Tunisia: chiuse 41 moschee per estremismo
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Tunisia: chiuse 41 moschee per estremismo
8 interventi Domenica 2 Agosto 2015 | Terrorismo | Dopo gli ultimi attentati il governo stringe la morsa. Parla il giornalista Kays Zribra: perché il rapporto con i nomi delle associazioni che finanziano il terrore non è stato reso pubblico? La responsabilità di Ennahda Tunisia: chiuse 41 moschee per estremismo Giada Frana nostro servizio da Tunisi Il 27 giugno, giorno successivo all’attentato di Sousse, durante una conferenza stampa diffusa sui canali nazionali, il primo ministro tunisino Habib Essid ha annunciato una serie di misure che lo Stato avrebbe dovuto prendere per contrastare il terrorismo. Tra queste, rafforzare il controllo delle moschee e chiuderne 80, definite «illegali», nel giro di una settimana. Illegali ma non forzatamente aventi dei legami con il terrorismo, come precisato dal ministro del Lavoro Zied Ladhari. Le misure hanno interessato dunque sia moschee dove le prediche sono state giudicate «troppo estremiste», sia quelle in cui la situazione amministrativa non era del tutto regolare. Il 10 luglio Kamel Jendoubi, ministro incaricato delle relazioni con le Istanze costituzionali e la società civile, ha annunciato la chiusura di 41 moschee sulle 80 preannunciate, moschee che «potrebbero potenzialmente costituire dei luoghi per l’apologia al terrorismo e il reclutamento Una moschea di Tunisi e, a sinistra, la polizia a Sousse. Nel riquadro, Kays Zribra «Se io fossi lo Stato cercherei di parlare con il mio nemico per capirlo e combatterlo meglio» occhi di tutti. Bisogna ricordare che le moschee, dopo l’indipendenza, con Bourguiba sono diventate parte integrante dello Stato, delle vere e proprie istituzioni statali, e in quegli anni è stato creato il ministero degli Affari religiosi. Chiudere le moschee, quindi, significa che c’è «Bisogna impedire di predicare agli imam fondamentalisti, ma non impedire la libertà di culto. Molti imam temono si torni ai tempi di Ben Ali» di jihadisti». D’altro canto il ministero degli Affari religiosi ha fatto sentire la sua voce, ricordando come la chiusura di alcune moschee sia temporanea, finché la situazione amministrativa non sarà regolamentata, e ha invitato, per garantire la neutralità dei luoghi di culto «ad evitare qualsiasi strumentalizzazione» e ad astenersi dal praticare «attività partigiane o sindacali nelle moschee sotto il pretesto della religione», seminando discordia e distogliendole dal loro ruolo iniziale. Di questo delicato argomento abbiamo parlato con Kais Zriba, attivista tunisino e giornalista, collaboratore per il blog collettivo indipendente Nawaat fino al 2013, attualmente cofondatore e coordinatore del webmagazine Inkyfada.com. Della chiusura delle moschee “fuori controllo dello Stato” se ne parlava già nel luglio 2014, quando in un attentato terroristico sul monte Chaambi persero la vita 15 soldati. Ora, dopo gli attentati al Bardo e a Sousse, la storia si ripete: una decisione sensata o dettata dal momento, per cercare di coprire le mancanze del governo sul versante terrorismo? Se il governo in precedenza ha chiuso davvero queste moschee fuori controllo, la loro chiusura non ha impedito il verificarsi di altri attentati. Sicuramente da parte del governo ci sono state gravi mancanze: sono sotto gli qualcosa che non va nella struttura dello stesso Stato. Con Ben Alì le moschee sono state sottoposte a un controllo massiccio da parte della polizia e le prediche che gli imam dovevano tenere erano già preparate e decise Non serve arrestare tanti giovani foreign fighters ma capire che cosa li ha spinti a partire e arrestare i mandanti dal governo: fino al 14 gennaio 2011 nei loro discorsi gli imam dicevano che era haram (proibito) fare una rivolta contro il presidente. Dopo la rivoluzione c’è stata una sorta di rivincita, per riprendersi quella libertà di parola negata sotto la dittatura. Lo Stato, dal 2011 ad oggi, è stato assente sia nella gestione delle moschee che nella gestione di altre istituzioni pubbliche, intervenendo solo proponendo soluzioni securitarie. Dall’altra parte la questione non è del tutto chiara: prima dell’attentato di Sousse il ministero degli Affari religiosi aveva dichiarato che non c’erano moschee fuori controllo sul territorio tunisino; subito dopo l’attentato invece il ministero dell’Interno ha affermato che ce ne sono 80. Lo stesso Stato si contraddice sulla vicenda, manca una chiarezza di base. Ambiguità e menzogne non aiutano di certo a combattere il terrorismo. Ennahda è stata accusata, sia da diversi partiti politici che da parte della società civile, di non aver impedito lo sviluppo dell’estremismo religioso in Tunisia… Tutti i governi che si sono succeduti dal 2011 ad oggi hanno le loro colpe, anche se Ennahda ne ha di più. Quando Essebsi era premier ad interim, nel 2011, c’è stato l’attacco terroristico a Rouhia, gli attentati non sono cominciati con Ennahda. Per quanto riguarda Ennahda, Ghannouchi si era espresso a proposito dei salafiti dicendo che gli ricordavano la sua giovinezza e che erano innocui. Ora tutti accusano Ennahda perchè sotto il suo governo ci sono stati diversi arresti e queste persone in seguito sono state rilasciate, ma non è propriamente ciò che è successo. A parte che è il giudice che ne decide o meno il rilascio, ma in realtà i dossier di queste persone non presentavano elementi a loro carico. E’ vero che Ennahda e il ministero dell’Interno hanno avuto delle mancanze, ma non bisogna pensare che tutte le persone che sono state arrestate in quel periodo siano terroristi. E’ il giudice che, in base alle prove che ha o meno, deve dire se si tratta o no di un terrorista. E in quel caso niente e nessuno impedisce l’arresto da parte del ministero dell’Interno. Le moschee sono ritenute una delle fonti di reclutamento per i foreign fighters del cosiddetto Stato islamico. La Tunisia sarebbe tra i maggiori fornitori. La chiusura delle moschee può davvero servire a combattere estremismo e terrorismo? Vi è dell’ambiguità sulle cifre riguardanti i tunisini partiti come foreign fighters, non si sa quale sia il numero esatto. Chiudere le moschee incoraggerebbe le persone a schierarsi contro lo Stato in nome della libertà di culto. Lo Stato deve cercare di convertire le moschee in cui ha appurato che si fanno prediche di odio o reclutamento in moschee normali, mantenendo una certa distanza. Molti imam hanno infatti riferito che si sta tornando ai tempi di Ben Alì, con lo Stato che fornisce i discorsi da tenere durante la predica. Non è per questo che il popolo ha votato Nidaa Tounes, che non si è dimostrato laico come proclamava. Bisogna quindi impedire di predicare agli imam estremisti, ma allo stesso tempo non intervenire in questo modo sulla libertà di culto. Cosa dovrebbe fare lo Stato per combattere l’estremismo? Se io fossi lo Stato, cercherei di parlare con il mio nemico, di comprendere come riflette per poterlo poi combattere. E’ inutile incarcerare quei giovani che sono partiti a combattere e poi rientrati: bisogna parlare con loro, capire cosa li ha spinti, spiegare loro che quello che hanno fatto non è giusto e programmare un percorso di riabilitazione invece di puntare ad una soluzione di tipo securitario. Il problema è che ci sono persone che convincono questi giovani e bisogna risalire ad esse: i veri responsabili sono loro. Inoltre c’è una certa ambiguità da parte dello Stato: di recente è stato stilato un rapporto sulle associazioni che finanziano il terrorismo, ma i loro nomi non sono stati resi pubblici. Perché? Bisogna informare in modo corretto e completo.