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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi amicone anno 21 | numero 7 | 18 febbraio 2015 | 2,00 EDITORIALE IL “CAPOLAVORO” AMERICANO Purtroppo per l’Ucraina non restano che due vie: la partizione o le armi «L a questione ucraina non è esplosa per colpa della Russia ma è una conseguenza dei tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali che si ritengono “vincitori” della Guerra fredda di espandere dappertutto la loro volontà». Difficile dare torto al pur “inqualificabile” Putin. Ma come dice Camile Paglia, sono le “meschine” e “arroganti” élite della sinistra che con loro ottusità ideologica stanno sospingendo il mondo verso la rovina. Infatti, se la bandiera nera dei tagliatori di teste vuole imporre l’inferno sulla terra, i liberal vogliono imporre il paradiso con la loro idea di sicurezza; con la loro religione politicamente corretta (magari un pochino limata se c’è di mezzo il monarca che finanzia il jihad ma è anche quotato a Wall Street); con la loro idea di matrimonio da Corte suprema (a proposito, ci voleva una sentenza della nostra Alta Corte per dire che nemmeno Hillary Clinton può obbligare l’Italia ad approvare le nozze gay?); con la loro idea di vita incatenata alla tecnoscienza, coi “diritti umani” secondo Harvard, coi genitori A e B di Planned Parenthood, con il colonialismo del gender. La Russia, in particolare, dopo essere stata accerchiata dalla Lituania all’Uzbekistan di basi Nato, jihadisti, commerci di droga, pornografia, “diritti riproduttivi”, “filantropi” alla Soros e governi che stanno in piedi solo in graAvviso agli abbonati zia dei soldi occidentali, ha dovuto suA causa di un disguido, l’ultimo numero bire anche le provocazioni (vedi olimdel settimanale Tempi (nr. 6 dell’11 febbraio) piadi di Sochi) dell’internazionale Lgbt è stato spedito agli abbonati con qualche giorno di ritardo. Ce ne scusiamo. supportata dalla Casa Bianca. Infine ha dovuto incassare il colpo di Stato a Kiev che ha spostato l’Ucraina sotto l’ombrello Nato. (È un fatto, c’era all’epoca un presidente sì filorusso, ma eletto democraticamente, il cosiddetto “Euromaidan” l’ha defenestrato col supporto di Stati Uniti ed Europa: ricordarlo non significa disprezzo per la libertà, significa piangere su quella piazza, pacifica e democratica, usata per calcolo e scontro imperiali). Insomma, complici la recessione e il niente politico europeo, un errore dopo l’altro (dal sostegno ai Fratelli Musulmani nelle “primavere arabe” all’appoggio del jihad in Siria – di lì è partito l’Isis, non dimentichiamolo), Obama è riuscito anche nel Vecchio Continente a dividere e a imperare, sospingendo l’Orso russo verso est (Cina) con le sanzioni; e, sempre grazie alla crisi ucraina, provocandolo a tirar fuori gli artigli verso ovest (Europa). Eppure in epoca Bush la Russia di Putin è stata alleata dell’Occidente contro il terrorismo. Pagando per questa sua scelta il prezzo altissimo delle stragi a Mosca e le offensive jihadiste entro i suoi confini. Adesso, a causa di questa politica obamiana condotta su tutti i fronti per indebolire tutte le parti in causa e per non sposare nessuna causa (tant’è che al Califfato ha fatto più male un weekend di raid dell’aviazione giordana che mesi di droni americani), nella crisi del Donbass non sembrano purtroppo emergere che due soluzioni: la partizione di fatto, anche se non dichiarata, dell’Ucraina. O la guerra in Europa. L’ASCIA NEL CUORE Maternità virginale Non era nemmeno una suora, ma questo ai nostri occhi non cambia la sostanza della vicenda. Qualche giorno fa i giornali hanno dato notizia di una suora di clausura che, recatasi in ospedale per forti dolori di pancia, ha poi partorito un bambino. Immaginatevi le ironie sul voto di castità e altri sottintesi da caserma. Qualcuno a digiuno dei più basilari rudimenti di pietà cristiana ha persino ipotizzato che la sventurata potesse incorrere in una scomunica. Solo poi si è scoperto che la ragazza era di umili origini, era straniera, aveva subìto una violenza sessuale nel suo paese ed era stata accolta nel convento dalla suore che, discretamente, l’avevano accudita e aiutata. Qui si fermano i resoconti dei quotidiani che, non avendo più la possibilità di rimestare su satellitari dettagli erotici, hanno dimenticato la faccenda. E questo è un bene, per il rispetto che si deve all’intimità dei protagonisti, ma è anche significativo di che cosa oggi si intenda per “notizia”. A noi resta l’impressione che il nocciolo della questione sia quello non raccontato e che può essere solo dedotto dal comportamento delle religiose. Di fronte a un mondo che fa un gran parlare di diritti, quote rosa ed emancipazione femminile, ancora una volta – arrivati al sodo – è la Chiesa a mostrare la cura più adeguata e disinteressata dell’altro. E cos’è questo se non il segno più profondo di ciò che noi chiamiamo “maternità”? Che ce lo insegnino delle vergini di clausura è un ossimoro solo per gli stolti. Emanuele Boffi | | 18 febbraio 2015 | 3 SOMMARIO 08 PRIMALINEA PER COSA SIAMO DISPOSTI A MORIRE | HADJADJ 7 NUMERO anno 21 | numero 7 | 18 febbraio 2015 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr settimanale diretto da luigi amicone Avete ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia? LA SETTIMANA 18 ESTERI UNA GUERRA DI IMPORTAZIONE | CASADEI 13 PRIMALINEA LA LAICÏTÉ SVENDUTA | ZANON L’ascia nel cuore Emanuele Boffi............................3 Foglietto Alfredo Mantovano...........7 Boris Godunov Renato Farina........................... 23 Thomas Merton Laura Cioni...................................... 28 Appunti Marina Corradi....................... 31 Mamma Oca Annalena Valenti................37 Sport über alles Fred Perri.......................................... 40 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano...................41 Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento................................... 43 Mischia ordinata Annalisa Teggi....................... 46 RUBRICHE 24 CULTURA VISITA ALLE CARMELITANE | AMICONE 32 L’ITALIA CHE LAVORA I CONFETTI DI MILANO Stili di vita........................................... 36 Motorpedia........................................ 38 Lettere al direttore.......... 40 Taz&Bao................................................44 Foto: Ansa Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 21 – N. 7 dal 12 al 18 febbraio 2015 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Reggiani spa Via Alighieri, 50 – 21010 Brezzo di Bedero (Va) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Via Confalonieri 38, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Vita Nuova Società Cooperativa, Via Confalonieri 38, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Via Confalonieri 38 • 20124 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. 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Il quesito è retorico: se vi è l’esigenza di un nuovo tour de force del Parlamento per varare nuove norme la risposta è nei fatti. Seconda domanda: da quanto pubblicato sui giornali, ci sono le premesse perché l’impegno a cui vengono chiamati Camera e Senato abbia esiti meno deludenti rispetto a quelli della più recente riforma? In attesa che le anticipazioni si traducano in articoli e in commi è lecita qualche perplessità. Buon senso imporrebbe di prevenire i fenomeni corruttivi, introducendo meccanismi che li scoraggino o ne impediscano il dilatare. E invece par di capire che il terreno di intervento saranno le norme penali: come se aumentare le pene e introdurre nuove figure di reato, cioè concentrarsi sul “dopo”, quando il danno è prodotto, non sia una scelta già più volte rivelatasi improduttiva. Qualche esempio di accorgimenti – in apparenza minuscoli – adatti a snidare la corruzione dal sistema: a) si pensi all’inerzia o al ritardo delle pubbliche amministrazioni; disposizioni più rigorose sul rispetto dei tempi e sulle competenze, con l’obbligo di un cronoprogramma non velleitario, e con sanzioni disciplinari serie per i funzionari inadempienti, scoraggerebbe le richieste di “olio” perché la macchina vada avanti a ogni intoppo; b) si pensi all’uso distorto della giustizia amministrativa: capita che il concorrente escluso dall’aggiudicazione in una gara di appalto presenti ricorso al Tar, col risultato di bloc- procedere solo per sanzioni penali sempre più elevate significa continuare a erigere ostacoli alla realizzazione delle opere pubbliche. urge un sereno esame della realtà care l’esecuzione dell’opera, e che poi lo stesso ricorrente “contratti” con l’aggiudicatario la rinuncia al ricorso. È evidente che il “prezzo” sale quanto più ci si avvicina alla sentenza, e sale ancor di più dopo la pronuncia, se è favorevole al ricorrente: individuare una griglia di materie per le quali dopo la sentenza non si può più tornare indietro eviterebbe i danni costituiti dal fermo dell’opera, dal suo costo nelle more cresciuto, e dal denaro circolato impropriamente; c) si pensi al depotenziamento, avvenuto da oltre 15 anni, con le leggi Bassanini, di filtri di legalità all’interno degli enti locali, primo fra tutti il segretario comunale, ridotto alla funzione di consigliere del sindaco, a rischio licenziamento se non esegue quanto è a lui gradito, pur se di dubbia legittimità: ripristinare un filtro di giuridicità (non una valutazione del merito, che spetta a chi è stato eletto), cioè una attestazione di conformità degli atti dell’ente territoriale alle leggi e ai vin- coli di bilancio, non lederebbe l’autonomia dell’ente e garantirebbe il rispetto dell’ordinamento nel suo insieme. La strada della “panpenalizzazione” Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma stanno a indicare terreni di riflessione e di intervento differenti da quello che sembra preferito dagli annunci degli ultimi giorni. Proseguire sulla strada della panpenalizzazione significa però rinunciare alla costruzione di meccanismi di filtro preventivi e proseguire nell’erigere ostacoli alla realizzazione delle opere pubbliche; la moltiplicazione delle informazioni di garanzia e delle misure cautelari, ancora di più dei ricorsi al Tar, otterranno un effetto paralisi, senza garantire trasparenza a monte. Se per una volta dall’effetto annuncio, coincidente col prospettare le pene più elevate, si passasse all’esame sereno della realtà, sarebbe l’occasione per riequilibrare un sistema intollerabile. | | 18 febbraio 2015 | 7 Foto: Ansa COPERTINA | DI Fabrice Hadjadj Integrati al nulla La sottomissione dei jihadisti di Parigi all’islamismo non è solo una reazione al vuoto culturale e spirituale della République. È una continuità con quel vuoto. Ci battiamo come leoni per i passatempi che ci hanno rammolliti, ma abbiamo ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia? | | 18 febbraio 2015 | 9 C Jihadisti, è il titolo di una lettera aperta pubblicata da Philippe Muray – uno dei più grandi polemisti francesi – poco dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. La lettera si conclude con una serie di avvertimenti ai terroristi islamici, ma a esser presi di mira, di riflesso e ironicamente, sono in verità gli occidentali fanatici del comfort e del supermercato. Cito un passaggio da cui si può facilmente cogliere lo scherno pungente e sarcastico: «[Cari Jihadisti], temete la collera del consumatore, del turista, del vacanziere che smonta dal suo camper! Voi ci immaginate rotolati nei piaceri e nei passatempi che ci hanno rammolliti? Ebbene noi lotteremo come leoni per proteggere il nostro rammollimento. Ci batteremo per ogni cosa, per le parole che non hanno più senso e per la vita che queste si portano appresso». E oggi possiamo aggiungere: ci batteremo specialmente per Charlie Hebdo, giornale ieri moribondo e privo di qualsiasi spirito critico – perché criticare è discernere, e Charlie metteva nello stes- 10 ari | 18 febbraio 2015 | | so calderone jihadisti, rabbini, poliziotti, cattolici e francesi medi – ma proprio per questo ne faremo il simbolo della confusione e del nulla che ci animano! Ecco pressappoco lo stato dello Stato francese. Invece di lasciarsi interrogare dagli avvenimenti, parla e parla, ne approfitta per lavarsi la coscienza, risalire nei sondaggi, disporsi accanto alle vittime innocenti, alla libertà schernita, alla moralità oltraggiata, purché non si ammetta il vuoto umano della politica condotta da parecchi decenni, né l’errore di un certo modello eurocentrico secondo il quale il mondo evolverebbe verso la secolarizzazione, mentre altrove, quasi ovunque e almeno dal 1979, si assiste ad un ritorno della religione nella sfera politica. Ma ecco: questa troppo buona coscienza e questo accecamento ideologico stanno preparando per molto presto, se non la guerra civile, perlomeno il suicidio dell’Europa. La prima cosa che bisogna constatare è che i terroristi dei recenti attentati di Parigi sono francesi, che sono cresciuti in Francia e non sono incidenti di percorso e neppure mostri, ma prodotti dell’integra- zione alla francese, veri figli della Repubblica attuale, con tutta la rivolta che tale discendenza può indurre. Nel 2009, Amedy Coulibaly, l’autore degli attentati di Montrouge e del supermercato kosher di Saint-Mandé, era stato ricevuto all’Eliseo da Nicolas Sarkozy con altri nove giovani scelti dai loro datori di lavoro per manifestare i benefici del percorso studio-lavoro: a quel tempo lavorava con un contratto di formazione nella fabbrica della Coca-Cola della sua città natale di Grigny. I fratelli Kouachi, orfani, figli di immigrati, erano stati accolti dal 1994 fino al 2000 in un centro educativo della Corrèze, centro che appartiene alla fondazione Claude-Pompidou. All’indomani della sparatoria alla sede di Charlie Hebdo, il direttore del centro educativo si diceva stupefatto: «Siamo tutti scioccati da questa storia perché conosciamo quei giovani. Si fa fatica a immaginare che quei ragazzi, che erano perfettamente integrati (giocavano a calcio nei club locali), abbiano potuto uccidere deliberatamente in quel modo. Si fa fatica a crederci. Durante il loro percorso da noi non COPERTINA PRIMALINEA Il testo è tratto dall’intervento di Fabrice Hadjadj al seminario della Fondazione De Gasperi “L’Europa, l’Occidente e l’Italia prima e dopo Parigi”, tenutosi a Roma il 5 febbraio 2015 UNO NON CERCA SOLO RAGIONI PER VIVERE, MA SOPRATTUTTO PER DAR LA VITA. LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE È UNA RAGIONE? VA BENE! MA COSA ABBIAMO DI COSÌ IMPORTANTE DA DIRE? hanno mai dato luogo a problemi di comportamento. Saïd Kouachi (…) era completamente pronto per la vita socio-professionale». Queste affermazioni rimandano a quelle del sindaco di Lunel – piccola cittadina del sud della Francia – che si stupiva del fatto che dieci giovani del suo comune fossero partiti per unirsi al jihad in Siria, proprio adesso che la municipalità aveva risistemato una magnifica pista da skateboard nel loro quartiere. Il legame tra martirio e maternità Che ingratitudine! Come è possibile che questi giovani non abbiano veduto le loro aspirazioni più profonde realizzate lavorando per Coca-Cola, facendo dello skateboard o giocando nella squadra di calcio locale? Come mai il loro desiderio di eroicità, di contemplazione e di libertà non si è sentito soddisfatto dall’offerta così generosa di poter scegliere tra due piatti surgelati, guardare una serie tv americana o astenersi alle elezioni? E perché le loro speranze di pensiero e di amore non si sono realizzate vedendo tutti i progressi in corso, e cioè la crisi economica, il matrimonio gay e la legalizzazione dell’eutanasia? Perché era precisamente questo il dibattito che interessava il governo francese fino al giorno prima degli attentati: la République era tutta tesa verso un’altra grande conquista umana, l’ultima senza dubbio, e cioè il diritto di essere assistiti nel suicidio o essere finiti da un boia la cui delicatezza sia attestata da un titolo di studio in medicina. Mi spiego: i fratelli Kouachi e Coulibaly erano «perfettamente integrati», ma integrati al nulla, alla negazione di ogni slancio storico e spirituale, ed è per questo che alla fine si sono sottomessi a un islamismo che era non soltanto la reazione a tale vuoto, ma era anche in continuità con quel vuoto, con la sua logistica di sradicamento mondiale, di perdita della tradizione familiare, di miglioramento tecnico dei corpi per farne dei super-strumenti connessi a un dispositivo senz’anima. Un giovane non cerca soltanto ragioni per vivere, ma anche e soprattutto – giacché non possiamo vivere per sempre – ragioni per dare la propria vita. Ora, ci sono ancora in Europa ragioni per dare la propria vita? La libertà di espressione? Va bene! Ma cosa abbiamo di così importante da esprimere? Quale Buona Novella abbiamo da annunciare al mondo? Sapere se l’Europa sia ancora capace di portare una trascendenza che dia un senso alle nostre azioni – dico che questa è la questione più spirituale e per ciò stesso anche la più carnale. Non si tratta solo di dare la propria vita; si tratta anche di dare la vita. Curiosamente, o provvidenzialmente, nell’udienza del 7 gennaio, il giorno stesso dei primi attentati, papa Francesco indicava, citando un’omelia di Oscar Romero, il legame tra martirio e maternità, tra l’essere pronti a dare la propria vita e l’essere pronti a dare la vita. È un’evidenza innegabile : la nostra debolezza spirituale si ripercuote sulla demografia; che lo si voglia oppure no la fecondità biologica è sempre segno di una speranza vissuta (anche quando tale speranza è disordinata, come nel natalismo nazionalista o imperialista). L’insegnamento di De Gaulle Se si adotta un punto di vista totalmente darwinista, bisogna allora ammettere che il darwinismo non è un vantaggio selettivo. Credere che l’uomo sia il risultato mortale del casuale bricolage dell’evoluzione non incoraggia granché a fare figli. Meglio un gatto o un cagnolino. O forse uno o due piccoli sapiens sapiens, per inerzia, per convenzione sociale, alla fine non tanto come figli ma come giocattoli adatti a esercitare il proprio dispotismo e per distrarsi dall’angoscia (prima di aggravarla radicalmente). Il successo teorico del darwinismo conduce inevitabilmente al successo pratico dei fondamendalisti che negano tale teoria ma che, loro, fanno tanti figli. Un’amica islamologa, Annie Laurent, mi ha citato a questo proposito una frase illuminante: «Il parto è il jihad delle donne». Ciò che a suo tempo spinse il generale De Gaulle a concedere l’indipendenza all’Algeria fu precisamente la questione demografica. Mantenere l’Algeria francese con giustizia avrebbe voluto dire accordare la cittadinanza a tutti, ma essendo la democrazia francese sottoposta alla legge della maggioranza e dunque a quella della demografia, essa avrebbe finito con il sottomettersi alla legge coranica. Il 5 marzo 1959 De Gaulle confidava ad Alain Peyrefitte: «Lei crede che il corpo francese possa assorbire dieci milioni di musulmani che domani saranno venti milioni e dopodomani quaranta? Se facessimo l’integrazione, se tutti gli arabi e i berberi di Algeria fossero considerati francesi, come impedirgli di venire a stabilirsi in Francia metropolitana dove il tenore di vita è più elevato? Il mio paesino non si chiamerebbe più Colombey| | 18 febbraio 2015 | 11 È FACILE PROTESTARE CONTRO IL BURQA. QUELLE USANZE BARBARE UNITE A UN’IMMIGRAZIONE CHE COMPENSA LA DENATALITÀ EUROPEA CAPOVOLGERANNO LA NOSTRA CIVILTÀ les-Deux-Églises, ma Colombey-les-DeuxMosquées!». Certo, c’è una liberazione della donna di cui possiamo essere fieri, ma quando tale liberazione si risolve nella militanza contraccettiva e abortiva, e la maternità e la paternità sono concepite come pesi insopportabili per individui che hanno dimenticato di essere prima di tutto figli e figlie, tale liberazione non può che fare posto, dopo qualche generazione, al dominio numerico delle donne col burqa, perché le donne con la minigonna si riproducono molto di meno. È facile protestare: «Il burqa, che usanze barbare!». Quelle usanze barbare unite a un’immigrazione che compensa la denatalità europea capovolgeranno la nostra civiltà del futuro – cioè, di un futuro senza posterità. In fondo, i jihadisti commettono un grave errore strategico: provocan12 | 18 febbraio 2015 | | do reazioni indignate finiscono col rallentare l’islamizzazione dolce dell’Europa, quella che Michel Houellebecq presenta nel suo ultimo romanzo e che si realizza a causa della nostra doppia astenia religiosa e sessuale. A meno che la nostra insistenza nel dire che «non si devono fare associazioni indebite», nel ripetere che l’islam non c’entra niente con l’islamismo (mentre sia il presidente egiziano Al Sisi sia i Fratelli Musulmani ci dicono il contrario) e a colpevolizzarci del nostro passato coloniale – a meno che tutta questa confusione non ci consegni con ancor più grande quanto vana ossequiosità al processo in atto. C’è in ogni caso una vanità che dobbiamo smettere di avere ed è di credere che i movimenti islamisti siano movimenti pre-illuministi, barbari come dice- vo prima, e che diverranno moderati non appena scopriranno gli splendori del consumismo. In verità sono movimenti postilluministi. Essi sanno che le utopie umaniste che si erano sostituite alla fede religiosa sono crollate. E dunque ci si può chiedere con ragione se l’islam non sia il termine dialettico di un’Europa tecnoliberale che ha rifiutato le sue radici greco-latine e le sue ali giudaico-cristiane: e siccome questa Europa non può vivere troppo a lungo senza Dio e senza madri, ma come un bambino viziato non riesce a tornare da sua madre la Chiesa, essa acconsente finalmente a darsi a un monoteismo facile, dove il rapporto con la ricchezza è sdrammatizzato, dove la morale sessuale è più rilassata, dove la postmodernità hi-tech costruisce città radiose come quelle del Qatar. Dio e il capitalismo, le huri dell’harem e i mouse dei computer, perché non potrebbe essere questo l’ultimo compromesso, la vera fine della storia? Una cosa mi sembra certa: ciò che c’è di buono nel secolo dei Foto: Ansa Musulmani in preghiera all’esterno della moschea di Parigi COPERTINA PRIMALINEA | DA PARIGI MAURO ZANON Come ti svendo la sacra laïcité Un archivio online svela un fiume di finanziamenti pubblici alle moschee francesi. A favore di imam «tutto fuorché moderati». Legati ai Fratelli Musulmani Foto: Ansa I Lumi ormai non può più sussistere senza il Lume dei secoli. Ma riconosceremo che quella Luce è quella del Verbo fatto carne, del Dio fatto uomo, e cioè di una Divinità che non schiaccia l’umano, ma che lo accoglie nella sua libertà e nella sua debolezza? Questa è la domanda che pongo a voi alla fine: siete romani, ma avete ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia? Siete italiani, ma siete capaci di battervi per la Divina Commedia, o ne avrete vergogna, visto che Dante, nel XXVIII canto dell’Inferno, osa mettere Maometto nella nona bolgia dell’ottavo girone? Infine, siamo europei, ma siamo fieri della nostra bandiera con le sue dodici stelle? Ci ricordiamo ancora del senso di quelle dodici stelle, che rimandano all’Apocalisse di san Giovanni e alla fede di Schuman e De Gasperi? Bisogna rispondere, o siamo morti: per quale Europa siamo pronti a dare la vita? n Traduzione di Ugo Moschella, revisione di Rodolfo Casadei Observatoire de l’islamisation, che ha fondato nel 2007, è un archivio di dati, articoli, approfondimenti e reportage imprescindibile per chi vuole addentrarsi senza paletti ideologici nella realtà dell’islam contemporaneo. È la più grande riserva web di documenti in lingua francese dedicati agli avvenimenti rivelatori dell’avanzata dell’islam in Francia. La nascita di nuove moschee e “centri culturali islamici”, la proliferazione di madrase camuffate da istituti e scuole repubblicane, i veri dati sui flussi migratori che il sistema politico-mediatico preferisce non diramare, e numerose altre informazioni sulle varie personalità musulmane e correnti dell’islam in Francia trovano spazio all’interno di un sito che è consultato ogni mese da più di 80 mila visitatori unici. Oscurato dai media, quello di Joachim Véliocas è un lavoro giornalistico e di ricerca colossale, oltre che coraggioso, che, come si può leggere sulla pagina ufficiale, «viene svolto nel rispetto dei musulmani, legittimamente alla ricerca della fede, la cui maggioranza aspira a una convivenza pacifica». Véliocas ufficializza il debutto della sua indagine nel 2006, all’età di 25 anni, con la pubblicazione di un saggio, L’islamisation de la France (edizioni de Bouillon), che passa in rassegna tutte le associazioni musulmane e le correnti islamiste di Francia. Ma è quattro anni dopo che il suo nome comincia a circolare e a infastidire le alte sfere della politica. Ovvero quando dà alle stampe la prima edizione di Ces maires qui courtisent l’islam (Questi sindaci che corteggiano l’islam), un libro esplosivo che per la prima volta denuncia le relazioni torbide tra fior fiore di personalità politiche della sinistra e della destra francese e le associazione islamiche locali, soffermandosi soprattutto sull’opaco sistema di finanziamento delle moschee e dei non meglio precisati “centri culturali islamil suo ci”. Il libro, edito dall’indipendente Tatamis, nonostante il totale boicottaggio dei media (il solo a parlarne brevemente nel suo blog personale è stato Ivan Rioufol del Figaro), è andato a ruba: più di 10 mila copie vendute. Un successo che ha convinto Véliocas a pubblicarne una seconda edizione, uscita a gennaio di quest’anno con l’aggiunta di otto nuovi capitoli. «Con le elezioni municipali dello scorso anno, sono stati eletti molti nuovi sindaci, e in cinque anni numerosi altri progetti di moschee, finanziati dalle casse dei comuni, sono stati avviati. Un’edizione per rendere attuali i capitoli esistenti e aggiungere i nuovi aggiornamenti era indispensabile», dice a Tempi Véliocas, ricordandoci che prima di lui altri avevano abbordato la questione dell’islamizzazione, ma non era ancora stato realizzato uno studio circostanziato su di essa. «La questione dell’islamizzazione della Francia attraverso la demografia, la comparsa di rivendicazioni e la moltiplicazione di segni materiali come le moschee e gli abiti, era già stata posta negli anni Ottanta dal sociologo Jacques Ellul, e persino dall’ex ministro dell’Interno Michel Poniatowski. I padri della scienza demografica in Francia, Jacques Dupâquier e Alfred Sauvy avevano già realizzato delle proiezioni che annunciavano il processo di sostituzione di popolazione. Tuttavia sono stato il primo a realizzare un quadro dettagliato delle federazioni di moschee in Francia, i cui predicatori e imam sono tutto fuorché moderati, e a evidenziare le responsabilità dei politici che accompagnano questo processo». La “sous-médiatisation” di cui il suo saggio è stato vittima non lo sorprende affatto: «Non faccio parte del serraglio mediatico, non sono ricercatore al Cnrs (Centre national de recherche scientifique) o a Science-Po, dunque non sono “presentabile” per la stampa. Tuttavia, noto divertito che otto anni dopo di | | 18 febbraio 2015 | 13 Dove si trovano le moschee finanziate dallo Stato francese legate ad organizzazioni internazionali BELGIO Lille Roubaix Escaudain GERMANIA Beauvais (2016) Caen Creil Reims Pontoise Tremblay Parigi Dreux Puteaux Massy Evry Corbeil-Essonne Gennevilliers Argenteuil Chateaudun Montargis Nantes (moschea Assalam) Mantes-la-Jolie Cergy Metz Toul Nancy Epinal Mulhouse Blois Tours SVIZZERA Poitiers Rete delle grandi moschee legate all’Uoif (Union des organisations islamiques de France), antenna francese dei Fratelli Musulmani Clermont Ferrand Grandi moschee legate all’Arabia Saudita Grandi moschee legate al Marocco Villeurbane Annecy Vénissieux Chambéry Grandi moschee legate all’Algeria Principali moschee legate all’associazione islamica turca Millî Görüs Strasburgo Grenoble Bordeaux ITALIA Altre moschee legate alla Dibit, la filiale tedeca dell’Ente per gli affari religiosi dello Stato turco Dyanet Tolosa Nizza Salon de Provence Cannes Marsiglia SPAGNA les Kepel (professore a Science-Po a Parigi) afferma che i “segni di islamizzazione” aumentano in Francia e che c’è un’“estensione del dominio dell’halal” secondo le sue proprie parole. Il successo del mio libro si spiega perché il popolo francese ha preso coscienza, nonostante le intimidazioni, di ciò che sta accadendo in Francia». La politica degli opportunisti Pur essendo in totale contraddizione con la tanto osannata laïcité e la legge del 1905 che la costituzionalizza, i finanziamenti diretti delle moschee di cui si parla all’interno di Ces maires qui courtisent l’islam, non sono rari. È il caso, ad esempio, della moschea di Tours, nella Loira, 14 | 18 febbraio 2015 | | dove il comune e la regione hanno appena promesso 2,5 milioni di euro per la finalizzazione del progetto. «Ma i casi più frequenti – spiega l’autore – riguardano la messa a disposizione dei terreni del comune per innalzare moschee in cambio di affitti irrisori, pratica generalizzata in tutte le grandi città, ma anche in quelle di medie dimensioni. La moschea di Cergy, uno dei casi più eclatanti, è stata costruita su un terreno di 2 mila metri quadrati, offerto dal comune socialista in cambio di un affitto pari a 728,50 euro mensili, vale a dire una miseria». Nel libro, sul banco degli imputati, finiscono anche l’attuale primo ministro Manuel Valls, ex sindaco di Evry, e Alain Juppé, tra i favoriti per le presidenziali del 2017 nonché primo cittadino di Bordeaux dal 2006. Eppure non passa giorno senza che i suddetti parlino della laicità come «valeur sacrée» della Repubblica francese. «Sono solo degli opportunisti», attacca Véliocas. «Quando Manuel Valls era sindaco di Evry, città con una forte concentrazione di popolazione di origine immigrata, si era pronunciato in un libro a favore del finanziamento pubblico delle moschee attraverso la riscrittura della legge sulla laicità del 1905. Ora che i tre quarti dei francesi, secondo gli ultimi sondaggi, temono la progressione dell’islam, si adatta e modula il suo discorso. Alain Juppé, dal canto suo, fa acquistare dal suo comune un ter- COPERTINA PRIMALINEA i SOLDI non provengono solo dalLA francIA MA ANCHE DA FONDI stranieri. «Visti gli interessi economici dI PARIGI in Qatar e in Arabia Saudita, così come i loro investimenti in Francia, è mal accoltA ogni inquietudine circa questi finanziamenti» A go A reno per affittarlo in seguito alla futura grande moschea di Bordeaux, diretta da Tareq Oubrou, un imam che ha confessato di essere un adepto dei Fratelli Musulmani e che proprio da Juppé è stato insignito del grado di cavaliere della Legion d’onore». Tareq Oubrou è anche membro dell’Amg (Association des musulmans de la Gironde), associazione vicina all’Union des organisations islamiques de France (Uoif), la quale, oltre a essere una delle più importanti federazioni islamiche del paese, è nota per essere l’antenna francese dei Fratelli Musulmani, nonostante nei media si preferisca omettere questa informazione (in un’intervista al quotidiano Le Parisien, Lhaj Thami Breze, ex presidente dell’Uoif, aveva scandito con orgoglio il motto dei Fratelli Musulmani: «Il Corano è la nostra Costituzione»). Luoghi di culto e scuole Ma qual è l’influenza dell’Uoif in Francia? «Su 2.400 moschee, l’Uoif ne controlla 400, e non si tratta di piccole sale di preghiera, ma delle grandi moschee di Mulhouse, Caen, Nantes, e presto di Bordeaux», spiega a Tempi Véliocas. «Le scuole medie-licei privati musulmani che hanno aperto in questi ultimi anni sono stati creati da questa organizzazione (come il Lycée Averroès di Lille, in questi giorni al centro della tormenta in ragione delle dimissioni di un professore che ha denunciato l’ideologia islamista che viene propagata surrettiziamente dai responsabili del liceo, eretto per volere dell’imam Amar Lasfar, col sostegno del sindaco socialista Martine Aubry, ndr). Due delle quattro scuole di imam presenti in Francia sono controllate dall’Uoif. I predicatori e gli imam usciti da queste scuole non si accontentano di predicare nelle loro moschee ma intervengono nelle moschee non affiliate e spesso fanno carriera nelle moschee appartenenti a delle associazioni locali (come a Cannes e a Cergy ad esempio). Alla fine, il miglior test di popolarità resta il loro grande congresso annuale al Parc des expositions del Bourget dove più di centomila musulmani convergono ogni anno. I congressi regionali di Lille o Nantes riuniscono quasi 10 mila persone, nessun’altra federazione di moschee ne muove così tante. Bisogna anche ricordare che le star dell’islam mondiale vengono a questi congressi, come gli sceicchi Qaradawi, Higazi, Abdelkafi (Egitto), Suwaidan (Kuweit), al Arifi (Arabia Saudita)». Come sottolineato in precedenza, è sui controversi sistemi di finanziamento alle moschee che si concentra buona parte dell’inchiesta di Véliocas, sulle piogge di denaro pubblico che senza il minimo controllo innaffiano le comunità islamiche locali, sovvenzionando i loro luoghi di culto e le loro attività. Sotto accusa finiscono anche quei deputati che utilizzano le loro “réserve parlementaire” (fondi sbloccati dallo Stato a disposizione dei parlamentari dell’Assemblea nazionale e del Senato per finanziare le associazioni e le collettività della loro circoscrizione, ndr) per sovvenzionare la costruzione di moschee: «C’è il caso dell’ex deputato Ump Chantal Brunel, vicino all’ex primo ministro François Fillon, che ha perso il suo scranno nel 2012, il quale si vantava in un’intervista a Le Parisien di utilizzare la sua réserve per la costruzione di una moschea, o del deputato Ump del dipartimento del Nord Thierry Lazaro che ha donato parte della sua liquidità al progetto della moschea di Ostricourt. Il caso l’inchiesta di Véliocas si concentra sulle piogge di denaro pubblico che senza controllo innaffiano le comunità islamiche e TUTTE LE LORO INIZIATIVE più eloquente è ad ogni modo quello del responsabile per il web della campagna elettorale di François Hollande, il deputato Ps Vincent Feltesse, che ha promesso 50 mila euro per il progetto di moschea a Bordeaux in piena campagna per le municipali». Ambiguità bipartisan Ma i finanziamenti non provengono solo dal territorio francese: «La Fondation des oeuvres de l’islam, creata da Dominique de Villepin quando era primo ministro, raccoglie i fondi stranieri per redistribuirli alle moschee», spiega Véliocas. «Visti gli interessi economici della Francia in Qatar e in Arabia Saudita, così come i loro investimenti in Francia, è mal accolto ogni sorta di inquietudine circa questi finanziamenti. Il ministro degli Esteri socialista, Laurent Fabius, e Nicolas Sarkozy hanno recentemente negato che il Qatar finanzia i jihadisti, nonostante il rapporto del Tesoro americano diramato alla fine del 2014 lo certifichi. E bisogna ricordare che Sarkozy tiene conferenze profumatamente remunerate per conto delle banche qatariote». Esistono soluzioni a breve termine per frenare l’islamizzazione? «Decadenza della nazionalità per i delinquenti di origine straniera o binazionali, fine delle prestazioni sociali agli stranieri che non lavorano, ricongiungimento familiare nei rispettivi paesi d’origine, espulsioni di gruppo dei clandestini. Tuttavia – evidenzia Véliocas – tutto ciò è proibito dalle convenzioni europee. Persino Sarkozy ha sospeso le espulsioni dei delinquenti stranieri che erano previste prima del suo approdo al ministero dell’Interno nel 2005. Temo che questa islamizzazione sia irreversibile in molte zone. Per arginare il fenomeno, servirebbe una destra che sia veramente convinta del suo credo politico, perché con Alain Juppé e Nicolas Sarkozy sembra di avere i candidati dei Fratelli Musulmani». n | | 18 febbraio 2015 | 15 VERSO LA “LEGA DELLE LIBERTÀ”? INTERNI IL DISEGNO POLITICO DELL’ALTRO MATTEO C’è molto più del bisogno di voti dietro lo sbarco di Salvini al Centro-Sud | DI VINCENZO SOFO* M atteo Salvini è sbarcato al Centro- Sud. Quella che molti liquidavano come una boutade elettorale per elemosinare al Meridione la manciata di voti necessaria a sopravvivere alla tornata elettorale europea, per un movimento barcollante dopo l’era bossiana, si manifesta ora invece come un preciso progetto politico. Un progetto a primo impatto di una semplicità disarmante: una sigla quasi banale, “Noi con Salvini”, poche parole d’ordine, cinque punti programmatici. L’altro Matteo, da buon animale politico, sa che per attecchire in fretta nel popolo deve essere facilmente comprensibile. Eppure dietro gli slogan immediati si nasconde un percorso culturale molto più profondo, iniziato ancor prima di diventare leader della Lega Nord tramite un confronto con intellettuali del calibro di Pietrangelo Buttafuoco, Alain de Benoist, Massimo Fini, il giovane Diego Fusaro e via dicendo. Un approccio nato dall’intenzione, spiega Fabrizio Fratus, sociologo e coordinatore culturale de “Il Talebano”, il think tank promotore di questi appuntamenti, «di superare vecchie dicotomie per tentare di trovare una nuova sintesi ideologica di pensieri volti a costruire una proposta politica di rivalorizzazione della comunità, dell’identità, della tradizione, dell’essere umano». Anche qui, non occasioni spot ma un modus operandi ben definito, tanto che di recente il “Capitano” chiamava a raccolta questi intellettuali in una sorta di leopolda identitaria, ben diversa dalla solita passerella di politici e politicanti. Salvini ha dunque deciso di ripartire dalle idee. E dai valori. In questo con- sere un punto di riferimento interno per il popolo cattolico e in generale per chi non vuol cedere alla deriva materialista e relativista di questa società. Non proprio un Front National Qui si trova la chiave del progetto salviniano, che punta a farsi rappresentante di quella maggioranza di italiani dallo spirito conservatore rispetto alla storia, alla cultura e alla tradizione della propria terra. Maggioranza molto più consistente di quanto appaia, motivo per cui – ci spiega Buttafuoco – «il progetto di Salvini sarà qualcosa di un po’ diverso dalla riedizione in salsa italiana del Front National. Perché se in Francia si può far leva sul forte patriottismo come comune denominatore, la vena viva per far scattare il popolo italiano va ricercata in ambiti diversi, a partire proprio dal forte senso della famiIL SUO OBIETTIVO? FARSI RAPPRESENTANTE glia che pervade soprattutto il Meridione». DI QUELLA MAGGIORANZA DI ITALIANI Infine, le alleanze. DALLO SPIRITO CONSERVATORE RISPETTO A Da una parte il patto soSTORIA, CULTURA E TRADIZIONE DEL PAESE. vranista europeo con Marine Le Pen, dall’altra A PARTIRE DAL SENSO DELLA FAMIGLIA l’intenzione di diventatesto si inserisce la posizione vigorosa as- re pivot della rifondazione di quello che sunta dalla Lega in difesa della famiglia, fu il centrodestra e che ora è un ammasche ha trovato eccellente sponda nel go- so di cocci sconnessi. L’ultima proposta è vernatore lombardo Roberto Maroni, il arrivata dal Cav. in persona: una Lega delquale, dopo aver organizzato – insieme le Libertà, nata dalla decisione di Berluall’assessore alle Culture Cristina Cappel- sconi di tornare all’opposizione rispetto lini e al consigliere regionale Massimilia- a Renzi, che denota come il gioco tra cane no Romeo, entrambi del Carroccio – quel e gatto si sia ormai invertito: a rincorrere chiacchieratissimo convegno dal titolo ora non è certo Salvini. Che, da buon ani“Difendere la famiglia per difendere la male politico, punta ad aggregare il pocomunità” che sta scatenando eventi re- polo del centrodestra, non i suoi politici. plica in tutta la Penisola, si candida ad es *direttore de Il Talebano | | 18 febbraio 2015 | 17 ESTERI ULTIMA CHANCE PER LA PACE Una guerra di importazione Dopo un anno di crisi ucraina, il patriottismo di piazza Maidan sembra scomparso. E mentre l’Europa tenta di recuperare la via diplomatica con la Russia, Obama non perde il vizietto di far combattere gli altri per i propri interessi | DI RODOLFO CASADEI ESTERI ULTIMA CHANCE PER LA PACE E al dodicesimo mese di crisi ucraina fra Russia e Occidente, gli europei della vecchia Europa cominciarono a sentire aria di fregatura. Perché va bene scandalizzarsi per le infondate accuse russe di nazismo e fascismo al governo di Kiev salito al potere dopo la fuga di Yanukovich, ma quando il primo ministro Arseniy Yatsenyuk, il protetto del viceministro degli Esteri americano Victoria Nuland, va alla tivù tedesca Ard e dice: «Tutti ci ricordiamo bene l’invasione dell’Ucraina e della Germania da parte dell’Unione Sovietica, dobbiamo impedire che la cosa si ripeta», è difficile non trasecolare e cominciare a chiedersi cosa frulla nella testa dei naufraghi dell’impero sovietico che stiamo issando a bordo del vascello dell’Unione Europea e, domani, della Nato. Perché va bene denunciare le forniture di armi russe ai ribelli del Donbass e la presenza di migliaia di militari di Mosca al loro fianco, ma quando – secondo indiscrezioni della tedesca Bild – in margine al convegno di Monaco sulla sicurezza i delegati americani si riuniscono sotto la guida della Nuland (quella che ha promosso la carriera di Yatsenyuk) e danno della “disfattista” ad Angela Merkel perché si dichiara contraria a forniture di armi straniere all’esercito ucraino, definiscono “Moscow bullshit” (stronzata moscovita) la proposta putiniana discussa con la Merkel e Hollande e il senatore John McCain paragona l’iniziativa di pace franco-tedesca all’accordo di Monaco del 1938 fra Chamberlain e Hitler e scandisce che «la storia ci mostra che i dittatori prendono sempre di più se li si lascia agire», un brivido corre improvviso lungo le schiene europee. E vengono in mente il Dottor Stranamore e l’abitudine americana invalsa in epoca obamiana di far combattere agli altri le guerre che interessano agli Stati Uniti: dalla Libia all’Iraq settentrionale, dalla Siria all’Ucraina, gli americani ci mettono soldi e armi col contagocce, gli altri la carne da cannone. E ancora, perché non c’è dubbio che la mitologia ieri sovietica e oggi russa intorno alla Seconda Guerra mondiale è funzionale all’autoconservazione del sistema e che un approccio autocritico agli ultimi 90 anni di storia ancora manca per lo stesso motivo, ma quando i polacchi agiscono in modo da non invitare personalmente Vladimir Putin alle cerimonie per il 70esimo anniversario della liberazione di Auschwitz, e il ministro degli Esteri polacco Grzegorz Schetyna dichiara che non bisogna preoccupar- 20 | 18 febbraio 2015 | | si troppo della mancata partecipazione del capo di Stato russo, perché in realtà la liberazione di Auschwitz è merito dei soldati ucraini più che dell’Armata Rossa, allora ci si rende conto che la manipolazione della storia è uno sport diffuso in tutta l’Europa orientale e che i polacchi e i paesi baltici vedono nell’Unione Europea non solo l’ascensore politico ed economico che gli sta permettendo di salire fino dove non erano mai saliti, ma anche il ragazzo nerboruto e protettivo sotto la cui ala ci si potrà permettere di restituire qualcuno dei pugni presi dal bullo del quartiere nel corso di una lunga storia. Solo che il ragazzone Ue non ha mai pensato a questa prospettiva quando ha deciso di prendere nella sua squadra polacchi e lituani, rumeni ed estoni. A un anno dall’inizio della crisi ucraina i governi della vecchia Europa (Germania, Francia e Italia sopra tutti) sentono odore di fregatura. E mentre la Merkel e Hollande cercano di trovare una soluzione pacifica con la Russia, Obama minaccia di «inviare armi difensive letali se i tentativi diplomatici dovessero fallire» Quando si votava coi piedi Gli europei della vecchia Europa (Germania, Francia e Italia sopra tutti) sentono odore di fregatura e sono sempre più perplessi. Ai tempi della Guerra Fredda si diceva che per capire quale dei due sistemi fosse il migliore bastava guardare i flussi dei profughi: decine di migliaia fuggivano da Oriente verso Occidente, pochissimi viaggiavano in senso contrario e riparavano a Mosca e nei paesi satelliti; la gente che non poteva votare nelle cabine elettorali votava coi piedi, si diceva. A partire dal 6 aprile dell’anno scorso, data di inizio degli scontri armati nell’Ucraina sudÈ l’abitudine DELL’america orientale, secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiaDI obama: dalla Libia ti si sono registrati 980 mila all’Iraq, dalla Siria sfollati interni, cioè cittadini del Donbass e dintorni che si all’Ucraina, gli STATI sono trasferiti in altre regioUNITI ci mettono soldi e ni sotto il controllo del governo di Kiev, e 600 mila profuarmi col contagocce, gli ghi che hanno cercato riparo all’estero, quasi tutti nel teraltri la carne da cannone ritorio della Federazione Russa (ma qualcuno anche in Bielorussia, si al destino del famoso trattato di libePolonia, Ungheria, Romania e Moldova). ro scambio fra Unione Europea ed UcraiSecondo il Servizio Migrazione russo i cit- na, quello che ha fatto andare su tutte le tadini ucraini che si sono rifugiati in Rus- furie la Russia perché destinato a sottrarsia sarebbero di più, almeno 800 mila. In re a Mosca tutte le sue quote di export entrambi i casi si vede bene che i piedi dei verso il vicino: Poroshenko ha chiesto civili non votano tutti nello stesso modo, che, in una fase iniziale, funzioni solo come invece accadrebbe se si trattasse dei per quanto riguarda l’export di merci ucraine verso l’Unione Europea, e ha fatpiedi degli ucraini di Galizia. Gli europei della vecchia Europa to passare ciò come un modo di tenere sono sempre più perplessi perché lo spi- tranquilli i russi. Bruxelles, grazie anche rito europeista e patriottico dell’Euro- alle pressioni americane, ha accettato di maidan sembra essersi spento e aver rinviare la piena entrata in funzione del lasciato il posto all’opportunismo più trattato al 2016. Questo, sommato alle bieco, tratto caratteristico della socie- sanzioni commerciali europee contro tà al tempo del socialismo reale. Si pen- Mosca, ha portato a una situazione che Foto: P. Souza/White House, Ansa GLI AMERICANI DEFINISCONO “MOSCOW BULLSHIT” (STRONZATA MOSCOVITA) LA PROPOSTA DI PUTIN DISCUSSA CON LA MERKEL E HOLLANDE. IL SENATORE MCCAIN PARAGONA L’INIZIATIVA DI PACE FRANCO-TEDESCA ALL’ACCORDO DI MONACO DEL 1938 FRA CHAMBERLAIN E HITLER Dario Quintavalle su Limes ha descritto così: «Nei rapporti coi potenti vicini si fa la stessa politica del piede in due staffe di Yanukovich: gli ucraini continuano a esportare in Russia, ma possono orientarsi anche sull’Europa, visto che i dazi funzionano solo in un senso, a protezione dei prodotti nazionali. Molti a Bruxelles cominciano a chiedersi se l’Ucraina non stia manipolando l’Unione Europea. Il commercio con la Russia, infatti, non si limita al gas e al carbone, di cui il paese ha disperatamente bisogno per non morire di freddo: come ha scoperto il Washington Post, le fabbriche di armi hanno continuato a esportare in Russia anche durante la guerra, mentre il paese domandava forniture di materiale bellico all’Occidente. E gli agricoltori hanno approfittato dell’embargo ai prodotti agricoli europei (soprattutto italiani) per rifornire i mercati russi». Il bluff occidentale Su tutto questo è planata la proposta americana di fornire armi letali all’esercito ucraino, con l’obiettivo di alzare i costi umani e politici dell’aggressione russa, così da costringere Putin a scendere a più miti consigli. Analisti statunitensi hanno evidenziato l’irrazionalità della proposizione: Eugen Rumer del Natio- nal Intelligence Council, Thomas Graham del National Security Council, Fiona Hill e Clifford Haggy della Brookings Institution e il rapporto ad hoc della Stratfor Global Intelligence concludono che un’escalation militare da parte occidentale giocherebbe solo a favore della Russia, che risponderebbe con una controescalation che scoprirebbe il bluff occidentale. Gli americani farebbero volentieri una guerra per procura a Putin per interposta Ue, ma gli europei non sono disponibili, tranne polacchi, ucraini e baltici. Nell’interesse della solidarietà occidentale, oltre che della vita dei residenti del Donbass, il conflitto va congelato. n | | 18 febbraio 2015 | 21 boris godunov il rifiuto occidentale della dipendenza originaria L’orribile vittoria di Antigone non ci sollevi dal compito di essere poveramente padri | DI renato farina L a sparizione dei padri è un fenomeno che dovrebbe mobilita- re la lega per la protezione degli animali, visto che gli uomini sono animali. La cultura dello scarto, denunciata da Francesco, ha la sua espressione massima in questo dato ormai misurabile come la diminuzione delle tigri del Bengala. Proprio Papa Bergoglio, pur di suscitare attenzione sul fenomeno, ha invocato che se c’è ancora la paternità batta un colpo, magari anche sul sedere dei bambini, con una «sculacciata». Scandalo, reprimende, non si fa, non si deve. Oramai i padri non sono nemmeno odiati. Non c’è bisogno di ucciderli. Non esistono. Non devono esistere. E i padri, invece di essere obbediti, hanno obbedito a questo imperativo: di non esistere più come padri. Guai a sculacciare. In senso molto alto tutto questo è frutto del prevalere di Antigone. Ella è la ragazza in cui a vincere sono le ragioni del cuore, la legge interiore che viene prima di quelle scritte. E perciò si pone contro Creonte, lo zio e re. È figlia di Edipo, Antigone, ma è la prima e unica creatura al mondo a non avere il complesso di Edipo, a non avere il problema del rapporto con il padre. Queste idee non sono mie, non sono così profondo. Me le affidò in un’intervista per Il Sabato Giacomo B. Contri, certo un genio. Disse – ed era il 1991 –: «Avere il complesso di Edipo vuol dire invece essere strutturalmente figli. Antigone è la prima figura della storia dell’umanità che non è edipicamente centrata sul padre. Antigone non è una figlia!». La “fraternité” della rivoluzione francese e dell’illuminismo è questa esaltazione dell’essere fratelli, senza che questo sia conseguenza dell’essere figli. Questo che sembrava nel 1991 un paradosso gustoso, troppo sottile per palesarsi nella vita quotidiana, si manifesta oggi come nichilismo: non importa in alcun modo avere padre o madre, basta esistere. Non è necessario in nessun senso avere un padre, tant’è vero che, come hanno stabilito i giudici di Londra, è legale avere tre genitori, e guai a specificare chi sia padre o madre dei tre. Insomma, la post-modernità ha portato a compimento nel campo giuridico e dell’ingegneria genetica quello che nella modernità illuminista pareva un dato sentimentale. Chi non ha amato il coraggio di Antigone? Era la pretesa di esistere a pre- «antigone è la prima figura della storia dell’umanità che non è edipicamente centrata sul padre. Antigone non è una figlia!». questo che disse contri nel 1991 si manifesta oggi come nichilismo. a londra È legale avere tre genitori e in italia solo 9 ragazzi su 100 indicano il padre come figura di riferimento scindere da qualsiasi legame col padre. Il rifiuto della dipendenza originaria. E questo l’ha fatta essere un’eroina criminale. Oggi orribilmente vittoriosa in occidente. C’è un riflesso sociologico nell’Italia di oggi di questa assenza paterna. L’Istituto Giuseppe Toniolo (che è l’Ente fondatore dell’Università Cattolica) ha pubblicato pochi giorni fa La condizione giovanile in Italia presso il Mulino (19 euro). C’è un capitolo che riguarda “Le figure di riferimento dei giovani in Italia”, curato dalla professoressa Rita Bichi. La domanda, rivolta ad un campione vastissimo di giovani tra i 19 e i 31 anni, era questa: «Se dovessi pensare a una figura di riferimento nella tua vita, quella con cui ti confronti più spesso per parlare di te, chi diresti?». Il padre è indicato da 9 ragazzi su 100. La madre da 33. Se poi si va più nello specifico del sesso e delle differenti appartenenze regionali, viene fuori questo. Che solo 6 giovani donne su 100 indicano il padre. Stupisce la differenza territoriale: chi ha maggior legame con la figura paterna è il ragazzo settentrionale con circa l’11 per cento. Al Centro siamo al 6,5, e al Sud l’8 per cento. Io dico però questo: sarebbe un guaio dare la colpa alla deriva culturale nichilista. In realtà esiste sì il trascinamento devastante del pensiero collettivo ma c’è la libertà. C’è la possibilità di essere umilmente, poveramente padri. E per i figli di accorgersene. | | 18 febbraio 2015 | 23 CULTURA | VITA DI CLAUSURA DI LUIGI AMICONE Rinchiuse in un mondo in fiamme «Oggi si fa di tutto per estinguere la presenza di Cristo. Ma per esserci bisogna esserci, altrimenti si rischia di addormentare la ragione». Visita alle carmelitane scalze di Bologna. Donne abituate a «percepire l’eterno dentro l’istante effimero» S Maria Carmela del Volto di Cristo va in città per una commessa, va di fretta, apre la porta del convento e ci sospinge dentro svelta svelta. «Prego, si accomodi». La riacciuffiamo mentre svicola, «scusi sorella, da quanto tempo è in convento»? «Dal 1956». Ma allora lei c’era… «Sì, c’ero – sorride Carmela, come la bambina di Halloween che fa toc toc, “dolcetto o scherzetto” – ma prego, vada in parlatorio». Idioma carcerario. “Parlatorio”. In effetti, quella del carmelo è una vita segregata, dove tutto gira al ritmo della regola. Nel caso, quella di santa Teresa D’Avila, solo un po’ alleggerita da un digiuno più parco (ma sono sempre quei begli otto mesi l’anno) e dalla sveglia alle 5.30 invece che alle 4.30. Dopo di che, il ruolino della monaca è il seguente: alle 6 orazione silenziosa, 7 lodi, Messa, recita dell’ora terza, studio fino alle 11.30. Quindi, ora sesta e poi pranzo in silenzio mentre una sorella legge brani biblici, documenti dell’ordine o del magistero della Chiesa. Segue ora di ricreazione (12.30-13.30) dove «si sta insieme, si parla, si lavora, si leggono giornali. E il quotidiano sempre». Finita la ricreazione, «spazio eremitico di letture spirituali perché la nostra preghiera abbia nutrimento», alle 15.15 recita dell’ora 24 uor | 18 febbraio 2015 | | nona. Segue studio e dialogo comunitario. Alle 17.30 vespri. Poi, un’altra ora di orazione in silenzio. Cena alle 19 e ricreazione fino alle 20.30. «L’equilibrio tra orazione e ricreazione è voluto da santa Teresa. E questo – diceva la fondatrice – perché la preghiera trovi verifica nei rapporti fraterni. “Per disingannarci a vicenda”». Compieta alle 20.20 e alle 21.15, ufficio delle letture. Infine, “grande silenzio”. Cioè, non si parla fino al mattino seguente. E per le emergenze come fate? «Non è necessario infrangere il silenzio. Basta scambiarsi un biglietto». Niente civetterie dietro la grata. Sebbene il convento sia stato al centro di uno storico scoop. Solo quattro anni dopo la nascita della televisione italiana, fu visitato niente meno che da Sergio Zavoli. Il mito fondativo della tv democratica. Giornalista, saggista, scrittore, affabulatore, inventore di grandi format televisivi, grande navigatore in Rai di cui è stato direttore e, infine, presidente della Commissione di vigilanza, senatore Ds-Pd, presidente di varie commissioni in Laticlavio. È lui, dicono le cronache, che «regalava al mondo radiofonico il suo più grande capolavoro», il 24 marzo 1958, introducendo un microfono e registrando proprio in questa clausura di via Siepelun- | | 18 febbraio 2015 | 25 CULTURA VITA DI CLAUSURA ga 51 a Bologna, una lunga intervista a “Sua Reverenza” la sottosuperiora e a tre sue consorelle. Mai visto. Era la pirma volta che succedeva in Italia. Tornando oggi in quel carmelo bolognese, la prima cosa che ti fanno capire le sue ospiti, pur senza dire una parola (se non, «troppo rumore») è: forget it. Lascia perdere. «Piuttosto, perché è qui?». Riavvolgo il film e mi presento. Leggendo un libro mi sono imbattuto nella citazione dell’intervista di Zavoli. Che non conoscevo e ho ripescato su Youtube. In effetti fa una certa impressione. «Lei sa che quelle tre consorelle sono ormai in Cielo. Dunque, cosa vuole da noi?». Dunque, cominciamo con il Luigi Giussani che ci ha condotti qui. Leggo il passo che vi riguarda, In Cammino, Rizzoli Bur, 2014, pagina 132: «Mi ricordo tanti anni fa l’intervista radiofonica… Sentire le risposte di quella ragazza fu una sorpresa: vibravano di una saggezza stupefacente. Da che cosa le veniva? Dall’abitudine a percepire l’eterno dentro l’istante effimero e ad abbracciar le cose tutte insie- costituisce l’umanità nelle sue gioie, nei suoi dolori, nei suoi desideri, nelle sue passioni. Anche qui c’è “il tutto”. E questo crediamo possa avere un riverbero nella società, anche se noi non la viviamo». Suor Maria Elisa: «Lo scopo della nostra vita è Cristo. E queste sono le conseguenze come ha detto suor Teresa Benedetta. Nessuna di noi si è mossa per vivere nel microcosmo. Ci siamo mosse per il Signore Gesù. Chi in un modo chi nell’altro. Chi da un posto chi da un altro». Come fa un posto così a sussistere? Suor Anna Grazia della Madre di Dio, priora, in convento dal 1986, originaria di Taranto: «Questo rimanda senz’altro a qualcosa che non viene dalle forze e dalle capacità umane. È opera del Signore che ci sia una possibilità umana di vivere così con Lui, per Lui, chiamate da Lui. Poiché è Lui che ci ha afferrate e ci ha condotte nonostante le nostre resistenze – parlo personalmente – le nostre tergiversazioni che sono durate un bel po’, le nostre lotte con Lui. Però alla fine c’è stata questa pacifica – tra virgolette – amoro- «chI viene da noi è gente sola, non ha punti d’appoggio. non HA più il legame su cui può CONTARE. Le famiglie si sono sgretolate» me, perché non si può giudicare neanche d’un capello se non dalla totalità dell’organismo a cui si appartiene». Suor Maria Elisa della Trinità, sottopriora, in convento dal 1985, originaria di Bellano: «Questa interpretazione della vita contemplativa è esatta. Perché effettivamente la distanza che si frapppne tra noi e la vita ordinaria – ammesso che ordinario voglia dire qualcosa – ci permette di avere uno sguardo sintetico e nello stesso tempo non distaccato, inserito “in una totalità” come dice lui. Penso sia una conseguenza del vivere per il Signore in un ambiente circoscritto, limitato, ma non piccolo, non meschino». Suor Teresa Benedetta della Trasfigurazione, in convento dal 1998, originaria di Foggia: «Il nostro è un piccolo mondo, ma dove è presente tutto quello che 26 | 18 febbraio 2015 | | sa – senza virgolette – resa a Lui. Le sembrerà un contrasto, ma la vocazione contemplativa è una vocazione missionaria. È un esodo, ma per il mondo. Come scrisse santa Teresa, “il mondo è in fiamme”. Lo era allora. Lo è oggi. Non è una ricerca estetica la nostra. Non è per una bellezza e santità personale. Ma è proprio in comunione con tutti i fratelli. Papa Francesco insiste molto sulla “Chiesa in uscita” e mi pare che lui stesso abbia detto in una occasione, “sì, anche le suore di clausura sono in uscita” perché la nostra preghiera abbraccia tutta l’umanità. Alla fine siamo tutti servi inutili. Dio compia quest’opera». Quante siete in convento? «Sedici. Possiamo essere al massimo ventuno. Santa Teresa inizialmente aveva previsto conventi da tredici, per questa sua idea del “piccolo collegio di Cristo” in modo che ci si possa conoscere e vivere davvero fraternamente il Vangelo. Poi ha alzato il limite perché tredici sono poche, si incomincia a invecchiare…». «Vivere fraternamente il Vangelo». Come suona strano qua fuori, viene in mente Eliot, «quale vita è la vostra se non avete più vita in comune»? Suor Maria Elisa: «L’individualismo è un virus che ha aggredito il mondo, penso. Si chiamava “egoismo”, una volta. O “egocentrismo”. Effettivamente il Vangelo è fatto per l’espansione. Per uscire da se stessi. Ma non da soli. Mai da soli. E anche i primi eremiti sono sempre partiti da un momento di comunione con la Chiesa. Partiti per essere un fermento, il sale. Ma per una pasta. Non per essere incorruttibili essi stessi. La fraternità, anche all’interno del Carmelo, è certamente il tema da riscoprire. Perché è ciò che la Chiesa ci chiede di vivere intensamente oggi. La Chiesa e penso lo Spirito Santo, perché poi la Chiesa si esprime per la forza dello Spirito. Fraternità che magari nei secoli precedenti era stata – non dico oscurata perché se si leggono le antiche cronache dei nostri monasteri si coglie una vita fraterna e semplice proprio anche per il fatto di essere in numero ridotto – ma forse era stata un po’ sommersa da quello spirito penitenziale e di ascesi dura della Controriforma, che come impostazione di fondo della Chiesa intera è durata fin quasi alla metà del 1900. Adesso la Chiesa ci dice che l’ascesi vera è vivere intensamente la relazione fraterna. La società ne ha tanto bisogno. La gente che viene da noi è gente sola che non ha punti di appoggio. Le famiglie si sono sgretolate, non c’è più il legame forte su cui tu puoi sempre contare anche quando sei di cattivo umore o quando ti trovi in cattive acque». Eh sì, come dice santa Teresa «il mondo è in fiamme». Qui le teste ancora non cadono, ma non riconoscono più nemmeno certe evidenze elementari. «Vien da piangere», ha detto il vostro cardinale arcivescovo, «a pensare che si debba spiegare che il matrimonio è fra un uomo e una donna e che un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà». Nel 1958, Sergio Zavoli realizzò con le carmelitane scalze di Bologna un documentario (ancora disponibile su Youtube) considerato «il più grande capolavoro» per la radio. Per la prima volta riuscì a fare entrare un microfono all’interno di un convento di clausura per raccontare una realtà fino ad allora nascosta. Nelle foto a fianco, le sedici suore che oggi vivono nel convento ti momenti di grande crisi. Il carmelo riformato non ha ancora avuto il tempo di averne perché è nato e si è sviluppato dopo il Concilio di Trento (1545-1563, ndr), in un’epoca che è rimasta abbastanza omogenea alla nostra». Forse la cesura è stata la Rivoluzione francese, quando a Parigi hanno ghigliottinato anche voi carmelitane… Suor Maria Elisa: «Ma la Rivoluzione francese non ha scompaginato le coscienze. Nell’Italia dell’Ottocento la nostra comunità ebbe due soppressioni, però non ha sconcertato l’orientamento di fondo. Tant’è che il nostro ordine si è ripreso, in un certo senso dando una struttura «L’ASSOLUTO È SOLO DIO, GLI ALTRI SONO IDOLI. PERDERE IL SENSO DI DIO VUOL DIRE PERDERE IL SENSO DEL REALE, DEL BENE E DEL MALE» Cosa è venuto meno secondo voi? Suor Maria Elisa: «Fondamentalmente penso sia venuto meno il primo comandamento. “Non avrai altro Dio”. L’assoluto è solo Dio. Gli altri sono idoli. Il fondamentalismo, come lo chiamano, è uno di questi. E in generale, le idee che circolano in Occidente sono idoli. Perdere il senso di Dio equivale a perdere il senso del reale, il senso del bene e del male». Voi che nelle vostre giornate dedicate tempo anche allo studio della storia della Chiesa, trovate che ci sia stato un periodo storico paragonabile al nostro? Suor Maria Elisa: «Non saprei. Come ordine monastico siamo recenti. A partire da santa Teresa a oggi, sono infatti passati solo cinquecento anni. Il monachesimo ha vissuto, già a partire da sant’Antonio (III secolo dopo Cristo, ndr), tan- più monolitica a ciò che già si viveva prima. Quello che si sta vivendo adesso nella società si riflette molto di più nei monasteri perché c’è maggiore osmosi, la cosa si fa più sottile». Marshall McLuhan, il pioniere del mondo della comunicazione alla velocità della luce, sosteneva che «è il tempo dell’Anticristo», cioè dell’antirealtà. «Occorre stare molto attenti – ammoniva – su che canale ci si sintonizza». Cosa può voler dire il tempo di Internet? Suor Maria Elisa: «È un discernimento difficile. Però, per esserci bisogna esserci. È vero, ti tira da tutte le parti, non approfondisci, ieri non esiste più». Suor Anna Grazia: «E si rischia di addormentare la ragione. Però, l’antirealtà, come dice lei, è un rischio che c’è dall’inizio della Creazione: l’uomo vuole farsi Dio, il delirio di onnipotenza. Oggi forse succede in maniera più esasperata». Suor Teresa Benedetta: «Essere collegati, in ogni modo, in ogni luogo, con tutti. Tutto diventa piatto. E anche i rapporti non si basano più sul tempo e sull’attesa che li aiuta a essere più veri». C’è una sorta di evangelica rassegnazione e anche dagli amici sento dire: «Ma a cosa serve richiamare la gente alle evidenze, tanto la gente non le capisce più. Perciò non dobbiamo fare altro che testimoniare personalmente la nostra fede». Cosa ne pensate? Suor Maria Elisa: «Ma è anche necessario fare corpo. Non per andare a combattere. Ma per sostenersi vicendevolmente. La visibilità dev’esserci perché l’Incarnazione è una legge di visibilità. E poi infonde coraggio a chi è solo, non è che faccia il male, però sta lì tutto timido». Suor Teresa Benedetta: «Il Vangelo sono cose che si vedono, masse che si muovono, gesti che creano comunque una reazione di avversità o di stupore». Primo Levi guarda la neve da dietro i fili spinati e sceglie l’opzione che a mio parere getta le basi dell’habitus mentale dell’Occidente colto e liberal. «Dio è una forma infinita, bella e pigra, che non ha voglia di fare nulla, come certe ragazze che una volta abbiamo sognato». Suor Maria Elisa: «Ecco, questo è un problema che ai tempi di santa Teresa non esisteva, mentre adesso penso sia la tentazione diffusa perché il mondo ha fatto di tutto per estinguere la presenza di Dio. Prima la religione coincideva con una fede. Oggi la fede è nuda. E senza un sostegno di una espressione religiosa anche comunitaria, la fede diventa molto più faticosa. In questo senso i giovani che sono cresciuti nei movimenti hanno dentro qualcosa che tiene su – sì, questo lo abbiamo notato – la fede». “Dolcetto o scherzetto”. Con i biscottini e il caffè, a fine colloquio fa capolino in parlatorio un sorriso raggiante e due mani che impugnano una rivista aperta su uno “speciale Chioggia”. «È la mia città! Benvenuto!». È suor Veronica del Volto di Cristo. In convento da dieci anni. «Sono cresciuta in Cl. E questo è Tempi!». n | | 18 febbraio 2015 | 27 CULTURA IL CENTENARIO DELLA NASCITA | DI LAURA CIONI Lo scapestrato conquistato da Dio Destinato al successo mondano, Thomas Merton conobbe la goliardia prima di diventare monaco trappista. E scrittore di inestimabile valore «L’ del 1915, sotto il segno dell’Acquario, in un anno di una grande guerra, al confine con la Spagna, nell’ombra di monti francesi, io venni al mondo. Fatto a immagine di Dio, quindi libero per natura, fui tuttavia schiavo della violenza e dell’egoismo, ad immagine del mondo in cui ero nato». Così inizia La montagna dalle sette balze, racconto della vita di Thomas Merton, scrittore cattolico americano, poi monaco trappista, che vi narra le tappe del suo itinerario verso Dio. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1948 con grandissimo successo, fu non a torto avvicinato alle Confessioni di sant’Agostino. L’autore, in modo simile al santo di Ippona secoli prima, ha conosciuto innumerevoli aspetti culturali e sociali del suo mondo, ha attraversato le filosofie e le ideologie del suo tempo, con un’ansia di conoscenza e di azione che non escludeva il gusto del denaro e del piacere. Come Agostino egli scrive la sua conversione alla presenza di Dio: «E mentre pensavo che non ci fosse alcun Dio, né amore e misericordia, mi conducevi nel pieno del Suo amore e della Sua gloria portandomi, senza ch’io lo sapessi, nella casa che mi avrebbe celato nel segreto del Suo volto». Il suo paese natale è Prades, nei Pirenei francesi; il padre neozelandese e la madre americana sono entrambi pittori: Merton ne parla come di persone che «erano nel mondo, ma non del mondo, non perché fossero santi, ma per un’altra ragione, perché erano artisti». Il padre dipingeva come Cézanne. «La sua visione del mondo era sana, piena di equilibrio, di venerazione per le strutture essenziali, per i rapporti fra le masse e per tutto ciò che imprime un’identità singolare a ogni cosa crea- 28 ultimo giorno di gennaio | 18 febbraio 2015 | | ta. Era una visione religiosa e nitida» e Merton afferma di averla ereditata da lui. La madre era seria e piena di versatilità, lieta e pensierosa attorno al disordine del mondo. Su insistenza dei nonni materni, i Merton tornano in America nel 1916; la madre muore pochi anni dopo. Il mondo americano spalanca al piccolo Thomas orizzonti nuovi dovuti alle letture e a una educazione imperniata sulla libertà, sull’iniziativa spontanea, sulla fede con la quale viene a contatto per la prima volta. rea alla prospettiva aperta dal cristianesimo dantesco, l’interesse per le tematiche esistenziali lo avvicina alle teorie di Freud e della psicanalisi. Messo alle strette dal tutore, che gli rimprovera la sua vita scapestrata e inconcludente di universitario, nel 1934 Merton lascia l’Europa per tornare a New York. Qui si converte davvero al comunismo e si iscrive all’università della Columbia per portare a termine gli studi così trascurati nell’odiata Cambridge. Si appassiona al cinema e al giornalismo, non senza un preciso avvilimento per la futilità di tutto il suo agitato darsi da fare. Viene la crisi, sotto forma di una specie di collasso nervoso, che lo costringe a fermarsi e a considerare la sua angoscia. Un giorno entra I viaggi e il buio interiore Gli anni passano e la sua personalità si arricchisce attraverso molteplici esperienze, tra le quali spicca, nel 1925, il viaggio in Francia, che costituisce anche il ritorno alla sorgente della vita intellettuale e spirituale I SUOI LIBRI SONO STATI LETTI del mondo al quale appartiene, e il soggiorno in DA UNA GENERAZIONE DI Inghilterra, che completa CATTOLICI CHE DOPO LA GUERRA la sua istruzione. Nel 1931 muore suo padre. Libero CERCAVA UN TESTIMONE PER LA da ogni vincolo familiare PROPRIA AZIONE NEL MONDO e discretamente fornito di denaro dal nonno materno Pop, Merton si innamora follemente, con qualche soldo in tasca in una libreria brama di essere comunista, legge e discu- e, memore della terra francese nella quate di letteratura e di politica. In Germania le era nato, compra Lo spirito della filososcopre la filosofia, rischia la morte per un fia medievale di Étienne Gilson, scoprendo banale ascesso, poi parte per l’Italia e pre- poi con disappunto che si trattava del libro ga per la prima volta nelle chiese di Roma. di un cattolico. Viene conquistato, suo Tutto sembra condurre questo giovane malgrado, dal trovarvi un concetto di Dio brillante, intelligente e pieno di vita al suc- come «qualcosa di terribilmente solido». cesso mondano. Ma la sua strada è ancora Nel frattempo si laurea in lettere con una lunga. E passa per Cambridge. Qui scorro- tesi su Blake che lo attrae verso la Chiesa no tre anni tra il buio interiore e la goliar- cattolica, e una domenica, d’istinto, si reca dia. Legge Dante e ciò è, come egli narra, per la prima volta nella sua vita a sentil’unico grande vantaggio ricavato da quel- re la Messa. Ne esce come uomo nuovo. La la università. Chiuso in una resistenza fer- conversione arriverà poco dopo, quasi alla Thomas Merton, nato nel 1915, è diventato trappista nel 1941. Il suo libro di maggior successo è La montagna dalle sette balze (1948) La sua curiosità intellettuale viene approfondita e incanalata dalla vita monastica, di cui lascia una descrizione piena di fascino in Le acque di Siloe, in Semi di contemplazione, in Nessun uomo è un’isola, per citare alcuni dei suoi libri più letti da una generazione di cattolici che, nel Dopoguerra, cercava di trovare un aggancio solido per la propria azione nel mondo. Merton fu per essi un cibo nutriente. Anche il suo interesse per la spiritualità orientale contribuì alla conoscenza del mondo buddista e il suo incontro con il Dalai Lama fu, per i tempi, un segnale nuovo. Oggi la conoscenza di altre religioni è cosa acquisita, anche se forse non sempre con la stessa profondità, così come la ricerca dell’essenziale del cristianesimo sembra più edulcorata in riduzioni talvolta spiritualiste o moraliste rispetto alla severità e alla dolcezza della vita monastica. vigilia dello scoppio della Seconda Guerra mondiale. Merton riceve il battesimo e la prima comunione, saggiamente sostenuto da un santo sacerdote e dagli amici. I suoi primi anni di vita cristiana sono, a suo dire, tiepidi. Desidera essere scrittore, poeta, critico, professore, ma noia e inquietudine spesso lo assalgono, pur nell’intensità di letture e di inizi professionali promettenti. La sua fortuna è di avere amici che non lo lasciano ai suoi sogni, ma lo richiamano al dovere della santità, anche se tutti sono alla ricerca del modo concreto in cui arrivarvi. Nel frattempo, alla paura di una possibile guerra segue l’angoscia per il bombardamento di Varsavia e le notizie che giungono dall’Europa. Dentro questa situazione di crisi interiore ed esteriore, improvvisa e fulminante compare l’idea di farsi sacerdote. Il più caro dei suoi amici gli parla del monastero trappista di Nostra Signora del Getsemani, nel Kentucky. La ricerca sincera della volontà di Dio su di lui trova pace nel silenzio della trappa alla fine del 1941. Sarà monaco in quella abbazia fino alla morte, avvenuta nel 1968 a Bangkok, dove si era recato per un ciclo di conferenze. Una preghiera umile E proprio perché tutti gli uomini hanno bisogno di testimoni oltre che di maestri, il contributo più convincente e duraturo di Thomas Merton è stato la sua ricerca, narrata nel racconto di come per strade traverse, tentativi accumulati, incontri fortuiti o cercati, Dio abbia alla fine conquistato un uomo che, all’interno di un mondo complesso come quello del secolo scorso, lo ha riconosciuto come il proprio Signore. Ognuno vi può ritrovare qualche elemento in cui riconoscersi, perché anche i nostri giorni sono complessi e noi pure abbiamo camminato per vie varie e diverse, sorretti ora da amici, ora lasciati in preda alla nostra solitudine. Anche noi stiamo vivendo il pericolo della violenza, abbiamo provato il dolore e la morte ci ha toccato, eppure continuiamo a sperare, a vivere il tempo che ci è dato tentando di renderlo utile a noi e agli uomini che ci stanno accanto. La pace che desideriamo ha abbracciato Merton dentro la liturgia monastica, così solenne e così semplice. Questa preghiera umile, insegnata da lunghi secoli nella Chiesa, è alla nostra portata ogni giorno. Affondando in essa come in un mare calmo di misericordia, anche noi arriveremo un giorno a comprendere il grande dono di aver conosciuto e amato chi ci ha insegnato la fede con ardore e ragionevolezza. Allora non sarà difficile custodire la memoria di quel dono e viverlo nell’ubbidienza e nella libertà. n | | 18 febbraio 2015 | 29 APPUNTI MIA FIGLIA, DICIASSETTE ANNI Come il vento di marzo L ed è come il vento di marzo, quando irrompe nelle strade grigie di inverno e le scompiglia, cacciando via in mulinelli le foglie morte. Lei ha diciassette anni e spalanca la porta, getta il cappotto, accarezza il cane, entra in cucina e d’un fiato snocciola le novità del giorno – un’interrogazione, e una festa, sabato, a cui «deve assolutamente» andare. Nel frattempo apre il frigo e, delusa, recrimina: non c’è niente da mangiare. Si siede, e sul tavolo balza Attila, il gigantesco gatto nero, che deciso si avvicina alla sua prediletta e le strofina amorevolmente il muso contro le guance, e fa le fusa. «C’è da portare giù il cane», faccio io, e lei sbuffa, e protesta che lo può ben portare un suo fratello. Il quale da un’altra stanza le grida scocciato: «Puoi anche tu, però, far qualcosa». E ecco, la casa che era silenziosa si rianima e vive: le scarpe abbandonate in ingresso, il pc subito acceso, il coperchio sulla pentola sollevato, a vedere che c’è per cena. E per quella festa, sabato, «non so cosa mettermi», annuncia lei, grave; e allora bisognerà lasciarsi trascinare di corsa da H&M, e assisterla mentre prova una montagna di vestiti – la sua faccia da bambina nello specchio del camerino, imbronciata se un abito non le sta come deve. Lei per me è ricordarmi esattamente com’ero, quando uscivo dal liceo nel branco chiassoso dei compagni; lei, per me è una folata di primavera. E solo ora capisco cosa davvero è stato, per mia madre, perdere una figlia di quell’età: la vita stessa, dentro, spezzata. E ora che so, rivedo tanti giorni lontani, e mia madre, da quella morte, irriconoscibile e annientata, e io che, bambina, ei entra in casa di Marina Corradi sgomenta cominciavo ad allontanarmi da lei. Ora capisco, vorrei dirle, quale deserto hai traversato; ora vorrei abbracciarti, in un abbraccio più grande di qualsiasi cosa ci siamo dette, o fatte. E, zitta, osservo mia figlia, che non somiglia a mia sorella, se non per una stessa grazia adolescente, e per la linea gentile del collo e delle mani. Perdere lei, è un pensiero che non reggo. Inciampata nel buio dei ricordi ne vengo tratta fuori dalla sua voce fresca: «Mamma, mi prepari una cioccolata?» (Già il fatto che mi chiami “mamma”, fra le ombre dei miei pensieri, mi pare una grazia). Volonterosamente allora, in cucina, mi do da fare. «Guarda che la voglio densa!», intima lei dal soggiorno. È sempre stata prepotente. Come quando mi guarda mentre mi preparo per uscire e mi toglie un vestito dalle mani: «Ti sta da cani», dice, e me ne impone un altro. E io obbedisco, io che non ascolto mai nessuno. Quando studia a casa con le sue compagne mi ritiro, discreta; mi basta, da lontano, sentirne la voce, e le risate. Allora ringrazio Dio di avermela data. Ma mia madre come ha fatto, come ha potuto, senza quella figlia, continuare a vivere? Non lo so capire. Ma mi pare di saperle, ora, di nuovo insieme. Certamente è così. Altrimenti, vuoto sarebbe, e inutile, il Paradiso. | | 18 febbraio 2015 | 31 L’ITALIA CHE LAVORA Fabbrichetta Di Bontà È il 1949 quando, in un minuscolo scampolo di Milano, un manager della Zaini e un mastro dolciere della Perugina iniziano a produrre confetti. E a radunare un popolino goloso e ricco di storie. Gianluca Manganini racconta la grande città vista da un piccolo cortile «C la fabbrichetta. Il più delle volte è costituita da una sola persona che riassume in sé la figura del principale, capo fabbrichetta, operaio, fattorino e autista del principale. La fabbrichetta è come un capo firmato. Si deve possedere perché fa status symbol. E in questo i milanesi sono molto sensibili. Un milanese che si rispetti quando si presenta regala sempre un biglietto da visita con le indicazioni della fabbrichetta. Serve per mettere in chiaro molte cose. Per esempio, prendere le distanze. Cercando, come insegnano gli imprenditori milanesi, di rimanere umili. Non diranno mai: “Ho la fabbrica”. Oppure: “Ho una fabbrichissima”. Ma semplicemente: “Possiedo una fabbrichetta...”». Gianluca Manganini sorride: ecco come si raccontavano le storie di impresa allora, ai tempi di nonno Battista. Battista Manganini era un manager della ditta di cioccolato Zaini col sogno della fabbrichetta e un buon giro di clienti che sempre più spesso lo apostrofava, «sciur Manganini, ma due confetti non li produciamo?», che un giorno s’imbatte in Torello Bianchini, mastro confettiere alla Perugina. Facile è immaginare, in quegli anni di fermento economico in cui tutto sembrava possibile, i due varcare le soglie del piccolo laboratorio interno di viale Jenner 14, guardarsi intorno soddisfatti e stringere la mano alla proprietaria: proprio lì, in fondo a un cortile, i due danno vita alla Fabbrica di confetti Manganini e Bianchini. Anzi, una fabbrichetta, una piccola storiella locale legata alle vicende di una grande città e le sue migliaia di narrazioni quotidiane che andavano fotografando Gianni Berengo Gardin e Ferdinando Scianna, raccontate da Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, la città delle 32 | 18 febbraio 2015 | | inque milanesi su dieci possiedono Gianluca Manganini racconta la storia della fabbrichetta di famiglia in viale Jenner. Un minuscolo scampolo di Milano dove dal 1949 si producono confetti e si partecipa alla gioia degli abitanti una grande metropoli nuove periferie e industrie, della Metanopoli di Enrico Mattei e dei grattacieli Galfa e Pirelli arrampicati verso il cielo. Un cortile interno, dunque, perché nelle vecchie storie di Milano c’è sempre un cortile interno, un minuscolo scampolo di Milano dove dal 1949 si racconta un po’ di gioia di una grande metropoli. «Sì perché i due si mettono subito al lavoro, il nonno suonando alle pasticcerie e confetterie di tutta Milano, e il Bianchini tra le bassine di rame del laboratorio, dove si dedica alla produzione del confetto serio serio, mentre, dal tavolone del locale accanto, si leva il chiacchiericcio delle donne che pelano le mandorle d’Avola. Un lavoraccio infinito». Oggi arrivano già pelate dal siracusano, ma allora bisognava lasciarle a mollo per due giorni perché si riuscisse ad eliminare la buccia e dare inizio alla paziente produzione del confetto artigianale. «È un procedimento che dura tre o quattro giorni e che consiste in più fasi: la gommatura, cioè il rivestimento della mandorla con un leggerissimo strato di gomma arabica, l’inamidatura con amido di riso, per dare candore al confetto, e la confettatura vera e propria, ossia la copertura della mandorla con zucchero bianco e finissimo nebulizzato all’interno della bassina, una sorta di piccola betoniera rotante di rame scaldata a gas, dove lo zucchero evapora lasciando uno strato uniforme di zucchero sulla mandorla, un processo che si ripete fino a ottenere lo strato di copertura voluto. Solo allora il confetto rivestito, che si presenta rugoso e irregolare, viene sottopo- sto lisciatura, eventuale aromatizzazione e colorazione, e lucidatura. Il risultato? Un confetto bello e buono, oggi come allora». Le bassine sono sempre le stesse, il metodo anche, le mandorle d’Avola, quelle dalla forma grande, larga, piatta e dal sapore inconfondibile che non somigliano affatto alle “concorrenti” spagnole o californiane, sono sempre le migliori. E tuttavia anche queste dieci righe non spiegherebbero fino in fondo perché tantissime tra le più blasonate pasticcerie milanesi e del nord Italia, clienti che esportano fino a Dubai o si occupano dei matrimoni hollywoodiani, e colossi della grande distribuzione organizzata abbiano trovato in fretta nella piccola fabbrichetta milanese il proprio fornitore di fiducia. Il confetto non ha età. O meglio, compare così tanti anni fa che ancora oggi i confettieri, parlando delle sue origini, si stringono nelle spalle, «all’epoca lo zucchero era sconosciuto, i romani tuttavia pare festeggiassero già nascite e matrimoni con bon bon di mandorle, miele e farina». Fu tuttavia in un luogo appartato agli occhi del mondo che venne forgiato un confetto simile a quello che conosciamo: siamo a Sulmona, nel XV secolo, quando all’interno del monastero di Santa Chiara le suore di clausura iniziano ad intrecciare confetti e fili di seta realizzando spighe, grappoli, fiori, perfino rosari, e a trasmettere quella che è già diventata un’arte – che farà della città abruzzese la più antica fabbrica di confetti – alle educande. Da Boccaccio a Goethe, da Leopardi a D’Annunzio il confetto trova | | 18 febbraio 2015 | 33 L’ITALIA CHE LAVORA «Dovremmo allargarci con un bel capannone e macchine industriali fuori città?, ci siamo chiesti. E poi, nel 2000, abbiamo acquistato i muri del laboratorio. Abbiamo deciso di restare una fabbrichetta milanese» il suo posto anche nella letteratura italiana e inizia a fare la storia di alcune grandi imprese famigliari, con sede a Sulmona ed Andria, destinate a rappresentare l’eccellenza italiana nel mondo. Quando aprono i battenti, Manganini e Bianchini non hanno né i numeri né l’ambizione di scombinare il mercato del confetto: hanno “solo” la loro bella famiglia e due figlioli ciascuno, da crescere tra le bassine. «Papà finì a rimestare lo zucchero appena infilati i calzoni lunghi, frequentava le serali e durante il giorno faceva tutto quello che occorreva per stare dietro alle ordinazioni di quegli anni straordinari»: sono gli anni in cui sembra che in confetto non conosca stagionalità e dalla fabbrichetta escono pacchi e pacchetti diretti alle migliori pasticcerie della città. Spesso a portarli è proprio lui, Leonardo Manganini, «che tutti, perfino in banca, conoscono come Bruno Manganini», figlio di Battista e degno erede della sua passione «per le chiacchiere. Anche oggi passa ore con i clienti pri- spiegatelo a Tom cruise, che andava lodando i confetti manganini: «Il nostro posto è qui, nel quotidiano, tra le storie di pianerottolo» ma di vendere una scatola di confetti». Sì perché ogni santo giorno del calendario dal 1949, i Manganini fanno tutto il possibile per partecipare agli eventi lieti dei milanesi di ogni stirpe e pianerottolo, «e questo significa anche consegnare confetti per 800 invitati dall’altra parte dell’Italia in una settimana, o trovare il punto di rosa del nastro portato nei capelli da una bambina per la sua comunione. Soprattutto, significa ascoltare. Ogni donna che si sposa porta con sé un racconto di amore, ogni madre anziana il ricordo commosso dei suoi figli, ogni mamma giovane la speranza per un bimbo che va a battezzare». Sono storie semplici, aneddoti in cui ritrovarsi e ritrovare ogni giorno un po’ di mondo che nasce, cresce, vive, insomma, nelle case e nel cuore di chi si racconta tra mandorle e cioccolata. Spiegatelo a Tom Cruise, che durante i festeggiamenti delle sue seconde nozze andava sgranocchiando e lodando con accento americano i suoi “confetti Manganini”: «Sì, abbiamo gli estimatori straordinari. Ma il nostro posto è qui, immersi nel quotidiano, tra le storie di pianerottolo. Spesso ci viene ricordato che “qui venivo con mia mamma, qui veniva mia nonna, qui 34 | 18 febbraio 2015 | | veniamo da tre generazioni”. Questo ci rende fieri della decisione di rimanere artigiani». Quando nel 2000 comprarono i muri del laboratorio i Manganini avevano appena preso la decisione più difficile: il business c’era, i clienti anche, «dovremmo allargarci con un bel capannone e macchine industriali fuori città?, ci siamo chiesti. E poi abbiamo deciso di restare una fabbrichetta milanese». «Vengo per restare, dissi a papà» Gli studi, le vacanze, gli amici. Ma quando si è trattato di scegliere cosa fare “da grande”, Gianluca ha attraversato sicuro il cortile che separa una delle vie più popolate, etniche, trafficate di Milano dalla fabbrichetta. «Vengo per restare», spiegò al padre. Anche oggi, che la crisi ha rosicato il settore, la gente si sposa pochissimo e battezza i figli ancora meno, e che le pasticcerie non ordinano più i quantitativi degli anni d’oro, la fabbrichetta va come un trenino e nel cortile in “alta stagione”, sostano pazienti tantissimi privati che da generazioni vanno a comprare direttamente in viale Jenner. «Il telefono squilla sempre. Anche ad agosto, in vacanza, mi trovo a spiegare che “capisco l’emergenza ma non posso proprio aprire domani”. Facciamo quello che possiamo con i mezzi che abbiamo; siamo una realtà a conduzione familiare e produciamo circa 900 quintali di confetti l’anno – una buona parte dei quali acquistati dalla grande distribuzione organizzata –, classici e con una ventina di gusti diversi. Il primo a spronarci, con l’esuberanza che lo ha reso noto in tv, fu proprio Enzo Miccio che imperversava qui alla ricerca di confetti (“ma falli, viola, rosa, gialli”, esortava), per la sua impresa di wedding planner. Girammo anche qualche scena in fabbrica con la sua troupe. E in quanto “discendenti” dalla Zaini e Perugina abbiamo mantenuto una linea di prodotti a base di cioccolato». Per questi non è necessaria la “scusa” di una grande festa, «ho la macchina in doppia fila, i figli da prendere a scuola e ho finito gli ovetti alla nutella», spiega una madre irrompendo in viale Jenner. «Settimana scorsa – sorride Gianluca – non aveva neanche due figli». E forse è questo il bello della fabbrichetta, in questo scampolo della grande Milano, poter ritrovare, raccontare e vivere piccole storie di impresa, di uomini e donne di ogni stirpe e pianerottolo. Proprio come una volta, come ai tempi di nonno Battista. Caterina Giojelli STILI DI VITA CINEMA ristorante la palta, bilegno (piacenza) La cucina “femmina” di Iva Taken 3 L’ora della verità, di Olivier Megaton IN BOCCA ALL’ESPERTO di Tommaso Farina O ggi andiamo tutti insieme ad assaggiare i manicaretti di una cuoca bravissima. A volte si può diventare grandi anche nei paesi più minuscoli. Bilegno è una frazioncina di Borgonovo Val Tidone (Piacenza): poche case nella campagna piacentina, stradine ove cedere il passo ai trattori dei contadini. E lì in mezzo, la Palta. Non fatevi strane idee: “palta”, in dialetto piacentino (e tra Modena e Reggio si dice “palteìn”) è la rivendita di tabacchi. E il piccolo banco dei tabacchi è ancora il nucleo di un ristorante di famiglia che poi si è ingrandito, trovando il suo trionfo in un salone dalle finestre tanto grandi da sembrare una veranda, luminosissimo, arioso, comodo, invogliante. Qui impera Isa Mazzocchi, classe 1968, nativa proprio di Borgonovo: il vanto di essersi conquistata una stella Michelin nel suo paese la riempie tuttora d’orgoglio. Lei fa una cucina che definisce “femminile”: sapori sempre forti, ma dolci come un abbraccio. Ipoteticamente, potreste cominciare con la pressata di trippa e purée fagioli in bianco, giardiniera e pane fritto: leggiadria e personalità, con robuste fondamenta. Poi, gli incantevoli gnocchi con tartufo nero, animelle croccanti e rape rosse, giocati sottilmente sull’amaro, ma con la dolcezza delle patate a fare da architrave. Spiazzanti i chiaroscuri della lingua di vitello con pere affumicate al Gutturnio, altra pietanza votata all’“aggiunta”, all’armonia di sensazioni contrastanti, con un risultato finale di sublime, incantata soddisfazione. Di dolce, toast di panettone al mascarpone con sorbetto di frutti della passione. Come vedete, una cucina che fa della sostanza e dell’architettura gustativa una delle sue leve d’Archimede. Prevedete circa 70 euro. Ah: il marito di Isa vi proporrà una cantina tra le migliori visti di recente per assortimento e prezzi, e saprà anche suggerire e consigliare con amabile competenza. Nelle sere d’inverno, il caminetto offre un tocco di amichevole calore apprezzatissimo. Amici miei LIBRO/1 Che cos’è la felicità? «Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico? E se la felicità non esiste, che cos’è dunque la vita?», chiede Leopardi al belga Jacopssen. Perché l’uomo sia protagonista della sua storia, occorre che mantenga viva questa domanda nella sua forma primigenia, come esigenza di felicità infinita. «Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico?», di Gio| 18 febbraio 2015 | Gli uccidono la moglie. Lui sbrocca e ammazza tutti. Nuovo sequel di un action movie discreto di qualche anno fa (si chiamava Io vi troverò: poi i titolisti l’han- HOME VIDEO The Judge di David Dobkin L’eroe e il suo riscatto Un avvocato di successo deve difendere suo padre, un anziano giudice, da un’accusa infame. Film a due facce, molto classico nell’impostazione: da una parte il legal thriller, dall’altra un padre severo e un figlio scapestrato pronti a scontrarsi. Dobkin dirige senza enfasi un racconto che vive della forza dei due interpreti: l’ottuagenario Robert Duvall e l’eccentrico Robert Downey Jr. Film d’attori, non originalissimo ma fedele alla grande tradizione del cinema americano dell’eroe in cerca di riscatto. Per informazioni La Palta Loc. Bilegno, 67 Borgonovo Val Tidone (Pc) Tel. 0523862103 www.lapalta.it Chiuso il lunedì 36 Qui si salva solo Liam Neeson no cambiato secondo l’originale). Era un film solido, abbastanza fracassone, con al centro un ex agente segreto a caccia dei rapitori della figlia. Non era male: Liam Neeson salvava capra e cavoli con il suo temperamento e la sua carica d’attore. Poi un sequel caotico dove non si capiva niente ambientato a Istanbul e | vanni Fighera (Ares, 248 pagine, 14 euro), è frutto di molteplici letture e di anni di insegnamento. Si propone come un percorso letterario ed esistenziale, nel tentativo di riproporre in tutta la sua ampiezza la domanda del recanatese e di suggerire un’ipotesi di ricerca nel confronto fra lui e altri grandi autori della tradizione (Dante, Manzoni, Cesbron, Mounier, Calvino). Autori le cui «espressioni significative, singolari, commoventi», scrive monsignor Luigi Negri nella prefazione, Fighera «ha letto con profondità, utilizzando come ermeneutica della letteratura la domanda re- ligiosa che anima il cuore dell’uomo e la grande, definitiva risposta che Dio ha dato». LIBRO/2 Processo alla satira senza pregiudizi La satira uccide o fa uccidere? Fa male o lo subisce? Quante domande sono sorte dopo gli efferati attentati islamisti alla redazione del settimanale parigino Charlie Hebdo. Il piccolo pamphlet Morire dal ridere. Processo alla satira di Riccardo De Benedetti (Medusa, 80 pa- gine, 9 euro) cerca di dare qualche risposta ai molti interrogativi. Fino a che punto una risata può essere causa di odio sociale e portare a conseguenze come quelle che abbiamo visto a Parigi? Alla matita pungente di un umorista si può rispondere con una raffica di mitra? Le religioni sono in grado di tollerare la risata su se stesse? La libertà di espressione può ignorare i limiti di prudenza e rispetto dell’altro? Quelle di De Benedetti più che risposte sono riflessioni senza pregiudizi sul concetto di libertà assoluta che si è affermato in Occidente dopo l’Illuminismo. IMPARARE DALLE FAVOLE ora questo che sembra una remake brutto de Il fuggitivo. Da una parte Neeson, la cosa migliore del film: gran carisma e prestanza fisica anche se ogni due per tre deve intervenire la controfigura. Dall’altra Forest Whitaker che fa il poliziotto meticoloso che vuole beccare Neeson però, insomma, lo rispetta, gli vuole be- ne. Magari ci uscirebbe una sera. I cattivi sono sempre loro, i figli di Putin, bietoloni tatuati che fanno la figura dei fessi. visti da Simone Fortunato COMUNICANDO L’unione fa la forza I manager si mettono insieme per il paese In questo momento ognuno di noi dovrebbe riflettere su come uscire dalla crisi e cambiare verso a questa congiuntura sfavorevole. Lo stallo economico ha messo in ginocchio l’Italia, i negozi abbassano le saracinesche, le strade si svuotano, le imprese chiudono gli stabilimenti e sempre più lavoratori sono senza fu- La storiella della volpe e l’uva Il regista Olivier Megaton MAMMA OCA di Annalena Valenti R iflessione libera e strampalata su una favola, suscitata da scontri ripetuti con persone che pensano di sapere cosa dice il Papa perché leggono Repubblica, che vivono la realtà sempre piegata al proprio pensiero, ovviamente più intelligente ed evoluto di quello degli altri e della realtà stessa, che screditano persone, scuole, Chiesa, perché non possono farne ciò che vogliono. Agiamo un po’ tutti come la volpe che non riesce ad acchiappare l’uva e dice che è acerba, ma qualcuno di più e con la variante, sconosciuta a Fedro e La Fontaine, che oggi la notizia, falsa ricordiamoci, che l’uva è acerba rimbalza in un nanosecondo in tutti i regni. E una notizia falsa, ripetuta parecchie volte, non diventa vera. Sminuire ciò che non si può fare o avere o cambiare, distorcere la realtà che da matura che era l’uva diventa acerba, avviene talmente spesso, in maniera talmente martellante che se non tieni costantemente gli occhi aperti e ben puntati sulla realtà, sull’esperienza, non punti la verità come un cane da caccia e non ti circondi di alleati furbi e candidi, inizi a credere anche tu all’uva acerba. Nel campo della letteratura per l’infanzia, dove se l’uva che hai davanti è matura o no, lo decidono in pochi, per tenere gli occhi bene aperti e vedere la strada da percorrere, la realtà e le sue grandi domande, le fiabe, scelte con cura e intelligenza dedita, sono un alleato sempre vero. mammaoca.com turo. Ora, a ciascuno tocca fare la sua parte. Cida (www.cida. it), il sindacato che rappresenta i manager pubblici e privati, ha pensato di farlo organizzando un momento di confronto e dialogo con la politica. L’occasione è stata l’assemblea annuale che si è tenuta a Roma lo scorso 9 febbraio nella Galleria del Cardinale di Palazzo Colonna e che ha visto il coinvolgimento di quasi 200 dirigenti. Come sfidare la crisi? Come innovare l’Italia, innescare una ripresa stabile e tornare finalmente a crescere? Le proposte dei manager italiani che si raccolgono intorno alla Cida hanno dato vita a una sorta di manifesto programmatico che si compone di molte proposte pensate per far ripartire il paese e far tornare a crescere l’occupazione di qualità: maggiore flessibilità, sburocratizzazione e svecchiamento della pubblica amministrazione, più liberalizzazioni e privatizzazioni, via libera al digitale e stretta sull’evasione. Questo l’appello della confederazione che si rivolge in primis alla nostra classe politica, ma che chiama in causa tutti noi, invitandoci a essere cittadini più responsabili e attivi. Elena Vicini | | 18 febbraio 2015 | 37 motorpedia WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO KTM 1.290 Super Adventure Un’ammiraglia, non solo una bandiera tecnologica. Questo è per KTM la 1.290 Super Adventure, moto su cui la Casa di Mattighofen ha riversato tutte le proprie conoscenze tecnologiche. Le dotazioni di serie fanno impressione: il motore da 1.301 cc arriva a 160 cavalli e 144 Nm di coppia, prestazioni da sportiva gestite da un’elettronica mai così completa ed evoluta. Grazie alla piattaforma inerziale, controllo di trazione, ABS e perfino le sospensioni attive sono gestiti automaticamente in base all’angolo di piega. Quattro le modalità di guida, due limitate a 100 cavalli (off road e rain) e due a potenza piena. Il risultato è una moto mai così sicura anche se con prestazioni fuori della norma per una maxi enduro capace di viaggiare ininterrottamente per 500 chilometri grazie al nuovo serbatoio da 30 litri. Prezzo 18.450 euro, tutto compreso. [ss] 38 | 18 febbraio 2015 | | Per la prima volta dal 1982, la familiare tedesca viene proposta in versione sportiva Debutta in primavera la Golf Variant GTD B erlina o wagon, per Volkswagen sembra non fare differenza. Un tempo la versione “allungata” della Golf era un po’ la cenerentola in gamma. Con l’arrivo della settima generazione, invece, le due versioni hanno uguale dignità e una gamma ugualmente ampia. Ecco spiegato il motivo per cui per la prima volta nella propria storia, Golf Variant viene declinata in versione sportiva GTD. Analogamente alla hatchback, sotto il cofano lavora il noto 4 cilindri 16V di 1.968 cc corredato dell’iniezione diretta common rail e sovralimentato mediante turbocompressore. Accreditata di 184 cavalli e 380 Nm di coppia nonché omologata Euro 6, tale unità porta in dote uno scatto da 0 a 100 km/h in 7,9 secondi – anziché i 7,5 secondi appannaggio della berlina – a fronte d’una percorrenza media di 22,7 km/l (23,8 km/l per la tre porte). La caratterizzazione estetica prevede una specifica griglia a nido d’ape, paraurti dedicati, gruppi ottici posteriori bruniti, minigonne, mancorrenti neri, cerchi in lega da 17 pollici e doppio terminale di scarico cromato, mentre sotto il profilo tecSOTTO IL COFANO nico spiccano il ribassamento LAVORA IL 4 CILINDRI dell’assetto di 15 millimetri 16 VALVOLE DA 184 rispetto allo standard e lo CAVALLI. OMOLOGATA sterzo adattivo. In abitacolo EURO 6, PASSA DA non mancano i sedili sporti0 A 100 KM/H IN vi rivestiti nel classico tessuto 7,9 SECONDI. LA scozzese – un must per GTD e PERCORRENZA MEDIA GTI –, la pedaliera in acciaio e È DI 22,7 KM/L il pomello della leva del cambio a forma di pallina da golf. Attingendo alla lista degli optional è possibile optare per il Driving Mode Selection, vale a dire il sistema che porta in dote diversi programmi di guida armonizzandovi l’erogazione del motore, la servoassistenza dello sterzo e la logica di gestione della trasmissione a doppia frizione DSG (qualora presente). Golf Variant GTD debutterà al prossimo Salone di Ginevra (5-15 marzo 2015). Sebastiano Salvetti La Golf Variant, per la prima volta declinata in versione sportiva GTD, debutterà al prossimo Salone di Ginevra che si terrà dal 5 al 15 marzo | | 18 febbraio 2015 | 39 LETTERE AL DIRETTORE La prova maceratese che siamo uomini, non caporali. ¡Que viva Cate! L a sua lettera al neo-presidente mi ha colpita e rincuorata. La ringrazio per averla scritta così. Mi chiamo Caterina e sono la mamma di due bambini, di 3 anni e mezzo e 2, che frequentano la scuola materna paritaria “L’Ancora” di Macerata. La scuola un anno fa aveva annunciato per motivi economici la sua imminente e inesorabile chiusura, dopo trent’anni dalla sua fondazione per mano di alcuni genitori appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione. Io e altri genitori ci siamo opposti a questa chiusura proponendo il nostro sostegno economico e operativo per affermare una realtà e una esperienza (anche per le famiglie) unica nella nostra città, promotrice di una educazione alla realtà a 360°, caratterizzata da elementi unici nel suo genere (alla base della scuola c’è anche un percorso di nido integrato da 0 a 6 anni, che alcuni giorni fa Repubblica indicava come la strada del futuro. Mi perdoni, ma noi lo abbiamo dal 1985). La faccio breve. Noi primi genitori in un comitato abbiamo accettato di mettere le mani in pasta e approfondire la consistenza di una tanto proclamata e riconosciuta “alta qualità e il valore unico che non si poteva perdere”. Dietro a noi si è accodata la cooperativa gestore della scuola, altre famiglie, il vescovo di allora monsignor Giuliodori (oggi assistente ecclesiastico generale di UniCatt), il vescovo di oggi monsignor Nazareno Marconi, il sindaco del Pd Romano Carancini. Credo che non sarà solo un fissa di alcuni, o non saremo sta- ti semplicemente persuasivi nei nostri appelli, se anche una giunta di sinistra ci ha riconosciuto come presenza fondamentale per la città fino a erogare per la prima volta nella storia di Macerata dei fondi per la ripresa della scuola “L’Ancora”. È un granello di sabbia, per la mia famiglia e i miei figli significa poter continuare a educare in una forma ben precisa. Noi genitori andiamo avanti a lavorare con la cooperativa e le insegnanti per tene- re alta l’attenzione su di noi e sui temi che ci stanno a cuore. Spero che questa sia la prima di tante iniziative delle istituzioni nel senso della sua lettera al presidente Mattarella. Caterina Romoli Macerata Immensi amici di Macerata, ecco cos’è Cl, povera voce, ma canta con un perché che dà voce a tutti. 10, 100, 1000 caterine in azione e si ribalta l’Italia. Lasciateli fare! Grazie. di Fred Perri E MENO MALE CHE “LA TV NON MENTE” I l caso della settimana riguarda la televisione, la moviola, le linee del campo, la prospettiva e in generale il modo di fare informazione. Da quando faccio questo mestiere – ahimè, bastardi, da mo’ – c’è sempre qualcuno che si erge a maestro stabilendo chi fa bene e chi fa male questo lavoro, ma anche decidendo quale mezzo di informazione sia migliore di 40 | 18 febbraio 2015 | | un altro. Noi della carta stampata siamo come i reietti delle isole di conradiana memoria (cazzo, quando faccio queste citazioni mi piglia un’eccitazione sessuale): bistrattati, insultati, mal sistemati. L’ultima volta che sono stato a Firenze ho detto al mio giovane apprendista, che mi sega la cadrega da anni e tra poco avrà terminato l’opera, di mandarmi un selfie quando la tri- Foto: Ansa La prospettiva del gol di Tevez è la riscossa di noi reietti amanuensi [email protected] Questa sera ho rivisto dopo anni il film La settima stanza dove, con assoluta cruda verità, si può “vivere” il dramma di Edith Stein. Per quelle strane associazioni della mente ho percepito come un’assonanza tra quella vita singola e la nostra realtà di popolo. Oggi una minoranza della gente, ed io tra loro, è nella situazione in cui si trovarono gli ebrei. Siamo una “razza” che non si adegua al pensiero unico. Non è silente come vuole il regime sui nuovi diritti. Non si rassegna alla dittatura dell’economia capace di ridurci in miseria ma incapace di incarcerare la mia libertà di uomo. Edith stasera mi ha ricordato che la vita è lotta. Lei è una donna libera, segno di ciò che pure noi possiamo essere, costi quel che costi. Mauro Mazzoldi via internet Un’altra ebrea ci ha insegnato che «solo nell’ambito di un popolo l’individuo può vivere come uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze». Chiesa o morte. 2 Mi dicono che Renzi stia preparando per marzo una bella maggioranza quirinalizia che approvi le cosiddette “civil partnership” da offrire in pasto alla sinistra. Aria di consultellum? Maurizio Sandri via internet Al nostro simpa piace fa’ l’americano, ma è nato in Italy. Come sapete la risposta all’ideologia c’è e fa gioco la sentenza della Cassazione. Ovvero per i famosi “diritti” riguardanti le convivenze basta e avanza il testo unico di legge messo a punto dal Comitato Sì alla Famiglia e DIFENDERSI DALLE TRAME DEMONIACHE Il volto avaro e quello post-umano dell’«economia che uccide» CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano «N o, a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide». Sono parole del Papa (tratte dall’Evangelii Gaudium) per il recente messaggio all’Expo 2015. Il 12 febbraio a Roma Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi presentano all’Augustinianum il libro intitolato con la stessa frase del Santo Padre: Questa economia uccide. Vado alla presentazione perché la speculazione finanziaria va capita e, se possibile, controllata dall’opinione pubblica e dalla politica. Questa oppressione ha due volti. Da una parte c’è uno squilibrio ben sintetizzato da questa sproporzione: le 85 persone più ricche del mondo hanno un reddito pari a quello di 3 miliardi e mezzo di persone più povere. L’altro lato della medaglia è la pressione provocata dalla lobby finanziaria, al fine di destrutturare moralmente la società, per dominare un popolo di acritici consumatori. Dal ’68 in poi è cominciata un’escalation (pilotata) volta a distruggere la morale comune, il matrimonio, le nascite, la vita degli anziani, la differenza fra maschio e femmina e, prossimamente, la protezione dei minori contro la pedofilia. Prego san Michele (Sancte Michael arcangele defende nos) perché ci difenda dalle trame demoniache. La preghiera è la vera arma del cristiano. Occorre poi svegliarsi dal torpore e mobilitarsi. Servono valenti economisti, filosofi, politici per mettere in campo i talenti che il Signore ci ha dato. Se alcuni seminano zizzania noi dobbiamo seminare il grano buono della fede e della cultura. segnalato da Alfredo Mantovano. Testo che nelle sue linee direttrici i lettori di Tempi hanno già visto in anteprima. E su cui ci auguriamo che Berlusconi converrà senza farsi sviare dalla liceale e Salvini farà il suo dovere (diamo ovviamente per scontato l’ok di Alfano). A dirla tutta però penso questo: Renzi andrà alle elezioni perché dentro il misterioso fascicolo dei conti dello Stato di Cottarelli mancano i dindi per riprendere al volo tutte la palle che ha lanciato in aria. E che, come con l’Ilva, adesso gli stanno ricadendo sulla testa. Ora, ammesso e non concesso che la Merkel sia d’accordo, l’interrogativo è se andrà al voto con il famoso sms “i gufi frenano le riforme? E io voto”. O se, come fa di solito, lancerà in aria un’altra palla e chiederà tanti voti quanti bastano per mettere il turbo al pallone di riforme aereostatiche. Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES buna stampa la sistemeranno in curva. Ogni anno si sposta un po’ più in là. E non solo lì. E poi tutti a dirci: siete dei cazzari, la tv sì che non mente (per non parlare della rete). Per fortuna è arrivato il geom comm granduff lupman Adriano Galliani e ha stabilito che pure la televisione tarocca. Evvai. È stata la riscossa di tutti noi umili amanuensi. Anche la televisione inganna, la prospettiva non esiste e, diciamolo, con la moviola in campo Juventus-Milan sarebbe ancora ferma nell’attesa di capire se Tevez era in fuorigioco. La verità è che il calcio è come la politica, nessuno ammette mai di avere torto e nessuno, soprattutto, ha mai ragione. | | 18 febbraio 2015 | 41 100% 9:45 AM Leggi il settimanale sul tuo tablet daPi iPad Tempi MA 54:9 Aggiorna Home News Interni Sport Blog TEMA DEL GIORNO %001 Mosul. I terroristi marchiano le case dei cristiani con la lettera “N” (Nazarat). Per loro, niente razioni di cibo e acqua Leone Grotti TUTTI GLI ARTICOLI La fecondazione eterologa e la necessità di un rinnovato impegno perché la persona non sia ridotta a “cosa” Giampaolo Crepaldi Grillo al ristorante del Senato? È la rivincita dell’Anti-Casta Redazione Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile «Per Mourinho e per uscire dalla disperazione» E tu, perché leggi Tempi? Mandaci il tuo video Redazione Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Seguici su LETTERE DALLA FINE DEL MONDO cristo non si merita. A LUI ci si abbandona La notte dell’anima è esperienza necessaria agli uomini di fede | DI aldo trento H e amici fantastici. Sono sempre stata considerata da tutti (professori inclusi) una ragazza molto più matura rispetto ai suoi coetanei, ricevo complimenti per come affronto la vita, per come mi butto nelle situazioni e per la mia capacità di vederLo anche nelle situazioni più difficili. Sento, respiro un mondo di bene intorno a me, eppure mi odio e vivo con la preoccupazione di dover dimostrare a me stessa che valgo qualcosa. Purtroppo questa situazione è esplosa, e da circa un mesetto ho iniziato un percorso di cura con uno psicoterapeuta. Sto prendendo pure un blando tranquillante per dormire. Però le cose stanno andando sempre peggio. Non mi merito nulla, perché tutti mi vogliono così bene? Non mi merito di aver incontrato Cristo. Sono arrivata a dire che non merito neanche l’amore di Dio. Perché non riesco a guardarmi come Lui mi guarda? Che fatica, padre Aldo, non riesco nemmeno a pregare. Cosa posso fare per abbracciarmi? Beatrice C ho diciotto anni, ho una famiglia che mi vuole un bene assurdo ara Beatrice, grazie per la libertà che testimoni condividendo il dramma che vivi e po- nendomi delle domande alle quali solo Dio può rispondere – e Dio risponde attraverso l’abbraccio di chi ti vuole veramente bene, cioè di chi ti aiuta a fare i conti con la realtà –. Spesso racconto quanto successe con don Giussani durante uno dei peggiori periodi della scelto me. Sono convinto che Come avrebbe fatto Dio mia vita. Ero disperato e le domande che poni Dio, scegliendo una persona a realizzare queste opere erano sostanzialmente le mie. Camminando a per un compito, la forgia cotentoni sono arrivato da lui con gli occhi umidi me il fabbro con il ferro. La di carità senza avermi fatto per il pianto. Ricordo con quanta tenerezza mi notte dell’anima è un’espesperimentare cosa significano rienza necessaria all’uomo guardava e ascoltava. Davanti alle mie domande disse: «Ciò che stai soffrendo, il buon Dio lo di fede. È la stessa esperienIl dolore e la disperazione? permette perché tu possa finalmente divenza che ha vissuto Gesù negli tare un uomo per il quale Cristo è tutto». Non ultimi giorni della sua vita. Facendo memoria la chilometri, mendicando la guarigione da un capivo niente delle sue parole, ma quando agdi quanto ha sofferto dal Getsemani alla Crosantuario all’altro. Gridavo, ma non sentivo giunse «la prossima estate, se non incontrerai ce, mi vengono i brividi. Tutti Lo hanno abbannemmeno l’eco della mia voce. qualcuno che ti faccia compagnia, verrai con donato. Eppure, sebbene angosciato dal silenForgiati come il ferro me», il mio volto si illuminò. Così mi consegnai zio degli amici e del Padre, prega dicendo: «Sia totalmente a lui. Mi sentivo libero al suo fianco, Solo dopo quindici anni ho capito il perché del fatta la tua volontà, non la mia». Un puro atsilenzio della Madre Celeste. Dio mi aveva scellibero come un bambino. Non c’erano ossessioto di fede al quale tutti siamo chiamati. Non è ni, scrupoli che non condividessi con lui. Quanta to per un compito molto importante, che oggi quindi una questione di merito, ma di abbandoè sotto gli occhi di tutti. La Madonna non potepazienza ha avuto con me! Spesso annegavo in narci fra le braccia del Padre che ci ha pensato va impedire a Suo Figlio il percorso mediante un bicchiere d’acqua e lui mi tirava fuori, aiudall’eternità. Se abbiamo un merito è quello del il quale mi avrebbe purificato per essere totaltandomi ad aprire gli occhi sulla realtà. Quante peccato che obbligò il Padre a mandarci Gesù. mente suo. Oggi mi è chiaro il perché di tanvolte nella disperazione mi domandavo dov’era Infine, mi permetto di sottolineare che educato dolore: come avrebbe fatto Dio a realizzare Dio, o cosa significasse essere scelto, amato da re non significa pompare come un pallone figli queste opere di carità senza avermi fatto spesempre. Perfino con la Madonna mi arrabbiao alunni, ma introdurli a fare i conti con la realrimentare cosa significa il dolore e anche la divo: «Vergine e Madre, perché non mi ascolti lità in tutte le sue dimensioni. Perché dimenticasperazione? Avrebbe potuto scegliere un altro berandomi da questo inferno che mi tortura?». re la favola di Fedro Rana rupta et bos? [email protected] più intelligente, coerente, migliore di me. Ma ha Ricordo che feci a bordo di una Uno ventimi| | 18 febbraio 2015 | 43 taz&bao 44 | 18 febbraio 2015 | | Nella foto, l’immagine utilizzata nella locandina cinematografica de Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel Il fascismo discreto della borghesia «La sinistra è diventata una frode borghese, completamente separata dal popolo che dice di rappresentare. (…) Questi meschini e arroganti dittatori non hanno il minimo rispetto per le visioni opposte alla loro. Il loro sentimentalismo li ha portati a credere che devono controllare e limitare la libertà di parola in democrazia per proteggere paternalisticamente la classe delle vittime permanenti di razzismo, sessismo, omofobia eccetera. (…) Niente dimostra l’isolamento della sinistra dalla gente quanto la derisione della religione, che per la maggior parte degli uomini rimane una caratteristica vitale della loro identità. (…) Le vignette di Charlie Hebdo erano crude, noiose e infantili, insultavano il credo di altre persone senza nessuna vera ragione artistica. Il massacro è stata un’atrocità barbara e la libertà di espressione deve essere garantita in tutte le democrazie moderne. Ma quale visione della vita propone il liberalismo che sia più grande delle prospettive cosmiche delle grandi religioni?». Camille Paglia “Contro il fascismo di sinistra”, intervista a cura di Mattia Ferraresi, il Foglio, 6 febbraio 2015 MISCHIA ORDINATA IL CORAGGIO DI TERI ROBERTS Perdere gambe e braccia e dire «ok» alla vita L di Annalisa Teggi le pagine della cronaca estera, ho istintivamente bisogno di staccare i pensieri dalle storie del giornalista giapponese decapitato, dell’omosessuale buttato giù da un palazzo e del pilota giordano arso vivo. Il genere umano non può sopportare troppa realtà, scrisse Eliot. Quanto aveva ragione! – mi dico. Poi gli occhi si fermano su un titolo che pare tracciare un orizzonte più lieto del mondo: “Si sveglia dal coma quattro ore prima che le stacchino la spina”. È accaduto in Nebraska, e allora incuriosita vado a spulciare i giornali stranieri. Ma niente è come sembra; niente è così roseo come sem- È ENTRATA IN COMA PER UNA INFEZIONE. DOVEVANO bra. Ricostruisco alla buona la STACCARLE LA SPINA MA all’ultimo SI È RISVEGLIATA. storia di Teri Roberts, 56 an- e pur sapendo cosa l’aspettava, ha voluto vivere ni. Qualche settimana prima di Natale, è in cucina a fare biscotti, da brava sappia cosa l’aspetta; la informano che pernonna di cinque nipoti. Si sente male e all’ini- derà braccia e gambe, da amputare necessazio sembra solo la classica influenza; le cose riamente. Lei risponde: «Ok». Dal 10 gennaio Teri ha cominciato la riperò degenerano in fretta, ricoverata in ospedale le viene diagnosticata una brutta infezio- abilitazione; il suo risveglio l’ha riportata lì ne da streptococco A. Letale. Teri entra in co- dove la realtà l’aveva lasciata: una figlia asma e l’infezione intanto le devasta il corpo: le sassinata, due nipoti di due e quattro anni prime parti a morire sono gli arti, che vanno di cui prendersi cura. Senza braccia e senza in cancrena. Spasmi muscolari le contorco- gambe. Non so se avere accanto una famiglia no il viso, vesciche la ricoprono dappertutto. premurosa basta a sopportare così tanta reIl marito e il figlio le stanno accanto, entran- altà. Io, per quel che riguarda me, non ne sado in fretta in confidenza con l’idea che la fi- rei così sicura. Penso di nuovo a Eliot che parne per lei è vicina. Un pensiero li consola: se la di un certo signor Prufrock, vivo e vegeto, morirà, andrà a ritrovare sua figlia Andrea in che però cammina ogni giorno per strada cocielo, che era stata assassinata qualche anno me fosse un paziente anestetizzato in sala prima. Teri era, infatti, diventata a tutti gli ef- operatoria. Quando siamo svegli, siamo davfetti mamma di due dei suoi nipoti, rimasti vero svegli? Penso anche a Dante che dice di orfani dopo la morte della mamma. Si può essersi smarrito proprio perché era pieno di sopportare così tanta realtà? Il coma e poi il sonno. Il coma spesso è uno stile di vita, la sonno eterno non sono forse un benedetto ri- bolla di insensibilità che indossiamo a difesa dell’urto inesorabile del vivere. Lo facciamo medio a così tanto dolore? Questo me lo chiedo io, ma a rispondere anche quando quel che c’è da sopportare è lascio che sia Teri. La sua prognosi peggiora infinitamente meno di decapitazioni, ampudrasticamente, i reni e il fegato cedono e i fa- tazioni, assassini, roghi viventi. E se fosse che miliari decidono di lasciarla andare, cioè di queste botte, non necessariamente letali, arinterrompere la ventilazione artificiale. Po- rivassero per mettere all’angolo questo letarche ore prima che questo accada, Teri si sve- gico torpore? Il nostro «ok» all’esserci – qui e glia. Le sue condizioni vanno stabilizzando- ora – quando lo abbiamo pronunciato seriasi, ma suo marito vuole essere sicuro che lei mente l’ultima volta? 46 | 18 febbraio 2015 | e mani sfogliano veloci |