare a fare così anche con il proprio campioncino. scendo a controllare anche l’ostruzione nasale 3. 4. Gli steroidi nasali sono attivi dopo 7-8 ore dalla prima somministrazione, esplicando il massimo effetto dopo 24-48 ore, agendo soprattutto sulla fase tardiva, caratterizzata prevalentemente dall’afflusso di eosinofili e dalla congestione 1. 5. Le più recenti Linee Guida ARIA raccomandano l’uso dell’antistaminico orale nella rinite lieve intermittente. Solo nella forma moderata-grave viene indicato l’utilizzo dello steroide nasale. Quesito Strutturato Popolazione: nei bambini con rinite allergica intermittente lieve. Intervento: l’uso di uno steroide nasale. Confronto: verso un antistaminico orale. Indicatore di esito: riduce la sintomatologia soggettiva ed oggettiva e migliora la qualità di vita in maniera più rapida ed efficace? Nella Tabella I è illustrato l’utilizzo dei vari farmaci nella terapia della rinite allergica stagionale o perenne, sia nell’adulto sia nell’età pediatrica, con accanto la forza della raccomandazione. Informazioni di base necessarie Strategia di ricerca 1. Secondo la nuova classificazione elaborata dalle Linee Guida ARIA 2, si parla di rinite intermittente quando i sintomi persistono per meno di 4 giorni alla settimana o per meno di 4 settimane. Nella sua forma lieve il sonno è conservato, non vi è alcuna limitazione nelle attività quotidiane, né nella normale attività lavorativa e scolastica; inoltre i sintomi non sono fastidiosi. 2. È documentato che gli antistaminici posseggono una rapida insorgenza d’azione, contrastando la risposta precoce, caratterizzata da rinorrea, starnutazione e prurito. 3. Inoltre, alcuni antistaminici di seconda generazione (cetirizina, levocetirizina, loratadina, desloratadina) possono inibire i mediatori della flogosi, riu- Cerchiamo dapprima su fonti di letteratura secondaria (sintesi di evidenze) e ci rivolgiamo a Clinical Evidence e alla Cochrane Library, siamo fortunati. Su Clinical Evidence vi è una revisione 4 che in parte potrebbe rispondere al nostro quesito. Nel capitolo “Steroidi nasali vs. antistaminici orali”, l’argomento che a noi interessa, gli Autori esaminano una revisione sistematica (RS) con metanalisi pubblicata nel 1998 5 (la esamineremo in dettaglio più avanti) che riporta come dato fondamentale una maggiore efficacia degli steroidi nasali per quanto riguarda l’ostruzione nasale, la rinorrea, il prurito, pur a fronte di una certa disomogeneità degli studi inclusi. Sulla Cochrane Library, inserendo nel campo di ricer- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 22 La Commissione Tab. II. Caratteristiche e risultati della RS di Weiner et al. 5. Popolazione e intervento RS con metanalisi comprendente 16 RCT (studi randomizzati controllati, 14 in persone con SAR (rinite allergica stagionale), 2 con PAR (rinite allergica perenne). Popolazione studiata = 2267 soggetti, età media 32 anni (range 12-75). Antistaminici orali (desclorfeniramina, terfenadina, astemizolo, loratadina, cetirizina) vs. steroidi nasali (beclometasone, budesonide, fluticasone, triamcinolone). Esiti Efficacia degli steroidi nasali vs. antistaminici orali sui sintomi nasali, oculari e sulla resistenza nasale ove misurata. Le misure di esito sono espresse come odds e ne viene calcolato l’IC (intervallo di confidenza). Risultati Gli steroidi danno luogo ad un miglioramento maggiore rispetto agli antistaminici orali sulla ostruzione nasale (14 RCT [inclusi 2 RCT in PAR]; SMD -0.63, 95% IC -0.73 to -0.53), la rinorrea (14 RCT [inclusi 2 RCT in PAR]; SMD: -0.5, 95% CI -0.6 to -0.4), gli starnuti (14 RCT [inclusi 2 RCT in PAR]; SMD -0.49, 95% CI -0.59 to -0.39). Per ciò che riguarda il prurito nasale vi è una eterogeneicità statistica significativa tra gli RCT inclusi (11 RCTs [inclusi 2 RCTs in PAR]; SMD -0.38, 95% IC -0.49 to -0.21). Lo sgocciolamento retronasale (2 RCTs; SMD -0.24, 95% IC -0.42 to -0.06), e i sintomi nasali complessivi vengono valutati solo in 9 RCTs; (SMD -0.42, 95% IC: -0.53 to -0.32). 2 RCT hanno riportato risultati sulla valutazione globale sul peggioramento dei sintomi: Odds ratio (OR): 0.26, 95% IC: 0.08 to 0.80. Non vengono trovate differenze significative per i sintomi oculari (11 RCTs [inclusi 2 RCTs in PAR]; SMD 0.043, 95% IC -0.16 to +0.07) Punti di debolezza Non vengono riportati i risultati in maniera separata tra SAR e PAR. I revisori riportano che alcuni risultati eterogenei esplicitati nella loro RS sarebbero occorsi a causa di differenti metodi di score clinici riportati negli studi presi in considerazione e da come sono stati riportati gli outcome primari, per esempio sull’intera durata della terapia oppure su periodi di tempo (1-2 settimane). Tab. III. Caratteristiche e risultati dello studio di Kaszuba et al. 7. Popolazione ed intervento Studio in aperto, randomizzato, parallelo su 88 pazienti di età oltre i 18 anni, con SAR da ambrosia. 44 sono stati trattati con fluticasone propionato 100 µg e 44 con loratadina 10 mg. La terapia è stata somministrata al bisogno per 4 settimane, durante il periodo dell’ambrosia (non più di una volta al giorno). Esiti Primario: punteggio sulla qualità di vita ottenuto da un questionario validato (RQLQ di Juniper). Secondario: diario dei sintomi (punteggio totale e scorporato), quantificazione eosinofili ed ECP (proteina cationica degli eosinofili) nei campioni di lavaggio nasale raccolti al tempo 0-14-28 gg. Risultati I trattati con fluticasone hanno riportano al secondo e terzo rilevamento un significativo e superiore miglioramento nello punteggio sulla qualità di vita, con specifico riferimento ai vari 7 punti (sonno, sintomi non nasali e non oculari, emozionali, problemi quotidiani, sintomi nasali, sintomi oculari, normali attività) (p < 0,05). Il diario dei sintomi totali segnala un miglioramento significativo nei trattati con fluticasone già dopo 5 giorni, rispetto ai trattati con antistaminici (p = 0,005). I trattati con fluticasone presentano una riduzione significativa degli eosinofili nasali fra la prima e la terza visita(p = 0,001), come anche di ECP, mentre i trattati con loratadina ne presentano un aumento. Gli esclusi dall’analisi finale dei dati sono stati contenuti, 2 nei trattati con fluticasone e 2 nei trattati con loratadina. Punti di debolezza per quanto ci riguarda Studio in aperto, casistica non pediatrica. ca “allergic rhinitis” troviamo una recentissima RS 6. La RS prende (stranamente) in considerazione solamente 3 studi clinici per un totale di 79 bambini, le misure di esito sono l’efficacia terapeutica dei farmaci analizzati (nello specifico beclometasone e flunisolide) ed i loro effetti collaterali. Gli Autori, pur riconoscendo Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 23 La Commissione un’efficacia terapeutica ai farmaci, concludono che sono necessarie ulteriori valutazioni e che la scelta di usarli “deve essere guidata dall’esperienza del medico e dalle esigenze del paziente”, in pieno stile EBM (Evidence-Based Medicine)! Ma Lorenzo ci chiede: “E quindi cosa devo fare?” Che gli steroidi nasali funzionavano bene lo sapevamo già; ma a noi interessa il confronto con gli antistaminici orali in una situazione particolare (rinite intermittente lieve). Passiamo pertanto ad interrogare Pubmed lanciandoci alla ricerca di studi, primari o secondari, che possano rispondere in maniera più stringente al nostro quesito. Per farlo utilizziamo la seguente stringa: “rhinitis, allergic, seasonal”[Mesh] AND (“histamine H1 antagonists”[Mesh] OR intranasal corticosteroids [tw]) con limiti “all child” e “last 5”. Otteniamo così facendo 107 titoli. Dalla lettura degli abstract e ampliando la ricerca mediante l’utilizzo dello strumento related articles, selezioniamo alla fine 2 articoli 5-7 che utilizzeremo per rispondere al quesito iniziale: uno è la RS 5 di cui abbiamo già letto su Clinical Evidence 4, l’altro uno studio primario, entrambi riguardano adulti, li abbiamo riassunti nelle Tabelle II e III. Quindi studi proprio pertinenti e riguardanti i bambini non ne abbiamo trovati. Ma queste sono le migliori evidenze scientifiche reperibili al momento e al riguardo, e per prendere la nostra decisione clinica su di esse ci baseremo (anche), come suggerisce l’EBM. glioramento nei parametri testati per la qualità di vita. - Gli steroidi nasali determinano miglioramento di dati di laboratorio (riduzione di eosinofili nasali ed ECP – proteina cationica degli eosinofili). A fronte di questi risultati gli Autori propongono una revisione del posizionamento degli steroidi nasali, caldeggiando il loro uso come farmaco di prima scelta nella rinite stagionale al bisogno. In realtà la letteratura, proprio per la mancanza di studi sviluppati sulle nuove classificazioni, non sembra ancora in grado di dare risposte basate sull’evidenza, tali da sciogliere in modo convincente il nostro quesito. La proposta andrà sempre valutata paziente per paziente, considerando alcune variabili, quali il costo, l’età del soggetto e la adesione all’uso degli erogatori nasali, l’eventuale cortisonofobia e la presenza di altre patologie allergiche concomitanti. Infatti, nei soggetti che soffrono anche d’asma, il rischio di sviluppare una crisi è meno probabile nei pazienti che assumono steroidi nasali 7. Risoluzione dello scenario Lorenzo l’unica “aria” che conosce è quella che tenta di respirare (preferibilmente bene e dal naso) quando si trova di fronte al portiere avversario. Cosa potremmo consigliare al suo papà, nonché nostro collega? Sicuramente i dati della maggior efficacia dello steroide andrebbero confermati in lavori con una popolazione selezionata, affetta da rinite allergica intermittente, magari anche lieve. Per cui, pur non sentendoci di dare una indicazione univoca e precisa, potremmo comunque far provare a Lorenzo lo steroide nasale per un periodo breve, anche consci del buon profilo sicurezza ed efficacia ed alla luce dei dati seppur parziali trovati nella nostra ricerca. Riassunto dei risultati - Gli steroidi nasali determinano un miglioramento maggiore riguardo all’ostruzione nasale, la rinorrea e gli starnuti. - Sui sintomi oculari non ci sono differenze significative tra streroidi nasali e antistaminici orali. - Gli steroidi nasali determinano anche rapido mi- Bibliografia 1 2 3 4 5 Bousquet J, van Cauwenberge P, Aït Khaled N, Bachert C, Baena-Cagnani CE, Bouchard J, et al. Pharmacologic and anti-IgE treatment of allergic rhinitis ARIA update (in collaboration with GA2LEN). Allergy 2006;61:1086-96. Bousquet J, Van Cauwenberge P, Khaltaev N. Allergic rhinitis and its impact on asthma. J Allergy Clin Immunol 2001;108 (Suppl. 5):S147-S334. Simons FE. Advances in H1-antihistamines. N Engl J Med 2004;351:2207-17. Sheikh A et al. Seasonal allergic rhinitis in adolescent and adult. Clinical Evidence, September 2005 http://clinicalevidence.bmj.com/ceweb/index.jsp. 6 7 8 Weiner JM, Abramson MJ, Puy RM. Intranasal corticosteroids versus oral H1 receptor antagonists in allergic rhinitis:systematic review of randomised controlled trials. BMJ 1998;317:1624-9. Al Sayyad JJ, Fedorowicz Z, Alhashimi D, Jamal A. Topical nasal steroids for intermittent and persistent allergic rhinitis in children. Cochrane Database 2007;1:CD003163. Kaszuba SM, Baroody FM, Tineo M, Haney L. Superiority of an intranasal corticosteroid compared with an oral antihistamine in the as-needed treatment of seasonal allergic rhinitis. Arch Intern Med 2001;161:2581-7. Adams RJ. Intranasal steroids and risk of emergency department visits of asthma. JACI 2002;109:636-42. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 24 La Commissione Come faccio a stabilire con ragionevole certezza che una malattia da reflusso gastroesofageo dipende da una allergia alle proteine del latte vaccino? A cura della Commissione Diagnostica Immunoallergologica Coordinatore: Alberto Martelli Membri: Claudia Alessandri, Roberto Berni Canani, Franco Borghesan, Paolo Matricardi, Paolo Pigatto, Lamberto Reggiani La diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) secondaria ad allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) è poco agevole e si basa prevalentemente su dati clinici. Infatti, i meccanismi attraverso cui le proteine del latte vaccino (PLV) inducono anomalie della motilità gastroesofagea sono ancora poco definiti 1. Elemento centrale della diagnosi è l’osservazione di un chiaro miglioramento clinico durante una rigorosa dieta di esclusione priva di PLV, seguito da un marcato peggioramento clinico alla loro reintroduzione. nel bambino con sospetta MRGE secondaria ad APLV prevede la valutazione di: - anamnesi, tesa a valutare: familiarità allergica, i rapporti temporali tra insorgenza della sintomatologia ed assunzione delle PLV, la sintomatologia clinica [per identificare la reale presenza di MRGE ed escludere altre possibili eziologie di MRGE secondaria (infezioni, patologie metaboliche, disturbi neurologici)]; - esame obiettivo, per cercare eventuali altri segni clinici concomitanti di allergia (es. dermatite atopica); - risposta alla terapia farmacologica e/o alla dieta di esclusione. Percorso diagnostico Gli elementi di sospetto per una MRGE da APLV sono riassunti nella Tabella I. Il percorso diagnostico Terapia farmacologica e/o dieta di esclusione Per i soggetti senza un evidente sospetto di APLV (non storia familiare, non altri segni clinici suggestivi di allergia, negatività dei test allergologici), una volta posta la diagnosi di MRGE, oltre alle raccomandazioni comportamentali (per es.: favorire la postura antireflusso ed evitare posture con pressioni extra-addominali), si prescrive generalmente una terapia farmacologia per almeno 14 giorni (ranitidina, 5-10 mg/kg/ die suddivisi in 2 dosi; od omeprazolo 1-3 mg/kg/die in monosomministrazione). In mancanza di una chiara risposta clinica ed in assenza di indizi di altre forme di MRGE secondaria è legittimo sospettare la presenza di una allergia alimentare alla base della sintomatologia ed eventualmente proporre una dieta di esclusione senza PLV. Mareggiata a Scilla - Antonio Cardona Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 25 La Commissione Tab. I. Criteri di sospetto per la diagnosi di MRGE secondaria ad APLV. • Familiarità allergica • Rapporti temporali tra insorgenza della sintomatologia ed assunzione delle PLV • Esclusione di altre possibili cause di MRGE secondaria • Concomitanti segni di allergie (es.: alvo diarroico, rettorragia, stipsi ostinata, scarsa crescita, dermatite atopica) • Inefficacia della terapia farmacologia • Efficacia della dieta di esclusione con eHF Nel bambino con forte sospetto di APLV (familiarità positiva; presenza di altri sintomi suggestivi come diarrea, rettorragia, stipsi ostinata, scarsa crescita, dermatite atopica, etc.) per confermare il sospetto diagnostico può essere raccomandata (anche prima di un eventuale tentativo farmacologico con inibitori dell’acidità gastrica) una dieta di esclusione priva di PLV. In caso di allattamento artificiale, si utilizza un idrolisato spinto (eHF) 2. In caso di esclusivo allattamento al seno, si deve proporre alla nutrice una dieta rigorosamente priva di PLV 2. È sempre utile concordare attentamente con i genitori i parametri di valutazione dell’efficacia della dieta di esclusione, utilizzando un diario giornaliero dettagliato del comportamento del lattante. Se non si osservano miglioramenti consistenti del quadro clinico, si esclude la diagnosi di APLV. Se, al contrario, si verificano miglioramenti significativi occorre programmare il Test di Provocazione Orale (TPO) per ottenere la conferma diagnostica. te 2-4 settimane di dieta priva di PLV, anche la fase post-TPO sarà della stessa durata per poter meglio comparare, anche come durata, il pre- e il post. È importante sottolineare che né altri esami allergologici nè la diagnostica strumentale sono utili nel percorso diagnostico per poter distinguere una MRGE primitiva da una MRGE secondaria ad APLV. Infatti, come già accennato, i meccanismi fisiopatologici della MRGE secondaria ad APLV non sono ancora del tutto chiariti. Altre indagini diagnostiche Non essendo generalmente in causa reazioni immunoglobuline E (IgE)-mediate, non vanno eseguite né la ricerca delle IgE sieriche specifiche per le PLV, né i prick test cutanei per PLV e per le loro frazioni. Alcuni studi hanno suggerito meccanismi legati a reazioni allergiche non-IgE mediate. Sarebbe quindi promettente l’impiego dell’Atopy Patch Test (APT) con latte fresco 3 4, ma i risultati sono ancora preliminari e richiedono nuove conferme. In ogni caso, quindi, non bisognerà mai proporre una dieta di esclusione o una diagnosi di MRGE secondaria a APLV solo sulla base della positività di questi test allergologici. L’ecografia non può che evidenziare quanto già si osserva clinicamente, cioè i reflussi gastro esofagei. Quindi ha scarso valore diagnostico anche in virtù del breve tempo di osservazione. Il tracciato della pHmetria è poco utile per poter distinguere una MRGE primitiva da una forma secondaria ad APLV 5. L’eosinofilia della mucosa del tratto gastroesofageo non è patognomonica di MRGE secondaria ad APLV 6. Può essere utile invece l’esame immunoistochimico della biopsia esofagea per la ricerca di altri parametri (presenza di eotassina, infiltrato di linfociti T). Tale esame, eseguito in corso di esofagogastroscopia, permette di distinguere la MRGE secon- TPO Verrà effettuato in aperto, oppure in cieco nel caso che il piccolo sia ospedalizzato. Certamente, se il TPO risulta positivo, è possibile porre la diagnosi. Ma qual’è il limite oltre il quale possiamo etichettare come sicuramente positivo un TPO che orienti per una MRGE secondaria a APLV? Non esiste né un valore numerico limite in uno punteggio clinico globale, né un numero di episodi di rigurgito o vomito, nè modificazioni comportamentali rilevabili su scale appropriate, oltre le quali il TPO possa essere considerato sicuramente positivo. È sempre e solo l’esperienza del pediatra nel gestire e valutare tali situazioni a consentirgli una sintesi diagnostica che nei casi dubbi rimane meritevole di conferme anche con l’esecuzione di un nuovo TPO, possibilmente in cieco, se il primo è stato eseguito in aperto. Poiché l’osservazione pre-TPO è condotta duran- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 26 La Commissione daria ad APLV (eosinofilia assente o < 20 eosinofili per campo) dalla esofagite eosinofila (> 20 eosinofili per campo). Quest’ultima patologia può infatti presentarsi, specie nei bambini più piccoli, con un qua- dro clinico molto simile ad una MRGE 7. La metodica immunoistochimica per il dosaggio dell’eotassina è appannaggio però di pochissimi centri e quindi, al momento, di fatto non realizzabile di routine. Bibliografia 1 2 3 4 5 Heine RG. Gastroesophageal reflux disease, colic and constipation in infants with food allergy. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2006;6:220-5. Garzi A, Messina M, Frati F, Carfagna L, Zagordo L, Belcastro M, et al. An extensively hydrolysed cow’s milk formula improves clinical symptoms of gastroesophageal reflux and reduces the gastric emptying time in infants. Allergol Immunopathol (Madr) 2002;30:36-41. De Boissieu D Waguet JC, Dupont C. The atopy patch test for detection of cow’s milk allergy with digestive symptoms. J Pediatr 2003;142:203-5. Berni Canani R, Ruotolo S, Auricchio L, Caldore M, Porcaro F, Manguso F, et al. Diagnostic accuracy of the atopy patch test in children with food allergy-related gastroin- 6 7 testinal symptoms. Allergy 2007;62:738-43. Nielsen RG, Bindslev-Jensen C, Kruse-Andersen S, Husby S. Severe gastroesophageal reflux disease and cow milk hypersensitivity in infants and children: disease association and evaluation of a new challenge procedure. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2004;39:383-91. Nielsen RG, Fenger C, Bindslev-Jensen C, Husby S. Eosinophilia in the upper gastrointestinal tract is not a characteristic feature in cow’s milk sensitive gastro-oesophageal reflux disease. Measurement by two methodologies. J Clin Pathol 2006;59:89-94. Butt AM, Murch SH, Ng CL, Kitching P, Montgomery SM, Phillips AD, et al. Upregulated eotaxin expression and T cell infiltration in the basal and papillary epithelium in cows’ milk associated reflux oesophagitis. Arch Dis Child 2002;87:124-30. Mareggiata a Scilla - Antonio Cardona Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 27 La Commissione Il Test di Provocazione Orale alimentare nel bambino con pregressa anafilassi Documento congiunto della Commissione Allergia alimentare, Anafilassi, Dermatite atopica Coordinatore: Mauro Calvani; Membri: Marcello Bergamini, Irene Berti, Salvatore Bragò, Luigi Calzone, Iride Dello Iacono, Roberto Lisi Commissione Diagnostica Immunoallergologica Coordinatore: Alberto Martelli; Membri: Claudia Alessandri, Roberto Berni Canani, Franco Borghesan, Paolo Matricardi, Paolo Pigatto, Lamberto Reggiani Premessa L’esigenza di rispondere alle seguenti domande nasce dalla necessità comune a molti pediatri di dover eseguire, nel tempo, il Test di Provocazione Orale (TPO) con alimenti a bambini che hanno presentato una precedente anafilassi dopo l’assunzione di un alimento. È proprio un nostro dovere domandarci se quell’alimento, eliminato da tempo dalla dieta, può essere reintrodotto perché la storia naturale dell’allergia alimentare tende alla tolleranza in tempi più o meno lunghi nei diversi alimenti. Ma nell’esecuzione di questi TPO devono essere attuate modalità particolari? Pur in mezzo alle difficoltà di una letteratura davvero carente sull’argomento, cercheranno di rispondere a queste domande, in maniera congiunta, i componenti di 2 commissioni della SIAIP: la Commissione dell’allergia alimentare, dell’anafilassi e della dermatite atopica e la Commissione di diagnostica Immunoallergologica. L’approccio che ha guidato le Commissioni è stato quello, da un lato, di cautelare il più possibile il bambino nel corso di un test ipoteticamente pericoloso e dall’altro di non sconfinare in indicazioni troppo articolate che renderebbero difficilmente realizzabile o impraticabile il TPO. Mettetevi tranquilli e prendetevi un po’ di tempo, una volta tanto. Leggete le risposte (date in forma breve e in forma estesa), stavolta non con il fucile spianato, ma con la giusta benevolenza per un argomento davvero ostico. Mentre leggete le risposte potete pensare alla frase “Se tu verrai a trovarmi, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice”, la scrisse Antoine De Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe, nel 1943. Grazie Mauro Calvani e Alberto Martelli Quali sono i bambini che hanno presentato un episodio di anafilassi e che dovrebbero essere sottoposti a un TPO? Risposta estesa Nel caso di anafilassi da cibo riferita nell’anamnesi, il TPO andrebbe eseguito solo nelle seguenti due circostanze: 1. Qualora non sia certa l’identificazione dell’alimento offendente attraverso il racconto anamnestico e/o: a. quando le prove allergiche verso l’alimento sospettato, eseguite correttamente e in più occasioni, risultino negative. In questi casi è necessario riconsiderare la diagnosi di anafilassi o pensare ad una anafilassi idiopatica o da altre cause; Risposta breve - Quelli per i quali l’alimento offendente non è stato identificato tramite la raccolta della storia e l’esecuzione di test allergometrici; - quelli per i quali si intende valutare l’eventuale acquisizione della tolleranza. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 28 La Commissione Quali criteri, clinici e di laboratorio, possiamo utilizzare per stabilire se un bambino, con pregressa anafilassi da alimenti, può essere sottoposto ad un nuovo Test di Provocazione Orale per saggiare l’eventuale tolleranza? b. quando le prove allergiche risultino positive per più alimenti di comune uso (ad es. latte, e uovo e grano). Talvolta infatti la reazione grave si verifica subito dopo che il bambino ha consumato più alimenti o più ingredienti nello stesso momento. Il TPO invece non dovrebbe essere eseguito nel caso di anafilassi immediatamente successiva all’ingestione di un solo alimento confermato da sensibilizzazione allo stesso in vivo e/o in vitro. L’identificazione dell’alimento implicato nella reazione anafilattica è utile ad evitare inutili restrizioni dietetiche e limitazioni nello stile di vita 1. Inoltre, se non è possibile, per vari motivi, individuare l’alimento responsabile, i TPO per il ventaglio di alimenti, comunque sospetti, possono risultare salvavita o comunque utili ad evitare diete troppo estese 2. Nella pratica clinica non è infrequente riscontare situazioni particolari, come il caso del bambino che abbia manifestato anafilassi dopo aver assunto due alimenti contemporaneamente e verso i quali dimostri sensibilizzazione in vivo e/o in vitro (es. latte e grano assunti con la pastina col formaggino) e l’anamnesi alimentare non consenta di comprendere quale dei due alimenti possa essere responsabile dell’episodio di anafilassi. Cosa fare? Una soluzione potrebbe essere quella di tenere il bambino a dieta rigorosa per entrambi gli alimenti e non eseguire subito il TPO, a causa della recente anafilassi, ma di programmarlo, dopo 6-12 mesi, prima con uno, poi con l’altro alimento. Viceversa, non articolando correttamente un programma diagnostico, si rischia anche di etichettare come allergici bambini che in realtà non lo sono “medicalizzando” inutilmente situazioni che non lo richiedono, anche con l’indicazione all’adrenalina autoiniettiva. Poiché l’anafilassi da alimenti, come tutte le esperienze a rischio di vita, porta ad un profondo coinvolgimento psicologico, anche dei genitori di un bambino affetto, come dimostrato nel caso dell’allergia alle arachidi 3, bisognerà assicurarsi che la diagnosi di anafilassi sia dettagliatamente comprovata. Quando si parla di anafilassi, pertanto, si deve far riferimento all’ultima classificazione dell’anafilassi dove vengono annoverate, in questo termine, le manifestazioni cliniche più severe 4. Risposta breve - Importanza del cibo nella dieta; - eventuale reintroduzione erronea o voluta, senza reazione avversa conseguente, di piccole dosi di quell’alimento. Risposta estesa Attualmente, non esistono criteri di laboratorio certi che possano aiutarci per stabilire i tempi per un nuovo TPO. Sebbene la dimensione del pomfo evocato dal prick test e il valore assoluto del livello delle immunoglobuline E (IgE) sieriche specifiche possano sempre più correlare, attraverso il loro incremento, alla reazione positiva del TPO, nessun valore può essere predittivo della severità della reazione 6. Recentemente un’osservazione del gruppo di Eigenmann ha mostrato, analizzando i dati di 51 TPO eseguiti con uovo cotto o crudo, una chiara correlazione fra il livello sierico di IgE specifiche per le proteine dell’uovo e severità della reazione clinica concludendo che il titolo di IgE specifiche per l’uovo può aiutare a predire il rischio di una reazione severa al momento dell’introduzione dell’uovo 7. Non venivano osservate significative differenze statistiche fra i bambini che avevano eseguito il TPO con l’uovo cotto o crudo. Da vari autori sono stati studiati i punti di cut-off per le IgE sieriche specifiche e per prick test in relazione a singoli alimenti e alla probabilità che risulti positivo il TPO per quell’alimento 8-12, ma non sono stati stabiliti tali valori per il bambino con pregressa anafilassi e sulla predittività di un nuovo analogo episodio. Di quanto dovrebbe ridursi il pomfo evocato dal prick test o il il valore assoluto del livello delle IgE sieriche specifiche relativi ad uno specifico alimento per suggerirci, dopo una pregressa anafilassi, la ripetizione di un TPO? Al momento pare impossibile rispondere. Si potrà rispondere a questa domanda solo dopo la verifica attraverso studi clinici metodologicamente validi condotti su vaste popolazioni di età diverse con alimenti differenti. Occorre ricordare inoltre che l’anafilassi assai raramente può verificarsi in bambini con IgE specifiche (cutanee o sieriche) negative per quell’alimento e, viceversa, IgE specifiche positive (cutanee o sieriche) spesso pos- 2. Nella valutazione dell’acquisizione della tolleranza nei bambini che, dopo congruo periodo di tempo dalla pregressa anafilassi, potrebbero non presentare più la loro grave reattività a quel cibo. Il TPO potrebbe includere anche il test da sforzo se l’esercizio fisico dovesse risultare un meccanismo favorente 5. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 29 La Commissione sono osservarsi in bambini asintomatici che tollerano perfettamente l’alimento 13. È lecito pensare, anche se mancano dati specifici in letteratura, che valori in incremento di IgE specifiche (cutanee o sieriche), rispetto a quelli concomitanti alla precedente anafilassi, suggeriscano di evitare l’esecuzione di un TPO. In altre parole i valori di IgE specifiche (cutanee o sieriche) sono considerati utili, in questo caso, più per non fare che per fare il TPO. Hill et al. ipotizzano che una naturale diminuzione delle IgE circolanti, ma non di quelle adese ai mastociti, in chi è a dieta di eliminazione, possa rendere spiegazione di quei casi che hanno basse IgE specifiche ma che reagiscono comunque al TPO e che abitualmente non vengono annoverati tra i più a rischio 14. Altre osservazioni suggeriscono che la sensibilizzazione ad epitopi lineari anziché conformazionali, possa essere responsabile della persistenza dell’allergia 15-17 e come, ad esempio, le IgE dirette contro epitopi lineari dell’ovomucoide possano predire la persistenza dell’allergia all’uovo15. Inoltre il riconoscimento di più epitopi sull’allergene può determinare la persistenza del fenomeno, indipendentemente dalla quantità di IgE specifiche dirette verso l’estratto allergenico 18. Anche la severità della reazione clinica almeno per alcuni alimenti, come le arachidi, potrebbe essere in parte predetta dall’eterogeneità degli epitopi allergenici coinvolti nella reazione IgE mediata 19. In conclusione si può eseguire un TPO, a distanza dal precedente episodio anafilattico, pur in presenza di valori elevati di IgE o di diametro del pomfo superiore ai cut-off, per non rischiare di innescare un iter di prosecuzione dietetica per anni, solo in considerazione della persistenza di questi dati. Chiaramente venire a conoscenza della spontanea o involontaria assunzione di piccole quantità dell’alimento senza aver riportato reazioni importanti costituisce un criterio per stabilire che il bambino può essere sottoposto ad un TPO. soprattutto nel caso si tratti di bambini allergici ad alimenti fondamentali nella dieta (latte, grano, uovo) e ciò indipendentemente se abbiano reagito a piccole, medie o grandi quantità dell’alimento in causa. Il TPO va ripetuto, anche questa volta, senza troppo prolungare i tempi. L’acquisizione della tolleranza verso un allergene alimentare è condizionata da diversi fattori, principalmente dal tipo di alimento e dall’età, per questo devono essere considerati anche il tipo di alimento e l’impatto che lo stesso ha nella dieta del bambino. Ad esempio le proteine del latte, dell’uovo e del grano non possono essere considerate, come valenza nutrizionale, al pari delle proteine del kiwi o dell’anacardio. In poche parole, il bambino cresce sicuramente bene senza la frutta secca ma non si può permettere che rimanga privato delle proteine “nobili” senza giustificazione. Pertanto sarà più serrata la “caccia alla tolleranza” per latte, uovo e grano proponendo di ritestare annualmente, educando la famiglia ad evitare il più possibile errori, tra un TPO e l’altro a causa del rischio enorme che si affronta. La valutazione di eventuali ingestioni accidentali, anche in tracce e sconosciute, in assenza di sintomi, potrebbe costituire un valido motivo per una proposta di TPO, come pure il riscontro di IgE specifiche (cutanee o sieriche) negative per quell’alimento, consentono di testare immediatamente l’alimento indice con TPO. Nel caso in cui si sia verificata una nuova reazione di anafilassi o comunque allergica a seguito di contatto voluto od accidentale con l’allergene, i dodici mesi di attesa per poter riproporre il TPO scatteranno dalla data del nuovo episodio di anafilassi. In quale ambiente e in quali condizioni un bambino con pregressa anafilassi dovrebbe essere sottoposto a un TPO? Dopo quanto tempo da un episodio di anafilassi è lecito ritestare il bambino TPO? Risposta breve - In ambiente ospedaliero; - con posizionamento di agocannula; - con farmaci a disposizione; - con pronta reperibilità del rianimatore. Risposta breve Dopo 1 anno e in considerazione dell’età del bambino e del tipo di alimento. Risposta estesa Poiché è opportuno, giustamente, cautelarsi in tali circostanze, è indispensabile eseguire il TPO in ambiente ospedaliero attrezzato con possibilità di intervento rapido del rianimatore e in regime di ricovero ospedaliero 20-22. Risposta estesa Benché non esistano dati certi in merito, c’è uniformità di consensi nel ritenere che si possa ripetere un TPO dopo 12 mesi da un precedente TPO positivo, Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 30 La Commissione ri, Reibel et al. 24, osservando tale casistica retrospettivamente, evidenziarono una reazione clinica positiva in 178 casi (51%). Di questi ben 120 bambini (67%) ebbero bisogno di un intervento terapeutico. In 78 casi (65%) fu sufficiente la terapia orale mentre in 42 casi (35%) fu necessaria la terapia parenterale. In base alla stretta correlazione (90%) osservata, in questa casistica, fra i livelli di IgE specifiche e la necessità dell’intervento terapeutico gli Autori suggeriscono di preparare un accesso venoso, prima del TPO, nei bambini con IgE specifiche per latte e grano maggiori di 17,50 kU/l (CAP classe 4) e con IgE specifiche per l’uovo maggiori di 3,50 kU/l (CAP classe 3). In merito alla scelta del tipo di TPO da utilizzare (aperto o in doppio cieco verso placebo, Double Blind Placebo Controlled Food Challenge – DBPCFC), poiché si tratta di reazioni IgE mediate con chiara espressività clinica, non servono di norma le procedure per il TPO in cieco, un TPO in aperto è sufficiente nella quasi totalità dei casi. In rari casi, se il ragazzo è grande e per tanti anni è cresciuto con la fobia di assumere quell’alimento, si può pensare a un DBPCFC. Non tutti sono d’accordo su questa linea. Ad esempio, nei practice parameters, Liebermanmn et al. affermano che il TPO, in caso di sospetta anafilassi da alimento, andrebbe svolto comunque in cieco, singolo o doppio che sia 25. Se ci sono dubbi interpretativi la cecità nella procedura aiuta a limitare i possibili errori. In questo caso, per il mascheramento del verum, occorre fare attenzione al tipo di placebo prescelto che potrebbe modificare il tipo di reazione allergica 29. Attenzione andrà posta anche al rischio di DBPCFC con placebo positivi 27. Il TPO nei casi di pregressa anafilassi andrebbe sempre condotto con l’alimento fresco. Infatti i preparati liofilizzati, rispetto all’alimento fresco, possono determinare una difficile interpretazione dei tempi di rottura della capsula e del successivo assorbimento intestinale. Ciò potrebbe comportare un troppo breve tempo di attesa per la dose successiva nel caso in cui si verifichi, successivamente, una reazione anafilattica. Per quanto invece concerne l’assistenza rianimatoria durante la procedura del TPO, è indubbiamente una grave limitazione pretendere la presenza del medico rianimatore durante il test. Lo specialista deve però sapere che in quel momento si sta svolgendo, in pediatria, una procedura potenzialmente a rischio e non deve essere impegnato nel turno di sala operatoria perché si deve mantenere prontamente disponibile. Purtroppo nella realtà territoriale italiana, nel momento in cui si esegue un TPO, la pronta disponibilità del rianimatore avviene solo in 75 Ospedali su 268 (pari al 27,9%) 28. Non sappiamo, nel sottogruppo di bambini che esegue il TPO per pregressa anafilassi, quale sia la Fig. 1. Incremento percentuale di reazioni severe ed uso di adrenalina nel corso di successive reazioni di anafilassi per frutta secca. Infatti la Simmons ha osservato, nella sua casistica, che le successive reazioni di anafilassi, almeno per quanto concerne la frutta secca, come le arachidi e le noci, comportano, nelle recidive, una maggiore percentuale di reazioni severe e di conseguenza un uso più frequente di adrenalina con l’autoiniettore (Fig. 1) 23. Questo si nota sia nel secondo episodio rispetto al primo sia nel terzo rispetto al secondo. Ovviamente questa osservazione fa riferimento ad una casistica con reazioni di anafilassi verificatisi nella real life e non indotte da procedure diagnostiche, come il TPO, dove la somministrazione dell’alimento avviene in maniera differente e più graduale, interrompendo le successive somministrazioni ai primi segni clinici significativi di reattività. Se il Day Hospital (DH) è correttamente attrezzato (farmaci, apparecchio per misurazione della pressione arteriosa con differenti bracciali a seconda della diversa età, aspiratori, lettino con possibilità di postura in Trendelemburg, ossigeno umidificato, saturimetro, nebulizzatore o distanziatore per aerosolterapia, ecc) non ci sono preclusioni all’esecuzione in tale sede a meno che non ci sia, in virtù degli aspetti strutturali del DH, troppa promiscuità con gli altri bambini che afferiscono al servizio in quella mattinata. Un’ipotetica reazione grave al TPO deve essere gestita in un ambiente molto ben equipaggiato ma comunque riservato. Al bambino dovrebbe essere preliminarmente posta una agocannula per infusione endovenosa, è una cautela indispensabile a fronte di un disagio per il piccolo, davvero contenuto. Non ci sono ragionevoli motivi per non farlo. Inoltre in un gruppo di 204 bambini con dermatite atopica, e non con anafilassi, che erano stati sottoposti a 349 TPO alimenta- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 31 La Commissione percentuale di pronta disponibilità del rianimatore ma è probabile che il dato non si discosti molto dal precedente. Per tale motivo è importante che il pediatra sappia quali farmaci e presidi debba tenere a disposizione per un immediato impiego. Se si verifica una nuova reazione di anafilassi, durante un TPO, è meglio ospedalizzare il bambino in virtù dell’anafilassi bifasica 29. In studi pediatrici il 6% dei casi di anafilassi è progredita in una reazione bifasica 30 31. Anche se non sono stati stabiliti protocolli specifici sulla durata del periodo di osservazione una recente position paper suggerisce di tenere in osservazione per 6-8 ore i bambini con segni o sintomi respiratori, e per almeno 24 h, in terapia intensiva, i bambini che hanno presentato anafilassi con ipotensione arteriosa 4. Le stesse precauzioni da adottare nel caso di pregressa anafilassi alimentare andrebbero attuate nel caso di una sospetta Food Protein-Induced Enterocolitis Syndrome (FPIES) o enterocolite allergica cibo-indotta, caratterizzata dall’esordio precoce, spesso prima dei 9 mesi di vita, dalla negatività della ricerca delle IgE specifiche, dalla sintomatologia solo gastrointestinale con vomito e diarrea dopo esposizione all’alimento incriminato, drastico miglioramento con la sospensione dell’alimento responsabile, e ripresa dei segni gastrointestinali al TPO con l’alimento offendente 32 33. Riassumendo, il TPO per testare un bambino con pregressa anafilassi, dovrebbe essere sempre condotto in ambiente ospedaliero, sempre con l’alimento fresco e nella maggior parte dei casi in aperto, con posizionamento preliminare dell’agocannula, e con la pronta disponibilità di un rianimatore. mg = 0,5 ml) per via intramuscolare profonda, preferibilmente nel muscolo vasto laterale della coscia 34. Per fare questa iniezione, il bambino andrebbe steso supino sollevandogli le gambe in posizione antishock, allo scopo di ridistribuire la massa circolante e favorire la perfusione degli organi vitali. Se non vi è dispnea è meglio porre il bambino nella posizione di Trendelenburg. Tenere sollevato o in posizione eretta il piccolo potrebbe diminuire il ritorno venoso e causare un arresto cardiaco 35. Inoltre poiché a causa dell’ipossia cerebrale può verificarsi una variazione nel livello neurologico di attività ed obnubilamento del sensorio con ipotetica perdita di coscienza, è importante mantenere tale posizione per ovviare all’ipotetico inconveniente del trauma cranico da caduta. In seconda battuta utilizzare antistaminici per via e.v. (ad es. clorfenamina maleato), infondere soluzioni saline isotoniche (fisiologica) alla dose di 20-30 ml/kg nel bambino nella prima ora e, dopo aver rivalutato la pervietà delle vie aeree, somministrare ossigeno, eventualmente con cannula di Mayo, alla dose di 6-8 l/min, specie se la sintomatologia si protrae o se la saturimetria lo suggerisce. L’adrenalina, sempre per via i.m., è ripetibile, se non si osserva efficacia, dopo 5-10 minuti. Devono essere somministrati anche broncodilatatori short-acting, ad es. salbutamolo, se compare broncostruzione e corticosteroidi, es. idrocortisone o metilprednisone. Questi farmaci hanno minore rapidità di azione ed efficacia rispetto all’adrenalina, ma sono indicati come intervento di supporto aggiuntivo. La loro somministrazione è finalizzata a ottenere un effetto adiuvante in caso di persistenza dei sintomi. In caso di edema laringeo con stridore e difficoltà respiratoria si può associare la somministrazione di adrenalina per via aerosolica 4. Quali farmaci devono essere tenuti a portata di mano in caso di reazione di tipo anafilattico? Da quale dose iniziale di alimento è lecito partire nel TPO di un bambino con pregressa anafilassi? Risposta breve - Adrenalina; - antistaminici; - cortisonici. Risposta breve Dalla dose minima, specifica per alimento, come suggerito dall’anamnesi e dalla letteratura. Risposta estesa La prima cosa da fare è assicurarsi che nella sala medica sia già predisposto il necessario dei farmaci (con i quantitativi individualizzati al peso del bambino, già pronti nella siringa) e di attrezzature per far fronte a una eventuale emergenza. L’altro aspetto importante, in caso di episodio di anafilassi, è riconoscerlo perché il rapido trattamento è cruciale. Dopo aver assicurato l’ABC, devono essere somministrati 0,01 ml/kg di una soluzione acquosa di adrenalina 1:1000 (dose max 0,5 Risposta estesa Non è possibile stabilire la stessa dose iniziale per tutti gli alimenti, ma la dose iniziale deve essere stabilita alimento per alimento. Nel TPO tradizionale, non eseguito in bambini con pregressa anafilassi, la dose iniziale deve essere suggerita dall’anamnesi e dai dati della letteratura 36. Ovviamente tali dosi iniziali non dovrebbero mai essere superate in virtù del maggior rischio del bambino con pregressa anafilassi. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 32 La Commissione Tab. I. Dosi iniziali dei principali alimenti da utilizzare nei TPO. Alimento Dose Arachide 0,1 mg Latte vaccino 0,1 ml Uovo 1 mg Merluzzo 5 mg Grano 100 mg Soia 1 mg Gamberetto 5 mg Nocciola 0,1 mg Risposta estesa Non esistono studi comparativi che documentino una diversa risposta immune tra la somministrazione a 10, 15, 30 o 60 minuti. Anche su questo argomento si scontrano le 2 esigenze diverse: da un lato quella di cautelare il piccolo da reazioni severe, proponendo intervalli più lunghi fra una somministrazione e l’altra, dall’altro quella di non rendere troppo prolungato il TPO. Poiché però il piccolo è in ambiente ospedaliero e stiamo valutando, per lui, una cosa importante davvero, crediamo che l’intervallo fra una somministrazione e l’altra non debba essere inferiore a 20 minuti. Così facendo dieci dosi crescenti vengono somministrate in complessive 3 ore e questo sembra più che ragionevole sia se il bambino è ricoverato in reparto sia se è in DH Il test labiale, eseguito ponendo un goccia dell’alimento, diluito o non, nel cercine gengivale inferiore e non sul labbro inferiore, è un buon sistema per iniziare un TPO, benché non ci siano dimostrazioni di una sua predittività. Attenzione però, perché, una sicura positività (ovvero il manifestarsi di una reazione clinica evidente), dopo la somministrazione di una dose così bassa, suggerisce l’opportunità, quando si ripeterà nel tempo il TPO, di progredire più lentamente e con dosi più basse. Ad esempio per il latte vaccino può essere seguita la seguente modalità, per preparare la prima dose, diluendo un goccia di latte vaccino in acqua con diluizione 1:100 e proponendo una goccia della soluzione 37. Di contro una negatività clinica dopo la prima dose labiale non deve indurre una falsa sensazione di sicurezza ma mantenere invariate tutte le norme di sicurezza. Il motivo per cui Spergel et al. hanno osservato su 69 bambini che afferivano al loro centro per anafilassi da alimento solo 22 reazioni di anafilassi al TPO di controllo verte sul fatto che, almeno in una buona percentuale dei casi, il TPO veniva interrotto ai primi segni clinici prima che si verificasse l’anafilassi 38. In una casistica di bambini portatori di dermatite atopica ma non di anafilassi, con allergia a latte e uovo, attraverso la realizzazione di 52 TPO, è stato suggerito un modello per TPO a basse dosi, per latte e uovo, ma occorreranno nuove osservazioni per sapere se questo modello possa essere traslabile in casistiche di bambini con anafilassi 39. Con TPO negativo eseguito per verificare avvenuta tolleranza dopo pregressa anafilassi, possiamo dare l’indicazione di reintrodurre l’alimento a casa senza altre precauzioni? Risposta breve - No. Risposta estesa Anche in tale circostanza qualche cautela è raccomandata. Non esistono lavori, nei bambini con anafilassi alimentare, che abbiano studiato, comparativamente, la reattività nei confronti di una dose di alimento proposta in maniera refratta in 3 o 5 ore rispetto a quello che può essere il comportamento del sistema immunitario se la dose è assunta in un breve intervallo di tempo, di norma pochi minuti, come quando, nella vita di tutti i giorni, si consuma una tazza di latte vaccino o un uovo. La raccomandazione, ove possibile da un punto di vista organizzativo, è quella di riproporre, nella giornata successiva al classico TPO, un nuovo test dove l’alimento, ovviamente in aperto, venga riproposto in un tempo molto breve, pochi minuti, con le identiche modalità di quanto potrebbe succedere a domicilio, proprio perché, non esistendo lavori che abbiano studiato comparativamente tale situazione, dobbiamo mettere in opera ogni provvedimento per tutelare il bambino con pregressa anafilassi specialmente in situazioni di particolare ansietà della famiglia, in cui è consigliabile dare la possibilità al bambino di ritornare in ospedale e completare il tutto in una seconda seduta di DH. Il TPO dovrebbe essere ripetuto, anche se negativo, nel caso ci si ac- Quale intervallo di tempo è raccomandato fra una dose e l’altra nel corso di un TPO con pregressa anafilassi? Risposta breve - 20 minuti. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 33 La Commissione cutipositivi ipoteticamente cross-reattivi con l’alimento incriminato? corgesse di averlo eseguito mentre il bambino assumeva farmaci anti-allergici, che potrebbero aver mascherato o ridotto la possibile reazione allergica. Risposta breve - L’alimento cutinegativo può somministrato a domicilio; - l’alimento cutipositivo deve essere testato con TPO se non è mai stato assunto di recente; - l’alimento cutipositivo può essere lasciato nella dieta se è stato già assunto di recente senza reazione. Se un bambino con pregressa anafilassi presenta, ad un TPO eseguito per saggiare la tolleranza, una reazione allergica, ad esempio solo orticaria diffusa, senza anafilassi, siamo autorizzati a sospendere la precedente indicazione all’adrenalina autoiniettabile? In caso di cutinegatività l’alimento, ipoteticamente cross-reattivo, può essere somministrato a domicilio senza particolari precauzioni. Non è previsto in questo caso un TPO ospedaliero. In caso di cutipositività ci si comporterà come per gli altri alimenti cutipositivi. Se già introdotti nella dieta senza reattività clinica devono essere mantenuti nella dieta, perché non avrebbe senso eliminare dalla dieta un alimento perfettamente tollerato, benché cutipositivo. Nel caso in cui l’alimento cutipositivo non sia stato ancora introdotto nella dieta si dovrà eseguire la stessa procedura utilizzata nel TPO per l’alimento coinvolto nell’anafilassi. Infatti il sistema immunitario del bambino non reagisce ad alimenti ma ad epitopi allergenici posti su proteine allergeniche. Il riconoscimento degli epitopi, da parte dell’allergico è individuale e non riconducibile a dati statistici. Non esistono ancora mezzi diagnostici applicabili alla routine che ci permettano di distinguere chi reagirà tra coloro che sono cutipositivi. La cutipositività è legata al riconoscimento di una omologia di sequenza tra molecole simili, la cross reattività clinica al riconoscimento di un determinato numero e tipo di valenze allergeniche che il singolo bambino “vede” sull’allergene. Risposta breve - No. Risposta estesa No. Non esistono dati di letteratura o “prove” che ci assicurino al 100% che ad una nuova reintroduzione dell’allergene la reazione possa essere la stessa, soprattutto nel singolo bambino e magari in condizioni diverse (infezioni, attività fisica, assunzione di farmaci, etc.). Saremmo stati autorizzati a sospendere l’adrenalina solo se il bambino, nel corso del TPO, avesse assunto, senza reazione, tutte le dosi e se l’introduzione dell’alimento, il giorno dopo e in unica dose, non avesse evocato reazioni. Se un bambino ha presentato una pregressa anafilassi da alimenti come ci comportiamo nei confronti degli allergeni alimentari cutinegativi o Bibliografia 1 2 3 4 5 Host A, Andrae S, Charkin S, Diaz-Vazquez C, Dreborg S, Eigenmann PA, et al. Allergy testing in children: why, who, when and how? Allergy 2003;58:559-69. Sampson HA, Mendelson L, Rosen JP. Fatal and near-fatal food anaphylaxis reactions in children. N Eng J Med 1992;327:380-4. Primeau MN, Kagan R, Joseph L, Lim H, Dufresne C, Duffy C, et al. The psychological burden of peanut allergy as perceived by adults with peanut allergy and the parents of peanut-allergic children. Clin Exp Allergy 2000;30:1135-43. Muraro A, Roberts G, Clark A, Eigenmann PA, Halken S, Lack G, et al. EAACI Task Force on Anaphylaxis in Children. The management of anaphylaxis in childhood: po- 6 7 8 sition paper of the European academy of allergology and clinical immunology. Allergy 2007:62:857-71. 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La terapia delle allergie alimentari è ben codificata, e consiste nel consigliare di evitare la assunzione dell’alimento allergizzante, quindi una dieta rigorosa, e in caso di precedenti reazioni anafilattiche, raccomandare l’impiego della adrenalina auto-iniettabile. Più di recente tuttavia il dogma che la dieta rigorosa sia l’unico modo possibile per favorire lo sviluppo della tolleranza, oltre che per prevenire ulteriori reazioni allergiche, è stato messo in dubbio da alcune osservazioni 1, ma anche dal riscontro di una più frequente recidiva della allergia alle arachidi nei soggetti che ne interrompevano la assunzione dopo aver recuperato la tolleranza, rispetto a quelli che continuavano ad assumerle più regolarmente 2. Come a suggerire quindi che non la dieta, bensì la continua somministrazione di un alimento potesse favorire lo sviluppo o il mantenimento della tolleranza. Di qui un supporto a quanti sostengono la possibilità di praticare una terapia desensibilizzante orale ai bambini con allergia alimentare, proposta e praticata già circa 20 anni fa da Mc Ewen 3 e oggetto di rinnovato interesse e dibattito in letteratura. Negli ultimi anni in particolare sono stati pubblicati diversi studi sull’argomento, la gran parte tuttavia di bassa qualità, poiché viziati da bias metodologici (diagnosi di allergia posta in modo incerto, assenza di randomizzazione, assenza di gruppi di controllo, casistiche piccole, etc.) nei quali la desensibilizzazione orale si è dimostrata efficace in percentuali molto variabili (tra il 37% e l’83%) 4 5. Allo stesso modo molto differente è stata la frequenza di effetti collaterali descritti, oscillante tra il 12,5% e il 100% 5 6. In tutti i casi comunque le rea- Obiettivi dello studio Obiettivo primario dello studio è valutare l’efficacia e la tollerabilità della desensibilizzazione orale con latte vaccino fresco, in bambini con allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) Ig (immunoglobulina) E mediata, in un periodo di tempo della durata di sei mesi, mediante induzione della tolleranza attraverso 2 diversi protocolli: a) partendo da dosi estremamente basse e con incrementi quotidiani progressivi, fino alla ingestione di una dose di 150 ml o comunque alla dose massima tollerata; b) partendo da dosi basse, con incrementi progressivi raggiungere la dose di 1 ml di latte che viene tenuto in bocca per due minuti e poi sputato. I risultati dei due gruppi saranno paragonati a quelli di un gruppo di controllo che rimarrà a dieta senza latte nello stesso periodo di tempo. L’efficacia sarà valutata determinando: a) la tolleranza totale per il latte, ovvero la percentuale di bambini che sono in grado di completare lo studio ingerendo la quantità massima prevista di latte, e che mantengono la tolleranza, verificata con un test in doppio cieco contro placebo, dopo un mese di sospensione del latte dalla dieta; b) la tolleranza parziale, ovvero la percentuale di Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 36 La Commissione bambini che sono in grado di completare lo studio ingerendo una quantità di latte inferiore alla quantità massima prevista di latte, ma comunque superiore a 30 ml, e che mantengono la tolleranza per la stessa quantità, verificata con un test in doppio cieco contro placebo, dopo un mese di sospensione del latte dalla dieta; c) in coloro che non raggiungono la tolleranza verrà verificato un eventuale aumento della dose minima in grado di provocare la comparsa di sintomi al Test di Provocazione Orale (TPO) in doppio cieco (Double Blind Placebo Controlled Food Challenge – DBPCFC) eseguito all’arruolamento ed alla conclusione dello studio; d) il verificarsi di eventuali reazioni insorte in seguito alla inavvertita assunzione dell’alimento nella dieta dei soggetti appartenenti ai tre gruppi. La tollerabilità sarà valutata sulla base della presenza o meno di sintomi durante gli incrementi della dose nei due gruppi di pazienti sottoposti a desensibilizzazione orale. Obiettivo secondario sarà valutare se i trattamenti desensibilizzanti sono in grado di condizionare una riduzione del diametro del pomfo verso le diverse proteine del latte vaccino e/o una variazione nel livello delle IgE sieriche specifiche (IgEs). Lo studio dovrà essere sottoposto e approvato dai Comitati Etici dei centri partecipanti (allegato 1) e i genitori del bambino arruolato firmeranno il consenso informato all’arruolamento nello studio (allegato 2). Criteri di inclusione nello studio Verranno arruolati pazienti di età compresa tra 5 e 18 anni, affetti da APLV IgE mediata, a dieta priva di proteine del latte vaccino da almeno 12 mesi, giunti all’osservazione nei vari centri partecipanti allo studio. In tutti la diagnosi di APLV verrà confermata, prima dell’ inizio della desensibilizzazione orale, attraverso DBPCFC (Allegato 3). Per eseguire tale test sarà necessario acquisire il consenso informato (Allegato 4). Protocollo dello studio I pazienti in cui la APLV verrà confermata saranno randomizzati, dopo aver ottenuto il consenso informato, in tre gruppi: a) ai bambini afferenti al primo gruppo (Protocollo n. 1) verranno somministrate dosi lentamente crescenti di latte vaccino per os, fino a raggiungere la dose di 150 ml (tab. I). Questo gruppo continuerà ad assumere il latte vaccino per cinque mesi, quindi riprenderà la dieta per un mese e poi ripeterà un DBPCFC; b) ai bambini afferenti al secondo gruppo (Protocollo n. 2) verranno somministrate dosi lentamente crescenti di latte vaccino, trattenuto in bocca per due minuti e poi sputato, partendo da 0,1 ml (2 gocce) ed aumentando, progressivamente la dose di 0,1 ml ogni 2 settimane fino alla dose di 1 ml (Tab. II). Questo secondo gruppo continuerà ogni mattina e per altri cinque mesi a trattenere in bocca per 2 minuti 1 ml di latte vaccino per poi sputarlo, quindi sospenderà per 1 mese e poi ripeterà un DBPCFC; c) i bambini afferenti al terzo gruppo continueranno la dieta priva di proteine del latte vaccino per 12 mesi ed al termine ripeteranno un DBPCFC. Popolazione È previsto l’arruolamento di un minimo di 60 bambini, 20 per gruppo. Il campione è stato calcolato secondo le seguenti assunzioni: - guarigione del 10% nei trattati a dieta senza proteine del latte vaccino; - guarigione attesa del 50% nei trattati con desensibilizzazione per il latte vaccino; - potenza dello studio 80%; - errore di prima specie 5%. Date queste assunzioni si ottiene un campione di 17 unità per gruppo che vengono aumentate ad almeno 20 per gruppo per tenere conto dei possibili drop outs. Inizio dello studio I pazienti arruolati in entrambi i gruppi di trattamento attivo riceveranno in osservazione, in ospedale (è consigliato il regime di day hospital), le prime tre somministrazioni di latte all’ inizio dello studio, mentre le rimanenti somministrazioni verranno effettuate a domicilio. Il trattamento verrà iniziato a partire dal giorno successivo a quello in cui si è concluso il secondo accesso per DBPCFC (e comunque entro 15 giorni dal È previsto dal 1 gennaio 2008. Disegno dello studio Si tratta di uno studio prospettico, randomizzato, multicentrico. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 37 La Commissione DBPCFC) e sono previsti controlli mensili. A tutti i pazienti arruolati nello studio verranno fornite istruzioni scritte circa la modalità di trattamento di eventuali reazioni anafilattiche. In particolare si prescriverà adrenalina autoiniettabile e si istruirà adeguatamente la famiglia e/o il paziente stesso circa il trattamento di una reazione allergica e di una anafilassi. Si consiglierà inoltre, durante il periodo dello studio: - di tenere in osservazione il bambino per almeno 2 ore dopo la somministrazione dell’alimento; - di evitare la attività sportiva, bagni caldi o la ingestione di altri cibi freddi per almeno sei ore dopo la somministrazione dell’alimento; - di registrare eventuali reazioni insorte in seguito alla inavvertita assunzione di alimenti contenenti proteine del latte vaccino; - nel gruppo che esegue la desensibilizzazione orale con ingestione dell’alimento, di diluire il latte in 50 ml di placebo, ad esempio il suo abituale latte sostitutivo del latte vaccino o un succo di frutta alla banana o alla pera e di non informare il bambino circa gli aumenti della dose, sì da evitare possibili reazioni psicologiche. Analogamente, anche i pazienti appartenenti al secondo gruppo, ossia coloro che non ingeriscono l’alimento ma lo trattengono in bocca per 2 minuti, dovranno diluire il latte vaccino con 1 ml placebo; - di compilare un diario clinico, registrando ogni sintomo insorto nelle ore successive alla ingestione dell’ alimento; - di somministrare, in caso di reazioni allergiche lievi (rinite, congiuntivite, nausea, fugaci dolori addominali, vomito, prurito del cavo orale o prurito e orticaria localizzata del volto o generalizzata), in cui manchi una sostanziale difficoltà respiratoria o un interessamento cardiovascolare, che non si risolvano spontaneamente nel giro di 20 minuti, loratadina, alla dose di 5 mg nei bambini di peso < 30 kg ed alla dose di 10 mg nei bambini di peso > 30 kg. In tal caso, il giorno successivo, sarà somministrata nuovamente in ospedale la dose che ha preceduto quella che ha causato la reazione clinicamente evidente ed il protocollo riprenderà da quel momento; - nel caso invece di reazioni più lievi o dubbie, che non richiedano la somministrazione di farmaci, o si realizzino in concomitanza di eventi infettivi o manifestazioni allergiche respiratorie, sarà consentito procedere con l’aumento della dose di latte, rallentando la progressione e concordando la procedura con l’investigatore responsabile; - in caso di reazioni più intense (prurito e orticaria generalizzata, angioedema, raucedine o difficoltà respiratoria, vomito o dolori addominali, ipotensione o shock) si somministrerà subito adrenalina 1:1000 alla dose di 0,01 ml/kg (fino alla dose max di 0,5 ml) (o adrenalina autoiniettabile nelle dosi adeguate qualora la reazione si verifichi a domicilio) per via intramuscolare profonda e loratadina, alla dose di 5 mg nei bambini di peso < 30 kg ed alla dose di 10 mg nei bambini di peso > 30 kg e, se necessario betametasone, alla dose di 0,1 mg/ kg e β2-stimolante per via aerosolica; se si verificano tali circostanze il paziente interromperà la partecipazione allo studio e il caso verrà conteggiato come insuccesso. Metodologia di randomizzazione I bambini saranno assegnati ad uno dei tre gruppi di trattamento secondo una sequenza stabilita precedentemente. Per garantire il rispetto della randomizzazione, la assegnazione ad uno dei tre gruppi di trattamento sarà stabilita di volta in volta da un investigatore “centralizzato” non partecipante all’arruolamento. Per garantire inoltre una omogenea distribuzione dei trattamenti all’interno di ogni centro verrà effettuata una randomizzazione a blocchi per singolo centro. Criteri di esclusione dallo studio - Pazienti di età inferiore ai 5 anni; - pazienti che abbiano presentato al TPO una anafilassi moderata o grave come recentemente definita dalla European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI) (Tab. III) dopo la ingestione di una quantità di latte ≤ 0,3 ml. Dosaggio delle IgE specifiche Tutti i bambini verranno sottoposti 3 volte al dosaggio delle IgEs (ImmunoCap Phadia) nei confronti della lattalbumina, caseina, beta-lattoglobulina e a prick test (Lofarma) nei confronti del latte intero e delle tre proteine del latte (lattalbumina, caseina, beta-lattoglobulina). Tali dosaggi verranno eseguiti all’arruolamento nello studio, alla fine del trattamento attivo dopo 6 mesi, e in occasione del TPO, dopo un mese di dieta, alla fine dello studio. Infine, negli stessi tempi verranno prelevati e conservati 3 ml di siero a -20 °C per effettuare il dosaggio delle molecole allergeniche con microarray (test ISAC). Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 38 La Commissione Metodologia di esecuzione del prick test mentata, sia in campo nazionale che internazionale 1-7, con risultati incoraggianti per la discreta possibilità di raggiungere una tolleranza almeno parziale per il latte (50-70%), con una bassa evenienza di reazioni allergiche gravi, peraltro variabile nei diversi protocolli impiegati. Tuttavia gli studi pubblicati fino a oggi hanno una scarsa qualità metodologica, essendo case report, o eseguiti senza gruppi di controllo, fatta eccezione per un unico studio clinico randomizzato 4. Anche le metodologie proposte sono state diverse: alcuni studi prevedevano la somministrazione orale del latte a dosi crescenti fino a raggiungere in un tempo più o meno lungo una quantità consistente (circa 200 ml). Altri invece, studiavano la possibilità di raggiungere la tolleranza attraverso la ripetuta somministrazione di piccole dosi (1 ml) di latte che veniva trattenuto in bocca solo per qualche minuto, e poi sputato. Lo studio multicentrico proposto dalla Società Italiana di Allergologia ed Immunologia pediatrica è il primo randomizzato e controllato, che si propone di valutare la possibilità di acquisire la tolleranza nei confronti del latte vaccino, in bambini di età superiore ai 5 anni, con entrambe le modalità finora sperimentate. Esso prevede di confrontare un gruppo che esegue la desensibilizzazione orale con dosi progressivamente crescenti di latte vaccino, un secondo gruppo che effettua la somministrazione di piccole dosi, trattenute in bocca e poi sputate ed un terzo gruppo, di controllo, che continua a mantenere la dieta. Scopo principale di questo studio è valutare se tale nuovo approccio terapeutico sia in grado di far raggiungere una tolleranza nei confronti del latte vaccino in un tempo più rapido di quello che occorre naturalmente. Poiché alcuni studi hanno messo in dubbio la persistenza dei risultati della desensibilizzazione nel tempo, soprattutto se il paziente non dovesse più assumere il latte nella dieta, nello studio è inclusa una seconda fase che prevede la sospensione della somministrazione del latte per un mese e un secondo test di provocazione orale per testare la persistenza della tolleranza. Si allega il Protocollo, così come elaborato dalla Commissione Allergia alimentare, Anafilassi e Dermatite atopica della Società Italiana di Allergologica ed Immunologia pediatrica. I pazienti, arruolati dai vari centri che aderiscono allo studio, verranno continuamente monitorati, sia in regime di day hospital, che ambulatoriale e gli sperimentatori daranno una disponibilità telefonica 24 ore su 24. La sperimentazione dura, in media, sei mesi per ogni paziente. I genitori saranno adeguatamente informati del fatto che si tratta di una terapia ancora sperimentale e firmeranno un modulo di consenso informato (Allegato 2). Sulla superficie volare dell’avambraccio verranno eseguiti prick test con latte vaccino fresco intero, ed estratti commerciali, di caseina, di beta-lattoglobulina e di lattoalbumina (Azienda Lofarma). Verrà utilizzata una lancetta metallica con punta da 1 mm e si avrà cura di sostituire la lancetta ad ogni prick. In ogni caso, per la metodologia da utilizzare per l’esecuzione del prick test saranno seguite le indicazioni internazionali note. Le reazioni verranno lette dopo 15 minuti, ed il prick verrà considerato positivo se il diametro medio (media della somma dei due diametri ortogonali) del pomfo sarà di almeno 3 mm superiore a quello della soluzione di controllo negativo. Come controllo positivo si userà istamina (10 mg/ml) con lettura a 10 minuti. Come controllo negativo sarà adoperata la soluzione diluente gli allergeni. Allegato 1 (Richiesta per il Comitato Etico) Spett. Dott. ……… (il nome del Responsabile del Comitato Etico della struttura di appartenenza) Noi sottoscritti ……… (i nomi dei medici che condurranno la sperimentazione e qualifica), chiediamo al Comitato Etico della ………, l’autorizzazione a condurre una sperimentazione terapeutica in bambini affetti da allergia alle proteine del latte vaccino Ige mediata. Si tratta di uno studio prospettico, multicentrico, proposto dalla Commissione Allergia alimentare, Anafilassi e Dermatite atopica della Società Italiana di Allergologia ed Immunologia pediatrica, cui noi vorremmo partecipare in qualità di centro allergologico pediatrico. La sperimentazione consiste in una “desensibilizzazione orale con latte vaccino” in bambini di età superiore ai 5 anni . In caso di allergia alimentare IgE mediata le Linee Guida ufficiali prevedono l’esclusione dell’alimento dalla dieta, fino alla dimostrazione della acquisita tolleranza. La storia naturale delle allergie alimentari infatti mostra che con il passare degli anni una percentuale sempre maggiore di bambini posti a dieta tollera il latte vaccino. Tuttavia dall’età di 5 anni tale percentuale diminuisce e le probabilità di tollerare il latte si riducono, mentre i bambini sono sempre più a rischio di sviluppare reazioni allergiche, talora gravi, per la frequente eventualità di assumere inavvertitamente il latte, contenuto spesso in tracce in altri alimenti. La desensibilizzazione orale per alimenti si contrappone a tale approccio tradizionale, ed è stata già speri- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 39 La Commissione Le prospettive di un risultato positivo sembrano essere notevoli e pertanto chiediamo l’autorizzazione a procedere nella sperimentazione. Data……… do di 1 mesi, fino alla dose di 1 ml al giorno, e poi continuando per altri 5 mesi; c) dieta senza proteine del latte vaccino per 12 mesi. Alla fine di detto periodo in tutti i bambini verrà effettuato di nuovo un test di provocazione in doppio cieco contro placebo, dopo 1 mese di sospensione del latte dalla dieta, per verificare lo sviluppo effettivo della tolleranza verso il latte. Questo perché gli studi effettuati fino ad ora hanno messo in evidenza che in molti bambini la tolleranza che si sviluppa verso il latte è comunque dipendente dalla assunzione del latte: ovvero è anche possibile che dopo un periodo di sospensione del latte vaccino dalla dieta, possano di nuovo verificarsi reazioni allergiche al latte. Sarà, ovviamente, rispettata la legge sulla privacy, pertanto tutti i dati saranno utilizzati a fine scientifico in maniera aggregata, in altre parole non sarà possibile risalire al singolo paziente. Infine Lei potrà ritirarsi in qualunque momento dallo studio, senza che ciò influisca sulla migliore assistenza e terapie che continueranno ad essere assicurate a suo figlio. Io sottoscritto genitore, avente la patria potestà del minore:…………, essendo stato esaurientemente e chiaramente informato dal Dr.………su: princìpi, modalità d’esecuzione. scopi e possibili effetti indesiderati, anche possibilmente gravi, della terapia desensibilizzante orale Acconsento - a che mio/a figlio/a si sottoponga a tale prova, conscio che da parte del Dr. ………viene messa in atto ogni misura prudenziale. Con osservanza Allegato 2 Consenso informato alla partecipazione allo studio sulla terapia desensibilizzante orale La terapia della allergia alimentare consiste nella completa esclusione dell’alimento dalla dieta del bambino. Tuttavia, in casi selezionati per la persistenza della sintomatologia, considerato che con il passare del tempo aumenta anche la possibilità di una involontaria assunzione dell’alimento, che potrebbe esporre il bambino al rischio di una inaspettata reazione allergica grave, è stato proposto di effettuare un tentativo di terapia desensibilizzante. Questa terapia consiste nel somministrare l’alimento allergizzante in dosi progressivamente crescenti, molto lentamente e cominciando con dosi molto basse. Il tutto avendo a disposizione tutti i consigli e i farmaci utili per sedare l’insorgenza di una possibile reazione allergica o anafilattica. Negli studi fino ad ora effettuati le percentuali di successo, ovvero di raggiungimento della tolleranza dell’alimento, oscillano tra il 45 e l’83% nei diversi studi. Questo studio, che interessa diversi tra i principali centri di allergologia pediatrica in Italia, si propone di valutare l’efficacia e la sicurezza di due diversi protocolli di desensibilizzante orale, paragonandone l’esito con il continuare la dieta senza proteine del latte vaccino. A tal fine per evitare i fenomeni, anche involontari, di suggestione, per confermare la diagnosi di allergia al latte sarà utilizzata la metodica del test di provocazione in doppio cieco contro placebo: il bambino verrà sottoposto a 2 test di provocazione, di cui solo uno solo conterrà, all’insaputa sia del medico che del bambino, il latte vaccino. Se il test risulterà positivo, e Lei accetterà di partecipare allo studio, il bambino verrà assegnato in modo del tutto casuale (mediante lista di randomizzazione) ad uno dei tre trattamenti previsti dallo studio: a) desensibilizzazione orale partendo con dosi bassissime e aumentando gradualmente, nel periodo di 6 mesi, fino alla dose di 150 ml al giorno, o alla dose massima tollerata, poi continuando per altri 5 mesi; b) desensibilizzazione orale partendo con dosi bassissime e aumentando gradualmente, nel perio- Data Firma del Genitore/Tutore Firma del Medico Allegato 3 Modalità di esecuzione del test di provocazione in doppio cieco contro placebo Il DBPCFC può essere eseguito, secondo il documento dell’EAACI (Allergy 2004) modificato, come sotto descritto. I pasti verranno preparati secondo le seguenti indicazioni: - verum = 1/2 latte vaccino (senza lattosio ) + 1/2 miscela aminoacidi + 1 gr di aroma di banana; - placebo = miscela di aminoacidi + 1 gr di aroma di banana. Il pasto viene fornito in una siringa opaca o in un contenitore ricoperto da un foglio metallico. Il TPO viene Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 40 La Commissione interrotto se compaiono reazioni immediate di sicura positività clinica: rinite (secrezione nasale con starnuti ripetuti), congiuntivite (iperemia congiuntivale con fastidio oculare), broncostruzione (tosse, sibili, difficoltà respiratoria), vomito, orticaria (diversi elementi eritematopomfoidi non nelle sede di possibile contatto con l’alimento), angioedema, indipendentemente dall’intensità e lo si considera positivo. Eseguito il primo TPO con verum o placebo, nelle 48 ore che seguono il bambino prosegue la dieta di eliminazione. Dopo 48 ore dalla prima provocazione e prima della seconda prova viene rivalutato l’esame obiettivo. Al termine dei test può essere aperta la busta chiusa con la randomizzazione, lasciata dal personale deputato alla preparazione degli alimenti da testare. Le dosi da somministrare sono 7, per ogni TPO, di verum e placebo, somministrate, ogni 20 minuti: 0,1 ml (2 gocce), 0.3 ml (6 gocce), 1 ml (20 gocce), 3 ml, 10 ml, 30 ml, 100 ml. Tab. I. Protocollo n. 1. 1°-6° giorno: 1 goccia + placebo fino a 50 ml 7°-12° giorno: 2 gocce + placebo fino a 50 ml 13°-18° giorno: 3 gocce + placebo fino a 50 ml 19°-24° giorno: 4 gocce + placebo fino a 50 ml 25°-30° giorno: 5 gocce + placebo fino a 50 ml 31°-35° giorno: 6 gocce + placebo fino a 50 ml 36°-40° giorno 7 gocce + placebo fino a 50 ml 41°-45° giorno: 8 gocce + placebo fino a 50 ml 46°-50° giorno: 10 gocce + placebo fino a 50 ml 51°-55° giorno: 12 gocce + placebo fino a 50 ml 56°-60° giorno: 14 gocce + placebo fino a 50 ml 61°-64° giorno: 1 ml + placebo fino a 50 ml 65°-68° giorno: 1,5 ml + placebo fino a 50 ml 69°-72° giorno: 2 ml + placebo fino a 50 ml 73°-76° giorno: 3 ml + placebo fino a 50 ml 77°-80° giorno: 4 ml + placebo fino a 50 ml 81°-84° giorno: 5 ml + placebo fino a 50 ml 85°-88° giorno: 6 ml + placebo fino a 50 ml 89°-92° giorno: 7 ml + placebo fino a 50 ml 93°-95° giorno: 9 ml + placebo fino a 50 ml 96°-98° giorno: 11 ml + placebo fino a 50 ml 99°-101°giorno: 13 ml + placebo fino a 50 ml 102°-104° giorno:15 ml + placebo fino a 50 ml 105°-107° giorno: 18 ml + placebo fino a 50 ml 108°-110° giorno: 21 ml + placebo fino a 50 ml 111°-113° giorno: 24 ml + placebo fino a 50 ml 114°-116° giorno: 28 ml + placebo fino a 50 ml 117°-119° giorno: 32 ml + placebo fino a 50 ml 120°-122° giorno: 36 ml + placebo fino a 50 ml 123°-125° giorno: 41 ml + placebo fino a 50 ml 126°-128° giorno: 46 ml + placebo fino a 50 ml 129°-131° giorno: 51 ml 132°-134° giorno: 56 ml 135°-137° giorno: 62 ml 138°-140° giorno: 68 ml 141°-143° giorno: 74 ml 144°-146° giorno: 80 ml 147°-149° giorno: 86 ml 150°-152° giorno: 92 ml 153°-155° giorno: 98 ml 156°-158 giorno: 104 ml 159°-161° giorno: 110 ml 162°-164° giorno: 116 ml 165°-167° giorno: 122 ml 168°-170° giorno: 129 ml 171°-173° giorno: 136 ml 174°-176° giorno: 143 ml 177°-179° giorno: 150 ml Allegato 4 Consenso informato per test di provocazione alimentare Data………………… Io sottoscritto/a ………………… padre/madre del paziente ………………… ricoverato presso l’ Ospedale ………………… dichiaro di essere stato/a informato/a dal Dott. ………………… dei rischi che mio/ a figlio/a corre a seguito della esposizione all’alimento fino ad oggi escluso dalla dieta. Ho ben compreso che l’alimento sarà somministrato a mio figlio/a in dosi progressivamente crescenti, in modo nascosto in altri alimenti. Sono consapevole, inoltre, che tale test di provocazione rappresenti il modo più attendibile per porre con certezza la diagnosi di allergia alimentare, come riconosciuto dalle varie Società di Allergologia ed Immunologia nazionali ed internazionali, ma anche del fatto che tale test non sia del tutto privo di rischi, potendo causare reazioni anafilattiche anche gravi, solo eccezionalmente fatali. Avendo, pertanto, chiaramente compreso quanto sopra, acconsento alla somministrazione dell’alimento in oggetto, essendo stato rassicurato dal Dott. ……………………………………. che il test sarà sospeso allorquando compariranno sintomi chiaramente collegati alla somministrazione dell’alimento e che ogni misura prudenziale sarà presa per far fronte ad eventuali reazioni, anche gravi. In fede Il genitore Il Medico Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 41 La Commissione Tab. II. Protocollo n. 2. 1°-15° giorno: 0,1 ml pari a 2 gocce + placebo fino a 1 ml 16°-30° giorno: 0,2 ml “ a 4 gocce + placebo fino a 1 ml 31°-45° giorno: 0,3 ml “ a 6 gocce + placebo fino a 1 ml 46°-60° giorno: 0,4 ml “ a 8 gocce + placebo fino a 1 ml 61°-75° giorno: 0,5 ml “ a 10 gocce + placebo fino a 1 ml 76°-90° giorno: 0,6 ml “ a 12 gocce + placebo fino a 1 ml 91°-105° giorno: 0,7 ml “ a 14 gocce + placebo fino a 1 ml 106°-120° giorno: 0,8 ml “ a 16 gocce + placebo fino a 1 ml 122°-135° giorno: 0,9 ml “ a 18 gocce + placebo fino a 1 ml 136°-180° giorno:1 ml “ a 20 gocce Mareggiata a Scilla - Antonio Cardona Tab. III. Gradi di severità della reazione anafilattica (da Muraro et al. 8). Grado Cute Gastrointestinale Respiratorio 1 lieve Improvviso prurito degli occhi e del naso, prurito generalizzato, flushing, orticaria, angioedema Prurito o pizzicore orale, lieve edema delle labbra, nausea o vomito, lievi dolori addominali Congestione nasa- Tachicardia (aumen- Variazioni del le e/o starnuti, rinor- to di > 15 battiti/ livello di attivirea, prurito della go- min) tà più ansia la, gonfiore della gola, lieve wheezing 2 moderata Come sopra Come sopra, dolori crampiformi addominali, diarrea, vomito ricorrente Come sopra raucedi- Come sopra ne, tosse abbaiante, difficoltà alla deglutizione, stridore, dispnea, wheezing moderato 3 grave Come sopra Come sopra, perdi- Come sopra, cianosi Ipotensione e/o col- C o n f u s i o n e , ta di controllo degli o saturazione di O2 < lasso disritmia, gra- perdita di cosfinteri 92% arresto respira- ve bradicardia e/o scienza torio arresto cardiaco Bibliografia 1 2 3 4 5 Flinterman AE, Knulst AC, Meijer Y, Bruijnzeel-Koomen CAF M, Pasmans SGMA et al. Acute allergic reactions in children with AEDS after prolonged cow’s milk elimination diets. Allergy 2006;61:370-4 Sicherer SH. An expanding evidence base provides food for thought to avoid indigestion in managing difficult dilemmas in food allergy. J Allergy Clin Immunol 2006;117:1419-22. Mc Ewen LM. Hyposensitization. In: Brostoff J, Challacombe SJ (eds.). Food allergy and intolerance. Philadelphia: Baillier Tindall 1988, pp. 985-994. Patriarca G, Nucera E, Roncallo C, Pollastrini E, Bartolozzi F, De Pasquale T, et al. Oral desensitizing treatment in 6 7 8 Neurologico Lieve stordimento, sensazione di morte imminente food allergy:clinical and immunological results. Aliment Pharmacol Ther 2003;17:459-65. De Boissieu D, Dupont C. Sublingual immunotherapy for cow’s milk protein allergy: a preliminar report. Allergynet 2006;61:1238-9. Longo G, Barbi E. Anafilassi da allergia alle proteine del latte vaccino: clinica, storia naturale, challenge e desensibilizzazione orale. Medico e Bambino 2004;23:20-9. Calvani M, Zappala D, Panetta V. Novità in Allergologia Pediatrica. Prospettive in Pediatria 2007; in press. Muraro A, Roberts G, Clark A, Eigenmann PA, Halken S, Lack G, et al. The management of anaphylaxis in childhood: a position paper of the European academy of allergology and clinical immunology. Allergy 2007;62:857-71. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 42 Cardiovascolare La Commissione Efficacia degli antistaminici anti-H1 nella terapia della dermatite atopica in età pediatrica. Una revisione sistematica A cura della Commissione Allergia alimentare, Anafilassi, Dermatite atopica Coordinatore: Mauro Calvani Membri: Marcello Bergamini, Irene Berti, Salvatore Bragò, Luigi Calzone, Iride Dello Iacono, Roberto Lisi Introduzione C)” 5. La Consensus sudafricana riporta che “gli studi Evidence Based sulla efficacia degli antistaminici orali nel trattamento della dermatite atopica hanno dato risultati contrastanti e il loro valore è spesso discusso. Gli antistaminici sedativi di prima generazione vengono tradizionalmente prescritti per il trattamento del prurito e per ottenere sedazione. Anche se possono essere di beneficio in alcuni pazienti, la loro efficacia è breve a causa della tachifilassi; per tale motivo possono essere richieste dosi maggiori e quindi vi è una controindicazione alla terapia a lungo termine. Potrebbero essere utili come terapia aggiuntiva durante le riacutizzazioni, in specie per l’effetto sedativo e ansiolitico. Dato che il prurito peggiora di notte, gli antistaminici sedativi potrebbero essere usati alla sera” 6. La dermatite atopica (DA) è la più comune malattia infiammatoria cronica della cute, descritta con una prevalenza del 10-20% dei casi nell’età pediatrica 1. È una malattia a decorso cronico-recidivante, intensamente pruriginosa. Per contrastare il prurito vengono frequentemente prescritti gli antistaminici, e tuttavia la letteratura in proposito è discordante. Nelle stesse più recenti Linee Guida o Consensus sull’argomento le raccomandazioni non sono uniformi. Ad esempio le Linee Guida Prodigy inseriscono gli antistaminici tra i trattamenti della DA con valore non provato e sull’argomento dicono che “gli antistaminici sedativi sono prescritti per favorire il sonno e ridurre il trattamento: comunque gli studi hanno fallito nel dimostrare un chiaro effetto sul prurito o sul trattamento globale dell’eczema” 2. La Position Paper redatta dall’European Task Force on Atopic Dermatitis afferma che “le evidenze a sostegno dell’efficacia degli antistaminici sistemici nel ridurre il prurito sono ancora insufficienti, ma alcuni pazienti sembrano giovarsene” 3. Le Linee Guida di Hanifin a proposito degli antistaminici dicono che “ci sono poche evidenze che gli antistaminici sedativi e non sedativi siano efficaci nell’alleviare il prurito o sintomi orticarioidi nei bambini con DA. Per i bambini con significativo disturbo del sonno dovuto al prurito, al dermografismo allergico, alla rinocongiuntivite allergica, gli antistaminici sedativi potrebbero essere utili. Molti dei pazienti con DA hanno anche rinocongiuntivite allergica, orticaria e dermografismo e quindi l’uso di un antistaminico potrebbe essere utile 4. Le Linee Guida di Leung, redatte secondo i livelli di evidenza, affermano “Alcuni pazienti possono giovarsi dell’uso di antistaminici per alleviare il prurito associato alla DA (livello di evidenza Scopo della revisione Lo scopo di questa revisione sistematica è quello di valutare l’esistenza di prove scientifiche dell’efficacia degli antistaminici anti-H1 nella terapia della DA in età pediatrica. Strategie di ricerca delle prove di efficacia Abbiamo condotto il processo di ricerca delle prove di efficacia selezionandole in modo gerarchico, secondo il principio di saturazione teoretica 7 8: siamo pertanto partiti dalla ricerca delle fonti di livello superiore (Revisioni Sistematiche – RS) su: Clinical Evidence, Cochrane Library, Database of Abstracts of Reviews of Effects (DARE), database Health Technology Asses- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 43 La Commissione sment (HTA), passando infine alle principali banche dati di studi biomedici (PubMed ed Embase). Questo tipo di strategia consente di interrompere la selezione dei lavori al livello di evidenza più elevato, laddove si sia identificata una prova di efficacia rilevante. Abbiamo consultato il registro meta-Register of Controlled Trials (mRCT) alla ricerca di eventuali studi in corso, il cui scopo coincidesse con il nostro quesito. Sia nella valutazione critica delle fonti secondarie che nella successiva ricerca delle fonti primarie, abbiamo dato esclusiva priorità, trattandosi di un quesito di intervento, agli studi randomizzati controllati (SCR), con la possibile inclusione, fra questi, anche di studi a popolazione mista, pediatrica e non. Non essendo a tutt’oggi conosciuto un unico gold standard terapeutico, né per il trattamento globale della DA, né per quello del prurito ad essa associato, abbiamo optato per l’esclusione degli studi di confronto fra due o più antistaminici o fra dosaggi diversi di uno stesso antistaminico in assenza di confronto con un placebo. Negli studi con modello “cross-over” abbiamo tenuto conto del possibile effetto di trascinamento del trattamento eseguito nel primo periodo sui risultati registrati nel secondo periodo. I termini usati nella ricerca delle sintesi di evidenza sono stati quelli, più generici, di “antihistamines”, “atopic dermatitis”, “atopic eczema”, “pruritus” e “itch”. Nella ricerca delle fonti primarie su MedLine, relativamente agli antistaminici, abbiamo utilizzato soltanto i termini inclusivi (Medical Subject Headings – MeSH), dopo aver attentamente controllato che il nome di ogni singolo principio attivo fosse effettivamente contenuto in essi. Per quanto riguarda invece Embase, non abbiamo potuto fare altrettanto avendo riscontrato gravi incongruenze fra i risultati della ricerca eseguita attraverso i termini inclusivi di quel database (Emtreeterms) e quelli della ricerca attraverso i singoli nomi farmacologici; abbiamo pertanto preferito affidarci solo a questi ultimi. Le fonti di evidenza terziarie (Linee Guida sulla DA) non sono state considerate. razione, assolutamente non sistematica, priva di una qualsivoglia descrizione della strategia di reperimento delle fonti. Il paragrafo dedicato alla DA riporta l’efficacia proveniente da un totale di 7 studi, solo 4 dei quali erano SCR; di questi, due erano lavori pediatrici 11 12; 3. una revisione sistematica, ancora del 1999, sull’efficacia degli antistaminici nel trattamento del prurito in corso di DA 13. La metodologia di ricerca prevedeva soltanto la Cochrane Library, Best Evidence e MedLine; gli Autori selezionano 16 studi clinici, fra i quali compaiono anche alcuni studi non randomizzati. Gli studi clinici comprendenti popolazione pediatrica sono sette 13-17; due di questi 11 12 erano già contenuti nella review precedente; 4. una RS da Health Technology Assessment 18, prodotta dallo stesso gruppo di autori del citato protocollo Cochrane citato, che seleziona 21 lavori. La metodologia di ricerca bibliografica risulta altamente esaustiva, i criteri adottati per l’inclusione/esclusione dall’analisi dei lavori selezionati sono molto chiari; a differenza della RS di Klein et al., nella quale era il prurito l’unico outcome di interesse per la ricerca in letteratura, qui vengono considerati pertinenti tutti gli outcomes relativi alla DA (sia i sintomi soggettivi, come il prurito e la perdita del sonno, sia i segni oggettivabili, rappresentati dalle multiformi lesioni dermatologiche della malattia, come eritema, escoriazioni, secchezza, lichenificazione, etc.). È per questi motivi che Hoare et al. individuano altri sei trials 19-24. Essi peraltro non selezionano il lavoro di Yoshida, probabilmente perché non lo ritengono randomizzato. B. Da qui in avanti la nostra ricerca bibliografica si è trasferita allo studio delle fonti primarie (gli SCR), dal 1999 ad oggi, in considerazione dell’elevato livello delle prove ottenute attraverso la RS di Hoare et al. 1. MedLine via PubMed: <[Histamine H1 Antagonists, Non-Sedating (MeSH) OR Histamine H1 Antagonists (MeSH)] AND [dermatitis, atopic (MeSH) OR eczema, atopic (Text word)]>. Limits: Publication Date from 1999 to 2007, Randomized Controlled Trial, All Child. Questa strategia ha ottenuto come risultato sei lavori, di cui cinque pertinenti 25-29. Risultati della ricerca A. Attraverso la strategia di ricerca delle fonti secondarie (le revisioni sistematiche) abbiamo selezionato: 1. un protocollo Cochrane dal titolo “Antihistamines for atopic eczema” 9, indicizzato e attivo dal 1999, ma non ancora concluso; 2. una revisione dello stesso anno 10: si tratta di una revisione dedicata ai soli antistaminici di II gene- 2. Embase (Advanced search): <atopic dermatitis (Emtreeterm)> Limits: Publication Date from 1999 to 2007, Randomized Controlled Trial, 0-18 anni. Nota: abbiamo preferito adottare questa strategia di ricerca particolarmente generica, anche se Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 44 La Commissione sicuramente esaustiva, a causa della mancata corrispondenza fra i rilevamenti ottenuti con il termine generico “histamines H1 receptor antagonists” e quelli ottenuti con i nomi dei singoli principi attivi. Questa strategia ha ottenuto 217 rilevamenti di cui uno soltanto è nuovo e pertinente 30. Sono stati così individuati 19 articoli che abbiamo poi sottoposto al vaglio dei criteri di selezione riportati nella parte introduttiva di questo lavoro. Le caratteristiche dei lavori esclusi (14) e di quelli inclusi (5) nella nostra analisi finale sono esposte nelle Tabelle I, IIa e IIb. Tab. I. Caratteristiche dei 14 lavori pediatrici esclusi dall’analisi finale di efficacia in questa RS, e principali motivazioni per l’esclusione. Klein 1980 18 20 pazienti di 2-16 anni Mancanza di controllo con placebo Disegno: SCR in parallelo Confronto: idrossizina vs. ciproeptadina Esito: severità prurito Fould 1981 16 21 pazienti di 14-29 anni Disegno: SCR modello cross-over, multiplo Mancanza di controllo con placebo Confronto: cimetidina vs. antiH1 sedativo e vs. cimetidina + antiH1 Esito: severità prurito Frosch 1984 15 18 pazienti di 14-43 anni Disegno: SCR modello cross-over, multiplo Confronto: cimetidina + clorfeniramina vs. clorfeniramina e vs. placebo Mancanza di confronto tra clorfeniramina e placebo Esito: severità prurito Simons 1984 23 12 pazienti di 1-14 anni Disegno: SCR modello cross-over Mancanza di controllo con placebo Confronto: fra due diversi dosaggi di idrossizina Esito: severità prurito Ishibashi 1989 21 168 pazienti di 1-15 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: fra 3 diversi dosaggi di azelastina Esito: severità di segni/sintomi di eczema Ishibashi 1989 22 179 pazienti di 6 anni e oltre Disegno: SCR in parallelo Confronto: fra due dosaggi di azelastina e un dosaggio di chetotifene Mancanza di controllo con placebo Esito: severità di segni/sintomi di eczema Yoshida 1989 12 284 pazienti di 9-11 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: clemastina vs. chetotifene Esito: severità di segni/sintomi di eczema Zuluaga de Cadena 1989 24 Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 45 La Commissione 52 pazienti di 2-6 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: idrossizina vs. terfenadina vs. astemizolo Esito: severità di segni/sintomi di eczema Hamada 1996 20 64 pazienti di oltre 7 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: terfenadina + alclometasone vs. betametasone Esito: severità prurito Simons 1999 817 pazienti di 12-24 mesi Disegno: SCR in parallelo Mancanza di dati di efficacia (tali dati verranno riportati in Diepgen 2002 25) Confronto: cetirizina vs. placebo Esito: effetti avversi Patel 1997 22 118 pazienti di 12-65 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: terfenadina vs. cetirizina Esito: severità globale della malattia e sonnolenza Nakagawa 2006 30 190 pazienti di 7-15 anni Disegno: SCR in parallelo Mancanza di controllo con placebo Confronto: fexofenadina vs. chetotifene Esito: severità prurito Simons 2007 28 510 pazienti di 12-24 mesi Disegno: SCR in parallelo Mancanza di dati di efficacia Confronto: levocetirizina vs. placebo Esito: effetti avversi Simons 2007 29 510 pazienti di 12-24 mesi Disegno: SCR in parallelo Mancanza di dati di efficacia Confronto: levocetirizina vs. placebo Esito: incidenza di orticaria Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 46 23 pz. (6-12 anni) SCR in parallelo SCR in parallelo SCR in parallelo SCR in parallelo La Rosa 1994 11 Diepgen 2002 25 Munday 2003 26 47 Kawashima 2003 27 Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 411 pz. (> 16 anni) 155 pz. (1-12 anni) 817 pz. (12-24 mesi) Definito “doppio cieco”, descrizione insufficiente 28 pz. (11-67 anni) Berth-Jones SCR cross1989 14 over Doppio cieco Definito “doppio cieco”, descrizione insufficiente Definito “doppio cieco”, descrizione insufficiente Definito “doppio cieco”, descrizione insufficiente Cecità Referenza Disegno Popolazione di studio Sì Sì Sì Sì Sì - Idrocortisone topico - Emolliente - *Quantificati - Emollienti - Steroidi topici di varia potenza - Altri anti-H1 - Antibiotici *Quantificati Dati non riportati - Steroidi topici (non specificati) - Emollienti Co-interventi Fexofenadina 60 mg Idrocortisone bux 2/die tirrato *Quantificato Clorfeniramina - 1 mg la sera < 5 anni - 2 mg la sera > 5 anni Cetirizina 0,25 mg/ kg x 2/die Cetirizina - 5 mg/die < 30 Kg - 10 mg/die > 30 kg Terfenadina 120 mg x 2/die Placebo Intervento Tab. IIa. Caratteristiche principali dei 5 lavori inclusi nell’analisi finale di efficacia. 27 (6,6%) 21 (13,5%) 99 (12,2%) 1 (4,3%) 4 (14,3%) Sì Sì Sì No No 14 giorni (7 di run in e 7 di intervento comparativo) 29 giorni 18 mesi 8 settimane 7 giorni (primi 3 di wash out) Drop-out Intention To Durata dello Treat analysis studio (ITT) La Commissione Diepgen (Studio ETAC) 2002 25 La Rosa 1994 11 Descritte solo età e ade- Variazione di uno score del Differenza fra terfenadina e placebo non significativa - Metodo di randomizzazione e allocasione ai criteri diagnostici prurito, non validato, basa- (punteggio 23,95 gruppo terfenadina vs. 25,13 gruppo tion concealment non chiariti (Hanifin e Rajka) to su una VAS* placebo) - Insufficiente descrizione della baseline - Disegno cross-over con 3 soli giorni di wash out non esclude effetti di trascinamento - Assenti dati di frequenza dei singoli eventi** - Farmaco ritirato dal commercio - Diagnosi secondo Hani- Variazione di uno score mi- - Differenze fra gli scores medi non significative: da pun- - Studio definito “preliminare” fin e Rajka sto (sintomi e segni clini- teggio 230 a 155 gruppo cetirizina; da 205 a 180 gruppo - 11 pazienti per gruppo - Pazienti con gradi lievi o ci) non validato, compren- placebo (p ≥ 0.05) - Metodo di randomizzazione e allocamoderati di DA dente 7 fra segni e sintomi - Significativa la differenza per il solo prurito alla 1°-2° e tion concealment non chiariti di DA 6° settimana (p ≤ 0,05) - Assenti dati di frequenza dei singoli eventi** Diagnosi via Scorad Sy- - Variazione dello Scorad - Differenze non significative fra gli Scorad medi, ai vari - Studio di prevenzione (Early Treatstem *** medio a 1, 3, 6, 9, 12, 15 e tempi di rilevamento ment of the Atopic Child –ETAC), non di 18 mesi - La % di pazienti che hanno usato antiH1 è inferiore nel terapia Scorad medio nei 2 grup- - Consumo di farmaci ag- gruppo Cetirizina (p = 0,03), con Number Needed to Treat - Metodo di randomizzazione e di alpi: 25 giuntivi (% di pazienti e % (NNT) = 10 location concealment ottimamente giorni di terapia) - Giorni di terapia con antiH1 (%) inferiore nel gruppo descritti nel lavoro ETAC di “safety” (Si- Effetti avversi (%) attivo (p = 0,035) mons 1999) - Nei pazienti attivi con Scorad > 25 è minore l’uso di an- - I risultati per il controllo del prurito sotibatterici topici (p = 0,037; NNT = 10) e la durata di uti- no inglobati nello Scoring System lizzo degli steroidi topici a media/elevata potenza (p = 0,014) - Nei pazienti attivi sensibilizzati ad aeroallergeni è minore l’uso di antibatterici locali (p = 0,024; NNT = 6) e la durata del loro utilizzo (p = 0,038) - Numero episodi di orticaria inferiore nel gruppo cetirizina (5,8% vs. 16,2%), con NNT = 10 Commenti Berth-Jones 1989 14 Risultati Caratteristiche di Esiti partenza dei pazienti Referenza Tab. IIb. Caratteristiche di partenza, outcomes e risultati rilevati nei 5 lavori inclusi nell’analisi di efficacia; principali commenti. La Commissione Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 48 Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 49 - Significativa la differenza di 0,25 fra gli scores prurito da -3 a +7 giorni nei 2 gruppi (p = 0.0005) - La significatività è presente anche per i punteggi diurni e notturni e per il trend temporale - Significativa (p = 0.047) la differenza fra % di pazienti con diminuzione del punteggio > 1 (33,3% gruppo fexofenadina vs. 24,1% gruppo placebo), con NNT = 11 - Significativa la differenza fra % di pazienti con nessun miglioramento o con peggioramento delle superfici colpite dalla DA (34,8% gruppo fexofenadina vs. 51,2 gruppo placebo) con NNT = 6 - Non significative le differenze fra gli scores medi a 1, 15 e 29 giorni - Non significative le differenze fra i punteggi del prurito, in tutti e 3 i periodi - Non significative le differenze nel consumo di farmaci - Allocation concealment non descritta - Analisi ITT su 11 pazienti in meno - Pochissimi pazienti in età pediatrica - Farmaco non utilizzabile sotto i 12 anni - La rilevanza clinica degli effetti risulta modesta - Gli estremi degli Intervalli di Confidenza degli scores prurito coincidono: -0,75 (-0,88, -0,62) vs. -0,50 (-0,62, -0,38) - Nessuna descrizione dei metodi di randomizzazione, di allocation concealment e di ottenimento della doppia cecità - Baseline valutata solo dai medici, in seguito prurito notturno valutato solo dai genitori - Il 78,1% dei pazienti studiati aveva un prurito nullo, minimo o lieve in partenza (possibile bias di selezione) ** Visual Analogue Scale. Proporzione fra numero di soggetti che, in ognuno dei 2 gruppi, hanno presentato un evento (ad es. una differenza fra gli scores superiore ad un valore predeterminato e ritenuto clinicamente rilevante). *** European Task Force on Atopic Dermatitis. Severity scoring of atopic dermatitis; the SCORAD index. Dermatology 1993;186:23-31. **** Costa C, Rilliet A, Nicolet M, Saurat JH. Scoring atopic dermatitis: the simpler the better? Acta Derm Venereol (Stockh) 1989;69:41-5. * - Variazioni degli scores prurito negli ultimi giorni di run in e al termine del trattamento (registrazioni separate per i periodi diurno e notturno e per ogni singola giornata) - Variazione nel computo delle aree di cute soggette a prurito Kawashima 2003 23 Pazienti con punteggi da 4 a 8 (massimo possibile 10) di un nuovo score del prurito, non validato Variazione dello score di Costa a 1, 15 e 29 giorni di trattamento - Severità prurito notturno (scala a 5 punti compilata dai genitori) nei periodi 115 giorni/15-29 giorni/129 giorni) - Consumo di idrocortisone topico e di emollienti a termine trattamento Munday 2003 26 Gradi lievi-moderati di prurito e di DA diagnosticata (dai medici) con lo score di Costa **** La Commissione La Commissione Commenti finali co, in una scala che aveva come massimo possibile 10 punti. Nel terzo studio a favore, quello di La Rosa, l’efficacia del trattamento sul prurito è significativamente presente solo in alcune settimane dello studio. È da notare tuttavia che si tratta di studi effettuati con antistaminici differenti, di seconda generazione, su popolazioni differenti, di cui una pediatrica solo in parte, con obiettivi profondamente diversi e con outcomes, primari e secondari, altrettanto diversi. È perciò impossibile effettuare un qualsivoglia accorpamento dei dati per eventuali metanalisi. L’importanza dei risultati favorevoli agli antiH1 nei lavori di La Rosa, Diepgen e Kawashima, appare discreta (NNT = tra 6 e 11) anche se questi lavori presentano debolezze che limitano l’applicabilità esterna di detti risultati. Il lavoro italiano di La Rosa sulla cetirizina è stato eseguito su un piccolo campione di pazienti, tant’è vero che viene definito dagli stessi autori come uno studio preliminare. Il lavoro di Diepgen riporta i dati di efficacia del classico studio ETAC nel quale la cetirizina era stata somministrata per un periodo di un anno e mezzo; i vantaggi dimostrati dallo studio devono pertanto essere commisurati con l’impatto che una terapia cronica può avere sia sul bambino che sulla sua famiglia. Il lavoro di Kawashima sulla fexofenadina infine, individuato solo grazie alla strategia di ricerca da noi adottata comprendente l’intera popolazione pediatrica fino a 18 anni, presenta risultati interessanti ma la loro applicabilità a fasce di bambini più piccoli è difficilmente pensabile, anche a causa della limitazione di utilizzo, in scheda tecnica, sotto i 12 anni. D’altra parte i lavori che negano l’efficacia degli antiH1 hanno una qualità metodologica ancora inferiore. Il lavoro di Berth-Jones aveva un disegno cross-over con soli tre giorni di wash out che può aver mascherato l’effetto del farmaco, arruolava casistica solo in parte pediatrica, utilizzava un antistaminico non più in commercio. Lo studio di Munday invece arruolava prevalentemente bambini con dermatite atopica lieve, con prurito minimo o nullo, ed è difficile immaginare che in tale popolazione l’effetto antiprurito dell’antistaminico potesse risultare significativamente superiore al placebo. L’ipotesi, sostenuta dai risultati degli studi sopra citati, che alcuni antistaminici siano efficaci nel bambino su alcuni outcomes, andrebbe pertanto verificata con larghi studi prospettici comparativi, su molecole scelte e su pazienti pediatrici con ben definite severità della malattia, pazienti nei quali si sia provveduto a separare gli indicatori soggettivi (prurito, disturbo della qualità del sonno e della qualità di vita, irritabilità) da quelli oggettivi (estensione e gravità dell’eczema), sia al momento dell’inclusione dei pazienti nella sperimentazione, sia durante il rilevamento delle variazioni di tali La letteratura pediatrica riguardante l’argomento “terapia della DA con antistaminici” è sorprendentemente scarsa, limitatamente agli studi clinici randomizzati. Lo è ancor di più se si considerano gli SCR nei quali siano contemporaneamente presenti il confronto con il placebo e i dati di efficacia. Infatti, solo i risultati provenienti da studi con tali prerogative possono costituire prove robuste dell’efficacia (o dell’inefficacia) di un farmaco, quando per una determinata patologia non esiste ancora un gold standard terapeutico. Come già detto nell’introduzione, le importanti e recenti Linee Guida sulla DA offrono in realtà debolissime raccomandazioni per l’uso degli antiH1, in particolare nel controllo del prurito durante le riacutizzazioni (flares) e con speciale riguardo agli antiH1 di prima generazione, dotati di effetto sedativo e ipnotico. La nostra revisione sottolinea come tutto ciò, per l’età pediatrica, si basi su uno scarso supporto scientifico. La qualità metodologica dei 19 studi pediatrici che abbiamo selezionato è globalmente mediocre. La validità interna di questi studi è pertanto piuttosto bassa, ma tende a migliorare nei lavori prodotti più recentemente. Come è possibile verificare analizzando le Tabelle IIa e IIB relative ai 5 studi inclusi nella nostra analisi di efficacia, in tre lavori su 5 la somministrazione di un antistaminico sembra avere una certa efficacia, in due non sembra avere effetti superiori al placebo. Tuttavia i due lavori (Diepgen 2002 25 e Kawashima 2003 27) che presentano le migliori caratteristiche metodologiche (qualità e descrizione della randomizzazione, del mascheramento delle liste, della cecità e numerosità campionaria elevata) hanno riportato il maggior numero di risultati favorevoli all’uso degli antiH1. In questi studi l’efficacia appare evidente sia sui segni della malattia (peggioramento della dermatite, riduzione utilizzo creme steroidee, etc.) che sul sintomo “prurito”. Nello studio di Diepgen il prurito è integrato nello Scoring System, pertanto l’effetto sul singolo sintomo non è distinguibile. Nello studio di Kawashima invece vi è un miglioramento del prurito significativamente maggiore nel gruppo trattato con fexofenadina. Tale differenza è riscontrabile già dopo 24 ore di trattamento e si protrae per tutta la durata dello studio. L’entità di questa differenza appare però modesta (al termine dello studio è circa 1/16 del massimo miglioramento possibile) e, d’altra parte anche il miglioramento dello score medio del prurito ottenuto con l’applicazione della semplice crema steroidea, seppure di bassa potenza (idrocortisone butirrato allo 0,1%), non era entusiasmante, essendo di circa 0,5 punti vs. circa 0,8 punti ottenuti dalla terapia crema steroidea+antistamini- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 50 La Commissione indicatori di malattia durante il corso della sperimentazione stessa. In conclusione, sulla base della letteratura pediatrica esistente pensiamo di poter concludere che: a) gli antistaminici orali non dovrebbero costituire il principale presidio terapeutico della dermatite atopica; b) laddove il prurito e la dermatite siano scarsamente controllati da una corretta terapia antinfiammatoria locale, può essere presa in considerazione dal medico l’eventuale aggiunta di un antistaminico per via orale, non necessariamente sedativo. ce che come tocco, e hanno messo in evidenza come nei soggetti con DA in seguito all’insorgere del prurito si verifica anche nella cute circostante una aumentata tendenza ad avvertire come pruriginosi altri stimoli meccanici lievi, un fenomeno denominato “alloknesi”. E questa anomalia attribuita ad una alterazione della trasmissione neurogena trova conferme sia a livello periferico che a livello centrale. A livello periferico è stata descritta la presenza di fibre nervose iperplastiche con assoni ingranditi 41, forse per l’aumentato rilascio di nerve growth factor da parte dei cheratinociti 42, ma anche un possibile squilibrio tra fibre sensoriali (aumentate) e fibre nervose adrenergiche autonomiche (ridotte) 43. A livello centrale è segnalata una diminuita attività dei nervi sensoriali nel comunicare il prurito al sistema nervoso centrale 44. E d’altra parte altri studi hanno dimostrato come talora anche lo stimolo doloroso possa essere avvertito come pruriginoso nei soggetti con DA 45. In conclusione, considerando che nella DA i meccanismi che determinano il prurito sono molteplici e complessi, sia immunologici 46 che non immunologici, si può comprendere meglio la modesta e incostante (nei diversi studi) efficacia terapeutica degli antistaminici. Qualche ulteriore riflessione La DA è una malattia infiammatoria della cute, a decorso cronico recidivante, pruriginosa. Il prurito è presente sin dalla prima descrizione della malattia nel 1884, il prurigo di Hebra 31, o nelle successiva nel 1892, il prurigo di Besnier 32. Scompare nella definizione di eczema atopico, proposta da Wise e Sulzberger nel 1933, che misero l’accento sulla frequente associazione tra la dermatite e le altre malattie allergiche, quali la rinite e l’asma 33, che è tuttora attuale e sinonimo di dermatite atopica nelle recenti definizioni della American Academy of Dermatology 34 o della European Academy of Allergy and Clinical Immunology 35. Il prurito è universalmente riconosciuto essere il sintomo fondamentale nella malattia, in assenza del quale la diagnosi non può essere posta. E tuttavia il motivo della sua presenza nei bambini con DA, così come i meccanismi attraverso cui si verifica sono conosciuti solo in parte. L’istamina è il mediatore del prurito più importante nelle reazioni allergiche IgE dipendenti 36. È stato dimostrato che il rilascio di istamina durante la reazione allergica può determinare un transitorio aumento del prurito nei soggetti con DA, che a sua volta induce il trattamento e quindi la comparsa di eczema 37. E tuttavia è certo che un ruolo altrettanto importante viene svolto da altre sostanze come neurotrasmettitori, proteinasi, citochine, eicosanoidi, leucotrieni, etc. (Tab. III) 38. In particolare i mediatori della flogosi allergica sembrerebbero avere un ruolo, come suggerito dal fatto che gli inibitori topici della calcineurina, che inibiscono il rilascio di numerose citochine [quali la interluchina (IL)-2, IL-3, IL-4, IL-5, GM-CSF, e il tumor necrosis factor (TNF)-α] riducono la intensità del prurito nei soggetti affetti da DA 39. Inoltre alcuni Autori 40 hanno suggerito che i soggetti con DA abbiano una erronea percezione dello stimolo meccanico, che avvertono come prurito inve- Il Marco Aurelio ai Musei Capitolini - Stefano Miceli Sopo Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 51 La Commissione Tab. III. Mediatori del prurito e meccanismi proposti nella DA (modificata da Stander et al. 38). Mediatori Prurito Meccanismo - Acetilcolina + Sconosciuto - Sostanza P + Liberatore di istamina Neurotrasmettitori - Calcitonin gene-related + peptide Liberatore di istamina, aumenta la IL-8 - Peptide intestinale vasoat- + tivo Liberatore di istamina - Somatostatina + Sconosciuto - Neurotensina + Liberatore di istamina - Endorfine + Modulatore centrale e periferico del prurito, istamino indipendente - Encefaline + Modulatore centrale e periferico del prurito, istamino indipendente - Morfina + Modulatore centrale e periferico del prurito, istamino indipendente Istamina ± Legame diretto ai recettori del prurito, infiammazione neurogena - Triptasi + Attiva il recettore attivato dalle proteinasi - Chimasi + Sconosciuto - Papaina + Sconosciuto - Il-2 + Possibile rilascio di vari mediatori - Il-6 - - Il-8 - Interferon gamma Allevia il prurito Sconosciuto Neurotrofina-4 + Sconosciuto Eosinofili + Rilascio di mediatori come il PAF (Platelet Activating Factor) e i leucotrieni, liberazione di istamina? Basofili - Eicosanoidi-prostaglandine ± Potenzia il prurito indotto da istamina, serotonina, papaina, abbassa la soglia del prurito Leucotrieni + Sconosciuto Platelet-activating factor + Liberazione Proteinasi Citochine Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 52 La Commissione Bibliografia 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Hamada T, Ishii M, Nakagawa K, Kobayashi H, Kitajima J, Chanoki M, et al. Evaluation of the clinical effect of terfenadine in patients with atopic dermatitis. A comparison of strong cortico-steroid therapy to mild topical corticosteroid combined with terfenadine administration therapy. Skin Res 1996;38:97-103. 21 Ishibashi Y, Ueda H, Niimura M, Harada S, Tamaki K, Imamura S, et al. Clinical evaluation of E-0659 in atopic dermatitis in infants and children. Dose-finding multicenter study by the double-blind method. Skin Res 1989;31:458-71. 22 Ishibashi Y, Tamaki K, Yoshida H, Niimura M, Harada S, Ueda H, et al. 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Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 53 La Commissione Wise F, Sulzberger MB. Editorial remarks. In: Yearbook of dermatology, syphilology. Chicago: Yearbook Medical Publishers 1933, pp. 31-70. 35 Hanifin JM, Cooper KD, Ho VC, Kang S, Krafchik BR, Margolis DJ, et al. Guidelines of care for atopic dermatitis. J Am Acad Dermatol 2004;50:391-404. 36 Johansson SG, Hourihane JO, Bousquet J, BruijnzeelKoomen C, Dreborg S, Haahtela T, et al. A revised nomenclature for allergy: (Position Paper). Allergy 2001;56:813-24. 37 Carstens E, Kuraishi Y. Animal models of itch: scratching away at the problem. In: Yosipovitch G, Greaves MW, Fleisher AB, McGlone F (eds.). Itch: basic mechanisms and therapy. New York: Marcel Dekker Inc. 2004, p. 41. 38 Strauss JS, Kligman AM. The relationship of atopic allergy and dermatitis. Arch Dermatol 1957;75:806-11. 39 Stander S, Steinhoff M. Pathophysiology of pruritus in atopic dermatitis: an overview. Exp dermatol 2002;11:12-24. 40 Fleisher AB. 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Il documento rappresenta un riferimento per tutti i professionisti che offrono la vaccinazione antinfluenzale, sia per le modalità di scelta dei prodotti vaccinali, che per le categorie oggetto della strategia, che per le modalità di somministrazione. Molto si discute su questa vaccinazione alla luce degli studi disponibili e della difficoltà di poter contare su un corpo di conoscenze solido a causa delle mutazioni stagionali del virus e delle conseguenti modificazioni del vaccino disponibile. Il ruolo delle Società Scientifiche dovrebbe essere quello di dare supporto alle autorità governative nella messa a punto delle azioni di prevenzione. Con questo spirito la Commissione Vaccini della SIAIP ha analizzato la Circolare sulla prevenzione dell’influenza per la stagione 2007-2008 per quello che riguarda le indicazioni di interesse pediatrico. tura vaccinale che viene raggiunta nelle categorie a rischio è generalmente scarsa. Nella circolare per la vaccinazione 2007-2008 la vaccinazione è raccomandata ad una serie di pazienti con patologie di interesse pediatrico la cui definizione merita alcuni commenti ed una esemplificazione allo scopo di chiarire ulteriormente le indicazioni. Malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio (inclusa l’asma, la displasia broncopolmonare, la fibrosi cistica) La indicazione relativa all’asma è probabilmente troppo generica. Se si pensa che nell’età evolutiva almeno un bambino su cinque ha avuto i sintomi dell’asma bronchiale, magari per una sola volta limitatamente ai primi anni di vita, l’allargamento dell’indicazione sembra veramente eccessivo. Sarebbe opportuno che nella definizione di questa categoria fossero precisati il requisito di presenza attuale della malattia e una eventuale soglia di gravità. Nella Circolare della scorsa stagione la vaccinazione, ad esempio, veniva raccomandata solo ai pazienti con asma severo. Sarebbe importante che nelle prossime circolari venisse data nuovamente una definizione all’asma bronchiale e fossero chiarite le caratteristiche dei bambini asmatici che richiedono la vaccinazione (in accordo alle classificazioni internazionali). Chiari i riferimenti alla displasia broncopolmonare, una malattia cronica del polmone dovuta alla prematurità e legata ad una lesione polmonare in lattanti che hanno richiesto una ventilazione meccanica, e alla fibrosi cistica. È necessario, però, sottolineare che, nonostante la raccomandazione per la vaccinazione dei pazienti con fibrosi cistica sia presente in tutto il mondo, una revisione sistematica della letteratura condotta dalla Cochrane Collaboration non è riuscita a dimostrare il beneficio della vaccinazione influenzale in questi pazienti. Le categorie a rischio Molte delle raccomandazioni per la vaccinazione influenzale, nazionali e internazionali, definiscono una serie di categorie di pazienti che come principio dovrebbero avere una maggiore probabilità di sviluppare l’influenza o le sue complicazioni rispetto alla popolazione generale. Si tratta per lo più di pazienti con malattie croniche nei quali lo stato di equilibrio della patologia di base può essere compromesso dall’influenza. Purtroppo non sono disponibili evidenze incontrovertibili circa il maggiore rischio che alcuni di questi pazienti corrono in caso di malattia influenzale e sarebbe opportuno raccogliere maggiori dati per mirare alle categorie che possono trarre il maggior beneficio dalla vaccinazione. Per contro, nel nostro Paese e in molti altri, la coper- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 55 La Commissione Malattie dell’apparato cardio-circolatorio, comprese le cardiopatie congenite o acquisite Anche in questo caso, la definizione di cardiopatia congenita o acquisita è troppo generica. Sarebbe utile disporre di un elenco delle cardiopatie che richiedono la prevenzione dell’influenza, sulla base di dati che dimostrino la gravità della malattia e l’efficacia della vaccinazione nelle singole categorie. È logico pensare che un soggetto cardiopatico che si ammala di influenza possa andare incontro a uno scompenso cardiaco ma è altrettanto ovvio che questo rischio dipende strettamente dal fatto che la cardiopatia sia emodinamicamente significativa. e alla gravità della neutropenia allo scopo di garantire la massima efficacia possibile. Tumori Come per le malattie degli organi emopoietici, sarebbero utili precisazioni su quando somministrare il vaccino in rapporto alle diverse fasi dei cicli di chemioterapia e alla gravità della neutropenia da esso indotta. Malattie congenite e acquisite che comportino carente produzione di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci o HIV In questo item rientrano le immunodeficienze primitive di diversa gravità (come l’agammaglobulinemia X-recessiva, l’immunodeficienza comune variabile, l’immunodeficienza con iper-IgM, il difetto selettivo di IgA; le immunodeficienza combinate come le immunodeficienze combinate gravi, la SCID; le sindromi o malattie associate ad immunodeficienza come la sindrome di Di George, l’atassia-telangectasia e la sindrome di Wiskott-Aldrich). Certamente, è presumibile che nei pazienti con immunodeficienze primitive e in quelli con immunosoppressione indotta da farmaci la risposta immunitaria alla vaccinazione sia inferiore a quella che si osserva nei soggetti immunocompetenti. Per questo sarebbero necessarie precisazioni sul tipo di vaccino da utilizzare (ad esempio, con adiuvanti). Per quanto riguarda, invece, i dati dei pazienti con infezione da HIV, numerosi sono i dati che dimostrano l’immunogenicità, la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia della vaccinazione, la quale non determina alcun effetto negativo sulla situazione immuno-virologica dei pazienti. Diabete mellito e altre malattie metaboliche La raccomandazione per la vaccinazione dei pazienti con diabete tipo 1 è classicamente disattesa. Non c’è, infatti, la percezione che l’influenza possa compromettere l’equilibrio metabolico della malattia. D’altra parte, con i nuovi sistemi di rilascio dell’insulina, le glicemie di questi pazienti sono molto più controllate di quanto avveniva anni fa, anche in corso di processi infettivi acuti, e poche sono le dimostrazioni che associano il paziente diabetico a un aumentato rischio di complicanze in corso di influenza. La presenza di una raccomandazione ministeriale impone, tuttavia, uno standard. D’altra parte, purtroppo non è infrequente registrare l’opposizione alla vaccinazione in questi pazienti in alcuni Servizi, a fronte dell’incoraggiamento da parte del proprio pediatra. Si sottolinea al riguardo che non esiste alcun rischio a vaccinare i pazienti diabetici. Per quanto riguarda le altre malattie metaboliche, sarebbe importante ancora una volta avere un elenco dettagliato delle condizioni che sono associate a un aumentato rischio di complicanze in corso di influenza. Anche in questo caso è logico pensare che siano i pazienti con malattie metaboliche poco controllabili con la dieta e con i farmaci quelli che possono trarre i maggiori benefici dalla vaccinazione. Malattie renali con insufficienza renale È ovviamente necessario ricordare che questa raccomandazione include anche i pazienti che sono sottoposti ad emodialisi e quelli in terapia immunosopressiva ad alte dosi. Malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinali In realtà, questa categoria viene indicata in modo specifico soltanto nelle raccomandazioni italiane. Di fatto, il rischio di complicanze da influenza in questi pazienti è legato alla situazione di immunodeficienza indotta dalla malattia di base e dai farmaci assunti per controllarla. Quindi, questi stessi pazienti rientrano nella categoria di quelli con immunodeficienze. Malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie In questo gruppo di patologie vanno inclusi i trapianti di midollo osseo, le leucemie e i linfomi. Relativamente ai pazienti con leucemie o linfomi, sarebbero utili precisazioni su quando somministrare il vaccino in rapporto alle diverse fasi dei cicli di chemioterapia Patologie per le quali siano programmati importanti interventi chirurgici È necessario ricordare che un imminente intervento chirurgico è un’indicazione alla vaccinazione influenzale ma, soprattutto, che la recente vaccinazione influenzale non controindica l’intervento. Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 56 La Commissione La vaccinazione del pediatra Patologie associate a un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie (es. malattie neuromuscolari) Questo item era presente anche nella Circolare della scorsa stagione con una diversa descrizione (Bambini affetti da patologie neurologiche e neuromuscolari) con una indicazione forse più facilmente comprensibile per il pediatra. D’altra parte, la definizione di “bambini affetti da patologie neurologiche” è estremamente ampia e quella di “bambini con malattie neuromuscolari” risulta per contro troppo restrittiva. Un elenco delle patologie neurologiche pediatriche che si associano a un aumentato rischio di complicanze da influenza potrebbe essere utile. È noto che tra le categorie per le quali la vaccinazione influenzale è raccomandata è incluso il personale sanitario. Il principio sulla base del quale viene fornita questa indicazione è che il professionista della salute fornisce un servizio di prima necessità e per questo è importante limitare le assenze dovute a malattia proprio nel periodo in cui vi è maggiore richiesta di assistenza da parte della popolazione. Inoltre, i medici e il personale infermieristico sono a contatto costante nelle comunità dove esercitano la loro attività lavorativa con pazienti vulnerabili che possono sviluppare complicazioni a causa dell’influenza. A fronte della raccomandazione di vaccinare il personale sanitario, tuttavia, le coperture vaccinali che si osservano in questa categoria sono tutt’altro che elevate. La percezione dell’influenza è spesso quella di una malattia banale, oppure si pensa di essere scarsamente suscettibili all’infezione virale. I numeri dicono, invece, che questo segmento della strategia preventiva è importante e richiede massima attenzione nella sua applicazione. Individui di qualunque età ricoverati presso strutture per lungodegenti Questa raccomandazione andrebbe estesa anche ai bambini che vivono in comunità come le case famiglia, gli orfanotrofi e i collegi nelle quali il rischio di contagio e di epidemie è sicuramente elevato. Familiari e contatti di soggetti ad alto rischio Questa categoria dovrebbe includere anche tutti i contatti stretti dei bambini di età inferiore a 6 mesi, in quanto la vaccinazione non può essere effettuata prima di questa età. Dosaggio e modalità di somministrazione Come è noto, i vaccini autorizzati per l’uso in età pediatrica sono quelli split, a subunità o adiuvati con virosomi. Interessanti sono i recenti dati ottenuti nei primi anni di vita con il vaccino adiuvato con MF59 ma al momento questo prodotto è approvato per l’uso solo nell’anziano. Come al solito, nel bambino di età compresa tra 6 e 36 mesi va somministrata o la formulazione pediatrica o mezza dose del vaccino per adulti (0,25 ml invece che 0,50 ml). Se pur in alcuni Paesi europei dall’età di 3 anni, anche in bambini mai vaccinati in precedenza contro l’influenza, è prevista un’unica dose di vaccino, in Italia, come negli Stati Uniti, sono tuttora previste due dosi nei bambini di età inferiore a 9 anni vaccinati per la prima volta. Questo perché solo una parte minore della popolazione pediatrica di età inferiore a 3 anni risulta essere stata infettata dai virus influenzali e nei soggetti naive dei primi anni di vita è stato dimostrato che i tassi di sieroconversione e sieroprotezione con un’unica dose di vaccino sono inferiori e meno persistenti nel tempo rispetto a quelli ottimali. Cosa si può fare Per migliorare la copertura vaccinale nelle categorie a rischio in età pediatrica, nelle scorse stagioni la SIAIP ha prodotto un indirizzario composto da circa 1000 recapiti relativi a centri specialistici per la cura di malattie croniche in età pediatrica, associazioni scientifiche e associazioni di familiari. A questi indirizzi, prima la SIAIP, poi il Ministero della Salute, hanno inviato una lettera per ricordare l’importanza della vaccinazione prima dell’inizio della stagione influenzale. È necessario mettere in atto strategie integrate per raggiungere elevate coperture vaccinali anche nelle categorie a rischio, ma la chiarezza delle definizioni per quanto riguarda le categorie a rischio è importante. È noto che per la stessa vaccinazione, infatti, una chiara definizione della popolazione target come quella degli anziani > 64 anni e l’adozione di strategie che coinvolgono direttamente la medicina del territorio sono state in grado di ottenere coperture vaccinali dell’ordine del 70%. Misure di prevenzione alternative Non tutti hanno notato che nel documento ministeriale di questa stagione esiste una forte enfasi Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 57 La Commissione sul ruolo delle misure alternative alla vaccinazione e dimostratamente efficaci nella prevenzione dell’influenza. È importante, infatti, che misure preventive diverse siano tra loro integrate per ottenere il massimo impatto sulla popolazione. È necessario sottolineare che le misure igieniche standard come il lavaggio delle mani, l’igiene respiratoria, l’isolamento volontario dalle comunità in caso di malattia e l’uso di mascherine da parte delle persone con sintomatologie influenzali abbiano un impatto anche su altre infezioni trasmesse per via respiratoria che si riscontrano comunemente durante la stagione invernale. Tali raccomandazioni vanno sottolineate in particolare modo al pediatra che può fare di questa azioni preventive un importante strumento di salute nel proprio ambulatorio e in ambiente ospedaliero. di grandi dimensioni in grado di definire il potenziale di una simile strategia. Il futuro Nessuno può prevedere come sarà la prossima epidemia di influenza e quante infezioni riusciremo a prevenire attraverso la vaccinazione. Sappiamo, però, che a breve anche nel nostro Paese sarà disponibile un vaccino vivo attenuato contro l’influenza in preparazione spray nasale. Questo vaccino ha dimostrato una migliore efficacia rispetto ai vaccini inattivati e potrebbe incidere maggiormente sull’epidemiologia dell’influenza. Rimangono da sciogliere in modo definitivo i dubbi sulla tollerabilità dei vaccini vivi attenuati specie in relazione alla possibilità di innescare una crisi asmatica nei bambini più piccoli. È importante, tuttavia, che si faccia un maggiore sforzo per raccogliere informazioni più precise sull’epidemiologia dell’influenza nel nostro Paese e in altri Paesi europei. L’Italia, come abbiamo più volte sostenuto, ha una carta da giocare che è rappresentata dal potenziale di rete della pediatria di famiglia. È opportuno che si passi dalla raccolta di dati aggregati (come avviene tuttora per la sorveglianza dell’influenza) alla raccolta di dati individuali e che questi vengano correlati alle informazioni virologiche. L’analisi dei dati per gruppi di età più attinenti alle possibili strategie vaccinali potrebbe fornire informazioni solide per orientare la vaccinazione, specie in età pediatrica. Ma il nostro Paese e la nostra pediatria possono scommettere su obiettivi anche più ambiziosi come la realizzazione di studi sperimentali attraverso la pediatria del territorio e con l’integrazione della sanità pubblica. Herd immunity Per l’influenza, come per le altre malattie trasmesse da persona a persona, è verosimile che un intervento vaccinale efficace in un largo segmento della popolazione possa ridurre la circolazione del virus e, quindi, indurre una protezione indiretta nel resto della popolazione. A questo proposito esistono alcuni studi che suggeriscono un possibile effetto in questa direzione e alcuni ricercatori hanno suggerito che la vaccinazione della popolazione pediatrica potrebbe avere un impatto superiore a quello della strategia vaccinale rivolta alle popolazioni a rischio. Purtroppo le prove a sostegno di questa ipotesi sono ancora limitate ed è necessario che maggiori informazioni vengano raccolte a questo riguardo. È auspicabile che vengano condotti nel futuro studi Bibliografia essenziale controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2007-8”. http://www.iss.it/binary/iflu/cont/C_17_ normativa_1244_allegato.1188806372.pdf. Commissione Vaccini SIAIP. La vaccinazione contro l’influenza in età pediatrica. RIAP 2007;20(S1). ECDC. Technical Report of the Scientific Panel on Vaccines and Immunisation. Infant and children seasonal immunisation against influenza on a routine basis during • inter-pandemic period. Stockholm, 2007. http://www. ecdc.eu.int/documents/pdf/Flu_vacc_18_Jan.pdf. Belshe RB, Edwards KM, Vesikari T, Black SV, Walker RE, Hultquist M, et al.; CAIV-T Comparative Efficacy Study Group. Live attenuated versus inactivated influenza vaccine in infants and young children. N Engl J Med 2007;356:685-96. Centers for Disease Control. 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Si definisce: 1. deficit assoluto, la presenza di livelli di IgA < 5 mg/dl; 2. deficit parziale, la presenza di livelli di IgA > 5 mg/ dl, ma inferiori di almeno due deviazioni standard rispetto ai livelli normali per l’età (Tab. I). I livelli sierici delle altre classi di immunoglobuline sono normali. Nel 20% dei casi si riscontrano bassi livelli di IgG2 e di IgG4. Normale è la risposta anticorpale agli stimoli antigenici. I B linfociti sono presenti in numero normale, tuttavia non sono in grado di differenziarsi in plasmacellule secernenti IgA. Numero, distri- Funzione delle IgA Le IgA rappresentano quantitativamente la seconda immunoglobulina circolante e la più abbondante presente nelle secrezioni. Mentre le IgA presenti nelle secrezioni vengono sintetizzate da plasmacellule sottomucose, quelle sieriche sono sintetizzate da plasmacellule del midollo osseo. Delle due sottoclassi di IgA, le IgA1 prevalgono nel siero (più dell’80%) mentre IgA1 e IgA2 contribuiscono in eguale misura alla composizione delle IgA secretorie. Le IgA sono i principali costituenti delle secrezioni esocrine e rappresentano la principale classe di anticorpi prodotti dalle plasmacellule delle vie respiratorie, del tratto gastrointestinale e delle vie genitourinarie. Gli antigeni esogeni a livello della mucosa di questi orga- Tab. I. Valori normali di immunoglobuline sieriche in rapporto all’età (da Ugazio et al. 1995). Età IgG (mg/dl) IgA (mg/dl) IgM (mg/dl) Cordone ombelicale 1112 (862-1434) Non dosabili 9 (5-14) 1-3 mesi 468 (231-947) 24 (8-74) 74 (26-210) 4-6 mesi 434 (222-846) 20 (6-60) 62 (28-39) 7-12 mesi 569 (351-919) 29 (10-85) 89 (38-204) 13-24 mesi 801 (264-1509) 54 (17-178) 128 (48-337) 2-3 anni 889 (462-1710) 68 (27-173) 126 (62-257) 4-5 anni 1117 (528-1959) 98 (37-257) 119 (49-292) 6-8 anni 1164 (633-1016) 113 (41-315) 121 (56-261) 9-11 anni 1164 (707-1919) 127 (60-270) 129 (61-276) 12-16 anni 1105 (604-1909) 136 (61-301) 132 (59-297) Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 59 La Commissione ni stimolano la secrezione di IgA, che impediscono l’adesione dei patogeni stessi e quindi la loro penetrazione. Neutralizzano inoltre l’infettività locale e sistemica di virus come il poliovirus, i virus parainfluenzali, il citomegalovirus e il virus respiratorio sinciziale; inibiscono anche l’assorbimento di vari antigeni alimentari; attivano la via alternativa del complemento e sono capaci di attivare il sistema macrofagico. Le IgA sono anche i principali anticorpi del colostro e del latte materno. tavia, alcuni soffrono di numerose infezioni respiratorie, di problemi gastrointestinali o di altre patologie, come è elencato nella Tabella II. Infatti, le infezioni sinupolmonari ricorrenti sono la patologia più frequente associata al IgAD. È appunto il ripetersi di queste infezioni che porta alla misurazione delle immunoglobuline sieriche e alla diagnosi di IgAD. Molte infezioni sono causate da agenti batterici minori o, in assenza di una diagnosi eziologica esatta, da numerosi agenti virali. Spesso si associano problemi allergici: congiuntivite, rinite, orticaria, eczema, allergia alimentare ed asma, che possono decorrere in modo resistente alla terapia. Maggiore è pure la frequenza di problemi gastrointestinali: giardiasi, celiachia e malattia infiammatoria intestinale, epatite cronica, cirrosi biliare ed anemia perniciosa. La giardiasi può essere resistente alla terapia classica. Anche l’intolleranza al lattosio sembra essere più frequente. La celiachia è circa 20 volte più frequente che nella popolazione generale, ma la prognosi dopo adeguata dieta priva di glutine è la stessa per i pazienti sia con che senza IgAD. È importante ricordare che nei soggetti con IgAD per definizione gli anticorpi IgA anti-transglutaminasi e anti-endomisio sono negativi e quindi, in tutti i casi con storia clinica suggestiva per celiachia può essere utile la determinazione di anticorpi IgG anti-transglutaminasi e per la diagnosi di certezza deve essere consigliata l’esecuzione di biopsia intestinale. Numerose sono le malattie autoimmuni associate: artrite reumatoide giovanile, lupus eritematoso sistemico (LES), ma anche malattie endocrine, vitiligine, anemia emolitica, porpora trombocitopenica idiopatica (PTI) e malattie neurologiche. Nel siero è frequente il riscontro di autoanticorpi: anticorpi anti-nucleo, anticorpi contro tireoglobulina, globuli rossi, cellule pancreatiche, cardiolipina, collagene. Un numero notevole di soggetti con IgAD presenta anticorpi anti-IgA. Infine, si possono associare con maggiore frequenza i seguenti tumori: carcinoma, in particolare l’adenocarcinoma dello stomaco, e il linfoma, usualmente a cellule B. Spesso i linfomi sono extranodali e coinvolgono il digiuno. Altri tumori possono essere il tumore ovarico, il linfosarcoma, il melanoma e il timoma. Patogenesi e basi genetiche Il IgAD è nella maggior parte dei casi sporadico. Tuttavia, sono state descritte famiglie in cui era dimostrabile una trasmissione autosomico-recessiva o autosomico-dominante del difetto. Inoltre il IgAD può manifestarsi come complicanza, sebbene rara, di infezioni intrauterine come rosolia, citomegalovirus, toxoplasmosi. Anche farmaci come la fenilidantoina, il valproato di sodio, la penicillamina, il captopril e i sali d’oro, possono causare IgAD. Numerosi autori hanno descritto un’associazione tra il IgAD ed alcuni alleli del sistema di HLA (Human Leucocyte Antigen). Ad esempio è stata osservata una maggiore frequenza dell’allele B8 nei soggetti con diabete mellito e deficit di IgA così come di alleli A1 e B8 in soggetti con IgAD e malattie autoimmuni. Inoltre, lo studio dell’HLA ha rivelato una forte associazione con gli stessi alleli e con alcuni aplotipi estesi con cui è associata l’immunodeficienza comune variabile (CVID). Molti elementi accomunano queste due immunodeficienze: il IgAD si accompagna frequentemente a deficit di sottoclassi IgG; in molte famiglie le due immunodeficienze si associano; in entrambe è in gioco un blocco maturativo dei B linfociti. Recenti studi hanno evidenziato che il locus HLA DQ/DR è il maggiore determinante ereditario che predispone al IgAD e alla CVID. Al contrario, alcuni aplotipi sembrano essere “protettivi” rispetto al rischio di sviluppare il IgAD. Ancora recentemente, sono stati identificati alcuni pazienti con IgAD e con CVID che presentano mutazioni del gene TACI: la mutazione compromette la completa maturazione delle cellule B, impedendo alle cellule B di passare dalla produzione di IgM alla produzione di altre famiglie di Ig specifiche. Prognosi Clinica Alcuni pazienti con IgAD sono predisposti a sviluppare immunodeficienze più severe come CVID (in circa il 5% dei casi), che si presenta con il diminuire della produzione di IgG e IgM ed un difetto parziale di im- Molti soggetti sono asintomatici e vengono diagnosticati casualmente nel corso di esami di routine. Tut- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 60 La Commissione Tab. II. Numero e percentuale di pazienti con patologie associate nel difetto selettivo di IgA. Consensus Conference Gruppo Immunologia e Allergologia Pediatrica 1990 (modificata) Cunningham- Rundles 2004 (modificata) Numero totale di pazienti 258 127 Infezioni ricorrenti 123 (48%) 63 (50%) Patologie allergiche 39 (15%) 16 (13%) Patologie autoimmuni 32 (12%) 34 (28%) LES 2 3 Diabete 13 2 Vitiligo 4 Artrite reumatoide giovanile 5 4 Tiroidite 2 3 Celiachia 8 PIT 4 7 Anemia emolitica 3 5 Kawasaky 1 Patologie gastrointestinali Patologie tumorali 4 (3%) 3 (1%) 9 (7%) munità cellulomediata: proprio per evidenziare tale condizione è consigliato monitorare nel tempo i livelli delle immunoglobuline sieriche. In pochi casi, il IgAD può sottendere patologie molto severe come l’atassia teleangectasia: al momento quindi della diagnosi di IgAD, soprattutto in bambini piccoli, sotto i 2 anni di età che hanno da poco cominciato a camminare e che quindi possono non aver manifestato segni neurologici di atassia, è importante eseguire il dosaggio della α-fetoproteina. La prognosi del IgAD è in genere molto buona, purchè vengano adottate misure efficienti soprattutto per la prevenzione delle infezioni polmonari ricorrenti. La prognosi dipende anche dal tipo di difetto: i deficit completi sono in genere irreversibili, mentre nei deficit parziali le IgA sieriche ritornano a livelli normali nel 50% dei casi entro 4 anni dalla diagnosi. ti i soggetti è da consigliare l’esecuzione oltre che del normale calendario vaccinale anche delle vaccinazioni anti-Pneumococco, anti-Haemophilus influentiae, anti-Meningococco e del vaccino antinfluenzale. Nel IgAD non è indicata la terapia con immunoglobuline per via endovenosa (IVIG). In letteratura (Quartier, Cunningham-Rundles) è suggerito l’utilizzo di IVIG per i rari casi di soggetti con IgAD associato a deficit di IgG2 o a difettiva risposta anticorpale che presentano infezioni gravi e ricorrenti. In questi casi, le infusioni di IVIG, come la somministrazione di qualunque emoderivato, vanno iniziate soltanto dopo aver misurato il titolo degli anticorpi sierici anti-IgA e sotto stretta sorveglianza medica, preferendo i preparati a basso contenuto di IgA. Anche in caso di emotrasfusioni è opportuno trasfondere emazie lavate oppure sangue intero da donatori con deficit di IgA. L’incidenza attuale delle reazioni anti-IgA mediate durante le trasfusioni di sangue è stimata a 1,3 x milione di unità di sangue trasfuso. Le IVIG contengono vari titoli di IgA, ma preparati IgA depleti sono facilmente disponibili e sono usualmente ben tollerati, anche in pazienti con alti titoli di anticorpi anti-IgA. In pratica, la prognosi e la terapia del IgAD si identifi- Trattamento Non esiste una terapia specifica per i pazienti sintomatici con IgAD. In particolare, per i bambini con infezioni respiratorie ricorrenti, il trattamento va commisurato alla gravità del quadro clinico. A tut- Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica 61 La Commissione cano con quella della patologia eventualmente associata. Per i bambini con IgAD e infezioni respiratorie ricorrenti e gravi, va presa in considerazione la fisiochinesiterapia respiratoria nonché una pronta e appropriata antibioticoterapia; la profilassi antibiotica continuativa può essere indicata nei casi più sintomatici. Il malassorbimento deve essere monitorato con esami delle feci per la ricerca della Giardia e, se la clinica lo suggerisce, con indagini strumentali come l’esofagogastroduodenoscopia per escludere la celiachia. La terapia specifica per ogni patologia associata deve essere pianificata come di norma, in quanto le malattie autoimmuni, le neoplasie e le enteropatie rispondono al trattamento come nei soggetti senza deficit immunitari associati. Invece, per quanto riguarda le malattie allergiche, soprattutto l’asma che può essere particolarmente resistente alla terapia, la prognosi può essere meno favorevole che nei soggetti senza deficit associati. Questo sembra essere spiegato dal fatto che la suscettibilità a sviluppare infezioni aggrava la condizione di infiammazione tipica dell’asma. Indicazioni per la pratica Bibliografia essenziale as a major susceptibility locus in selective IgA deficiency and Common variable immunodeficiency. J Immunol 2003;170:2765-75. Latiff AHA, Kerr MA. The clinical significance of Immunoglobulin A deficiency. Ann Clin Biochem 2007;44:131-9. Litzman J, Vilkova M, Pikulova Z, Stikarovska D, Lokai J. T and B lymphocyte subpopolations and activation/differentiation markers in patients with selective IgA deficiency. Clin Exp Immunol 2006;147:249-54. Ozkan H, Atlihan F, Genel F, Targan S, Gunvar T, et al. 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Alla diagnosi è opportuno effettuare alcuni accertamenti consigliati per l’inquadramento completo del deficit di IgA: esame emocromocitometrico completo, dosaggio delle immunoglobuline sieriche, delle sottopopolazioni linfocitarie (CD3, CD4, CD8, CD19), dell’α-fetoproteina (se il bambino ha meno di due anni di età), degli Ab (IgG) anti-transglutaminasi. In seguito, si consiglia di controllare nei soggetti asintomatici gli Ab (IgG) antitransglutaminasi una volta ogni 1-2 anni. La determinazione delle immunoglobuline sieriche non ha utilità pratica nei soggetti asintomatici mentre andrà ripetuta più o meno frequentemente, in base all’andamento del quadro clinico ed a giudizio del pediatra nei bambini sintomatici. In base all’andamento clinico individuare la comparsa di problemi di autoimmunità, allergici o tumorali con gli accertamenti specifici caso per caso e provvedimenti terapeutici specifici. Cataldo F, Lio D, Marino V, Picarelli A, Ventura A, Corazza GR; and the Working Groups on Celiac Disease of SIGEP. IgG antiendomysium and IgG antitissue translutaminase (anti-tTG) antibodies in celiac patients with selective IgA deficiency. Gut 2000;47:366-9. Cataldo F, Marino V, Ventura A, Bottaro G, Corazza GR. Prevalence and clinical features of selective immunoglobulin A deficiency in celiac disease: an Italian multicenter study. Gut 1998;42:362-5. Consensus Conference 1990. RIAP aprile 1991 Cunningham-Rundles C. Physiology of IgA and IgA deficiency. J Clin Immunol 2001;5:303-9. Cunningham-Rundles C. Selective IgA deficiency. In: Stiehm R, Ochs HD, Winkelstein JA (eds.). Immunologic disorders in infants and children. 5th ed., W.B. Saunders Company 2004. Edwards E, Razvi S, Cunningham-Rundles C. IgA deficiency: clinical correlates and responses to pneumococcal vaccine. Clin Immunology 2004;111:93-7. 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