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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
anno 21 | numero 7 | 18 febbraio 2015 |  2,00
EDITORIALE
IL “CAPOLAVORO” AMERICANO
Purtroppo per l’Ucraina non restano
che due vie: la partizione o le armi
«L
a questione ucraina non è esplosa per colpa della Russia ma è una conseguenza dei tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali
che si ritengono “vincitori” della Guerra fredda di espandere dappertutto la loro volontà». Difficile dare torto al pur “inqualificabile” Putin.
Ma come dice Camile Paglia, sono le “meschine” e “arroganti” élite della sinistra che con loro ottusità ideologica stanno sospingendo il mondo verso la
rovina. Infatti, se la bandiera nera dei tagliatori di teste vuole imporre l’inferno sulla terra, i liberal vogliono imporre il paradiso con la loro idea di sicurezza; con la loro religione politicamente corretta (magari un pochino limata se c’è di mezzo il monarca che finanzia il jihad ma è anche quotato a Wall
Street); con la loro idea di matrimonio da Corte suprema (a proposito, ci voleva una sentenza della nostra Alta Corte per dire che nemmeno Hillary Clinton può obbligare l’Italia ad approvare le nozze gay?); con la loro idea di vita
incatenata alla tecnoscienza, coi “diritti umani” secondo Harvard, coi genitori A e B di Planned Parenthood, con il colonialismo del gender.
La Russia, in particolare, dopo essere stata accerchiata dalla Lituania
all’Uzbekistan di basi Nato, jihadisti, commerci di droga, pornografia, “diritti riproduttivi”, “filantropi” alla Soros e
governi che stanno in piedi solo in graAvviso agli abbonati
zia dei soldi occidentali, ha dovuto suA causa di un disguido, l’ultimo numero
bire anche le provocazioni (vedi olimdel settimanale Tempi (nr. 6 dell’11 febbraio)
piadi di Sochi) dell’internazionale Lgbt
è stato spedito agli abbonati con qualche
giorno di ritardo. Ce ne scusiamo.
supportata dalla Casa Bianca. Infine ha
dovuto incassare il colpo di Stato a Kiev
che ha spostato l’Ucraina sotto l’ombrello Nato. (È un fatto, c’era all’epoca
un presidente sì filorusso, ma eletto democraticamente, il cosiddetto “Euromaidan” l’ha defenestrato col supporto di Stati Uniti ed Europa: ricordarlo
non significa disprezzo per la libertà, significa piangere su quella piazza, pacifica e democratica, usata per calcolo e scontro imperiali).
Insomma, complici la recessione e il niente politico europeo, un errore dopo l’altro (dal sostegno ai Fratelli Musulmani nelle “primavere arabe”
all’appoggio del jihad in Siria – di lì è partito l’Isis, non dimentichiamolo),
Obama è riuscito anche nel Vecchio Continente a dividere e a imperare, sospingendo l’Orso russo verso est (Cina) con le sanzioni; e, sempre grazie alla
crisi ucraina, provocandolo a tirar fuori gli artigli verso ovest (Europa).
Eppure in epoca Bush la Russia di Putin è stata alleata dell’Occidente
contro il terrorismo. Pagando per questa sua scelta il prezzo altissimo delle
stragi a Mosca e le offensive jihadiste entro i suoi confini.
Adesso, a causa di questa politica obamiana condotta su tutti i fronti per
indebolire tutte le parti in causa e per non sposare nessuna causa (tant’è
che al Califfato ha fatto più male un weekend di raid dell’aviazione giordana che mesi di droni americani), nella crisi del Donbass non sembrano
purtroppo emergere che due soluzioni: la partizione di fatto, anche
se non dichiarata, dell’Ucraina. O la guerra in Europa.
L’ASCIA NEL CUORE
Maternità
virginale
Non era nemmeno una suora, ma
questo ai nostri occhi non cambia la
sostanza della vicenda. Qualche giorno fa i giornali hanno dato notizia
di una suora di clausura che, recatasi
in ospedale per forti dolori di pancia,
ha poi partorito un bambino. Immaginatevi le ironie sul voto di castità e
altri sottintesi da caserma. Qualcuno
a digiuno dei più basilari rudimenti di pietà cristiana ha persino ipotizzato che la sventurata potesse incorrere in una scomunica. Solo poi si
è scoperto che la ragazza era di umili origini, era straniera, aveva subìto
una violenza sessuale nel suo paese
ed era stata accolta nel convento dalla suore che, discretamente, l’avevano accudita e aiutata. Qui si fermano i resoconti dei quotidiani che, non
avendo più la possibilità di rimestare su satellitari dettagli erotici, hanno dimenticato la faccenda. E questo
è un bene, per il rispetto che si deve all’intimità dei protagonisti, ma
è anche significativo di che cosa oggi
si intenda per “notizia”. A noi resta
l’impressione che il nocciolo della questione sia quello non raccontato e che
può essere solo dedotto dal comportamento delle religiose. Di fronte a un
mondo che fa un gran parlare di diritti, quote rosa ed emancipazione
femminile, ancora una volta – arrivati al sodo – è la Chiesa a mostrare
la cura più adeguata e disinteressata dell’altro. E cos’è questo se non
il segno più profondo di ciò che noi
chiamiamo “maternità”? Che ce lo insegnino delle vergini di clausura è un
ossimoro solo per gli stolti.
Emanuele Boffi
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA PER COSA SIAMO DISPOSTI A MORIRE | HADJADJ
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NUMERO
anno 21 | numero 7 | 18 febbraio 2015 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
Avete ragioni forti
affinché San Pietro
non conosca la stessa
sorte di Santa Sofia?
LA SETTIMANA
18 ESTERI UNA GUERRA DI IMPORTAZIONE | CASADEI
13 PRIMALINEA LA LAICÏTÉ
SVENDUTA | ZANON
L’ascia nel cuore
Emanuele Boffi............................3
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
Boris Godunov
Renato Farina........................... 23
Thomas Merton
Laura Cioni...................................... 28
Appunti
Marina Corradi....................... 31
Mamma Oca
Annalena Valenti................37
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 40
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano...................41
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento................................... 43
Mischia ordinata
Annalisa Teggi....................... 46
RUBRICHE
24 CULTURA VISITA ALLE CARMELITANE | AMICONE
32 L’ITALIA CHE LAVORA I CONFETTI DI MILANO
Stili di vita........................................... 36
Motorpedia........................................ 38
Lettere al direttore.......... 40
Taz&Bao................................................44
Foto: Ansa
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 21 – N. 7 dal 12 al 18 febbraio 2015
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa
Via Alighieri, 50 – 21010 Brezzo di Bedero (Va)
DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl
SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano,
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FOGLIETTO
l’utopia delle “mani pulite” per legge
La moltiplicazione delle
norme anticorruzione
ha un effetto “paralisi”
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DI ALFREDO MANTOVANO
D
omanda: da quando,
poco più di
due anni fa, il Parlamento ha approvato la “legge Severino”, il livello di corruzione in Italia è aumentato o è diminuito? Il quesito è retorico: se
vi è l’esigenza di un nuovo tour de force
del Parlamento per varare nuove norme
la risposta è nei fatti. Seconda domanda:
da quanto pubblicato sui giornali, ci sono le premesse perché l’impegno a cui
vengono chiamati Camera e Senato abbia esiti meno deludenti rispetto a quelli della più recente riforma? In attesa che
le anticipazioni si traducano in articoli
e in commi è lecita qualche perplessità.
Buon senso imporrebbe di prevenire i fenomeni corruttivi, introducendo meccanismi che li scoraggino o ne impediscano il dilatare. E invece par di capire che
il terreno di intervento saranno le norme penali: come se aumentare le pene
e introdurre nuove figure di reato, cioè
concentrarsi sul “dopo”, quando il danno è prodotto, non sia una scelta già più
volte rivelatasi improduttiva.
Qualche esempio di accorgimenti –
in apparenza minuscoli – adatti a snidare la corruzione dal sistema: a) si pensi all’inerzia o al ritardo delle pubbliche
amministrazioni; disposizioni più rigorose sul rispetto dei tempi e sulle competenze, con l’obbligo di un cronoprogramma non velleitario, e con sanzioni
disciplinari serie per i funzionari inadempienti, scoraggerebbe le richieste
di “olio” perché la macchina vada avanti a ogni intoppo; b) si pensi all’uso distorto della giustizia amministrativa:
capita che il concorrente escluso dall’aggiudicazione in una gara di appalto presenti ricorso al Tar, col risultato di bloc-
procedere solo
per sanzioni penali
sempre più elevate significa
continuare a erigere
ostacoli alla realizzazione
delle opere pubbliche. urge
un sereno esame della realtà
care l’esecuzione dell’opera, e che poi lo
stesso ricorrente “contratti” con l’aggiudicatario la rinuncia al ricorso. È evidente che il “prezzo” sale quanto più ci si avvicina alla sentenza, e sale ancor di più
dopo la pronuncia, se è favorevole al ricorrente: individuare una griglia di materie per le quali dopo la sentenza non
si può più tornare indietro eviterebbe i
danni costituiti dal fermo dell’opera, dal
suo costo nelle more cresciuto, e dal denaro circolato impropriamente; c) si pensi al depotenziamento, avvenuto da oltre
15 anni, con le leggi Bassanini, di filtri di
legalità all’interno degli enti locali, primo fra tutti il segretario comunale, ridotto alla funzione di consigliere del sindaco, a rischio licenziamento se non esegue
quanto è a lui gradito, pur se di dubbia
legittimità: ripristinare un filtro di giuridicità (non una valutazione del merito, che spetta a chi è stato eletto), cioè
una attestazione di conformità degli atti dell’ente territoriale alle leggi e ai vin-
coli di bilancio, non lederebbe l’autonomia dell’ente e garantirebbe il rispetto
dell’ordinamento nel suo insieme.
La strada della “panpenalizzazione”
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma
stanno a indicare terreni di riflessione
e di intervento differenti da quello che
sembra preferito dagli annunci degli ultimi giorni. Proseguire sulla strada della
panpenalizzazione significa però rinunciare alla costruzione di meccanismi di
filtro preventivi e proseguire nell’erigere ostacoli alla realizzazione delle opere
pubbliche; la moltiplicazione delle informazioni di garanzia e delle misure cautelari, ancora di più dei ricorsi al Tar,
otterranno un effetto paralisi, senza garantire trasparenza a monte. Se per una
volta dall’effetto annuncio, coincidente
col prospettare le pene più elevate, si passasse all’esame sereno della realtà, sarebbe l’occasione per riequilibrare un sistema intollerabile.
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Foto: Ansa
COPERTINA
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DI Fabrice Hadjadj
Integrati
al nulla
La sottomissione dei jihadisti di Parigi all’islamismo
non è solo una reazione al vuoto culturale e spirituale
della République. È una continuità con quel vuoto.
Ci battiamo come leoni per i passatempi che ci hanno
rammolliti, ma abbiamo ragioni forti affinché San
Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia?
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C
Jihadisti, è il titolo di
una lettera aperta pubblicata da Philippe Muray –
uno dei più grandi polemisti francesi – poco dopo gli
attentati dell’11 settembre
2001. La lettera si conclude con una serie
di avvertimenti ai terroristi islamici, ma
a esser presi di mira, di riflesso e ironicamente, sono in verità gli occidentali fanatici del comfort e del supermercato. Cito
un passaggio da cui si può facilmente
cogliere lo scherno pungente e sarcastico:
«[Cari Jihadisti], temete la collera del
consumatore, del turista, del vacanziere
che smonta dal suo camper! Voi ci immaginate rotolati nei piaceri e nei passatempi che ci hanno rammolliti? Ebbene noi
lotteremo come leoni per proteggere il
nostro rammollimento. Ci batteremo per
ogni cosa, per le parole che non hanno
più senso e per la vita che queste si portano appresso».
E oggi possiamo aggiungere: ci batteremo specialmente per Charlie Hebdo,
giornale ieri moribondo e privo di qualsiasi spirito critico – perché criticare è
discernere, e Charlie metteva nello stes-
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ari
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so calderone jihadisti, rabbini, poliziotti,
cattolici e francesi medi – ma proprio per
questo ne faremo il simbolo della confusione e del nulla che ci animano!
Ecco pressappoco lo stato dello Stato francese. Invece di lasciarsi interrogare dagli avvenimenti, parla e parla, ne
approfitta per lavarsi la coscienza, risalire nei sondaggi, disporsi accanto alle
vittime innocenti, alla libertà schernita,
alla moralità oltraggiata, purché non si
ammetta il vuoto umano della politica
condotta da parecchi decenni, né l’errore
di un certo modello eurocentrico secondo il quale il mondo evolverebbe verso
la secolarizzazione, mentre altrove, quasi ovunque e almeno dal 1979, si assiste
ad un ritorno della religione nella sfera
politica. Ma ecco: questa troppo buona
coscienza e questo accecamento ideologico stanno preparando per molto presto,
se non la guerra civile, perlomeno il suicidio dell’Europa.
La prima cosa che bisogna constatare è che i terroristi dei recenti attentati di
Parigi sono francesi, che sono cresciuti in
Francia e non sono incidenti di percorso e
neppure mostri, ma prodotti dell’integra-
zione alla francese, veri figli della Repubblica attuale, con tutta la rivolta che tale
discendenza può indurre.
Nel 2009, Amedy Coulibaly, l’autore
degli attentati di Montrouge e del supermercato kosher di Saint-Mandé, era stato
ricevuto all’Eliseo da Nicolas Sarkozy con
altri nove giovani scelti dai loro datori di
lavoro per manifestare i benefici del percorso studio-lavoro: a quel tempo lavorava
con un contratto di formazione nella fabbrica della Coca-Cola della sua città natale di Grigny.
I fratelli Kouachi, orfani, figli di
immigrati, erano stati accolti dal 1994
fino al 2000 in un centro educativo della Corrèze, centro che appartiene alla
fondazione Claude-Pompidou. All’indomani della sparatoria alla sede di Charlie Hebdo, il direttore del centro educativo si diceva stupefatto: «Siamo tutti scioccati da questa storia perché conosciamo
quei giovani. Si fa fatica a immaginare
che quei ragazzi, che erano perfettamente integrati (giocavano a calcio nei club
locali), abbiano potuto uccidere deliberatamente in quel modo. Si fa fatica a crederci. Durante il loro percorso da noi non
COPERTINA PRIMALINEA
Il testo è tratto dall’intervento
di Fabrice Hadjadj al seminario
della Fondazione De Gasperi
“L’Europa, l’Occidente e l’Italia
prima e dopo Parigi”, tenutosi
a Roma il 5 febbraio 2015
UNO NON CERCA SOLO RAGIONI PER VIVERE, MA SOPRATTUTTO
PER DAR LA VITA. LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE È UNA RAGIONE?
VA BENE! MA COSA ABBIAMO DI COSÌ IMPORTANTE DA DIRE?
hanno mai dato luogo a problemi di comportamento. Saïd Kouachi (…) era completamente pronto per la vita socio-professionale». Queste affermazioni rimandano a quelle del sindaco di Lunel – piccola cittadina del sud della Francia – che si
stupiva del fatto che dieci giovani del suo
comune fossero partiti per unirsi al jihad
in Siria, proprio adesso che la municipalità aveva risistemato una magnifica pista
da skateboard nel loro quartiere.
Il legame tra martirio e maternità
Che ingratitudine! Come è possibile che
questi giovani non abbiano veduto le loro
aspirazioni più profonde realizzate lavorando per Coca-Cola, facendo dello skateboard o giocando nella squadra di calcio
locale? Come mai il loro desiderio di eroicità, di contemplazione e di libertà non
si è sentito soddisfatto dall’offerta così
generosa di poter scegliere tra due piatti surgelati, guardare una serie tv americana o astenersi alle elezioni? E perché
le loro speranze di pensiero e di amore
non si sono realizzate vedendo tutti i progressi in corso, e cioè la crisi economica, il matrimonio gay e la legalizzazione
dell’eutanasia? Perché era precisamente
questo il dibattito che interessava il governo francese fino al giorno prima degli
attentati: la République era tutta tesa verso un’altra grande conquista umana, l’ultima senza dubbio, e cioè il diritto di essere assistiti nel suicidio o essere finiti da
un boia la cui delicatezza sia attestata da
un titolo di studio in medicina.
Mi spiego: i fratelli Kouachi e Coulibaly erano «perfettamente integrati», ma
integrati al nulla, alla negazione di ogni
slancio storico e spirituale, ed è per questo che alla fine si sono sottomessi a un
islamismo che era non soltanto la reazione a tale vuoto, ma era anche in continuità con quel vuoto, con la sua logistica di sradicamento mondiale, di perdita della tradizione familiare, di miglioramento tecnico dei corpi per farne dei
super-strumenti connessi a un dispositivo senz’anima.
Un giovane non cerca soltanto ragioni per vivere, ma anche e soprattutto –
giacché non possiamo vivere per sempre
– ragioni per dare la propria vita. Ora, ci
sono ancora in Europa ragioni per dare
la propria vita? La libertà di espressione?
Va bene! Ma cosa abbiamo di così importante da esprimere? Quale Buona Novella
abbiamo da annunciare al mondo? Sapere se l’Europa sia ancora capace di portare una trascendenza che dia un senso
alle nostre azioni – dico che questa è la
questione più spirituale e per ciò stesso
anche la più carnale. Non si tratta solo
di dare la propria vita; si tratta anche
di dare la vita. Curiosamente, o provvidenzialmente, nell’udienza del 7 gennaio, il giorno stesso dei primi attentati,
papa Francesco indicava, citando un’omelia di Oscar Romero, il legame tra martirio e maternità, tra l’essere pronti a dare
la propria vita e l’essere pronti a dare la
vita. È un’evidenza innegabile : la nostra
debolezza spirituale si ripercuote sulla
demografia; che lo si voglia oppure no la
fecondità biologica è sempre segno di una
speranza vissuta (anche quando tale speranza è disordinata, come nel natalismo
nazionalista o imperialista).
L’insegnamento di De Gaulle
Se si adotta un punto di vista totalmente darwinista, bisogna allora ammettere che il darwinismo non è un vantaggio
selettivo. Credere che l’uomo sia il risultato mortale del casuale bricolage dell’evoluzione non incoraggia granché a fare
figli. Meglio un gatto o un cagnolino. O
forse uno o due piccoli sapiens sapiens,
per inerzia, per convenzione sociale, alla
fine non tanto come figli ma come giocattoli adatti a esercitare il proprio dispotismo e per distrarsi dall’angoscia (prima di aggravarla radicalmente). Il successo teorico del darwinismo conduce inevitabilmente al successo pratico dei fondamendalisti che negano tale teoria ma che,
loro, fanno tanti figli. Un’amica islamologa, Annie Laurent, mi ha citato a questo
proposito una frase illuminante: «Il parto
è il jihad delle donne».
Ciò che a suo tempo spinse il generale De Gaulle a concedere l’indipendenza
all’Algeria fu precisamente la questione
demografica. Mantenere l’Algeria francese con giustizia avrebbe voluto dire accordare la cittadinanza a tutti, ma essendo la
democrazia francese sottoposta alla legge della maggioranza e dunque a quella della demografia, essa avrebbe finito con il sottomettersi alla legge coranica. Il 5 marzo 1959 De Gaulle confidava
ad Alain Peyrefitte: «Lei crede che il corpo francese possa assorbire dieci milioni
di musulmani che domani saranno venti milioni e dopodomani quaranta? Se
facessimo l’integrazione, se tutti gli arabi e i berberi di Algeria fossero considerati francesi, come impedirgli di venire a
stabilirsi in Francia metropolitana dove il
tenore di vita è più elevato? Il mio paesino non si chiamerebbe più Colombey|
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È FACILE PROTESTARE CONTRO IL BURQA. QUELLE USANZE
BARBARE UNITE A UN’IMMIGRAZIONE CHE COMPENSA LA
DENATALITÀ EUROPEA CAPOVOLGERANNO LA NOSTRA CIVILTÀ
les-Deux-Églises, ma Colombey-les-DeuxMosquées!». Certo, c’è una liberazione
della donna di cui possiamo essere fieri,
ma quando tale liberazione si risolve nella militanza contraccettiva e abortiva, e
la maternità e la paternità sono concepite come pesi insopportabili per individui
che hanno dimenticato di essere prima
di tutto figli e figlie, tale liberazione non
può che fare posto, dopo qualche generazione, al dominio numerico delle donne
col burqa, perché le donne con la minigonna si riproducono molto di meno. È
facile protestare: «Il burqa, che usanze
barbare!». Quelle usanze barbare unite a
un’immigrazione che compensa la denatalità europea capovolgeranno la nostra
civiltà del futuro – cioè, di un futuro senza posterità. In fondo, i jihadisti commettono un grave errore strategico: provocan12
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do reazioni indignate finiscono col rallentare l’islamizzazione dolce dell’Europa,
quella che Michel Houellebecq presenta nel suo ultimo romanzo e che si realizza a causa della nostra doppia astenia
religiosa e sessuale. A meno che la nostra
insistenza nel dire che «non si devono
fare associazioni indebite», nel ripetere
che l’islam non c’entra niente con l’islamismo (mentre sia il presidente egiziano
Al Sisi sia i Fratelli Musulmani ci dicono
il contrario) e a colpevolizzarci del nostro
passato coloniale – a meno che tutta questa confusione non ci consegni con ancor
più grande quanto vana ossequiosità al
processo in atto.
C’è in ogni caso una vanità che dobbiamo smettere di avere ed è di credere che i movimenti islamisti siano movimenti pre-illuministi, barbari come dice-
vo prima, e che diverranno moderati non
appena scopriranno gli splendori del consumismo. In verità sono movimenti postilluministi. Essi sanno che le utopie umaniste che si erano sostituite alla fede religiosa sono crollate. E dunque ci si può
chiedere con ragione se l’islam non sia
il termine dialettico di un’Europa tecnoliberale che ha rifiutato le sue radici greco-latine e le sue ali giudaico-cristiane: e
siccome questa Europa non può vivere
troppo a lungo senza Dio e senza madri,
ma come un bambino viziato non riesce
a tornare da sua madre la Chiesa, essa
acconsente finalmente a darsi a un monoteismo facile, dove il rapporto con la ricchezza è sdrammatizzato, dove la morale sessuale è più rilassata, dove la postmodernità hi-tech costruisce città radiose come quelle del Qatar. Dio e il capitalismo, le huri dell’harem e i mouse
dei computer, perché non potrebbe essere questo l’ultimo compromesso, la vera
fine della storia? Una cosa mi sembra
certa: ciò che c’è di buono nel secolo dei
Foto: Ansa
Musulmani in preghiera
all’esterno della moschea di Parigi
COPERTINA PRIMALINEA
|
DA PARIGI MAURO ZANON
Come ti svendo
la sacra laïcité
Un archivio online svela un fiume di finanziamenti
pubblici alle moschee francesi. A favore di imam
«tutto fuorché moderati». Legati ai Fratelli Musulmani
Foto: Ansa
I
Lumi ormai non può più sussistere senza
il Lume dei secoli. Ma riconosceremo che
quella Luce è quella del Verbo fatto carne,
del Dio fatto uomo, e cioè di una Divinità che non schiaccia l’umano, ma che lo
accoglie nella sua libertà e nella sua debolezza? Questa è la domanda che pongo a
voi alla fine: siete romani, ma avete ragioni forti affinché San Pietro non conosca
la stessa sorte di Santa Sofia? Siete italiani, ma siete capaci di battervi per la Divina Commedia, o ne avrete vergogna, visto
che Dante, nel XXVIII canto dell’Inferno,
osa mettere Maometto nella nona bolgia
dell’ottavo girone?
Infine, siamo europei, ma siamo fieri della nostra bandiera con le sue dodici stelle? Ci ricordiamo ancora del senso di quelle dodici stelle, che rimandano
all’Apocalisse di san Giovanni e alla fede
di Schuman e De Gasperi? Bisogna rispondere, o siamo morti: per quale Europa siamo pronti a dare la vita? n
Traduzione di Ugo Moschella,
revisione di Rodolfo Casadei
Observatoire de l’islamisation,
che ha fondato nel 2007, è un archivio di dati, articoli, approfondimenti e reportage imprescindibile per chi
vuole addentrarsi senza paletti ideologici nella realtà dell’islam contemporaneo.
È la più grande riserva web di documenti in lingua francese dedicati agli avvenimenti rivelatori dell’avanzata dell’islam
in Francia. La nascita di nuove moschee
e “centri culturali islamici”, la proliferazione di madrase camuffate da istituti e
scuole repubblicane, i veri dati sui flussi
migratori che il sistema politico-mediatico preferisce non diramare, e numerose
altre informazioni sulle varie personalità
musulmane e correnti dell’islam in Francia trovano spazio all’interno di un sito
che è consultato ogni mese da più di 80
mila visitatori unici.
Oscurato dai media, quello di Joachim Véliocas è un lavoro giornalistico e
di ricerca colossale, oltre che coraggioso,
che, come si può leggere sulla pagina ufficiale, «viene svolto nel rispetto dei musulmani, legittimamente alla ricerca della
fede, la cui maggioranza aspira a una
convivenza pacifica». Véliocas ufficializza il debutto della sua indagine nel 2006,
all’età di 25 anni, con la pubblicazione
di un saggio, L’islamisation de la France
(edizioni de Bouillon), che passa in rassegna tutte le associazioni musulmane e le
correnti islamiste di Francia. Ma è quattro anni dopo che il suo nome comincia
a circolare e a infastidire le alte sfere della politica. Ovvero quando dà alle stampe la prima edizione di Ces maires qui
courtisent l’islam (Questi sindaci che corteggiano l’islam), un libro esplosivo che
per la prima volta denuncia le relazioni
torbide tra fior fiore di personalità politiche della sinistra e della destra francese e le associazione islamiche locali, soffermandosi soprattutto sull’opaco sistema
di finanziamento delle moschee e dei non
meglio precisati “centri culturali islamil suo
ci”. Il libro, edito dall’indipendente Tatamis, nonostante il totale boicottaggio dei
media (il solo a parlarne brevemente nel
suo blog personale è stato Ivan Rioufol del
Figaro), è andato a ruba: più di 10 mila
copie vendute. Un successo che ha convinto Véliocas a pubblicarne una seconda edizione, uscita a gennaio di quest’anno con
l’aggiunta di otto nuovi capitoli.
«Con le elezioni municipali dello scorso anno, sono stati eletti molti nuovi sindaci, e in cinque anni numerosi altri progetti di moschee, finanziati dalle casse
dei comuni, sono stati avviati. Un’edizione per rendere attuali i capitoli esistenti
e aggiungere i nuovi aggiornamenti era
indispensabile», dice a Tempi Véliocas,
ricordandoci che prima di lui altri avevano abbordato la questione dell’islamizzazione, ma non era ancora stato realizzato uno studio circostanziato su di essa.
«La questione dell’islamizzazione della
Francia attraverso la demografia, la comparsa di rivendicazioni e la moltiplicazione di segni materiali come le moschee
e gli abiti, era già stata posta negli anni
Ottanta dal sociologo Jacques Ellul, e persino dall’ex ministro dell’Interno Michel
Poniatowski. I padri della scienza demografica in Francia, Jacques Dupâquier e
Alfred Sauvy avevano già realizzato delle proiezioni che annunciavano il processo di sostituzione di popolazione. Tuttavia
sono stato il primo a realizzare un quadro
dettagliato delle federazioni di moschee
in Francia, i cui predicatori e imam sono
tutto fuorché moderati, e a evidenziare le
responsabilità dei politici che accompagnano questo processo».
La “sous-médiatisation” di cui il suo
saggio è stato vittima non lo sorprende affatto: «Non faccio parte del serraglio mediatico, non sono ricercatore al
Cnrs (Centre national de recherche scientifique) o a Science-Po, dunque non sono
“presentabile” per la stampa. Tuttavia,
noto divertito che otto anni dopo di
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Dove si trovano le moschee finanziate
dallo Stato francese legate
ad organizzazioni internazionali
BELGIO
Lille
Roubaix
Escaudain
GERMANIA
Beauvais
(2016)
Caen
Creil
Reims
Pontoise
Tremblay
Parigi
Dreux Puteaux
Massy
Evry
Corbeil-Essonne
Gennevilliers
Argenteuil
Chateaudun
Montargis
Nantes
(moschea Assalam)
Mantes-la-Jolie
Cergy
Metz
Toul
Nancy
Epinal
Mulhouse
Blois
Tours
SVIZZERA
Poitiers
Rete delle grandi moschee legate all’Uoif
(Union des organisations islamiques de France),
antenna francese dei Fratelli Musulmani
Clermont Ferrand
Grandi moschee legate all’Arabia Saudita
Grandi moschee legate al Marocco
Villeurbane
Annecy
Vénissieux
Chambéry
Grandi moschee legate all’Algeria
Principali moschee legate all’associazione
islamica turca Millî Görüs
Strasburgo
Grenoble
Bordeaux
ITALIA
Altre moschee legate alla Dibit, la filiale
tedeca dell’Ente per gli affari religiosi
dello Stato turco Dyanet
Tolosa
Nizza
Salon de
Provence
Cannes
Marsiglia
SPAGNA
les Kepel (professore a Science-Po a Parigi) afferma che i “segni di islamizzazione”
aumentano in Francia e che c’è un’“estensione del dominio dell’halal” secondo le
sue proprie parole. Il successo del mio
libro si spiega perché il popolo francese ha
preso coscienza, nonostante le intimidazioni, di ciò che sta accadendo in Francia».
La politica degli opportunisti
Pur essendo in totale contraddizione con
la tanto osannata laïcité e la legge del
1905 che la costituzionalizza, i finanziamenti diretti delle moschee di cui si parla all’interno di Ces maires qui courtisent
l’islam, non sono rari. È il caso, ad esempio, della moschea di Tours, nella Loira,
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dove il comune e la regione hanno appena promesso 2,5 milioni di euro per la
finalizzazione del progetto. «Ma i casi più
frequenti – spiega l’autore – riguardano la
messa a disposizione dei terreni del comune per innalzare moschee in cambio di
affitti irrisori, pratica generalizzata in tutte le grandi città, ma anche in quelle di
medie dimensioni. La moschea di Cergy,
uno dei casi più eclatanti, è stata costruita su un terreno di 2 mila metri quadrati, offerto dal comune socialista in cambio di un affitto pari a 728,50 euro mensili, vale a dire una miseria». Nel libro, sul
banco degli imputati, finiscono anche l’attuale primo ministro Manuel Valls, ex sindaco di Evry, e Alain Juppé, tra i favoriti
per le presidenziali del 2017 nonché primo cittadino di Bordeaux dal 2006. Eppure non passa giorno senza che i suddetti
parlino della laicità come «valeur sacrée»
della Repubblica francese. «Sono solo degli
opportunisti», attacca Véliocas. «Quando
Manuel Valls era sindaco di Evry, città
con una forte concentrazione di popolazione di origine immigrata, si era pronunciato in un libro a favore del finanziamento pubblico delle moschee attraverso la riscrittura della legge sulla laicità del 1905. Ora che i tre quarti dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, temono la
progressione dell’islam, si adatta e modula il suo discorso. Alain Juppé, dal canto
suo, fa acquistare dal suo comune un ter-
COPERTINA PRIMALINEA
i SOLDI non provengono
solo dalLA francIA MA ANCHE
DA FONDI stranieri. «Visti gli
interessi economici dI
PARIGI in Qatar e in Arabia
Saudita, così come i loro
investimenti in Francia, è mal
accoltA ogni inquietudine
circa questi finanziamenti»
A
go
A
reno per affittarlo in seguito alla futura
grande moschea di Bordeaux, diretta da
Tareq Oubrou, un imam che ha confessato di essere un adepto dei Fratelli Musulmani e che proprio da Juppé è stato insignito del grado di cavaliere della Legion
d’onore». Tareq Oubrou è anche membro
dell’Amg (Association des musulmans de
la Gironde), associazione vicina all’Union
des organisations islamiques de France
(Uoif), la quale, oltre a essere una delle
più importanti federazioni islamiche del
paese, è nota per essere l’antenna francese dei Fratelli Musulmani, nonostante nei
media si preferisca omettere questa informazione (in un’intervista al quotidiano Le
Parisien, Lhaj Thami Breze, ex presidente dell’Uoif, aveva scandito con orgoglio il
motto dei Fratelli Musulmani: «Il Corano è
la nostra Costituzione»).
Luoghi di culto e scuole
Ma qual è l’influenza dell’Uoif in Francia? «Su 2.400 moschee, l’Uoif ne controlla 400, e non si tratta di piccole sale di
preghiera, ma delle grandi moschee di
Mulhouse, Caen, Nantes, e presto di Bordeaux», spiega a Tempi Véliocas. «Le scuole medie-licei privati musulmani che hanno aperto in questi ultimi anni sono stati creati da questa organizzazione (come
il Lycée Averroès di Lille, in questi giorni
al centro della tormenta in ragione delle
dimissioni di un professore che ha denunciato l’ideologia islamista che viene propagata surrettiziamente dai responsabili del liceo, eretto per volere dell’imam
Amar Lasfar, col sostegno del sindaco
socialista Martine Aubry, ndr). Due delle
quattro scuole di imam presenti in Francia sono controllate dall’Uoif. I predicatori e gli imam usciti da queste scuole non
si accontentano di predicare nelle loro
moschee ma intervengono nelle moschee
non affiliate e spesso fanno carriera nelle
moschee appartenenti a delle associazioni
locali (come a Cannes e a Cergy ad esempio). Alla fine, il miglior test di popolarità resta il loro grande congresso annuale al Parc des expositions del Bourget dove
più di centomila musulmani convergono
ogni anno. I congressi regionali di Lille o
Nantes riuniscono quasi 10 mila persone,
nessun’altra federazione di moschee ne
muove così tante. Bisogna anche ricordare
che le star dell’islam mondiale vengono a
questi congressi, come gli sceicchi Qaradawi, Higazi, Abdelkafi (Egitto), Suwaidan
(Kuweit), al Arifi (Arabia Saudita)».
Come sottolineato in precedenza, è
sui controversi sistemi di finanziamento
alle moschee che si concentra buona parte dell’inchiesta di Véliocas, sulle piogge di denaro pubblico che senza il minimo controllo innaffiano le comunità islamiche locali, sovvenzionando i loro luoghi di culto e le loro attività. Sotto accusa
finiscono anche quei deputati che utilizzano le loro “réserve parlementaire” (fondi sbloccati dallo Stato a disposizione dei
parlamentari dell’Assemblea nazionale
e del Senato per finanziare le associazioni e le collettività della loro circoscrizione, ndr) per sovvenzionare la costruzione
di moschee: «C’è il caso dell’ex deputato
Ump Chantal Brunel, vicino all’ex primo
ministro François Fillon, che ha perso il
suo scranno nel 2012, il quale si vantava
in un’intervista a Le Parisien di utilizzare la sua réserve per la costruzione di una
moschea, o del deputato Ump del dipartimento del Nord Thierry Lazaro che ha
donato parte della sua liquidità al progetto della moschea di Ostricourt. Il caso
l’inchiesta di Véliocas si concentra sulle piogge
di denaro pubblico che senza controllo innaffiano
le comunità islamiche e TUTTE LE LORO INIZIATIVE
più eloquente è ad ogni modo quello del
responsabile per il web della campagna
elettorale di François Hollande, il deputato Ps Vincent Feltesse, che ha promesso
50 mila euro per il progetto di moschea
a Bordeaux in piena campagna per le
municipali».
Ambiguità bipartisan
Ma i finanziamenti non provengono solo
dal territorio francese: «La Fondation des
oeuvres de l’islam, creata da Dominique
de Villepin quando era primo ministro,
raccoglie i fondi stranieri per redistribuirli alle moschee», spiega Véliocas. «Visti gli
interessi economici della Francia in Qatar
e in Arabia Saudita, così come i loro investimenti in Francia, è mal accolto ogni sorta di inquietudine circa questi finanziamenti. Il ministro degli Esteri socialista,
Laurent Fabius, e Nicolas Sarkozy hanno
recentemente negato che il Qatar finanzia
i jihadisti, nonostante il rapporto del Tesoro americano diramato alla fine del 2014
lo certifichi. E bisogna ricordare che Sarkozy tiene conferenze profumatamente
remunerate per conto delle banche qatariote». Esistono soluzioni a breve termine per frenare l’islamizzazione? «Decadenza della nazionalità per i delinquenti di origine straniera o binazionali, fine
delle prestazioni sociali agli stranieri che
non lavorano, ricongiungimento familiare nei rispettivi paesi d’origine, espulsioni di gruppo dei clandestini. Tuttavia –
evidenzia Véliocas – tutto ciò è proibito
dalle convenzioni europee. Persino Sarkozy ha sospeso le espulsioni dei delinquenti stranieri che erano previste prima
del suo approdo al ministero dell’Interno
nel 2005. Temo che questa islamizzazione
sia irreversibile in molte zone. Per arginare il fenomeno, servirebbe una destra che
sia veramente convinta del suo credo politico, perché con Alain Juppé e Nicolas Sarkozy sembra di avere i candidati dei Fratelli Musulmani». n
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VERSO LA “LEGA DELLE LIBERTÀ”?
INTERNI
IL DISEGNO POLITICO DELL’ALTRO MATTEO
C’è molto più del bisogno
di voti dietro lo sbarco
di Salvini al Centro-Sud
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DI VINCENZO SOFO*
M
atteo Salvini è sbarcato al Centro-
Sud. Quella che molti liquidavano come una boutade elettorale
per elemosinare al Meridione la manciata di voti necessaria a sopravvivere alla
tornata elettorale europea, per un movimento barcollante dopo l’era bossiana,
si manifesta ora invece come un preciso
progetto politico.
Un progetto a primo impatto di una
semplicità disarmante: una sigla quasi banale, “Noi con Salvini”, poche parole d’ordine, cinque punti programmatici.
L’altro Matteo, da buon animale politico,
sa che per attecchire in fretta nel popolo deve essere facilmente comprensibile.
Eppure dietro gli slogan immediati si nasconde un percorso culturale molto più
profondo, iniziato ancor prima di diventare leader della Lega Nord tramite un
confronto con intellettuali del calibro di
Pietrangelo Buttafuoco, Alain de Benoist, Massimo Fini, il giovane Diego Fusaro
e via dicendo. Un approccio nato dall’intenzione, spiega Fabrizio Fratus, sociologo e coordinatore culturale de “Il Talebano”, il think tank promotore di questi
appuntamenti, «di superare vecchie dicotomie per tentare di trovare una nuova sintesi ideologica di pensieri volti a
costruire una proposta politica di rivalorizzazione della comunità, dell’identità,
della tradizione, dell’essere umano». Anche qui, non occasioni spot ma un modus
operandi ben definito, tanto che di recente il “Capitano” chiamava a raccolta questi intellettuali in una sorta di leopolda
identitaria, ben diversa dalla solita passerella di politici e politicanti.
Salvini ha dunque deciso di ripartire dalle idee. E dai valori. In questo con-
sere un punto di riferimento interno per
il popolo cattolico e in generale per chi
non vuol cedere alla deriva materialista e
relativista di questa società.
Non proprio un Front National
Qui si trova la chiave del progetto salviniano, che punta a farsi rappresentante
di quella maggioranza di italiani dallo
spirito conservatore rispetto alla storia,
alla cultura e alla tradizione della propria terra. Maggioranza molto più consistente di quanto appaia, motivo per
cui – ci spiega Buttafuoco – «il progetto
di Salvini sarà qualcosa di un po’ diverso dalla riedizione in salsa italiana del
Front National. Perché se in Francia si
può far leva sul forte patriottismo come
comune denominatore, la vena viva per
far scattare il popolo italiano va ricercata in ambiti diversi, a partire proprio dal
forte senso della famiIL SUO OBIETTIVO? FARSI RAPPRESENTANTE glia che pervade soprattutto il Meridione».
DI QUELLA MAGGIORANZA DI ITALIANI
Infine, le alleanze.
DALLO SPIRITO CONSERVATORE RISPETTO A Da una parte il patto soSTORIA, CULTURA E TRADIZIONE DEL PAESE. vranista europeo con
Marine Le Pen, dall’altra
A PARTIRE DAL SENSO DELLA FAMIGLIA
l’intenzione di diventatesto si inserisce la posizione vigorosa as- re pivot della rifondazione di quello che
sunta dalla Lega in difesa della famiglia, fu il centrodestra e che ora è un ammasche ha trovato eccellente sponda nel go- so di cocci sconnessi. L’ultima proposta è
vernatore lombardo Roberto Maroni, il arrivata dal Cav. in persona: una Lega delquale, dopo aver organizzato – insieme le Libertà, nata dalla decisione di Berluall’assessore alle Culture Cristina Cappel- sconi di tornare all’opposizione rispetto
lini e al consigliere regionale Massimilia- a Renzi, che denota come il gioco tra cane
no Romeo, entrambi del Carroccio – quel e gatto si sia ormai invertito: a rincorrere
chiacchieratissimo convegno dal titolo ora non è certo Salvini. Che, da buon ani“Difendere la famiglia per difendere la male politico, punta ad aggregare il pocomunità” che sta scatenando eventi re- polo del centrodestra, non i suoi politici.
plica in tutta la Penisola, si candida ad es
*direttore de Il Talebano
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ESTERI
ULTIMA CHANCE PER LA PACE
Una guerra
di importazione
Dopo un anno di crisi ucraina, il patriottismo
di piazza Maidan sembra scomparso. E mentre
l’Europa tenta di recuperare la via diplomatica
con la Russia, Obama non perde il vizietto
di far combattere gli altri per i propri interessi
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DI RODOLFO CASADEI
ESTERI ULTIMA CHANCE PER LA PACE
E
al dodicesimo mese di crisi
ucraina fra Russia e Occidente, gli europei della vecchia
Europa cominciarono a sentire aria di fregatura. Perché
va bene scandalizzarsi per le
infondate accuse russe di nazismo e fascismo al governo di Kiev salito al potere
dopo la fuga di Yanukovich, ma quando il
primo ministro Arseniy Yatsenyuk, il protetto del viceministro degli Esteri americano Victoria Nuland, va alla tivù tedesca Ard e dice: «Tutti ci ricordiamo bene
l’invasione dell’Ucraina e della Germania da parte dell’Unione Sovietica, dobbiamo impedire che la cosa si ripeta», è
difficile non trasecolare e cominciare a
chiedersi cosa frulla nella testa dei naufraghi dell’impero sovietico che stiamo
issando a bordo del vascello dell’Unione
Europea e, domani, della Nato. Perché va
bene denunciare le forniture di armi russe ai ribelli del Donbass e la presenza di
migliaia di militari di Mosca al loro fianco, ma quando – secondo indiscrezioni
della tedesca Bild – in margine al convegno di Monaco sulla sicurezza i delegati americani si riuniscono sotto la guida della Nuland (quella che ha promosso la carriera di Yatsenyuk) e danno della “disfattista” ad Angela Merkel perché
si dichiara contraria a forniture di armi
straniere all’esercito ucraino, definiscono “Moscow bullshit” (stronzata moscovita) la proposta putiniana discussa con
la Merkel e Hollande e il senatore John
McCain paragona l’iniziativa di pace franco-tedesca all’accordo di Monaco del 1938
fra Chamberlain e Hitler e scandisce che
«la storia ci mostra che i dittatori prendono sempre di più se li si lascia agire», un
brivido corre improvviso lungo le schiene europee. E vengono in mente il Dottor Stranamore e l’abitudine americana
invalsa in epoca obamiana di far combattere agli altri le guerre che interessano
agli Stati Uniti: dalla Libia all’Iraq settentrionale, dalla Siria all’Ucraina, gli americani ci mettono soldi e armi col contagocce, gli altri la carne da cannone.
E ancora, perché non c’è dubbio che
la mitologia ieri sovietica e oggi russa intorno alla Seconda Guerra mondiale è funzionale all’autoconservazione
del sistema e che un approccio autocritico agli ultimi 90 anni di storia ancora
manca per lo stesso motivo, ma quando
i polacchi agiscono in modo da non invitare personalmente Vladimir Putin alle
cerimonie per il 70esimo anniversario
della liberazione di Auschwitz, e il ministro degli Esteri polacco Grzegorz Schetyna dichiara che non bisogna preoccupar-
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si troppo della mancata partecipazione
del capo di Stato russo, perché in realtà
la liberazione di Auschwitz è merito dei
soldati ucraini più che dell’Armata Rossa, allora ci si rende conto che la manipolazione della storia è uno sport diffuso in
tutta l’Europa orientale e che i polacchi
e i paesi baltici vedono nell’Unione Europea non solo l’ascensore politico ed economico che gli sta permettendo di salire
fino dove non erano mai saliti, ma anche
il ragazzo nerboruto e protettivo sotto la
cui ala ci si potrà permettere di restituire qualcuno dei pugni presi dal bullo del
quartiere nel corso di una lunga storia.
Solo che il ragazzone Ue non ha mai pensato a questa prospettiva quando ha deciso di prendere nella sua squadra polacchi
e lituani, rumeni ed estoni.
A un anno dall’inizio
della crisi ucraina i
governi della vecchia
Europa (Germania,
Francia e Italia sopra
tutti) sentono odore
di fregatura. E mentre
la Merkel e Hollande
cercano di trovare
una soluzione pacifica
con la Russia, Obama
minaccia di «inviare
armi difensive letali se
i tentativi diplomatici
dovessero fallire»
Quando si votava coi piedi
Gli europei della vecchia Europa (Germania, Francia e Italia sopra tutti) sentono odore di fregatura e sono sempre
più perplessi. Ai tempi della Guerra Fredda si diceva che per capire quale dei due
sistemi fosse il migliore bastava guardare i flussi dei profughi: decine di migliaia fuggivano da Oriente verso Occidente,
pochissimi viaggiavano in senso contrario e riparavano a Mosca e nei paesi satelliti; la gente che non poteva votare nelle
cabine elettorali votava coi piedi, si diceva. A partire dal 6 aprile dell’anno scorso, data di inizio degli scontri armati nell’Ucraina sudÈ l’abitudine DELL’america
orientale, secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiaDI obama: dalla Libia
ti si sono registrati 980 mila
all’Iraq, dalla Siria
sfollati interni, cioè cittadini
del Donbass e dintorni che si
all’Ucraina, gli STATI
sono trasferiti in altre regioUNITI ci mettono soldi e
ni sotto il controllo del governo di Kiev, e 600 mila profuarmi col contagocce, gli
ghi che hanno cercato riparo
all’estero, quasi tutti nel teraltri la carne da cannone
ritorio della Federazione Russa (ma qualcuno anche in Bielorussia, si al destino del famoso trattato di libePolonia, Ungheria, Romania e Moldova). ro scambio fra Unione Europea ed UcraiSecondo il Servizio Migrazione russo i cit- na, quello che ha fatto andare su tutte le
tadini ucraini che si sono rifugiati in Rus- furie la Russia perché destinato a sottrarsia sarebbero di più, almeno 800 mila. In re a Mosca tutte le sue quote di export
entrambi i casi si vede bene che i piedi dei verso il vicino: Poroshenko ha chiesto
civili non votano tutti nello stesso modo, che, in una fase iniziale, funzioni solo
come invece accadrebbe se si trattasse dei per quanto riguarda l’export di merci
ucraine verso l’Unione Europea, e ha fatpiedi degli ucraini di Galizia.
Gli europei della vecchia Europa to passare ciò come un modo di tenere
sono sempre più perplessi perché lo spi- tranquilli i russi. Bruxelles, grazie anche
rito europeista e patriottico dell’Euro- alle pressioni americane, ha accettato di
maidan sembra essersi spento e aver rinviare la piena entrata in funzione del
lasciato il posto all’opportunismo più trattato al 2016. Questo, sommato alle
bieco, tratto caratteristico della socie- sanzioni commerciali europee contro
tà al tempo del socialismo reale. Si pen- Mosca, ha portato a una situazione che
Foto: P. Souza/White House, Ansa
GLI AMERICANI DEFINISCONO
“MOSCOW BULLSHIT” (STRONZATA
MOSCOVITA) LA PROPOSTA DI
PUTIN DISCUSSA CON LA MERKEL
E HOLLANDE. IL SENATORE
MCCAIN PARAGONA L’INIZIATIVA
DI PACE FRANCO-TEDESCA
ALL’ACCORDO DI MONACO DEL
1938 FRA CHAMBERLAIN E HITLER
Dario Quintavalle su Limes ha descritto così: «Nei rapporti coi potenti vicini si
fa la stessa politica del piede in due staffe di Yanukovich: gli ucraini continuano
a esportare in Russia, ma possono orientarsi anche sull’Europa, visto che i dazi
funzionano solo in un senso, a protezione dei prodotti nazionali. Molti a Bruxelles cominciano a chiedersi se l’Ucraina non stia manipolando l’Unione Europea. Il commercio con la Russia, infatti,
non si limita al gas e al carbone, di cui
il paese ha disperatamente bisogno per
non morire di freddo: come ha scoperto
il Washington Post, le fabbriche di armi
hanno continuato a esportare in Russia
anche durante la guerra, mentre il paese domandava forniture di materiale bellico all’Occidente. E gli agricoltori hanno approfittato dell’embargo ai prodotti
agricoli europei (soprattutto italiani) per
rifornire i mercati russi».
Il bluff occidentale
Su tutto questo è planata la proposta
americana di fornire armi letali all’esercito ucraino, con l’obiettivo di alzare i
costi umani e politici dell’aggressione
russa, così da costringere Putin a scendere a più miti consigli. Analisti statunitensi hanno evidenziato l’irrazionalità della proposizione: Eugen Rumer del Natio-
nal Intelligence Council, Thomas Graham del National Security Council, Fiona Hill e Clifford Haggy della Brookings
Institution e il rapporto ad hoc della Stratfor Global Intelligence concludono che
un’escalation militare da parte occidentale giocherebbe solo a favore della Russia,
che risponderebbe con una controescalation che scoprirebbe il bluff occidentale. Gli americani farebbero volentieri una
guerra per procura a Putin per interposta
Ue, ma gli europei non sono disponibili,
tranne polacchi, ucraini e baltici. Nell’interesse della solidarietà occidentale, oltre
che della vita dei residenti del Donbass, il
conflitto va congelato. n
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boris
godunov
il rifiuto occidentale della dipendenza originaria
L’orribile vittoria di Antigone
non ci sollevi dal compito
di essere poveramente padri
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DI renato farina
L
a sparizione dei padri è un fenomeno che dovrebbe mobilita-
re la lega per la protezione degli animali, visto che gli uomini sono animali. La cultura dello scarto, denunciata da
Francesco, ha la sua espressione massima in questo dato ormai
misurabile come la diminuzione delle tigri del Bengala.
Proprio Papa Bergoglio, pur di suscitare attenzione sul fenomeno, ha invocato che se c’è ancora la paternità batta un colpo, magari anche sul sedere dei bambini, con una «sculacciata». Scandalo, reprimende, non si fa, non si deve. Oramai i padri
non sono nemmeno odiati. Non c’è bisogno di ucciderli. Non
esistono. Non devono esistere. E i padri, invece di essere obbediti, hanno obbedito a questo imperativo: di non esistere più come padri. Guai a sculacciare.
In senso molto alto tutto questo è frutto del prevalere di Antigone. Ella è la ragazza in cui a vincere sono le ragioni del cuore, la legge interiore che viene prima di quelle scritte. E perciò
si pone contro Creonte, lo zio e re. È figlia di Edipo, Antigone,
ma è la prima e unica creatura al mondo a non avere il complesso di Edipo, a non avere il problema del rapporto con il padre.
Queste idee non sono mie, non sono così profondo. Me le affidò in un’intervista per Il Sabato Giacomo B. Contri, certo un
genio. Disse – ed era il 1991 –: «Avere il complesso di Edipo vuol
dire invece essere strutturalmente figli. Antigone è la prima figura della storia dell’umanità che non è edipicamente centrata
sul padre. Antigone non è una figlia!». La “fraternité” della rivoluzione francese e dell’illuminismo è questa esaltazione dell’essere fratelli, senza che questo sia conseguenza dell’essere figli.
Questo che sembrava nel 1991 un paradosso gustoso, troppo sottile per palesarsi nella vita quotidiana, si manifesta oggi come nichilismo: non importa in alcun modo avere padre o
madre, basta esistere. Non è necessario in nessun senso avere
un padre, tant’è vero che, come hanno stabilito i giudici di Londra, è legale avere tre genitori, e guai a specificare chi sia padre
o madre dei tre.
Insomma, la post-modernità ha portato a compimento nel
campo giuridico e dell’ingegneria genetica quello che nella modernità illuminista pareva un dato sentimentale. Chi non ha
amato il coraggio di Antigone? Era la pretesa di esistere a pre-
«antigone è la prima figura
della storia dell’umanità che
non è edipicamente centrata
sul padre. Antigone non è una
figlia!». questo che disse contri
nel 1991 si manifesta oggi come
nichilismo. a londra È legale
avere tre genitori e in italia
solo 9 ragazzi su 100 indicano il
padre come figura di riferimento
scindere da qualsiasi legame col padre. Il rifiuto della dipendenza originaria. E questo l’ha fatta essere un’eroina criminale. Oggi orribilmente vittoriosa in occidente.
C’è un riflesso sociologico nell’Italia di oggi di questa assenza paterna. L’Istituto Giuseppe Toniolo (che è l’Ente fondatore
dell’Università Cattolica) ha pubblicato pochi giorni fa La condizione giovanile in Italia presso il Mulino (19 euro). C’è un capitolo che riguarda “Le figure di riferimento dei giovani in Italia”, curato dalla professoressa Rita Bichi. La domanda, rivolta
ad un campione vastissimo di giovani tra i 19 e i 31 anni, era
questa: «Se dovessi pensare a una figura di riferimento nella
tua vita, quella con cui ti confronti più spesso per parlare di te,
chi diresti?». Il padre è indicato da 9 ragazzi su 100. La madre
da 33. Se poi si va più nello specifico del sesso e delle differenti
appartenenze regionali, viene fuori questo. Che solo 6 giovani
donne su 100 indicano il padre. Stupisce la differenza territoriale: chi ha maggior legame con la figura paterna è il ragazzo
settentrionale con circa l’11 per cento. Al Centro siamo al 6,5,
e al Sud l’8 per cento.
Io dico però questo: sarebbe un guaio dare la colpa alla deriva culturale nichilista. In realtà esiste sì il trascinamento devastante del pensiero collettivo ma c’è la libertà. C’è la possibilità di essere umilmente, poveramente padri. E per i figli di
accorgersene.
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CULTURA
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VITA DI CLAUSURA
DI LUIGI AMICONE
Rinchiuse
in un mondo
in fiamme
«Oggi si fa di tutto per estinguere la presenza di
Cristo. Ma per esserci bisogna esserci, altrimenti
si rischia di addormentare la ragione». Visita alle
carmelitane scalze di Bologna. Donne abituate
a «percepire l’eterno dentro l’istante effimero»
S
Maria Carmela del Volto di Cristo va in città per una commessa,
va di fretta, apre la porta del convento e ci sospinge dentro svelta svelta.
«Prego, si accomodi». La riacciuffiamo
mentre svicola, «scusi sorella, da quanto tempo è in convento»? «Dal 1956». Ma
allora lei c’era… «Sì, c’ero – sorride Carmela, come la bambina di Halloween che
fa toc toc, “dolcetto o scherzetto” – ma
prego, vada in parlatorio». Idioma carcerario. “Parlatorio”. In effetti, quella del
carmelo è una vita segregata, dove tutto
gira al ritmo della regola. Nel caso, quella di santa Teresa D’Avila, solo un po’
alleggerita da un digiuno più parco (ma
sono sempre quei begli otto mesi l’anno)
e dalla sveglia alle 5.30 invece che alle
4.30. Dopo di che, il ruolino della monaca è il seguente: alle 6 orazione silenziosa, 7 lodi, Messa, recita dell’ora terza, studio fino alle 11.30. Quindi, ora sesta e poi
pranzo in silenzio mentre una sorella legge brani biblici, documenti dell’ordine o
del magistero della Chiesa. Segue ora di
ricreazione (12.30-13.30) dove «si sta insieme, si parla, si lavora, si leggono giornali. E il quotidiano sempre». Finita la ricreazione, «spazio eremitico di letture spirituali perché la nostra preghiera abbia
nutrimento», alle 15.15 recita dell’ora
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uor
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nona. Segue studio e dialogo comunitario. Alle 17.30 vespri. Poi, un’altra ora di
orazione in silenzio. Cena alle 19 e ricreazione fino alle 20.30. «L’equilibrio tra
orazione e ricreazione è voluto da santa
Teresa. E questo – diceva la fondatrice –
perché la preghiera trovi verifica nei rapporti fraterni. “Per disingannarci a vicenda”». Compieta alle 20.20 e alle 21.15, ufficio delle letture. Infine, “grande silenzio”.
Cioè, non si parla fino al mattino seguente. E per le emergenze come fate? «Non
è necessario infrangere il silenzio. Basta
scambiarsi un biglietto».
Niente civetterie dietro la grata. Sebbene il convento sia stato al centro di uno
storico scoop. Solo quattro anni dopo la
nascita della televisione italiana, fu visitato niente meno che da Sergio Zavoli.
Il mito fondativo della tv democratica.
Giornalista, saggista, scrittore, affabulatore, inventore di grandi format televisivi, grande navigatore in Rai di cui è stato
direttore e, infine, presidente della Commissione di vigilanza, senatore Ds-Pd, presidente di varie commissioni in Laticlavio. È lui, dicono le cronache, che «regalava al mondo radiofonico il suo più grande capolavoro», il 24 marzo 1958, introducendo un microfono e registrando proprio in questa clausura di via Siepelun-
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CULTURA VITA DI CLAUSURA
ga 51 a Bologna, una lunga intervista a
“Sua Reverenza” la sottosuperiora e a tre
sue consorelle. Mai visto. Era la pirma volta che succedeva in Italia. Tornando oggi
in quel carmelo bolognese, la prima cosa
che ti fanno capire le sue ospiti, pur senza dire una parola (se non, «troppo rumore») è: forget it. Lascia perdere. «Piuttosto, perché è qui?». Riavvolgo il film e mi
presento.
Leggendo un libro mi sono imbattuto nella citazione dell’intervista di Zavoli. Che non conoscevo e ho ripescato su
Youtube. In effetti fa una certa impressione. «Lei sa che quelle tre consorelle sono
ormai in Cielo. Dunque, cosa vuole da
noi?». Dunque, cominciamo con il Luigi
Giussani che ci ha condotti qui. Leggo il
passo che vi riguarda, In Cammino, Rizzoli Bur, 2014, pagina 132: «Mi ricordo tanti anni fa l’intervista radiofonica… Sentire
le risposte di quella ragazza fu una sorpresa: vibravano di una saggezza stupefacente. Da che cosa le veniva? Dall’abitudine
a percepire l’eterno dentro l’istante effimero e ad abbracciar le cose tutte insie-
costituisce l’umanità nelle sue gioie, nei
suoi dolori, nei suoi desideri, nelle sue
passioni. Anche qui c’è “il tutto”. E questo crediamo possa avere un riverbero nella società, anche se noi non la viviamo».
Suor Maria Elisa: «Lo scopo della
nostra vita è Cristo. E queste sono le conseguenze come ha detto suor Teresa Benedetta. Nessuna di noi si è mossa per vivere nel microcosmo. Ci siamo mosse per il
Signore Gesù. Chi in un modo chi nell’altro. Chi da un posto chi da un altro».
Come fa un posto così a sussistere?
Suor Anna Grazia della Madre di
Dio, priora, in convento dal 1986, originaria di Taranto: «Questo rimanda senz’altro a qualcosa che non viene dalle forze e
dalle capacità umane. È opera del Signore che ci sia una possibilità umana di
vivere così con Lui, per Lui, chiamate da
Lui. Poiché è Lui che ci ha afferrate e ci ha
condotte nonostante le nostre resistenze
– parlo personalmente – le nostre tergiversazioni che sono durate un bel po’, le
nostre lotte con Lui. Però alla fine c’è stata questa pacifica – tra virgolette – amoro-
«chI viene da noi è gente sola, non ha punti
d’appoggio. non HA più il legame su cui può
CONTARE. Le famiglie si sono sgretolate»
me, perché non si può giudicare neanche
d’un capello se non dalla totalità dell’organismo a cui si appartiene».
Suor Maria Elisa della Trinità, sottopriora, in convento dal 1985, originaria di Bellano: «Questa interpretazione
della vita contemplativa è esatta. Perché
effettivamente la distanza che si frapppne tra noi e la vita ordinaria – ammesso che ordinario voglia dire qualcosa – ci
permette di avere uno sguardo sintetico
e nello stesso tempo non distaccato, inserito “in una totalità” come dice lui. Penso sia una conseguenza del vivere per il
Signore in un ambiente circoscritto, limitato, ma non piccolo, non meschino».
Suor Teresa Benedetta della Trasfigurazione, in convento dal 1998, originaria di Foggia: «Il nostro è un piccolo mondo, ma dove è presente tutto quello che
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sa – senza virgolette – resa a Lui. Le sembrerà un contrasto, ma la vocazione contemplativa è una vocazione missionaria.
È un esodo, ma per il mondo. Come scrisse santa Teresa, “il mondo è in fiamme”.
Lo era allora. Lo è oggi. Non è una ricerca estetica la nostra. Non è per una bellezza e santità personale. Ma è proprio in
comunione con tutti i fratelli. Papa Francesco insiste molto sulla “Chiesa in uscita” e mi pare che lui stesso abbia detto
in una occasione, “sì, anche le suore di
clausura sono in uscita” perché la nostra
preghiera abbraccia tutta l’umanità. Alla
fine siamo tutti servi inutili. Dio compia
quest’opera».
Quante siete in convento?
«Sedici. Possiamo essere al massimo
ventuno. Santa Teresa inizialmente aveva previsto conventi da tredici, per questa
sua idea del “piccolo collegio di Cristo” in
modo che ci si possa conoscere e vivere
davvero fraternamente il Vangelo. Poi ha
alzato il limite perché tredici sono poche,
si incomincia a invecchiare…».
«Vivere fraternamente il Vangelo».
Come suona strano qua fuori, viene in
mente Eliot, «quale vita è la vostra se
non avete più vita in comune»?
Suor Maria Elisa: «L’individualismo è
un virus che ha aggredito il mondo, penso. Si chiamava “egoismo”, una volta. O
“egocentrismo”. Effettivamente il Vangelo è fatto per l’espansione. Per uscire da se
stessi. Ma non da soli. Mai da soli. E anche
i primi eremiti sono sempre partiti da un
momento di comunione con la Chiesa.
Partiti per essere un fermento, il sale. Ma
per una pasta. Non per essere incorruttibili essi stessi. La fraternità, anche all’interno del Carmelo, è certamente il tema
da riscoprire. Perché è ciò che la Chiesa
ci chiede di vivere intensamente oggi. La
Chiesa e penso lo Spirito Santo, perché
poi la Chiesa si esprime per la forza dello Spirito. Fraternità che magari nei secoli precedenti era stata – non dico oscurata
perché se si leggono le antiche cronache
dei nostri monasteri si coglie una vita fraterna e semplice proprio anche per il fatto di essere in numero ridotto – ma forse
era stata un po’ sommersa da quello spirito penitenziale e di ascesi dura della Controriforma, che come impostazione di
fondo della Chiesa intera è durata fin quasi alla metà del 1900. Adesso la Chiesa ci
dice che l’ascesi vera è vivere intensamente la relazione fraterna. La società ne ha
tanto bisogno. La gente che viene da noi è
gente sola che non ha punti di appoggio.
Le famiglie si sono sgretolate, non c’è più
il legame forte su cui tu puoi sempre contare anche quando sei di cattivo umore o
quando ti trovi in cattive acque».
Eh sì, come dice santa Teresa «il mondo
è in fiamme». Qui le teste ancora non
cadono, ma non riconoscono più nemmeno certe evidenze elementari. «Vien
da piangere», ha detto il vostro cardinale arcivescovo, «a pensare che si debba spiegare che il matrimonio è fra un
uomo e una donna e che un bambino ha
bisogno di una mamma e di un papà».
Nel 1958, Sergio Zavoli realizzò con
le carmelitane scalze di Bologna un
documentario (ancora disponibile
su Youtube) considerato «il più grande
capolavoro» per la radio. Per la prima
volta riuscì a fare entrare un microfono
all’interno di un convento di clausura
per raccontare una realtà fino ad allora
nascosta. Nelle foto a fianco, le sedici
suore che oggi vivono nel convento
ti momenti di grande crisi. Il carmelo
riformato non ha ancora avuto il tempo
di averne perché è nato e si è sviluppato dopo il Concilio di Trento (1545-1563,
ndr), in un’epoca che è rimasta abbastanza omogenea alla nostra».
Forse la cesura è stata la Rivoluzione
francese, quando a Parigi hanno ghigliottinato anche voi carmelitane…
Suor Maria Elisa: «Ma la Rivoluzione
francese non ha scompaginato le coscienze. Nell’Italia dell’Ottocento la nostra
comunità ebbe due soppressioni, però
non ha sconcertato l’orientamento di fondo. Tant’è che il nostro ordine si è ripreso, in un certo senso dando una struttura
«L’ASSOLUTO È SOLO DIO, GLI ALTRI SONO IDOLI.
PERDERE IL SENSO DI DIO VUOL DIRE PERDERE
IL SENSO DEL REALE, DEL BENE E DEL MALE»
Cosa è venuto meno secondo voi?
Suor Maria Elisa: «Fondamentalmente penso sia venuto meno il primo comandamento. “Non avrai altro Dio”. L’assoluto è solo Dio. Gli altri sono idoli. Il fondamentalismo, come lo chiamano, è uno di
questi. E in generale, le idee che circolano
in Occidente sono idoli. Perdere il senso
di Dio equivale a perdere il senso del reale, il senso del bene e del male».
Voi che nelle vostre giornate dedicate
tempo anche allo studio della storia
della Chiesa, trovate che ci sia stato un
periodo storico paragonabile al nostro?
Suor Maria Elisa: «Non saprei. Come
ordine monastico siamo recenti. A partire da santa Teresa a oggi, sono infatti passati solo cinquecento anni. Il monachesimo ha vissuto, già a partire da sant’Antonio (III secolo dopo Cristo, ndr), tan-
più monolitica a ciò che già si viveva prima. Quello che si sta vivendo adesso nella
società si riflette molto di più nei monasteri perché c’è maggiore osmosi, la cosa
si fa più sottile».
Marshall McLuhan, il pioniere del mondo della comunicazione alla velocità
della luce, sosteneva che «è il tempo
dell’Anticristo», cioè dell’antirealtà.
«Occorre stare molto attenti – ammoniva – su che canale ci si sintonizza». Cosa
può voler dire il tempo di Internet?
Suor Maria Elisa: «È un discernimento difficile. Però, per esserci bisogna esserci. È vero, ti tira da tutte le parti, non
approfondisci, ieri non esiste più».
Suor Anna Grazia: «E si rischia di
addormentare la ragione. Però, l’antirealtà, come dice lei, è un rischio che c’è
dall’inizio della Creazione: l’uomo vuole
farsi Dio, il delirio di onnipotenza. Oggi
forse succede in maniera più esasperata».
Suor Teresa Benedetta: «Essere collegati, in ogni modo, in ogni luogo, con tutti. Tutto diventa piatto. E anche i rapporti non si basano più sul tempo e sull’attesa che li aiuta a essere più veri».
C’è una sorta di evangelica rassegnazione e anche dagli amici sento dire: «Ma
a cosa serve richiamare la gente alle
evidenze, tanto la gente non le capisce
più. Perciò non dobbiamo fare altro che
testimoniare personalmente la nostra
fede». Cosa ne pensate?
Suor Maria Elisa: «Ma è anche necessario fare corpo. Non per andare a combattere. Ma per sostenersi vicendevolmente. La visibilità dev’esserci perché l’Incarnazione è una legge di visibilità. E poi
infonde coraggio a chi è solo, non è che
faccia il male, però sta lì tutto timido».
Suor Teresa Benedetta: «Il Vangelo
sono cose che si vedono, masse che si
muovono, gesti che creano comunque
una reazione di avversità o di stupore».
Primo Levi guarda la neve da dietro i fili
spinati e sceglie l’opzione che a mio parere getta le basi dell’habitus mentale
dell’Occidente colto e liberal. «Dio è una
forma infinita, bella e pigra, che non ha
voglia di fare nulla, come certe ragazze
che una volta abbiamo sognato».
Suor Maria Elisa: «Ecco, questo è un
problema che ai tempi di santa Teresa
non esisteva, mentre adesso penso sia la
tentazione diffusa perché il mondo ha
fatto di tutto per estinguere la presenza di Dio. Prima la religione coincideva
con una fede. Oggi la fede è nuda. E senza
un sostegno di una espressione religiosa
anche comunitaria, la fede diventa molto più faticosa. In questo senso i giovani
che sono cresciuti nei movimenti hanno
dentro qualcosa che tiene su – sì, questo
lo abbiamo notato – la fede».
“Dolcetto o scherzetto”. Con i biscottini e il caffè, a fine colloquio fa capolino
in parlatorio un sorriso raggiante e due
mani che impugnano una rivista aperta
su uno “speciale Chioggia”. «È la mia città! Benvenuto!». È suor Veronica del Volto
di Cristo. In convento da dieci anni. «Sono
cresciuta in Cl. E questo è Tempi!». n
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CULTURA IL CENTENARIO DELLA NASCITA
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DI LAURA CIONI
Lo scapestrato
conquistato da Dio
Destinato al successo mondano, Thomas Merton
conobbe la goliardia prima di diventare monaco
trappista. E scrittore di inestimabile valore
«L’
del
1915, sotto il segno dell’Acquario, in un anno di una
grande guerra, al confine con la Spagna,
nell’ombra di monti francesi, io venni al
mondo. Fatto a immagine di Dio, quindi
libero per natura, fui tuttavia schiavo della violenza e dell’egoismo, ad immagine
del mondo in cui ero nato». Così inizia La
montagna dalle sette balze, racconto della vita di Thomas Merton, scrittore cattolico americano, poi monaco trappista, che
vi narra le tappe del suo itinerario verso
Dio. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1948 con grandissimo successo, fu
non a torto avvicinato alle Confessioni di
sant’Agostino. L’autore, in modo simile al
santo di Ippona secoli prima, ha conosciuto innumerevoli aspetti culturali e sociali
del suo mondo, ha attraversato le filosofie
e le ideologie del suo tempo, con un’ansia
di conoscenza e di azione che non escludeva il gusto del denaro e del piacere. Come
Agostino egli scrive la sua conversione alla
presenza di Dio: «E mentre pensavo che
non ci fosse alcun Dio, né amore e misericordia, mi conducevi nel pieno del Suo
amore e della Sua gloria portandomi, senza ch’io lo sapessi, nella casa che mi avrebbe celato nel segreto del Suo volto».
Il suo paese natale è Prades, nei Pirenei
francesi; il padre neozelandese e la madre
americana sono entrambi pittori: Merton ne parla come di persone che «erano
nel mondo, ma non del mondo, non perché fossero santi, ma per un’altra ragione, perché erano artisti». Il padre dipingeva come Cézanne. «La sua visione del mondo era sana, piena di equilibrio, di venerazione per le strutture essenziali, per i rapporti fra le masse e per tutto ciò che imprime un’identità singolare a ogni cosa crea-
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ultimo giorno di gennaio
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ta. Era una visione religiosa e nitida» e Merton afferma di averla ereditata da lui. La
madre era seria e piena di versatilità, lieta
e pensierosa attorno al disordine del mondo. Su insistenza dei nonni materni, i Merton tornano in America nel 1916; la madre
muore pochi anni dopo. Il mondo americano spalanca al piccolo Thomas orizzonti
nuovi dovuti alle letture e a una educazione imperniata sulla libertà, sull’iniziativa
spontanea, sulla fede con la quale viene a
contatto per la prima volta.
rea alla prospettiva aperta dal cristianesimo dantesco, l’interesse per le tematiche
esistenziali lo avvicina alle teorie di Freud
e della psicanalisi.
Messo alle strette dal tutore, che gli
rimprovera la sua vita scapestrata e inconcludente di universitario, nel 1934 Merton lascia l’Europa per tornare a New York.
Qui si converte davvero al comunismo e si
iscrive all’università della Columbia per
portare a termine gli studi così trascurati nell’odiata Cambridge. Si appassiona
al cinema e al giornalismo, non senza un
preciso avvilimento per la futilità di tutto
il suo agitato darsi da fare. Viene la crisi,
sotto forma di una specie di collasso nervoso, che lo costringe a fermarsi e a considerare la sua angoscia. Un giorno entra
I viaggi e il buio interiore
Gli anni passano e la sua personalità si
arricchisce attraverso molteplici esperienze, tra le quali spicca, nel 1925, il viaggio
in Francia, che costituisce anche il ritorno alla sorgente della vita
intellettuale e spirituale
I SUOI LIBRI SONO STATI LETTI
del mondo al quale appartiene, e il soggiorno in
DA UNA GENERAZIONE DI
Inghilterra, che completa
CATTOLICI CHE DOPO LA GUERRA
la sua istruzione. Nel 1931
muore suo padre. Libero
CERCAVA UN TESTIMONE PER LA
da ogni vincolo familiare
PROPRIA AZIONE NEL MONDO
e discretamente fornito di
denaro dal nonno materno Pop, Merton si innamora follemente, con qualche soldo in tasca in una libreria
brama di essere comunista, legge e discu- e, memore della terra francese nella quate di letteratura e di politica. In Germania le era nato, compra Lo spirito della filososcopre la filosofia, rischia la morte per un fia medievale di Étienne Gilson, scoprendo
banale ascesso, poi parte per l’Italia e pre- poi con disappunto che si trattava del libro
ga per la prima volta nelle chiese di Roma. di un cattolico. Viene conquistato, suo
Tutto sembra condurre questo giovane malgrado, dal trovarvi un concetto di Dio
brillante, intelligente e pieno di vita al suc- come «qualcosa di terribilmente solido».
cesso mondano. Ma la sua strada è ancora Nel frattempo si laurea in lettere con una
lunga. E passa per Cambridge. Qui scorro- tesi su Blake che lo attrae verso la Chiesa
no tre anni tra il buio interiore e la goliar- cattolica, e una domenica, d’istinto, si reca
dia. Legge Dante e ciò è, come egli narra, per la prima volta nella sua vita a sentil’unico grande vantaggio ricavato da quel- re la Messa. Ne esce come uomo nuovo. La
la università. Chiuso in una resistenza fer- conversione arriverà poco dopo, quasi alla
Thomas Merton, nato nel 1915,
è diventato trappista nel 1941.
Il suo libro di maggior successo è
La montagna dalle sette balze (1948)
La sua curiosità intellettuale viene
approfondita e incanalata dalla vita monastica, di cui lascia una descrizione piena di
fascino in Le acque di Siloe, in Semi di contemplazione, in Nessun uomo è un’isola,
per citare alcuni dei suoi libri più letti da
una generazione di cattolici che, nel Dopoguerra, cercava di trovare un aggancio solido per la propria azione nel mondo. Merton fu per essi un cibo nutriente. Anche il
suo interesse per la spiritualità orientale
contribuì alla conoscenza del mondo buddista e il suo incontro con il Dalai Lama
fu, per i tempi, un segnale nuovo. Oggi la
conoscenza di altre religioni è cosa acquisita, anche se forse non sempre con la stessa
profondità, così come la ricerca dell’essenziale del cristianesimo sembra più edulcorata in riduzioni talvolta spiritualiste o
moraliste rispetto alla severità e alla dolcezza della vita monastica.
vigilia dello scoppio della Seconda Guerra
mondiale. Merton riceve il battesimo e la
prima comunione, saggiamente sostenuto
da un santo sacerdote e dagli amici.
I suoi primi anni di vita cristiana sono,
a suo dire, tiepidi. Desidera essere scrittore, poeta, critico, professore, ma noia
e inquietudine spesso lo assalgono, pur
nell’intensità di letture e di inizi professionali promettenti. La sua fortuna è di avere amici che non lo lasciano ai suoi sogni,
ma lo richiamano al dovere della santità,
anche se tutti sono alla ricerca del modo
concreto in cui arrivarvi. Nel frattempo,
alla paura di una possibile guerra segue
l’angoscia per il bombardamento di Varsavia e le notizie che giungono dall’Europa.
Dentro questa situazione di crisi interiore
ed esteriore, improvvisa e fulminante compare l’idea di farsi sacerdote. Il più caro dei
suoi amici gli parla del monastero trappista di Nostra Signora del Getsemani, nel
Kentucky. La ricerca sincera della volontà
di Dio su di lui trova pace nel silenzio della trappa alla fine del 1941. Sarà monaco
in quella abbazia fino alla morte, avvenuta
nel 1968 a Bangkok, dove si era recato per
un ciclo di conferenze.
Una preghiera umile
E proprio perché tutti gli uomini hanno
bisogno di testimoni oltre che di maestri,
il contributo più convincente e duraturo di Thomas Merton è stato la sua ricerca, narrata nel racconto di come per strade traverse, tentativi accumulati, incontri
fortuiti o cercati, Dio abbia alla fine conquistato un uomo che, all’interno di un
mondo complesso come quello del secolo
scorso, lo ha riconosciuto come il proprio
Signore. Ognuno vi può ritrovare qualche elemento in cui riconoscersi, perché
anche i nostri giorni sono complessi e noi
pure abbiamo camminato per vie varie e
diverse, sorretti ora da amici, ora lasciati in preda alla nostra solitudine. Anche
noi stiamo vivendo il pericolo della violenza, abbiamo provato il dolore e la morte ci
ha toccato, eppure continuiamo a sperare, a vivere il tempo che ci è dato tentando
di renderlo utile a noi e agli uomini che ci
stanno accanto. La pace che desideriamo
ha abbracciato Merton dentro la liturgia
monastica, così solenne e così semplice.
Questa preghiera umile, insegnata da lunghi secoli nella Chiesa, è alla nostra portata ogni giorno. Affondando in essa come
in un mare calmo di misericordia, anche
noi arriveremo un giorno a comprendere
il grande dono di aver conosciuto e amato chi ci ha insegnato la fede con ardore
e ragionevolezza. Allora non sarà difficile
custodire la memoria di quel dono e viverlo nell’ubbidienza e nella libertà. n
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APPUNTI
MIA FIGLIA, DICIASSETTE ANNI
Come il vento
di marzo
L
ed è come il vento di
marzo, quando irrompe nelle strade
grigie di inverno e le scompiglia, cacciando via in mulinelli le foglie morte. Lei
ha diciassette anni e spalanca la porta, getta il cappotto, accarezza il cane, entra in cucina e d’un fiato snocciola le novità del giorno – un’interrogazione, e una festa, sabato,
a cui «deve assolutamente» andare. Nel frattempo apre il frigo e, delusa, recrimina: non
c’è niente da mangiare. Si siede, e sul tavolo
balza Attila, il gigantesco gatto nero, che deciso si avvicina alla sua prediletta e le strofina amorevolmente il muso contro le guance, e fa le fusa. «C’è da portare giù il cane»,
faccio io, e lei sbuffa, e protesta che lo può
ben portare un suo fratello. Il quale da un’altra stanza le grida scocciato: «Puoi anche tu,
però, far qualcosa».
E ecco, la casa che era silenziosa si rianima e vive: le scarpe abbandonate in ingresso, il pc subito acceso, il coperchio sulla pentola sollevato, a vedere che c’è per cena. E
per quella festa, sabato, «non so cosa mettermi», annuncia lei, grave; e allora bisognerà
lasciarsi trascinare di corsa da H&M, e assisterla mentre prova una montagna di vestiti – la sua faccia da bambina nello specchio
del camerino, imbronciata se un abito non
le sta come deve.
Lei per me è ricordarmi esattamente
com’ero, quando uscivo dal liceo nel branco chiassoso dei compagni; lei, per me è una
folata di primavera. E solo ora capisco cosa
davvero è stato, per mia madre, perdere una
figlia di quell’età: la vita stessa, dentro, spezzata. E ora che so, rivedo tanti giorni lontani, e mia madre, da quella morte, irriconoscibile e annientata, e io che, bambina,
ei entra in casa
di Marina Corradi
sgomenta cominciavo ad allontanarmi da
lei. Ora capisco, vorrei dirle, quale deserto
hai traversato; ora vorrei abbracciarti, in un
abbraccio più grande di qualsiasi cosa ci siamo dette, o fatte.
E, zitta, osservo mia figlia, che non somiglia a mia sorella, se non per una stessa grazia adolescente, e per la linea gentile del collo e delle mani. Perdere lei, è un pensiero
che non reggo. Inciampata nel buio dei ricordi ne vengo tratta fuori dalla sua voce fresca: «Mamma, mi prepari una cioccolata?»
(Già il fatto che mi chiami “mamma”, fra le
ombre dei miei pensieri, mi pare una grazia). Volonterosamente allora, in cucina, mi
do da fare. «Guarda che la voglio densa!», intima lei dal soggiorno.
È sempre stata prepotente. Come quando
mi guarda mentre mi preparo per uscire e
mi toglie un vestito dalle mani: «Ti sta da cani», dice, e me ne impone un altro. E io obbedisco, io che non ascolto mai nessuno.
Quando studia a casa con le sue compagne mi ritiro, discreta; mi basta, da lontano,
sentirne la voce, e le risate. Allora ringrazio
Dio di avermela data. Ma mia madre come
ha fatto, come ha potuto, senza quella figlia,
continuare a vivere? Non lo so capire. Ma mi
pare di saperle, ora, di nuovo insieme. Certamente è così. Altrimenti, vuoto sarebbe, e
inutile, il Paradiso.
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L’ITALIA
CHE LAVORA
Fabbrichetta
Di Bontà
È il 1949 quando, in un minuscolo scampolo di Milano,
un manager della Zaini e un mastro dolciere della
Perugina iniziano a produrre confetti. E a radunare un
popolino goloso e ricco di storie. Gianluca Manganini
racconta la grande città vista da un piccolo cortile
«C
la fabbrichetta. Il più delle volte è costituita
da una sola persona che riassume in sé la figura del principale, capo fabbrichetta, operaio, fattorino e autista del principale. La fabbrichetta è come un
capo firmato. Si deve possedere perché fa status symbol. E in questo i milanesi sono molto sensibili. Un milanese che si rispetti quando si presenta regala sempre un biglietto da
visita con le indicazioni della fabbrichetta. Serve per mettere in chiaro molte cose. Per
esempio, prendere le distanze. Cercando, come insegnano gli imprenditori milanesi, di
rimanere umili. Non diranno mai: “Ho la fabbrica”. Oppure: “Ho una fabbrichissima”. Ma
semplicemente: “Possiedo una fabbrichetta...”». Gianluca Manganini sorride: ecco come
si raccontavano le storie di impresa allora, ai tempi di nonno Battista. Battista Manganini era un manager della ditta di cioccolato Zaini col sogno della fabbrichetta e un buon
giro di clienti che sempre più spesso lo apostrofava, «sciur Manganini, ma due confetti non li produciamo?», che un giorno s’imbatte in Torello Bianchini, mastro confettiere alla Perugina. Facile è immaginare, in quegli anni di fermento economico in cui tutto
sembrava possibile, i due varcare le soglie del piccolo laboratorio interno di viale Jenner
14, guardarsi intorno soddisfatti e stringere la mano alla proprietaria: proprio lì, in fondo
a un cortile, i due danno vita alla Fabbrica di confetti Manganini e Bianchini. Anzi, una
fabbrichetta, una piccola storiella locale legata alle vicende di una grande città e le sue
migliaia di narrazioni quotidiane che andavano fotografando Gianni Berengo Gardin e
Ferdinando Scianna, raccontate da Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, la città delle
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inque milanesi su dieci possiedono
Gianluca Manganini
racconta la storia
della fabbrichetta
di famiglia in viale
Jenner. Un minuscolo
scampolo di Milano
dove dal 1949 si
producono confetti e
si partecipa alla gioia
degli abitanti una
grande metropoli
nuove periferie e industrie, della Metanopoli di Enrico Mattei e dei grattacieli Galfa e Pirelli arrampicati
verso il cielo. Un cortile interno, dunque, perché nelle vecchie storie di Milano c’è sempre un cortile interno, un minuscolo scampolo di Milano dove dal 1949
si racconta un po’ di gioia di una grande metropoli.
«Sì perché i due si mettono subito al lavoro, il nonno suonando alle pasticcerie e confetterie di tutta
Milano, e il Bianchini tra le bassine di rame del laboratorio, dove si dedica alla produzione del confetto serio
serio, mentre, dal tavolone del locale accanto, si leva
il chiacchiericcio delle donne che pelano le mandorle
d’Avola. Un lavoraccio infinito». Oggi arrivano già pelate dal siracusano, ma allora bisognava lasciarle a mollo per due giorni perché si riuscisse ad eliminare la
buccia e dare inizio alla paziente produzione del confetto artigianale. «È un procedimento che dura tre o
quattro giorni e che consiste in più fasi: la gommatura, cioè il rivestimento della mandorla con un leggerissimo strato di gomma arabica, l’inamidatura con amido di riso, per dare candore al confetto, e la confettatura vera e propria, ossia la copertura della mandorla
con zucchero bianco e finissimo nebulizzato all’interno della bassina, una sorta di piccola betoniera rotante di rame scaldata a gas, dove lo zucchero evapora
lasciando uno strato uniforme di zucchero sulla mandorla, un processo che si ripete fino a ottenere lo strato di copertura voluto. Solo allora il confetto rivestito, che si presenta rugoso e irregolare, viene sottopo-
sto lisciatura, eventuale aromatizzazione e colorazione, e lucidatura. Il risultato? Un confetto bello e buono, oggi come allora». Le bassine sono sempre le stesse, il metodo anche, le mandorle d’Avola, quelle dalla
forma grande, larga, piatta e dal sapore inconfondibile che non somigliano affatto alle “concorrenti” spagnole o californiane, sono sempre le migliori. E tuttavia anche queste dieci righe non spiegherebbero fino
in fondo perché tantissime tra le più blasonate pasticcerie milanesi e del nord Italia, clienti che esportano
fino a Dubai o si occupano dei matrimoni hollywoodiani, e colossi della grande distribuzione organizzata abbiano trovato in fretta nella piccola fabbrichetta
milanese il proprio fornitore di fiducia.
Il confetto non ha età. O meglio, compare così tanti anni fa che ancora oggi i confettieri, parlando delle
sue origini, si stringono nelle spalle, «all’epoca lo zucchero era sconosciuto, i romani tuttavia pare festeggiassero già nascite e matrimoni con bon bon di mandorle, miele e farina». Fu tuttavia in un luogo appartato agli occhi del mondo che venne forgiato un confetto
simile a quello che conosciamo: siamo a Sulmona, nel
XV secolo, quando all’interno del monastero di Santa
Chiara le suore di clausura iniziano ad intrecciare confetti e fili di seta realizzando spighe, grappoli, fiori,
perfino rosari, e a trasmettere quella che è già diventata un’arte – che farà della città abruzzese la più antica fabbrica di confetti – alle educande. Da Boccaccio a
Goethe, da Leopardi a D’Annunzio il confetto trova
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L’ITALIA CHE LAVORA
«Dovremmo allargarci con un bel capannone e macchine industriali
fuori città?, ci siamo chiesti. E poi, nel 2000, abbiamo acquistato i muri
del laboratorio. Abbiamo deciso di restare una fabbrichetta milanese»
il suo posto anche nella letteratura italiana e inizia a
fare la storia di alcune grandi imprese famigliari, con
sede a Sulmona ed Andria, destinate a rappresentare
l’eccellenza italiana nel mondo.
Quando aprono i battenti, Manganini e Bianchini
non hanno né i numeri né l’ambizione di scombinare il mercato del confetto: hanno “solo” la loro bella
famiglia e due figlioli ciascuno, da crescere tra le bassine. «Papà finì a rimestare lo zucchero appena infilati i calzoni lunghi, frequentava le serali e durante il
giorno faceva tutto quello che occorreva per stare dietro alle ordinazioni di quegli anni straordinari»: sono
gli anni in cui sembra che in confetto non conosca stagionalità e dalla fabbrichetta escono pacchi e pacchetti diretti alle migliori pasticcerie della città. Spesso a
portarli è proprio lui, Leonardo Manganini, «che tutti,
perfino in banca, conoscono come Bruno Manganini»,
figlio di Battista e degno erede della sua passione «per
le chiacchiere. Anche oggi passa ore con i clienti pri-
spiegatelo a Tom cruise, che andava lodando
i confetti manganini: «Il nostro posto è qui,
nel quotidiano, tra le storie di pianerottolo»
ma di vendere una scatola di confetti». Sì perché ogni
santo giorno del calendario dal 1949, i Manganini fanno tutto il possibile per partecipare agli eventi lieti dei
milanesi di ogni stirpe e pianerottolo, «e questo significa anche consegnare confetti per 800 invitati dall’altra parte dell’Italia in una settimana, o trovare il punto di rosa del nastro portato nei capelli da una bambina per la sua comunione. Soprattutto, significa ascoltare. Ogni donna che si sposa porta con sé un racconto di amore, ogni madre anziana il ricordo commosso
dei suoi figli, ogni mamma giovane la speranza per un
bimbo che va a battezzare». Sono storie semplici, aneddoti in cui ritrovarsi e ritrovare ogni giorno un po’ di
mondo che nasce, cresce, vive, insomma, nelle case e
nel cuore di chi si racconta tra mandorle e cioccolata.
Spiegatelo a Tom Cruise, che durante i festeggiamenti delle sue seconde nozze andava sgranocchiando e
lodando con accento americano i suoi “confetti Manganini”: «Sì, abbiamo gli estimatori straordinari. Ma il
nostro posto è qui, immersi nel quotidiano, tra le storie di pianerottolo. Spesso ci viene ricordato che “qui
venivo con mia mamma, qui veniva mia nonna, qui
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veniamo da tre generazioni”. Questo ci rende fieri della decisione di rimanere artigiani». Quando nel 2000
comprarono i muri del laboratorio i Manganini avevano appena preso la decisione più difficile: il business c’era, i clienti anche, «dovremmo allargarci con
un bel capannone e macchine industriali fuori città?, ci siamo chiesti. E poi abbiamo deciso di restare
una fabbrichetta milanese».
«Vengo per restare, dissi a papà»
Gli studi, le vacanze, gli amici. Ma quando si è trattato
di scegliere cosa fare “da grande”, Gianluca ha attraversato sicuro il cortile che separa una delle vie più popolate, etniche, trafficate di Milano dalla fabbrichetta.
«Vengo per restare», spiegò al padre. Anche oggi, che la
crisi ha rosicato il settore, la gente si sposa pochissimo
e battezza i figli ancora meno, e che le pasticcerie non
ordinano più i quantitativi degli anni d’oro, la fabbrichetta va come un trenino e nel cortile in “alta stagione”, sostano pazienti tantissimi privati che da generazioni vanno a comprare direttamente in viale Jenner.
«Il telefono squilla sempre. Anche ad agosto, in
vacanza, mi trovo a spiegare che “capisco l’emergenza ma non posso proprio aprire domani”. Facciamo
quello che possiamo con i mezzi che abbiamo; siamo
una realtà a conduzione familiare e produciamo circa
900 quintali di confetti l’anno – una buona parte dei
quali acquistati dalla grande distribuzione organizzata –, classici e con una ventina di gusti diversi. Il primo a spronarci, con l’esuberanza che lo ha reso noto
in tv, fu proprio Enzo Miccio che imperversava qui alla
ricerca di confetti (“ma falli, viola, rosa, gialli”, esortava), per la sua impresa di wedding planner. Girammo
anche qualche scena in fabbrica con la sua troupe. E
in quanto “discendenti” dalla Zaini e Perugina abbiamo mantenuto una linea di prodotti a base di cioccolato». Per questi non è necessaria la “scusa” di una grande festa, «ho la macchina in doppia fila, i figli da prendere a scuola e ho finito gli ovetti alla nutella», spiega una madre irrompendo in viale Jenner. «Settimana scorsa – sorride Gianluca – non aveva neanche due
figli». E forse è questo il bello della fabbrichetta, in questo scampolo della grande Milano, poter ritrovare, raccontare e vivere piccole storie di impresa, di uomini e
donne di ogni stirpe e pianerottolo. Proprio come una
volta, come ai tempi di nonno Battista.
Caterina Giojelli
STILI DI VITA
CINEMA
ristorante la palta, bilegno (piacenza)
La cucina “femmina” di Iva
Taken 3 L’ora della verità,
di Olivier Megaton
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
O
ggi andiamo tutti insieme ad assaggiare i manicaretti di una cuoca bravissima. A volte si può diventare grandi anche nei paesi più minuscoli. Bilegno è una frazioncina di Borgonovo Val Tidone (Piacenza): poche case nella campagna piacentina, stradine ove cedere il passo ai trattori dei contadini. E
lì in mezzo, la Palta. Non fatevi strane idee: “palta”, in dialetto piacentino (e tra
Modena e Reggio si dice “palteìn”) è la rivendita di tabacchi. E il piccolo banco
dei tabacchi è ancora il nucleo di un ristorante di famiglia che poi si è ingrandito, trovando il suo trionfo in un salone dalle finestre tanto grandi da sembrare
una veranda, luminosissimo, arioso, comodo, invogliante.
Qui impera Isa Mazzocchi, classe 1968, nativa proprio di Borgonovo: il vanto
di essersi conquistata una stella Michelin nel suo paese la riempie tuttora d’orgoglio. Lei fa una cucina che definisce “femminile”: sapori sempre forti, ma dolci come un abbraccio.
Ipoteticamente, potreste cominciare con la pressata di trippa e purée fagioli in bianco, giardiniera e pane fritto: leggiadria e personalità, con robuste fondamenta. Poi, gli incantevoli gnocchi con tartufo nero, animelle croccanti e rape rosse, giocati sottilmente sull’amaro, ma con la dolcezza delle patate a fare da
architrave. Spiazzanti i chiaroscuri della lingua di vitello con pere affumicate al
Gutturnio, altra pietanza votata all’“aggiunta”, all’armonia di sensazioni contrastanti, con un risultato finale di sublime, incantata soddisfazione. Di dolce, toast
di panettone al mascarpone con sorbetto di frutti della passione.
Come vedete, una cucina che fa della sostanza e dell’architettura gustativa
una delle sue leve d’Archimede. Prevedete circa 70 euro. Ah: il marito di Isa vi proporrà una cantina tra le migliori visti di recente per assortimento e prezzi, e saprà anche suggerire e consigliare con amabile competenza. Nelle sere d’inverno,
il caminetto offre un tocco di amichevole calore apprezzatissimo.
Amici miei
LIBRO/1
Che cos’è la felicità?
«Che cos’è dunque la felicità,
mio caro amico? E se la felicità non esiste, che cos’è dunque
la vita?», chiede Leopardi al belga Jacopssen. Perché l’uomo sia
protagonista della sua storia, occorre che mantenga viva questa
domanda nella sua forma primigenia, come esigenza di felicità
infinita. «Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico?», di Gio| 18 febbraio 2015 |
Gli uccidono la moglie. Lui
sbrocca e ammazza tutti.
Nuovo sequel di un action
movie discreto di qualche
anno fa (si chiamava Io vi
troverò: poi i titolisti l’han-
HOME VIDEO
The Judge
di David Dobkin
L’eroe e il suo riscatto
Un avvocato di successo deve
difendere suo padre, un anziano
giudice, da un’accusa infame.
Film a due facce, molto classico nell’impostazione: da una parte il legal thriller, dall’altra un padre severo e un figlio scapestrato
pronti a scontrarsi. Dobkin dirige
senza enfasi un racconto che vive
della forza dei due interpreti: l’ottuagenario Robert Duvall e l’eccentrico Robert Downey Jr. Film
d’attori, non originalissimo ma fedele alla grande tradizione del cinema americano dell’eroe in cerca di riscatto.
Per informazioni
La Palta
Loc. Bilegno, 67
Borgonovo Val Tidone (Pc)
Tel. 0523862103
www.lapalta.it
Chiuso il lunedì
36
Qui si salva solo
Liam Neeson
no cambiato secondo l’originale). Era un film solido,
abbastanza fracassone, con
al centro un ex agente segreto a caccia dei rapitori della figlia. Non era male:
Liam Neeson salvava capra
e cavoli con il suo temperamento e la sua carica d’attore. Poi un sequel caotico
dove non si capiva niente ambientato a Istanbul e
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vanni Fighera (Ares, 248 pagine,
14 euro), è frutto di molteplici
letture e di anni di insegnamento. Si propone come un percorso letterario ed esistenziale, nel
tentativo di riproporre in tutta la
sua ampiezza la domanda del recanatese e di suggerire un’ipotesi di ricerca nel confronto fra lui
e altri grandi autori della tradizione (Dante, Manzoni, Cesbron,
Mounier, Calvino). Autori le cui
«espressioni significative, singolari, commoventi», scrive monsignor Luigi Negri nella prefazione,
Fighera «ha letto con profondità,
utilizzando come ermeneutica
della letteratura la domanda re-
ligiosa che anima il cuore dell’uomo e la grande, definitiva risposta che Dio ha dato».
LIBRO/2
Processo alla satira
senza pregiudizi
La satira uccide o fa uccidere? Fa male o lo subisce? Quante domande sono sorte dopo gli
efferati attentati islamisti alla redazione del settimanale parigino Charlie Hebdo. Il piccolo pamphlet Morire dal ridere.
Processo alla satira di Riccardo
De Benedetti (Medusa, 80 pa-
gine, 9 euro) cerca di dare qualche risposta ai molti interrogativi. Fino a che punto una risata
può essere causa di odio sociale
e portare a conseguenze come
quelle che abbiamo visto a Parigi? Alla matita pungente di un
umorista si può rispondere con
una raffica di mitra? Le religioni sono in grado di tollerare la risata su se stesse? La libertà di
espressione può ignorare i limiti
di prudenza e rispetto dell’altro?
Quelle di De Benedetti più che
risposte sono riflessioni senza
pregiudizi sul concetto di libertà assoluta che si è affermato in
Occidente dopo l’Illuminismo.
IMPARARE DALLE FAVOLE
ora questo che sembra una
remake brutto de Il fuggitivo. Da una parte Neeson, la
cosa migliore del film: gran
carisma e prestanza fisica anche se ogni due per
tre deve intervenire la controfigura. Dall’altra Forest
Whitaker che fa il poliziotto
meticoloso che vuole beccare Neeson però, insomma, lo rispetta, gli vuole be-
ne. Magari ci uscirebbe una
sera. I cattivi sono sempre
loro, i figli di Putin, bietoloni tatuati che fanno la figura
dei fessi.
visti da Simone Fortunato
COMUNICANDO
L’unione fa la forza
I manager si mettono
insieme per il paese
In questo momento ognuno di
noi dovrebbe riflettere su come
uscire dalla crisi e cambiare verso a questa congiuntura sfavorevole. Lo stallo economico ha
messo in ginocchio l’Italia, i negozi abbassano le saracinesche,
le strade si svuotano, le imprese
chiudono gli stabilimenti e sempre più lavoratori sono senza fu-
La storiella della
volpe e l’uva
Il regista
Olivier Megaton
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
R
iflessione libera e strampalata su
una favola, suscitata da scontri
ripetuti con persone che pensano di sapere cosa dice il Papa perché
leggono Repubblica, che vivono la realtà sempre piegata al proprio pensiero, ovviamente più intelligente ed evoluto di quello degli altri e della realtà
stessa, che screditano persone, scuole, Chiesa, perché non possono farne
ciò che vogliono. Agiamo un po’ tutti come la volpe che non riesce ad acchiappare l’uva e dice che è acerba, ma
qualcuno di più e con la variante, sconosciuta a Fedro e La Fontaine, che oggi
la notizia, falsa ricordiamoci, che l’uva
è acerba rimbalza in un nanosecondo
in tutti i regni. E una notizia falsa, ripetuta parecchie volte, non diventa vera. Sminuire ciò che non si può fare
o avere o cambiare, distorcere la realtà che da matura che era l’uva diventa
acerba, avviene talmente spesso, in maniera talmente martellante che se non
tieni costantemente gli occhi aperti e
ben puntati sulla realtà, sull’esperienza, non punti la verità come un cane da
caccia e non ti circondi di alleati furbi e
candidi, inizi a credere anche tu all’uva
acerba. Nel campo della letteratura per
l’infanzia, dove se l’uva che hai davanti è matura o no, lo decidono in pochi,
per tenere gli occhi bene aperti e vedere la strada da percorrere, la realtà e
le sue grandi domande, le fiabe, scelte
con cura e intelligenza dedita, sono un
alleato sempre vero.
mammaoca.com
turo. Ora, a ciascuno tocca fare la sua parte. Cida (www.cida.
it), il sindacato che rappresenta
i manager pubblici e privati, ha
pensato di farlo organizzando
un momento di confronto e dialogo con la politica. L’occasione è stata l’assemblea annuale
che si è tenuta a Roma lo scorso 9 febbraio nella Galleria del
Cardinale di Palazzo Colonna e
che ha visto il coinvolgimento di
quasi 200 dirigenti. Come sfidare la crisi? Come innovare l’Italia, innescare una ripresa stabile
e tornare finalmente a crescere?
Le proposte dei manager italiani che si raccolgono intorno alla
Cida hanno dato vita a una sorta di manifesto programmatico che si compone di molte proposte pensate per far ripartire
il paese e far tornare a crescere l’occupazione di qualità: maggiore flessibilità, sburocratizzazione e svecchiamento della
pubblica amministrazione, più liberalizzazioni e privatizzazioni, via libera al digitale e stretta sull’evasione. Questo l’appello
della confederazione che si rivolge in primis alla nostra classe
politica, ma che chiama in causa tutti noi, invitandoci a essere
cittadini più responsabili e attivi.
Elena Vicini
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motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
KTM 1.290 Super Adventure
Un’ammiraglia, non solo una bandiera tecnologica. Questo è per KTM la
1.290 Super Adventure, moto su cui la Casa di Mattighofen ha riversato tutte le proprie conoscenze tecnologiche. Le dotazioni di serie fanno
impressione: il motore da 1.301 cc arriva a 160 cavalli e 144 Nm di coppia, prestazioni da sportiva gestite da un’elettronica mai così completa
ed evoluta. Grazie alla piattaforma inerziale, controllo di trazione, ABS
e perfino le sospensioni attive sono gestiti automaticamente in base
all’angolo di piega. Quattro le modalità di guida, due limitate a 100 cavalli (off road e rain) e due a potenza piena. Il risultato è una moto mai
così sicura anche se con prestazioni fuori della norma per una maxi enduro capace di viaggiare ininterrottamente per 500 chilometri grazie al
nuovo serbatoio da 30 litri. Prezzo 18.450 euro, tutto compreso. [ss]
38
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Per la prima volta dal 1982, la familiare
tedesca viene proposta in versione sportiva
Debutta in primavera
la Golf Variant GTD
B
erlina o wagon, per Volkswagen sembra
non fare differenza. Un tempo la versione “allungata” della Golf era un po’
la cenerentola in gamma. Con l’arrivo della
settima generazione, invece, le due versioni
hanno uguale dignità e una gamma ugualmente ampia.
Ecco spiegato il motivo per cui per la prima volta nella propria storia, Golf Variant
viene declinata in versione sportiva GTD.
Analogamente alla hatchback, sotto il cofano
lavora il noto 4 cilindri 16V di 1.968 cc corredato dell’iniezione diretta common rail e
sovralimentato mediante turbocompressore.
Accreditata di 184 cavalli e 380 Nm di coppia
nonché omologata Euro 6, tale unità porta in
dote uno scatto da 0 a 100 km/h in 7,9 secondi – anziché i 7,5 secondi appannaggio della
berlina – a fronte d’una percorrenza media
di 22,7 km/l (23,8 km/l per la tre porte).
La caratterizzazione estetica prevede una
specifica griglia a nido d’ape, paraurti dedicati, gruppi ottici posteriori bruniti, minigonne, mancorrenti neri, cerchi in lega da 17
pollici e doppio terminale di scarico cromato, mentre sotto il profilo tecSOTTO IL COFANO nico spiccano il ribassamento
LAVORA IL 4 CILINDRI dell’assetto di 15 millimetri
16 VALVOLE DA 184 rispetto allo standard e lo
CAVALLI. OMOLOGATA sterzo adattivo. In abitacolo
EURO 6, PASSA DA non mancano i sedili sporti0 A 100 KM/H IN vi rivestiti nel classico tessuto
7,9 SECONDI. LA scozzese – un must per GTD e
PERCORRENZA MEDIA GTI –, la pedaliera in acciaio e
È DI 22,7 KM/L il pomello della leva del cambio a forma di pallina da golf.
Attingendo alla lista degli optional è possibile optare per il Driving Mode Selection, vale
a dire il sistema che porta in dote diversi programmi di guida armonizzandovi l’erogazione del motore, la servoassistenza dello sterzo e la logica di gestione della trasmissione a
doppia frizione DSG (qualora presente). Golf
Variant GTD debutterà al prossimo Salone di
Ginevra (5-15 marzo 2015). Sebastiano Salvetti
La Golf Variant, per la prima
volta declinata in versione
sportiva GTD, debutterà
al prossimo Salone di Ginevra
che si terrà dal 5 al 15 marzo
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LETTERE
AL DIRETTORE
La prova maceratese
che siamo uomini, non
caporali. ¡Que viva Cate!
L
a sua lettera al neo-presidente
mi ha colpita e rincuorata. La ringrazio per averla scritta così. Mi chiamo Caterina e sono la mamma di due bambini, di 3
anni e mezzo e 2, che frequentano la scuola materna paritaria “L’Ancora” di Macerata. La scuola un anno fa aveva
annunciato per motivi economici la sua imminente e inesorabile chiusura, dopo trent’anni dalla sua fondazione per
mano di alcuni genitori appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione. Io e altri genitori ci siamo opposti
a questa chiusura proponendo il nostro sostegno economico e operativo
per affermare una realtà e una esperienza (anche per le famiglie) unica
nella nostra città, promotrice di una
educazione alla realtà a 360°, caratterizzata da elementi unici nel suo genere (alla base della scuola c’è anche
un percorso di nido integrato da 0 a
6 anni, che alcuni giorni fa Repubblica indicava come la strada del futuro. Mi perdoni, ma noi lo abbiamo dal
1985). La faccio breve. Noi primi genitori in un comitato abbiamo accettato di mettere le mani in pasta e approfondire la consistenza di una tanto
proclamata e riconosciuta “alta qualità e il valore unico che non si poteva
perdere”. Dietro a noi si è accodata la
cooperativa gestore della scuola, altre famiglie, il vescovo di allora monsignor Giuliodori (oggi assistente ecclesiastico generale di UniCatt), il
vescovo di oggi monsignor Nazareno Marconi, il sindaco del Pd Romano Carancini. Credo che non sarà solo
un fissa di alcuni, o non saremo sta-
ti semplicemente persuasivi nei nostri
appelli, se anche una giunta di sinistra ci ha riconosciuto come presenza
fondamentale per la città fino a erogare per la prima volta nella storia di
Macerata dei fondi per la ripresa della scuola “L’Ancora”. È un granello di
sabbia, per la mia famiglia e i miei figli significa poter continuare a educare in una forma ben precisa. Noi genitori andiamo avanti a lavorare con la
cooperativa e le insegnanti per tene-
re alta l’attenzione su di noi e sui temi
che ci stanno a cuore. Spero che questa sia la prima di tante iniziative delle istituzioni nel senso della sua lettera al presidente Mattarella. Caterina Romoli Macerata
Immensi amici di Macerata, ecco
cos’è Cl, povera voce, ma canta con
un perché che dà voce a tutti. 10,
100, 1000 caterine in azione e si ribalta l’Italia. Lasciateli fare! Grazie.
di Fred Perri
E MENO MALE CHE “LA TV NON MENTE”
I
l caso della settimana riguarda la televisione, la
moviola, le linee del campo, la prospettiva e in
generale il modo di fare informazione. Da quando faccio questo mestiere – ahimè, bastardi, da mo’ –
c’è sempre qualcuno che si erge a maestro stabilendo
chi fa bene e chi fa male questo lavoro, ma anche decidendo quale mezzo di informazione sia migliore di
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un altro. Noi della carta stampata siamo come i reietti
delle isole di conradiana memoria (cazzo, quando faccio queste citazioni mi piglia un’eccitazione sessuale):
bistrattati, insultati, mal sistemati. L’ultima volta che
sono stato a Firenze ho detto al mio giovane apprendista, che mi sega la cadrega da anni e tra poco avrà terminato l’opera, di mandarmi un selfie quando la tri-
Foto: Ansa
La prospettiva del gol di Tevez
è la riscossa di noi reietti amanuensi
[email protected]
Questa sera ho rivisto dopo anni il film
La settima stanza dove, con assoluta
cruda verità, si può “vivere” il dramma
di Edith Stein. Per quelle strane associazioni della mente ho percepito come un’assonanza tra quella vita singola e la nostra realtà di popolo. Oggi
una minoranza della gente, ed io tra loro, è nella situazione in cui si trovarono
gli ebrei. Siamo una “razza” che non si
adegua al pensiero unico. Non è silente
come vuole il regime sui nuovi diritti.
Non si rassegna alla dittatura dell’economia capace di ridurci in miseria ma
incapace di incarcerare la mia libertà
di uomo. Edith stasera mi ha ricordato
che la vita è lotta. Lei è una donna libera, segno di ciò che pure noi possiamo
essere, costi quel che costi.
Mauro Mazzoldi via internet
Un’altra ebrea ci ha insegnato che
«solo nell’ambito di un popolo l’individuo può vivere come uomo fra gli
uomini senza rischiare di morire per
mancanza di forze». Chiesa o morte.
2
Mi dicono che Renzi stia preparando
per marzo una bella maggioranza quirinalizia che approvi le cosiddette “civil partnership” da offrire in pasto alla
sinistra. Aria di consultellum? Maurizio Sandri via internet
Al nostro simpa piace fa’ l’americano, ma è nato in Italy. Come sapete
la risposta all’ideologia c’è e fa gioco la sentenza della Cassazione. Ovvero per i famosi “diritti” riguardanti le convivenze basta e avanza
il testo unico di legge messo a punto dal Comitato Sì alla Famiglia e
DIFENDERSI DALLE TRAME DEMONIACHE
Il volto avaro e quello post-umano
dell’«economia che uccide»
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
«N
o, a un’economia dell’esclusione e della inequità.
Questa economia uccide».
Sono parole del Papa (tratte dall’Evangelii Gaudium) per il recente messaggio all’Expo 2015. Il 12 febbraio a Roma Andrea Tornielli e Giacomo
Galeazzi presentano all’Augustinianum il libro intitolato con la stessa frase del Santo
Padre: Questa economia uccide. Vado alla presentazione perché la speculazione finanziaria va capita e, se possibile, controllata dall’opinione pubblica e dalla politica. Questa oppressione ha due volti. Da una parte c’è uno squilibrio ben sintetizzato da questa sproporzione: le 85 persone più ricche del mondo hanno un reddito pari a quello
di 3 miliardi e mezzo di persone più povere. L’altro lato della medaglia è la pressione provocata dalla lobby finanziaria, al fine di destrutturare moralmente la società,
per dominare un popolo di acritici consumatori. Dal ’68 in poi è cominciata un’escalation (pilotata) volta a distruggere la morale comune, il matrimonio, le nascite, la vita degli anziani, la differenza fra maschio e femmina e, prossimamente, la protezione
dei minori contro la pedofilia. Prego san Michele (Sancte Michael arcangele defende
nos) perché ci difenda dalle trame demoniache. La preghiera è la vera arma del cristiano. Occorre poi svegliarsi dal torpore e mobilitarsi. Servono valenti economisti, filosofi, politici per mettere in campo i talenti che il Signore ci ha dato. Se alcuni seminano
zizzania noi dobbiamo seminare il grano buono della fede e della cultura.
segnalato da Alfredo Mantovano.
Testo che nelle sue linee direttrici i lettori di Tempi hanno già visto
in anteprima. E su cui ci auguriamo
che Berlusconi converrà senza farsi sviare dalla liceale e Salvini farà il
suo dovere (diamo ovviamente per
scontato l’ok di Alfano). A dirla tutta però penso questo: Renzi andrà
alle elezioni perché dentro il misterioso fascicolo dei conti dello Stato di Cottarelli mancano i dindi per
riprendere al volo tutte la palle che
ha lanciato in aria. E che, come con
l’Ilva, adesso gli stanno ricadendo sulla testa. Ora, ammesso e non
concesso che la Merkel sia d’accordo, l’interrogativo è se andrà al voto con il famoso sms “i gufi frenano
le riforme? E io voto”. O se, come fa
di solito, lancerà in aria un’altra palla e chiederà tanti voti quanti bastano per mettere il turbo al pallone di riforme aereostatiche.
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
buna stampa la sistemeranno in curva. Ogni anno si
sposta un po’ più in là. E non solo lì. E poi tutti a dirci:
siete dei cazzari, la tv sì che non mente (per non parlare della rete).
Per fortuna è arrivato il geom comm granduff lupman Adriano Galliani e ha stabilito che pure la televisione tarocca. Evvai. È stata la riscossa di tutti noi
umili amanuensi. Anche la televisione inganna, la
prospettiva non esiste e, diciamolo, con la moviola in
campo Juventus-Milan sarebbe ancora ferma nell’attesa di capire se Tevez era in fuorigioco. La verità è che il
calcio è come la politica, nessuno ammette mai di avere torto e nessuno, soprattutto, ha mai ragione.
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Mosul. I terroristi
marchiano le case dei
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(Nazarat). Per loro, niente
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La fecondazione eterologa e la
necessità di un rinnovato
impegno perché la persona non
sia ridotta a “cosa”
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Tempi Mobile
«Per Mourinho e per uscire dalla
disperazione» E tu, perché leggi
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LETTERE DALLA
FINE DEL MONDO
cristo non si merita. A LUI ci si abbandona
La notte dell’anima
è esperienza necessaria
agli uomini di fede
| DI aldo trento
H
e amici fantastici. Sono
sempre stata considerata da tutti (professori inclusi) una ragazza molto più matura rispetto ai suoi coetanei, ricevo complimenti per come affronto la vita, per come mi butto
nelle situazioni e per la mia capacità di vederLo anche nelle situazioni più difficili. Sento, respiro un mondo di bene intorno a me, eppure mi odio e vivo con la preoccupazione di dover dimostrare a me stessa che valgo qualcosa. Purtroppo questa situazione è esplosa, e da circa un
mesetto ho iniziato un percorso di cura con uno psicoterapeuta. Sto prendendo pure un blando tranquillante per dormire. Però le cose stanno andando sempre peggio. Non mi merito nulla,
perché tutti mi vogliono così bene? Non mi merito di aver incontrato Cristo. Sono arrivata a dire che non merito neanche l’amore di Dio. Perché non riesco a guardarmi come Lui mi guarda?
Che fatica, padre Aldo, non riesco nemmeno a pregare. Cosa posso fare per abbracciarmi? Beatrice
C
ho diciotto anni, ho una famiglia che mi vuole un bene assurdo
ara Beatrice, grazie per la libertà che testimoni condividendo il dramma che vivi e po-
nendomi delle domande alle quali solo Dio può rispondere – e Dio risponde attraverso l’abbraccio di chi ti vuole veramente bene, cioè di chi ti aiuta a fare i conti con la realtà –.
Spesso racconto quanto successe con don
Giussani durante uno dei peggiori periodi della
scelto me. Sono convinto che
Come avrebbe fatto Dio mia vita. Ero disperato e le domande che poni
Dio, scegliendo una persona
a realizzare queste opere erano sostanzialmente le mie. Camminando a
per un compito, la forgia cotentoni sono arrivato da lui con gli occhi umidi
me il fabbro con il ferro. La
di carità senza avermi fatto per il pianto. Ricordo con quanta tenerezza mi
notte dell’anima è un’espesperimentare cosa significano rienza necessaria all’uomo
guardava e ascoltava. Davanti alle mie domande disse: «Ciò che stai soffrendo, il buon Dio lo
di fede. È la stessa esperienIl dolore e la disperazione?
permette perché tu possa finalmente divenza che ha vissuto Gesù negli
tare un uomo per il quale Cristo è tutto». Non
ultimi giorni della sua vita. Facendo memoria
la chilometri, mendicando la guarigione da un
capivo niente delle sue parole, ma quando agdi quanto ha sofferto dal Getsemani alla Crosantuario all’altro. Gridavo, ma non sentivo
giunse «la prossima estate, se non incontrerai
ce, mi vengono i brividi. Tutti Lo hanno abbannemmeno l’eco della mia voce.
qualcuno che ti faccia compagnia, verrai con
donato. Eppure, sebbene angosciato dal silenForgiati come il ferro
me», il mio volto si illuminò. Così mi consegnai
zio degli amici e del Padre, prega dicendo: «Sia
totalmente a lui. Mi sentivo libero al suo fianco, Solo dopo quindici anni ho capito il perché del
fatta la tua volontà, non la mia». Un puro atsilenzio della Madre Celeste. Dio mi aveva scellibero come un bambino. Non c’erano ossessioto di fede al quale tutti siamo chiamati. Non è
ni, scrupoli che non condividessi con lui. Quanta to per un compito molto importante, che oggi
quindi una questione di merito, ma di abbandoè sotto gli occhi di tutti. La Madonna non potepazienza ha avuto con me! Spesso annegavo in
narci fra le braccia del Padre che ci ha pensato
va impedire a Suo Figlio il percorso mediante
un bicchiere d’acqua e lui mi tirava fuori, aiudall’eternità. Se abbiamo un merito è quello del
il quale mi avrebbe purificato per essere totaltandomi ad aprire gli occhi sulla realtà. Quante
peccato che obbligò il Padre a mandarci Gesù.
mente suo. Oggi mi è chiaro il perché di tanvolte nella disperazione mi domandavo dov’era
Infine, mi permetto di sottolineare che educato dolore: come avrebbe fatto Dio a realizzare
Dio, o cosa significasse essere scelto, amato da
re non significa pompare come un pallone figli
queste opere di carità senza avermi fatto spesempre. Perfino con la Madonna mi arrabbiao alunni, ma introdurli a fare i conti con la realrimentare cosa significa il dolore e anche la divo: «Vergine e Madre, perché non mi ascolti lità in tutte le sue dimensioni. Perché dimenticasperazione? Avrebbe potuto scegliere un altro
berandomi da questo inferno che mi tortura?».
re la favola di Fedro Rana rupta et bos?
[email protected]
più intelligente, coerente, migliore di me. Ma ha
Ricordo che feci a bordo di una Uno ventimi|
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taz&bao
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| Nella foto, l’immagine utilizzata nella locandina cinematografica de Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel
Il fascismo
discreto
della borghesia
«La sinistra è diventata una frode borghese,
completamente separata dal popolo che dice di
rappresentare. (…) Questi meschini e arroganti dittatori
non hanno il minimo rispetto per le visioni opposte
alla loro. Il loro sentimentalismo li ha portati a credere
che devono controllare e limitare la libertà di parola
in democrazia per proteggere paternalisticamente
la classe delle vittime permanenti di razzismo, sessismo,
omofobia eccetera. (…) Niente dimostra l’isolamento
della sinistra dalla gente quanto la derisione
della religione, che per la maggior parte degli uomini
rimane una caratteristica vitale della loro identità. (…)
Le vignette di Charlie Hebdo erano crude, noiose
e infantili, insultavano il credo di altre persone senza
nessuna vera ragione artistica. Il massacro è stata
un’atrocità barbara e la libertà di espressione deve essere
garantita in tutte le democrazie moderne. Ma quale
visione della vita propone il liberalismo che sia più grande
delle prospettive cosmiche delle grandi religioni?».
Camille Paglia “Contro il fascismo di sinistra”, intervista
a cura di Mattia Ferraresi, il Foglio, 6 febbraio 2015
MISCHIA
ORDINATA
IL CORAGGIO DI TERI ROBERTS
Perdere gambe e braccia
e dire «ok» alla vita
L
di Annalisa Teggi
le pagine della
cronaca estera, ho istintivamente bisogno di staccare i pensieri dalle storie del giornalista giapponese decapitato,
dell’omosessuale buttato giù da un palazzo e
del pilota giordano arso vivo. Il genere umano non può sopportare troppa realtà, scrisse
Eliot. Quanto aveva ragione! – mi dico. Poi gli
occhi si fermano su un titolo che pare tracciare un orizzonte più lieto del mondo: “Si
sveglia dal coma quattro ore prima che le
stacchino la spina”. È accaduto in Nebraska,
e allora incuriosita vado a spulciare i giornali stranieri.
Ma niente è come sembra;
niente è così roseo come sem- È ENTRATA IN COMA PER UNA INFEZIONE. DOVEVANO
bra. Ricostruisco alla buona la STACCARLE LA SPINA MA all’ultimo SI È RISVEGLIATA.
storia di Teri Roberts, 56 an- e pur sapendo cosa l’aspettava, ha voluto vivere
ni. Qualche settimana prima
di Natale, è in cucina a fare biscotti, da brava sappia cosa l’aspetta; la informano che pernonna di cinque nipoti. Si sente male e all’ini- derà braccia e gambe, da amputare necessazio sembra solo la classica influenza; le cose riamente. Lei risponde: «Ok».
Dal 10 gennaio Teri ha cominciato la riperò degenerano in fretta, ricoverata in ospedale le viene diagnosticata una brutta infezio- abilitazione; il suo risveglio l’ha riportata lì
ne da streptococco A. Letale. Teri entra in co- dove la realtà l’aveva lasciata: una figlia asma e l’infezione intanto le devasta il corpo: le sassinata, due nipoti di due e quattro anni
prime parti a morire sono gli arti, che vanno di cui prendersi cura. Senza braccia e senza
in cancrena. Spasmi muscolari le contorco- gambe. Non so se avere accanto una famiglia
no il viso, vesciche la ricoprono dappertutto. premurosa basta a sopportare così tanta reIl marito e il figlio le stanno accanto, entran- altà. Io, per quel che riguarda me, non ne sado in fretta in confidenza con l’idea che la fi- rei così sicura. Penso di nuovo a Eliot che parne per lei è vicina. Un pensiero li consola: se la di un certo signor Prufrock, vivo e vegeto,
morirà, andrà a ritrovare sua figlia Andrea in che però cammina ogni giorno per strada cocielo, che era stata assassinata qualche anno me fosse un paziente anestetizzato in sala
prima. Teri era, infatti, diventata a tutti gli ef- operatoria. Quando siamo svegli, siamo davfetti mamma di due dei suoi nipoti, rimasti vero svegli? Penso anche a Dante che dice di
orfani dopo la morte della mamma. Si può essersi smarrito proprio perché era pieno di
sopportare così tanta realtà? Il coma e poi il sonno. Il coma spesso è uno stile di vita, la
sonno eterno non sono forse un benedetto ri- bolla di insensibilità che indossiamo a difesa
dell’urto inesorabile del vivere. Lo facciamo
medio a così tanto dolore?
Questo me lo chiedo io, ma a rispondere anche quando quel che c’è da sopportare è
lascio che sia Teri. La sua prognosi peggiora infinitamente meno di decapitazioni, ampudrasticamente, i reni e il fegato cedono e i fa- tazioni, assassini, roghi viventi. E se fosse che
miliari decidono di lasciarla andare, cioè di queste botte, non necessariamente letali, arinterrompere la ventilazione artificiale. Po- rivassero per mettere all’angolo questo letarche ore prima che questo accada, Teri si sve- gico torpore? Il nostro «ok» all’esserci – qui e
glia. Le sue condizioni vanno stabilizzando- ora – quando lo abbiamo pronunciato seriasi, ma suo marito vuole essere sicuro che lei mente l’ultima volta?
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e mani sfogliano veloci
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