file in formato pdf - Commissione Adozioni Internazionali

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ISBN 978-88-6374-022-6
Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali
15
L’Ital ia e il B ras il e pe r il be n e sse re d ell ’infanzia
L’Italia e il Brasile
per il benessere dell’infanzia
nelle adozioni internazionali
Innovazioni formative
e scambio di esperienze
Istituto degli Innocenti
Istituto
degli Innocenti
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Presidenza del consiglio dei ministri
Commissione per le adozioni internazionali
Autorità centrale italiana per l’adozione internazionale
Carlo Amedeo Giovanardi (presidente), Daniela Bacchetta (vicepresidente),
Filomena Albano, Laura Barbieri, Caterina Chinnici, Adriana Ciampa,
Fabrizio Corbo, Luigi D’Elia, Maurizio Falco, Flora Fanara, Giovanni Ferrera,
Annunziatina Fiorenzo, Sandro Forlani, Roberto G. Marino, Rosa Musto,
Carmine Robustelli, Andrea Speciale, Sara Terenzi, Stefania Tilia,
Maririna Tuccinardi, Elena Zappalorti
Direzione generale Segreteria tecnica
Maria Teresa Vinci
Istituto degli Innocenti
P.zza SS. Annunziata, 12 - 50122 Firenze
Area Documentazione, ricerca e formazione
Aldo Fortunati
Ha curato la realizzazione del volume
Giorgio Macario
Ha collaborato alla raccolta della documentazione
Vanna Cherici
Coordinamento editoriale
Anna Buia
Progetto grafico
Cristina Caccavale
Realizzazione editoriale
Barbara Giovannini, Elisa Iacchelli, Paola Senesi
Il disegno in copertina è di Emanuele Luzzati
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Indice
IX
Prefazione
Carlo Giovanardi
XI
Introduzione
Giorgio Macario
LE PREMESSE
3
Le premesse dello scambio di esperienze Italia-Brasile
e la costruzione del progetto formativo
Giorgio Macario
LO STAGE IN BRASILE
15
Lo stage della delegazione italiana in Brasile
Giorgio Macario
31
La realtà dello stage nelle osservazioni di un esperto
Anna Maria Colella
39
Il resoconto dello stage in alcuni diari-agenda e taccuini di viaggio
101
Viaggio dentro l’immaginario del percorso adottivo: una prospettiva
antropologica dell’esperienza formativa italo-brasiliana
Vanessa Carocci, Valentina Ortino
117
Una restituzione significativa richiesta dal Brasile:
la Casa de cultura e cidadania nel quartiere di Santo Amaro a San Paolo
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
121
Il resoconto della delegazione brasiliana
LO STAGE IN ITALIA
143
Lo stage della delegazione brasiliana in Italia e il seminario conclusivo
Giorgio Macario
V
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L’ITALIA E IL BRASILE PER IL BENESSERE DELL’INFANZIA NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
157
La Commissione per le adozioni intenrazionali e le collaborazioni
a livello internazionale. L’Italia e il Brasile
Daniela Bacchetta
165
La cooperazione internazionale e il ruolo tecnico-operativo
della Commissione. Il ruolo degli enti autorizzati
Maria Teresa Vinci
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
171
La condizione giuridica dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.
Normativa italiana e contesto giuridico europeo
Maurizio Millo
181
Complessità e specificità dell’essere adolescenti. Le adozioni internazionali
Gustavo Pietropolli Charmet
191
L’intervento nelle situazioni di difficoltà e il lavoro con i genitori adottivi
Graziella Fava Vizziello e Elisa Bisoni
199
La trasformazione-innovazione delle strutture di accoglienza.
Il caso degli Innocenti
Giorgio Macario
207
I rapporti fra servizi sociali e autorità giudiziaria minorile
con particolare riferimento al procedimento di adozione
Vincenzo Starita
221
La preparazione della coppia che adotta, l’ingresso del bambino in famiglia
e le specificità della preadolescenza e dell’adozione di fratelli
Antonio D’Andrea
229
“Con i bambini in testa ai pensieri”. Informare e preparare all’adozione
Patrizia Buratti
235
Le politiche sociali per la tutela dell’infanzia e le indagini psicosociali
Carmine Pascarella
243
Il postadozione. Metodi e strumenti degli operatori delle adozioni in Italia
Marina Farri
VI
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INDICE
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
249
Apertura del Seminario nazionale congiunto fra Italia e Brasile
Carlo Giovanardi
251
Saluti e osservazioni conclusive del coordinatore dell’Autorità centrale
brasiliana (ACAF)
Patricia Lamego
255
La soggettività nelle dinamiche interculturali. Il mondo delle adozioni
Giuseppe Milan
265
Confronto conclusivo tra gli operatori brasiliani e italiani:
le due tavole rotonde
a cura di Valentina Ortino
273
Conclusioni del Seminario nazionale e dello stage in Italia
Daniela Bacchetta
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
275
Il resoconto della delegazione brasiliana
APPENDICE
315
Programma stage delegazione italiana in Brasile
323
Programma stage delegazione brasiliana in Italia e seminario conclusivo
congiunto Italia-Brasile
329
Delegazione italiana per stage in Brasile
330
Delegazione brasiliana per stage in Italia
VII
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Prefazione
Carlo Giovanardi
Presidente della Commissione per le adozioni internazionali
L’intervento nei diversi contesti internazionali rappresenta una realtà connaturata alla stessa istituzione della Commissione per le adozioni internazionali.
Perché le adozioni internazionali possano realizzarsi nel migliore dei modi
è infatti necessario intrattenere una fitta rete di rapporti internazionali, in particolare con i Paesi di origine interessati. In alcuni casi questi rapporti includono anche contributi formativi, progettati e realizzati sia nei Paesi di origine,
sia in Italia. La Commissione si è posta da molto tempo l’obiettivo di offrire a
gruppi di operatori italiani – in massima parte psicologi ed assistenti sociali
dei servizi territoriali, oltre ad alcuni magistrati – l’occasione di contatti diretti con i Paesi d’origine, per meglio favorire una conoscenza diretta dei Paesi di
provenienza dei bambini adottati in Italia.
È così che fra il 2003 e il 2004 sono stati realizzati quattro stage in Paesi
dell’Europa dell’Est (Bielorussia, Romania, Bulgaria e Ungheria), documentati
da una specifica pubblicazione – il quaderno n. 4 della collana Studi e Ricerche
– e da altrettanti filmati riuniti in un dvd.
A distanza di alcuni anni, con questa nuova esperienza è stato fatto un consistente passo in avanti, soprattutto di tipo metodologico. Si è riusciti infatti a
realizzare un’attività formativa congiunta con il Brasile, uno dei più importanti Paesi di origine dell’America Latina dei bambini adottati in Italia.
Potenza mondiale di primo piano, il Brasile vede anche una presenza di italiani molto consistente – lo stesso Ministro competente in materia di adozioni
nel periodo degli stage è di origine italiana – e ciò ha indubbiamente favorito
una forte sintonia e l’instaurarsi di un clima di particolare cordialità.
La specificità innovativa della formazione realizzata, rispetto al passato, consiste nella reciprocità dello scambio di esperienze realizzato. Se infatti nel settembre 2009 è stata la delegazione italiana a formarsi negli Stati di San Paolo,
Bahia e Minas Gerais, nel gennaio 2010 i rappresentanti delle CEJAI di questi
Stati, unitamente all’Autorità centrale (ACAF) guidata da Patricia Lamego, si
sono recati a Firenze, Bologna e Roma per un’analoga esperienza.
Il seminario formativo finale congiunto, presenti tutti e due i gruppi di 2530 partecipanti per Paese, ha concluso questa formazione con reciproca e
consistente soddisfazione.
Questo volume e il dvd allegato documentano adeguatamente questa preziosa esperienza e ne costituiscono un valore aggiunto.
IX
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Introduzione
Giorgio Macario
Formatore e psicosociologo, responsabile scientifico e formativo
dello stage italo-brasiliano, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
Questo volume interamente dedicato alla formazione nazionale per la L.
476/1998 è il quinto a essere realizzato per la puntuale documentazione delle
attività formative poste in essere dalla Commissione per le adozioni internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze dall’avvio dei
percorsi formativi nel 2001. Il secondo specificamente dedicato alla formazione nazionale realizzata all’estero.
Il taglio analitico utilizzato nell’articolazione dei contributi realizzati in apertura delle diverse parti, consente una maggiore sintesi in sede introduttiva.
E la stessa introduzione di un testo a partire dal titolo che gli è stato assegnato, come verrà fatto in questo caso, appare il modo migliore per illustrare
rapidamente i tratti essenziali e più significativi di un’esperienza che si è concretamente svolta nell’arco di un anno circa, ma fra fasi progettuali preliminari e documentazione successiva con materiali sia scritti che audio visuali, ha
richiesto circa tre anni di tempo.
L’Italia e il Brasile per il benessere dell’infanzia nelle adozioni internazionali – Innovazioni formative e scambio di esperienze è un titolo poco sintetico
ma, crediamo, molto esplicativo.
Essere a favore del benessere dell’infanzia per due Paesi, come il Brasile e
l’Italia, che hanno firmato la Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia
nello stesso giorno, mese e anno, ratificandola a pochi mesi di distanza, appare quasi scontato.
Confermare questa collaborazione su un tema sicuramente importante ma
anche delicato come le adozioni internazionali, oltre a non essere per niente
scontato, intende sottolineare uno sforzo congiunto di entrambi i Paesi. Volto
da un lato a occuparsi del benessere dei propri bambini entro i confini nazionali mediante l’attivazione di tutti gli strumenti di supporto, sostegno e promozione individuabili. Orientato d’altra parte a sostenere nella maniera
migliore e secondo il principio di sussidiarietà, la stessa possibilità che un
bambino del proprio Paese, per il quale non si trova una famiglia disponibile,
possa trovarla nell’altro Paese.
Questo discorso di carattere generale viene concretizzato, nel caso preso in
considerazione in questo volume, nella promozione da un lato di innovazioni
formative e nella realizzazione dall’altro di uno scambio di esperienze.
XI
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L’ITALIA E IL BRASILE PER IL BENESSERE DELL’INFANZIA NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Entrambi i concetti rimandano a una concezione dell’attività formativa non
certo statica e unicamente orientata all’acquisizione di conoscenze, quanto a
una formazione dinamica e attiva. Si tratta, in altre parole, di una “formazione-intervento” che eredita dalla ricerca-azione tutti quegli elementi che rendono possibile un rapporto più equilibrato fra teoria e prassi, nella ormai consueta direzione “prassi-teoria-prassi”.
Puntando al contempo a un accrescimento delle competenze professionali, a
un arricchimento delle capacità di comprensione delle dinamiche relazionali e a
una valorizzazione della sfera emotiva per una migliore vicinanza empatica, da
parte degli operatori, al bambino adottato e alla nuova famiglia adottiva.
L’innovazione introdotta in questa prima esperienza formativa congiunta
riguarda la possibilità di concretizzare una proposta di scambio di esperienze
organizzata in modo paritetico, a partire da una progettazione semi-strutturata che tenga adeguatamente in considerazione le caratteristiche strutturali,
organizzative e culturali dei due Paesi.
La condivisione dello sforzo progettuale preliminare; la messa a punto
degli obiettivi formativi e delle aree di interesse specifico realizzata dal Paese
che invia la propria delegazione (nel caso del primo stage, l’Italia; per il secondo stage, il Brasile); la stesura di un programma formativo proposto dal Paese
che accoglie la delegazione (sempre relativamente al primo stage, il Brasile;
per il secondo stage, l’Italia); l’adeguamento degli strumenti e delle metodologie prefigurate alle concrete possibilità di incontro preliminare e di raccordo
nei rispettivi Paesi; la realizzazione di un seminario conclusivo congiunto e,
infine, la concretizzazione di una azione documentale possibilmente sia scritta che audiovisuale, rappresentano in grande sintesi i diversi step di un percorso comune. Percorso nel quale sia il Paese di origine che il Paese di accoglienza finalizzano realmente il proprio intervento al “benessere dell’infanzia
nelle adozioni internazionali”, mettendo a disposizione – reciprocamente –
professionalità, competenze e risorse.
Il volume è stato organizzato sostanzialmente in due parti, precedute da un’analisi delle premesse dell’azione formativa, e con allegato un dvd che raccoglie
sia la documentazione scritta integrativa, che la documentazione audiovisuale.
Le premesse enucleate sono funzionali a rendere conto della concreta
costruzione progettuale del percorso formativo, che ha visto l’utilizzazione
sinergica delle diverse occasioni di incontro internazionale fra i due Paesi. Si è
reputata utile questa analisi preliminare proprio per favorire concrete – certo
non identiche, ma analoghe – riproposizioni di un tale percorso per un utile
raccordo fra Paesi di origine e Paesi di accoglienza.
XII
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INTRODUZIONE
La prima parte, denominata Lo stage in Brasile, propone la documentazione non tanto e non solo di quanto è stato visto e discusso dalla delegazione
italiana in Brasile, quanto dei diversi “sguardi” possibili attraverso i quali leggere l’esperienza: quello formativo; quelli professionali di area sociale, psicologica e giuridica, intrecciati con gli “sguardi emozionali”; quello antropologico e, infine, gli sguardi del Paese ospitante, nelle diverse considerazioni dei
rappresentanti dello Stato di San Paolo, di Bahia e del Minas Gerais.
La seconda parte, inerente Lo stage in Italia, si concentra su un’analisi a
tutto campo dell’esperienza realizzata in Italia, compreso il seminario conclusivo congiunto; sullo “stato dell’arte” delle adozioni internazionali in
Italia, così come è stato tratteggiato nelle prime due giornate intensive dello
stage dedicato alla delegazione brasiliana, nel quale sono intervenuti fra l’altro eminenti studiosi e operatori esperti provenienti da tutto il territorio
nazionale; su elementi di sintesi tratti dal Seminario conclusivo congiunto
Brasile-Italia; e, infine, sullo stage in Italia visto dalle delegazioni di San
Paolo, di Bahia e del Minas Gerais, con considerazioni e analisi realizzate portando a sintesi le osservazioni dello “espaço rational” e dello “espaço emotional” del “caderno de viagem” appositamente predisposto come strumento per le delegazioni ospiti.
Nel dvd allegato al volume sono presenti diversi documenti e interventi di
approfondimento fra cui il dossier sulla Repubblica Federale del Brasile appositamente predisposto per la preparazione della delegazione italiana in vista
del primo stage; alcune leggi brasiliane tradotte in italiano, e fra queste la
legge n. 12.010 del 3 agosto 2009 tradotta in tempo reale dalla Commissione
per le adozioni internazionali durante lo svolgimento dello stage in Brasile; il
documento della campagna dell’Associazione dei magistrati brasiliani (AMB)
sull’adozione di minori, dal titolo Mude um destino, anch’esso tradotto in italiano; e, infine, alcuni approfondimenti dai diversi ambiti territoriali visitati
dalla delegazione brasiliana a Firenze, Bologna e Roma.
Ma soprattutto il dvd consente di visionare, e utilizzare in attività formative e informative, due filmati costruiti appositamente sulle esperienze di stage
in Brasile e in Italia. Da sottolineare il fatto che in questa occasione, a differenza della precedente esperienza formativa nell’Europa dell’Est di cinque
anni prima, gli stessi materiali video sono stati girati in massima parte dal
regista che ha accompagnato la realizzazione dell’esperienza formativa, innalzando fortemente il livello qualitativo delle riprese.
I ringraziamenti che concludono questa sintetica introduzione sono sentiti
e riguardano, al pari del lavoro formativo realizzato, sia il Brasile che l’Italia.
XIII
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L’ITALIA E IL BRASILE PER IL BENESSERE DELL’INFANZIA NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI
La Commissione per le adozioni internazionali, con il supporto costante
della Segreteria tecnica, è stato il vero motore propulsore dell’intera iniziativa, promuovendola e sostenendola costantemente, fra l’altro, in tutti gli incontri internazionali che hanno preceduto la sua realizzazione.
L’Istituto degli Innocenti di Firenze, che segue la concreta attuazione delle
attività formative fin dal principio, ha messo in campo tutte le risorse professionali, amministrative e organizzative necessarie alla realizzazione di un percorso di alta formazione, quale quello realizzato.
L’Autorità centrale brasiliana (ACAF), particolarmente tramite la sua coordinatrice, ha presenziato a tutte le diverse fasi del lavoro formativo, riconoscendo importanza all’iniziativa e sostenendola come autorità federale.
Le Autorità dei singoli Stati brasiliani partecipanti (tramite i vertici delle
rispettive CEJA e CEJAI), di San Paolo, di Bahia e del Minas Gerais hanno aderito con entusiasmo al progetto, predisponendo fra l’altro un’accoglienza
calda ed ai massimi livelli, oltre ad assicurare collaborazioni e contributi competenti in tutte le fasi dei lavori.
L’Agenzia regionale adozioni internazionali della Regione Piemonte (ARAI)
ha poi sostenuto l’iniziativa, in particolare per la realizzazione dello stage in
Brasile.
E ancora tutti gli enti autorizzati accreditati in Brasile hanno contribuito alla
preparazione dello stage brasiliano e alla sua realizzazione, con un particolare ruolo di supporto organizzativo in loco svolto da AIBI a San Paolo, da ARAI
a Bahia e dal CIFA a Belo Horizonte nel Minas Gerais.
Così come le autorità locali e regionali di riferimento a Firenze (con la
Regione Toscana), a Bologna (con la Regione Emilia-Romagna) e a Roma (con
la Regione Lazio) sono intervenute nella realizzazione della parte decentrata
dello stage brasiliano in Italia.
Ma al di là e oltre le istituzioni e le organizzazioni citate, sono le persone
che hanno preso a cuore l’iniziativa fin dalle fasi iniziali che hanno costituito il
vero “valore aggiunto” del percorso formativo.
Sono i partecipanti della delegazione italiana presenti allo stage in Brasile, e
i partecipanti della delegazione brasiliana presenti allo stage in Italia (spesso
reciprocamente impegnati nel favorire la migliore accoglienza possibile dei colleghi), coloro ai quali credo debba andare il più sentito ringraziamento per aver
trasformato questa esperienza in una vera e propria formazione partecipata.
Avendo sempre in mente, oltre alla centralità del bambino adottato, la condizione dell’infanzia e dell’adolescenza nei rispettivi Paesi.
XIV
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Le premesse
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Le premesse dello scambio di esperienze
Italia-Brasile e la costruzione del progetto formativo
Giorgio Macario
Formatore e psicosociologo, responsabile scientifico e formativo dello stage italobrasiliano, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
(…) fare del corso della vita il cammino del proprio apprendere, il corso della scuola della vita (…).
Nient’altro, dunque, che vivere se stessi in formazione e in trasformazione1.
(…) quanto più si sostengono i percorsi formativi per
tutti coloro (giudici, operatori sociali, psicoterapeuti) che
approcciano le famiglie che “osano adottare”, tanto più
si concorre al benessere sociale2.
1. Gli stage formativi
realizzati con l’Europa
dell’Est nel 2003/2004
Le attività formative internazionali promosse dalla Commissione per le adozioni internazionali negli anni 2003 e 2004, con il contributo dell’Istituto degli
Innocenti di Firenze, sono state realizzate in un contesto internazionale in
costante movimento e hanno rappresentato la prima concreta sperimentazione di un dispositivo formativo non esclusivamente nazionale.
Infatti, dopo la realizzazione di una formazione estensiva, che ha consentito negli anni 2001 e 2002 di affrontare il complesso iter dell’adozione a seguito dell’entrata in vigore della L. 476/1998 e di concretizzare significativi approfondimenti disciplinari di tipo organizzativo, giuridico, psicologico e socioculturale, la prima iniziativa che ha visto gruppi italiani all’estero, di formazione
intensiva, è consistita in un percorso di formazione-formatori rivolto a gruppi
selezionati di psicologi e assistenti sociali esperti provenienti da tutta Italia,
oltre che ad alcuni giudici togati dei tribunali per i minorenni. Tale percorso,
realizzato nel 2003-2004 era finalizzato ad accrescere le conoscenze per la
comprensione del percorso adottivo “su estero”, appunto, e per la divulgazione presso i colleghi in ambito regionale dei possibili miglioramenti qualitativi
in termini di specifici accorgimenti e procedure attivabili.
1 Quaglino, G.P., La scuola della vita. Manifesto della terza formazione, Milano, Raffello Cor tina, 2011.
2 Scabini, E., Cigoli, V., Il legame adottivo: una forma radicale di genitorialità, in Rosnati, R.
(a cura di), Il legame adottivo. Contributi internazionali per la ricerca e l’intervento, Milano,
Unicopli, 2010.
3
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LE PREMESSE
Il volume pubblicato nel 2005 dalla stessa Commissione per le adozioni
internazionali3 ha permesso di documentare in maniera puntuale e significativa lo svolgimento di questa formazione.
Mediante tale percorso sono stati raggiunti alcuni fra i principali obiettivi
formativi che erano stati posti, fra cui: la migliore conoscenza del sistema di
protezione dell’infanzia e del sistema organizzativo nel Paese di provenienza
del bambino adottato, il confronto sulle modalità di realizzazione di una piena
sussidiarietà degli interventi per le adozioni internazionali, gli approfondimenti sul percorso delle coppie nel Paese di origine e le specifiche indicazioni
e accorgimenti adottabili sulla base delle esigenze espresse dalle Autorità
straniere.
Il percorso di formazione-formatori si è articolato in una prima fase di sensibilizzazione sui versanti conoscitivi e metodologici per la messa a punto
degli strumenti utilizzati, in una seconda fase di stage all’estero in Bielorussia,
Bulgaria, Romania e Ungheria – dalle quali proveniva nel periodo preso in considerazione circa il 25% dei bambini adottati in Italia4 –, e in una terza fase
seminariale di approfondimento svolta in Italia. L’anno successivo è proseguito, a lavoro formativo nazionale concluso, con incontri e presentazioni a livello regionale per una valorizzazione ed estensione delle conoscenze acquisite.
Tale lavoro di diffusione delle conoscenze è stato agevolato anche dall’utilizzo della documentazione filmata delle esperienze di stage, raccolta in un
apposito dvd che è stato prodotto proprio con finalità di documentazione per
l’utilizzo in ambito formativo. Il materiale audiovisuale, diffuso in diverse centinaia di copie presso i servizi territoriali per l’adozione in tutta Italia, presso
gli enti autorizzati e i tribunali per i minorenni, ha un’origine essenzialmente
amatoriale con un montaggio realizzato successivamente dallo staff con l’ausilio di un regista professionista, inaugurando una metodologia innovativa per
la documentazione del lavoro formativo5.
Questo percorso formativo, che si è svolto ormai diversi anni fa, rappresenta di fatto la base progettuale e metodologica da cui si è partiti per configurare una proposta formativa più avanzata e compiuta, che ha impiega-
3 Commissione per le adozioni internazionali, L’operatore oltre frontiera. Percorsi dell’adozione
internazionale nei Paesi di origine. L’Europa orientale, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2005 (Studi
e ricerche, n. 4).
4 Nel frattempo tale percentuale di ingressi è scesa drasticamente, posizionandosi a poco più del
7% nel 2010. Cfr. Commissione per le adozioni internazionali, Dati e prospettive nelle adozioni internazionali. Rapporto della Commissione per le adozioni internazionali sui fascicoli dal 1° gennaio al
31 dicembre 2010, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2008.
5 Tale modalità, come documentato in questo volume, sarà ulteriormente perfezionata in occasione del progetto formativo Italia-Brasile.
4
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LE PREMESSE DELLO SCAMBIO DI ESPERIENZE ITALIA-BRASILE
E LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO FORMATIVO
to un tempo non breve per essere meditata e rielaborata, quindi proposta
agli interlocutori brasiliani, e infine concretamente realizzata nel periodo
2009-2010.
Nel frattempo, naturalmente, oltre all’ordinaria amministrazione delle moltissime attività gestite dalla Commissione per le adozioni internazionali, è proseguita sia la realizzazione delle attività formative nazionali6, sia lo svolgimento di alcune iniziative formative destinate a rappresentanze di Paesi di origine7, ma lo sforzo progettuale e innovativo più consistente si è concentrato
sull’attività formativa documentata in questo volume.
Sono molti i fattori che erano già stati concretamente presi in considerazione nell’esperienza passata, ma saranno fortemente riconsiderati per la progettazione della nuova attività formativa.
Fra questi: la delineazione più puntuale possibile dei temi e dei problemi
da porre al centro dell’attenzione durante il lavoro formativo; la prefigurazione degli obiettivi formativi e le modalità possibili per aggregarli in modo tale
da rendere più efficace non solo la consapevolezza soggettiva della loro
importanza ma anche il successivo conseguimento e la loro verificabilità; l’articolazione degli strumenti formativi utilizzabili sia nelle sessioni di lavoro preparatorie, sia in quelle realizzate all’estero; l’attenzione specificamente dedicata alle fasi di documentazione per rendere possibile la maggior diffusione
possibile dell’esperienza realizzata al di là e oltre il necessariamente contenuto numero di partecipanti.
2. Il seminario europeo
I servizi per il
postadozione in Italia
e in Europa
L’11 aprile del 2008 la Commissione per le adozioni internazionali, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, ha promosso a Firenze un
seminario europeo sui servizi per il postadozione che si è posto diversi obiettivi, fra i quali la diffusione degli esiti del lavoro formativo nazionale sul tema
condotto nell’anno precedente; il confronto e l’approfondimento con esperti
europei in particolare per arricchire il dibattito culturale fra i Paesi di accoglienza; l’allargamento della discussione a delegazioni internazionali di signi-
6 Basti citare le pubblicazioni realizzate nel frattempo: Commissione per le adozioni internazionali, Il postadozione fra progettazione e azione. Formazione nelle adozioni internazionali e globalità del percorso adottivo, a cura di G. Macario, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2008 (Studi e ricerche, 7); Commissione per le adozioni internazionali, La qualità dell’attesa nell’adozione internazionale. Significati, percorsi, servizi, a cura di G. Macario, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2010 (Studi e
ricerche, 10). È attualmente in preparazione un’ulteriore pubblicazione relativa ai seminari di approfondimento nazionali realizzati nel corso del 2009 e del 2010.
7 Fra le altre, la formazione per la Repubblica Socialista del Vietnam nel 2009 e la formazione per
la Repubblica del Gambia nel 2010.
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LE PREMESSE
ficativi Paesi di origine per sottolineare la qualità del sostegno ai bambini
adottati e alle nuove famiglie adottive in Italia.
Già dall’intervento di saluto della coordinatrice dell’Autorità brasiliana
Patricia Lamego, è emersa la centralità del rapporto tra i due Paesi in tema di
adozioni internazionali.
È un grande piacere per me essere qui oggi e partecipare a questo evento. In
primo luogo voglio […] esprimere l’auspicio che questo evento possa contribuire a
rafforzare la cooperazione tra il Brasile e l’Italia. […] L’Italia è al primo posto per numero di bambini brasiliani adottati […] e gli enti italiani accreditati con cui collaboriamo sono 15. […] I casi di adozione internazionale in Brasile ammontano a circa
400 all’anno […], su una popolazione totale pari a 200 milioni di abitanti. […] Per
quanto riguarda i servizi nel postadozione, siamo molto interessati a sapere come
funzionano in Italia e che tipo di sostegno viene offerto ai minori e alle famiglie. È
chiaro che gli enti svolgono un ruolo importante perché fungono da collegamento
tra il Brasile e il Paese di accoglienza del minore e proprio per questa ragione cerchiamo di operare a stretto contatto con questi enti e vorremmo sviluppare un sistema di cooperazione che ci consenta, di concerto con lo stato ospite, di seguire il
periodo di postadozione e di fornire tutto il supporto necessario al minore8.
Quanto citato nell’intervento, chiaramente connesso in modo particolare al
tema dell’incontro che riguardava i servizi per il postadozione, unitamente al
clima di grande cordialità che ha informato lo stesso incontro specifico fra i
vertici della Commissione e le singole delegazioni, ha permesso di introdurre
al meglio – e con un contatto diretto e personale, spesso risolutivo in questi
frangenti – la presentazione della bozza dell’attività formativa e di scambio di
esperienze proposta fra i due Paesi.
Passaggio non certo risolutivo, ma determinante, per procedere oltre.
La difficoltà di elaborare una proposta progettuale sufficientemente definita per poter essere presa in seria considerazione, ma anche sufficientemente
“aperta” per poter raccogliere e valorizzare le specifiche indicazioni dei colleghi brasiliani, ha portato a continui aggiustamenti soprattutto per quanto
riguardava lo stage dei brasiliani in Italia, ma anche in riferimento alla costruzione dello specifico programma dello stage degli italiani in Brasile, nonché alla
definizione degli Stati concretamente individuabili per la realizzazione concreta dello scambio. Già nella bozza 2008 del progetto infatti si è avanzata l’ipotesi del coinvolgimento degli Stati di San Paolo e del Minas Gerais, perché ritenuti particolarmente significativi per le adozioni internazionali con l’Italia, ma
per l’indicazione definitiva dovevano trascorrere ancora diversi mesi.
8 Deregistrazione dell’indirizzo di saluto pronunciato da Patricia Lamego a Firenze l’11 aprile 2008.
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LE PREMESSE DELLO SCAMBIO DI ESPERIENZE ITALIA-BRASILE
E LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO FORMATIVO
Si è andata così delineando una proposta di gruppo misto di progettazione, che avrebbe forzatamente operato “a distanza” per le comprensibili difficoltà logistiche, e che avrebbe articolato al meglio le specifiche del programma. Ma, giunti a questo passaggio, si era ancora distanti dalla concretizzazione del progetto formativo, e la nuova bozza, aggiornata all’incontro dell’aprile 2008, verrà quindi fatta pervenire all’Autorità centrale brasiliana nei mesi
successivi al convegno europeo.
3. Il primo meeting
Brasile-Italia
delle Autorità centrali
con gli enti autorizzati
per le adozioni
internazionali
Il primo meeting fra Autorità centrali di Brasile e Italia con gli enti autorizzati viene realizzato il 4 e 5 dicembre 2008 a Brasilia. La coordinatrice dell’ACAF (Autoridade Central Administrativa Federal), anche a seguito degli
incontri realizzati in Italia nell’aprile precedente e dopo l’opera di sensibilizzazione in tal senso dei vertici della Commissione, estende l’invito anche al
referente scientifico e formativo del progetto.
Questo primo meeting italo-brasiliano si è svolto ai massimi livelli, con la
presenza non solo della coordinatrice dell’Autorità centrale brasiliana Patricia
Lamego e della vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali italiana Daniela Bacchetta, ma con l’apertura dello stesso ministro per i
diritti umani, competente in materia – peraltro con antenati italiani –, Paolo
Vannucchi.
L’incontro di Brasilia si è rivelato estremamente prezioso per diversi motivi.
Innanzitutto ha consentito una migliore conoscenza della realtà brasiliana
in riferimento alle adozioni internazionali, facendo emergere tematiche e nodi
problematici attuali e favorendo in tal modo una contestualizzazione e un affinamento degli argomenti e degli obiettivi ipotizzabili per l’attività formativa. In
secondo luogo ha favorito un ricchissimo approfondimento sull’operato degli
enti autorizzati italiani, presenti con i presidenti e con i rappresentanti brasiliani. Dalle esposizioni effettuate è risultato più chiaro il loro intervento concreto nei diversi Stati e la consistenza dei progetti gestiti in toto o cogestiti con
altri enti. Ed è così che, una volta decise le destinazioni in Brasile, la stessa
richiesta di collaborazione per la migliore riuscita dell’intervento formativo
rivolta agli enti autorizzati ha potuto avere una base più solida.
In terzo luogo il meeting ha permesso agli esponenti della Commissione e
al responsabile scientifico e formativo del progetto di conoscere personalmente e ascoltare i diversi responsabili delle CEJA e CEJAI di molti Stati membri della Repubblica federale del Brasile. È così che i massimi rappresentanti
delle CEJAI degli Stati di Alagoas, del Distretto federale, del Mato Grosso du
Sul, del Parà, del Paranà, di Santa Catarina e di Rio de Janeiro hanno illustra7
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LE PREMESSE
to la situazione del loro Stato rispetto alle adozioni internazionali e alle tematiche in discussione nel meeting, migliorando la conoscenza di gran parte
degli Stati maggiormente coinvolti nelle adozioni internazionali. Ma, soprattutto, è così che la delegazione italiana ha potuto conoscere e ascoltare Raul
Khirillah de Oliveira e Silva, segretario esecutivo della CEJAI dello Stato di San
Paolo, e Daniela Guimares Andrade Gonzaga, presidente della CEJA dello
Stato di Bahia, che saranno due dei maggiori esponenti coinvolti nel progetto
di formazione e scambio fra i due Paesi.
Dai contatti che si sono concretizzati in particolare al di fuori delle sessioni
in plenaria del meeting, sono emersi diversi elementi utili a comprendere
meglio i possibili sviluppi del progetto formativo: la nuova legislazione sulle
adozioni, anzitutto, con emendamenti al testo fondamentale dell’ECA, e cioè
lo Statuto del bambino e dell’adolescente (legge 8.069 del 1990), che diventa
effettivamente operativa subito prima della realizzazione dello stage in Brasile
(legge 12.010 del 20099), costituendo di fatto uno degli argomenti centrali
affrontati in quella sede.
Si è parlato poi della possibile composizione del gruppo brasiliano, sia in
riferimento alla professionalità, che alle possibili partecipazioni dei diversi
Stati. Rispetto alle professionalità è stato subito chiaro che il ruolo dei giudici
è in Brasile molto più esteso e pervasivo non solo nel procedimento adottivo
ma anche in tutto il sistema dei servizi alla persona, e che quindi la loro partecipazione sarebbe stata più estesa rispetto a quella del gruppo italiano.
Subito dopo si è parlato del ruolo degli assistenti sociali e degli psicologi,
ugualmente importanti e quindi secondo gruppo di target da tenere in considerazione. Per quanto riguarda invece l’individuazione delle destinazioni,
accanto alla proposta iniziale di San Paolo e del Minas Gerais, sono state
avanzate le ipotesi di Bahia, Santa Catarina, Rio Grande du Sul e Paranà,
escludendo Brasilia per la sua particolarità, senza che fossero peraltro espresse specifiche preferenze in merito.
Ma è emersa anche una specifica criticità da tenere in considerazione, rappresentata dalle dimensioni del Brasile e dal numero altissimo di operatori
sia giudiziari che psicosociali coinvolti in questi percorsi, tanto che venivano
riferite come non infrequenti iniziative per 1.000-1500 partecipanti. Dal punto
di vista tecnico-professionale si è subito osservato che con numeri del genere sono più frequenti momenti di confronto allargato piuttosto che sessioni
formative; in ogni caso, dovendo rispettare un budget fissato per la realizzazione dell’iniziativa, economicamente supportata in toto dall’Italia, e per
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Per la traduzione in italiano vedi i riferimenti legislativi nel dvd allegato al volume.
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LE PREMESSE DELLO SCAMBIO DI ESPERIENZE ITALIA-BRASILE
E LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO FORMATIVO
motivi di ordine metodologico e qualitativo, è stato chiarito che 25 era il
numero massimo possibile dei partecipanti. Analogo peraltro alla partecipazione italiana. L’elemento che è stato specificamente apprezzato dall’Autorità brasiliana è stato il riferimento alle caratteristiche dell’intervento
formativo come “formazione-formatori”, che lo rende significativo per un successivo allargamento degli esiti mediante materiali di documentazione e
riproposizione di iniziative allargate che possano favorire consistenti ricadute a livello territoriale.
Ci si è quindi lasciati con un’ipotesi di ulteriori contatti per verificare la fattibilità del progetto e una prima prefigurazione del periodo di svolgimento
della prima fase del progetto fra maggio e luglio 2009.
4. La concretizzazione
della proposta
mediante i contatti
con le CEJA e le CEJAI
degli Stati prescelti
Nonostante la positività degli step descritti fino a ora, con il passare dei
primi mesi del 2009 si è assistito a una sorta di empasse legata in particolare
alla scelta degli Stati da privilegiare per la concreta realizzazione dell’iniziativa. Il gran numero di Stati che costituiscono la Repubblica federale del Brasile
e le specifiche autonomie che sono riconosciute a ciascuno di questi non
hanno reso certo agevole l’individuazione degli Stati partner. È per questo
motivo che la scelta strategica della Commissione per le adozioni internazionali ha riguardato una valutazione in gran parte orientata alla migliori “garanzie di fattibilità” e alle più concrete possibilità di “realizzazione tecnico-formativa”. D’altra parte negli incontri a Brasilia i primi contatti con i responsabili della CEJAI di San Paolo e della CEJA di Bahia avevano già in parte prefigurato una forte condivisione dello spirito dell’iniziativa e un consistente gradimento della stessa.
Sono stati avviati, quindi, rapporti diretti fra la Commissione e le diverse
Autorità di riferimento dei singoli Stati (la CEJAI di San Paolo, la CEJA di Bahia
e la CEJA del Minas Gerais) che hanno risposto positivamente alla proposta,
consentendo all’Istituto degli Innocenti di procedere oltre nell’organizzazione
tecnico-logistico-formativa e costruendo in tal modo un rapporto diretto indispensabile per completare e dare concretezza alla progettualità formativa sia
per gli aspetti relativi allo svolgimento dello stage italiano in Brasile, sia per
l’effettuazione del successivo stage brasiliano in Italia.
È stata quindi confermata la composizione del gruppo italiano, che ha visto
la partecipazione di 16 rappresentanti delle Regioni (tre referenti regionali nel
caso di Basilicata, Liguria e Friuli Venezia Giulia, sia assistenti sociali che psicologi come formazione base; sei assistenti sociali in rappresentanza di
Calabria, Campania, Toscana, Umbria, Provincia autonoma di Trento e di Bol 9
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LE PREMESSE
zano; e infine sette psicologi per Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Molise,
Sicilia, Veneto e Valle d’Aosta) e tre giudici provenienti dai Tribunali per i minorenni di Milano (il presidente, in questo caso), di Roma e di Salerno. Lo staff
era costituito dal responsabile scientifico e formativo del progetto, oltre a due
tutor esperti in rapporti internazionali e un referente amministrativo
dell’Istituto Innocenti, per tutte le necessità ordinarie e straordinarie connesse alla gestione economica di un’impresa non semplice come lo spostamento
di 25 persone in tre Stati diversi nell’arco di una settimana. Una citazione a
parte merita la presenza di un operatore video, che aveva già collaborato alla
realizzazione dei filmati per gli stage in Europa orientale, e che ha collaborato
alle riprese direttamente in loco, per una migliore qualità dello strumento
audiovisuale già previsto a integrazione della documentazione complessiva
dell’iniziativa10.
Gli enti autorizzati, che nei percorsi formativi nazionali sono parte integrante del target dei partecipanti, hanno svolto in questo caso un ruolo più
“esperto” di supporto, perché la fase dell’adozione internazionale che si realizza all’estero li vede protagonisti non solo nei contatti con le Autorità del
Paese di origine ma in tutte le attività di supporto e di sostegno previste per
la coppia, dalle specifiche fasi informative all’abbinamento con il/i bambino/i
da adottare, fino al rientro in Italia della nuova famiglia adottiva. È per questo
motivo che tutti gli enti autorizzati accreditati in Brasile e operativi nei tre Stati
prescelti sono stati preventivamente contattati e si sono attivati in particolare
durante la realizzazione dello stage in Brasile per favorirne la migliore riuscita. In tutti e tre gli Stati, poi, è stato chiesto un supporto specifico a uno degli
enti particolarmente presente e attivo nel Paese11, realizzando in tal modo una
collaborazione sicuramente significativa. Collaborazione che, nel caso dell’ente autorizzato ARAI – unico ente autorizzato pubblico esistente in Italia, diretto da Anna Maria Colella, peraltro presente in Brasile in qualità di esperto – è
stata estesa alla realizzazione complessiva di tutto l’intervento formativo, prevedendo anche uno specifico stanziamento integrativo.
Con i diversi passaggi che sono appena stati sintetizzati si sono poste le
premesse per l’inizio di un’avventura formativa che, come si vedrà nella pro-
10 La presenza di un regista fin dalle riprese realizzate, che consente un notevole miglioramento
qualitativo del materiale girato, rappresenta un indubbio “apprendimento dall’esperienza” rispetto
all’esperienza formativa di sei anni prima ed è stata possibile grazie alla disponibilità della
Commissione nel sostenere le spese di partecipazione e alla disponibilità dello stesso regista a
rinunciare a una specifica retribuzione per le riprese su estero.
11 Si tratta di ARAI per quanto riguarda lo Stato di Bahia, del CIFA per lo Stato di Minas Gerais e
di AIBI per lo Stato di San Paolo.
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LE PREMESSE DELLO SCAMBIO DI ESPERIENZE ITALIA-BRASILE
E LA COSTRUZIONE DEL PROGETTO FORMATIVO
secuzione del lavoro di documentazione presentato, condurrà gruppi di esperti in tema di adozioni internazionali a sperimentare, almeno in parte, lo “spaesamento” che coinvolge sia le coppie di aspiranti genitori che si recano nello
Stato estero, sia i bambini che li seguono in un nuovo Paese. Un’esperienza
viva, soggettiva, autobiografica che, nel vissuto della gran parte dei partecipanti, per loro stessa ammissione (meglio, direi, per “nostra” stessa ammissione), ha rappresentato un arricchimento umano ed esistenziale prima ancora che formativo e professionale. Un percorso che viene offerto a tutti per condividere, almeno in parte, la buona sorte di esserne stati protagonisti.
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Lo stage in Brasile
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Lo stage della delegazione italiana in Brasile
Giorgio Macario
Formatore e psicosociologo, responsabile scientifico e formativo dello stage
italo-brasiliano, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
A Lei 8.069 de 1990 criou muito mais que uma nova justiçada
infancia e da juventude. Ela estabeleceu o estado democratico
de direito numa esfera onde esteve au sente desde nossa formaçao historica. Ela aboliu o arbitrio e o subjetivismo, consacrando
o direito e dignificando a justiça1.
No mundo juridico, è recente o interesse pelo estudo do tema
relativo a proteçao da criança e do adolescente. […] Entre os principais mecanismos previstos na atual ordem constitucional,
incontra-se o principio da dignidade da pessoa humana e o da
proteçao integral da criança e do adolescente. Este ultimo, en
seu postulado, reconhece espressamente a importancia e necessidade da convivencia familiar e social na formaçao da criança e
do adolescente2.
1. Il progetto
di formazione e scambio
di esperienze
fra gli operatori
della Repubblica federale
del Brasile (Bahia, Minas
Gerais e San Paolo)
e della Repubblica
italiana
Il titolo che era stato scelto per il progetto già un paio d’anni fa, Iniziative condivise per la promozione del benessere dell’infanzia: l’adozione
internazionale quale strumento di sussidiarietà, non ha avuto bisogno di
subire modifiche poiché, anche nelle considerazioni dei colleghi brasiliani,
ben si prestava a ribadire due capisaldi essenziali delle adozioni internazionali e, quindi, delle finalità formative ipotizzate per i principali soggetti
che sostengono l’intero percorso adottivo dal punto di vista professionale.
Promuovere il benessere dell’infanzia e considerare le adozioni internazionali una scelta residuale rispetto all’accoglienza famigliare nel proprio
Paese di origine, oltre a essere principi essenziali della stessa Convenzione
de L’Aja3, rappresentano convincimenti profondi di tutti coloro che si sono
prodigati per la migliore riuscita dell’iniziativa formativa sia in Brasile che
in Italia.
1 Antonio Fernando do Amaral e Silva in Salomao Pinto Resedá, E., Da criança e do adolescente.
Aspectos peculiares da Lei 8.069/90, São Paulo, Barauna, 2008.
2 Ferreira, W.W., Apresentaçao, in Acolhimento de crianças e adolescentes em regime de abrigo
e direito a convivencia familiar e comunitaria, Belo Horizonte, Editora B, 2008.
3 Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in
materia di adozione internazionale.
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LO STAGE IN BRASILE
1.1 Finalità
e partecipanti
allo stage in Brasile
La particolarità di questa formazione, a cui si è già accennato, è la finalizzazione del percorso formativo all’individuazione dei principali bisogni
espressi dai bambini e dagli adolescenti nel loro Paese e alla conoscenza del
tipo di risposte, in termini di servizi, sostegno e quant’altro, il sistema giuridico e sociale riesce a proporre per loro. Con una particolare attenzione rivolta
a quelle situazioni nelle quali non esistono risposte adeguate in loco, e per le
quali i bambini e i ragazzi in questione devono affrontare un viaggio che li
allontanerà dal loro ambiente di vita, per poter crescere in una famiglia che li
accolga e li aiuti a crescere.
L’attenzione ai singoli che viene dedicata in tutto il percorso delle adozioni
internazionali non riguarda solo i ragazzi che possono essere aiutati a non
subirlo passivamente, e non riguarda neanche solo i genitori adottivi, che
ugualmente possono essere sostenuti nel loro desiderio di genitorialità e nel
loro impegno a rispondere alle esigenze del bambino adottato, ma anche,
nell’intervento formativo effettuato, i diversi operatori e professionisti che si
occupano delle adozioni internazionali, protagonisti dell’apprendimento sia in
Brasile che in Italia. Per questa prima parte dell’intervento lo staff e i partecipanti italiani sono stati chiamati a prepararsi adeguatamente per poi calarsi al
meglio nella realtà brasiliana, mentre i colleghi brasiliani sono stati coinvolti
nel definire le specificità del loro Paese da approfondire e nel portare i migliori contributi possibili4.
Il progetto ha quindi inteso rispondere alla forte esigenza di conoscenza
reciproca di metodologie e prassi operative utilizzate nel lavoro quotidiano
per verificarne la condizione e garantire, per quanto possibile, la salvaguardia
e il benessere dell’infanzia e dell’adolescenza. L’adozione internazionale,
come si è accennato, non ha rappresentato l’unico punto focale del programma dei lavori, ma è stata considerata accanto alle altre modalità di intervento,
in un’ottica di sussidiarietà, come l’ultimo elemento residuale per il benessere dell’infanzia.
La valorizzazione delle prassi innovative prefigurate ha riguardato, in questa prima fase, la Repubblica federale del Brasile, relativamente agli Stati di
Bahia, Minas Gerais e San Paolo, e potrà condurre alla diffusione ulteriore di
buone prassi, in particolare per quanto riguarda le fasi che precedono l’ado-
4
Una cosa analoga, come si vedrà nella parte dedicata allo stage in Italia, accadrà per il lavoro
formativo realizzato successivamente; con l’unica differenza che l’esistenza di uno staff centrale in
Italia ha consentito una preparazione comune più accurata, mentre l’assenza di un analogo staff in
Brasile ha limitato la preparazione del gruppo brasiliano all’utilizzo più contenuto di strumenti predisposti sempre dalla staff italiano.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
zione, la preparazione delle coppie e le modalità di abbinamento, oltre alla
verifica delle esigenze espresse dalle Autorità brasiliane, con particolare riferimento alle relazioni postadottive richieste successivamente alla partenza
della nuova famiglia adottiva.
1.2 Le aree tematiche
e l’articolazione dei
lavori seminariali
La specifica attenzione alla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in
Brasile ha riguardato la messa a fuoco di alcune macro aree, quali la specificità del sistema di protezione dell’infanzia in Brasile; i principi che lo sostengono; il ruolo dell’Autorità centrale e degli organismi decentrati, quali le CEJA e
le CEJAI, particolarmente importanti nel sistema federale brasiliano; e infine il
ruolo specifico che viene assegnato agli enti autorizzati.
Diversi fattori sono stati considerati utili per la comprensione dell’intero
sistema di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza in Brasile, in particolare la
promozione di una rinnovata funzione sociale della maternità e della paternità, connessa alla diminuzione dei bambini senza tutela, al monitoraggio di
condizioni e modalità di inserimento in istituto e alla verifica del trend di crescita delle adozioni nazionali.
Facendo poi riferimento all’Intesa istituzionale di programma per un piano
pluriennale di interventi in Brasile, promossa dalla stessa Commissione per
le adozioni internazionali, è stato possibile delineare diverse aree tematiche,
successivamente e ulteriormente specificate in contenuti prioritari. Si tratta,
per quanto concerne le aree tematiche, degli aspetti socioculturali, organizzativi e metodologici che supportano la centralità del minore nel sistema di
protezione dell’infanzia; degli interventi di cooperazione e di sussidiarietà
rivolti alla deistituzionalizzazione e alle forme di accoglienza di tipo familiare
che riguardano in particolare gli adolescenti e i minori vicini alla maggiore
età, anche precedentemente istituzionalizzati; e infine del ruolo svolto dagli
operatori sociali, amministrativi e giudiziari della Repubblica federale del
Brasile negli Stati di Bahia, Minas Gerais, e San Paolo in riferimento alle varie
fasi dell’iter adottivo.
Per quanto riguarda invece i contenuti prioritari che è stato possibile individuare e concordare con i colleghi delle diverse Autorità locali coinvolte, la
lista appare piuttosto consistente. Si è andati dalla deistituzionalizzazione dei
minori grandi e la collocazione di gruppi di fratelli nella collaborazione con le
competenti Autorità del Brasile, federale e dei singoli Stati coinvolti, alla concreta attuazione di piani di scolarizzazione e di formazione professionale per i
minori di difficile adozione, al fine di consentire il loro inserimento autonomo;
dagli istituti e le diverse forme di accoglienza di tipo familiare e di affidamento familiare (realizzazione di banche dati riguardanti lo stato giuridico dei
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LO STAGE IN BRASILE
minori per gli interventi di sostegno più adeguati; la campagna nazionale dell’associazione brasiliana dei magistrati denominata Mude um destino sui problemi dei ragazzi che vivono nelle strutture di accoglienza5; ecc.) al percorso
delle coppie nel Paese di origine fino all’abbinamento e al rientro nel Paese di
accoglienza; e ancora, dall’adozione nazionale, la selezione delle coppie e il
coinvolgimento delle famiglie per prevenire le condizioni di abbandono, fino
alle diverse esperienze di cooperazione internazionale che vengono prospettate e realizzate in particolare dagli enti autorizzati italiani; per concludere,
con le attese e le aspettative dell’Autorità straniera relativamente alla presentazione delle coppie, dalla stesura delle relazioni alla realtà – come viene prefigurata in Brasile – del postadozione.
Su queste coordinate, che hanno ispirato l’avvio del lavoro formativo, si è
impostato un lavoro preliminare di preparazione di materiali conoscitivi, è
stato convocato un seminario nazionale circa due mesi prima della partenza
per il Brasile, ed è stata decisa l’articolazione dei lavori formativi in Brasile con
una prima fase comune per tutto il gruppo italiano a San Paolo, prevista dal 7
al 10 settembre 2009, e la successiva separazione della delegazione che si
sarebbe recata in parte a Bahia e in parte a Belo Horizonte nel Minas Gerais
dal 10 al 13 settembre. Partenza dall’Italia prevista per il 6 settembre e rientro
fra il 13 e il 14.
1.3 La metodologia,
gli strumenti previsti
e la messa a punto
nel seminario
preliminare
La metodologia formativa utilizzata è stata orientata alla formazione-intervento6, valorizzando al meglio la formazione-formatori già realizzata dalla
Commissione per le adozioni internazionali negli anni passati. Nella predisposizione del lavoro formativo il team di conduzione ristretto ha lavorato in sinergia con i referenti dei diversi Stati, prefigurando a distanza il programma dei
lavori per lo stage in Brasile7 e, durante la permanenza in Brasile, gli aspetti
centrali dello stage brasiliano in Italia, che sarà poi concretamente realizzato
nel gennaio del 2010.
5 “Cambia un destino”; per il progetto citato si rimanda al documento riportato nel dvd allegato
al volume.
6 Per approfondire i diversi passaggi metodologici che hanno portato alla formazione-intervento
nelle attività formative svolte nell’ambito delle adozioni internazionali negli ultimi dieci anni (dalla
formazione-orientamento alla formazione-competenza, alla formazione-elaborazione fino alla formazione-intervento), cfr. Macario, G., La formazione nazionale per le adozioni internazionali fra passato e futuro, in L’arte di formarsi, Milano, Unicopli, 2008. Per un riferimento al modello base della
formazione quadri-componenziale, applicato comunque a posteriori alla formazione per le adozioni
internazionali, cfr. Bruscaglioni, M., Formazione incisiva, in Bruscaglioni, M., Gheno, S., Il gusto del
potere. Empowerment di persone ed azienda, Milano, Franco Angeli, 2009.
7 Il programma delle giornate in Brasile è riportato in appendice al volume.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
Sono stati messi a punto e condivisi una serie di strumenti per la realizzazione delle diverse fasi formative, prefigurando un processo di valutazione
condivisa, e orientata all’autovalutazione.
La realizzazione del seminario preliminare8, che ha riunito la maggior parte
delle persone coinvolte nello stage in Brasile, ha consentito la messa a punto,
e in alcuni casi la stessa concreta costruzione, degli strumenti proposti per la
realizzazione dello stage, oltre alla suddivisione dei due gruppi per le destinazioni successive di Bahia e Belo Horizonte.
Il dossier informativo, riportato nel dvd allegato al volume, è stato costruito con diversi materiali: progetti, note informative sullo Stato del Brasile e
sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, riferimenti all’azione della
Commissione per le adozioni internazionali specialmente per gli interventi di
cooperazione internazionale, approfondimenti sulle procedure adottive e sui
singoli Stati visitati (Bahia, Minas Gerais, San Paolo), vademecum finale con
alcune informazioni utili. La costruzione del dossier ha visto all’opera sia lo
staff ristretto di conduzione, sia i rappresentanti dei tre enti autorizzati prescelti per il supporto specifico in loco.
Gli obiettivi formativi connessi allo stage, a partire da una base preelaborata compatibile con le prefigurazioni progettuali e gli elementi di fattibilità
verificati con i colleghi brasiliani, sono stati invece modificati, articolati in base
alle priorità e validati proprio nel seminario preliminare. Riguardano la conoscenza reciproca dei contesti di riferimento sia giuridici che psicosociali relativi alla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza; l’acquisizione di elementi
conoscitivi sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza nel Paese di origine, con riferimenti agli strumenti di tutela, di affidamento e di adozione nazionale; il confronto sulle migliori modalità di realizzazione di una piena sussidiarietà degli interventi di tutela con particolare riferimento alle adozioni
internazionali; l’acquisizione di conoscenze sul sistema organizzativo, metodologie e prassi operative, in particolare per quanto riguarda il sistema delle
adozioni internazionali (livello istituzionale e livello tecnico, con particolare
riferimento ai servizi sociali e alle caratteristiche delle adozioni effettuate con
questo specifico Paese di origine); l’individuazione del percorso realizzato
dalle coppie nel Paese di origine, con indicazioni di abbinamento, procedure e
rientro in Italia; e, infine, l’individuazione delle indicazioni specifiche
dall’Autorità estera per una migliore calibratura delle relazioni sulle coppie e
per una messa a punto degli strumenti del postadozione.
8 La giornata nazionale di avvio del progetto è stata realizzata a Firenze presso l’Istituto degli
Innocenti il 16 luglio 2009.
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LO STAGE IN BRASILE
In maniera analoga, anche in base agli obiettivi individuati e alle specifiche
competenze da acquisire, sono state precisate le domande chiave utilizzabili
nelle diverse giornate di stage come start conversazionali9.
Domande chiave articolate per tematiche
Attuazione del principio di sussidiarietà nell’affido, nell’adozione nazionale e
internazionale. Aspetti socioculturali e realtà dell’abbandono.
• Quali sono le cause più frequenti di abbandono dei bambini?
• I bambini: la vita di tutti i giorni, la vita di gruppo, i principali problemi.
• Quali proposte per far fronte all’abbandono?
• Per quanto riguarda gli istituti, che tipo di realtà si riscontra nel Paese?
Quali le tipologie e quanti i minori ospitati?
• Le strutture residenziali alternative in linea con la deistituzionalizzazione:
come sono organizzate, chi vi lavora, quando un bambino viene inserito e
con quali criteri? Quali le tipologie e quanti i minori ospitati?
• Chi si occupa professionalmente del bambino? Quale il livello di cure e di
valutazione del suo stato dall’abbandono all’adozione?
• Esistono azioni di sostegno all’infanzia in situazioni di disagio realizzate
all’interno del territorio e della scuola?
Adozione internazionale (procedura)
• Quali sono i criteri per l’abbinamento fra bambino e coppia?
• Quali sono i criteri per selezionare le coppie straniere?
• Quali sono i criteri e gli strumenti per la selezione delle coppie nell’adozione nazionale?
• Quale lavoro di rete esiste tra i vari soggetti per l’informazione sulla storia
del bambino e la sua attuale personalità?
• Quali argomenti dovrebbero essere maggiormente trattati nelle relazioni
dei servizi secondo le autorità brasiliane (o della CEJA/CEJAI)?
Preparazione del bambino e della coppia all’adozione
• Come viene preparata l’adozione anche prima dell’incontro con i genitori
adottivi?
• Come avviene, da parte dell’ente autorizzato, la presa in carico della coppia che arriva nello Stato di origine? Quali sono gli strumenti di lavoro (per
gli enti autorizzati)?
9 Si tratta di alcune domande, esplicite o implicite, non necessariamente da pensare rivolte a un
unico interlocutore, che si riferiscono agli oggetti centrali che ci si propone di avvicinare, chiarire o
specificare.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
• Come viene gestito il distacco del minore in istituto rispetto al gruppo dei
coetanei, degli adulti di riferimento e, se esistono, dei fratelli?
• Per le coppie disposte ad adottare due o più bambini ci sono procedure
particolari per la proposta di gruppi di fratelli? (ulteriori eventuali specificazioni)
Cooperazione internazionale
• Quali azioni e interventi nell’ambito della cooperazione internazionale
hanno avuto riscontri e impatti maggiormente significativi?
• In quale misura questi interventi sono gestiti dagli stessi enti autorizzati?
• Quanto la cooperazione internazionale riesce a generare cultura e crescita
nel Paese?
Per quanto concerne gli specifici strumenti di concreta documentazione
dell’attività di stage ne sono stati proposti e utilizzati essenzialmente due. In
primo luogo il diario-agenda, che rappresenta il principale supporto strutturato per il migliore utilizzo formativo dell’esperienza di stage. Tale strumento
è stato pensato come un supporto da costruire work in progress e consiste in
uno spazio di annotazione giornaliera che può essere orientato dalle domande-chiave che, come si è già visto, funzionano come start conversazionali.
L’utilizzo dello strumento durante lo stage da parte di ciascun partecipante, la
compilazione giornaliera e la successiva socializzazione dei materiali prevista
in appositi incontri serali, unitamente alle rielaborazioni congiunte con lo staff
formativo, hanno consentito di finalizzare al meglio l’incontro finale previsto
in Italia alla conclusione del progetto formativo, oltre a rappresentare una consistente base per richiamare alla memoria ricordi e informazioni che, sistematizzati, hanno aiutato a documentare l’esperienza realizzata.
Questo primo strumento è poi integrato da un altro strumento, il taccuino
di viaggio, un supporto più informale per quanto riguarda la strutturazione e
la compilazione, ma ugualmente essenziale per un’esperienza formativa integrata con la propria biografia e le proprie sensibilità professionali e personali.
Si tratta di un ulteriore taccuino che può contenere tutto ciò che emerge come
rilevante agli occhi del partecipante: osservazioni personali, appunti e documentazione varia, “colorata” dal punto di vista emotivo. Funziona, in altre
parole, come una sorta di contenitore emotivo ed esperienziale dei propri vissuti che, per un migliore utilizzo successivo, può essere arricchito dai titoli più
significativi delle possibili aree-guida (ad esempio i riferimenti a sé, ai propri
colleghi di viaggio, alle concrete esperienze visitate, alle autorità, agli opera21
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LO STAGE IN BRASILE
tori, alle persone, ai genitori, ai bambini incontrati). L’utilizzo di questi materiali nella documentazione ufficiale successiva, vista la natura strettamente
personale, è naturalmente da intendersi su base volontaria10.
Infine, la documentazione audiovisuale dell’intero percorso formativo, che
ha prodotto due filmati di circa 30 minuti ciascuno sullo stage in Brasile e su
quello in Italia: rappresenta uno dei più validi supporti alla diffusione dell’esperienza realizzata perché consente una maggiore vicinanza emotiva e non
solo intellettuale alla problematica trattata.
2. Sintesi dello stage
e considerazioni
nella fase formativa
intermedia11
Le attività formative si sono articolate in una fase comune realizzata a
San Paolo dall’8 al 10 settembre 2009 e in due fasi distinte, ciascuna con
metà delegazione a Belo Horizonte e metà a Salvador de Bahia dall’11 al 13
settembre.
2.1 Lo stage a San Paolo
(7-10 settembre 2009)
La prima giornata della delegazione italiana a San Paolo ha coinciso con la
Festa nazionale del Brasile12; per questo motivo durante la giornata del 7 settembre non ci sono stati incontri ufficiali e, per quanto riguarda gli aspetti formativi, è stato effettuato un unico incontro preparatorio per la messa a punto
degli strumenti dello stage. Ci si è occupati in particolare di richiamare i punti
salienti del dossier sul Brasile già analizzato nell’incontro nazionale del 16
luglio realizzato a Firenze; si sono riguardate le domande chiave che erano
state sistematizzate dopo il seminario preliminare per gli incontri del giorno
successivo; sono state richiamate le finalità del diario-agenda e del taccuino
di viaggio nelle loro diverse funzioni; sono state puntualizzate le modalità
delle riprese video sia da parte dello staff sia da parte di alcuni partecipanti a
supporto della documentazione.
Gli incontri fra i partecipanti nelle giornate successive sono stati realizzati
in genere in momenti serali13.
10 Come è possibile osservare, l’intreccio fra gli strumenti diario-agenda e taccuino di viaggio è
sempre possibile ed è stato realizzato in diversa misura dai partecipanti. L’indicazione metodologica rimane però quella di mantenerli distinti per favorire, dal punto di vista formativo, una maggiore
specificità e una minore confusione.
11 Questo paragrafo si basa sulla sintesi realizzata dopo lo svolgimento dello stage in Brasile e
curata da Giorgio Macario con il contributo delle tutor Vanessa Carocci e Valentina Ortino.
12 Definito anche Dia da independencia, il 7 settembre 1822 sancisce l’indipendenza del Brasile
dalla sua madrepatria Portogallo, a opera del principe reggente Dom Pedro.
13 Data l’intensità del programma dei lavori e delle visite da seguire, in realtà gli incontri serali
sono stati realizzati in numero minore, ma l’equilibrio complessivo raggiunto si è rivelato estremamente proficuo.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
Il viaggio, piuttosto lungo, ha contribuito al formarsi di uno spirito di gruppo che ha portato tutti i partecipanti – come è stato sottolineato in fase di
apertura dei lavori a San Paolo – a identificarsi almeno in parte e in prima persona con le fatiche che devono affrontare le coppie aspiranti all’adozione e
con lo spaesamento culturale che devono affrontare i bambini quando raggiungono il Paese di accoglienza.
L’accoglienza che è stata riservata alla delegazione italiana, già all’arrivo
all’aeroporto, ha visto fin da subito un forte impegno per la piena riuscita dell’iniziativa da parte del Tribunale di giustizia dello Stato di San Paolo, anche
tramite il cerimoniale, e con il supporto dell’ente autorizzato AIBI.
L’apertura ufficiale dei lavori si è svolta la mattina dell’8 settembre.
Nonostante sia stata ribadita, sia da parte dell’Autorità centrale (Patricia
Lamego per l’ACAF) sia da parte dei magistrati brasiliani, una certa preoccupazione per la questione del riconoscimento immediato della cittadinanza italiana al bambino adottato, l’apertura dei lavori ha evidenziato la grande consapevolezza del gruppo brasiliano della propria situazione rispetto ai diritti del
minore e una vera apertura a uno scambio di competenze e pratiche.
In particolar modo i magistrati hanno riconosciuto la grande ambizione alla
base del loro Statuto del bambino e dell’adolescente (ECA) che dopo 20 anni
non riesce ancora a rispecchiare le ambizioni della comunità riguardo la cultura dei diritti del minore. Lo stesso segretario della CEJAI-SP, Raul Khairallah
de Oliveira e Silva, ha ribadito nel suo intervento introduttivo che la protezione integrale per i bambini non è ancora stata raggiunta in Brasile, e ha poi
riportato la situazione delle adozioni internazionali nello Stato di San Paolo,
con 18 enti accreditati (di cui 11 italiani) e 845 adozioni internazionali effettuate (l’81% di queste effettuate con l’Italia), concludendo con la battuta che
«praticamente la CEJAI di San Paolo lavora per l’Italia».
La coordinatrice dell’ACAF, descrivendo la situazione brasiliana, ha fatto riferimento a circa 70.000 bambini e adolescenti ospitati nelle strutture di accoglienza, di cui solo poche migliaia ha situazione legale che possa consentirne
l’adozione. Patricia Lamego, che avrebbe dovuto proseguire il viaggio con la
delegazione italiana per essere nei giorni successivi a Bahia, è stata costretta
al rientro a Brasilia per discutere un problema riguardante l’ente ARAI e le difficoltà di conferma dell’accreditamento a enti di natura pubblica.
Nel suo intervento, Myriam Veras Baptsita ha parlato dell’ECA come di una
legge avanzata in una cultura ancora arretrata: è mancata, a suo avviso, una
vera disseminazione a livello sociale dei diritti del minore e una vera e propria
rete di servizi capaci di arrivare in tutto il Paese in modo capillare, capace di
promuovere una forte cultura dei diritti del bambino e dell’adolescente.
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LO STAGE IN BRASILE
Il gruppo italiano, composto da operatori sociali, psicologi e magistrati, è
apparso favorevolmente colpito dalla grande sensibilità dei magistrati brasiliani nei confronti della condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Brasile.
Questo rispecchia sicuramente il posto di rilievo che i magistrati hanno avuto
e tuttora hanno a livello statale, e le grandi responsabilità che rivestono con il
loro ruolo, nonostante l’Autorità centrale sia sempre più presente come autorità direttrice e quindi di riferimento.
Alcuni cenni all’equilibrio non semplice fra Autorità centrale federale e Autorità statale sono emersi dalle stesse osservazione dei magistrati intervenuti.
Nel pomeriggio della prima giornata sono poi stati presentati diversi progetti di reintegrazione famigliare, gruppi di appoggio all’adozione, famiglie
accoglienti, formazione per adolescenti e “case comunitarie” (repubbliche).
La seconda giornata ha visto il gruppo italiano dividersi in quattro gruppi
per visitare nella municipalità di San Paolo (due gruppi) e fuori città (gli altri
due gruppi) progetti specifici per la protezione del minore e il Tribunale dell’infanzia e della gioventù (Vara da infância e da juventude) pertinente.
In particolare sono state visitate Itaquera nella capitale con la Casa Abrigo
São Mateus, Santo Amaro nella periferia della città con la Casa de cultura e
cidadania da Vila Guacuri, Mogi Guaçu con il gruppo de Apoio a Adocao
Reviciscer e Sorocaba con l’Associacao Lua Nova.
La presenza per tutte le destinazioni di personale del tribunale, oltre ad
accompagnatori dell’ente autorizzato e traduttori, ha contribuito a un’ottimale accoglienza e ha permesso la verifica di una consistente rete di rapporti con le diverse strutture territoriali, la presenza di un’attenzione significativa per le reali condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza e di una forte professionalità e competenza degli operatori territoriali, così come dell’intera
struttura del tribunale.
Il confronto è stato quindi consistente, fruttuoso e intenso, annullando di
fatto una certa stanchezza dovuta in diversi casi alle distanze ragguardevoli
da percorrere.
Nella mattinata del 10 settembre è stato poi discusso il tema della cooperazione internazionale.
Dopo l’introduzione del rappresentante di AIBI, Carlos Berlini, che ha tracciato un quadro complessivo dell’argomento accennando anche ad alcune
possibili criticità della nuova legge n. 12.010 del 3 agosto 2009 (in vigore dal
successivo 3 novembre) per quanto concerne i vincoli ai finanziamenti esteri
per i progetti di sussidiarietà (art. 52), si sono succedute le presentazioni di
progetti gestiti da diversi enti autorizzati, fra i quali AIBI, ARAI e AVSI. Si è
quindi potuto constatare l’importanza che tali interventi di cooperazione inter24
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
nazionale rivestono, anche se il numero di enti coinvolti è apparso contenuto
rispetto agli 11 enti italiani autorizzati nello Stato di San Paolo.
Nella discussione finale, oltre a esprimere la reciproca soddisfazione delle
Autorità dello Stato e della delegazione italiana, si è fatto nuovamente riferimento alla nuova legge succitata per sottolinearne potenzialità e aspetti
innovativi (quale ad esempio il limite di due anni per l’inserimento di minori
negli abrigos), che probabilmente non saranno così facilmente applicabili ma
che esprimono una linea di tendenza significativa. Potrebbero infatti essere
estese a questa nuova legge diverse considerazioni formulate in riferimento
all’ECA.
Nel pomeriggio del 10 settembre la delegazione italiana si è separata, con
un gruppo diretto a Belo Horizonte nello stato di Minais Gerais e l’altro diretto a Salvador di Bahia.
2.2 Lo stage
a Belo Horizonte
(Minas Gerais,
11-13 settembre 2009)
L’arrivo a destinazione è avvenuto nel tardo pomeriggio; il gruppo italiano
è stato accolto calorosamente dalla delegazione brasiliana costituita dalla
coordinatrice della CEJA-MG, Liliane Maria Lacerda Gomes, e dal rappresentante nazionale dell’ente autorizzato CIFA, Lucia Maria Miranda Cunha. Alla
cena di socializzazione si sono uniti il vicepresidente della CEJA, Antonio
Servulo Dos Santos, magistrato, e Valeria Da Silva Rodriguez, giudice di diritto e membro della CEJA.
Durante la prima giornata il presidente della CEJA-MG Célio César Paduani
ha aperto i lavori e, dopo i saluti portati anche dal secondo vicepresidente del
tribunale di giustizia Reynaldo Ximenes Carneiro, dal membro della CEJA
Valéria da Silva Rodrigues, dalla stessa coordinatrice della CEJA e dall’esperto
della delegazione italiana, il giudice Maurizio Millo, ha illustrato il quadro normativo internazionale e nazionale che regola le politiche dell’infanzia in
Brasile, quindi la Costituzione federale, lo Statuto del bambino e dell’adolescente del 1990 e la Convenzione de L’Aja. Si sono poi stati approfonditi i vari
compiti della CEJA.
Il secondo intervento è stato del giudice Wagner Wilson Ferreira (membro
CEJA-MG), che ha letto il proprio discorso in italiano. La sua relazione ha posto
l’accento sul tema della fratellanza che unisce i due Paesi e sul grave problema dell’infanzia maltrattata e abbandonata in Brasile.
La terza relazione è stata presentata dal giudice Sergio Parreiras Abritta
(procuratore membro CEJA), che ha spiegato il ruolo e le funzioni della CEJA (in
linea molto generale in quanto già esposte nella prima relazione), introducendo i temi che più caratterizzano la società brasiliana e ponendo l’accento sulla
situazione dell’infanzia. Il primo punto sul quale il dottor Sergio si è sofferma25
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LO STAGE IN BRASILE
to è quello relativo alla iniqua distribuzione del reddito che ha come diretta
conseguenza una disuguaglianza sociale molto forte, producendo tenori di
vita troppo bassi o troppo alti.
La povertà e la trascuratezza risultano essere le cause primarie di abbandono minorile in Brasile: secondo stime difficili da verificare nella loro entità,
i bambini che vivono in strada sono più di due milioni e di questi molti vivono
di spaccio di sostanze stupefacenti o di prostituzione.
In questo drammatico quadro di riferimento, il Governo brasiliano ha lavorato per il riconoscimento dei diritti dell’infanzia anche attraverso la ratifica
della Convenzione de L’Aja del 1993, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e l’istituzione della CEJA quale organo competente in grado di analizzare le richieste degli aspiranti all’adozione stranieri residenti all’estero.
La relazione successiva è stata presentata da Valéria da Silva Rodrigues,
magistrato e giudice di diritto (dello Stato di Minas Gerais), membro CEJA-MG, la
quale, per meglio coinvolgere la parte degli operatori brasiliani presenti al seminario, ha illustrato in maniera molto dettagliata la legge italiana in materia di
adozione internazionale. Successivamente è stato approfondito il tema riguardante le caratteristiche dei coniugi italiani aspiranti all’adozione di un bambino
brasiliano e le caratteristiche necessarie per essere accettati dalla CEJA.
È stata inoltre spiegata la nuova legge sull’adozione in Brasile, che entrerà
in vigore nel prossimo mese di novembre.
La sessione pomeridiana del seminario è stata dedicata alla cooperazione
internazionale e alla presentazione dei progetti in corso da parte degli enti
autorizzati italiani. Sono state fatte delle presentazioni (molto sintetiche) dei
vari progetti di cooperazione: del CIFA, di Progetto São Josè (che ha riferito del
blocco di accreditamento da parte dell’ACAF), dell’associazione I cinque pani
(ha sottolineato la necessità di una sempre migliore preparazione della coppia), di AIBI, di AVSI (con accenni a progetti anche negli Stati di Espirito Santo,
San Paolo e Bahia) e dell’associazione Nova (che ha richiesto agli organi competenti brasiliani e alla Commissione per le adozioni internazionali di promuovere progetti anche per i ragazzi maggiorenni per le situazioni ad altissimo rischio che si possono determinare).
Si è poi visitato il Tribunale della gioventù di Belo Horizonte.
La seconda giornata dei lavori, il 12 settembre, è iniziata con la relazione di
Ivan Ferreira Da Silva, pedagogo e sovrintendente alle Politiche per l’infanzia
e l’adolescenza.
In particolare è stato presentato lo scenario dell’infanzia in Minas Gerais e
si sono sottolineati gli sforzi attuati dalle politiche nazionali per i “progetti di
ritorno a casa”, considerando la necessità di costruire una cultura dell’istitu26
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
tizzazione che deve essere intesa quale cultura dell’accoglienza. È stata poi
presentata una ricerca a carattere censuario circa i minori ospitati negli abrigos che sarà fatta pervenire in un secondo momento.
La seconda relazione della giornata è stata di Rosilene Miranda Barroso Da
Cruz, coordinatrice tecnica del Tribunale civile dell’infanzia e della gioventù di
Belo Horizonte, il cui intervento ha offerto ai partecipanti un approfondimento circa il profilo del minore abbandonato e le procedure e le peculiarità dell’adozione nazionale in Brasile.
Successivamente è stato esposto da Aladir Rabelo, referente del CIFA, il
progetto in atto nella località di Capelinha. Il progetto, che coinvolge circa 70
adolescenti, punta verso il reinserimento familiare e la formazione professionale. L’ente CIFA, sorprendendo anche i colleghi brasiliani, ha invitato alcuni
ragazzi ospiti dell’abrigo a mostrare alcune danze tradizionali afro-brasiliane,
apprese a livello professionale (tanto che qualche ragazzo ha avuto contatti
con il Cirque du soleil).
La visita è stata conclusa formalmente dalle parole di ringraziamento del
presidente della CEJA-MG, il giudice Célio César Paduani, da Liliane Gomes,
coordinatrice CEJA dello Stato di Minas Gerais, e da Maurizio Millo.
La cerimonia ufficiale di chiusura ha visto anche la consegna di certificati di
presenza per tutti i partecipanti italiani; a seguire un pranzo e una visita presso l’abrigo Lar Marista João Batista Berne. La struttura di accoglienza si avvale di donazioni private e vi sono ospitati circa 30 bambini (tutti maschi): solo
su due dei minori sono in corso accertamenti circa lo stato di adottabilità
nazionale, mentre gli altri sono ospitati a causa dell’impossibilità dei genitori
di prendersene cura per le condizioni di indigenza e povertà.
La delegazione italiana ha poi visitato l’abrigo pubblico, sovvenzionato dai
dipendenti del tribunale di giustizia, dove erano presenti circa 20 bambini,
nessuno dei quali in stato di abbandono.
Nel tardo pomeriggio il gruppo è rientrato in albergo dove si è svolta una
riunione di sintesi e tracciate alcune conclusioni al termine dei lavori. La mattina successiva partenza e rientro in Italia.
2.3 Lo stage a Bahia
(11-13 settembre
2009)
Dopo l’accoglienza in aeroporto da parte del personale dell’ente autorizzato ARAI, già in serata, a cena, Daniela Gonzaga è passata per salutare il gruppo dei partecipanti; l’assistenza per un’ottima riuscita dello stage è stata
costante e premurosa.
La prima giornata, l’11 settembre, si è aperta con una visita alla prima
sezione di infanzia e gioventù della Comarca de Salvador, dove la delegazione
italiana ha incontrato i giudici, i rappresentanti del pubblico ministero e lo
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LO STAGE IN BRASILE
staff tecnico, intrattenendosi in particolare con Emilio Salomao Pinto Reseda,
giudice titolare della prima sezione.
Negli interventi condotti in un clima ufficiale ma anche informale nei contenuti trattati, è stata posta una forte attenzione alla segnalazione di progetti
significativi e di attività non giudiziarie.
In particolare è stata citata una “Fattoria del minore”, talmente significativa da essere stata visitata per ben tre volte dal presidente Lula. Molti i progetti
rilevanti: progetto Camminare per bambini di strada; Il miglior abrigo, per l’evoluzione degli istituti; il progetto Famiglia accoglitrice, e altri ancora.
Da parte italiana sono stati sottolineati soprattutto gli aspetti di reciprocità del progetto formativo e la prefigurazione della prossima fase che vedrà la
presenza della delegazione dei tre Stati brasiliani in Italia, mentre diversi partecipanti, sia dello staff che del gruppo dei partecipanti, sono intervenuti utilizzando le domande chiave sulle quali si era lavorato in precedenza.
Tutti i partecipanti hanno funzionato come un gruppo coeso e competente,
supportandosi reciprocamente e agevolando in maniera consistente il lavoro
dello staff.
In particolare, il gruppo dei magistrati presenti ha svolto un ruolo egregio
nel rappresentare l’interfaccia giuridica della delegazione, alla quale il Brasile,
per sua storia e cultura, assegna un’importanza fondamentale.
In tarda mattinata si è visitata l’associazione non governativa Axé nel
Pelourinho, quartiere storico di Salvador. Si è potuto assistere a esibizioni di
capoeira, realizzate direttamente in piazza per far conoscere ai ragazzi di strada e del quartiere le attività dell’associazione, ed è stata poi effettuata un’esibizione musicale basata sull’utilizzo di percussioni nei locali interni dell’associazione. In ultimo si è visitata la parte restante della struttura, dove si è
incontrato un gruppo di giovani al lavoro nel laboratorio “apprenditivo” dedicato alla moda, connesso a una parte della struttura più professionalizzata.
Il pomeriggio si è svolto interamente presso il Tribunale di giustizia dove lo
staff della CEJA (Daniela Gonzaga, la presidente; Maria Gomes dos Santos,
segretario esecutivo; Sandra Gonzaga de Lucena, assistente sociale; Paula
Amaral, psicologa) ha presentato le attività generali del settore alla delegazione italiana e ad altri alti esponenti del Tribunale, tra cui la presidente del
Tribunale di giustizia Silvia Zarif.
La mattina della seconda giornata dei lavori è stata interamente dedicata
alla presentazione di progetti di sussidiarietà di enti italiani autorizzati a lavorare nel territorio: hanno presentato i loro progetti l’ente ARAI (con un progetto realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica di Salvador, Tecendo
Laços), l’ente AVSI (con un progetto volto a combattere la denutrizione infan28
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
tile) e l’ente AIBI (con un progetto Casa Lar presentato con il magistrato di
Campo Formoso che lo ha seguito negli scorsi anni).
Nel pomeriggio la presenza di altri quattro magistrati delle zone interne di
Itabuna, Ilheus, Jaquirica e Porto Seguro, che in diversi casi hanno mostrato
presentazioni con diapositive e filmati esemplificativi, ha consentito di sintetizzare in poche ore un quadro conoscitivo estremamente significativo, anche
se in parte ripetitivo per le funzioni analoghe espletate.
La mattina della terza giornata la delegazione italiana ha avuto la possibilità di visitare due case di accoglienza, il Lar da Criança e Abrigo da cidade da
Luz. Più tradizionale e dimessa la prima struttura, indubbiamente sostenuta
anche dalla dedizione e dall’impegno della responsabile e degli operatori; più
moderna e particolare la seconda, con un’ampia e diversificata struttura che
si sostiene grazie alle donazioni di una comunità spiritista insediata nello
stesso stabilimento. Consistente la diversità fra le due strutture, ma analoga
la percezione di una forte difficoltà a tenerle aperte per motivi economici e
mancanza di finanziamenti (nella prima gli operatori erano senza stipendio da
tre mesi, mentre il responsabile della seconda era in Europa alla ricerca di
fondi). Si è colta spesso, anche negli stessi interlocutori brasiliani, la sorpresa
di apprendere che alcune strutture da loro conosciute e stimate erano state
nel frattempo costrette a chiudere.
Il cambiamento di opinioni relativamente alla funzione degli istituti, a favore di una permanenza del bambino presso famiglie (naturali, affidatarie o
adottive, sia nazionali che internazionali), è emerso in più occasioni e sembra
essere anche nella ratio della nuova legge, che sappiamo sarà di non facile
applicazione a detta degli stessi esperti giuridici brasiliani.
Il confronto con gli operatori dei servizi è stato, nel caso di Bahia rispetto
in particolare a San Paolo, più indiretto. Ma è bene registrare il fatto che le presentazioni in tribunale e la particolare cura espositiva è apparsa finalizzata
anche a un maggior accreditamento della stessa CEJA presso le Autorità giudiziarie sovraordinate. Tale maggior accreditamento, che sembra aver avuto in
gran parte successo, ha coinciso fra l’altro con una forte valorizzazione della
delegazione italiana, ricevuta lungamente dalla stessa presidente del
Tribunale, e con un’opera quindi di maggiore sensibilizzazione rispetto alla
centralità sussidiaria delle stesse adozioni internazionali.
In conclusione, è risultata confermata la dedizione e la professionalità
degli operatori brasiliani, già riscontrata in tutte le altre destinazioni, che
tende a supplire l’evidente sproporzione di risorse rispetto ai bisogni e alla
mancanza di una forte rete governativa capace di sostenere attività coordinate e continuative di accompagnamento dell’infanzia e dell’adolescenza. Ed è
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LO STAGE IN BRASILE
inoltre apparsa molto superiore all’attuale realtà italiana la capacità creativa
e innovativa di utilizzo mirato e diversificato delle risorse da parte dei brasiliani, nell’ambito di progetti che sostengono in modo personalizzato migliaia
di bambini. Una scala di grandezza utilizzata sistematicamente, che per la
delegazione italiana risulta semplicemente impensabile.
Il gruppo dei partecipanti è ripartito la sera del 13 settembre da Salvador
de Bahia per rientrare in Italia il pomeriggio del 14.
Difficile condensare un’esperienza così significativa in poche parole conclusive, perché l’accoglienza della delegazione italiana in Brasile a livello formale è stata ineccepibile; l’accoglienza a livello istituzionale, impeccabile;
l’accoglienza a livello empatico, ineguagliabile; l’accoglienza tout court, inarrivabile. Appare quindi più adeguato utilizzare le parole di un Premio Pulitzer
a proposito del Brasile: «[…] il Brasile, fino a non molto tempo fa, era in questo senso il Paese più diseguale del mondo. Oggi invece il livello di disparità
economica sta calando più velocemente che in qualsiasi altro luogo. Tra il
2003 e il 2009, il reddito dei brasiliani poveri è cresciuto sette volte di più di
quello dei concittadini ricchi. E nello stesso periodo il numero di poveri è sceso
dal 22 al 7 per cento della popolazione. […] Uno studio recente ha dimostrato
che il programma “Bolsa famiglia” di sussidio economico condizionale esteso
a oltre 50 milioni di brasiliani contribuisce a incrementare la frequenza scolastica e l’avanzamento negli studi […], ha incrementato il peso dei bambini, il
tasso di vaccinazioni e il ricorso a cure prenatali»14. La delegazione italiana
inviata dalla Commissione per le adozioni internazionali ha potuto verificare
concretamente che in Brasile, o almeno in tre dei suoi Stati, la battaglia per
migliorare la condizione complessiva dell’infanzia in situazioni caratterizzate
da immani bisogni e scarse risorse viene combattuta con una determinazione,
una vitalità e una dedizione che può essere di esempio per molti. Sicuramente
lo è stata per chi ha partecipato a questo primo stage, che potrà sostenere e
far sostenere al meglio le nuove famiglie adottive, essendo capace di esprimersi per conoscenza diretta e non per sentito dire. Un grazie sentito, quindi,
a nome di tutti i partecipanti.
14 Rosenberg, T., Anche i poveri ridono, in «Donna» (supplemento al quotidiano la Repubblica),
12 marzo 2011. Tesi sostanzialmente confermate in un successivo reportage di Federico Rampini, Il
miracolo brasiliano, apparso su la Repubblica il 18 marzo 2011: «Il Brasile si è conquistato un’ammirazione mondiale grazie all’invenzione della “Bolsa famiglia”, un sussidio diretto alle madri che
viene pagato solo se i figli vanno regolarmente a scuola. Funziona, è il migliore antidoto mai inventato contro il lavoro minorile».
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La realtà dello stage nelle osservazioni
di un esperto
Anna Maria Colella
Direttore Agenzia regionale per le adozioni internazionali - Regione Piemonte
Vieni, Bahia ti aspetta. È una festa, ed è anche un funerale. Il cantore di serenate canta il suo richiamo. Gli
atabaques salutano Exu nel momento sacro del Padê. I
pescherecci solcano il mare della Baia di Tutti i Santi, al di
là c’è il rio Paraguaçu. Dolce è la brezza sulle palme da
cocco delle spiagge sconfinate. Un popolo meticcio, cordiale, civilizzato, povero e sensibile abita questo paesaggio di sogno […]. Vieni. Bahia ti aspetta.
Addio, ragazza! Hai visto Bahia, hai ascoltato la cadenza dolce del suo parlare, hai avvertito il suo profumo
di miele, orientale. Strade, vicoli, erte, le nuove avenidas,
i vecchi quartieri, il Pelourinho, il Terriero de Jesus, le Porte del Carmine, ora ti appartengono; porterai con te negli
occhi e nel cuore il ricordo della città e del popolo, della
bellezza e della civiltà che è la loro. Ti sei rallegrata gli occhi con gli ori della chiesa di São Francisco, ti sei rattristata alla miseria del popolo. Hai adorato il cibo baiano,
e un peschereccio ti ha portata fino al Forte del Mare. Ora
è giunta l’ora di partire.
Jorge Amado, Bahia
1. Premessa
L’amministrazione regionale piemontese in questi ultimi anni ha approvato
la realizzazione di numerosi progetti proposti dall’Agenzia regionale per le
adozioni internazionali (ARAI) per la promozione di una cultura dei diritti dell’infanzia attraverso lo scambio di esperienze e conoscenze di operatori del
diritto e operatori sociosanitari di diversi Paesi.
In quest’ottica la Regione Piemonte ha partecipato, tramite l’ARAI, alla realizzazione di un importante progetto, proposto dalla Commissione per le adozioni internazionali, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze,
di formazione e scambio di esperienze fra operatori della Repubblica federale
del Brasile e della Repubblica italiana.
Nel settembre 2009, grazie alla mia esperienza di funzionario pubblico
esperto dei servizi per i minori in Italia, ho quindi accompagnato, proprio in
veste di esperto, la delegazione italiana prima a San Paolo e poi a Bahia. Per
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LO STAGE IN BRASILE
quest’ultima destinazione ho assunto un ruolo di sostegno organizzativo
nella veste aggiuntiva di responsabilità di un ente autorizzato pubblico operativo in Brasile e particolarmente nello Stato di Bahia, così come altri hanno
offerto il loro supporto organizzativo negli altri due Stati di San Paolo e del
Minas Gerais.
Il viaggio con gli operatori italiani (una ventina tra funzionari, psicologi e
assistenti sociali provenienti dai servizi territoriali di tutte le regioni e tre
magistrati togati) è stato un’esperienza significativa che ha confermato, oltre
ai rapporti interpersonali di grande accoglienza e di simpatia, la dedizione e la
professionalità dei magistrati, degli amministratori, degli operatori brasiliani a
tutti i livelli, federale, statale e locale.
2. I precedenti
brasiliani
Sono stata diverse volte in Brasile: la prima nel 1998 per partecipare, su
incarico del Ministro della solidarietà sociale, a un congresso federale della
magistratura minorile. Già allora, partecipando insieme a Marco Griffini, presidente di AIBI, ong operativa in Brasile da molti anni, prima al congresso dei
magistrati e poi a un seminario di operatori sociali, ero rimasta colpita dall’alta competenza, dalla voglia di fare nonostante l’evidente sproporzione di
risorse e assenza di reti di servizi. Quello che però mi aveva colpito di più era
l’assenza totale di operatori sociali degli enti locali al convegno dei magistrati e l’assenza di magistrati al convegno degli operatori sociali, cosa che non
succedeva più nei nostri corsi di formazione in considerazione del fatto che i
servizi territoriali intervengono a tutela dei minori come dipendenti degli enti
locali e non delle autorità giudiziarie, a differenza dell’organizzazione dei servizi brasiliani.
In Brasile infatti gli staff tecnici, composti da assistenti sociali e psicologi,
operano presso gli uffici giudiziari che si occupano di minori, quali le sezioni
infanzia e gioventù dei tribunali e le CEJA, organi competenti in grado di analizzare le richieste degli aspiranti all’adozione sia brasiliani sia stranieri.
Ero cresciuta “a pane e istituzioni”, in una regione in cui fin dagli anni ’80,
giovane funzionario dell’Ufficio minori dell’Assessorato all’assistenza, mi era
stato permesso di costituire un gruppo di lavoro composto da magistrati
minorili e operatori territoriali per confrontarsi e proporre alle autorità amministrative iniziative a tutela dell’infanzia in difficoltà; in quel periodo si sono
intrecciate leggi, delibere regionali e locali, iniziative e progetti in applicazione dell’articolo 23 del Dpr 616/1977.
In quegli anni in Italia si sviluppò sempre di più la richiesta degli operatori
sociali di poter intervenire a sostegno delle famiglie e dei bambini con perso32
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LA REALTÀ DELLO STAGE NELLE OSSERVAZIONI DI UN ESPERTO
nale qualificato e specializzato, con l’obiettivo principale e inderogabile di
operare nell’interesse esclusivo dei minori; si cominciava peraltro a dare
attenzione, spazio e risposte anche al desiderio di genitorialità delle coppie
che aspiravano a una adozione nazionale o internazionale.
È stata importante in Italia, in quella fase storica, la collaborazione tra
magistratura minorile, autonomie locali, enti, operatori, servizi, scuola, organismi religiosi, associazioni di volontariato, no profit, per arrivare a definire
politiche a tutela dell’infanzia.
A seguito della ratifica della Convenzione de L’Aja si è riscontrata una forte
crescita professionale sia per l’impegno formativo della Commissione per le
adozioni internazionali, sia per lo sforzo organizzativo e formativo delle
Regioni, degli enti locali, dei servizi, degli enti autorizzati.
Operare nel settore delle adozioni internazionali, al giorno d’oggi, significa
conoscere lo scenario internazionale, le leggi, l’organizzazione dei servizi dei
Paesi dove si opera, per poter veramente intervenire nell’interesse dei bambini adottabili e per saper accompagnare al meglio le coppie che desiderano
accogliere in adozione un bambino.
3. Lo sviluppo
poderoso del Brasile,
nonostante i problemi
consistenti
Dal 1998, ogni volta che torno in Brasile, mi sembra quindi che siano passati molti più anni di quelli effettivamente trascorsi: il Brasile corre in avanti e,
fortunatamente, con lo sviluppo economico cresce sempre di più l’attenzione
all’infanzia in difficoltà e abbandonata.
La modernità, lo sviluppo economico, i grattacieli, le derrate agricole e le
materie prime, il petrolio: il governo brasiliano è riuscito a ridurre il divario tra
ricchi e poveri, ed è riuscito, parlando di cultura dell’infanzia, a promuovere
realmente i diritti di tanti bambini.
La povertà e la trascuratezza risultano essere ancora oggi le cause primarie dell’abbandono e in strada molti bambini vivono di spaccio di stupefacenti e di prostituzione. Ancora tanti bambini aspettano una famiglia, e gli stessi
operatori brasiliani sono consapevoli che non si riescono a rispettare gli obiettivi e le ambizioni della comunità brasiliana.
Partecipando negli anni a congressi o seminari di magistrati o operatori
minorili, ho registrato un cambiamento nel cammino verso una cultura dell’adozione. Gli operatori brasiliani che per tanti anni si sono dichiarati contrari all’adozione internazionale, vista come un’esportazione dei loro bambini, sempre di più parlavano e parlano di adozione nazionale, e di adozione internazionale come strumento sussidiario. Questo rappresenta un grande risultato, dello Stato brasiliano e di quelle istituzioni prima di tutto; sicu33
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LO STAGE IN BRASILE
ramente ha contribuito a questo modello di cultura la dimostrazione di accoglienza delle tante famiglie, soprattutto italiane, ad adottare e amare, anche
in presenza di problematiche sanitarie, di fratrie, bambini di età diverse, i
loro figli brasiliani.
È stata ed è molto importante la presenza di enti pubblici e privati italiani
impegnati in progetti di cooperazione, quella di organizzazioni non governative trasparenti e competenti, quella degli enti autorizzati che accompagnano il
percorso delle adozioni in quel Paese.
Lo Stato brasiliano 20 anni fa ha approvato lo Statuto del bambino e dell’adolescente ma è ancora difficile, soprattutto in alcuni territori, promuovere
e realizzare una cultura in difesa dei diritti dei minori; un esempio pratico è la
dichiarazione dello stato di adottabilità.
Tra noi e molti altri Paesi esiste una grande differenza sul concetto di
abbandono morale e materiale, spesse volte esiste ancora anche in Brasile un
favor familias, bambini in istituto da anni che ricevono poche visite da parte
dei genitori: il diritto degli adulti è quasi sempre più forte dei diritti dei bambini. Possiamo affermare che la legge italiana sia più determinata nel proteggere il bambino, anche sacrificando il diritto dell’adulto. La nostra legge considera la situazione di abbandono dei minori prescindendo totalmente dalla
colpa dei genitori: anche la forza maggiore non esclude l’abbandono, se non
nei casi di forza maggiore temporanea1.
Recentemente lo Stato brasiliano, con l’approvazione della legge del 3 agosto 2009, ha posto un limite di due anni per l’inserimento dei minori negli abrigos (articolo 19, comma 2). Probabilmente ci vorrà tempo per applicare questa norma (pensiamo a quanti anni sono passati in Italia per chiudere gli istituti), ma sicuramente è stato fatto un passo in avanti enorme.
La lunga permanenza dei bambini in istituto in Brasile è un dato di fatto,
anche quando le ricerche dei parenti sono state infruttuose o quando i bambini vengono abbandonati negli ospedali. Vengono portate avanti le procedure per promuovere adozioni nazionali, ma purtroppo spesso queste durano
anni, e i bambini continuano a soffrire in istituto in attesa di una famiglia.
Un altro dato rilevante, nel quale spesse volte mi sono imbattuta nel corso
del mio lavoro, è che spesso i bambini dichiarati adottabili sono in condizioni
di salute gravi per maltrattamenti e abusi.
1 Calcagno, G., De Marco, G., Nozione giuridica di adottabilità e strumenti internazionali di tutela dei minori, in Colella, A.M., Saracco, A. (a cura di), La tutela dei diritti dei bambini e la sussidiarietà nell’adozione internazionale. L’esperienza di un servizio pubblico regionale oltre frontiera, Torino,
ARAI- Regione Piemonte, 2010.
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LA REALTÀ DELLO STAGE NELLE OSSERVAZIONI DI UN ESPERTO
Spesse volte tra magistrati minorili e servizi locali brasiliani si apre il dibattito sulla povertà e l’abbandono; a volte insieme alla povertà c’è l’ignoranza,
l’incapacità di mantenere un lavoro, l’incapacità educativa.
Garantire l’obiettivo della tutela dei diritti dei minori significa permettere ai
bambini di rimanere nella propria famiglia, e in ogni caso nel proprio Paese, e
se questo non è possibile per ragioni oggettive bisognerebbe promuovere e
permettere l’adozione internazionale, ma purtroppo ancora non succede:
anche se i bambini sono dichiarati adottabili non possono essere proposti per
l’adozione internazionale se non hanno compiuto almeno i cinque anni di età.
Aspettano quindi una famiglia brasiliana.
4. I progetti
di sussidiarietà
e la nuova
legislazione
brasiliana
Un tema importante, sottolineato da importanti enti accreditati in Brasile,
affrontato nel dibattito del seminario di San Paolo, è stato l’applicazione dell’articolo 52a della nuova legge brasiliana del 2009 sulle adozioni, per quanto
concerne i fondi trasferiti per realizzare progetti di sussidiarietà. L’articolo precisa infatti che gli eventuali trasferimenti di risorse da organismi esteri abilitati a operare nelle adozioni potranno essere effettuati soltanto sui fondi nazionali, statali e municipali dei diritti del minore e saranno soggetti alle deliberazioni del rispettivo Consiglio dei diritti del minore. Personalmente condivido
l’obiettivo del legislatore brasiliano di controllare i trasferimenti di fondi in
questo settore, ma soprattutto quello di attivare a livello locale la programmazione degli interventi sociali a tutela dei diritti dei minori fissando delle
priorità nell’impegno di risorse a favore di diversi progetti. È evidente infatti la
differenza nella qualità dell’assistenza delle strutture di accoglienza di minori
in presenza o meno del sostegno di una ong o altre istituzioni.
Le comunità, gli istituti, le strutture raggiunte in qualche modo da finanziamenti internazionali vivono una situazione più serena; altre strutture, che non
ottengono aiuti, hanno in diversi casi grandi difficoltà a garantire professionalità
competenti e sostegno ai bambini. Mi sembra che il dettato della legge brasiliana volto a razionalizzare i tanti aiuti che arrivano sia un ottimo obiettivo, anche
se, naturalmente, occorrerà vedere nei fatti come questa norma verrà applicata.
Nei giorni di permanenza della delegazione italiana c’è stata una forte
attenzione ai progetti significativi realizzati, compresi quelli realizzati dalle
stesse Autorità giudiziarie delle CEJA.
I progetti di sussidiarietà realizzati dagli enti italiani in Brasile sono davvero tanti e tutti importanti; molti di questi tendono a sottolineare l’importanza
della trasformazione della cultura dell’istituzionalizzazione in cultura dell’accoglienza.
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LO STAGE IN BRASILE
Tra i tanti progetti realizzati l’ARAI ha presentato nel corso della permanenza a Bahia il progetto Tessendo legami. Un’esperienza di riconquista del
diritto alla convivenza familiare, con la collaborazione della Segreteria di lotta
alla povertà e alle disuguaglianze sociali dello Stato di Bahia e l’Università
Cattolica di Salvador. Il progetto aveva come obiettivo la realizzazione di una
ricerca che intendeva conoscere la situazione degli istituti dello Stato di Bahia,
le cause di istituzionalizzazione dei bambini e degli adolescenti e l’individuazione delle famiglie che mantengono dei vincoli con i figli istituzionalizzati.
Nella realizzazione di questo progetto, si è inteso promuovere la ristrutturazione dell’accoglienza prestata al bambino e all’adolescente in istituto, favorendo quindi l’elaborazione di una politica di protezione sociale specializzata,
basata sul riconoscimento del bambino e dell’adolescente come soggetto
avente diritti, nella garanzia della convivenza familiare e comunitaria e nel
consolidamento della misura provvisoria dell’accoglienza.
5. La centralità
dell’organizzazione
dei servizi
Altro tema affrontato che appare particolarmente centrale è l’organizzazione dei servizi. Le amministrazioni comunali brasiliane stanno cercando da anni
di crescere con competenze adeguate per prendersi in carico i loro bambini in
difficoltà; a tutt’oggi infatti i servizi sociali per l’allontanamento dei minori, la
dichiarazione dello stato di adottabilità e le procedure adottive, dipendono
tutte dalla magistratura minorile, dal poder judiciário.
Uno dei nodi in questa situazione è, in alcune zone del Paese, la difficoltà
di comunicazione tra varie istituzioni competenti, cioè il Ministero pubblico,
il Conselho tutelar, l’organismo gestore dell’assistenza sociale e i Consigli
municipali dei diritti del minore e dell’assistenza sociale, ai quali spetta deliberare sulle politiche pubbliche che possono consentire di ridurre il numero
di minori lontani dalla convivenza familiare e abbreviare il periodo di permanenza in programmi di accoglienza (articolo 101, comma 12 della legge brasiliana del 2009).
La legislazione brasiliana contiene l’enunciazione di principi importanti e
condivisibili. Per esempio, la Carta magna del Brasile consacra il principio dell’uguaglianza tra filiazione biologica e filiazione adottiva: «i figli avuti dalla
relazione di matrimonio, o per adozione, avranno gli stessi diritti e qualifiche;
è proibito qualunque accenno discriminatorio relativo alla filiazione». Inoltre,
«chi lascia il figlio in stato di abbandono perderà la potestà genitoriale». In
Brasile i servizi di assistenza vengono incaricati di realizzare “un piano d’azione in favore dei bambini e del gruppo familiare”, mentre il fallimento degli
interventi giustifica la successiva dichiarazione di abbandono.
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LA REALTÀ DELLO STAGE NELLE OSSERVAZIONI DI UN ESPERTO
La procedura di accertamento della condizione di abbandono riguarda
esclusivamente bambini che già si trovano in istituto o, talvolta, in affidamento eterofamiliare, per essere stati trovati abbandonati per strada o ricoverati
su richiesta di familiari in situazioni di indigenza o di vicini di casa o su segnalazione di strutture sanitarie.
Le condizioni di tutti i bambini dichiarati adottabili, indistintamente, risultano di gravità estrema: piccoli di 5 o 6 anni mandati via di casa e mai più cercati, segni visibili sul corpo di aggressioni fisiche e maltrattamenti, denutrizione grave, bambini anche piccolissimi abusati sessualmente. A fronte di
questa situazione non c’è ancora in Brasile un unico punto di riferimento per
la presa in carico dei bambini e le diverse istituzioni sociali e giudiziarie in
alcuni casi e in alcune zone del Paese hanno cominciato solo da poco a dialogare tra loro.
6. Conclusioni
Che dire? Potremmo commentare: “già visto!”, anche da noi, nonostante
l’approvazione del Dpr 616/1977 di trasferimento di funzioni e personale alle
amministrazioni locali, nonostante gli sforzi, quanta strada resta ancora da
fare!
Agli operatori brasiliani auguriamo che possano al più presto riuscire a
prendere in carico non solo i bambini che per un qualche motivo sono accolti
in strutture ma anche quelli che vivono situazioni difficili all’interno delle loro
famiglie e nelle strade.
In questo momento storico l’importante è che tra istituzioni ci si parli e si
cerchi di sviluppare senza divisioni progetti adeguati di crescita e sviluppo per
i bambini in difficoltà, e la formazione condivisa dai diversi soggetti istituzionali è un ottimo strumento di conoscenza e di scambio. Tutto ciò vale anche
per noi operatori del diritto, assistenti sociali e psicologici italiani, servizi pubblici ed enti privati, ovviamente.
Abbiamo ancora tanti temi su cui confrontarci per la tutela dei diritti dei
bambini, perché i bambini adottati in Brasile, che devono cambiare legami, lingua, abitudini, riescano davvero a comporre in loro due culture diverse e adattarsi nella nostra società.
Grande condivisione quindi durante tutte le fasi dello stage nei dibattiti
sugli obiettivi, sulle procedure, sulle esperienze; grandi discussioni fra noi e
gli amici brasiliani, a volte con rammarico per l’impossibilità, a fronte dei mille
impegni, di goderci un po’ di più la compagnia dei bambini di strada, dei colori, delle musiche, della vista dell’immenso mare blu di Bahia.
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Il resoconto dello stage in alcuni diari-agenda
e taccuini di viaggio*
Nell’esperienza degli italiani in Brasile, i diari-agenda e i taccuini di viaggio,
corredati da alcuni altri strumenti quali le domande chiave, hanno rappresentato altrettanti strumenti utili per favorire sia la sedimentazione di una traccia
mnestica significativa relativamente a quanto si è conosciuto e appreso durante lo stage, sia la rielaborazione emotiva di un’esperienza pulsante che non
solo vede le persone spostarsi in un altro continente, ma le mette a contatto
con una realtà vitale. Una realtà di vita spesso non facile, che è stata magari
immaginata e fantasticata, forse in parte prefigurata, ma che in questo caso si
tocca emotivamente con mano.
In ambito formativo è risaputo che la chiarezza metodologica nell’utilizzo di
strumenti diversificati deve sempre e comunque fare i conti non solo con i contesti operativi dove questi vengono applicati, con i tempi effettivamente a disposizione, ma anche e soprattutto con le specificità soggettive e professionali delle persone che nella formazione sono coinvolte.
In questo caso, non solo i contesti operativi erano collocati a migliaia di chilometri di distanza dal proprio Paese e comportavano spostamenti inimmaginabili nei contesti di provenienza, non solo i tempi concretamente utilizzabili
erano fortemente compressi rispetto alla ricchezza delle realtà da esplorare,
ma le specificità soggettive dei partecipanti erano quanto di più variegato si
possa immaginare: territorialmente (la provenienza da tutte le Regioni
d’Italia), professionalmente (assistenti sociali, psicologi e giudici), rispetto
alle funzioni ricoperte (funzionari, referenti, dirigenti, giudici e presidenti di
tribunale), personalmente (specificità relazionali e umane di una ricchezza
estrema).
Con una simile diversificazione era scontato che le personali interpretazioni degli strumenti proposti avrebbero ecceduto la normale varietà di applicazioni e versioni individuali. Lo si può infatti riscontrare dai materiali di sintesi
che vengono di seguito riproposti, dove l’obiettivo metodologico principale
della divisione dei due strumenti (diario-agenda e taccuino di viaggio) è stato
raggiunto consentendo una preelaborazione distinta dell’esperienza vissuta,
senza fare confusione fra dati, opinioni, commenti, reazioni, vissuti e quant’altro; dove la sintesi effettuata successivamente, e presentata alla riflessio-
* La raccolta dei diari di viaggio è stata curata da Giorgio Macario.
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LO STAGE IN BRASILE
ne comune, ha mantenuto una titolarietà principale (informativa ad esempio
per il diario-agenda; di espressione emozionale per il taccuino di viaggio), ma
ha connotato in vario modo il proprio elaborato finale evitando che si dovessero affrontare sintesi piatte e monotone da un lato, o sfoghi esistenziali e
autoreferenziali dall’altro.
È per questo che nel riportare estesamente sei diari-agenda e un solo taccuino di viaggio primus inter pares, oltre a condensare citazioni significative
tratte dagli altri materiali dei partecipanti nelle analisi dei tutor, si è operata
una scelta esemplificativa di diverse modalità di scrittura e di sintesi. Per sottolineare a un tempo il valore conoscitivo, relazionale, metodologico, ma
anche fortemente autoformativo, di esperienze che possono essere agevolmente avvicinate ai contesti di alta formazione.
1. Il diario-agenda
di un giudice1
Una mattina di settembre; l’aeroporto di Fiumicino non è troppo affollato, cerco il
meeting point per il primo incontro con i miei compagni di viaggio.
Da diversi punti, in diversi momenti, ciascuno dalla sua realtà regionale, arrivano alla
spicciolata i partecipanti allo stage; alcuni si conoscono già, altri convergono verso le
figure note: Macario, Millo, qualche collega di città vicine. Li guardo con una certa diffidenza: mi sembrano tutti così scollegati e mi chiedo se saremo capaci di integrarci e probabilmente è quello che pensano tutti. Parlo con qualcuno che ho conosciuto all’incontro agli Innocenti, ma sono contatti superficiali; in realtà non desidero altro che cominciare il programma vero e proprio, di imbarcarmi, con una certa preoccupazione per la
noia del volo.
In aereo ho un posto in una fila vuota alla fine del corridoio, mi rassegno alla solitudine. Non ho neanche il materiale fiorentino: è imbarcato nella valigia, pazienza! Penso,
guardo qualche film e aspetto; sarà la prima delle attese di questo viaggio che si riproporranno costantemente.
Si arriva finalmente a San Paolo, non fa il caldo che immaginavo. La via per arrivare
in città dall’aeroporto è lunga e la strada attraversa luoghi moderni e squallidi come
tutte le strade dei Paesi tropicali che dall’aeroporto conducono in città; mi sforzo di non
essere prevenuto.
L’albergo è brutto da fuori ma all’interno ha un’aria accogliente; la stanza è molto
confortevole: la finestra affaccia su un panorama di grattacieli sporchi e sul degrado di
un teatro che sembra essere bruciato da poco.
Il giorno successivo è libero, per via della festa nazionale; è tutto chiuso. Sono
subito diviso dal grosso del gruppo, partito in gran massa all’alba per visitare i dintorni dell’albergo. Assieme al collega di Milano e all’impiegato amministrativo
dell’Istituto degli Innocenti facciamo una lunga camminata nel degrado per raggiungere l’avenida Paulista, la strada più importante della città: molte persone dormono
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Roberto Ianniello, giudice presso il Tribunale per i minorenni di Roma.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
o sono sdraiate in terra in modo rassegnato; ci hanno ripetuto di stare attenti e scansiamo diffidenti le persone male in arnese.
La quinta strada di San Paolo contrasta con l’ambiente circostante: impareremo a
capire che la disomogeneità è una caratteristica della città. Non abbiamo real in tasca
perché non abbiamo potuto cambiare per via della festa nazionale e quindi guardiamo
e basta. Il solito architetto italiano ha costruito l’orrendo museo di arti moderne di San
Paolo che è uno sgraziato edificio su palafitte, troppo lungo, sembra una casa con le
gambe.
Al pomeriggio siamo imprigionati in un pullman che fa il giro della città, con una
guida italo-brasiliana che ci mostra con orgoglio le bellezze della metropoli e soprattutto i lavori di una serie infinita di architetti italiani, del tutto sconosciuti al di fuori di San
Paolo, dai nomi ridicoli: Braccialetto, Cipicchia e così via.
Non ci si può fermare da nessuna parte perché non c’è il tempo e poi “è pericoloso!”;
l’unico posto dove finalmente scendiamo dal pullman è abbastanza deserto, con un
inquietante presidio di polizia, dove pare sia stata fondata la città. Tutto il gruppo scatta foto a una campana nuova, donata nel 2002 da non so più chi. La sera, con le persone del gruppo cui sarò poi più legato per l’intero viaggio evadiamo e arriviamo all’avenida Paulista, che gli altri non hanno ancora visto, e finiamo in un locale brasiliano a
bere caipirinha, finalmente immersi tra la gente.
1.1 Primo giorno
Il giorno successivo cominciano i lavori, per fortuna in una sala dell’albergo; sono
presenti alcune autorità amministrative e alcuni giudici brasiliani.
Patrizia Lamego, coordinatrice dell’ACAF, ci spiega diffusamente la scelta di una
sussidiarietà rigorosa che il Brasile si è imposta, per cui le adozioni internazionali
costituiscono un fenomeno eccezionale, e che l’accreditamento di uno Stato si fonda
soprattutto sulla prossimità culturale. Insiste sulla necessità di una sollecita attribuzione della cittadinanza italiana al bambino brasiliano adottato in Italia, secondo lei
condizione fondamentale perché l’adozione vada a buon fine; arriva a minacciare la
sospensione dell’accreditamento dell’ente italiano se quel requisito del postadozione
non verrà rispettato. Capiamo poi che l’insistenza sulla cittadinanza è legata a problemi che i bambini e i ragazzi brasiliani hanno avuto nel passato per delle adozioni fallite, particolarmente negli Usa, quando alcuni minori adottati da famiglie americane
sono poi stati rispediti in Brasile dopo il fallimento adottivo, a seguito di qualche problema con la giustizia.
Il problema ci tocca relativamente, perché non sono poi molti i tribunali che tergiversano nella dichiarazione d’efficacia della sentenza brasiliana di adozione: generalmente decorre un tempo limitato tra la richiesta della coppia e la sentenza del giudice.
Credo inoltre che la sentenza sia meramente dichiarativa e non costituiva, con l’effetto
di dichiarare l’esistenza di una situazione già in essere allo scopo di darle rilevanza giuridica in Italia. Effettivamente però in Italia qualche coppia si tiene nascosta e può
richiedere tardivamente la dichiarazione di efficacia al giudice, con l’effetto di realizzare una minore tutela del bambino che non può acquisire la cittadinanza immediatamente, con le relative conseguenze. Forse la stessa Commissione per le adozioni internazionali potrebbe sostituirsi alla coppia nel richiedere la dichiarazione di efficacia al giudice
al momento dell’ingresso in Italia del bambino.
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LO STAGE IN BRASILE
Sentiamo quindi i giudici. Raul Khairallah de Oliveira e Silva, che per fortuna qui
chiamano tutti, semplicemente, il giudice Raul, e il giudice Carvalho Benedicto ci parlano con passione del loro lavoro, ci spiegano come funziona il sistema della protezione
dell’infanzia e adolescenza: apprendiamo dei 70.000 bambini istituzionalizzati, della
scelta preferenziale dell’Italia come luogo di destinazione dei bambini adottati all’estero, prevalentemente fratelli, nella misura dell’83%, con un buon 38% di bambini non del
tutto sani e quasi esclusivamente tra i 4 e gli 11 anni. Se si considera che le adozioni di
bambini singoli sono soltanto il 17% del totale e le coppie italiane adottano fratelli si
può dedurre che il numero dei minori grandicelli è nettamente prevalente.
Lo Statuto del bambino e dell’adolescente, che è una buona legge, come molte delle
nostre, ma ancora relativamente applicata, come molte delle nostre, e la nuova legge sull’adozione sono i testi fondamentali per la protezione del bambino. La legge sull’adozione, recentissima, cerca di porre rimedio al fenomeno dell’istituzionalizzazione ponendo il
limite di due anni dopo il quale i genitori perdono la potestà parentale; il giudice Carvalho
con gli altri giudici e successivamente anche la dottoressa Daniela Gonzaga, presidente
del CEJAS dello Stato di Bahia, diranno però che lo Statuto non viene applicato rigorosamente: gli interventi in materia di assistenza medica, economica, sociale previsti per le
famiglie in difficoltà, infatti, sono limitati e per lo più non risolutivi, per cui molti bambini
finiscono in strutture di accoglienza dalle quali difficilmente escono per essere reinseriti
in famiglia, proprio perché gli aiuti alle famiglie, per migliorare le loro condizioni o non
arrivano o non sono sufficienti a cambiarne la situazione.
È molto forte la rilevanza che viene data al poder judiciário: lo scopriamo a San Paolo,
lo troveremo ancora a Mogì Guazù, sarà esaltato a Salvador de Bahia. Alcuni giudici sono
indispettiti dal fatto che le nuove leggi abbiano ridotto loro poteri e competenze attribuendole a organismi amministrativi; altri, soprattutto a San Paolo, affermano che debba
essere l’Autorità centrale a occuparsi della protezione vera e propria, della tutela dei
bambini nelle loro famiglie, mentre, più correttamente, il potere giudiziario dovrebbe
intervenire solo per giudicare, senza coinvolgersi in situazioni nelle quali venga meno il
loro ruolo (danno la bella definizione “la loro dote”) della terzietà. Riconoscono che l’accreditamento degli enti abbia consentito di superare una situazione precedente di confusione, migliorando la qualità del lavoro e la sicurezza delle scelte.
Qualcuno teme che l’introduzione della norma contenuta nella nuova legge sull’adozione possa limitare la disponibilità degli enti italiani, che in termini di cooperazione
stanno contribuendo al miglioramento della condizione dell’infanzia in Brasile, o addirittura provocarne il ritiro. La norma in questione prevede che l’ente di cooperazione e
comunque qualsiasi benefattore straniero non possa più scegliere da solo il progetto di
cooperazione da realizzare ma debba versare la somma stanziata in un fondo, lasciando a un organismo amministrativo la scelta dell’iniziativa da finanziare.
Tra le domande poste dalla delegazione vi è stata quella relativa all’ingresso in istituto: come e quando avviene? Gli adolescenti abrigados sono in istituto da quando
sono bambini o sono stati protetti più tardi? La domanda riceve risposte confuse.
Altri giudici rappresentano un’immagine euristica della realtà: affermano che dal 1990
il bambino e l’adolescente sono divenuti soggetti di diritto e non più oggetti come era in
precedenza. Da allora sono cominciate le politiche pubbliche in loro favore e il potere giudiziario ha assunto funzioni di controllo e vigilanza sulla realizzazione delle stesse.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Il bambino e l’adolescente sono considerati parte integrante delle famiglie.
Il bambino ha diritto a crescere nella sua famiglia, dicevamo noi nella legge del 1983,
per cui la tutela si manifesta soprattutto con l’aiuto alle famiglie perché possano occuparsi meglio dei figli.
Sono le stesse costruzioni teoriche che abbiamo fatto e continuiamo a fare in Italia,
nonostante gli insuccessi, e che secondo me si fondano su un grande equivoco: si considera la famiglia come naturalmente e normalmente buona ed efficiente, talvolta impedita
nello svolgimento del suo compito da circostanze esterne quali la povertà, la mancanza di
lavoro, di abitazione, ecc. Indubbiamente sussistono tutti questi fattori, ma la famiglia non
è in sé, per sua natura, necessariamente buona e valida. Vanno bene gli interventi migliorativi quando ci riferiamo a una famiglia che abbia un minimo di legame, un minimo di efficienza, un minimo di funzionalità effettive relativamente al bambino, non quando l’esistenza di un padre e di una madre è soltanto un evento biologico, magari accidentale.
Nel panorama giuridico amministrativo delineato con un’analisi diffusa dagli attori
degli interventi, è stato interessante e costruttivo l’approfondimento storico sociologico
della professoressa Miriam Veras Baptista, la quale ha ricostruito la storia dell’abbandono dei bambini che, sconosciuto dalla comunità india, è stato introdotto dagli europei.
Esso era legato originariamente all’obiettivo di acculturazione dei bambini indios (ma
forse più che altro all’obiettivo di evangelizzazione della popolazione che cominciava dai
bambini e che imponeva l’allontanamento dalle famiglie e l’insegnamento prioritario
della lettura e della scrittura); anche i bambini portoghesi orfani venivano inviati nei collegi, nelle casas de los muchachos. Molti bambini meticci, frutto di unioni tra bianchi e
indios, erano abbandonati o cresciuti in famiglie in cui prestavano poi servizio.
L’istituzione delle ruote per la raccolta dei bambini abbandonati incrementò gli ingressi
di bambini in istituto, soprattutto dopo il fallimento del progetto di allevamento dei bambini fino ai 3 anni da parte di balie pagate dallo Stato a causa dell’alta mortalità.
I nuovi istituti erano luoghi ove assieme all’accoglienza era prevista una preparazione per il futuro inserimento sociale: i bambini venivano addestrati a lavorare e le bambine utilizzate specialmente come domestiche, senza alcuna remunerazione. Soltanto in
un secondo momento gli abrigos furono attrezzati con scuole e medici al loro interno, e
alla fine del XVIII secolo, in corrispondenza con l’igienismo e con lo sviluppo di una
nuova cultura del bambino nel mondo, gli istituti cominciarono a occuparsi di una formazione dei bambini e delle bambine rispettivamente al lavoro e al matrimonio.
A conclusione dei lavori una referente brasiliana si avvicina a me e si complimenta
per la domanda relativa agli adolescenti in istituto (il momento di ingresso e il raggiungimento dell’adolescenza in istituto). Mi dice che i giudici brasiliani non hanno voluto
rispondere perché il potere amministrativo e quello giudiziario tendono a presentare
una facciata linda e quanto mai perfetta e accettabile che in realtà nasconde le vere problematiche che non si vogliono mostrare.
Conveniamo che conoscere le situazioni problematiche e non risolte non mette in
luce soltanto una realtà negativa e svalutante, quanto piuttosto aiuta a mettere in
campo energie per trovare insieme soluzioni. Siamo d’accordo che i problemi esistono
e riconoscerli non è inevitabilmente un motivo per deprimersi, ma una spinta ad andare avanti. Ciascuno deve fare la propria parte, ciascuno con le proprie risorse e nel proprio piccolo, solo così si può andare avanti.
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LO STAGE IN BRASILE
1.2 Secondo giorno
Successivamente alle intense giornate di scambio con i giudici e i tecnici della protezione dell’infanzia a San Paolo, la delegazione si è divisa in quattro gruppi e si è diretta nelle periferie per verificare sul territorio l’applicazione pratica dei principi della protezione.
Il mio gruppo ha visitato Mogi Guaçu nella circoscrizione di Campinas, una città industriale, specializzata nella produzione di piastrelle, di carta e cellulosa, con una popolazione di 131.000 abitanti. La cittadina è molto più umana, nel senso che è più misurata
nel rapporto risorse-bisogni della popolazione e si osserva una popolazione certamente più serena e benestante, soprattutto rispetto a quella che abbiamo visto vivere per
strada a San Paolo.
Abbiamo visitato il Tribunale, dove ci hanno offerto caffè e tisane nelle tazze con lo
stemma del Tribunale (da segnalare alla mia presidente), e poi abbiamo incontrato,
nella sua interezza, l’équipe tecnica del Tribunale per l’infanzia e gioventù (Juzgado da
crianca e juventude) e il pubblico ministero che parlava italiano.
Lo Statuto del bambino e dell’adolescente ha costituito il Consilho tutelar, formato
da volontari eletti dalla popolazione, che dura in carica due anni ed è subordinato al
Consiglio nazionale e a quello federale per la tutela dei minori, dei quali è organo periferico. Il Consiglio ha il compito di avviare gli interventi amministrativi e giudiziari in
favore dei minori, sulla base di segnalazioni; svolge gli interventi immediati e si occupa
anche di evasione scolastica.
Dopo la segnalazione il processo è iscritto all’anagrafe del tribunale, viene formato un dossier che viene trasmesso al pubblico ministero, il quale, dopo averlo esaminato chiede al giudice quali interventi possano essere effettuati per porre rimedio
alla situazione di disagio o di irregolarità segnalata. Il pubblico ministero si avvale
dell’équipe tecnica costituita all’interno del tribunale, composta da psicologi e assistenti sociali. L’équipe effettua le indagini, sente i genitori e se è il caso i minori,
emette un parere conclusivo con le sue proposte; può anche chiedere di rivolgersi ai
servizi municipali locali per approfondire le indagini nel luogo di abitazione della
famiglia.
L’inizio del processo indica il fallimento degli interventi di sostegno decisi precedentemente dal consiglio tutelare. Il giudice decide in base al parere espresso dall’équipe e dal pubblico ministero e a quanto pare esiste di regola un grande accordo in
questi uffici giudiziari, nei quali tutti si chiamano per nome. La decisione può essere
appellata e comunque non esiste né un passaggio ingiudicato, né una definitività
della decisione e del caso relativo. Il potere giudiziario continua a occuparsene fino
alla risoluzione della situazione, che può avvenire con il reinserimento in famiglia
(come prima misura, di regola, il bambino è istituzionalizzato) o con l’inserimento in
una famiglia sostitutiva.
Esistono ancora misure certamente non risolutive che, in qualche modo congelano
la situazione, come l’attribuzione della tutela a un parente (credo di aver capito che non
duri più di quattro anni) o la permanenza in abrigo (che può avvenire anche dopo la cessazione della tutela, da qui l’età elevata di molti bambini in istituto).
Dopo l’incontro in Tribunale abbiamo visitato il Consiglio tutelare e la sede di un
gruppo di appoggio all’adozione, dove avvengono anche gli incontri tra i bambini e le
loro famiglie durante il percorso del reinserimento.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Tutti i nostri interlocutori hanno manifestato una grande determinazione a fare bene,
a migliorare le condizione del loro lavoro e quindi dei bambini sotto la loro protezione;
sono apparsi molto motivati e pieni di buoni propositi. Penso però che certamente il
ruolo dell’équipe tecnica è centrale e determinante ma che forse sono troppo poche le
persone che decidono per tutti: un eventuale contrasto tra pubblico ministero e giudice
o un conflitto con l’équipe può avere il risultato di paralizzare le situazioni.
Sembrano tutti d’accordo, scherzano tra loro e si chiamano per nome citandosi reciprocamente; ma il problema del controllo? L’autoreferenza è in agguato.
Comunque al Tribunale di Mogì Guazù non era mai stata effettuata un’adozione
internazionale.
Abbiamo visitato poi il nostro primo istituto, un abrigo con una ventina di bambini. Ci attendevano tutti ai cancelli, ci hanno preso per mano quando siamo entrati e
hanno chiesto i nostri nomi, comunicandoci i loro; occhioni grandi, alcuni un po’ tristi,
ma apparentemente sereni. I locali sono piccoli e tutto l’edificio è molto essenziale; i
gestori sembrano due genitori, calmi e dall’aria affidabile. Vivono del contributo del
municipio e tutto è molto modesto ma razionale. Ci mostrano con orgoglio un nuovo
grande locale che sono riusciti a ultimare da poco, sono dignitosi e pieni di buona
volontà.
Penso che i bambini sono abbandonati e vivono in comunità, però almeno sono
salvi, costruiscono rapporti, hanno un posto che è in piccola parte loro. È facile proclamare la chiusura degli istituti come un obiettivo finale, è banale ed evidente e non possiamo che concordare con questo, ma va valorizzata e non svalutata la forma di protezione intermedia che appunto oggi è l’abrigo e va apprezzata la forza e la speranza di
chi si occupa dei bambini, quotidianamente.
1.3 Terzo giorno
La giornata conclusiva si è concentrata sul rapporto di Carlos Bellini, direttore esecutivo dell’ente AIBI, che ha ribadito come la sussidiarietà e la cooperazione siano gli
elementi chiave in Brasile per il funzionamento dell’adozione internazionale.
La realizzazione di progetti di cooperazione costituisce il prerequisito perché l’ente
straniero ottenga l’accreditamento. Nonostante il collegamento tra cooperazione e
adozione e nonostante la prevalenza nettissima dell’adozione nazionale rispetto a
quella internazionale, esistono ancora forti pregiudizi relativamente alla possibilità
che un bambino brasiliano debba essere “ceduto” all’estero. La legge n. 12.010 del 3
agosto 2009 all’articolo 52 dispone che gli enti non possano più realizzare progetti
scelti da loro ma debbano piuttosto adempiere al requisito della cooperazione attraverso l’erogazione di denaro in un fondo, amministrato da un consiglio locale che deciderà come impiegare le risorse. Il modo di impiego sarà controllato, quindi, dal ministero delle finanze. Gli enti dovranno iscriversi ai consigli comunali e nazionali per
poter partecipare a questo nuovo sistema.
Le persone contrarie a questa nuova normativa affermano che si tratta di un vecchio progetto del presidente Lula, sostanzialmente contrario all’adozione internazionale, che avrà come effetto la fine della cooperazione internazionale. Non tutti la pensano così e sento altre persone sia italiane che brasiliane che ritengono che sia giusto che lo Stato, che conosce la realtà complessiva dei bisogni dei bambini, sia in
grado di scegliere come utilizzare le risorse in maniera da realizzare una più equili-
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LO STAGE IN BRASILE
brata distribuzione delle stesse, piuttosto che lasciare al caso o a conoscenze particolari la possibilità di fruire dei progetti stranieri, a scapito magari di chi ne avrebbe
un maggiore bisogno.
Si tratta evidentemente di una questione aperta sulla quale il dibattito è recente e
vivace e che porterà al raggiungimento di nuovi equilibri sia sulla protezione dei bambini sia sulla cooperazione finalizzata all’adozione internazionale.
Come osservazioni conclusive, ritengo che San Paolo rappresenti l’esempio più
manifesto della disomogeneità di questo Paese, bellissimo e spaventoso allo stesso
tempo. Credo che esista una forte discrasia, maggiore forse che in altre nazioni, tra le
conquiste scientifiche e culturali e gli ideali, i valori e il sentimento popolare diffuso.
Sembra sia molto difficile attuare certi progetti, a volte troppo avanzati nella loro elaborazione rispetto alla possibile comprensione e condivisione da parte del popolo e dei
suoi rappresentanti. Il problema grande e attuale del Brasile sembra così essere, in questo momento, quello di avvicinare in qualche modo la vetta della montagna alla sua
base, di diffondere tra la popolazione idee e sentimenti nuovi e di far tracimare gli ideali e le nuove conquiste sociali e relazionali oltre le barriere dell’interesse personale,
della rassegnazione e del costume.
Un grande esempio di tutto questo mi sembra possa essere la cultura dell’abrigo. I
tecnici, gli esperti di relazioni e di evoluzione criticano gli abrigos, vorrebbero chiuderli
tutti e sostituirli con rapporti e accoglienze di tipo familiare, ma nonostante ciò gli abrigos continuano a esistere e ad aumentare di numero, anche dopo l’entrata in vigore
dello Statuto del bambino e dell’adolescente.
Molti giudici, molti tecnici e operatori hanno radicata l’idea dell’istituto come luogo
di protezione, come luogo principale di protezione, facile, immediato e risolutivo, per
cui criticarli ed eliminarli, nel loro meme di base, è come criticare e voler eliminare la
mamma stessa. E se non si capisce questo si combatte contro i mulini a vento e si diventa anche impopolari. Valgono peraltro tutte le osservazioni fatte in precedenza sulla
provvisoria funzionalità degli istituti come luoghi di emergenza.
1.4 Quarto giorno
Siamo partiti per Bahia. Il gruppo si è ridotto e abbiamo lasciato dietro amici con i
quali avevamo impostato un dialogo. Abbiamo però con noi alcune persone molto preparate e coinvolte, tra cui Anna Maria Colella che è il nostro Virgilio, la cui vitalità ed
entusiasmo sono un’iniezione di adrenalina per il gruppo, il professor Pascarella di
Reggio Emilia, una gran bella testa, Mario Zevola, presidente del TM di Milano, interlocutore colto e piacevole, Verena La Chiusa di Bolzano, che mi ha fatto riscoprire la qualità degli assistenti sociali, e Chiara Lionello di Venezia, con la quale vorrei poter lavorare ogni giorno.
Ci sistemiamo in un albergo poco confortevole ma pieno di charme: è una vecchia
casa coloniale riadattata; dopo la sistemazione in albergo e una cena interminabile
riusciamo solo a strisciare a letto stanchi morti.
La mattina successiva è dedicata agli incontri. Presso la sezione da infanca e juventude di Salvador incontriamo alcuni giudici minorili e un pubblico ministero, e soprattutto il dottor Emilio Salomao Pinto Reseida, presidente della sezione, che ci spiega il
lavoro svolto con le adozioni e l’attenzione posta all’inserimento dei minori presso le
coppie straniere.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Dopo l’accesso in Tribunale, ci spostiamo verso il Pelourinho, il quartiere più famoso di Salvador, giudicato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Girando per le strade di
questo magnifico luogo assistiamo a uno spettacolo di capoeira, la danza degli schiavi,
realizzata da alcuni ragazzi, e poi, dopo aver ascoltato uno spettacolo di percussioni da
parte di altri ragazzi già istituzionalizzati, visitiamo il progetto Axé che accoglie bambini e ragazzi in difficoltà per insegnare loro un lavoro che possa renderli autonomi. Le
creazioni del laboratorio di sartoria sono molto belle e il metodo di insegnamento è piuttosto concreto: si fonda sull’apprendimento pratico e non certamente sulla proposta di
nozioni. I ragazzi sono sereni e coinvolti, stanno cambiando la loro vita e qualcuno li
aiuta. Al di fuori facciamo le foto con le donne vestite da bahiane, per la modica spesa
di cinque real. Ma non si può restare a scoprire questo quartiere stupendo, siamo subito in pullman per raggiungere il grande Tribunale di Salvador, costruito in periferia,
dipinto in rosso, con grandi giardini e parcheggi intorno, molto bello e funzionale: nell’atrio al piano terra sembra di stare in un museo e le balconate dei piani che affacciano
sul grande atrio centrale danno una sensazione di grande respiro.
Conosciamo la presidente del Tribunale, la presidente del Céjas che ha organizzato
tutto e andiamo a pranzo in una sontuosa sala, dove l’accoglienza è particolarmente
accurata.
I lavori cominciano dopo il pranzo e vengono presentate relazioni sul progetto di
automazione dei servizi per il controllo sulle adozioni, progetti per migliorare la condizione dei bambini. Alcune cose le avevamo già sentite, ma appare apprezzabile lo sforzo di specificare e approfondire con slide e presentazioni appositamente preparate.
La presidente del Tribunale, che ci onora della sua ospitalità e che sembra sia la
prima volta che partecipi di persona a un convegno di tale natura, invita tutta la delegazione presso il suo elegante studio, con almeno tre immense sale piene di mobili e
suppellettili pregiate, certamente non paragonabili agli uffici dei nostri presidenti di tribunale e persino della Corte d’appello (ma tutto il Tribunale è un modello di architettura funzionale e attraente).
1.5 Quinto giorno
L’ultimo giorno di lavoro è dedicato alla visita agli istituti.
Si tratta di abrigos ben più grandi di quello che abbiamo visitato a Mogi Guaçu.
Il primo, la casa di accoglienza Lar da criança, è più semplice: tanti bambini, tanti
occhioni, tanti musetti con sguardi un po’ sperduti. I bambini hanno varie età, l’istituto
ha un’aria un po’ cadente; alcuni bambini si esibiscono in un ballo con una canzone di
Michael Jackson, un’altra piccola e dolcissima va lanciando baci a chi glieli chiede, una
bambina piccola sta in braccio a un’operatrice, non si stacca un secondo, è triste, non
sorride mai e sembra non partecipare a quanto avviene attorno a lei. Un bambino ci dice
che noi, di fuori, abbiamo tutti lo stesso odore.
Accidenti, che sensibilità! Mi chiedo che cosa ci contraddistingua a livello olfattivo?
Emaniamo forse l’odore della sicurezza, del benessere o che cosa?
Il bambino che aveva mimato Michael Jackson parla al fratellino più timoroso e lo
invita ad avvicinarsi, lo rassicura dicendo: «Non aver paura, non ti vogliono uccidere!».
Andiamo via con il desiderio di portarceli tutti in Italia e dopo un certo tragitto arriviamo al secondo istituto, creato e gestito dagli aderenti alla dottrina filosofica dello
Spiritismo, fondata in Europa da Allan Kardec e molto diffusa in Brasile. Si vede subito
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che si tratta di un abrigo abbastanza speciale: in giardini lussureggianti sorgono gli edifici dotati di ambulatorio, servizio medico, dotazioni superiori alla media, una cucina da
ristorante, una grande sala con lavatrice e asciugatrice. Le stanze dei bambini sono
luminose, gli operatori ci descrivono con grande capacità di analisi il funzionamento dell’istituto e la vita dei bambini; alcuni degli ospiti sono molto piccoli e suscitano naturalmente particolare interesse e tenerezza.
Pomeriggio libero, briefing finale e via all’aeroporto per cominciare il lungo itinerario che, via Lisbona, ci riporterà a casa. A Fiumicino saluti in mezzo alle valigie, forse
troppo frettolosi, con un po’ di saudade.
1.6 Bilancio e osservazioni
conclusive
Ho apprezzato particolarmente l’impegno della Commissione per le adozioni internazionali, dell’Istituto degli Innocenti e di ARAI, con il supporto di tutti gli altri enti autorizzati a partire dall’AIBI al CIFA, per aver permesso l’organizzazione di questo viaggio;
la pazienza, l’esperienza e la professionalità del professor Macario che ci ha condotti,
guidati quasi per mano, rinforzandoci nei momenti di stanchezza e richiamandoci a un
ordine metodologico che sovente, in un gruppo, si tende un poco a smarrire.
L’esperienza mi ha arricchito moltissimo: l’opportunità di confrontarci con un sistema
giudiziario diverso, di superare i propri pregiudizi, di conoscere e imparare anche da quello che viene fatto dagli altri e di riconoscere che talvolta certe iniziative, certe leggi e certi
progetti sono migliori dei nostri, è utile a dare un senso di relatività alle nostre azioni, senza
il quale si tende a un isolamento culturale e a decisioni tecniche parziali e di routine.
Mi ha colpito certamente il principio, affermato ora per legge dal Brasile, secondo il
quale non sia possibile abbandonare un minore in un istituto per un tempo indefinito.
Fissare un termine, che probabilmente non sarà rispettato e sarà invece oggetto di interpretazione estensiva, è comunque un fatto molto positivo, che finora nel nostro Paese
non siamo riusciti ad affermare, neppure in maniera teorica.
Il Brasile, in dieci anni circa che lavora sulla protezione dell’infanzia e dell’adolescenza ha fatto passi da gigante, quasi raggiungendoci, almeno a livello concettuale.
Noi lavoriamo su questi temi almeno dal 1975 ma mi sembra che si stia un po’ sgretolando quell’entusiasmo e quella determinazione che contraddistinguono oggi i giudici e
i servizi brasiliani.
Certamente il Brasile è un’entità estremamente grande e complessa, caratterizzata
da una disomogeneità notevole, per cui l’applicazione di principi, direttive e anche leggi
che funzionino allo stesso modo su tutto il territorio nazionale è particolarmente difficile; la fusione delle tre culture, quella bianca, quella india e quella nera, è avvenuta attraverso massacri, distruzioni e un dolore diffuso tra la popolazione.
I problemi di base dell’abitazione, dell’accesso ai servizi pubblici, dell’istruzione,
della diffusione se non del benessere, almeno di standard minimali di vita, costituiscono ancora un grosso nodo da sciogliere per i governanti brasiliani, ma è anche apprezzabile sentirli dire che sono loro che devono in primo luogo provvedere alla protezione
dei loro bambini, nella loro terra, senza favorirne l’esportazione in cambio di risorse economiche. L’adozione internazionale è considerata uno strumento eccezionale, non condizionata dagli aiuti delle nazioni straniere.
La cooperazione attuata attraverso i progetti degli enti è sicuramente apprezzata ma
non costituisce la base di uno scambio automatico tra risorse e bambini disponibili. Il
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numero dei bambini destinati all’adozione è rigido e non viene incrementato dalla compiacenza verso gli aiuti stranieri, ma dalla reale incapacità di trovare soluzioni idonee
nel Paese.
Credo che anche noi saremmo molto scontenti se i nostri bambini lasciassero l’Italia
per essere adottati all’estero, soprattutto se si sta facendo il possibile per migliorarne
la condizione nella loro terra.
Il Brasile è molto impegnato nel realizzare condizioni migliori per le famiglie che permettano alle stesse di non perdere o abbandonare i loro figli, ma i numeri sono altissimi e, nonostante la buona volontà, i tempi di attesa dei miglioramenti sono ancora
abbastanza lunghi.
Abbiamo visitato i bambini abrigados e abbiamo notato che l’istituzionalizzazione
non è gestita, come in gran parte accade da noi, dagli enti ecclesiastici, ma è in mano a
laici e volontari. Non so se ciò sia meglio, ma certamente il clima che si respira è quello
di un’accoglienza senza obiettivi formativi, fondata sulla voglia di fare e su una mentalità di transizione che purtroppo per i bambini non è semplice realizzare in un immediato futuro.
Cosa ci portiamo dietro? Certamente un arricchimento culturale, uno stimolo a uscire dalle routine culturali che ci condizionano e una voglia di risolvere i casi con maggiore determinazione, al di là dei pantani delle risoluzioni auspicate ma realmente senza
prospettive.
Forse ci hanno un po’ contagiato questi giudici e questi specialisti dei servizi brasiliani con la loro voglia di fare bene e al meglio; certamente io ho trovato conferma
alla mia idea di fondo che soltanto la sinergia tra tutte le persone che a vario titolo si
occupano di bambini e adolescenti in condizioni di disagio può consentire di ottenere dei risultati, al di là degli orticelli che ciascuno coltiva per suo conto a insaputa
degli altri. Il mio obiettivo è quello di trovare soluzioni nuove, di inventare modelli
operativi, assieme ai servizi con i quali portiamo avanti identici obiettivi, per pervenire a risultati che siano frutto di una conoscenza del caso e di ipotesi di soluzioni condivise e partecipate.
Mi rendo conto inoltre che alle coppie che intraprendono il difficile percorso dell’adozione occorre proporre maggiore comprensione degli ostacoli e dell’impegno profuso
dagli aspiranti genitori e che le stesse coppie vanno rese maggiormente consapevoli
delle difficoltà vere che le attendono soprattutto in Stati come il Brasile. Qui infatti il
grande impegno non è gratificato da soluzioni semplici quanto piuttosto da ipotesi di
inserimento di minori palesemente in difficoltà, per cui il compito dei genitori adottivi
diventa, ancor più che in altre zone del mondo, un compito da terapeuti di un bambino
danneggiato, con una prognosi per lungo tempo riservata.
Ho recepito la forte richiesta delle autorità brasiliane circa il problema della cittadinanza dei bambini e ragazzi adottati e l’ho segnalato alla mia presidente, che, con la
sensibilità che la contraddistingue, ha immediatamente realizzato un nuovo sistema per
la rapida trascrizione dei provvedimenti stranieri di adozione.
Sperando che le mie osservazioni possano essere state di qualche utilità, ringrazio
ancora la Commissione, l’Istituto degli Innocenti e il professor Macario per la loro
apprezzabile e scientifica attività di formazione di tutti noi operai del diritto e della tutela del bambino.
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LO STAGE IN BRASILE
2. Il diario-agenda
di una psicologa2
2.1 Domenica,
6 settembre 2009
2.2 Lunedì,
7 settembre 2009
Il viaggio rappresenta comunque la prima giornata di lavoro. È indubbiamente un
lavoro di preparazione, a livello emozionale. San Paolo è molto lontana, il tempo passa
tra film, letture e la conoscenza dei compagni d’avventura. C’è fascino in tutto questo,
c’è un sentire tra due opposti, “troppo lontano”-“quasi familiare”. Penso che queste
siano le due parole chiave, espressione cara a Macario. Mi immagino i loro bimbi, i
“nostri” bimbi, che affrontano questa lunga traversata, dove per ore cielo e mare si confondono; immagino anche le coppie, penso a una coppia a me cara. Penso che il periodo di tempo richiesto dalla legge brasiliana, fonte di preoccupazione, li aiuterà a sentirsi un po’ più familiari, per lo meno non così estranei da incutere angoscia.
C’è una terza parola chiave che annoto: “sulle tracce di una famiglia che ha scelto di
innestarsi in un mondo così lontano”. Il mio viaggio sarà mentalmente caratterizzato dal
progettare un ipotetico viaggio di ritorno per i tanti bambini arrivati in Veneto negli anni
’90, talvolta talmente piccoli da sentire il Brasile, purtroppo, una scatola vuota. Sono
ora, spesso, adolescenti o meglio giovani adulti che cercano il più delle volte un improbabile equilibrio tra l’appartenenza affettiva, lo sguardo materno in cui si sono specchiati, e l’appartenenza etnica.
Si arriva finalmente a San Paolo. Una lunga via collega l’aeroporto alla città: guardo
dal vetro del finestrino del pulmino che è venuto a prenderci. “Vetro” è l’altra parola
chiave: il nostro San Paolo sarà sotto vetro. Dietro quel vetro è buio, si riconoscono scorci un po’ tetri.
Ultima parola chiave della giornata, “accoglienza”: i funzionari che vengono all’aeroporto e che ci conducono all’albergo sono accoglienti, capaci di mettersi in contatto
in modo spontaneo, estranei ma in fondo quasi familiari.
Festa nazionale. La mattinata è libera da impegni, non per questo meno faticosa.
Dalla finestra della stanza dell’albergo appare una strada vuota (è mattina ed è festa),
il colore che predomina è il grigio, i palazzi appaiono fatiscenti. Mi sembra di cogliere un
elemento importante che mi dà alcuni indizi sulla città ed è un elemento architettonico:
verticalità e orizzontalità, primi due di tanti altri contrasti. Palazzi alti, grattacieli simbolo della modernità, di un Brasile che avrebbe dovuto o dovrebbe decollare sullo stampo
americano, accanto a baracche fatiscenti, a cumuli di immondizie distese per la strada.
E lungo la strada, oltre a persone prese dai loro affari e dai loro pensieri, si vede, distesa, un’umanità sofferente, fragile socialmente e psichicamente, che dorme di giorno
perchè teme di essere uccisa di notte.
Nelle indicazioni dei nostri ospiti date la sera prima si indicano i luoghi accessibili,
pochi metri di strada, e quelli off limits, tutti gli altri. C’è una particolare attenzione al
nostro gruppo che si legge come pericolosità del luogo. San Paolo fa “paura”, parola
chiave della giornata, e il fatto che sia vuota incute ancora più diffidenza. La “disomogeneità” è quindi la prima impressione. La fantasia che mi ero creata prima di arrivare era
quella di un centro ricco con periferie terribili; in realtà San Paolo non mi appare così: il
contrasto tra moderno e fatiscente, ricco e miserabile, pieno e vuoto, abbandonato e vissuto è contiguo, una stessa strada può essere praticabile per un certo tratto e diventare
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Chiara Lionello, psicologa psicoterapeuta, partecipante allo stage per la Regione Veneto.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
un luogo in mano alla criminalità pochi passi dopo. I palazzi vissuti sono accanto a quelli abbandonati dove vivono nella miseria più assoluta uomini e donne, a livelli sotto quelli della sopravvivenza dignitosa. Qualcuno “cerca” le favelas (c’è curiosità, a tratti più da
folklore), e ne vedremo nel viaggio, anche troppe, ma lì la dimensione delle favelas è
mescolata alla dimensione della “civiltà”, senza soluzione di continuità.
Il pomeriggio, intrappolati nel pulmino, facciamo un tour della città. La nostra guida,
anche lei imparentata con l’Italia, ci illustra una serie di opere i cui autori hanno nomi
italiani. Mi impressiona che il centro storico sia il luogo della marginalità e di qualche
turista. La vita sociale avviene nei centri commerciali.
C’è molta italianità nella città ed è per questo che questo luogo invivibile, che mi
ispira disorientamento e inquietudine, per contrasto, diventa familiare.
2.3 Martedì,
8 settembre 2009
Inizio di una giornata di intenso lavoro.
L’intervento iniziale è quello di Patricia Lamego, coordinatrice dell’ACAF, l’autorità
centrale brasiliana. Presenta il ruolo dell’ACAF nell’adozione internazionale (circa 450
adozioni l’anno) e nella sottrazione di minori (circa 100 casi l’anno) con la giustizia federale, nell’accreditamento e supervisione degli enti con il Ministero della giustizia.
Elemento fondamentale per l’accreditamento è la prossimità culturale che lega i due
Paesi. Al centro del suo intervento è il tema della sussidiarietà per la quale l’adozione
internazionale rappresenta un intervento eccezionale e residuale. Il bisogno principale
oggi è quello di accreditare enti le cui risorse siano coppie disponibili ad adottare bambini grandi o nuclei di fratelli. Altro elemento su cui ci si focalizza è la necessità che al
bambino adottato venga attribuita celermente la cittadinanza italiana, in modo che il
minore sia protetto dalla legge del nostro Paese. In realtà molta enfasi viene posta su
un problema che dalla delegazione italiana non è avvertito come tale e che sembra piuttosto nascere da fallimenti adottivi avvenuti in altri Paesi.
Il tema della cittadinanza italiana è al centro degli interventi successivi pronunciati
da giudici, che ci spiegano il funzionamento del sistema di protezione dei minori. Il riferimento legislativo è l’Estatuto da criança e do adolescente (ECA), approvato nel 1990.
Il bambino e l’adolescente sono soggetti di diritto e non più oggetti (espressione che
sentiremo molte volte), sono parte integrante della famiglia, ed è diritto del bambino
quello di poter crescere nella propria famiglia d’origine (e solo in casi eccezionali in una
famiglia sostitutiva). La “povertà” della famiglia d’origine non può essere un motivo di
sospensione/decadimento della potestà genitoriale. Viene sancito il diritto delle famiglie d’origine a essere inserite in programmi di aiuto affinché abbiano la possibilità di
crescere e occuparsi loro dei propri figli. L’adozione deve dare la priorità alle reali necessità, interessi e diritti del minore.
L’adozione internazionale è vista come misura eccezionale, come “ultima spiaggia”,
quindi solo in casi in cui l’adozione nazionale non è possibile o è fallita.
L’autorità centrale dei singoli stati è la CEJAS: in quella di San Paolo vi sono sei giudici dell’infanzia che collaborano con assistenti sociali e psicologi. La CEJAS di San
Paolo opera con 18 enti stranieri, di cui 11 italiani. L’Italia è il Paese con cui operano preferenzialmente (forse è l’unico Paese disponibile all’adozione di bambini grandi e gruppi di fratelli). Dal 2004 sono state realizzate 845 adozioni internazionali, di cui 685 con
coppie italiane.
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LO STAGE IN BRASILE
Le percentuali dei bambini adottatati in Italia sono:
• 83% gruppi di fratelli, 17% bambini singoli;
• 55% maschi; 45% femmine (nei desiderata delle coppie la preferenza andrebbe
alle femmine);
• 36% con problemi di salute;
• 42% tra 6 e 8 anni, 20% tra 9 e 11 anni, 3,65% sopra i 12 anni, 16% neri, 54,89%
meticci.
Purtroppo risultano molti gli adolescenti in attesa di una famiglia adottiva, ma non
rientrano nelle richieste delle coppie. Le richieste delle coppie adottive difficilmente
coincidono con le tipologie di bambini destinati all’adozione internazionale, poiché questi sono grandi oppure gruppi di fratelli.
Attualmente ci sono 70.000 bambini istituzionalizzati in strutture di accoglienza. La
sezione con competenza per l’infanzia e l’adolescenza è il tribunale da infancia e da
juventude (tribunale dell’infanzia e della gioventù). In Brasile ce ne sono 58, di cui 11 a
San Paolo.
L’età media d’ingresso in una struttura di accoglienza è di 3 anni, il tempo di permanenza e di circa quattro anni.
L’intervento della professoressa Miriam Veras Baptista ci ha aiutato a comprendere più a fondo la cultura dell’istituzionalizzazione, ricostruendo la storia della cultura
dell’abbandono dei bambini che nella comunità indios era sconosciuta in quanto i piccoli erano accuditi dalla comunità. L’istituzionalizzazione è introdotta dai colonizzatori europei (1550), spagnoli e portoghesi, con la creazione delle casas de los muchachos, collegi gestiti da religiosi. La finalità non era legata al benessere del bambino ma
all’interesse del gruppo. Strategia dell’istituzionalizzazione era quella di lavorare con
i bambini per “europeizzarli”, obiettivo primario era l’evangelizzazione. All’interno di
queste case venivano ospitati anche gli orfani portoghesi, chiamati “soldati di Cristo”.
Venivano inoltre istituzionalizzati i meticci, figli di indios ed europei, abbandonati (o
fatti morire) e allevati da altre famiglie, in genere impossibilitate a comprare uno
schiavo, con obbligo di prestare lavoro. L’istituzione delle ruote per la raccolta dei
bambini abbandonati incrementò gli ingressi di bambini in istituto, anche se la mortalità dei bambini era molto alta, soprattutto dopo il fallimento del progetto di allevamento dei bambini fino ai 3 anni da parte di balie pagate dallo Stato. Dai 3 ai 7 anni,
in particolare modo le bambine, venivano istruite per diventare domestiche-schiave
bianche.
Alla fine del XVIII secolo l’igienismo e una nuova cultura del bambino hanno portato
ad allontanare i bambini dalle classi sociali considerate pericolose per inserirli all’interno di abrigos attrezzati con scuole e medici, per offrire loro una cultura diversa. Fino alla
fine del XVIII secolo le scuole sono solo di formazione religiosa, con il XIX secolo si
avviano le scuole pubbliche. Fino agli anni ’70 l’unica possibilità per un minore in situazione di deprivazione e abbandono era l’istituzionalizzazione: con lo Statuto del bambino e adolescente si riconosce l’obbligo dello Stato nelle politiche sociali. In realtà quello che appare evidente ed estremamente problematico è la permanenza in questi istituti per tempi estremamente lunghi perché, al di là della legislazione, mancano politiche
sociali e servizi che possano offrire risposte ai bisogni delle famiglie. Lo Statuto ha 20
anni ed è una legge avanzata in una cultura arretrata.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Il ruolo delle assistenti sociali e degli psicologi del tribunale di giustizia è stato
ampiamente illustrato dalle colleghe Ana Cristina Marcondes de Moura, Clarinda Frias e
Silvia Nascimento.
In Brasile il servizio sociale diventa realtà nel ’48, nel ’79 viene inserita la figura dello
psicologo, nel ’90 con l’ECA un’équipe interdisciplinare di psicologi e assistenti sociali
ha il compito di dare supporto ai giudici attraverso:
• il lavoro con le famiglie d’origine dei minori;
• il lavoro di rete al fine di reinserire il minore in famiglia;
• la verifica degli inserimenti dei bambini presso gli istituti;
• la valutazione delle coppie candidate all’adozione nazionale;
• l’accompagnamento dei minori nell’adozione nazionale e internazionale.
La valutazione delle coppie utilizza parametri teorici molto simili ai nostri, i riferimenti teorici e il linguaggio sono comuni e familiari.
Nell’ambito dei progetti particolare significato hanno quelli inerenti alla promozione
dell’affidamento familiare quale strumento di accoglienza alternativo all’istituzionalizzazione.
Possiamo quindi individuare alcune parole chiave della giornata:
• “potere giudiziario”, protagonista delle nostre giornate e della vita sociale del
Paese (protezione e tutela sembrano essere terreno giuridico, distante da un ottica preventiva e di risposta ai bisogni);
• “vicinanza tra la il nostro sentire di tecnici psicologi e assistenti sociali e quello dei
colleghi brasiliani”: conosciamo operatori capaci, che tessono tele di ricostruzione
laddove prevale disgregazione familiare e sociale. È una sfida quotidiana alla ricerca di programmi e leggi a favore dell’infanzia in un Paese che manca di politiche
sociali e servizi in risposta ai bisogni essenziali della famiglia e della comunità;
• “tempi di permanenza negli istituti”: sono la cartina di tornasole della distanza tra
legge e realtà, diventa un problema nell’adozione di bambini ormai grandi;
• “enorme divario tra la legislazione e la realtà”: la legislazione è moderna e avanzata, la realtà sociale è fortemente arretrata;
• “bambino di strada”: non sapevo cosa volesse dire “solo al mondo” finché non sono
venuta in Brasile. Bambini che non hanno memoria di alcuno, la cui mente non è
stata accolta da alcuna mente adulta che potesse svolgere un’opera di protezione.
2.4 Mercoledì,
9 settembre 2009
Attraversiamo San Paolo e tocco con mano l’immagine che pian piano si è delineata
nella giornata precedente: l’enorme divario tra le leggi e la realtà, la miseria, l’emarginazione, la disgregazione, quel terreno nel quale vivono i bambini e trova nutrimento
ogni sorta di disperazione sociale.
Casa de cultura e cidadania nel quartiere di Santo Amaro a San Paolo è, per contro,
la concretizzazione di quella sfida del sociale alla rassegnazione. È un progetto che vive
con finanziamenti interamente privati e si rivolge a bambini dai 6 ai 17 anni. Il centro
coinvolge circa 1.300 bambini che lo frequentano in gruppi alternati al mattino o al
pomeriggio secondo la frequenza scolastica. Si sviluppa attorno a un tendone da circo,
con una tendenza alla verticalità che sembra richiamare la sua vocazione di uscita dall’appiattimento della miseria. L’attività circense ci immette immediatamente nelle real-
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LO STAGE IN BRASILE
tà del progetto: è un percorso di crescita personale al fine di acquisire consapevolezza
di sé come “artista-protagonista sociale”, per conoscere risorse e formulare progetti.
L’impatto è “bello”, in contrapposizione al “brutto” di cui è piena la città. I bambini
saltano, volano e questo mi commuove. Hanno bisogno di essere guardati e approvati,
quello sguardo del genitore che rimanda l’immagine buona di sé. Noi li guardiamo, li
ammiriamo, battiamo le mani. Entrano in contatto con uno spazio che le loro abitazioni
fatiscenti non conoscono, con il proprio corpo come strumento autentico di possibilità,
con la consapevolezza dei limiti e il bisogno di provare, concentrarsi e riprovare. Entrano
in contatto con un adulto “competente” a cui potersi affidare con fiducia e che lo aiuterà a ricostruire quel sentimento di fiducia in sé e nell’altro che è motore indispensabile
per uscire da un percorso di miseria già tracciato.
Sono davvero belli quei bambini che volano.
Attorno al tendone si sviluppano i laboratori: gli operatori attingono dalla musica,
dal ballo, dall’attività artistica per proporre ai ragazzi attività “terapeutiche” in gruppo,
di ricostruzione della propria storia, di elaborazione del trauma, di costruzione di canali che permettano di trasformare in esperienza condivisa e condivisibile i propri vissuti
e sentimenti. Sono nel contempo attività professionalizzanti, in una realtà come quella
brasiliana che non può concedersi il lusso di non pensare alla sopravvivenza quotidiana
del bambino e a offrirgli la possibilità concreta di riscatto sociale, per evitare che l’unica strada sia sfruttamento, prostituzione, questua, delinquenza.
Attorno alla Casa si costruisce concretamente quella ragnatela di relazioni che nella
giornata precedente mi era parsa la sfida dei nostri colleghi: la frequenza ai laboratori
diventa oggetto di contratto con la famiglia, perché questa cominci a essere presente
concretamente negli spazi della Casa. È questo il primo passo per la costruzione di una
rete sociale indispensabile per qualsiasi progetto sociale.
Ecco altre parole chiave:
• “oasi”: a un certo punto fra le strade sporche e le case cresciute senza spazio di
San Paolo appare la tenda di un circo, cuore pulsante;
• “cittadinanza”: quante volte è stata ripetuta questa parola. Penso a “cittadinanza
italiana”, una parola poco più che da passaporto; qui, alla Casa de cultura, è sfida
quotidiana, ricostruzione dei propri diritti;
• “rete”: è quella del circo, d’obbligo quando si sfida la gravità. Per loro è quella tela
che si tenta di tessere attorno a ogni bimbo, d’obbligo per sopravvivere nella realtà di San Paolo;
• “vulnerabilità”: obbliga alla protezione;
• “ricostruzione”: ogni progetto deve concorrere a riportare il bambino nel suo
nucleo d’affetti, il ritorno è possibile solo se si ricostruisce. Ogni progetto di crescita è possibile solo se si ricostruisce la propria storia, la fiducia, il senso di
un’appartenenza.
Nel pomeriggio visita al Tribunale dell’infanzia e gioventù di Santo Amaro.
Responsabili e operatori del Tribunale ci illustrano il loro lavoro. Per la prima volta sento
la possibilità di poter raccontare come stanno i “loro” bambini che giungono in Italia e
l’enorme fatica, per menti così disorientate, di un viaggio che rischia di scompensare.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
3. Il diario-agenda
di uno psicologo3
3.1 L’incontro
con il pianeta Brasile
nella prima giornata
Il primo vero contatto con il sistema giuridico, culturale, filosofico, sociale e psicologico di protezione dell’infanzia si è realizzato nella giornata dell’8 settembre presso
l’hotel Braston. Abbiamo avuto accesso a una tavola imbandita di concetti, di storie, di
assetti organizzativi, di pensieri che ci ha consentito un confronto con le nostre specialità, delle quali siamo stati a nostra volta portatori. Abbiamo incontrato sapori molto
simili ma anche ricette piuttosto varie, saperi che muovevano da premesse molto diverse dalle nostre, ma lo sforzo congiunto è stato quello di comprendere le connessioni
(metodologiche, concettuali, procedurali) che meglio avrebbero potuto incrementare i
processi di integrazione sottesi al valore più complessivo della sussidiarietà. Elemento
guida per orientare una specifica definizione dei soggetti che contribuisse a consolidare un’idea di linearità-continuità inteso come valore meta-riparativo dei percorsi dell’adozione internazionale. Alcune delle tematiche emerse nella prima giornata, e che
hanno rappresentato occasione di riflessione, sono così evidenziabili.
• In Brasile l’adozione internazionale non rappresenta certamente la prima alternativa da offrire a un bambino in stato di abbandono e pertanto si configura come
una scelta residuale che coinvolge, nella maggior parte dei casi, gruppi di fratrie.
• È intenzione delle autorità brasiliane dare continuità ai rapporti e alle relazioni
intraprese con gli altri Paesi e in questo contesto appare di grande rilevanza la
verifica dell’attribuzione della cittadinanza al bambino adottato da parte del
Paese che lo accoglie. Tale aspetto, apparentemente formale, sembra rappresentare l’immediata legittimazione che conferisce al bambino stesso la qualità di sorgente e fonte di diritto nel Paese straniero. A tale proposito si è rilevato che in
Italia le procedure sono rapide e possono ben corrispondere alle attese delle
autorità giudiziarie minorili brasiliane.
• Nello stato di San Paolo esistono circa 70.000 bambini collocati in abrigos; di questi solo una minoranza è stata dichiarata adottabile ed entra nel circuito dell’adozione internazionale (esiste qualche analogia con l’Italia, dove solo una minoranza di bambini collocati in struttura sono adottabili). La finalità principale del tribunale di giustizia appare essere quella di garantire il più possibile il diritto del
bambino a rientrare presso la propria famiglia di origine e notevoli sono gli sforzi
fatti per cercarla e coinvolgerla. D’altra parte molti bambini rimangono per numerosi anni negli abrigos anche se, con la recente legge approvata il 3 agosto 2009,
presumibilmente la situazione dei bambini abbandonati cambierà. Infatti la magistratura minorile, dopo un periodo che supera i due anni di assenza di relazioni
con i propri genitori, sarà costretta a dichiararne la decadenza, aprendo pertanto
nuovi scenari sia nel campo della progettazione degli interventi sia nell’aumentata potenzialità delle adozioni internazionali. A questo proposito vale la pena fare
un richiamo storico-legislativo, dal quale emerge che fino agli anni ’70-’80 il bambino, nella legge brasiliana, era immaginato come oggetto del diritto adultocentrico, mentre è solo dagli anni ’90 che diventa titolare di diritti, che gli conferiscono la qualità di soggetto titolare di bisogni, tanto da modificare le procedure nei
percorsi adottivi.
3 Carmine Pascarella, psicologo psicoterapeuta, partecipante allo stage per la Regione EmiliaRomagna.
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LO STAGE IN BRASILE
• Per quanto riguarda le adozioni, nello Stato di San Paolo sono operativi 18 enti
accreditati dei quali ben 11 sono italiani. L’Italia è il Paese nel quale si fanno più
adozioni (81%) e di queste adozioni molte sono costituite da gruppi di fratelli
(83%). Inoltre, per quanto riguarda l’età dei bambini che vengono adottati in Italia,
il 42% ha un’età compresa fra i 6 e gli 8 anni, il 20% tra i 9 e gli 11 anni, il 3,65% ha
più di 12 anni, mentre la fascia rimanente ha un’età compresa fra gli 0 e i 5 anni. Lo
spostamento in avanti della fascia di età nella quale i bambini sono resi adottabili
in Italia mette in evidenza come spesso queste adozioni siano da considerarsi tardive di bambini con special needs. Tale aspetto implicherà un ripensamento relativamente alla conduzione delle indagini psicosociali condotte in Italia, al fine di contribuire al miglioramento della compatibilità fra i bisogni dei bambini e la disponibilità delle coppie. D’altra parte, tale situazione appare come una diretta conseguenza, da parte delle autorità brasiliane, dell’opzione adottiva in ambito internazionale, come estrema ratio rispetto ad altre opzioni, progetti, diverse modalità
adottive nazionali, implicanti anche l’adozione formale di un minore da parte di un
single in ottemperanza a un principio di sussidiarietà interna. Ciò appare più comprensibile se si considera che molti bambini abbandonati lo sono anche per condizioni di grave disagio economico e pertanto la ricerca della famiglia di origine appare più giustificata ove si possa considerare un mutamento di tale situazione.
• La CEJAI rappresenta l’autorità centrale che si occupa dell’adozione internazionale e
opera con sfumature diverse nei diversi Stati del Brasile, gestendo un registro dei
bambini e delle coppie accreditate, sia nazionali che provenienti dall’estero, pur
avendo naturalmente un riferimento a livello federale. Gli psicologi e le assistenti
sociali operanti direttamente presso il tribunale di giustizia hanno la possibilità di
monitorare il periodo di affidamento preadottivo la cui durata è di 45 giorni. Dal confronto con gli operatori psicosociali è emersa una sostanziale condivisione dei criteri di valutazione e selezione delle coppie, tanto che gli approcci italiani e brasiliani da
questo punto di vista appaiono strettamente paragonabili. L’osservazione condotta
dagli operatori psicosociali in questo periodo con la coppia e il bambino/i appare
complessa per le fragilità implicate in tale momentanea situazione e sembra articolarsi attraverso anche un supporto nella lettura e nella comprensione reciproca fra i
diversi attori degli incipienti momenti della vita adottiva nella nuova famiglia.
Infine, sarebbe interessante approfondire i criteri che definiscono la recuperabilità
delle competenze genitoriali, anche perché da questo punto di vista non è stato possibile fare un confronto, tanto che questo aspetto potrebbe diventare occasione di un
nuovo scambio fra i due Paesi.
3.2 La multiforme
realtà di San Paolo
La giornata del 9 settembre 2009 si è articolata in una visita all’abrigo di San Matteo
di Itachera e del Tribunale dell’infanzia e della gioventù di Itachera, quartiere di San Paolo
(la città ha 11 milioni di abitanti, che diventano 25 milioni coi sobborghi, e in essa operano 11 tribunali per l’infanzia e la gioventù). L’abrigo ospita circa una ventina di ragazzini
di età scolare, appare ben curato e su misura per le esigenze dei bambini. Abbiamo nell’occasione potuto constatare la calda accoglienza degli operatori brasiliani e avere una
percezione diretta, seppur probabilmente non rappresentativa, di un abrigo qualitativa-
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
mente apprezzabile. Dopo vari scambi, saluti e reciproci riconoscimenti abbiamo avuto
l’occasione di interagire anche con i bambini, uno dei quali si è fortemente indirizzato
verso il sottoscritto, con vari abbracci chiedendo se noi avevamo la mamma e tentando di
salire perfino sul pullman. Questo particolare aspetto pone una serie di interrogativi sui
bisogni emotivi e affettivi che i bambini in abrigo possono manifestare, così come in qualsiasi altro istituto. Occorre infatti garantire un ascolto attento nonché, eventualmente, in
vista dell’adozione, una preparazione rivolta ai bambini; rivolta soprattutto a chi manifesta la condizione di sentirsi “sufficientemente figlio”, tanto da avere sviluppato quel
senso di “figlità” che ne faciliti l’integrazione affettiva in un nucleo composto da genitori
“sufficientemente buoni”. Ciò sta a significare l’importanza del tema della preparazione
all’adozione rivolta ai bambini, considerando peraltro che vi sono bambini che non hanno
sviluppato, per sequenze traumatiche proprie, questa capacità di sentirsi “sufficientemente figli”, ma che pure hanno diritto a coppie di genitori non solo “sufficientemente
buoni” ma anche “sufficientemente riparativi”. Lasciato l’abrigo, avendo sperimentato
emozioni piuttosto intense, siamo stati ospiti del Tribunale, dove abbiamo potuto constatare la grande quantità di lavoro che viene affrontata (12.700 fascicoli relativi ai minori), nonché la vicinanza operativa degli operatori psicosociali i cui studi sono ubicati nel
palazzo di giustizia. Si è trattato di un primo contatto un po’ formale: il rapporto con i giudici nel seminario del giorno precedente era stato certamente più pregnante.
3.3 I progetti
di cooperazione
internazionale
La mattina del giorno 10 settembre ci ha consentito di entrare in contatto con i progetti della cooperazione internazionale, saggiandone la consistenza, l’articolazione e la ricchezza. Lo Stato di San Paolo e il Brasile in generale rappresentano realtà nelle quali vi è
un multiforme e direi quasi multicolore fiorire di progetti, che segnalano la vivacità e la tensione creativa che si sta muovendo attorno ai bisogni del pianeta infanzia. Si respira un’atmosfera densa di tensione progettuale, di idee in movimento, che appare un po’ contrastare con un senso di appagamento e di decadimento dell’anelito progettuale che abbiamo lasciato alle nostre spalle in Italia. Dai programmi per contrastare il fenomeno della
denutrizione, alla stimolazione per la nascita di una rete di famiglie sostitutive, alla promozione della costruzione di una rete di istituzioni o, come vedremo più avanti, a laboratori che recuperino una formazione professionale anche creativa per i ragazzi di strada, non
vi è che l’imbarazzo della scelta. Il passo successivo non potrà che essere quello di trasformare l’ottica dei progetti verso l’ottica dei servizi, più deputati a garantire a tutti qualità omogenee di risposte. Questo percorso trasformativo è inestricabilmente connesso con
i processi di trasformazione politico-economica della nazione brasiliana. I segnali di questi
cambiamenti, peraltro, sono sotto gli occhi di tutti. Carica di queste esperienze, la delegazione italiana si divide e noi ci dirigiamo verso Salvador, capitale dello Stato di Bahia.
3.4 La vitale realtà
bahaiana
Lasciata l’industriale e caotica San Paolo siamo arrivati a Salvador de Bahia, una città
più tipicamente brasiliana, contrassegnata dai colori delle precedenti ondate di immigrazione dell’Africa e i cui ritmi sono ben rappresentati dalla capoeira brasiliana. Gli incontri
con la magistratura minorile bahaiana hanno rivestito particolare interesse e negli stage
abbiamo avuto l’opportunità di conoscere realtà territoriali dell’interno rappresentate da
giudici provenienti da diverse comarche. Di particolare interesse sono risultati i nuovi
assetti organizzativi della CEJAI che ha informatizzato i dati sull’adozione monitorandone
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LO STAGE IN BRASILE
i percorsi e organizzando gli archivi. Il confronto con le psicologhe ha permesso di verificare come avviene la valutazione delle famiglie brasiliane e quali sono le linee guida che
ispirano la conduzione delle indagini psicosociali. Anche in questo territorio risultano di
particolare interesse i progetti sostenuti dalla cooperazione internazionale, quali il progetto Axé che offre opportunità formative a molti adolescenti ed è ben conosciuto anche
in Italia. La visita di due abrigos ha nuovamente suscitato notevole interesse soprattutto
per le problematiche di natura finanziaria che sembrano rendere molto difficile la sopravvivenza per tali opportunità di accoglienza, essendo precarie le risorse che la finanza
pubblica può mettere a disposizione. In questo scenario si ha l’impressione che possano
proliferare strutture sovvenzionate da enti e/o fondazioni da noi inimmaginabili, quale
l’Abrigo citade da Luz, sostenuto da un’organizzazione spiritista. Entrambi gli abrigos
bahaiani sembrano maggiormente vicini a quella che può essere immaginata come la
qualità media delle strutture di accoglienza per minori in Brasile.
Il confronto con i magistrati si è rivelato di particolare interesse e la “fratellanza latina”
ha consentito di empatizzare con giudici che interpretano e svolgono la loro funzione in
modo certamente diverso da quanto non accada in Italia. Curioso appare l’aneddoto raccontato dal giudice Salamao che nel tempo libero, giocando a calcio, ha potuto osservare
le prime fasi dell’integrazione socioaffettiva di una coppia italiana alla quale era stato abbinato un bambino brasiliano. Riporto questo episodio in quanto pare rappresentativo del
modo tutto brasiliano, e più in generale sudamericano, di interpretare le proprie funzioni
attraverso anche l’espressività delle proprie emozioni. A questo proposito la delegazione
italiana ha avuto un’accoglienza straordinaria presso il Tribunale di giustizia di Salvador,
ospite di un rinfresco offerto all’interno dello stesso Tribunale. Le convenzioni internazionali hanno avuto, in questo caso, il merito di raccogliere e rilanciare filosofie più condivise
riferite ai diritti dei bambini. Credo che dal Brasile possiamo riportare questa impressione
per quanto attiene l’immagine del bambino come soggetto e fonte di diritto, compreso
quello di vivere e crescere in una famiglia. Lungo questa direzione in Brasile, anche attraverso la nuova produzione legislativa, si stanno compiendo passi di grande rilievo.
Complessivamente il patrimonio che ci portiamo dentro è un patrimonio di maggiore
conoscenza, comprensione e per certi aspetti di vicinanza. Tale patrimonio potrà ricevere,
attraverso ulteriori scambi, occasioni di rinforzo al fine di poter favorire una connessione
giuridica, sociale e culturale che potrà precostituire, anche attraverso la preparazione delle
coppie italiane, un’attenuazione delle cesure alle quali il bambino adottato va incontro.
4. Il diario-agenda
di un’assistente sociale4
4.1 8 settembre 2009 –
Prima giornata formativa
sul tema: Adozione
internazionale come
strumento di sussidiarietà
Debbo riconoscere che il mio arrivo a San Paolo ha coinciso con l’emergere di una
certa sensazione di disorientamento. Non mi è servito molto tempo per capire quanto
gli occhiali con i quali sono avvezza a guardare e vedere il mio mondo non fossero in
grado di consentirmi di mettere a fuoco questa diversa realtà, peraltro molto affascinante nella sua complessità ed eterogeneità.
La prima giornata formativa a San Paolo ha rappresentato la prima occasione importante per poter iniziare a mettere a fuoco la realtà brasiliana e soprattutto quella dell’infanzia abbandonata.
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Nicoletta Poli, assistente sociale, partecipante allo stage per la Provincia autonoma di Trento.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Ritengo che non si riesca a collocare la cultura dell’abbandono e dell’istituzionalizzazione presente in Brasile se non si parte da una contestualizzazione storica di tale
fenomeno, che ha ormai origini secolari.
La cultura dell’abbandono iniziò a radicarsi nel contesto brasiliano a seguito
dell’invadente processo di colonizzazione che nel 1500 ha coinvolto l’intero
Paese, a opera dei portoghesi e nei periodi successivi degli spagnoli e di altre
popolazioni europee. Fino a quel momento, fra gli indios non era mai esistita
alcuna forma di abbandono dell’infanzia.
L’arrivo degli invasori è coinciso con l’allontanamento di molti bambini dalle
famiglie e con il conseguente loro collocamento in istituti, allo scopo di favorire
il processo di acculturazione.
I gesuiti hanno dato vita a molte casas de los muchachos, dove molti bambini sono stati “cristianizzati”. Gli stessi bambini orfani portoghesi, chiamati i “soldati di Cristo”, venivano portati in queste case per favorire il processo di catechizzazione dei bambini indios. La prospettiva per tutti loro, divenuti adulti, era
quella di venir utilizzati come servitori nelle case delle famiglie benestanti.
Il processo di destrutturazione socioculturale degli indios ha portato nei secoli a un aumento del fenomeno dell’abbandono e dell’istituzionalizzazione.
La storia dei bambini poveri in Brasile racconta, per molti secoli, di una priorità
degli interessi dei gruppi dominanti sugli interessi dell’infanzia abbandonata.
La prima politica a loro tutela risale al XVI secolo. In questo periodo si colloca
l’istituzione della ruota presso la Santa casa di Misericordia di San Paolo: la corona portoghese pagava la struttura, dove erano presenti balie assunte a contratto. Questa realtà dava asilo ai bambini fino ai 3 anni, in seguito questi ultimi venivano trasferiti negli istituti. Le bambine venivano educate per diventare donne di
servizio nelle case dei facoltosi europei. I bambini neri avevano un elevato valore di mercato nel periodo della ruota.
Le realtà degli istituti si strutturarono al punto tale da contenere all’interno
delle loro strutture scuole, servizi, assistenza sanitaria. Di fatto i bambini spesso
non avevano alcun contatto con il mondo esterno fino al momento di ricoprire il
loro ruolo di servitori. Le strutture arrivavano a contenere la presenza anche di
300 bambini e la mortalità infantile era molto alta.
È a partire dalla fine del XVII secolo che la segregazione dei bambini in istituto fa spazio a una maggior attenzione nella cura della loro salute e nella loro formazione. Iniziano a introdursi corsi di formazione per le ragazze e per i ragazzi,
le scuole religiose degli istituti introducono nuovi strumenti di acquisizione.
Questo breve excursus storico sottolinea quanto la prospettiva della struttura di
accoglienza come alternativa funzionale alla crescita di un bambino sia radicata in
Brasile e soprattutto trovi fondamento e motivo d’essere all’interno di un preciso quadro storico di riferimento.
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LO STAGE IN BRASILE
La prima ricerca sulle condizioni dei bambini in istituto a San Paolo risale al 1940. Gli
esiti evidenziarono un quadro abbastanza tragico in merito al loro funzionamento e alle
loro carenze nella tutela dei bambini e degli adolescenti. Ciò portò il tribunale di giustizia a promuovere giornate di studio, alle quali seguì l’istituzione di un programma di collocamento familiare che prevedeva l’erogazione di sussidi economici alle famiglie a prevenzione dell’abbandono, dopo aver individuato nell’indigenza economica la causa
maggiore del fenomeno abbandonico. Ne seguirono anni nei quali il fenomeno si ridimensionò a favore della permanenza dei bambini nelle loro famiglie. È a partire dagli
anni ’70 che l’amministrazione pubblica ha deciso di chiudere il programma, riproponendo nuovamente l’istituto come alternativa all’indigenza.
Tuttora la necessità di dare risposte immediate alle situazioni di violazione dei diritti dei bambini porta a trovare nell’istituzionalizzazione la soluzione più frequente.
È a partire dalla promulgazione della Costituzione del 1988 che il Brasile ha riconosciuto nel bambino un titolare di diritti e ha imposto la promozione di politiche sociali a
tutela dell’infanzia.
La Costituzione enumera all’articolo 227 i diritti fondamentali dei bambini: il diritto
alla vita, alla salute, all’alimentazione, all’educazione, allo svago, a imparare un mestiere, alla cultura, alla dignità, al rispetto, alla libertà, alla convivenza familiare e comunitaria. Alla Costituzione si deve l’istituzione di un sistema di garanzie a protezione dell’infanzia.
A essa ne è seguita la promulgazione dello Statuto del bambino e dell’adolescente
del 1990 (ECA).
L’ECA enuncia il principio di sussidiarietà, affermando il diritto del bambino alla convivenza familiare e comunitaria nonché il carattere eccezionale dell’inserimento in una
familia substituta. L’adozione internazionale è da considerarsi l’ultima opportunità per
il bambino, susseguente all’impossibilità di accedere a un’adozione nazionale. Lo
Statuto inoltre preclude la pronuncia di decadenza dei genitori dalla potestà in base alla
mancanza di risorse materiali. In altre parole, incarica lo Stato di promuovere programmi ufficiali di sostegno alla famiglia per prevenire l’abbandono poiché la sola situazione
di carenza materiale non costituisce più motivo per la decisione di perdita della patria
potestà.
Il sistema di protezione dei diritti del bambino previsto dall’ECA opera su tre assi
principali: la promozione di politiche a favore dell’infanzia; la difesa dei diritti dei bambini (è riconosciuto prioritario operare a livello socioculturale perché gli adulti imparino
a rispettare i bambini); il controllo-monitoraggio dei diritti attraverso l’apporto dei consigli tutelari e della giustizia.
Gli attori deputati all’attuazione del sistema di protezione sono individuabili nel
potere giudiziario dell’infanzia e della gioventù, nella persona del giudice, che è responsabile dei processi dei bambini e degli adolescenti istituzionalizzati; nel ministero pubblico che garantisce a ogni bambino la tutela dei suoi diritti; nel consiglio municipale dei
diritti del bambino e dell’adolescente e infine nel consiglio tutelare. Queste due ultime
realtà sono organi incaricati dalla società civile di garantire i diritti dei bambini e degli
adolescenti. Il consiglio tutelare accoglie e orienta i genitori dei bambini e degli adolescenti, informa il potere giudiziario o il ministero pubblico in caso di violazione dei diritti. È istituita anche la defensora pubblica che equivale al nostro avvocato d’ufficio.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Nelle singole municipalità si cerca di creare una rete sociale in grado di supportare
e tutelare i bambini. Nella città di San Paolo è stato creato un centro di riferimento di
assistenza sociale (CRAS) che oltre a rispondere ai bisogni del territorio collabora con il
consiglio tutelare.
Storicamente è a partire dall’emanazione dell’ECA che il potere giudiziario ha iniziato a delegare parte della sua funzione di tutela dell’infanzia anche alla comunità, ricercandone la collaborazione e l’integrazione.
Si è iniziato a introdurre nei tribunali di giustizia la figura dei professionisti (assistenti sociali e psicologi) dando vita a nuovi tentativi di presa in carico congiunta dell’adolescente e della sua famiglia.
Per quanto riguarda la cronistoria, nel 1948 viene introdotto il servizio sociale all’interno del tribunale; nel 1979 viene introdotta la figura dello psicologo; nel 1990 l’ECA
promuove l’assunzione di operatori e crea l’équipe interprofessionale a supporto dell’attività giuridica; infine, nel 2005 si è dato finalmente avvio a un nucleo di sostegno ai
professionisti che garantisce formazione alle équipe, orienta e promuove la supervisione per gli operatori al fine di garantire maggior equità e professionalità.
Lo Stato di San Paolo è molto eterogeneo: coesiste l’estrema ricchezza con l’estrema povertà.
Nei tribunali dello Stato lavorano 994 operatori (700 assistenti sociali e 294 psicologi). Nello sola città di San Paolo sono presenti 11 tribunali di giustizia (TJ).
Gli operatori delle équipe svolgono una funzione di consulenza tecnica per il giudice,
ma lavorano anche con le famiglie che rientrano nella rete del potere giudiziario. Gli operatori sottolineano come il loro orientamento professionale sia rivolto al lavoro di rete con
le varie realtà e servizi che attorniano la famiglia. Nella pratica tali collaborazioni sono mol to difficili, come risulta poco praticabile concretamente la collocazione dei bambini presso
realtà diverse dalle strutture di accoglienza (famiglia estesa, famiglie sostitute, ecc.).
Esiste poi una difficoltà oggettiva nel reperire dati aggiornati sulla situazione dei
minori in carico e delle loro famiglie. Si sta cercando di dar vita a una banca dati che
possa orientare anche le politiche pubbliche a sostegno dell’infanzia e delle famiglie.
Recentemente sono stati forniti dei dati relativi al 2007/2008 dai quali emerge la
presenza di 9.021 bambini in abrigos nello stato di San Paolo. La maggior parte di loro
ha vincoli familiari e le cause dell’istituzionalizzazione sono legate perlopiù a problemi
socioeconomici delle famiglie.
Il tempo medio di permanenza in struttura dei bambini è superiore ai tre anni; un piccolo numero vi risiede ormai da 17 anni. Le fasce d’età prevalenti sono quelle al di sotto
dell’anno e fra i 13 e i 14 anni.
L’équipe tecnica dei TJ svolge anche un importante compito nel realizzare la fase di
indagine prevista a seguito della disponibilità adottiva presentata dalle coppie. Lo studio di coppia viene svolto da un’assistente sociale e da una psicologa. Il profilo della
coppia arriva in tribunale, il quale emette un decreto d’idoneità. La coppia viene inserita nel cadastro nazionale per l’adozione (CNA), gestito dalla CEJAI. Ogni due anni vi è un
aggiornamento della valutazione. Nel momento in cui un bambino non trova una collocazione in una famiglia sostituta brasiliana accede all’adozione internazionale, previa
autorizzazione accordata dalla CEJAI-SP.
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LO STAGE IN BRASILE
Gli operatori evidenziano come la disponibilità delle coppie brasiliane sia rivolta
verso bambini molto piccoli, a fronte di un bisogno di inserimento familiare evidente in
bambini di una certa età. È difficile aiutare la coppia a distanziarsi dall’aspettativa di un
bimbo “bianco a chilometri 0, possibilmente di sesso femminile”.
La Convenzione de L’Aja è entrata in vigore il 1° luglio del 1999, ma non ha portato
nessuna novità alla procedura giudiziaria di adozione già in vigore in Brasile. Le principali modifiche apportate nella legislazione brasiliana dopo la Convenzione riguardano
sia la procedura amministrativa dell’adozione internazionale sia la creazione e ristrutturazione di organi amministrativi competenti per svolgere la suddetta procedura.
L’organo giudiziario è costituito dal giudice dell’infanzia e gioventù, ed è un organo
monocratico che svolge la propria funzione in una sezione specializzata ed esclusiva del
tribunale di giustizia.
Per quanto concerne invece gli organi amministrativi, occorre individuare da un lato
l’Autorità centrale amministrativa federale, dall’altro la Commissione statale giudiziaria
delle adozioni internazionali. Prima dell’istituzione dell’ACAF in Brasile erano presenti
diverse agenzie e la situazione era molto caotica. Seppur con una certa diffidenza iniziale da parte del potere giudiziario, l’inserimento di questo organo ha di fatto permesso una regolamentazione dell’adozione internazionale e una maggior tutela dei percorsi adottivi a tutela dei bambini.
L’intervento ha puntualizzato quanto per il Brasile l’adozione internazionale rappresenti l’ultima alternativa per il bambino abbandonato.
Si è ribadita l’attenzione da parte del’ACAF nell’accreditare gli enti ai quali viene
richiesta:
• prossimità culturale per favorire l’inserimento dei bambini;
• disponibilità ad accogliere bambini grandi e gruppi di fratelli.
In Italia sono 16 gli enti autorizzati accreditati e il loro accreditamento viene verificato e rilasciato ogni due anni. Il Brasile realizza circa il 90% delle adozioni internazionali
con l’Italia. Forte la percezione di vicinanza con la cultura e lo Stato italiano.
L’ACAF brasiliana è particolarmente preoccupata per i casi di fallimento adottivo e
per i tempi, a suo parere, troppo lunghi per la trascrizione dei decreti da parte dell’autorità italiana, alla quale è connessa l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte
del bambino. ACAF sottolinea tale ritardo in quanto richiede l’invio del certificato di cittadinanza italiana del bambino da parte dell’ente autorizzato.
Massima attenzione viene posta alle relazioni postadottive e al rispetto dei tempi
stabiliti.
La volontà politica è orientata a una riduzione delle adozioni internazionali, ma l’entità del fenomeno abbandonico per il momento non permette di attivare alternative. Di
fatto non aumentano le disponibilità per adozione nazionale o per forme di accoglienza
o affidamento familiare e molti bambini sono tuttora ospiti degli istituti.
Per quanto concerne invece la CEJAI-SP, questa è stata istituita nel 1992 quale
Autorità centrale dello Stato di San Paolo e ha accreditato 16 enti, di cui 11 italiani, alla
realizzazione delle adozioni internazionali.
Da un’analisi del profilo dei bambini in adozione internazionale emerge che l’83% è
costituito da gruppi di fratelli, il 36% presentano problemi di salute e le fasce di età pre-
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
valenti sono quella di 6-8 anni (con il 42%) e quella di 9-11 anni (con il 20%); infine l’etnia prevalente è quella degli indios e poi dei meticci.
Tutti i bambini in adozione internazionale risiedono in strutture di accoglienza.
La CEJAI-SP si avvale della presenza di un’équipe interprofessionale in appoggio al
giudice, composta da cinque impiegati per il settore amministrativo e un assistente
sociale e una psicologa per il settore tecnico. Questa équipe è di recente costituzione.
Nel 2002 è stata introdotta la figura dell’assistente sociale, seguita nel 2004 dall’introduzione della psicologa. L’attuale équipe è operativa dal 2006. La CEJAI-SP svolge
un’importante funzione di collegamento e orientamento fra tutti gli organi. Gli operatori della CEJAI forniscono un supporto tecnico per i giudici, elaborano statistiche tecniche
annuali e offrono sostegno alle équipe tecniche dello Stato di San Paolo. Spetta alla
CEJAI-SP concedere l’abilitazione alle coppie straniere che depositano i loro fascicoli e
in questo senso collabora con gli enti autorizzati accreditati dall’ACAF.
Procedura per l’abilitazione e l’abbinamento nello Stato di San Paolo
Il dossier della coppia viene tradotto
e portato alla CEJAI per l’abilitazione
Procedura di abilitazione:
• analisi tecnica (fatta da équipe tecnica TJ assistente sociale,
psicologa);
• analisi formale (PM controlla dossier e dà proprio parere);
• decisione finale (dossier va in camera di consiglio).
Tempi: 1-2 mesi
La coppia viene iscritta in un elenco ed è ufficialmente
riconosciuta dall’Autorità centrale brasiliana
come potenziale ricorsa per l’adozione internazionale
Tre possibili modalità di abbinamento:
1) l’abbinamento viene fatto direttamente dal giudice che
consulta la lista CEJAI;
2) il giudice contatta direttamente l’ente autorizzato;
3) la CEJAI valuta se fra le coppie in attesa su San Paolo c’è un
possibile abbinamento – il nome viene comunicato al TJ che
invia informazioni del bambino a ente autorizzato in attesa
di risposta dalla coppia (raramente vengono contattati più
enti contemporaneamente)
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LO STAGE IN BRASILE
Altro compito riconosciuto all’équipe della CEJAI-SP è quello di accompagnare l’incontro delle coppie adottive straniere con il bambino e il periodo di convivenza successivo, collaborando con l’ente autorizzato.
Le difficoltà maggiori evidenziate dalla CEJAI-SP sono due: da un lato il gap esistente fra i desiderata e le disponibilità delle coppie aspiranti all’adozione internazionale e
la realtà dei bambini (è un lavoro molto duro riuscire a realizzare buoni abbinamenti);
dall’altro la necessità di un lavoro molto attento e individualizzato volto a favorire l’inserimento del bambino nella famiglia adottiva, accanto alla necessità di preparare la
coppia all’incontro e accompagnarla nel periodo di convivenza nel Paese d’origine.
Al termine dei 30 giorni spetta all’équipe tecnica della CEJAI-SP elaborare un relazione conclusiva, finalizzata all’emissione della sentenza definitiva di adozione emessa
dal giudice.
In merito alla dichiarazione di stato di adottabilità l’équipe ha fornito alcuni dati che
mostrano in modo evidente come tale evento si collochi in una fase avanzata della crescita del bambino.
La disamina della distribuzione degli stati di adottabilità definitiva per fasce d’età
dei bambini evidenzia l’1% sotto i 2 anni; il 12% fra i 2 e i 7 anni; il 39% fra i 7 e i 12 anni;
e infine il 48% fra i 12 e i 18 anni.
Gli interventi di oggi penso abbiano evidenziato come il Brasile, da un punto di vista
legislativo, sia un Paese all’avanguardia, poiché garantisce ai bambini e agli adolescenti tutti i diritti e garanzie in linea con gli strumenti internazionali più moderni. La realtà
mostra, però, come l’esistenza pura e semplice della legislazione non sia in grado di
incidere sulla disuguaglianza sociale, sulla miseria e sull’emarginazione, che caratterizzano tuttora questo contesto.
Il sistema di garanzia dei diritti del bambino (ECA) per quanto articolato e formalmente completo manca di due istanze importanti: da un lato la collaborazione con l’istituente; dall’altro un mancato riconoscimento sociale del bambino come soggetto di
diritti e una mancata divulgazione dei contenuti dell’ECA nelle scuole e nelle realtà
sociali a contatto con l’infanzia. L’ECA compirà 20 anni. Alla sua promulgazione non è
seguita una preparazione della popolazione, dei servizi, del mondo giuridico.
Pur essendo attribuito alla famiglia, allo Stato e alla società il compito di tutelare i
bambini, la realtà mostra come questi tre vertici non siano integrati fra loro. Il concetto
di responsabilità condivisa è difficilmente realizzabile nella realtà brasiliana, il processo
di corresponsabilizzazione è molto lento. Mi sembra importante riportare una puntualizzazione espressa nel corso del confronto: «Ciò che si sta cercando di fare è imparare
a lavorare in rete. Il Brasile è uno Stato democratico da meno di una generazione e la
possibilità di integrare risorse per il bene dell’infanzia e delle famiglie è un concetto tuttora in via di definizione».
In Brasile, quasi la totalità degli abbandoni di bambini è da imputarsi a fattori economici nonché alla disgregazione familiare (per lo più le famiglie sono monoparentali).
Davanti al fenomeno dell’abbandono, e nonostante la legge preveda che si debba tentare in tutti i modi il reinserimento del bambino nella famiglia di origine attraverso programmi di sostegno alla famiglia, questo sforzo molte volte non è compiuto per la mancanza stessa dei programmi, per l’assenza di strutture, di risorse materiali e di perso-
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
nale, nonché per la mancata partecipazione della società civile. Urge l’istituzione di realtà a sostegno delle famiglie (asili nido, strutture d’appoggio, ecc.), serve un programma
abitativo che consenta un’alternativa alla vita di strada.
Ci sono pochi studi centrati sull’analisi della realtà degli istituti. C’è un grande numero di ragazzi adolescenti ospitati da anni nelle strutture.
Le cause sono imputabili a vari motivi: dall’inefficienza dei servizi nel recupero delle capacità genitoriali (dal confronto è emersa una consapevolezza nel riconoscere come non si
sia effettuato uno sforzo chiaro da parte della maggior parte delle autorità competenti, in
questi anni, nel creare programmi di sostegno a favore della famiglia), alla politica del sistema giudiziario che va rivista (si riescono a collocare in famiglie sostitute – adozione nazionale – solo bambini sotto i 4 o 5 anni), fino alla difficoltà di collocare i gruppi di fratelli.
Mi sembra però importante sottolineare come, pur riconoscendo che in questo
momento lo Stato è incapace di garantire a tutti i cittadini i diritti basilari per una degna
esistenza, si stanno percorrendo passi importanti. Nel confronto è emerso come a oggi,
nel XXI secolo, si stia assistendo a una progressiva assunzione di responsabilità da
parte dello Stato, che fa ben sperare, e a una graduale introduzione di misure concrete
atte a tutelare l’infanzia e l’adolescenza.
I lunghi anni di crisi economica e l’avvicendarsi di diversi governi hanno reso impossibile stanziare finanziamenti a sostegno delle politiche familiari. È a partire dall’insediamento del governo Lula che si è assistito a un maggior investimento in programmi di
assistenza sociale, atti a migliorare il reddito delle famiglie. Esistono stati nel Sud del
Brasile dove si è riscontrato in questi anni un positivo calo degli abbandoni e dei percorsi di adozione internazionale.
Il miglioramento può essere imputato anche all’apporto di ulteriori fattori, quali da un
lato la forte presa di coscienza e intervento della società civile ora maggiormente impegnata ad assicurare i diritti del bambino e a offrire le opportunità affinché essi siano esercitati (in questa azione hanno avuto un importante ruolo gli organismi non governativi),
e dall’altro la crescente pressione, esercitata dalle autorità giudiziarie, grazie alle iniziative del pubblico ministero, per mettere in pratica ciò che è stabilito dalla legge, che ha
dato impulso alle tre sfere governative – a livello federale, statale e municipale – e le ha
spinte a creare programmi di sostegno per le famiglie e per i bambini bisognosi.
A conferma di questo virtuoso processo di corresponsabilizzazione per promuovere
il benessere dell’infanzia e delle famiglie sono stati presentati alcuni progetti.
• Progetto Sapeca nel Comune di Campinas, promosso dalla prefettura. Prevede
l’accoglienza di bambini e adolescenti presso famiglie affidatarie in attesa di reintegrazione familiare. È un programma governativo, finanziato ormai da 12 anni.
I bambini in affidamento familiare non vanno in adozione. Se si dovesse aprire
questa prospettiva sarebbe prioritario che fosse la famiglia affidataria a divenire
famiglia adottiva. È emersa la difficoltà nel reperire disponibilità per l’affidamento familiare. Non vi è alcuna cultura dell’accoglienza in Brasile.
• Progetto pilota di famiglie accoglienti della capitale, promosso dal Nucleo di
appoggio professionista del servizio sociale e della psicologia del TJ-SSP, promuove forme di affidamento temporaneo, dando priorità ad azioni che favoriscano il rientro dei minori in famiglia.
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LO STAGE IN BRASILE
Per candidarsi a un’esperienza di affidamento familiare le famiglie devono risiedere nella regione. La disponibilità all’affido considera la piena condivisione della
decisione da parte di tutti i membri della famiglia. Il Comune di residenza provvede a una preselezione delle famiglie sulla base di questi due parametri. La famiglia affidataria riceve un contributo economico a copertura delle spese.
• Fondazione dei minori di S. Bernardo do Campo vincolata al potere esecutivo del
Comune. Nel Comune di S. Bernardo la fondazione intende sviluppare la promozione e la tutela dell’infanzia. Gestisce un programma che include giovani dai 6 ai
18 anni e sviluppa attività culturali, di socializzazione, educative, programmi a
sostegno dell’infanzia. Esiste un centro di orientamento delle famiglie, dove i
genitori possono trovare sostegno (anche quelli segnalati al tribunale per incuria).
Viene proposta la formazione di “repubbliche” per giovani adulti, come alternativa alla strada nel momento del raggiungimento della maggior età.
• Istituti solidari e il progetto di formazione per adolescenti (la lega Solidaria esiste
dal 1923 e discende dalla Lega delle Signore cattoliche di San Paolo). Il 92% delle
attività si svolge nel Butanà, una zona di San Paolo. La Lega offre programmi
socioeducativi rivolti alla comunità: gestisce otto asili nido, promuove programmi
nutrizionali, cerca di prevenire la violenza domestica. I cinque centri di accoglienza gestiti dalla Lega sono realtà ad alta complessità, cercano di offrirsi anche
come servizi di prevenzione (vengono fatti gruppi di genitori dei bambini in abrigo per un confronto sui compiti genitoriali). La Lega attiva anche progetti di qualifica professionale per i giovani adolescenti, incontra però difficoltà legate al successivo collocamento degli adolescenti nel mercato del lavoro e alla sostenibilità
economica del progetto. Si stanno realizzando i cosiddetti nuclei solidari per adolescenti che stanno raggiungendo la maggior età.
Stanno prendendo vita importanti programmi di sostegno alle capacità genitoriali. In
Brasile è forte la tendenza delle famiglie d’origine a delegare ai centri di accoglienza la
crescita dei loro figli. È stato sottolineato come molti genitori vivano come un aiuto la
possibilità di lasciar crescere i loro figli allo Stato e cambiare la mentalità non è facile. È
in corso un lavoro molto intenso degli operatori per far recuperare alle famiglie il loro
compito educativo e affettivo nei confronti dei figli.
Non da ultimo fa parte di questo importante processo di corresponsabilizzazione a
favore di una visione bambinocentrica la progressiva riorganizzazione dei centri di accoglienza. È presente la consapevolezza di dover iniziare a individuare risposte non più
standardizzate all’infanzia abbandonata, ma individualizzate e soprattutto calate sui
bisogni del singolo bambino. Lo stesso centro d’accoglienza non deve rappresentare un
male necessario, ma deve trasformarsi in un’esperienza positiva.
4.2 9 settembre 2009 –
Seconda giornata
formativa a San Paolo:
visite a piccoli gruppi
La cittadina di Mogi Guaçu conta circa 131.000 abitanti.
L’incontro con la realtà di Mogi Guaçu mi ha permesso oggi di avvicinare un virtuoso esempio di come il sistema di protezione a tutela dei minori previsto dalla legge brasiliana, costruttivamente integrato col contesto dei professionisti e con la rete sociale,
possa rappresentare una valida risposta ai bisogni di benessere dei bambini e delle loro
famiglie.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Come previsto dall’ECA gli organi preposti alla tutela dei minori a Mogi Guaçu sono
quattro.
• il consiglio municipale, che ha potere consultivo ed esecutivo; promuove le politiche pubbliche e viene eletto dalla comunità. In Brasile sono poi presenti anche i
consigli statali e al massimo livello vi è il consiglio federale;
• il consiglio tutelare, subordinato solo al consiglio municipale. Il suo compito è
quello di promuovere i diritti dei minori. Si compone di cinque membri eletti dalla
comunità ogni due anni. Esso svolge una funzione di controllo rispetto alla rete
che deve tutelare il minore, fa parte della rete pubblica a tutela dell’infanzia ma
non si occupa di minori che abbiano commesso reati. La comunità, i privati cittadini si rivolgono al consiglio tutelare quando ritengono di dover segnalare una
situazione di violazione dei diritti di uno o più minori. Il consiglio tutelare valuta la
segnalazione e se lo ritiene opportuno invia il caso al tribunale di giustizia. In questo senso può rappresentare la porta d’ingresso del minore al potere giudiziario;
• il tribunale di giustizia ha molta autonomia. Spesso è presente un solo giudice
specializzato per i minori, che rappresenta un organo monocratico. Nel momento
in cui perviene una segnalazione di violazione dei diritti di uno o più minori il processo viene iscritto all’anagrafe. Il passo successivo prevede la stesura di un dossier, che viene inviato al pubblico ministero, il quale svolge non solo funzioni di
controllo, ma anche di accompagnamento vero e proprio del caso (a differenza
della realtà italiana). Egli si avvale della collaborazione dell’équipe tecnica e
comunque il minore ha diritto a un avvocato;
• l’équipe tecnica svolge un compito consultivo e tecnico per il giudice; a essa spetta la fase di indagine. L’équipe coinvolge l’intera rete sociale del bambino: la scuola, il medico e chi altro si ritenga utile. Il pubblico ministero sente sempre il bambino e insieme all’équipe cerca di far percepire alla famiglia un clima di accoglienza, in modo da favorire la consapevolezza delle difficoltà e individuare insieme i possibili obiettivi dell’intervento. Nella sua relazione finale l’équipe tecnica
può proporre al giudice interventi mirati sul territorio (sociali, sanitari) e prevedere un tempo definito per verificare i cambiamenti. Sul territorio i servizi sociali
seguono il progetto con la famiglia. L’équipe tecnica si riserva poi di verificare
l’andamento del progetto e di riferire al giudice.
Terminata la fase di indagine si possono presentare diversi scenari e prospettive
operative; se ne segnalano due in particolare.
Nel primo caso, se l’indagine ha evidenziato alcune difficoltà sulle quali la famiglia è
disponibile a migliorare, la stessa famiglia viene inviata ai servizi sociali.
A questo punto se la situazione migliora il minore rimane nella sua famiglia, se non
si riscontrano cambiamenti e la sua situazione permane a rischio il giudice rivede la sua
decisione dopo aver richiesto all’équipe tecnica un’integrazione all’indagine iniziale.
Nel secondo caso, se la situazione del minore è molto compromessa e l’indagine evidenzia numerosi fattori di rischio, allora il giudice considera la rete parentale del minore prevedendo un suo possibile supporto. Qualora non si possa ipotizzare un collocamento presso familiari, il minore entra in un abrigo. Il minore ospitato nell’abrigo viene
seguito dall’équipe tecnica del tribunale che svolge un compito di rete relazionale e di
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LO STAGE IN BRASILE
regia dell’intervento. Per ogni bambino in istituto viene steso un “piano” dall’équipe
della struttura, condiviso con la famiglia, contenente obiettivi, azioni e tempi dell’intervento, che viene poi inviato all’équipe tecnica.
La nuova legge prevede che il collocamento di qualsiasi minore in istituto non debba
prolungarsi oltre i due anni (questa sarà una grande sfida, poiché presuppone una seria
presa in carico delle famiglie!). La dimissione dall’abrigo può comportare per il minore
il rientro in famiglia, oppure l’affidamento alla rete parentale allargata, o può aprirsi per
lui la prospettiva dell’adozione.
Dal confronto è poi emerso che i due istituti presenti in città ospitano bambini di età
diverse (un istituto ospita 15 bambini, l’altro 52). Ad avviso degli operatori dell’équipe
sarebbe molto importante differenziare le età, ma i vari punti di vista dei professionisti
non convergono su tale opportunità.
Si è aperto da poco un tavolo di lavoro al quale partecipano il consiglio tutelare, il
pubblico ministero, i rappresentanti degli istituti e l’équipe tecnica con lo scopo di riorganizzare la struttura interna degli abrigo, stendendo un nuovo regolamento.
I due istituti di Mogi Guaçu sono privati, laici e ricevono sostegni economici dallo
Stato.
La visita pomeridiana a uno dei due centri di accoglienza della città ha suscitato in
me alcune riflessioni. La struttura, di per sé angusta e modesta, ospitava 15 bambini. Al
momento del nostro arrivo erano presenti tre operatori e altrettanti volontari. I bambini
ospitati avevano diverse età anagrafiche ed effettivamente, condividendo le riflessioni
degli operatori dell’équipe, sembravano mancare spazi mirati in grado di corrispondere
ai bisogni di crescita di ciascuna fascia d’età.
Le sei stanze da letto presenti, seppur molto semplici e spoglie, rappresentavano l’unico spazio differenziato per età e per sesso.
Mi ha favorevolmente colpita la presenza di un significativo rapporto empatico e
affettivo fra i bambini e gli operatori/volontari presenti; particolarmente significativa mi
è sembrata l’attenzione al benessere psicoemotivo dei piccoli ospiti. La psicologa della
struttura propone a ciascun bambino un percorso di ricostruzione della propria storia
attraverso un diario personale, aiutandolo a “mettere ordine” e a integrare le varie esperienze.
Più in generale, ecco alcuni dati significativi:
• in tutta la regione di Campinas ci sono 2.000.000 di minori, di cui 700 in abrigo;
• il 14% di questi ultimi è stato dichiarato adottabile;
• il 50% dei minori in abrigo ha vincoli familiari;
• il 43% di loro rientra in famiglia.
I motivi dell’istituzionalizzazione sono legati a diverse problematiche, fra cui tossicodipendenza, maltrattamenti, violenza, sfruttamento minorile, traffico di droga, mendicanza e alcolismo.
Alcuni minori rimangono orfani e talvolta ci sono episodi di abbandono tardivo da
parte dei genitori.
Ciò che emerge da questi dati è che una buona percentuale di bambini rientrano in
famiglia, a conferma dell’esistenza di un costruttivo lavoro di recupero delle funzionalità familiari, attraverso la condivisione di progetti d’aiuto individualizzati e soprattutto
condivisi con le famiglie. È stato più volte sottolineato che non di rado alcune famiglie
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
ritornano in tribunale a ringraziare il pubblico ministero e l’équipe per l’aiuto che è stato
loro fornito e che questa realtà istituzionale è spesso da loro percepita come risorsa in
grado di supportarli nei momenti di difficoltà con i figli.
Emergono infine alcune problematiche aperte e si possono delineare diverse prospettive. Da un lato, la presenza di adolescenti in istituto da molti anni e di gruppi di fratelli impone all’équipe e alla rete di tutela dell’infanzia di fare delle riflessioni. Viene
esplicitata la necessità di trovare forme di supporto e di accompagnamento per gli adolescenti. Si sta cercando di realizzare una “repubblica” per giovani dai 15 ai 18 anni nel
tentativo di offrire strumenti ai ragazzi per inserirsi nel contesto sociale e lavorativo a
seguito della deistituzionalizzazione. Dall’altro, per quanto riguarda i gruppi di fratelli
per i quali non sembrano aprirsi prospettive diverse dalla struttura d’accoglienza, è
stata esplicitata la prassi di responsabilizzare il fratello maggiore, richiedendogli di farsi
carico della crescita dei fratelli minori. Gli operatori hanno sottolineato quanto spesso
siano i fratelli maggiori stessi a richiedere di poter assolvere a questo compito, che a me
personalmente pare molto gravoso: viene infatti chiesto al fratello maggiore di rendere
funzionale la propria crescita alle esigenze di cura dei fratelli minori.
Il giudice del tribunale di giustizia dà avvio alla procedura di adottabilità di un minore dopo aver raccolto il parere del pubblico ministero. L’iniziale ricerca di una famiglia
adottiva avviene all’interno del cadastro (registro) municipale, in seguito si accede al
cadastro nazionale.
L’incontro e la fase di conoscenza fra il bambino e i genitori avviene presso l’istituto
dove il bambino è ospitato. Nel 2008 il tribunale di giustizia di Mogi Guaçu ha realizzato 24 adozioni nazionali (durante quest’anno se ne sono realizzate 17).
Le coppie aspiranti all’adozione vengono preparate dall’équipe tecnica del tribunale
di giustizia. Gli elementi considerati nello studio di coppia finalizzato all’adozione
approfondiscono la relazione di coppia, la rete sociale di riferimento, la motivazione che
spinge i coniugi verso l’adozione, la rielaborazione del lutto dell’infertilità, la disponibilità ad avvicinarsi alla storia del bambino, l’immaginario che la coppia ha del bambino.
A questo proposito è emerso come gli operatori dell’équipe valutino prioritario assecondare i desiderata della coppia, ritenendo di favorire in questo modo il buon esito dell’adozione: più il bambino corrisponde alle aspettative degli adulti, più loro saranno in
grado di riconoscerlo come figlio, anche se la prospettiva di poter lavorare su questi
desiderata (riportata da noi operatori nel confronto) ha molto incuriosito l’équipe. Si è
percepita la volontà di costruirsi un po’ alla volta un pensiero sull’adozione che consenta di spostare il focus dai bisogni degli adulti al diritto del bambino a crescere in una
famiglia. Come pure si è percepita la consapevolezza dell’importanza di una preparazione delle coppie e la necessità di un loro successivo accompagnamento nell’incontro
con il bambino e nella costruzione della loro nuova realtà familiare.
Particolarmente interessante mi è sembrata l’esperienza del gruppo di appoggio
all’adozione. Questa realtà rappresenta un punto di riferimento per le famiglie adottive
della città, offre occasione di confronto fra famiglie e lavora per la divulgazione di una
cultura dell’adozione centrata sui bisogni dei bambini. I risultati più evidenti si possono
riscontrare nella maggior tenuta delle esperienze adottive e nell’estensione delle disponibilità adottive anche a fasce di bambini più grandi.
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LO STAGE IN BRASILE
Complessivamente la visita alla realtà di Mogi Guaçu mi ha favorevolmente colpita,
sia per la competenza professionale mostrata dagli operatori (psicologi e assistenti
sociali) nel condividere con le famiglie progetti di recupero che favoriscano il reinserimento dei bambini, sia per la spontaneità delle relazioni interprofessionali.
Ho percepito una costruttiva disponibilità ad andare oltre i formalismi professionali a favore del benessere dei bambini. In questo senso ho visto realizzati molti dei
presupposti teorici che fondano il lavoro sociale di rete. In particolare faccio riferimento alla capacità di collaborare fra professionisti (giudici, assistenti sociali, psicologi, operatori degli istituti), in un’ottica di corresponsabilizzazione, nell’integrare reti
formali e informali di aiuto (ad esempio gruppi di appoggio all’adozione, coinvolgimento nei progetti delle famiglie e delle reti allargate), alla capacità di lavorare con le
famiglie in un’ottica di empowerment, riuscendo a mantenere il focus sui bisogni dei
bambini.
Oggi a Mogi Guaçu penso di aver incontrato un illustre esempio di realizzazione dei
principi promossi dall’ECA.
4.3 10 settembre 2009 –
Terza giornata formativa
a San Paolo: Il ruolo
degli organismi internazionali
accreditati e quadro
dei progetti di cooperazione
internazionale
Gli enti accreditati promuovono diversi interventi di cooperazione internazionale a
tutela dell’infanzia in Brasile in partnership con le realtà locali.
In apertura dei lavori sono emerse alcune precisazioni. Si è sottolineato, in modo
molto chiaro, come sia forte nella filosofia brasiliana il concetto di empowerment: la
famiglia è infatti considerata partner nei progetti di cooperazione internazionale. Si
parte dal presupposto che “ogni famiglia, dentro la sua particolarità, è potenzialmente capace di riorganizzare il proprio disagio, di massimizzare le proprie capacità”. Gli enti sono tenuti pertanto a promuovere progetti che favoriscano tale prospettiva, collocando l’adozione internazionale all’interno di un’ottica di cooperazione internazionale.
L’articolo 52 della nuova legge, appena emanata, vieta agli enti autorizzati il finanziamento diretto dei progetti. Ciascun progetto dovrà essere iscritto presso il consiglio
municipale.
I progetti di cooperazione internazionale non potranno quindi più essere destinati
ad associazioni o persone fisiche, ma gli stanziamenti dovranno essere redistribuiti
sulla base di criteri stabiliti dal consiglio comunale. Con l’entrata in vigore della nuova
legge gli enti autorizzati depositeranno i finanziamenti presso il consiglio municipale
e a quest’ultimo li richiederanno per attuare i loro progetti di cooperazione internazionale.
Questa prospettiva attribuisce molto potere ai consigli municipali e presuppone che
essi posseggano adeguati strumenti per un’attenta valutazione dei bisogni dell’infanzia
e dell’adolescenza.
La preoccupazione espressa dal referente dell’AIBI è relativa alla competenza di queste realtà, formate da cittadini eletti dalla cittadinanza, e alla presenza di una corruzione dilagante.
Quattro progetti di cooperazione internazionale:
• Progetto pilota di preparazione delle coppie all’adozione nazionale ad Arasatuba
promosso dall’ente autorizzato AIBI
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Ad Arasatuba (200.000 abitanti circa) si riscontra un’assenza di progetti a sostegno dell’infanzia abbandonata. Molti bambini vivono per anni in abrigo, poiché
non esistono progetti di recupero delle capacità genitoriali. AIBI, in partnership
con la realtà locale, ha promosso un primo corso per aspiranti genitori adottivi,
lavorando sulla disponibilità delle coppie, sull’infertilità, sul confronto col bambino. Ha promosso il confronto con famiglie adottive perché le coppie potessero
apprendere dalla loro esperienza.
Il percorso proposto ha evidenziato come la possibilità di offrire uno spazio di
formazione e di pensiero abbia ampliato la disponibilità delle coppie, favorendo
l’avvio di positive esperienze adottive anche per bambini grandi e per gruppi di
fratelli.
• Programma per le famiglie solidali
Realizzato dal potere giudiziario in partnership con l’ente autorizzato ARAI in un
municipio a nord di San Paolo (Vargem Grande Paulista), in una zona prevalentemente agricola e caratterizzata da grandi disuguaglianze sociali. Il progetto è
stato avviato nel febbraio del 2009 e sarà sperimentato per due anni. Si propone di promuovere la solidarietà familiare; introduce una nuova prospettiva
socioculturale, e cioè l’idea che una famiglia possa divenire risorsa per altre
famiglie.
Le azioni del programma mirano al reperimento di famiglie di appoggio che si
offrono come risorsa e di famiglie che ospitano per alcuni periodi bambini istituzionalizzati. Si tratta di esperienze di accoglienza sporadica.
Il programma forma le famiglie, gestisce un registro delle disponibilità e definisce
gli abbinamenti. A livello metodologico gli operatori del programma valutano la
situazione del minore (assessment), definiscono il progetto (obiettivi, azioni, verifiche) con la rete di appartenenza del minore e la famiglia accogliente, verificano
l’implementazione del progetto.
• Associazione S. Teresina del Bambin Gesù
È un’organizzazione sociale, fondata nel 1914 per assistere i figli dei malati di lebbra, che opera nel municipio di Carapicuiba, zona di 450.000 abitanti. Collabora
con AIBI.
Gestisce un centro di accoglienza per bambini (in passato l’istituto ha ospitato
anche 270 bambini). L’associazione ha attivato recentemente un progetto di
ristrutturazione dell’istituto, favorendo la relazione dei bambini con le loro famiglie e l’incontro con la comunità. Si sottolinea quanto sia lento a livello culturale favorire la consapevolezza che i bambini hanno bisogno di crescere nella loro
famiglia, a fronte di esperienze di istituzionalizzazione che si prolungano per
molti anni.
• CREM
Offre il proprio sostegno a situazioni molto deprivate nelle favelas con un alto
tasso di vulnerabilità. Ha iniziato la propria azione di cura in una zona di S. Paolo,
chiamata Villa Mariana, che comprende 22 favelas; promuove programmi di infor-
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LO STAGE IN BRASILE
mazione nutrizionale per madri, offrendo ospitalità ai bambini denutriti (0-6 anni).
Ha aperto centri per bambini, simili a scuole materne. L’associazione gestisce
molti sostegni a distanza.
4.4 11 settembre 2009 –
Quarta giornata di stage
e prima giornata formativa
a Belo Horizonte
Le massime autorità giudiziarie di Belo Horizonte introducono con molta solennità il
seminario italo-brasiliano, che viene definito come la più grande iniziativa sul tema dell’adozione nel Minas Gerais.
I lavori si aprono con l’intervento del procuratore di giustizia, del quale riporto
alcune riflessioni che a mio parere esplicitano quanto l’orgoglio brasiliano (come è
stato definito) inizi a farsi da parte a favore di una sempre maggior consapevolezza
delle disuguaglianze sociali e della necessità di realizzare le garanzie a tutela dei
minori.
Il Brasile è un Paese pieno di debiti: verso la popolazione nativa, verso la popolazione
africana (3.000.000 di schiavi deportati), verso l’infanzia. In Brasile 17.000.000 di bambini
sono abbandonati e 2.000.000 di loro vivono per strada. […] Il Brasile dovrebbe mettere da
parte il proprio orgoglio nazionale per il bene dei bambini e riconoscere di avere bisogno di
aiuto per farsi carico delle profonde disuguaglianze. […] I bambini dovrebbero essere riconosciuti come un patrimonio dell’umanità al pari dell’Amazzonia, di Venezia; si dovrebbe arrivare all’internazionalizzazione del benessere di tutti i bambini del mondo.
Pur facendo riferimento ai medesimi presupposti legislativi, nello stato del Minas
Gerais la legge sull’adozione apre scenari diversi rispetto a San Paolo.
Innanzitutto viene sottolineato come il procedimento per dichiarare lo stato di adottabilità di un minore sia molto lento in Brasile. A volte possono trascorrere anche otto o
nove anni prima che si raggiunga l’adottabilità definitiva, soprattutto se i genitori si
oppongono alla sentenza.
Nel Minas è consentita la cosiddetta “adozione alla brasiliana”. In caso di adozione
nazionale può accadere che in tribunale si presenti la coppia per presentare disponibilità mirata a un preciso bambino. A questo punto la procedura prevede che il giudice
valuti la disponibilità e il reale stato di abbandono del bambino, confermato spesso
dalla volontà della madre naturale.
Se il giudice appoggia la richiesta di adozione emette la sentenza definitiva di adozione.
Nello stato del Minas Gerais vengono emesse circa 180 sentenze adottive l’anno.
Non traspaiono riflessioni critiche rispetto a questa pratica che sembra essere ovunque
riconosciuta nello Stato.
In realtà la nuova legge sull’adozione promulgata ad agosto 2009 dal governo Lula,
e che entrerà in vigore a novembre dello stesso anno, non consentirà più di poter realizzare l’adozione alla brasiliana. La nuova legge attribuisce alle équipe dei tribunali di
giustizia il compito di preparare le coppie all’adozione e al giudice di decretare il reale
stato di abbandono del bambino e di individuare un abbinamento mirato sulla base
delle esigenze del singolo bambino, attraverso la consultazione di un aggiornato registro nazionale.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
La nuova legge in sintesi introduce alcuni capisaldi importanti: impone una rivalutazione della situazione dei bambini in abrigo ogni sei mesi (per arginare il fenomeno dell’istituzionalizzazione); individua nei due anni il tempo massimo di permanenza nell’istituto; incentiva l’apertura di case per l’infanzia, in sostituzione degli istituti; ribadisce
il principio di sussidiarietà dell’adozione; impone l’obbligo di mantenere il legame fraterno (non è più possibile separare i fratelli); riduce da 21 a 18 anni l’età minima per gli
adottanti, pur permanendo una differenza di età minima tra adottante e adottando di 16
anni, senza limite massimo, che è lasciato alla libera valutazione del giudice; esclude
l’adozioni fra persone dello stesso sesso; riconosce il diritto alle origini del bambino,
mentre il diritto all’identità genetica fino a questo momento non è mai stato riconosciuto pur prevedendo la legge la predisposizione di registri contenenti informazioni consultabili; sancisce il diritto del bambino a disporre in merito al proprio nome; prevede la
preparazione delle coppie all’adozione, dal punto di vista psicologico e sul significato
dell’adozione; istituisce, infine, la creazione di un cadastro nazionale di adozione
aggiornato (dove verranno inseriti nominativi delle coppie aspiranti all’adozione e quelli dei bambini in stato di adottabilità), come principale forma di abbinamento tra i bambini e i candidati genitori adottivi.
Viene poi ribadito come il tema dell’adozione internazionale rappresenti in Brasile
un tema complesso. Lo Stato è molto preoccupato per i suoi bambini e quindi ritiene
prioritario proporre percorsi adottivi seri a loro tutela.
D’altra parte, nella nuova legge si individuano alcune garanzie, fra le quali: l’articolo 51 definisce in modo chiaro cos’è l’adozione internazionale; l’adozione internazionale deve comunque essere sussidiaria; si dispone la permanenza della coppia in
Brasile per 30 giorni prima dell’emissione della sentenza di adozione; non è consentita l’adozione tramite procura (peraltro già vietata dall’ECA); è proibita agli adottanti l’uscita dal territorio dello Stato prima dell’emissione della sentenza definitiva;
viene riconosciuto il ruolo degli enti accreditati nella realizzazione delle adozioni
internazionali.
Per quanto riguarda poi le ipotesi legali di adozione internazionale, si stabilisce
che la decisione del giudice deve avvenire previa un’attenta analisi della situazione
del bambino, dando priorità dei suoi bisogni e raccogliendo il suo consenso; si sancisce la situazione di abbandono giuridico come irrevocabile; si riconosce il principio di
sussidiarietà.
Fino a questo momento nello Stato del Minas Gerais è stato consentito alle coppie
di potersi presentare anche privatamente alla CEJAI, che si è riservata di valutarne l’idoneità; mentre va osservato che, di fatto, in Brasile è ancora poco diffusa l’adozione
attraverso gli enti autorizzati.
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LO STAGE IN BRASILE
La procedura per l’abilitazione e l’abbinamento nello Stato di Minas Gerais
Il dossier della coppia viene tradotto (tramite ente autorizzato o
privatamente dalla coppia) e portato alla CEJAI-MG per l’abilitazione
Verifica e valutazione della richiesta di idoneità
e dei documenti da parte della CEJAI-MG
Tempi: 1-3 mesi
Ogni 15 giorni pubblicazione nomi bambini adottabili
Dopo la pubblicazione viene indetto un bando da parte della CEJAI,
al quale possono rispondere sia enti autorizzati che privati
Gli enti autorizzati valutano il profilo del bambino con quello
della coppia possibile e presentano domanda alla CEJAI
La CEJAI, decorso il termine del bando, analizza i pretendenti
e invia i nominativi ai giudici del TJ di provenienza del bambino
Il giudice decide l’abbinamento, che viene comunicato all’ente
autorizzato (se la coppia ha conferito l’incarico)
Inizia la preparazione della coppia fatta dalla psicologa dell’ente;
il bambino viene preparato dalla psicologa del TJ
e dalla psicologa dell’istituto
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Il confronto conclusivo ha messo in evidenza quanto il benessere dell’infanzia e dell’adolescenza sia un tema scottante nel Minas Gerais, dove l’integrazione fra potere
giudiziario e la rete dei professionisti locali e stranieri trova delle difficoltà nel potersi
definire.
L’occasione del convegno ha dato modo ai vari soggetti di poter verbalizzare alcuni
aspetti problematici che a oggi ostacolano la tutela dell’infanzia e soprattutto il diritto
del bambino a crescere nella sua famiglia (principio espresso dall’ECA).
Gli enti autorizzati (CIFA, AIBI, I cinque pani) hanno evidenziato la lentezza dei procedimenti a scapito del tempo che un bambino ha a disposizione per crescere.
L’istituzionalizzazione, fino alla maggior età, non apre grandi prospettive per il ragazzo,
che si ritrova per strada da solo, senza avere alcun appoggio relazionale.
L’occasione ha permesso loro di chiedere alle équipe dei tribunali di giustizia informazioni corrette ed esaustive sulla situazione del bambino in fase di abbinamento con
una coppia. Spesso accade che eventi importanti e significativi della sua storia non vengano condivisi con gli operatori dell’ente autorizzato, che poi si trova a doverli gestire
nel momento in cui accompagna la coppia.
4.5 12 settembre 2009 –
Quinta giornata di stage
e seconda giornata formativa
a Belo Horizonte
L’équipe tecnica della Sezione civile infanzia e gioventù di Belo Horizonte è stata
creata a seguito dell’emanazione dell’ECA, che l’ha istituita. Successivamente alla sua
formazione all’interno dei TJ ha focalizzato la sua operatività in due importanti ambiti:
la violenza domestica e la terapia familiare.
L’équipe di Belo Horizonte formata da assistenti sociali e da psicologi si occupa in
prevalenza di violenza domestica.
I bambini e le loro famiglie sono ricevuti gratuitamente e l’équipe attua una terapia
cognitivo-comportamentale, che sembra avere risultati più celeri nei casi di violenza.
L’équipe promuove delle campagne contro la violenza domestica e sulla base di questa esperienza è stato istituito addirittura un corso universitario.
L’équipe tecnica giudiziaria fa studi di casi per orientare le scelte del tribunale, lavora con le famiglie allargate per valutare un opportuno collocamento del minore, cerca
partnership con i centri di accoglienza e accompagna la famiglia nel periodo seguente
al rientro del bambino (in realtà a Belo Horizonte non esiste ancora un percorso di
accompagnamento significativo).
L’équipe valuta, infine, anche l’opportunità di attivare programmi di affiancamento
di padrini a bambini in abrigo senza prospettiva di adozione.
Per quanto riguarda gli abbandoni il 43% è determinato dagli stessi genitori; purtroppo sono abbastanza frequenti le situazioni nelle quali i genitori consegnano il proprio bambino al tribunale; il 40% di stati di abbandono viene decretato a seguito di
negligenze riscontrate; il 13%, infine, viene decretato per violenza fisica.
L’équipe tecnica si occupa della preparazione delle coppie, alle quali vengono
fornite delle informazioni iniziali sull’adozione e in seguito viene proposto un percorso psicosociale di approfondimento. Quest’ultimo prende in considerazione le rappresentazioni di ciascun coniuge, le aspettative rispetto al ruolo di genitori adottivi;
vengono analizzate la rete sociale di riferimento e le risorse materiali di cui la coppia
dispone.
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LO STAGE IN BRASILE
Poiché il tempo di attesa per le coppie è abbastanza lungo (soprattutto se la disponibilità si limita a bambini molto piccoli e bianchi), viene fornito del materiale bibliografico alle coppie come occasione di approfondimento della tematica adottiva.
Per quanto concerne il profilo delle disponibilità adottive, l’82% del totale è costituito da coppie e il 18% da single, il 73% non hanno figli e in prevalenza il titolo di studio è alto, con una formazione universitaria. Il bambino immaginato è in genere bianco,
femmina e di età anagrafica sotto i 2 anni («vogliono un bebè perché pensano che non
abbia una storia e questo a loro parere rende più facile l’adozione, accanto a un timore
che l’adozione tardiva porti con sé difetti del bambino e cattive abitudini»). A fronte di
questo immaginario si sottolinea come esista un gap notevole fra questi desiderata e la
realtà dei bambini in stato di abbandono, in prevalenza afro e quindi di carnagione
meticcia o nera.
L’accompagnamento postadottivo prevede colloqui psicosociali e l’équipe racconta
alla coppia genitoriale la storia del bambino. In caso di abuso sessuale propongono
all’intera famiglia un percorso di terapia col bambino.
I bambini sopra i 7 anni accedono solitamente all’adozione internazionale.
Viene evidenziato come i bambini brasiliani di quest’età siano autonomi e abituati a
decidere da soli della propria vita e in questo senso è fondamentale il loro consenso.
In merito all’acquisizione del “consenso del minore all’adozione”, in un confronto
informale con gli operatori del tribunale di giustizia, è emerso come questo venga acquisito in tutte le situazioni. Ciò che però manca è la presenza di un accompagnamento del
bambino nell’orientarlo rispetto ai significati di questa decisione. In altri termini viene
raccolto un consenso formale, lasciando il bambino abbastanza solo, partendo dal presupposto che a 6 o 7 anni sia già autonomo e perfettamente in grado di decidere per la
propria vita. Gli operatori hanno inoltre sottolineato come di fatto la realtà brasiliana
porti questi bambini a crescere molto in fretta. A fronte di questo presupposto e considerato che l’adozione internazionale viene proposta solo a bambini di questa età, mi
sono posta un quesito di legittimità dell’intervento: come chiedere a un “piccolo adulto” di collocarsi all’interno di una triangolazione affettiva ricoprendo il ruolo di figlio nel
contesto familiare italiano a lui estraneo, quando la vita lo ha portato a crescere da solo,
a leggere il mondo attraverso i suoi occhiali, attraverso gli occhiali della sua cultura
d’appartenenza, senza imporgli implicitamente di lasciare la vecchia pelle per la nuova,
come nel processo di muta del serpente?
L’équipe del tribunale di giustizia prepara il bambino in istituto all’incontro con i
genitori (mostra le foto arrivate dall’Italia, ecc.), segue il periodo di convivenza fra il
bambino e i nuovi genitori ed elabora la relazione psicosociale conclusiva.
In un momento di confronto informale è emerso che i genitori italiani sembrano agli
operatori poco preparati di fronte all’irruenza dei bambini brasiliani. Vero è che spesso
vengono loro affidati fin dal primo giorno senza consentire una conoscenza graduale. La
motivazione di tale decisione è dettata dal desiderio del bambino che spesso verbalizza la volontà di convivere immediatamente con i genitori. Ancora una volta a emerge è
un’attenzione prioritaria a ciò che il bambino esprime, a scapito però di una valutazione più ampia sull’opportunità di questa sua scelta a opera degli adulti che si fanno carico di lui.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Storicamente l’emanazione dell’ECA nel 1990 ha rappresentato un importante spartiacque nel considerare i bambini e gli adolescenti come soggetti di diritto. In precedenza gli istituti rappresentavano strutture segreganti e totalizzanti per i bambini ospitati. È a partire dagli anni seguenti l’emanazione dell’ECA che queste realtà iniziano a
riorganizzarsi e si dà avvio a una cultura dell’accoglienza. Si attuano nuove politiche a
favore dei minori e progressivamente gli istituti iniziano a lasciare spazio a centri di
accoglienza organizzati in piccoli gruppi.
Nel 2004 nello Stato del Minas è stata fatta una ricerca sulle strutture di accoglienza con la collaborazione delle municipalità. Sono risultati 4.731 bambini inseriti
in 352 abrigo (di cui 173 municipali-pubblici). Ciascuna struttura ospitava circa 20
bambini.
Le motivazioni dell’istituzionalizzazione erano perlopiù legate a negligenza, maltrattamenti, povertà socioeconomica (l’ECA esplicita che i bambini non possono essere
accolti per motivi di indigenza, ma di fatto non esistono politiche consistenti di sostegno alle famiglie).
La fascia d’età dei bambini va da 0 a 4 anni per il 19%, da 5 a 9 per il 27% , da 10 a
14 per il 35%, e oltre i 14 anni per il 19%.
La quasi totalità dei bambini in abrigo ha vincoli familiari (99%), mentre solo l’1% è
orfano.
Per quanto riguarda poi l’organizzazione delle strutture e l’approccio metodologico, il 77% delle strutture non ha attivato una specifica metodologia nel lavoro con le
famiglie, pur essendo molto diversificato il supporto delle figure professionali all’interno delle strutture; il 67% delle strutture non dispone di un archivio con le informazioni sulle famiglie d’origine dei bambini; il 55% delle strutture dichiara di dare
appoggio per il reinserimento del bambino in famiglia e nel successivo periodo di convivenza familiare.
In merito all’orientamento per il futuro, il Minas Gerais intende valorizzare la famiglia
attraverso politiche di appoggio sociofamiliare, riordinare la rete dei servizi di accoglienza, organizzare “repubbliche per i minori” che si avvicinano alla maggiore età, praticare al meglio un’adozione centrata sull’interesse superiore del minore.
Per quanto concernono quindi le prospettive, intendono investire in supervisione del
personale e attivare progetti pedagogici negli abrigos.
Le maggiori problematiche emergenti sono il basso indice di scolarizzazione (un problema molto rilevante se si considera che solo il 5% della popolazione giovanile riesce
ad accedere a una formazione universitaria) e la mancanza di lavoro.
Infine, le principali azioni previste puntano a estendere le opportunità a sostegno
della crescita psicosociale: sul versante delle attività educative con la scuola a tempo
pieno, la scuola viva-comunità attiva, l’accelerazione dell’apprendistato e l’alfabetizzazione; sul piano della formazione professionale con lo sviluppo di competenze di base
per entrare nel mondo del lavoro, il programma primo impiego, il corso specifico per
adolescenti abrigados, il progetto di educazione professionale; sul versante delle attività specifiche di assistenza sociale con il reinserimento in famiglia.
È questo, in sintesi, l’indirizzo politico che il Minas Gerais intende perseguire al fine
di rispondere nei prossimi anni ai complessi bisogni di crescita dei bambini e degli adolescenti in abrigo.
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LO STAGE IN BRASILE
Affiancano questo programma governativo i numerosi progetti di cooperazione internazionale che sono stati percepiti come fortemente integrati alle azioni locali a tutela
dell’infanzia.
In particolare sono state presentate due realtà. La prima è rappresentata dall’associazione Casa novella, che sta favorendo un costruttivo lavoro di rete all’interno della
comunità, volto al reinserimento familiare; promuove progetti di accoglienza e gestisce
un centro di accoglienza.
Particolarmente rilevanti sono gli esiti dei progetti, a conferma della professionalità
con la quale sono stati realizzati. Infatti, dal 2001 al 2009 sono stati ospitati nel loro centro di accoglienza 93 bambini, dei quali 83 sono rientrati in famiglia, mentre dieci sono
andati in adozione (due di questi nel canale internazionale).
La seconda fa riferimento al Centro Mamae Dolores, gestito dal CIFA. Si tratta di un progetto attivato nel 2007 nella città di Capelinha (la più povera del Paese). Il primo passo è
stata la costruzione di una struttura per seguire a livello educativo i bambini, includendo
anche un loro successivo recupero psicologico. Attualmente sono stati attivati interventi a
supporto del reinserimento familiare (gruppi focali con famiglie e con ragazzi).
L’esperienza si è poi conclusa con la visita a due centri di accoglienza presenti a Belo
Horizonte.
Entrambe le strutture ospitavano un numero limitato di bambini (fra i 10 e i 20 bambini), in fasce d’età diverse.
Nel primo abrigo visitato erano presenti bambini dai 7 anni in su, di entrambi i sessi.
La struttura, molto accogliente, disponeva di più casette, ciascuna delle quali ospitava
sei bambini con due educatori (un maschio e una femmina). Nell’insieme erano presenti spazi a misura di bambino (parco giochi, orto, laboratorio informatico, ecc.) e la relazione fra gli adulti di riferimento e i bambini sembrava molto affettuosa.
Nel secondo abrigo erano ospitati bambini fino ai 4 anni. Pur essendo all’apparenza
più anonimo (tutte le stanze erano uguali, stessi mobili, nessun oggetto che si riferisse
ai singoli ospiti), i bambini sembravano aver trovato dei buoni riferimenti nel personale
presente, in prevalenza femminile. È in questa struttura che si è fatto presente come per
alcuni di loro si sia instaurata una relazione significativa con un padrino esterno. Gli operatori valutano infatti come positiva questa presenza per il bambino, poiché gli consente
quella relazione privilegiata che la struttura non permette. La rappresentante di un ente
autorizzato sottolinea però come in realtà in alcune situazioni questa opportunità rappresenti una sorta di “prova” in funzione di una futura adozione e se l’affiatamento fra
padrino e bambino non si instaura il legame si interrompe, creando un’ennesima rottura
relazionale e affettiva nel soggetto più debole, che ancora una volta è il bambino.
4.6 Considerazioni
conclusive
La realtà brasiliana è una realtà effettivamente molto complessa e soprattutto eterogenea.
A distanza di un po’ di tempo, cercando di rileggere gli appunti, tornando con la
mente a quanto vissuto, i volti delle persone incontrate, il calore umano di molte di loro,
penso di poter concludere di essermi liberata dai pregiudizi che hanno accompagnato
l’inizio di questo mio viaggio.
Penso di aver ritrovato nelle autorità e negli operatori incontrati un’autentica consapevolezza delle condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza e una costruttiva volontà di ricer-
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
care strade alternative all’istituzionalizzazione. Ho particolarmente apprezzato la capacità
di riconoscere gli ostacoli che a oggi si frappongono alla realizzazione degli obiettivi previsti dall’ECA e nel contempo l’impegno al cambiamento che è stato più volte sottolineato.
Certo il cammino sarà molto lento (si auspicano cambiamenti culturali che aprano
prospettive di accoglienza e di corresponsabilizzazione sociale, programmi governativi
a sostegno della famiglia, ecc.), ma si stanno iniziando a raccogliere i primi frutti di un
lavoro di rete costruttivo, dove lo Stato, la comunità e la famiglia iniziano ad allearsi per
il benessere dei più deboli, i bambini.
Devo concludere che al termine di questo viaggio mi sento profondamente obrigada
nei confronti di quella parte di popolo brasiliano che abbiamo incontrato, nei confronti
del quale provo una profonda ammirazione.
Un ringraziamento sincero all’Istituto degli Innocenti e alla Commissione per la adozioni internazionali per aver reso possibile quest’esperienza che ha enormemente arricchito il mio bagaglio professionale e personale.
5. Il diario-agenda
di una psicologa5
5.1 Lo stage a San Paolo
(ovvero i brasiliani
sono un popolo di grande
dignità e orgoglio)
Lo Stato di San Paolo sceglie di affidare a un rappresentante “scientifico”, una
docente universitaria, il compito di presentare il problema minorile brasiliano come una
delle conseguenze delle colonizzazione portoghese: la popolazione indios aveva grande cura dei propri figli e l’abbandono dei minori iniziò appunto nel 1500, epoca della
colonizzazione, quando bambini soli cominciarono a girovagare per le strade.
L’istituzionalizzazione fu la risposta immediata al fenomeno, agita nell’interesse
della comunità e non dei bambini, e finalizzata ad acculturare il popolo indios a partire
dai più piccoli. L’intenzione di indottrinare il popolo venne fortemente perseguita dai
gesuiti, che si recavano nelle abitazioni per prelevare i minori e metterli nelle “case del
bambino”; gruppi di orfanelli chiamati “soldati di Cristo” furono fatti giungere dal
Portogallo per aiutare a disseminare la cultura europea.
La cultura dell’accoglienza non era ancora nata: i bambini meticci venivano fatti
morire o al più affiliati ad altre famiglie per essere utilizzati come manodopera, alla stregua degli schiavi.
Poi si ebbe la prima ruota per il deposito di neonati; l’indice di mortalità dei bambini istituzionalizzati era più alto che nella popolazione normale; le bambine che sopravvivevano venivano preparate per fare le cameriere, i bambini avevano valore di mercato.
Alla fine del XVIII secolo si assistette a un flusso “igienista”, con funzioni preventive,
che portò ad allontanare i bambini dalle classi sociali ritenute pericolose, istituzionalizzandoli; per le classi povere ciò coincise con una rara possibilità di studiare.
Negli anni ’50 un programma (ormai estinto) di affidamento eterofamiliare, successivamente supportato da un contributo economico, diede buoni risultati.
Oggi i bambini entrano in Istituto mediamente a 3 anni e ci restano per quattro anni
circa; lo Stato ha di recente elaborato normative e linee guida per definire, in questo
ambito, l’età dei minori, il loro numero e il numero degli educatori.
Nello Stato di San Paolo ci sono 11 tribunali che si occupano di minori; il numero
degli psicologi è di 294; 700 sono le assistenti sociali.
5
Daniela Randazzo, psicologa psicoterapeuta, partecipante allo stage per la Regione Sicilia.
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LO STAGE IN BRASILE
Nel 2007 i bambini in istituto erano 9.000, prevalentemente maschi; di questi 3.800
si trovano nella città di San Paolo; molti di loro mantengono legami con la famiglia di origine in quanto la causa prevalente del ricovero è la povertà. Fra questi minori prevalgono numericamente i bambini di 1 anno di età e gli adolescenti (13-14 anni); tutti i minori mediamente rimangono in istituto per uno o due anni, anche se molti sono i casi di
bambini istituzionalizzati dalla nascita alla maggiore età.
Il sistema di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza in Brasile è un sistema di
garanzia dei diritti dei minori attraverso i consigli di diritto composti da rappresentanti
del governo.
Il sistema tende verso la tutela integrale ed è particolarmente attento ai minori che
non sono stati inseriti nella cultura locale; l’adozione internazionale viene considerata
una necessità dettata dai forti scompensi sociali del Paese che è in primo luogo proiettato a misure di protezione delle gestanti.
Sono compiti del sistema di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza:
1) la promozione dei diritti (educazione, salute, assistenza sanitaria e sociale, ecc.);
2) la difesa dei diritti (tutela dei minori e responsabilizzazione dei “violatori dei
diritti dei minori” attraverso i Consigli tutelari, organi elettivi, che ricevono le
denunce, verificano la violazione ai fini dell’intervento o della segnalazione al
pubblico ministero);
3) il controllo dei diritti (attraverso i Consigli e gli organi giudiziari).
Si sta inoltre tentando di creare un sistema unico di servizio sociale, dotato di un
centro di riferimento unitario.
Il problema del Brasile rispetto ai diversi programmi di intervento è però quello di
fornire una “risposta affettiva” che non può essere data dall’istituzionalizzazione e che
spesso le famiglie affidatarie non riescono a garantire, tendendo piuttosto a restituire i
minori durante l’adolescenza.
Gli italiani, considerati dai brasiliani un popolo di fratelli, adottano il maggior numero di bambini brasiliani e più volte viene ribadita dai rappresentanti del governo la sollecitazione affinché il minore all’arrivo in Italia acquisisca in tempi brevissimi lo status
di cittadino a pieno titolo.
Il Piano nazionale per il convivio familiare prevede la creazione di politiche pubbliche finalizzate al mantenimento del minore in famiglia; l’adozione rappresenta un’evenienza di carattere eccezionale.
Il catasto nazionale delle coppie “pretendenti” dello Stato di San Paolo (centralizzato
nel 1995) ha accreditato sinora 25 organi stranieri (di cui la maggior parte è italiana), emettendo su di essi un parere ed effettuando una supervisione tramite la polizia federale.
Obiettivo del catasto è uniformare la pratica dell’adozione su tutto il territorio nazionale.
Agli enti autorizzati viene fatta richiesta di un rapporto annuale e dell’invio del certificato di cittadinanza e di iscrizione all’anagrafe di ogni singolo minore; in assenza di
tali certificati il catasto può procedere alla sospensione dell’ente.
Tale apparente rigidità appare chiaramente motivata da una serie di esperienze pregresse, verificatesi con gli Usa, di minori “restituiti” dalle famiglie adottive e successivamente adottati da altre famiglie, i cui certificati di cittadinanza sono poi risultati irregolari; l’irregolarità dei documenti di cittadinanza ha fatto sì che alcuni di questi minori
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
durante l’adolescenza o l’età adulta venissero deportati in Brasile a seguito del loro
coinvolgimento in illeciti penali.
Il desiderio di avere certezze sull’acquisizione della cittadinanza per i minori adottati
all’estero viene peraltro espresso anche dai giudici, ai quali tocca il compito di scindere
il legame con la famiglia naturale, compito descritto come “più difficile che condannare
un criminale”; intenzione della magistratura sarebbe stato infatti favorire il rientro dei
minori in famiglia, sostituendo le strutture di accoglienza con sussidi economici e assistenza sanitaria, condizioni che però purtroppo il Brasile non è in grado di fornire.
Le necessità espresse dallo Stato di San Paolo all’Italia, a fronte di un aumento di
richieste di adozione anche nazionale, riguardano l’allocazione principalmente di bambini grandi e di gruppi di fratelli; ancora, viene sottolineata l’utilità di un supporto nel
postadozione e la volontà di collaborare realizzando interventi coordinati fra i due Paesi
nel caso di fallimenti adottivi, al fine di scongiurare il rischio di cittadinanze irregolari.
La CEJAI di San Paolo è stata istituita nel 1992, è composta da sei giudici e un assistente ed è presieduta dall’ispettore generale di giustizia. La funzione della CEJAI è di
“valutare” le coppie proposte dagli enti, sulla base di quanto emerge dalle relazioni psicosociali, rilasciando loro, in caso di esito positivo, il certificato di abilitazione (e procedendo in ultimo all’abbinamento).
La CEJAI di San Paolo ha rapporti con 18 enti autorizzati, di cui 11 italiani; fra il 2004
e il 2008 nello Stato sono state realizzate 845 adozioni internazionali, di cui ben 685
(80%) da italiani.
Il profilo dei minori adottati in Italia riguarda per l’83% gruppi di fratelli (17% minori
singoli); il 55% di loro sono maschi (contro il 45% di femmine); il 38% presentava problemi di salute; il 55% erano meticci, il 16% neri, oltre a una piccola percentuale di
indios e di minori “di colore indefinito”. I gruppi d’età risultano così suddivisi: il 42% tra
i 6 e gli 8 anni, il 20% tra i 9 e gli 11, il 3,65% più di 12 anni (la percentuale rimanente ha
meno di 6 anni).
I minori e gli adolescenti che hanno una situazione legale tale da consentire l’adozione sono 3.386 e attualmente il catasto sta provvedendo a registrare 70.000 bambini
che risiedono in strutture.
Per quanto riguarda il punto di vista dei servizi sociali, in Brasile è una conquista
recente che il bambino sia soggetto di diritto: il compito di prendersene cura è però
della società, mentre alla giustizia rimangono le funzioni di controllo e supervisione
delle politiche pubbliche e l’intervento giudiziario.
I servizi sociali intendono lavorare con le famiglie per aiutarle a occuparsi dei figli e
invocano criteri più “umani” ed elastici nel decidere sulla possibilità di un nucleo di
tenere o meno un minore con sé.
I progetti presentati mi sono sembrati per lo più riproposizioni di quanto già sperimentato negli anni passati anche in Italia, e con scarso successo (come ad esempio la
formazione/reclutamento di famiglie affidatarie), tenuto conto anche della piccolissima
parte di popolazione che riescono a raggiungere. In prospettiva credo quindi che non
sarà facile che queste iniziative abbiano successo.
Più interessante, innovativo e incisivo rispetto alla possibilità di un reale cambiamento mi è sembrato il progetto “nutrizionista”, svolto nelle favelas, attraverso il quale
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LO STAGE IN BRASILE
si insegna alle giovani madri sia quali sono gli alimenti più idonei alla crescita dei loro
figli, ivi compresi cibi poveri facilmente reperibili, sia come cucinarli in modo che risultino graditi. Non facile appare il coordinamento fra le iniziative e il loro inquadramento in
una visione globale del problema dei minori.
Per quanto riguarda la Casa de cultura e cidadania di Santo Amaro, il principio ispiratore del progetto è l’acquisizione del diritto di cittadinanza, inteso come il raggiungimento della consapevolezza di essere un soggetto portatore di diritti. Interessante la
visita in quanto si è potuto constatare quanto il personale sia riuscito a penetrare nel
tessuto del territorio, compresa la stessa favela limitrofa, effettuando attività in favore
sia dei minori che dei loro genitori. Attraverso la creatività e uno spirito gioioso le diverse forme di intrattenimento proposte ad adulti e minori consentono la trasmissione di
messaggi volti al riscatto dalla miseria e dall’assoggettamento.
Rassicurante la visita alla casa famiglia salesiana, per la serenità dei volti dei bambini che lascia intuire un’amorevolezza nelle cure capace di lenire ferite profonde.
5.2 Lo stage a Belo Horizonte
nel Minas Gerais
(ovvero i brasiliani
sanno conciliare solennità
e samba)
La cornice dell’incontro viene immediatamente definita da un avvio dei lavori preceduto dall’inno nazionale italiano e quello brasiliano, rafforzando in noi partecipanti l’impressione (già avuta all’arrivo in aeroporto) di essere considerati ospiti di riguardo.
Sin dalle prime battute emerge una visione politica più “moderna” del problema
dei minori, considerati l’ultimo “debito” da pareggiare in uno Stato che vede nella
famiglia il nucleo di base della società e che non intende cedere passivamente la propria prole (viene fatto riferimento, con toni risentiti, alle proposte di internazionalizzazione della foresta Amazzonica avanzate da altre nazioni). Viene affermato quindi
che lo Stato deve essere in grado di provvedere a tutelare tanto la sua foresta quanto
i suoi bambini. Significativa in questo senso la frase pronunciata da un conferenziere:
«Finché non siamo in grado di toglierli dalla strada [i bambini] sarà meglio rinunziare
al nostro orgoglio».
Tutti i conferenzieri sottolineeranno poi la volontà di recuperare e promuovere il
ruolo delle famiglie brasiliane, e in questo contesto, attento al valore delle proprie tradizioni, ben si colloca l’intervento introduttivo del presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna, Maurizio Millo, che propone una riflessione a partire da un proverbio
medievale: «Per crescere un fanciullo è necessario tutto un villaggio».
Anche in questo Stato è l’Italia il Paese che adotta il maggior numero di minori.
L’adozione viene definita come il processo attraverso cui far diventare figlio un bambino che ha perso o non ha mai avuto la protezione di coloro che l’hanno generato.
I nuclei familiari, in Minas, sono molto numerosi; il numero dei figli può oscillare
anche fra i 9 e gli 11.
Particolare attenzione viene data dalla CEJA allo studio delle coppie, in quanto è possibile avanzare richiesta di adozione internazionale anche senza il tramite degli enti
autorizzati. Successivamente la procedura di adozione internazionale viene definita da
un organismo al quale, da parte di operatori del progetto São José, vengono imputati
“blocchi” che producono allungamento dei tempi.
La nuova legge sull’adozione internazionale ha introdotto una serie di novità:
• tutte le coppie dopo l’abbinamento dovranno risiedere e convivere nello Stato col
minore per 30 giorni;
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
• il minore ha diritto all’identità genetica, pertanto negli archivi vengono conservate notizie sulla famiglia biologica;
• possono essere inserite nel catasto dei minori solo le situazioni giuridiche definite e la situazione di ogni minore viene ripresa in considerazione ogni sei mesi;
• la permanenza del minore in istituto può durare al massimo due anni;
• viene tenuta in considerazione la volontà dei minori, specie nel caso di gruppi di
fratelli.
Ai padri biologici di minori ricoverati in istituti è interdetto il contatto con i figli.
Inoltre, nel Minas è fortemente promosso l’istituto dell’affido familiare, qui chiamato
Guarda, ma i risultati in passato non sono stati entusiasmanti a causa di una scarsa formazione delle coppie che tendevano a considerare l’affido come un gesto caritatevole, non
stabilendo pertanto legami affettivi con i minori e restituendoli, poi, durante l’adolescenza.
Interessante programma, alternativo all’affido, è quello dell’“appadrinamento”, at traverso cui si mira a fornire a minori che hanno un profilo che difficilmente consentirà
l’adozione o l’affidamento punti di riferimento affettivi tramite le figure dei padrini, famiglie o singoli che si assumono un carico di responsabilità nei confronti del minore, una
figura collocabile a metà tra gli affidatari e i volontari: i piccoli non andranno a vivere a
casa dei padrini, ma saranno stabilmente loro ospiti durante le feste o anche le vacanze, dando loro così la possibilità di sperimentare legami durevoli e di beneficiare almeno parzialmente dell’esperienza di vivere in famiglia.
Le cause di ricovero dei minori in istituto sono legate prevalentemente all’abbandono (43%), alla negligenza (40%) e alla violenza (13%).
La docente universitaria incaricata di affrontare il tema nei suoi aspetti scientifici,
presenta una relazione di taglio internazionale, facendo ampio riferimento alle più
recenti scoperte sul trauma infantile. I dati brasiliani confermano quanto riportato dalla
letteratura scientifica a proposito della probabilità che le vittime di abuso sessuale subiranno mediamente altri due abusi nella vita; sul concetto di negligenza vengono proposte alcune riflessioni, e si sottolinea come ad esempio possa non essere corretto parlare di trascuratezza per madri che non possono curare l’igiene dei figli perché non usufruiscono di acqua corrente.
A livello operativo gli interventi più difficili da realizzare sono quelli con le famiglie
multiproblematiche, in particolare dove si hanno casi di violenza intrafamiliare; al tema
viene data particolare attenzione: i bambini vittime di questa condizione non vengono
mai reinseriti neanche nelle famiglie allargate (dove sussistono con ogni probabilità le
stesse dinamiche relazionali della famiglia biologica) e la disciplina “violenza domestica” è inserita nel corso di laurea in medicina.
Sulle adozioni nazionali viene riferita una carente preparazione delle coppie brasiliane:le figure femminili cercano prevalentemente di camuffare con l’adozione il tentativo di creare una maternità assimilabile a quella biologica. Le richieste infatti sono orientate verso bambini di pelle bianca, di sesso femminile (perché le bambine sono ritenute più docili e facili da educare), che abbiano al massimo 2 anni di età. Con le coppie brasiliane, oltre agli incontri necessari allo studio psicosociale, vengono effettuati percorsi
formativi di impostazione psicoeducazionale, allo scopo di prepararle alle diverse fasi
che verranno attraversate dai minori e dall’intero nucleo durante il postadozione.
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LO STAGE IN BRASILE
Sulla base dell’esperienza maturata, vengono forniti utili spunti di riflessione, quali ad
esempio il non reinserire i minori restituiti nello stesso istituto da cui provenivano per non
caricarli di vissuti di vergogna relativi alle loro responsabilità nel fallimento. Interessante
anche la riflessione a proposito della scelta, in casi particolari, di non comunicare per intero la storia del minore alla famiglia adottiva: viene portato l’esempio di un minore partorito dentro un water, dettaglio che si è preferito non riferire alla famiglia adottiva in quanto
umiliante per il piccolo e, quindi, possibile fonte di vissuti di stigmatizzazione e disistima.
Vengono invece sempre rivelati i fatti storici relativi alla violenza domestica e in caso di
minore vittima di abuso l’intera famiglia adottiva verrà sottoposta a psicoterapia.
La condizione degli adolescenti risulta particolarmente preoccupante: numerosi
sono in casa famiglia e per essi, al raggiungimento della maggiore età, si prospetta la
possibilità di entrare a far parte della criminalità; si tenta di arginare il fenomeno attraverso le “repubbliche”, case autogestite che ospitano giovani dopo i 18 anni.
La segreteria di Stato di desenvolmimento social elabora linee guida e progetti per
promuovere l’inserimento nel mondo del lavoro di questi giovani, e ha individuato azioni specifiche lungo tre direttrici:
1) l’asse educazione:
• scuola a tempo pieno (obiettivo: permanenza prolungata in un clima educativo);
• scuola viva-comunità attiva (obiettivo: coinvolgere la comunità territoriale nelle
iniziative);
• alfabetizzazione a oltranza (la libertà passa attraverso la cultura);
2) l’asse formazione professionale:
• recupero delle competenze di base (a partire dall’autostima);
• programma primo impiego (rivolto agli adolescenti trovati in strada);
3) infine l’asse assistenza sociale:
• programmi individuali per il rientro in famiglia.
I progetti presentati sono risultati piuttosto innovativi e interessanti: fra questi in
particolare i progetti rivolti all’inserimento lavorativo degli adolescenti, per il ruolo che
in essi hanno l’apprendimento di attività artistiche tipiche del luogo (come la capoeira)
nella prospettiva di farne fonte di guadagno per i giovani, sulla scia dei progetti per l’apprendimento dell’arte circense in Romania.
Nei progetti visitati, poi, si è trattato di visite entrambe toccanti, durante le quali si
è percepito il forte legame affettivo esistente fra gli educatori e i minori.
Nell’ambito della conversazione con un referente di ente autorizzato è emerso che le
famiglie italiane, e in particolare le madri, esprimono la loro attenzione nei confronti dei
bambini con una modalità percepita dalla stessa referente come intrusiva, in quanto poco
consona allo stile affettivo familiare brasiliano. Il riferimento era in particolare rispetto al l’abitudine delle nostre madri di intromettersi anche nei fatti legati all’igiene personale dei
bambini, come ad esempio supervisionare i lavaggi e verificare e controllare la quantità e
qualità degli atti escretori, oltre che sottoporre il bambino a innumerevoli visite mediche
mentre si trova ancora nel territorio di origine. Tali comportamenti, del tutto inusuali per la
cultura locale, inducono i bambini a pensare che c’è qualcosa in loro che non funziona.
L’accoglienza da parte dei referenti degli enti autorizzati e dei rappresentanti dei tribunali è stata molto professionale ma anche calorosa e all’insegna della totale disponibilità.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
La gestione delle attività sociali è stata affidata a una agenzia, dando la possibilità a
noi ospiti di avere un intermediario al quale esprimere esigenze e desideri che sono stati
puntualmente soddisfatti, talvolta grazie al sacrificio personale delle interpreti e anche
della referente per alcune visite suppletive realizzate.
Solenni nei momenti più formali, alcuni magistrati e i loro assistenti si sono perfettamente amalgamati con il gruppo italiano, condividendo con noi i momenti di svago
serale; è stato naturale confrontarsi con loro sulle problematiche relative all’adozione,
così come da parte degli operatori (assistenti sociali e psicologi) brasiliani presenti ai
lavori si è osservata un’attiva ricerca di contatti e scambi di opinione.
Eccellente la cura di tutti i particolari, non sarà facile ricambiare l’ospitalità con lo
stesso entusiasmo e con pari attenzioni.
Inoltre, data la mia provenienza, ho riflettuto sul fatto che la condizione dei minori e
degli adolescenti, insieme a un taglio più moderno ed efficace di approcciare il problema, rimanda fortemente alla situazione dei minori in Sicilia, laddove in particolare le difficoltà di reinserimento in famiglia sono fortemente collegate con il rischio di immissione in ambienti malavitosi. Traggo personalmente insegnamento e suggerimenti utili sia
dal progetto “appadrinamento”, sia dai progetti per adolescenti, del tutto riproponibili
nella mia terra.
5.3 Ultime
considerazioni
Mi ha colpito che nella conoscenza anche fortuita di brasiliani (in albergo, nei negozi, fra gli operatori dei progetti, ecc.) in tanti hanno rievocato la propria origine italiana,
ma quasi nessuno di loro ha saputo dire esattamente da che regione o città. Si stupivano delle nostre domande di “regionalizzare” le loro origini e il tono della loro risposta
sembrava sottolineare che erano italiani ma era passata una generazione ormai e si sentivano interamente brasiliani.
Mi ricordo di un adolescente brasiliano il cui vibrante nome proprio venne sostituito
dai genitori adottivi con un banale Emanuele. Disse: «Non è un problema che mi abbiano cambiato il nome, perché quando tornerò in Brasile la mia gente mi riconoscerà
comunque, io sono brasiliano nel sangue».
Terminerei quindi queste osservazioni così come le ho iniziate, confermando quindi
che i brasiliani sono un popolo di grande dignità e orgoglio.
6. Il diario-agenda
di una psicologa6
Lo stage realizzato ha inteso rispondere principalmente a tre obiettivi: in primo luogo
alla ricerca e a una conoscenza reciproca di metodologie e prassi operative utilizzate nel
lavoro quotidiano, a partire dal considerare l’adozione internazionale in un ottica di sussidiarietà, come ultimo elemento residuale per il benessere dell’infanzia; in secondo luogo
alla valorizzazione delle prassi innovative che si prefigureranno per giungere a diffondere
buone prassi, in particolare per le fasi del pre e del postadozione; infine alla possibilità di
comprendere l’intero sistema di tutela dell’infanzia brasiliana a partire dal lavoro di promozione e tutela della maternità/paternità e delle adozioni nazionali (trend in crescita) e
dal monitoraggio delle condizioni e delle modalità dell’inserimento dell’infanzia in istituto.
6 Albarosa Talevi, psicologa psicoterapeuta, partecipante allo stage per la Regione Marche. Alcune
parti, rielaborate in maniera congiunta con Nicoletta Poli, non sono qui riportate.
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LO STAGE IN BRASILE
6.1 La prima area tematica.
L’adozione internazionale
e il sistema di protezione
dell’infanzia in Brasile:
aspetti socioculturali,
organizzativi, procedurali
Il quadro normativo e culturale dell’adozione internazionale presenta due aspetti
generali degni di nota: il primo riguarda la cultura stessa dell’adozione, che in Brasile
risente ancora dell’influenza della cultura introdotta dai conquistadores, l’altro è relativo al quadro normativo che vede disciplinare per la prima volta questa materia solo nel
1979 con l’emanazione del Codice dei minori.
Volendo sinteticamente delineare i principi portanti dell’evoluzione di questa materia, si può iniziare sottolineando che, nel Codice dei minori, agli stranieri era possibile
adottare solo bambini brasiliani che si trovavano in situazione irregolare, ovvero che
erano privi di garanzie di sussistenza, salute, educazione (si consideravano in questa
condizione gli orfani, i bambini abbandonati, abusati, maltrattati o con problemi di condotta, e perfino quelli privi di salute o educazione per omissione dello Stato).
L’adozione di questi bambini non prevedeva la partecipazione dell’autorità giudiziaria,
era sufficiente il consenso dei genitori, manifestato davanti a un notaio. Il minore, nella
concezione del legislatore di allora, era pertanto oggetto di protezione e non soggetto
di diritti. Prevaleva la dottrina della situazione irregolare come ideologia della compassione e della repressione fondata sull’esclusione sociale.
Di fatto, come ci ha ben illustrato la professoressa Batista a San Paolo, la cultura dell’esclusione è un retaggio di un processo culturale secolare che ha inizio con la colonizzazione del Brasile e il bisogno di catecumenizzare ed esportare la cultura europea dei
colonizzatori. Processo in cui la segregazione e l’allontanamento/abbandono dei bambini aborigeni dalle proprie famiglie d’origine per essere allevati nelle famiglie dei colonizzatori e divenire futura forza lavoro/schiavi rappresentava una vera e propria strategia di colonizzazione. Per perseguire lo stesso obiettivo furono realizzati i primi istituti,
o casas de los muchachos, in cui i bambini venivano inseriti spesso anche con la forza
e/o costringendo le famiglie d’origine. I bambini, di fatto, venivano segregati perché non
fossero visibili. Da qui il radicarsi e diffondersi della cultura delle strutture d’accoglienza/istituti/abrigo in sostituzione alle famiglia d’origine che per povertà o condizione
sociale non potevano garantire il futuro dei propri figli. L’abrigo come luogo in cui poter
garantire la sopravvivenza dei propri bambini.
Negli anni ’40, grazie a un movimento di preti umanisti, fu realizzata una ricerca che
evidenziò la bassa prospettiva di vita dei bambini inseriti negli abrigo dell’epoca e la
necessità di modificare il modo stesso con cui affrontare il problema dell’indigenza e
della povertà. Inizia, per la prima volta, un programma di sostegno alle famiglie d’origine anche dal punto di vista economico. Viene dato mandato al sistema giudiziario di
delegare i servizi territoriali a svolgere tali funzioni e attivarsi per offrire aiuti alle famiglie in condizioni di povertà. Il programma viene però chiuso negli anni ’60/’70 senza
apparenti ragioni. Si ritorna all’inserimento in istituto dei bambini: l’allontanamento
dalle proprie famiglie e/o il ricorso all’abbandono come unico sistema di garanzia e protezione rispetto alle difficoltà delle famiglie e dei bambini.
Nel 1988 viene promulgata la Costituzione della Repubblica federativa del Brasile
che sembra risentire del processo di cambiamento culturale e di presa di coscienza in
atto a livello internazionale dei diritti umani e dell’importanza della garanzia dei diritti
dei fanciulli. Infatti nella Costituzione viene dedicato un intero capitolo alla regolamentazione dei principi fondamentali che reggono la famiglia, nonché la condizione del
bambino e dell’adolescente. All’articolo 266 si stabilisce che «la famiglia è la base della
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
società e merita speciale protezione da parte dello Stato»; gli articolo 226 e 229 sostengono che «i genitori hanno il dovere di assistere, allevare ed educare i propri figli, a parità di condizioni tra uomo e donna»; all’articolo 227 si enumerano una serie di diritti fondamentali del bambino (il diritto alla vita, alla salute, all’educazione, ecc.) e si enfatizza
«il dovere della famiglia, dello Stato e della società di assicurare ai bambini e agli adolescenti con assoluta priorità questi diritti».
Nel 1990 il Brasile adotta lo Statuto del bambino e dell’adolescente con cui verranno regolati e meglio declinati i principi già stabiliti dalla Costituzione. Il nuovo Statuto
rappresenta di fatto la legge che meglio ha espresso e regolato i diritti del bambino e
dell’adolescente espressi nella Costituzione.
Va sottolineato che da questo momento nella legislazione brasiliana viene abolito
l’uso del termine “minore”.
Questi due atti rappresentano una vera e propria rivoluzione in materia di tutela dell’infanzia e sono conseguenti al processo di democratizzazione avviato nel Paese, perché adottano la dottrina della protezione integrale dei bambini e degli adolescenti.
In essi si possono desumere tre elementi che modificano sostanzialmente le logiche
culturali che fino a quel momento avevano condizionato le politiche e le leggi sull’infanzia: il primo è rappresentato dalla percezione dei bambini e degli adolescenti come
soggetti di diritti e non più come “oggetto di protezione”; il secondo riguarda il rispetto
a loro dovuto in quanto persone in crescita, e il terzo fa riferimento al convincimento che
essi debbano essere concepiti, nelle determinazioni politiche e giuridiche del Paese,
come priorità assoluta.
La nuova legge brasiliana, già citata, ha introdotto importanti modifiche in materia
di adozione internazionale. Uno dei pilastri è il mantenimento dei vincoli familiari e il
considerare l’inserimento in una “famiglia sostituta” una misura eccezionale, confinando l’istituzionalizzazione a misura subordinata e provvisoria. La legge riconosce la famiglia d’origine come ambiente primo di vita del bambino e dell’adolescente e ne prevede
l’allontanamento solo in condizioni molto precise e rigorose.
L’altro importante aspetto è relativo al ruolo vincolante dell’autorità giudiziaria in cui
si radica tutta la procedura relativa all’adozione sia nazionale che internazionale. Viene
istituito il giudice dell’infanzia e dell’adolescenza affinché sia delegata a un magistrato
specializzato la trattazione di tale complessa materia.
In questo nuovo orientamento l’adozione internazionale è permessa solo come
misura straordinaria (articolo 31) e subordinata all’impossibilità di reperire una famiglia
disposta all’adozione nazionale. I requisiti per adottare sono l’età minima dell’adottante di 21 anni e la differenza di 16 anni minimo tra adottante e adottato. La procedura di
adozione deve essere svolta solo davanti all’autorità giudiziaria che, prima di procedere, deve verificare che essa sia un reale interesse del bambino e si fondi su motivi legittimi. Nella stessa legge inoltre si prevede che l’azione del giudice dell’infanzia e dell’adolescenza sia affiancata e preceduta da una perizia/valutazione di un gruppo interprofessionale. Si prevede, altresì, per la prima volta l’ascolto del bambino, quando ciò
è possibile, che dovrà esprimersi e/o dichiararsi disponibile all’adozione.
Solo una volta acquisiti questi pareri, il giudice potrà procedere all’adozione, che
però dovrà prevedere un periodo di estàsio de convivencia. All’esito positivo del periodo di convivenza potrà essere dichiarata l’adozione.
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LO STAGE IN BRASILE
Attualmente in Brasile vige solo l’adozione piena che è legittimante, con rottura cioè
di ogni legame con la famiglia d’origine.
È importante sottolineare anche che, diversamente dal passato, la sola condizione
di indigenza materiale non costituisce più motivo di perdita della potestà genitoriale. La
legge brasiliana prevede che, prima di procedere all’adozione nazionale, in mancanza
della decadenza della potestà genitoriale si debba acquisire il consenso dei genitori biologici, se esistenti, mentre per l’adozione internazionale la regola prevede sempre la
decadenza della potestà dei genitori.
Nella legge brasiliana, in più, si prevede che l’intera procedura relativa all’adozione
internazionale venga svolta in Brasile, ivi compresa la decisione finale di adozione,
decreto di adozione legittimante la coppia stranera.
Il bambino adottato inoltre conserva sempre la cittadinanza brasiliana.
Con la ratifica della Convenzione de L’Aja e l’emanazione dello Statuto del bambino
e dell’adolescente, il governo brasiliano ha apportato una serie di modifiche nella procedura e nelle competenze degli organi amministrativi, creando anche nuovi organismi
amministrativi. Nello specifico è stato creata l’ACAF (Autorità centrale amministrativa
federale) e sono stati ristrutturati alcuni organi statali già esistenti come le CEJAS, che
passano a esercitare alcune funzioni attribuite all’autorità centrale.
La nuova cultura di tutela dell’infanzia, ben declinata nello Statuto del bambino e
dell’adolescente, prevede l’adozione di una politica decentrata di attuazione dei suoi
enunciati, ponendo sui municipi (le preture), ma anche a livello federale e statale, una
vasta responsabilità rispetto ai programmi di contrasto all’istituzionalizzazione e di
sostegno alla famiglia. Nello specifico quindi sono previsti tre livelli di responsabilità:
comunale, federale e statale, per la creazione di programmi di sostegno all’infanzia e
alle famiglie. Il legislatore, coerentemente ai dettami dello Statuto e in sua applicazione, promulga una legge in cui istituisce i Consigli dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle tre sfere di governo (municipale, federale e statale), che hanno la responsabilità di elaborare e controllare questi programmi.
I Consigli dei diritti sono organi composti da rappresentanti del governo e della
società civile. Il CONANDA (Consiglio nazionale dei diritti dell’infanzia), istituito con la
legge 8.249/1991, rappresenta il livello apicale di questi nuovi organismi e ha il compito di formulare la politica di attuazione dei diritti dell’infanzia e controllare le azioni pubbliche, governative e non governative, derivanti da questa politica.
Nella nuova legge si prevede inoltre l’attribuzione alla polizia federale del controllo
dell’operato degli enti che si occupano di adozioni internazionali. Il territorio brasiliano
è molto esteso e questo rende difficile la prevenzione e repressione del traffico di bambini e delle adozione illecite. Per questa ragione la legge prevede che il dipartimento di
polizia federale, presente in ogni Stato (il Brasile è infatti uno stato federale), debba
registrare e controllare tutti gli enti nazionali e stranieri che intendono operare nel
campo delle adozioni sul territorio. Sempre alla polizia federale è attribuito il compito di
fornire informazioni sul numero di bambini che escono dal territorio nazionale, registrare il numero dei loro passaporti e verificare/controllare la regolarità degli atti di adozione e dei documenti forniti dalle autorità centrali straniere.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Il minore ospitato nell’abrigo viene seguito dall’équipe tecnica del tribunale che svolge un compito di rete relazionale e di regia dell’intervento. La nuova legge prevede che il
collocamento in istituto di qualsiasi minore non debba prolungarsi oltre i due anni, e ciò
rappresenta una grande sfida, poiché presuppone una seria presa in carico delle famiglie!
L’assistente sociale dell’équipe sottolinea come i due istituti presenti nella loro città
ospitino bambini di età diverse. Questa eterogeneità di età rappresenta un problema sia
per la convivenza sia per i progetti individuali che dovrebbero essere elaborati.
Sulla questione dell’eterogeneità è in corso un confronto e si sta proponendo di differenziare le età, ma i punti di vista dei vari professionisti sono vari e non tutti convergono su tale scelta.
Si è aperto da poco un tavolo di lavoro al quale partecipano il Consiglio tutelare, il
pubblico ministero, i rappresentanti degli istituti e l’équipe tecnica con lo scopo di stendere un regolamento per la riorganizzazione interna degli abrigo.
Per ogni bambino in istituto l’équipe della struttura elabora un progetto individualizzato, condiviso con la famiglia, che viene poi inviato all’équipe tecnica, definendo così
obiettivi, azioni e tempi dell’intervento.
La dimissione dall’abrigo può comportare per il minore il rientro in famiglia, oppure
l’affidamento alla rete parentale allargata o può aprirsi, se si è dichiarata la decadenza
della potestà, la prospettiva dell’adozione. È il giudice che decide l’eventuale apertura
di un procedimento di adottabilità di un minore, dopo aver raccolto la proposta dell’équipe tecnica e il parere del pubblico ministero.
L’iniziale ricerca di una famiglia avviene all’interno del cadastro municipale (registro
delle famiglie disponibili all’adozione nel territorio giurisdizionale del tribunale), in
seguito si accede al cadastro federale, non essendoci ancora quello nazionale.
L’incontro e la fase di conoscenza fra il bambino e i genitori adottivi avviene presso
l’istituto.
In generale gli istituti in Brasile accolgono bambini dai 6 ai 18 anni, in una condizione di grande eterogeneità di età e bisogni. Si registra tuttavia un aumento degli istituti
dedicati a forme diverse di accoglienza, in particolare quelli che accolgono solo bambini molto piccoli e quelli dedicati ai ragazzi prossimi alla maggiore età, per i quali stanno
nascendo progetti mirati alla loro autonomia e formazione professionale.
È compito degli operatori dell’équipe tecnica del tribunale valutare le coppie brasiliane disponibili all’adozione: spetta a loro fare colloqui con le coppie disponibili per
valutarne le capacità, le risorse e l’idoneità. Al termine del percorso l’équipe tecnica
esprime un parere che comunica al giudice. Non c’è un decreto. Il giudice preso atto del
parere dell’équipe tecnica decide se iscrivere la coppia nel cadastro della sua giurisdizione e invia alla CEJAS e all’Autorità centrale i nominativi degli aspiranti genitori adottivi per le iscrizioni nei loro rispetti elenchi.
Gli elementi considerati nello studio di coppia finalizzato all’adozione approfondiscono la relazione di coppia, la rete sociale di riferimento, la motivazione che spinge i coniugi all’adozione, la rielaborazione del lutto dell’infertilità, la disponibilità ad avvicinarsi
alla storia del bambino, l’immaginario che la coppia ha del bambino. A questo proposito
emerge come gli operatori dell’équipe valutino prioritario assecondare i desiderata della
coppia, ritenendo di favorire in questo modo una migliore accettazione del bambino da
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parte di quest’ultima. Non si è colto alcun tentativo di avvicinare la coppia alle peculiarità/bisogni del bambino reale. Non sempre i bambini vogliono essere adottati.
Gli operatori riferiscono che l’emergenza e gli sforzi maggiori sono indirizzati verso i
ragazzi prossimi alla maggiore età. Spesso per loro l’uscita dall’abrigo corrisponde a un
nuovo abbandono. Molta attenzione e interesse destano i progetti denominati “repubbliche dei giovani”. Sono progetti dedicati ai giovani dai 15 ai 18 anni, una sorta di casa
famiglia autogestita, dove gli stessi possano vivere. In questi progetti i ragazzi vengono
accompagnati, con l’aiuto dei servizi, a inserirsi nel contesto sociale e lavorativo e a prepararsi alla deistituzionalizzazione.
Diverse le problematiche aperte e le prospettive prefigurabili.
La presenza di adolescenti in istituto da molti anni e di gruppi di fratelli impone all’équipe tecnica e alla rete di tutela dell’infanzia di fare delle riflessioni e aprire un confronto più ampio sulle procedure e sull’efficacia degli interventi. Viene esplicitata la
necessità di trovare forme di supporto e di accompagnamento degli adolescenti. Per
quanto riguarda i gruppi di fratelli per i quali non sembrano aprirsi prospettive diverse
dall’inserimento sine die in struttura, uno degli interventi più ampiamente proposto prevede la responsabilizzazione e l’autonomizzazione del fratello maggiore che si fa carico
della crescita dei fratelli minori. Proposta di rivedere la parte della legge brasiliana che
impone di non separare i fratelli.
Non si sono evidenziate particolari azioni/attenzioni rivolte alla conoscenza/valutazione del bambino, della sua condizione psicologica, del suo sviluppo, degli eventuali
traumi subiti, né nella fase precedente l’elaborazione del suo progetto di aiuto né
rispetto all’eventuale adozione.
Emerge, a detta degli stessi operatori, la difficoltà di realizzare programmi pubblici
in favore dei bambini a rischio e dell’accompagnamento dopo l’obbligo scolastico.
Ancora accade in Brasile che «i bambini non sono visibili e spesso lo diventano solo
quando li si mette in galera», dice un magistrato in una sua relazione, in cui sottolinea
le difficoltà anche culturali in cui si trovano i tutori dell’infanzia.
L’orientamento generale delle azioni di tutela sembra ancora adultocentrico.
Infine, non si rileva alcuna programmazione in cui si preveda la preparazione e/o
l’accompagnamento del bambino destinato all’adozione. La preparazione e l’accompagnamento del bambino all’adozione non è esplicitamente previsto in nessuna norma o
articolo di legge, fatta eccezione per il fatto che egli «deve esprimere il suo consenso
all’adozione».
Non sembra esservi ancora nella società civile brasiliana la piena consapevolezza
della propria responsabilità e impegno rispetto ai problemi dell’infanzia. Lo Stato esercita ancora, nella prassi, la funzione di sostituzione della famiglia d’origine laddove essa
non riesca ad adempiere ai suoi compiti.
Ancora piuttosto insufficienti risultano sia l’organizzazione del sistema statale che i
programmi per coinvolgere di più e responsabilizzare le famiglie.
Il sistema creato con l’entrata in vigore dello Statuto del bambino e dell’adolescente,
sebbene abbia rappresentato un balzo in avanti significativo nel processo di tutela dell’infanzia, dopo 10 anni presenta ancora diverse criticità. Le attribuzioni e le procedure adottate, oltre alla composizione, delle CEJAS sono diverse in ogni Stato federale, potendo cia-
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
scuno Stato stabilire criteri specifici e propri da rispettare nella procedura di adozione.
Questa situazione rende difficile se non impossibile il dialogo e lo scambio di informazioni
e programmi tra Stati; esiste però un desiderio di uniformità delle CEJAS per cui sono stati
avviati incontri sul tema. Al momento poche CEJAS hanno accordi di cooperazione tra loro.
Mancano o risultano carenti i servizi territoriali e le strutture di sostegno all’attività
dell’autorità centrale in grado di fornire informazioni precise e approfondite sul bambino che possano essere inviate al giudice per realizzare un buon abbinamento.
Si riscontra altresì la mancanza di un registro unificato di adottanti nazionali presso
l’ACAF che permetterebbe una maggiore attenzione alla sussidiarietà. Al momento si
verifica un passaggio continuo, in entrata e in uscita, di ricerca nei registri delle varie
CEJAS federali con allungamento di tempi e scarsa efficacia.
Con la decisione di adozione passata in giudicato, l’Autorità giudiziaria brasiliana
determina la cancellazione del certificato di nascita e l’elaborazione di uno nuovo con i
nomi dei genitori d’origine, senza alcuna informazione sulla natura dell’atto. Purtroppo
questa procedura per alcuni Paesi, come l’Italia, non può essere riconosciuta e non è
valida per comprovare la filiazione. L’Italia quindi non riconoscendo l’atto non lo trascrive ipso facto come l’autorità brasiliana si aspetta.
Si osserva una difficoltà del giudice per l’infanzia e l’adolescenza a dichiarare la
decadenza della potestà genitoriale (decisione che in Brasile è monocratica, e precede
l’avvio delle procedure di adozione), difficoltà che è anche da ascrivere alla consapevolezza di molti giudici e operatori che ancora scarsi e scarsamente efficaci sono i reali
aiuti offerti alle famiglie d’origine e che sussiste una forte tendenza adultocentrica. È
emersa anche la necessità di maggiore collegamento e scambio con il sistema sociale
della protezione. La sfida sembra giocarsi su una maggiore specializzazione dei giudici
dell’infanzia e dell’adolescenza che deve “crescere” versus il riconoscimento della centralità del bambino ma anche sulla necessità di creare una rete, più efficace, di collegamento e scambio con i servizi territoriali di tutela.
La Convenzione de L’Aja e lo Statuto del bambino e dell’adolescente brasiliano affermano, come primo principio, il diritto del bambino alla convivenza nella famiglia biologica e solo in subordine alla famiglia substituta (in primis brasiliana), quindi la prima
azione necessaria dovrebbe essere la prevenzione dell’abbandono.
Questo sforzo tuttavia non è ancora sufficientemente compiuto non solo per la mancanza di programmi adeguati, per l’assenza di servizi e strutture, di risorse economiche,
materiali e umane, ma per una, ancora debole, partecipazione della società civile.
Lo Stato brasiliano non riesce ancora a garantire a tutti i suoi cittadini i diritti basilari per una “degna esistenza” (la disuguaglianza di reddito in Brasile rimane infatti la più
alta del mondo). Secondo molti relatori dovrebbero essere fatti, in generale, maggiori
sforzi in questo senso, si dovrebbe investire maggiore forza e impegno nel riconoscimento e nelle azioni tese al superamento dei problemi sociali.
Riuscire ad aiutare le famiglie d’origine e riscattare i vincoli di parentela rimane pertanto il compito più difficile e l’alternativa più praticabile al momento appare ancora essere l’istituzionalizzazione, mentre risultano assenti o carenti i servizi territoriali di tutela.
Il secondo principio della tutela stabilisce di dare preferenza alla permanenza del bambino nella famiglia adottiva dentro il territorio nazionale. Di fatto però l’attuale inesistenza
di un registro unico, centralizzato, di cittadini residenti in Brasile che intendono adottare
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un bambino rappresenta, per l’attuale sistema delle adozioni nazionali, un ostacolo importante. Infatti se non esistono potenziali adottandi per quel bambino in uno Stato e risulta
impossibile accedere ai cadastri degli altri Stati (cadastro unico) si attiva la procedura dell’adozione internazionale, con una possibile violazione del principio di sussidiarietà.
Il terzo principio della tutela nella Convenzione de L’Aja e nello Statuto è infine rappresentato dal controllo delle adozioni internazionali attraverso un sistema di cooperazione che prevede l’istituzione di autorità centrali. La stessa Convenzione ha previsto
però che alcuni compiti, quale quello dell’abbinamento, possano essere delegati a singole persone, utilizzando così le adozioni indipendenti. Il Brasile non ha ancora dichiarato la sua rinuncia a questo tipo di adozioni e pertanto oggi non vi è nessuna norma
che proibisca espressamente che uno straniero cerchi un bambino direttamente nelle
famiglie. Solo alcune CEJAS in alcuni Stati hanno adottato misure di contrasto al possibile traffico di bambini, stabilendo che una condizione sine qua non all’adozione sia la
decadenza della potestà genitoriale. Tuttavia non tutte le CEJAS stabiliscono che la pronuncia della decadenza della potestà sia un requisito indispensabile per poter pronunciare un’adozione internazionale e non tutti gli Stati sono dotati di CEJAS, lasciando spazio, quindi, alle adozioni indipendenti.
L’adozione internazionale tramite enti autorizzati, pertanto, è in Brasile ancora poco
diffusa, anche se in fase di crescita.
I principali problemi aperti spaziano dai tempi per l’abbinamento, alle adozioni indipendenti, fino al riconoscimento della decisione straniera.
Nel primo caso, la procedura indicata nella Convenzione de L’Aja prevede che venga
comunicato l’abbinamento alla coppia aspirante l’adozione affinché la stessa possa
manifestare il proprio interesse. Queste procedure in Brasile risultano piuttosto complesse e lente in quanto le informazioni passano dal giudice brasiliano alle CEJAS, da
queste all’Autorità centrale (CAF) e poi da queste al Paese estero. Un iter inverso viene
applicato per la risposta. Si ritiene pertanto utile individuare delle formule per rendere
le comunicazioni più rapide, prefigurando magari, come suggerito da alcuni procuratori
brasiliani, una comunicazione unica per abbinamento e proseguo dell’adozione da
parte dell’Autorità centrale brasiliana.
Nel caso delle adozioni indipendenti, il contrasto verso questa pratica richiede che il
requisito di decadenza della potestà dei genitori biologici (non il consenso) sia pienamente recepito nelle legislazioni federali e divenga realmente una condizione obbligatoria in tutto lo Stato brasiliano. Tale requisito purtroppo non è stato ripreso nella nuova
legge firmata il 3 agosto 2009.
Riguardo al terzo e ultimo problema aperto, concernente il riconoscimento della
decisione straniera, molti giudici brasiliani sottolineano con forza la preoccupazione di
rendere efficace la sentenza straniera nel Paese d’accoglienza. Questo problema costituisce il terzo pilastro sul quale si fonda la stessa convenzione e pertanto occorre superarlo in fretta. La situazione generale infatti dimostra che sono ancora pochi i Paesi d’accoglienza che riconoscono automaticamente le adozioni realizzate nei Paesi d’origine.
Si sottolinea a tale proposito che la legge brasiliana non prevede nel proprio ordinamento l’affidamento di un bambino a uno straniero e non prevede che un bambino esca dal
territorio brasiliano per concludere l’adozione all’estero. Quindi il non riconoscimento
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
automatico dell’adozione (fatto salvo per i casi di contrarietà all’ordine pubblico), e quindi
il riconoscimento della nuova cittadinanza, rischia di far rimanere il bambino in una situazione di instabilità e debolezza che sicuramente non risponde al suo supremo interesse.
6.2 La seconda area tematica.
Interventi rivolti alla
deistituzionalizzazione
e alle forme di accoglienza
di tipo familiare
(adolescenti e minori prossimi
alla maggiore età):
le esperienze di cooperazione
internazionale
L’obiettivo della riduzione dell’istituzionalizzazione dei minori è sempre più riconosciuto dal popolo brasiliano e fortemente perseguito dagli operatori sociali e della giustizia.
In Brasile vi è un’appassionata attività e impegno degli operatori verso tre grandi
obiettivi: offrire maggiori aiuti e accompagnamento alle famiglie d’origine; implementare la cultura della solidarietà sociale e della disponibilità delle famiglie brasiliane all’accoglienza dei bambini in difficoltà (familia sostituta); migliorare l’offerta educativa dei
centri di accoglienza (abrigo), implementando i progetti di formazione e autonomizzazione dei ragazzi ospiti.
I principi guida che sembrano ispirare queste azioni sono: la centralità del minore
inteso come soggetto portatore di diritti e di futuro; la valorizzazione della famiglia intesa nel suo senso più ampio, sia come famiglia d’origine che come famiglia sostituta; la
riorganizzazione e il consolidamento delle reti di accoglienza e aiuto, sia nel territorio
che negli istituti; infine, il bisogno formativo e di specializzazione degli operatori.
I principali problemi che possiamo considerare ancora aperti sono diversi.
La permanenza negli istituti dei ragazzi subisce spesso una dilatazione dei tempi
ben oltre i due anni previsti dalla recente normativa e spesso tardivamente si decide che
un bambino può essere adottato. Le ragioni di questo ritardo sono legate anche alla difficoltà di coinvolgere le stesse famiglie d’origine nel processo di riabilitazione che li
riguarda, perché scarsamente motivate e spesso diffidenti verso l’operato dei servizi
e/o impermeabili alle proposte di aiuto.
Nei progetti di accoglienza capita che vi sia un’eccessiva circolazione dei ragazzi da
una famiglia all’altra: si tratta della cosiddetta “accoglienza informale”.
Ancora, i tempi per assumere le decisioni sulla condizione e sul futuro dei bambini
sono troppo lunghi, soprattutto per quanto riguarda l’operato degli organi giudiziari.
È scarso il numero di operatori addetti al lavoro sociale e psicologico, mentre appare ancora significativa la disomogeneità e le carenze nella preparazione e formazione
specifica del personale sociosanitario sia nelle istituzioni che nel territorio.
La maggioranza degli istituti non prevede l’elaborazione per ogni ospite del progetto educativo personalizzato. Sono infine scarsi e/o carenti i progetti di aiuto e recupero
rivolti alle famiglie d’origine.
6.3 La terza area tematica.
L’adozione nazionale,
la selezione delle coppie
e il coinvolgimento
delle famiglie per prevenire
le condizioni di abbandono
Esiste in Brasile una campagna di sensibilizzazione all’adozione nazionale e all’accoglienza dei minori abbandonati che tuttavia non dà i risultati attesi. Le famiglie brasiliane disponibili all’adozione devono proporre la propria disponibilità nelle zone territoriali e giurisdizionali di residenza. Esse vengono avviate agli incontri informativi e preparativi, mentre l’équipe tecnica del tribunale dell’infanzia e l’adolescenza procede alla
valutazione della coppia e successivamente, se valutata positivamente, propone al giudice la sua iscrizione negli elenchi del cadastro del tribunale.
Uno degli obiettivi prioritari dell’équipe tecnica è quello di individuare il profilo del
bambino che la coppia potrebbe o vorrebbe adottare.
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Emerge che la maggior parte delle coppie brasiliane che desiderano adottare provengono da esperienze di infertilità. La cultura predominante stigmatizza ancora la
donna e la coppia non in grado di procreare naturalmente e non riconosce l’adozione
come un’esperienza di accoglienza e di filiazione e pertanto vi è la tendenza nelle coppie a nasconderla. Da qui la richiesta di bambini molto piccoli per “mimetizzare” l’adozione stessa.
L’86% delle coppie brasiliane che si propongono per l’adozione vive in case di proprietà, ha una scolarità media-superiore-universitaria e ha un situazione socioeconomica medio-alta. Il profilo dei bambini da loro desiderati è in generale di neonati, di sesso
femminile, con tratti somatici simili a quello della coppia aspirante. Le coppie dichiarate idonee all’adozione vengono rivalutate ogni due anni.
Prima di procedere all’adozione la coppia trascorre un periodo di convivenza di trenta giorni con il bambino, al termine del quale, se viene valutata positivamente dall’équipe tecnica, si procede all’adozione formale.
Vi sono forme di adozione di bambini più grandi (adozione tardiva): in questo caso
le coppie vengono preparate e accompagnate dall’équipe tecnica.
Permangono da parte degli operatori dubbi e dilemmi etici su ciò che deve essere
rivelato alla coppia della storia personale del bambino, anche se in generale si tende a
rivelare ogni informazione conosciuta. Nei casi di bambini adottati con esperienze di
abuso o maltrattamento si invia il bambino a una psicoterapia mentre la coppia viene
seguita con un programma specifico.
Nella cultura brasiliana appare ancora poco diffusa la cultura dell’accoglienza e dell’adozione come diritto del bambino alla famiglia. Esistono poi delle perplessità sull’abbinamento basato esplicitamente sui desiderata degli adulti.
Infine, appare piuttosto scarsa la preparazione delle coppie su alcuni aspetti dell’adozione, quali i reali bisogni dei bambini abbandonati, le loro difficoltà e carenze, ma
anche il riconoscimento delle loro risorse e del loro funzionamento psicologico nei confronti dell’altro e delle sue istanze. Appare invece molto apprezzabile aver previsto nell’ultima legge brasiliana la necessità di preparare le coppie anche dal punto di vista psicologico.
6.4 La quarta area tematica.
Il percorso delle coppie nel
Paese di origine fino
all’abbinamento e al rientro
nel Paese di accoglienza
L’adozione internazionale in Brasile rappresenta la forma più residuale di aiuto
all’infanzia abbandonata, anche se è ancor’oggi una pratica diffusa. Attraverso le adozioni internazionali e, in particolare, le leggi che ne regolamentano le procedure, il
Brasile ha avviato un profondo cambiamento culturale che ha posto il bambino al centro delle azioni di aiuto promosse per il superamento del disagio familiare e dell’istituzionalizzazione dell’infanzia abbandonata.
Si riconosce una notevole prossimità tra il popolo brasiliano e quello italiano che
favorisce le coppie italiane nell’adozione dei bambini brasiliani. Attualmente 16 enti italiani sono stati autorizzati in tutto il territorio brasiliano.
Le coppie abbinate a un bambino vengono accompagnate da un operatore dell’ente
autorizzato e valutate e informate sulle condizioni e le caratteristiche del bambino loro
assegnato dagli operatori dell’équipe tecnica del tribunale brasiliano competente per il
bambino loro assegnato.
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Ogni coppia, dopo l’abbinamento, dovrà sperimentare un periodo di convivenza di
un mese con il bambino in territorio brasiliano. I bambini affidati per il periodo di convivenza vengono ugualmente preparati a questa esperienza.
Durante la convivenza l’équipe tecnica procede a effettuare visite e incontri per
verificare l’andamento stesso della convivenza. Al termine dell’esperienza, se l’esito
è positivo, si prosegue con l’adozione, che è legittimante (perdita di ogni legame
familiare precedente) e viene dichiarata nello Stato brasiliano. La perdita di ogni legame con il passato del bambino, sancita con l’adozione, permette e riconosce successivamente anche il cambio di generalità del bambino, la data e il luogo di nascita
insieme all’acquisizione del nuovo cognome. Il bambino mantiene però la cittadinanza brasiliana.
Una volta in Italia, le coppie dovranno dare corso alla disponibilità già dichiarata di
inviare in Brasile, tramite il proprio ente, relazioni semestrali sull’andamento del postadozione e sulle condizioni del bambino. Lo Stato italiano dovrebbe riconoscere immediatamente la sentenza di adozione emessa in Brasile, mentre allo stato attuale ne
dichiara l’efficacia ma il riconoscimento non è così immediato.
Il governo brasiliano riconosce ancora con difficoltà l’impegno degli enti autorizzati
nei programmi di cooperazione e sussidiarietà.
Appare ancora piuttosto carente e poco praticato in generale il lavoro, pur dichiarato, di preparazione dei bambini all’evento adottivo. Ugualmente, sembra ancora poco
riconosciuta, nella pratica generale, la necessità di prevedere una più approfondita
conoscenza e valutazione della condizione psicoevolutiva dei bambini e il riconoscimento degli eventuali traumi subiti. Questa carenza determina molte delle difficoltà che
si riscontrano oggi, in Italia, tra le adozioni effettuate in Brasile. Considerando poi che
sono spesso le coppie italiane a rendersi più disponibili all’adozione di fratelli e bambini più grandi, si ritiene indispensabile promuovere una maggiore sensibilizzazione e cultura tra gli operatori su questi aspetti.
Da quanto emerso, appare poco definito e seguito l’affiancamento delle coppie straniere durante il periodo di convivenza.
Emerge con forza, infine, tutto il disappunto e la difficoltà dei brasiliani per il mancato riconoscimento della sentenza di adozione brasiliana in Italia, anche se gli aspetti
legati al cambio di generalità appaiono tra quelli che più ne ostacolano il recepimento.
6.5 Conclusioni.
Il miglioramento
della condizione
dell’infanzia in Brasile
Il Brasile è un Paese all’avanguardia nella legislazione in favore dell’infanzia: le leggi
brasiliane prevedono che ai bambini e agli adolescenti siano garantiti tutti i diritti previsti nelle convenzioni internazionali. Tuttavia, l’esistenza di una buona legge non
garantisce di per sé il cambiamento sociale di un Paese dalle dimensioni immense e
dove la miseria e l’emarginazione sociale sono ancora purtroppo un problema enorme.
Occorre pertanto sostenere gli sforzi colossali che questo Paese ha dimostrato, anche
ai nostri occhi, di compiere. Occorre che anche i Paesi d’accoglienza aumentino gli aiuti
e i progetti di cooperazione, dirigendoli dove sono più necessari e sempre in partenariato con le istituzioni locali, per sostenere l’applicazione, più incisiva e concreta, della
stessa legge e contribuire a implementare la partecipazione della società civile in questo processo di rispetto dei diritti dei bambini.
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LO STAGE IN BRASILE
Si ritiene inoltre fortemente auspicabile il superamento delle difficoltà sopra esposte (riconoscimento automatico delle decisioni prese nei Paesi d’origine e maggiore
riconoscimento dell’opera di cooperazione degli enti autorizzati) nei rapporti legislativi
tra il nostro Stato e quello brasiliano, promuovendo tavoli di confronto che possano
migliorare ulteriormente le possibilità di lavoro comune.
I bambini oggi in Brasile hanno acquisito maggiore dignità e godono di una maggiore attenzione e presa di coscienza dei loro diritti. Sono molti gli sforzi e l’impegno profuso dai magistrati, dagli operatori sociali, dai politici per assicurare loro maggiore tutele e garanzie per il loro futuro. In particolare si evidenziano tre direttrici principali di
miglioramento. La prima riguarda la crescente pressione della società civile verso gli
organi politici e amministrativi delle tre sfere governative (municipale, federale e statale) perché si impegnino con maggior forza ad assicurare anche nella pratica ciò che è
stabilito dalla legge, in primis nel contrasto della povertà e nei programmi di sostegno
e aiuto alle famiglie e ai bambini in situazioni di disagio. Questa evoluzione è fra l’altro
testimoniata sia dalla campagna nazionale dell’associazione brasiliana dei magistrati,
denominata Mude um destino (“Cambia un destino”), sui problemi dei ragazzi che vivono nelle strutture di accoglienza, sia dalla realizzazione di banche dati riguardanti lo
stato giuridico dei minori per gli interventi di sostegno più adeguati.
La seconda direttrice concerne la crescente consapevolezza che è necessario e fondamentale che i tre livelli di governo della tutela meglio definiscano le reciproche competenze e implementino gli scambi di collaborazione e integrazione.
Infine, la terza direttrice fa riferimento alla diffusa determinazione di tutti gli attori
della tutela all’infanzia incontrati a non desistere dal perseguire il cammino intrapreso.
La violenza contro i minori provoca […] dolori, distorsioni fisiche, psicologiche e morali in
ognuno di loro, difficilmente recuperabili […]. Noi dobbiamo mobilitarci perché, continuando a
ignorare i problemi dei bambini, stiamo compromettendo il nostro futuro come società. […] Per
questo è necessario che la società realizzi importanti movimenti, aggregando gli sforzi, anche in
forme spontanee, meglio se in collaborazione tra gli Stati, per far emergere la possibilità di trovare soluzioni a questa piaga umana e sociale. […] L’infanzia dovrebbe essere dichiarata patrimonio dell’umanità al di sopra della sovranità degli Stati, perché possa essere protetta e difesa.
Così ha ben sintetizzato Wagner Wilson Ferreira, membro della CEJAS-MG, nella sua
relazione tenuta a Belo Horizonte in una data non casuale: l’11 settembre.
7. Un primus inter
pares fra i taccuini
di viaggio7
Andare oltre, al di là del mare, immaginare lo sconosciuto… Poi si arriva e si cercano
cose che assomigliano alle nostre, si trovano similarità, si pensa che quel mondo così lontano non è poi così diverso dal nostro. Si cade nell’opposto, nel pensare, con una certa
fretta e poca attenzione, che tante cose sono simili alle nostre, che “tutto il mondo è
paese”, ma si esagera nel cercare somiglianze, fermandosi troppo spesso alla superficie.
Ho pensato all’istinto di portarci dietro qualcosa di familiare e al bisogno, di fronte
all’angoscia del non conosciuto, di ritrovarlo a tutti i costi, di costruire collegamenti con
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Paola Salino, psicologa e psicoterapeuta, partecipante allo stage per la Regione Valle d’Aosta.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
situazioni e oggetti a noi noti, di negare istintivamente quello che non conosciamo, che
è strano e straniero per noi.
E così ho pensato a un bambino che attraversa l’oceano con i suoi genitori adottivi
per arrivare in Italia, in un Paese completamente nuovo e sconosciuto per lui; ho pensato alla fatica che incontra nel mettere le sue radici e alla paura che può provare, al
bisogno di riconoscere qualcosa che appartenga al suo Paese di origine e di quanto
molte volte tutto questo sia complicato per lui.
7.1 Un uccellino canta
nella selva dei grattacieli
San Paolo è una giungla d’asfalto e di grattacieli che si stagliano a perdita d’occhio,
senza un ordine preciso, ammucchiati gli uni sopra gli altri, a caso e senza alcun rispetto per la vecchia piccola casetta che probabilmente esisteva prima di loro, un alberello,
un giardino, una chiesa che spuntano a fatica qua e là.
Qualcosa non ti convince, ti lascia amarezza in fondo al cuore, non sono subito chiare le emozioni che evoca.
Ci dicono città piena di contraddizioni: le noti subito girando per le sue strade.
I grattacieli danno idea di sviluppo, potere, ricchezza, affari, ma ai loro piedi gente
disperata dorme, sta sdraiata, impazzisce, non ha più forze per reagire, sta male.
I grattacieli sono simbolo di modernità, ma molti sono già vecchi, sporchi, con i segni
lasciati dall’inquinamento dell’aria, con le persiane rotte.
Ti senti soffocare da tutte queste abitazioni, dalla loro infinita distesa, ti sembra che
abbiano ucciso la natura e quegli alberi, che avranno ben dovuto esistere prima di loro,
ti sembrano essere stati schiacciati e distrutti.
Nell’albergo che mi ha ospitato però sono stata svegliata tutte le mattine dal canto
risoluto e stridente di un uccellino che salutava la luce del giorno. Mi sono detta: ma
allora un pezzetto di natura esiste ancora, c’è ancora speranza, vita.
È questa l’immagine che mi rimane nella mente, e può ben collegarsi all’esperienza
che ho vissuto all’interno dello stage di formazione.
Un uccellino in una selva di grattacieli sembra piccolo e insignificante ma torna ogni
giorno e vive, così i progetti presentati nelle giornate di studio: sono progetti che toccano bambini e adolescenti, ne toccano pochi a fronte di migliaia di situazioni difficili e
degne di essere prese in carico; sono piccoli ma esistono, danno entusiasmo a chi li
porta avanti, spronano a crearne altri, cambiano la cultura brasiliana facendo pensare ai
minori come soggetti con diritti e bisogni.
Questo mi hanno trasmesso gli operatori brasiliani che ho conosciuto: essi sono
capaci di usare le poche risorse a disposizione, entusiasti di lavorare, coscienti che
anche una piccolissima esperienza può servire e fa muovere lo sviluppo del Paese, permette di creare condizioni migliori di vita di famiglie, bambini e adolescenti.
I brasiliani sanno che non devono guardare la situazione generale, che non devono
deprimersi, ma che possono partire da situazioni anche piccolissime e lavorare con entusiasmo. Loro portano l’immagine di un piccolo punto luminoso in un enorme spazio buio.
Quant’è prezioso l’entusiasmo, il loro essere solari, quanto queste caratteristiche possono rappresentare una grande risorsa a favore dello sviluppo di questo enorme Paese.
Quanta amarezza emerge invece se si confrontano i due Paesi, se si pensa alla situazione attuale dell’Italia, confusa e litigiosa, depressa e non capace di muoversi tenendo
presenti le attuali poche risorse a disposizione.
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LO STAGE IN BRASILE
Ma d’altronde, cosa significa progresso? Costruire in verticale senza regole, sviluppare il trasporto aereo e abolire i treni o occuparsi di diritti umani?
Una protezione che sostiene l’istituzionalizzazione non fa crescere, non responsabilizza. Neanche noi troppo protetti, tenuti lontani dai pericoli in maniera eccessiva!
7.2 Bambole, bambine,
bambini di bambine
Siamo in campagna, arriviamo su rosse strade sterrate alla periferia della cittadina
di Sorocaba, alle porte di San Paolo.
In una casetta una signora gentile ci accoglie, poche spiegazioni sulla porta dove un
piccolo cartello segnala Associazione Lua Nova, all’ombra di un gelso. Quando entriamo
possiamo vedere giovani ragazze al lavoro: cuciono bambole di stoffa. Di stanza in stanza vediamo ognuna di loro occuparsi di una parte della composizione della bambola: chi
prepara l’imbottitura, chi cuce i vestiti, chi prepara la lana per i capelli, chi assembla i
vari pezzi. Il risultato è una montagna di stoffe e oggetti variopinti, di varie grandezze
che si confondono con le giovani ragazze che li stanno costruendo, con qualche piccolo
bimbo che gira per la casa.
Ci colpiscono due bambole di “pelle scura” con un bimbo nella pancia che può essere tenuto fuori o rimesso dentro: un gioco?
Qui non sai dove sta il confine tra la realtà e il gioco, tra il cercare di raccontare la
propria storia, appropriarsene e non esserne distrutte. La casa accoglie ragazze minorenni rimaste incinte dopo, il più delle volte, essere state violentate nella casa in cui
vivevano, da quelle stesse persone che avrebbero dovuto proteggerle: hanno bisogno
di essere accolte e aiutate nel sostenere se stesse e i bimbi nati da loro.
È l’età che colpisce di più: in Italia molte di loro giocherebbero ancora con quelle
bambole che qui costruiscono.
La visita all’associazione non finisce qui.
Si prosegue sotto una pioggia fine e fitta su strade accidentate e si arriva alla casa
madre che effettua l’intervento di prima accoglienza.
Piccole stanze, via vai di ragazze con in braccio neonati… si avvicendano, si occupano dei loro bambini, ci lasciano vedere le loro stanze. Una è appena tornata dal
pediatra, il suo bimbo ha la rosolia, un’altra appare in crisi, è accompagnata da uno
psicologo…
Mi sembra di scorgere, posato con cura su un lettino, un bambolotto; lo stupore è
tanto quando capisco che è un bel bambino di solo un mese. Tutto si confonde di nuovo:
bambole, bambini, figli, madri-bambine che sembrano giocare, ma che imparano a essere madri. Il pensiero va ai propri figli in Italia…
Il dolore delle loro storie difficili emerge soltanto a tratti dai racconti delle educatrici, da alcune foto che vediamo appese ai muri e che ritraggono le ragazze incinte.
Una mi rimane in mente: è una giovane incinta con un viso che sembra quello di un
uomo tranne che per due profondi occhi scuri femminili; mi raccontano che in molte
situazioni assumere caratteristiche maschili permette alle ragazze di distanziarsi dalla
violenza subita, di lasciare per un periodo la fragilità del sesso di appartenenza.
La nostra visita non è ancora finita, ci fanno osservare in mezzo agli alberi e alla campagna schiere di casette di mattoni. Alcune ragazze una volta maggiorenni hanno la possibilità di restare, di ottenere un pezzetto di terra e di costruirsi una casa aiutate dalle
donne della comunità, sono loro stesse che compattano i mattoni e che tirano su i muri.
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IL RESOCONTO DELLO STAGE IN ALCUNI DIARI-AGENDA E TACCUINI DI VIAGGIO
Ci troviamo così di fronte a una ragazza che in mezzo alla polvere mischia cemento e
argilla per il composto.
La signora che ci accompagna chiede loro di farci visitare una casa: tutte si vergognano, dicono che sono in disordine, solo un ragazzino più coraggioso accetta e ci fa entrare
nella sua. Dentro c’è l’indispensabile, non esiste il superfluo: un fornello, il lavandino, i
letti, un armadio, il bagno, ma sono case, e proteggono le mamme e i loro bambini, e poi
sono state loro a costruirle… come a riuscire a imparare a sostenersi, a proteggersi, a poter
continuare a vivere con un po’ di speranza, come dicono in Brasile acolhendo vidas.
Una nota a margine: tutto questo è un progetto creato da una signora che decide un
giorno di occuparsi di ragazze adolescenti e dei loro bambini, non ha ancora figli propri,
li vorrebbe, ma non sono ancora nati. Non è un operatore, è una cittadina brasiliana che
dopo aver vissuto in Italia ritorna nel suo Paese di origine, cerca soldi, donazioni… Inizia
così, con un industriale italiano che le dà denaro per comprare un terreno, e poi, piano
piano, altre donazioni, altre idee, interventi e consulenze da parte di tecnici, qualcuno
che vuole aiutare e che collabora con lei. Tutto accompagnato dalla vitalità, dall’entusiasmo del voler fare qualcosa per il proprio Paese, per aiutare.
7.3 Conquistadores
o conquistati?
Alcune estati fa sono stata in vacanza in Portogallo e visitando Lisbona e alcuni centri della costa atlantica sono stata colpita da quanto si poteva percepire che al di là dell’oceano c’era il Brasile e quanto la sua presenza si era mischiata alla cultura portoghese. Te ne accorgevi dalle persone, dalle chiese, dalle opere d’arte, dai giornali, dal cibo.
Avere l’occasione di andare in Brasile (tra l’altro facendo proprio scalo a Lisbona) è stato
come concludere un viaggio lasciato in sospeso tempo fa.
La mia mente è andata a Cristoforo Colombo, ai conquistadores che partivano con
sete d’avventura, affascinati dai possibili tesori da trovare. Si sentivano i migliori, i più
potenti, i più capaci, quelli che combattevano in nome dei regnanti e della Chiesa, che
portavano la cultura e la civiltà a popoli primitivi e selvaggi; prendevano terre, oro e pietre preziose come fossero appartenuti a loro, imponevano la loro religione e cultura ritenendole le migliori. Così però schiacciavano gli indios e la loro cultura cancellandoli
quasi completamente; portavano poi dall’Africa gli schiavi imbastardendo il popolo brasiliano, confondendone le origini, mischiandosi loro stessi con altri popoli conquistatori. In anni recenti arrivavano poi forti ondate di popoli emigranti, come gli italiani, costituendo un popolo davvero composito.
«Non si sa mai di che colore è un neonato che nasce» ci dicevano.
Cosa rimane di una tale storia nel popolo brasiliano? Forse un’idea inadeguata di sé,
un’invidia e un’ammirazione, come ci hanno detto, per popoli come gli italiani che potevano contare su un passato definito, costruito dai latini, da un popolo orgoglioso e fiero
in grado di conquistare terre e imperi, di mettere basi solide e durature.
Ma gli indios, ci dicono, badavano ai loro bambini che erano protetti dalla tribù. Poi
per anni i minori hanno affollato le strade e per questi l’unica soluzione è stata l’istituzionalizzazione. Solo da poco tempo sembra che lo Stato e le sue leggi inizino a pensare a loro, a proteggerli, a seguirne la crescita.
Che eredità ha lasciato questa storia? Forse la capacità di sopravvivere in condizioni
anche molto complesse e difficili, di non lasciarsi andare alla depressione e alla dispe-
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LO STAGE IN BRASILE
razione, di avere l’entusiasmo di utilizzare le poche risorse, di non spaventarsi e di saper
andare avanti in nome dello sviluppo.
Io avrei voluto portare con me un po’ dell’entusiasmo, della capacità di lavorare e di
vivere in condizioni difficili e avrei voluto regalarlo agli italiani in questo difficile momento storico.
Avrei voluto regalare ancora all’azienda sanitaria dove lavoro, nella più piccola
regione d’Italia, la capacità di saper apprezzare la qualità dei piccoli lavori, dei progetti che toccano gruppi minoritari e di limitare la corsa verso prestazioni numerose ma
scadenti.
Pensando ai vecchi conquistadores forse la situazione un po’ si capovolge: in questo
caso siamo noi a dover imparare dai brasiliani, sono loro che ci conquistano.
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Viaggio dentro l’immaginario del percorso
adottivo: una prospettiva antropologica
dell’esperienza formativa italo-brasiliana
Vanessa Carocci
Antropologa, tutor per il progetto formativo in Brasile
Valentina Ortino
Antropologa, tutor per il progetto formativo in Brasile
Tenteremo qui di rielaborare le testimonianze degli operatori italiani in
viaggio in Brasile e trarre qualche considerazione integrata, ovvero non solo
riguardo l’oggetto del nostro viaggio, l’adozione internazionale, ma, esaminando le modalità dell’esperienza, il viaggio nel viaggio degli stessi operatori. La nostra prospettiva insomma è di tipo antropologico: recuperare
quelle informazioni scaturite nel viaggio che tornano “incorporate” all’operatore e su cui ci è parso importante fare il punto. Quello che emerge da
questa esperienza, e che svilupperemo in seguito, è che gli operatori hanno
messo in campo un approccio quasi antropologico in questa ricerca del percorso adottivo in Brasile, tornando con un bagaglio ben più ampio di quello
immaginato.
Occorre sin dall’inizio fare un chiarimento: spesso quando si parla di ricerca
antropologica viene in mente lo studio di popolazioni in via di estinzione, e l’antropologo lo si accomuna a un «viaggiatore di terre lontane ricercatore di una
cultura quasi congelata in un tempo altro». Questo è l’ambito entro il quale è
nata l’antropologia, oramai travalicato dall’attuale ricerca antropologica.
L’oggetto attuale della ricerca antropologica infatti è lo studio delle relazioni
sociali che prendono forma in contesti più o meno complessi e che sono in continuo mutamento. Lo studio della contingenza e della struttura, dentro le quali
sia l’osservato che l’osservatore si trovano, è al centro degli interessi degli
antropologi e questa prospettiva è quella che ci ha accompagnato nel viaggio
e in questo resoconto finale, permettendoci di vivere e di rivedere tutta l’esperienza con una lente bifocale: «con un piede dentro e l’altro fuori, l’antropologo intreccia la propria esistenza con quella degli individui, finendo per essere
continuamente sottoposto a tensioni tra la necessità di familiarizzare con una
cultura nuova e quella di conservare il suo sguardo da lontano»1. Il lavoro degli
operatori, vedremo più avanti, ha percorso simili dinamiche.
1
Augé, M., Il mestiere dell’antropologo, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, p. 48.
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LO STAGE IN BRASILE
La stessa idea, infatti, che ha sotteso il progetto di formazione e di scambio tra l’Italia e il Brasile ha proprio il viaggio al suo centro, quello degli assistenti sociali, psicologi, formatori, giudici e noi tutor che abbiamo lasciato per
otto giorni la nostra cultura fatta delle nostre relazioni sociali, per ricreare
relazioni nel nuovo gruppo e per scoprire il Brasile, ovvero le relazioni simbolizzate e istituite tra individui, nel territorio e nella cultura.
Il viaggio ha avuto come scopo, quindi, non solo capire meglio l’iter adottivo e i suoi protagonisti, ma anche acquisire i mezzi per incontrare il bambino brasiliano adottabile (l’individuo/minore) e attraversare con lui simbolicamente e letteralmente il percorso dell’adozione internazionale per vederlo
emigrare e reinventare nella e con la nostra cultura.
In questa reinvenzione sono proprio gli operatori italiani a contatto con il
minore adottato che giocano un ruolo chiave. Per loro essere entrati in questo
nuovo mondo culturale, simbolico e contingente, è stato acquisire l’immaginario fondamento dell’individuo minorenne, vedere non soltanto i luoghi della
sua identità e scoprire i tempi dei suoi percorsi, ma anche poter fare esperienza di quelle relazioni che lo hanno formato nei primi anni, e forse conoscere parte dei suoi dubbi e perplessità.
Questa esperienza sarà fondamentale nella reinvenzione che il minore
deve affrontare assieme agli operatori e ai nuovi genitori, nella consapevolezza che in questo processo si assapora la tensione, così nota agli antropologi,
tra struttura e contingenza, senso e libertà, l’insieme quindi delle relazioni
pensabili e lo spazio concesso all’iniziativa individuale; insomma pur riconoscendo la reinvenzione come un processo individuale, è possibile e utile attingere a un immaginario comune in parte ripercorribile. E questo abbiamo fatto
noi come tutor: abbiamo osservato che anche gli operatori sono diventati
ricercatori antropologici, sospendendo la propria referenza culturale e diventando informatori diretti di tutta una categoria attraverso il loro viaggio nell’immaginario adottivo della realtà brasiliana.
1. Metodologia
A livello metodologico il ruolo di tutor ci ha permesso di prendere parte al
progetto formativo da un osservatorio molto ampio che nei fatti si è tradotto
in un’osservazione diretta e partecipante dell’esperienza, come nello scambio
formale e spesso informale con l’intero gruppo durante il viaggio.
A supporto concreto di queste prime osservazioni, sono stati utilizzati gli
scritti elaborati dai partecipanti, ovvero il diario-agenda e il taccuino di viaggio, consegnati agli operatori prima della partenza con l’indicazione di utilizzarli nel corso del viaggio. Il diario-agenda è stato inteso come uno «spazio di annotazione giornaliera che può essere orientato da alcune domande
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
chiave che funzionano come start conversazionali [...]. Tali domande, relative ai diversi temi delle giornate e connesse agli obiettivi prefissati e alle
competenze da acquisire, consentiranno di completare la strutturazione
dello strumento diario-agenda». Il taccuino di viaggio ha rappresentato
invece un supporto più informale, ovvero «funziona come una sorta di contenitore emotivo ed esperienziale dei propri vissuti». È stato interessante
vedere che questi strumenti sono stati spesso ripersonalizzati dagli operatori. Di grande interesse sono stati quei resoconti che hanno miscelato taccuino e agenda: alcuni operatori hanno sentito il bisogno di evitare la scissione tra la sfera personale e quella collegata alle questioni adottive, consegnando informazioni su questioni chiave riguardanti l’adozione accompagnate da e integrate con riflessioni personali emotive ed esperenziali. Ci è
parso di rilievo insomma come in alcuni casi ci sia stata la necessità di non
separare i due e di parlare invece di formazione professionale ed emotiva
come unico immaginario.
Inoltre, molti hanno optato per una scrittura non immediata ma posticipata dopo il viaggio, «per riordinare i pensieri e fare un po’ di chiarezza», precisa un operatore.
All’interno del vissuto esperienziale che ci ha coinvolte abbiamo ritenuto
interessante prendere in esame un’ulteriore attività di scambio di conoscenze
e di esperienze, ovvero i momenti informali non previsti nell’agenda del programma che, forse proprio in quanto estemporanei rispetto a un contesto predefinito, si sono rivelati spazi di attenzione e di confronto altrettanto stimolanti, caratterizzati da un senso di libertà di più ampio respiro. Ricorreremo
quindi, in questa nostra disamina, anche a questi momenti di confronto vissuti sia all’interno del gruppo italiano sia tra operatori italiani e brasiliani in
situazioni al di fuori degli spazi dedicati (durante le pause riservate ai pranzi,
alle cene o anche durante gli spostamenti).
Infine, vorremmo precisare che le citazioni tra virgolette che seguiranno, se
non indicate in modo diverso, fanno riferimento proprio ai testi redatti dagli
operatori italiani che, in questa occasione, ringraziamo per la qualità del loro
coinvolgimento, umano e professionale.
2. Il viaggio dentro
l’immaginario
del percorso adottivo
È opportuno cominciare proprio con la parola immaginario, che rimanda,
come hanno fatto alcuni operatori, a una sintesi di concetti ed emozioni che
permettono non solo di formare un individuo ma di incontrarne un altro.
Come scrive l’antropologa Donna Haraway, il sé che conosce si mostra sempre parziale, mai finito, è semplicemente «costruito e cucito in modo imperfetto», ma per questo capace di unirsi con un altro, di poter vedere quindi in
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LO STAGE IN BRASILE
modo congiunto senza asserire di essere un altro2. È questa parzialità che
lascia spazio all’immaginazione, che, come descritta dal filosofo Mark
Johnson, non è una qualità per percepire il mondo secondaria perché soggettiva, ma è l’unica via per affermare oggettivamente una verità, ovvero incorporata e capace di creare le basi per incontrare il molteplice e il diverso3.
L’immaginazione insomma è il campo sempre aperto, quindi “imperfetto”,
come dice Haraway, che cuce continuamente insieme, unisce, ciò che incontra,
evitando così di chiudersi in confini rassicuranti e perfettamente autoritari.
Gli psicologi, gli assistenti sociali e i giudici sanno bene che ogni volta avranno davanti un caso pieno di ripetizioni, di rinvii a una situazione che considereranno tipica. Tali elementi di riferimento permettono di indirizzare l’azione
verso scelte già vissute e di successo o in direzione opposta per sfuggire a un
percorso di fallimento di casi precedenti.
Il giudice sa di avere norme per la tutela del minore come punto di riferimento. Ciò nonostante è risaputo come il quadro normativo italiano in materia
di tutela dell’infanzia preveda un ampio ventaglio di possibilità nella sua interpretazione. Allo stesso modo, lo psicologo e l’assistente sociale hanno una
mappa di esperienze scientifiche studiate e vissute in prima persona a cui rifarsi, ma questi operatori sanno anche che dovranno applicare la loro “forma”
sempre a una “contingenza” (per tornare alla primordiale tensione di ogni studio antropologico: forma/contingenza, senso/libertà), a un corpo particolare,
unico e informato di senso, come quello di ogni minore che incontreranno nel
loro percorso professionale. Insomma, il loro interpretare e immaginare soluzioni sono componenti fondamentali del lavoro, ovvero «individuare risposte
non più standardizzate all’infanzia abbandonata, ma individualizzate e soprattutto calate sui bisogni del singolo bambino», conferma un’assistente sociale.
La riuscita di un caso consisterà quindi nel capire questo corpo pieno di
senso, attraverso le documentazioni necessarie e la propria formazione professionale, che però non può scindersi da quella immaginazione che permette loro di legittimarlo veramente in una forma chiamata “giusta”.
Ecco che molti operatori parlano dell’esperienza in Brasile come di un viaggio nel proprio immaginario, “andare oltre, al di là del mare, immaginare lo sconosciuto”, e attraversano a ritroso il percorso della famiglia adottiva («un’idea
è chiara dentro di me ed è cogliere e sperimentare l’esperienza della coppia
2 Haraway, D., Situated knowledges: the science question in feminism and the privilege of partial
perspective, in Science studies reader, New York, Routledge, 1999, p. 179 (traduzione nostra).
3 Johnson, M., The body in the mind: the bodily basis of meaning, imagination and reason,
Chicago, University of Chicago Press, 1987.
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
adottiva: partono coniugi e tornano famiglia!» scrive una psicologa), vivono il
percorso dei bambini adottati («il mio viaggio sarà mentalmente caratterizzato
dal progettare un ipotetico viaggio di ritorno per i tanti bambini arrivati in
Veneto negli anni ’90»; «quando ascoltavo i ragazzi brasiliani adottati che raccontavano della loro vita in Brasile, cercavo di immaginare questo mondo ma
viverlo è altro!»; «è così che ho pensato a un bambino che attraversa l’oceano
per arrivare in Italia con i suoi genitori adottivi in un Paese completamente
nuovo e sconosciuto per lui e ho pensato alla fatica che incontra nel mettere le
sue radici e alla paura che può provare»), percorrono persino il viaggio nell’immaginario dei genitori biologici («Durante il viaggio il fluire delle emozioni ha
richiesto una rivisitazione delle conoscenze e dei vissuti che ha creato un ponte
tra il prima e il dopo l’adozione, si sono alternati processi di identificazione con
i genitori biologici che si trovano loro malgrado a dover abbandonare i propri
figli per mancanza di aiuti»). Molti di questi operatori sanno che questo viaggio
nell’immaginario è importante perché vissuto: «le esperienze vissute potranno
dare un senso alle cose, e affrontare con uno spirito diverso il lavoro di accompagnamento delle coppie verso l’adozione e ancor più nel periodo postadottivo». Tra queste esperienze, essenziali sono stati anche i momenti dedicati a
respirare il Paese, osservarne semplicemente la composizione e la natura, camminare per le strade della città, mischiarsi alla gente e cominciare a contemplare la sua vastità ed eterogeneità, notare le differenze tra Stato e Stato, tra i
cittadini paolisti, bahiani e di Minas, tra la planetaria San Paolo e, nelle parole
degli operatori italiani, la “più facile, più umana” Bahia o la “più calorosa e
ospitale” Belo Horizonte, innescando paragoni con l’Italia («qualcuno – scrive
uno psicologo – ha paragonato San Paolo a Milano e Salvador a Napoli e forse
l’allusione pare centrata»), creando quindi ponti tra le due culture e arricchendo di componenti essenziali questo viaggio dentro l’immaginario.
Ma l’esperienza non si ferma qua: sempre in questo lavoro di immaginazione, quasi tutti si sono confrontati con il lavoro dei colleghi brasiliani, con il loro
entusiasmo e le loro condizioni di lavoro; c’è chi si è chiesto cosa avremmo potuto ottenere noi con la stessa organizzazione dei servizi, la stessa grandezza del
Paese, gli stessi numeri di bambini e di coppie da incontrare al mese, le stesse
risorse assegnate; «a noi conviene battere in ritirata con le nostre lamentele!»,
conclude una psicologa confrontandosi con la realtà brasiliana. Molti altri sono
gli operatori che hanno mostrato meraviglia e ammirazione per l’entusiasmo dei
loro colleghi brasiliani, un entusiasmo che per certi aspetti avevano dimenticato e che, in questo incontro, è riemerso («Io avrei voluto portare con me un po’
dell’entusiasmo, della capacità di lavorare e di vivere in condizioni difficili e avrei
voluto regalarlo agli italiani in questo difficile momento storico»).
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LO STAGE IN BRASILE
Molto di tutto ciò che veniva vissuto è stato poi condiviso in modo anche
informale con i colleghi, per «pensare insieme e raccogliere emozioni che era
troppo doloroso tenere per sé», scrive una psicologa. In effetti i momenti di
confronto, che sono stati precedentemente definiti informali, hanno caratterizzato molto i rapporti e le dinamiche interne al gruppo, soprattutto una volta
che ci si conosceva meglio e da più giorni; tali considerazioni si sono fatte più
manifeste durante la seconda parte del viaggio, una volta divisi in due gruppi.
L’opportunità di condividere esperienze così forti e di tale importanza personale e professionale ha permesso che si generasse un sentimento di coesione
affinché tutto andasse bene, superando le difficoltà classiche che si incontrano durante un viaggio. Gli imprevisti (che poi puntualmente accadono) hanno
innescato un sentimento di unione dei singoli, rivolto a un unico obiettivo
comune, quello di perseguire la conoscenza attraverso il vivere appieno questa esperienza. Anche se già vissuta in altri contesti, trovarsi di fronte a bambini in difficoltà, parlare e trascorrere tempo con loro, genera reazioni differenti tra le persone, creando tensioni che al momento sembrano insuperabili.
Ragionando su tali eventi abbiamo notato che la voglia di esserci e di vivere in
modo completo il contingente ha avviato delle dinamiche che definiremmo di
“contenimento” delle incomprensioni, attuando in modo sintonico comportamenti solidali, atti a prevenire ed equilibrare possibili umane divergenze.
Tutto ciò può sembrare irrilevante, ma a noi è parso che il viaggio in Brasile
mancherebbe di una componente importante se eguagliassimo l’operatore italiano in viaggio a quell’antropologo di una volta, «viaggiatore di terre lontane
ricercatore di una cultura quasi congelata in un tempo altro». Vorremmo sottolineare, invece, come questo viaggiare abbia implicato vivere un’esperienza di
gruppo, ripercorrere individualmente e con il nuovo gruppo formatosi un immaginario personale, culturale e professionale attuale e sempre in rielaborazione;
un viaggiare che nel migliore dei casi ha creato anche dubbi e non sole certezze, perché confrontato con un mondo complesso e in continuo mutamento, un
mondo che si è riflesso poi nella scrittura degli operatori spesso frammentata,
sospesa, quasi incompleta, con frasi che assomigliavano a uno schizzo su una
tela incompiuta, imperfetta. In fondo è possibile considerare l’esperienza efficace anche solo per aver scosso gli attaccamenti e suscitato il dubbio.
3. Nuove considerazioni
sull’iter adottivo
brasiliano
In questo approccio multidimensionale all’informazione Brasile ci sono state
questioni che hanno toccato quasi tutti gli operatori e che vorremmo affrontare
qui di seguito.
Uno degli aspetti riguarda il periodo di permanenza della coppia in Brasile.
Proprio l’esperienza vissuta induce un’operatrice a «riflettere sul tema della
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UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
reciprocità dell’accoglienza che caratterizza l’adozione e a sottolineare l’importanza [...] di permanere per un periodo congruo nel Paese di origine dei
minori per comprendere a fondo la realtà del Paese in cui si va ad adottare,
conoscere alcune nozioni della lingua e le abitudini dei bambini, così come è
necessario che il bambino sia preparato al miglior incontro possibile con la
famiglia e che possa conoscere il Paese da cui proviene». Questo tipo di analisi, che portava all’esortazione della “creazione di un ponte”, conduce alla
genesi di un percorso inteso non più come digitalizzato tra un periodo ante
adozione e l’ingresso in Italia, ma come un continuum dove è importante
conoscere e dare dignità a ogni singolo momento vissuto e che permette di
vedere con uno sguardo obiettivo anche la normativa che regola l’adozione
internazionale in Brasile. Aspetti fino a oggi considerati come facenti parte di
una prassi quasi inutile e a volte anche intralciante, ora, alla luce della nuova
esperienza, assumono significati diversi e, se possibile, “più giusti”; in particolare l’articolo della normativa brasiliana che prevede un periodo di convivenza almeno 30 giorni4 tra la coppia aspirante all’adozione e il bambino trova
ora una ragione d’essere profonda. Tale consapevolezza ha consentito e consentirà agli operatori di meglio spiegare la scelta del legislatore agli aspiranti
all’adozione, i quali, il più delle volte, avvertono la durata del soggiorno nel
Paese di origine quale elemento di vessazione considerandolo troppo lungo,
sicuramente per difficoltà legate al costo della permanenza, ma spesso anche
per un senso di spaesamento che la permanenza in un altro Paese provoca.
Questo spaesamento, con la preparazione e l’accompagnamento adeguati,
potrebbe invece essere un momento decisivo per l’incontro con il bambino,
ovvero un momento di apertura fuori da una costruzione idealizzata del minore, più facile da completare nel proprio habitat di origine, in questo caso
l’Italia e casa propria, piuttosto che dentro il contesto in cui il minore si trova
e ha vissuto, cioè la sua realtà.
Un’altra assistente sociale riporta con interesse quello che ha appreso
dagli operatori dei tribunali dell’infanzia e della gioventù brasiliani, ovvero
come «spesso le coppie provenienti dall’Italia abbiano difficoltà nella gestione del bambino durante i 30 giorni di permanenza nel Paese. In particolare ciò
che viene sottolineato riguarda le caratteristiche del bambino brasiliano particolarmente vivace e tendente all’autonomia, aspetti che a volte non coincidono con le aspettative delle coppie italiane molto protettive» e – aggiungia-
4
Legge 12.010/2009, art. 46, co. 3: «In caso di adozione da parte di persona o coppia residente
o domiciliata fuori del Paese, la fase di convivenza, da svolgersi sul territorio nazionale, sarà di almeno 30 (trenta) giorni».
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LO STAGE IN BRASILE
mo noi – che arrivano nel Paese con il loro bambino immaginato. Ecco che,
prosegue l’assistente sociale, «l’incontro tra coppia e bambino è l’incontro di
aspettative diverse che devono collocarsi in una realtà che comprende difetti,
difficoltà, disorientamento, e che per questo è un momento delicato e va
seguito […]». Una psicologa conclude sottolineando che il contributo decisivo
per migliorare il futuro dei bambini è proprio quello di «valutare accuratamente le coppie nella consapevolezza che non adotteranno un esserino informe da modellare ma un bambino grande con il suo bagaglio di esperienze,
abbandoni e delusioni».
Insomma, da una parte la preparazione all’incontro di coppie e minore
appare sempre più determinante, ma quello che emerge sono anche gli elementi di difficoltà e disorientamento che non sono da considerare come trappole di una situazione o debolezze dei protagonisti ma come il passaggio inevitabile di ogni incontro al di là dei genitori ideali e del figlio immaginato, nella
realtà di una nuova famiglia creata. La permanenza quindi, preparata e sostenuta, è percepita in tutti i suoi aspetti e valenze costruttive, soprattutto in Brasile dove molti dei bambini adottati hanno un’identità ben sviluppata perché
già grandi.
Ulteriori elementi di riflessione trovano spazio nei rapporti tra i vari soggetti coinvolti nella cura e nella tutela dell’infanzia in difficoltà, in particolare
come i giudici e gli operatori sociali brasiliani si considerano l’uno con l’altro,
notando in questo notevoli differenze tra i due Paesi. Un operatore sociale italiano scrive: «si percepisce, da parte dei giudici (impressione che rafforzerò
molto anche nella visita del Tribunale di Sorocaba), un’alta considerazione dei
servizi. Sicuramente superiore rispetto alla nostra». Questo sembra all’operatore ancora più interessante data la netta differenza con il sistema organizzativo italiano, dove l’organizzazione dei servizi non è legata agli organi giudiziari come in Brasile, ma alle municipalità, sistema che – secondo lui – permette al Brasile di un funzionamento più omogeneo.
Le differenze diventano elementi distintivi che portano subito al paragone
tra i due sistemi, quello italiano e quello brasiliano; non stupisce quindi che
un giudice italiano noti il rapporto intimo tra il giudice brasiliano e i minori. In
una visita presso un istituto «è significativo – scrive – il fatto che il giudice ha
un rapporto quasi di affettuosità con molti adolescenti presenti nella struttura, che gli chiedono continuamente notizie sullo stato del loro procedimento.
Ciò dimostra la rilevanza che sta assumendo anche in Brasile l’ascolto del
minore nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, al punto che lo stesso
giudice, rispondendo a una nostra domanda, ha confessato che il suo maggior
rammarico è non avere tempo maggiore da dedicare all’ascolto di ciascun
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
minore sottoposto alla sua giurisdizione5». Una psicologa va oltre, raccontando la sua sorpresa nel vedere «giudici brasiliani che siedono per terra e accolgono tra le braccia i piccoli», e un altro operatore italiano, sempre riferendosi
ai giudici brasiliani, definisce “modo tutto brasiliano” quello di «interpretare
le proprie funzioni anche attraverso l’espressività delle proprie emozioni».
Potremmo riflettere a lungo sulle differenze sostanziali tra i ruoli dei giudici italiani e quelli brasiliani, che portano a instaurare un rapporto diverso tra
gli operatori sociali e i minori. Infatti, i giudici brasiliani, per mancanza di un
solido e prolifico supporto sociale, si ritrovano spesso nella solitudine di scelte difficili a diretto contatto con il bambino, oberati dalla moltitudine di casi e
senza vere risorse per approfondire e risolvere in tempi rapidi la situazione del
bambino.
Ci è parso interessante che questo elemento sia stato notato sia dagli operatori sociali che dai giudici italiani come elemento di differenza che potrebbe
aprire a riflessioni su nuovi modi di instaurare le relazioni tra i vari soggetti italiani coinvolti nel percorso adottivo, per offrire soluzioni più efficaci nel superiore interesse del minore.
Altro aspetto affrontato da tutti gli operatori italiani nei loro scritti è l’adolescenza istituzionalizzata, perché l’adolescente abbandonato riassume in sé
forse il nodo centrale di tutta l’adozione brasiliana. Scrive un’operatrice:
«Ecco l’ultima chance. Questo è l’adozione internazionale in Brasile, si prende
in considerazione dopo aver provato tutto. Quello che mi preoccupa come psicologa è quel “tutto”, dietro al quale ci sono esperienze di speranza, accoglienza, conoscenza, ricerca d’amore, conflitto, paura, rifiuto, separazione,
delusione». Questa frase riassume molte delle considerazioni riscontrate nei
contributi degli altri operatori: quello che è stato percepito fortemente dalla
delegazione italiana è che il Brasile, nel pieno rispetto dei principi sanciti dalla
Convenzione de L’Aja, promuove politiche di sostegno quali l’affido e l’adozione nazionale prima di ricorrere a quella internazionale. Ora questo, per vari
motivi, potrebbe portare a conseguenze pesanti per il minore, dove il “tutto”
accennato dalla psicologa è spesso riassunto in una lunga istituzionalizzazione o in ulteriori situazioni sfortunate.
5 Considerazioni espresse al di là di quanto previsto nella normativa, che si riporta per conoscenza. La L. 12.010/2009, art. 28., co. 1, afferma che, ogni qualvolta sia possibile, il minore sarà previamente ascoltato da un’équipe inter-professionale, nel rispetto del suo grado di sviluppo e del
livello di comprensione delle implicazioni della misura, e la sua opinione dovrà essere debitamente
considerata; al co. 2 si afferma che trattandosi di un minore di più di 12 anni d’età sarà necessario il
suo consenso, raccolto in udienza. 109
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LO STAGE IN BRASILE
A emergere dagli scritti è che se da una parte c’è preoccupazione per gli
adolescenti con questo vissuto drammatico alle spalle, nota un giudice, un
vissuto che li seguirà nella loro vita in Italia, e quindi se si sono innescate tutte
le ovvie preoccupazioni di preparazione della coppia e del giovane adulto per
l’adozione, dall’altra gli operatori italiani hanno visto l’intenzione decisa del
Paese a “essere una madre gentile” per i propri figli, come dice l’inno brasiliano, e a cercare soluzioni nazionali prima di lasciarli partire. Insomma, hanno
visto il rispetto del tanto citato “principio di sussidiarietà”, che vede lo strumento dell’adozione internazionale come sussidiario, cioè secondario, rispetto ad altre scelte di vita per un minore.
Scegliamo di non affrontare le titubanze sulle conseguenze concrete che
l’applicazione di un tale principio può comportare (ovvero la possibilità di prolungata permanenza in istituto) e le svariate proposte degli operatori italiani a
tale riguardo, in quanto esulano dall’approccio di questo contributo.
Appare utile sottolineare, in particolare, quello che traspare dai commenti
degli operatori durante l’esperienza Brasile: ciò che forse appariva dall’Italia
solo come un problema da risolvere viene appreso dagli operatori nel luogo di
origine dei ragazzi in tutti i suoi aspetti. Gli operatori entrano in contatto con
l’appassionato e ostinato desiderio di rispetto del principio di sussidiarietà da
parte del Brasile per i suoi figli. Il costante innalzamento dell’età media dei bambini brasiliani adottati in Italia, che nel 2010 è di quasi 8 anni6 , appare, scrive
uno psicologo, «diretta conseguenza, da parte delle autorità brasiliane, dell’opzione adottiva in ambito internazionale, come extrema ratio rispetto ad altre
opzioni, progetti, diverse modalità adottive nazionali, implicanti anche l’adozione formale di un minore da parte di un single in ottemperanza a un principio di
sussidiarietà interna».
Un giudice italiano nota che «i brasiliani hanno ormai elaborato nelle loro
coscienze il carattere sussidiario e residuale dell’adozione internazionale, la
quale viene vista come un rimedio doloroso, eppure indispensabile, per aiutare a diminuire gli effetti devastanti dell’infanzia abbandonata»; un altro giudice arriva a dire: «credo che anche noi saremmo molto scontenti se i nostri bambini lasciassero l’Italia per essere adottati all’estero, soprattutto se si sta facendo il possibile per migliorarne la condizione nella loro terra».
Questa consapevolezza è stata poi accompagnata da impressioni sulle
altre “opzioni, progetti e diverse modalità adottive nazionali” menzionate precedentemente dall’operatore italiano. Ad esempio diverse reazioni ha suscita-
6 Commissione per le adozioni internazionali, Dati e prospettive nelle adozioni internazionali.
Rapporto sui fascicoli dal 1° gennaio al 31 dicembre 2010, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2011.
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
to il programma di apadrinamiento, ovvero quel programma alternativo che
mira a fornire «punti di riferimento affettivi tramite le figure dei padrini, famiglie o singoli che assumono un carico di responsabilità nei confronti del minore [...]: i piccoli non andranno a vivere a casa dei padrini, ma saranno stabilmente loro ospiti durante le feste o anche le vacanze». Alcuni ne hanno visto
i lati positivi, cioè «la possibilità di sperimentare legami durevoli e di beneficiare almeno parzialmente dell’esperienza di vivere in famiglia», altri mostrano perplessità («questa forma di accoglienza – scrive un operatore –, lontana
dalle nostre esperienze, espone il minore al rischio di ingenerare aspettative
che se deluse potrebbero avere effetti devastanti sulla sua psiche»).
La conoscenza, o meglio, la consapevolezza della poca conoscenza dell’infinito Brasile ha lasciato spazio a emozioni intime e condivise, le visite agli abrigos hanno scatenato sentimenti controversi e forti che hanno indotto in modo
trasversale gli operatori italiani a riflettere su quello che veramente può essere
il miglior progetto di vita possibile. Una psicologa ha scritto: «Traggo personalmente insegnamento e suggerimenti utili sia dal progetto di apadrinamiento,
sia dai progetti per adolescenti, del tutto riproponibili nella mia terra».
Interessante quindi è confrontarsi con la realtà di un Paese e la sua storia
di affidamento come modo per trovare assieme la strada migliore per ogni
bambino e per ogni Paese, ma anche per riflettere sul proprio contesto di origine e pensare forse nuove soluzioni. La resistenza di alcuni operatori pare
evidente: questi programmi infrangono certi parametri fissi di riferimento.
Appare però utile tornare all’esigenza di apertura che invoca qualsiasi immaginazione. Confrontarsi con il modo con cui il Brasile come governo e società
civile stia trovando la strada “giusta” per legalizzare la vita del minore ci ricorda come l’infanzia non sia una ma molteplice. Le strade quindi sono diverse e
la contingenza gioca un ruolo essenziale nel fare leggi e trovare soluzioni a un
unico dictat: protezione e tutela del minore.
Un ulteriore esempio lo offre la riflessione di un operatore sociale, il quale
si chiede «se non sarebbe possibile cominciare seriamente a lavorare a forme
di accoglienza familiari che, pur mantenendo il legame con la famiglia di origine, possano permettere ai minori di avere comunque una famiglia di riferimento che gli dia la possibilità di crescere serenamente». Secondo uno studio
etnografico dell’antropologa brasiliana Claudia Fonseca7 sulle politiche adottive in Brasile, questa pratica già esiste nel Paese, si tratta infatti di “circolazione del bambino”, strategia a cui si affidano oramai da secoli le classi più
7 Fonseca, C., The politics of adoption: child rights in the Brazilian setting, in Law & policy, 3,
2002 (traduzione nostra).
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LO STAGE IN BRASILE
umili, documentata da molti storici e scienziati sociali8, nonché dalla sua ricerca etnografica. Tale “circolazione” è consistita e consiste nello stabilire sistemazioni adottive informali per i propri figli continuando a mantenere con loro
contatti, anche se sporadici. Attraverso questa pratica i genitori suddivideranno l’onere economico e «la responsabilità socializzante inerente a crescere un
bambino, tra una serie di genitori adottivi scelti da loro informalmente»9. I figli
nella loro vita si riferiscono a questi adulti di riferimento con il nome di
“madre” e “padre” anche se, secondo la ricerca, il minore non confonde il
legame biologico con quello affidatario. In questo modo il minore mantiene i
rapporti con i genitori biologici ricorrendo a queste varie figure come a una
rete solida e ampia di riferimento affettivo.
A questa pratica si aggiunge quella dell’istituzionalizzazione. Fonseca scrive che fino agli anni ’80 inoltrati l’istituto statale era visto, assieme alle famiglie affidatarie, come un elemento di routine nel circuito della circolazione del
bambino. Utilizzato come una specie di boarding school dei poveri, i genitori
in difficoltà hanno cominciato a cambiare strategia una volta che gli amministratori, per scoraggiare tale abuso dell’assistenza statale, esplicitavano loro
il rischio che simile pratica comportava, ovvero perdere i figli a favore dei genitori adottivi. Molte madri decisero quindi di evitare gli istituti: cercavano affidi informali per i loro bambini più facilmente affidabili (neonati di pelle chiara), continuando invece a istituzionalizzare bambini più adulti e dalla pelle
scura, con più certezze di recuperarli in un momento successivo conoscendo
la scarsa richiesta di adozione per bambini con tali tipologie.
A queste due si è poi aggiunto il terzo elemento di circolazione minorile, la
famosa adoçao à brasilera in cui la madre, trovando la rete sociale indebolita o
satura dalla collocazione dei figli precedenti, è costretta a dare via suo figlio scegliendo lei stessa i genitori e dando loro il certificato di nascita originale. Il minore crescerà quindi conoscendo unicamente la famiglia dei genitori adottivi10.
Questo scenario fa capire che per certi aspetti la conoscenza del Brasile è
stato anche un momento di stravolgimento dell’immaginario di quel “là” da cui
arrivano i bambini brasiliani, quindi italiani, e – almeno per alcuni dei partecipanti – è stato un modo per riavvicinarsi all’idea di adozione in modo più personale e, forse, più costruttivo. Infatti l’intenzione/soluzione della scelta adottiva
8 Si vedano Scheper-Hughes, N., Death without weeping: the violence of everyday life in Brazil,
Berkeley, University of California Press, 1992; Meznar, J., Orphans and the transition from slave to
free labor in Northeast Brazil: the case of Campina Grande, 1850-1888, in Journal of social history, 27,
1994, p. 499-516.
9 Fonseca, C., The politics of adoption, p. 202.
10 Fonseca, C., The politics of adoption, p. 204-205.
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
proposta dall’operatore italiano era stata soggetto di conversazione durante il
viaggio e aveva sollecitato diversi momenti di scambio tra tutti gli operatori italiani, con riflessioni sui passati e presenti progetti di modifica della legge
184/1983, in particolare per ciò che concerne il dispositivo della cosiddetta
“adozione mite”, portato avanti essenzialmente dalla Regione Puglia e che consente al minore adottato di mantenere rapporti con la famiglia di origine11.
Questo tipo di pratica ha trovato però nel nostro Paese non poche resistenze
soprattutto da un punto di vista culturale, che ora, in un tempo e in un luogo così
lontano da quello quotidiano, permette a tutti una certa libertà di pensiero e di
considerazioni, scevra da condizionamenti culturali locali. Più volte, infatti, nel
corso dello svolgersi dell’esperienza formativa i comportamenti all’interno del
gruppo sono stati caratterizzati proprio dall’abbandono di condizionamenti culturali (quindi certezze predefinite di riferimento) e addirittura personali.
Al di là del fatto che Fonseca metta attenzione proprio sulle differenze culturali e sociali di ogni Paese e evidenzi come «studiosi e operatori sociali operanti in Africa, Asia e America Latina hanno riscontrato possibilità di avere altri
ambienti “sani” in cui i bambini crescono tra varie case e con referenze genitoriali multiple»12, la riflessione dell’operatore nasce proprio dal contesto che
lo informa e gli fa immaginare altri percorsi adottivi, non necessariamente per
portarlo a concordare, bensì innescando un processo che lo induce a riflettere diversamente.
4. Considerazioni finali
La parola riferita al Brasile apparsa in ogni singolo resoconto scritto e ripetuta più volte nelle conversazioni e scambi informali con gli operatori è “contraddizione”. Ed è vero che il Paese ne presenta molte: la sua ricchezza avvolta da
povertà, la sua stessa legge in materia di protezione di infanzia, una vetta lontana rispetto alla moltitudine di inadempienze nel campo del sociale, ancora a
valle. Se vista più da vicino, però, ci pare che possiamo utilizzare questa parola
come frutto di quell’immaginario che si è aperto all’esperienza integrata del percorso adottivo in Brasile. Partendo, molti degli operatori avevano consciamente
o inconsciamente catalogato il Paese di provenienza con caratteristiche a tutto
tondo e forse quindi anche il processo adottivo, sia oltremare che nella stessa
11 Tra i numerosi tentativi di interpretazione della normativa italiana in materia di adozione, uno
dei più interessanti è quello chiamato “adozione mite”, sperimentazione avviata dal 2003 da parte
del Tribunale per i minorenni di Bari e indirizzata a risolvere i casi in cui bambini provenienti da situazioni di degrado familiare non possono essere dati in adozione legittimamente poiché sussistono
legami con le famiglie d’origine. Questa possibilità non interrompe il rapporto di filiazione tra il minore e la famiglia biologica, ma ne aggiunge un secondo conseguente all’adozione, e cioè quello con
gli adottanti, cui compete anche la potestà genitoriale.
12 Fonseca, C., The politics of adoption, p. 210.
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LO STAGE IN BRASILE
Italia. Ne sono tornati con punti aperti, questioni ancora da dibattere, che si
sono trasformate in prospettive piene di contraddizioni. Alcune testimonianze
vanno proprio in questa direzione. Una psicologa scrive: «qui [in Brasile] ho
imparato che non c’è un sapere che va bene per tutti, che le singole culture
richiedono un adattamento e una comprensione che ti portano a una condizione possibilista in cui ciò che avresti vigorosamente rifiutato, ora, nel suo contesto, è comprensibile e forse in alcuni momenti perfino accettabile». Un suo collega afferma di «rinunciare ai propri paradigmi culturali», una rinuncia che forse
apre a questo viaggio nell’immaginario, ma che dona qualche incertezza e apre
alle imperfezioni delle contraddizioni.
Su questo punto è interessante citare David M. Rosen, antropologo e giurista
esperto di diritti del fanciullo, il quale afferma come «ogni volta che c’è un enorme divario tra la legge e la modalità con cui le vite sono effettivamente vissute
c’è ampio spazio sia per il conflitto che per la resistenza»13 e come l’antropologia arricchisca il diritto dato che «concepisce il contesto come elemento che
informa in teoria tutta la conoscenza collegata all’infanzia», e, aggiunge, se
«l’antropologia ha qualcosa per cui contribuire alla comprensione dell’infanzia,
è che c’è una molteplicità di infanzie»14. Con questo non si parla semplicemente di aprire una porta al relativismo culturale e all’intercultura. A nostro avviso
ciò che questo implica è che tra quello che pensiamo sia una giusta infanzia e le
molteplici infanzie calate ognuna nella propria dimensione culturale ed esistenziale c’è l’operatore che per ogni situazione tenta di offrire un percorso, ancora
una volta, “giusto”, ed evitare il sorgere di conflitto e resistenza.
Citiamo per questo l’antropologia, da una parte perché fa parte della
nostra formazione e perché questa è la prospettiva che abbiamo scelto di
adottare, ma anche perché ci è parso ovvio che gli operatori siano stati in questo viaggio non solo psicologi, assistenti sociali e giudici italiani in Brasile,
partiti con lo scopo di approfondire le loro conoscenze dell’iter adottivo, ma si
siano trasformati anch’essi in antropologi del settore adottivo, muovendosi
come ricercatori in un contesto e in una contingenza straniera che ha arricchito la loro professionalità. Anche solo per il fatto che per fare ciò hanno sospeso un bagaglio di referenza per poterne percepire a pieno uno nuovo.
E in questo senso è curioso che proprio un giudice italiano scriva parole che
riecheggiano quelle di Rosen. Alla propria domanda «Cosa ci portiamo dietro?»
risponde: «Certamente un arricchimento culturale, uno stimolo a uscire dalle
13
Rosen, M.D., Children’s rights and the international community, in Anthropology news, 4,
2008, p. 5 (traduzione nostra).
14 Rosen, M.D., Children’s rights and the international community, p. 5
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VIAGGIO DENTRO L’IMMAGINARIO DEL PERCORSO ADOTTIVO:
UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DELL’ESPERIENZA FORMATIVA ITALO-BRASILIANA
routine culturali che ci condizionano [...], l’opportunità di confrontarci con un
sistema giudiziario diverso, di superare i pregiudizi, di conoscere e imparare
anche da quello che viene fatto dagli altri e riconoscere che talvolta certe iniziative, certe leggi e certi progetti sono migliori dei nostri è utile a dare il senso di
relatività della nostra azione, senza il quale si tende a un isolamento culturale e
a decisioni tecniche parziali e di routine». «Più l’antropologo si impegna come
autore, più scrive [...], più si può essere sicuri che sfugga ai vizi della routine e
agli stereotipi dell’etnocentrismo»15, scrive Marc Augé, e aggiunge che la presenza dell’antropologo nel contesto che sta osservando sconvolge sì «il consueto ordine delle cose nel gruppo osservato, ma obbliga anche l’osservatore a
rinunciare alla sua solita vita e ad adottare una morale provvisoria che lo pone
a metà tra due culture. [...] In questo modo, a parte la difficoltà psicologica di
una simile posizione, egli incarna in maniera esemplare un punto di vista individuale»16, quella verità incorporata a cui accennavamo inizialmente.
È ovvio che il viaggio è stato un modo per conoscere l’iter adottivo, i suoi protagonisti e per addentrarsi nel mondo lontano del bambino, ma abbiamo ritenuto interessante raccogliere gli aspetti delle esperienze che tornano in modo
forse meno evidente, ma con forza, in Italia, attraverso i protagonisti di questo
viaggio. Tornano anche accompagnate dal dubbio, dalla perplessità, dall’incertezza, dallo sgomento, ovvero con quella difficoltà psicologica di cui parla Augé,
ma sicuramente come semi di vere informazioni che saranno passate non solo a
colleghi e collaboratori ma che saranno parte del dialogo col bambino e con i
suoi nuovi genitori, anche loro nel bel mezzo di dubbi, perplessità, incertezze e
sgomento, e saranno una chiave indispensabile per il loro incontro.
…Gigante pela própria natureza,
És belo, és forte, impávido colosso,
E o teu futuro espelha essa grandeza,
Terra adorada!
Entre outras mil
És tu, Brasil,
Ó Pátria amada!
Dos filhos deste solo
És mãe gentil,
Pátria amada,
Brasil!…
Inno nazionale brasiliano
15 Augé,
16
M., Il mestiere dell’antropologo, p. 37.
Augé, M., Il mestiere dell’antropologo, p. 29.
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Una restituzione significativa richiesta
dal Brasile: la Casa de cultura e cidadania
nel quartiere di Santo Amaro a San Paolo*
L’esperienza della Casa de cultura e cidadania di Santo Amaro ha ben rappresentato agli occhi della delegazione italiana un insieme di creatività sociale, attenzioni educative e concreta promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per consentire l’accesso a esperienze di apprendimento, di vita e
successivamente di lavoro che possano costituire un buon antidoto alle numerose problematiche presenti nel quartiere circostante.
La cura dedicata alla predisposizione degli ambienti è notevole, e si respira
una bella aria: dal tendone da circo che appare animato, pulsante e vitale agli
ambienti laboratoriali dedicati alle più svariate modalità espressive e di comunicazione, ben descritte nelle osservazioni di alcuni dei colleghi che hanno composto la piccola delegazione in visita nella giornata del 9 settembre 2009.
Nel passaggio da un laboratorio al successivo i ragazzi e i loro istruttori e
educatori realizzano con semplicità e grande comunicativa (in alcuni casi
veniamo coinvolti anche noi!) alcune delle cose migliori che hanno imparato,
raggiungendo livelli di armoniosità e di maestria che ci colpiscono.
Centinaia i ragazzi seguiti in quest’unica esperienza, in una scala dalle proporzioni difficilmente comparabili con la situazione italiana, dove così tanti
ragazzi è anche difficile riuscire a vederli insieme.
Usciamo con la convinzione di aver visitato una realtà ben radicata nel proprio territorio, con potenzialità innovative e trasformatrici dello stesso ambiente circostante. Potenzialità che ben si coniugano con la proiezione internazionale della realtà brasiliana, in forte crescita economica e culturale, nonostante
le indubbie problematiche strutturali e le pur persistenti tensioni sociali.
Riflessioni
di Daniela Randazzo
Interessante il principio ispiratore del progetto: il diritto alla cittadinanza
rappresenta una possibilità di riscatto dall’emarginazione, che può spingere
persone, probabilmente rassegnate da generazioni alla propria condizione di
miseria ed emarginazione, a combattere per costruirsi una vita migliore per sé
e per i propri figli.
* A seguito di una specifica richiesta giunta dal Brasile subito dopo lo svolgimento dello stage
italiano a San Paolo, è stata approntata una “restituzione a caldo” che si è provveduto a inviare in
tempi ristretti. La stesura è stata curata da Giorgio Macario, con i contributi di Daniela Randazzo, psicologa dei servizi territoriali della Regione Sicilia, di Giuliana Zerbato, assistente sociale dei servizi
territoriali della Regione Umbria, e di Adamo Antonacci, regista e operatore video.
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LO STAGE IN BRASILE
Molto bella l’idea del tendone da circo: nel quartiere, proprio a fianco della
favela, costituisce una nota di colore, di novità e allegria inaspettata, che procura immediatamente la sensazione che la Casa de cultura e cidadania sia un
luogo in cui si vivono esperienze gioiose. Questo basta a valorizzare anche il
resto della struttura, essenziale ma funzionale.
All’interno, le attività svolte dai ragazzi con gli istruttori davano contemporaneamente la sensazione del rigore e del gioco, facendo sì che la funzione
educativa si sviluppi con il coinvolgimento intenzionale e volontario dei giovani ospiti. In particolare, attraverso l’attività circense, è stata attivata una
dimensione terapeutica di fondamentale importanza per bambini che hanno
vissuto eventi traumatici: la costruzione del sentimento di fiducia. Com’è noto
i bambini vittime di esperienze negative infantili (tra le quali la trascuratezza
e la violenza assistita occupano un posto di rilievo per impatto traumatico)
sviluppano una visone del mondo “malevolente”, incentrata sulla convinzione
che non ci si possa fidare dell’altro, in particolare degli adulti; tale percezione
della realtà circostante, a causa del ripetersi nel tempo di episodi in cui il bambino percepisce una sensazione di pericolo, struttura processi di pensiero
sostenuti da meccanismi neurofisiologici difficili da scardinare o modificare.
Nella proposta di attività circensi realizzata dalla Casa de cultura e cidadania,
l’esecuzione ripetuta di esercizi pericolosi costringe i giovani allievi ad accettare il rischio di affidarsi totalmente all’istruttore, dalla cui attenzione nei loro
confronti dipende la possibilità di salvarsi da una rovinosa caduta; attraverso
l’esperienza sempre ripetuta di ricevere il loro aiuto, i ragazzi sperimenteranno che ci sono esseri umani di cui ci si può fidare, persino se sono degli estranei. Con ogni probabilità tale esperienza psicologica, grazie proprio alla ripetitività che caratterizza l’apprendimento di un esercizio ginnico difficile da
imparare, sarà in grado di modificare anche i processi neurofisiologici alla
base del sentimento di fiducia.
Eccellenti anche le attività proposte agli adulti del quartiere, che sembrano
essere state scelte sullo stesso registro di quelle per i bambini: l’offerta di
momenti di svago attraverso i quali sviluppare una coscienza di sé e del proprio personale diritto a una vita dignitosa e anche arricchita da momenti di
sano piacere di essere al mondo.
Riflessioni
di Giuliana Zerbato
Andiamo a Santo Amaro, quartiere a sud di San Paolo, con circa 3.500.000
abitanti, che occupa una zona pari al 43% della città.
La prima visita prevista ci ha permesso di conoscere il progetto della Casa
de cultura e cidadania da Vila Guacuri, finanziato interamente da un ente privato e rivolto ai bambini dai 6 ai 17 anni. Il Centro coinvolge circa 1.300 bam118
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UNA RESTITUZIONE SIGNIFICATIVA RICHIESTA DAL BRASILE:
LA CASA DE CULTURA E CIDADANIA NEL QUARTIERE DI SANTO AMARO A SAN PAOLO
bini che lo frequentano in gruppi al mattino o al pomeriggio, alternati secondo la frequenza scolastica. Vengono proposte numerose attività tra cui un
corso di attività circense, corsi di teatro, musica, ballo e informatica; è inoltre
previsto un momento conviviale in cui viene offerta una merenda a tutti i
bambini.
L’obiettivo della Casa si sviluppa in diverse direzioni:
• individuare e favorire lo sviluppo delle risorse e dei talenti dei bambini;
• coinvolgere le famiglie attraverso incontri mensili con gli operatori del
Centro;
• coinvolgere la comunità attraverso attività sociali a favore della comunità stessa organizzate con i bambini e le loro famiglie;
• rilevare le situazioni di bisogno dei bambini e creare collegamenti con i
servizi sociali locali e con la scuola.
La realtà territoriale dove si colloca il Centro è caratterizzata da quartieri
popolari e da favelas, una zona in cui è elevata la fragilità sociale e dove quindi il lavoro di questi motivati operatori diviene importante ricchezza per tutta
la comunità.
Riflessioni
di Adamo Antonacci
La Casa de cultura e cidadania mi ha colpito per l’idea di base che la sorregge e la anima: trasmettere valori ai ragazzi, valori pratici, concreti e per
questo ancora più veri. L’idea del circo, ad esempio, non può che essere coraggiosa e vincente per la sua bellezza di base: far volare e far saltare i ragazzi,
farli sentire leggeri e forti in un insieme di valori come la cooperazione e l’aiuto concreto dell’adulto, che presta la propria forza fisica per permettere al
ragazzo di esprimere le proprie doti artistiche e circensi. Ma anche per scoprire e “toccare” i propri limiti in un gioco basato sull’attenzione assoluta, sulla
concentrazione e sulla cooperazione.
E come se ciò non bastasse ecco la stanza per la musica, la sala per la
danza, la biblioteca, la sala computer dove un nutrito numero di ragazzi è
impegnato in lavori di grafica 3d davvero impressionanti! Tutti i ragazzi possono esprimere le proprie qualità in uno spirito di vera democrazia, dimostrando talenti davvero invidiabili.
Un altro aspetto che mi ha piacevolmente colpito è la scelta dei colori delle
varie stanze e degli arredamenti, che mi ha fatto pensare: «Ecco un altro esempio di concretezza e di sensibilità educativa!». Tutto è pensato per il benessere psicofisico del ragazzo (penso all’utilizzo del colore verde, ai “cartelli educativi” che invitano a non sprecare l’acqua o la corrente elettrica, confezionati con una grafica calda e rassicurante, ai pavimenti di legno, alle finestre che
permettono un’illuminazione naturale, ecc.).
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LO STAGE IN BRASILE
Soprattutto ho notato il calore degli educatori, l’entusiasmo e l’amore che
infondono a ogni loro azione e che permette ai ragazzi di esprimersi attraverso il corpo, la musica, la danza o magari attraverso lo schermo luminoso di un
computer: passato e futuro si mescolano e si compenetrano dando vita a uno
scenario che lascia piacevolmente sorpresi.
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LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Il resoconto della delegazione brasiliana*
1. La delegazione
Gli obiettivi proposti dalla Commissione per le adozioni internazionali ita-
di San Paolo1
liana e dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, con l’invito a realizzare uno
scambio tra operatori brasiliani e italiani dell’area adozioni, con particolare
riferimento all’adozione internazionale quale strumento di sussidiarietà, ci
hanno spinto a fare una presentazione a 360° del settore dell’infanzia e dell’adolescenza nello Stato di San Paolo e in Brasile in generale, dato che San
Paolo avrebbe accolto, come prima destinazione della missione, tutta la delegazione italiana.
Si è voluto tracciare una sintesi degli sforzi e dei risultati ottenuti con la
creazione di una rete di tutela, in cui diverse istanze del potere e dei servizi
riescono a far convergere il proprio impegno per la difesa dei diritti dei minori, nel rispetto delle disposizioni introdotte in materia nel 1990 dall’ECA, lo
Statuto del bambino e dell’adolescente.
Abbiamo cercato inoltre di presentare i progetti che vedono la cooperazione di organismi stranieri accreditati. Sulla base di questi punti abbiamo iniziato a organizzare le conferenze, non trascurando il lavoro degli operatori del
settore giudiziario, della rete di tutela e degli organismi stranieri accreditati.
Si è pensato anche di inserire delle visite, per conoscere da vicino i progetti sociali in corso e i tribunali dei minori delle regioni di destinazione, in modo
da permettere un contatto diretto con il lavoro svolto nei tribunali, negli istituti e presso taluni servizi della rete di tutela, sia nella capitale che nelle aree
interne dello Stato. A San Paolo sono state identificate due aree, con un carico di lavoro maggiore, trattandosi di zone ad alta vulnerabilità sociale
(Itaquera e Santo Amaro).
Nella sintesi qui di seguito cercheremo di riunire alcune informazioni per
dare un’idea generale del nostro percorso storico e della cultura dell’istituzionalizzazione nella società brasiliana, con rimandi all’attuale legislazione,
sulla cui base vengono elaborati i programmi. Daremo inoltre una breve
descrizione del percorso di adozione, fin dalla registrazione degli aspiranti
all’adozione. Ancora, alcuni dati e percentuali che sono presentati nel corso
* Il box Percorso storico e cultura dell’istituzionalizzazione e il paragrafo sui Principi del sistema
di garanzia dei diritti si basano sul materiale dell’intervento di Myriam Veras Baptista.
1 La relazione sulla prima fase dello scambio di esperienze fra Brasile e Italia in materia di adozioni internazionali (San Paolo, 7-10 settembre 2009) è a cura dei responsabili della CEJAI di San
Paolo.
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
dei seminari. Nella parte finale sono raccolti in un box i progetti e gli istituti
visitati, gli uffici del tribunale rappresentati nel corso dei lavori e la documentazione.
Percorso storico e cultura dell’istituzionalizzazione
Le basi della cultura dell’istituzionalizzazione dei bambini e degli adolescenti
nella società brasiliana risalgono a secoli fa.
Nel XVI secolo, quando i portoghesi sbarcarono in Brasile e si imbatterono nei
popoli indigeni, diedero vita a un progetto di sfruttamento e colonizzazione delle
nuove terre e di acculturazione degli abitanti locali. Tale strategia prevedeva
anche l’arrivo dei gesuiti per catechizzare i nativi e facilitarne la colonizzazione.
Sempre nel XVI secolo, vista la resistenza degli indios alla cultura europea e
alla formazione cristiana, i gesuiti decisero di investire sull’educazione e sulla
catechesi dei bambini indigeni, considerati “anime meno dure”. Molti di questi
bambini vennero quindi allontanati dalle proprie tribù. Tra il 1550 e il 1553 vennero create le casas de muchachos, finanziate dalla Corona portoghese – una
forma primordiale degli istituti e dei collegi di educazione, esistenti ancor oggi.
(SAS, 2004) Queste case ospitavano i curumins, i “figli della terra”, e davano
accoglienza anche agli orfani e ai bambini abbandonati provenienti dal
Portogallo, che avrebbero aiutato nell’opera di conversione. Non ospitavano i
bambini della colonia: nessuno dei piccoli esposti della colonia veniva ammesso
presso i collegi dei gesuiti (Marcílio, 1998).
Nel XVI e XVII secolo si trovavano già bambini bianchi e meticci che chiedevano l’elemosina e vivevano nascosti nei boschi e attorno ai villaggi. La pratica dell’abbandono dei figli era già stata introdotta in America dagli europei nel periodo
della colonizzazione: miseria, sfruttamento e emarginazione, unite alle difficoltà
di adozione del modello europeo di famiglia monogamica e indissolubile, portava gli abitanti della terra a seguire l’esempio degli spagnoli e dei portoghesi di
abbandonare i figli (Marcílio, 1998).
La maggioranza dei minori abbandonati finivano per suscitare la compassione delle famiglie che li trovavano e li allevavano per spirito di carità, ma in molti
casi anche con l’intento, una volta cresciuti, di impiegarli come mano d’opera
supplementare, fedele, riconoscente e gratuita (Marcílio, 1998).
Fu solo nel XVIII secolo che nacquero le prime istituzioni di tutela del bambino abbandonato. Le prime ruote degli esposti vennero introdotte a Salvador
(1726), Rio de Janeiro (1738) e Recife (1789). Il tasso di mortalità dei bambini
abbandonati, lasciati alle ruote, assistiti dalle balie o allevati in famiglie che se
ne facevano carico, fu sempre tra i più elevati di tutte le fasce sociali, superiore
perfino a quello degli schiavi.
Nel XIX secolo, su iniziativa della Chiesa cattolica, venne fondata la prima
Casa di accoglienza degli esposti (complementare alla ruota), che accoglieva i
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
bambini a partire dai 3 anni (prima del compimento del terzo anno se ne occupavano le balie) fino ai 7, quando si cercava un modo per inserirli in case di famiglia. Gli istituti erano suddivisi per sesso e, in taluni casi, vigevano altri tipi di
divisione: orfani, figli di matrimonio legittimo, figli naturali, indigenti, orfani bianchi, “bambine di colore”.
Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX le opere filantropiche rivolte ai bambini moltiplicarono. Medici igienisti e giuristi, influenzati dalle idee nate con l’illuminismo europeo, passarono a preoccuparsi dei bambini abbandonati,
costruendo «proposte di riformulazione della politica assistenziale, enfatizzando
l’urgenza della riformulazione di pratiche e comportamenti tradizionali arcaici,
con l’uso di tecniche scientifiche» (Marcílio, 1998).
Agli inizi del XX secolo vennero creati gli istituti di regime detentivo per maggiori di 9 e minori di 21 anni. «Piccoli mendicanti, vagabondi, viziosi, esclusi». Il
loro “recupero” si basava sulla pedagogia del lavoro e sulla lotta contro l’ozio.
L’idea era che «per la correzione preventiva di bambini corrotti a seguito di
abbandono o di cattiva educazione familiare, si sarebbero rese necessarie istituzioni speciali, oltre quelle di pura carità» (Marcílio, 1998).
Negli anni ’20 del XX secolo la questione passò a essere inquadrata da un
punto di vista legale e, sotto l’influenza della prima Carta dei diritti del bambino, o Dichiarazione di Ginevra, del 1923, venne istituito il giudizio privato dei
minori abbandonati e delinquenti. In quello stesso periodo vennero create
leggi di assistenza e tutela dei minori, che venivano suddivisi in delinquenti e
bisognosi.
Con la Costituzione del 1937 venne introdotto il dovere, da parte dello Stato,
di promuovere condizioni per la tutela fisica e morale dell’infanzia e dell’adolescenza, e il diritto, per i genitori in condizioni di miseria, di richiedere un aiuto
allo Stato al fine di garantire il mantenimento della prole. L’istituzionalizzazione
di bambini e adolescenti emerge in quello stesso periodo come oggetto di studio
e di approfondimento.
Negli anni ’40, e più precisamente nel 1948, il movimento Economia e humanismo realizzò un’indagine sulla situazione dei minori istituzionalizzati ed ebbero inizio le Settimane di studio sui problemi dei minori, con l’obiettivo di discutere la questione dell’istituzionalizzazione dei bambini e di trovare alternative per
affrontarla.
Negli anni ’50, grazie alla Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata nel
1959, la condizione, nella maggior parte dei casi subumana, in cui cresceva gran
parte dei bambini e degli adolescenti in Brasile cominciò a essere analizzata in
maniera più approfondita.
Negli anni ’60 il governo militare cercò di capitalizzare il malcontento generale, dimostrandosi capace di dare una risposta radicale. Venne quindi fondata la
FUNABEM (Fondazione nazionale per il benessere del minore, avente per scopo
la formulazione e l’attuazione di una politica nazionale nell’area dell’infanzia
povera o delinquente).
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Negli anni ’70 venne approvato un nuovo Codice di minori (Legge 6.697), destinato a quanti si trovavano in situazione irregolare. A quel tempo era comune che i
bambini e gli adolescenti fossero accolti in strutture di accoglienza, analoghe agli
antichi riformatori e orfanotrofi, isolati dal tessuto urbano e distanti dalla vita della
comunità. Le strutture erano organizzate in modo tale da impedire il contatto con il
mondo esterno, includendo, al loro interno, scuole, campi sportivi, piscine, nucleo
per la formazione professionale, oltre all’assistenza medica e infermieristica.
Negli anni ’80, con la fine della dittatura militare, vide la luce una serie di
movimenti popolari in difesa dei diritti della cittadinanza, del potere locale, della
partecipazione all’amministrazione pubblica. Venne creato il Forum permanente
per la difesa dell’infanzia e dell’adolescenza all’interno del quale venne discussa
la totale mancanza di politiche pubbliche al servizio di questa fascia di popolazione, la precaria democratizzazione delle istituzioni e la necessità di capovolgere questo scenario.
Le pressioni scaturite rendevano possibile l’introduzione di articoli specifici
nella nuova Costituzione federale, a quel tempo in fase di discussione e, nel
1988, gli articoli dal 226 al 230 introducevano il movimento da cui sarebbe nato
l’Estatuto da criança e do adolescente (ECA – Statuto del fanciullo) (Legge 8.069,
del 13/07/1990).
1.1 Principi del sistema
di garanzia dei diritti
Vanderlino Nogueira, durante il terzo incontro nazionale della rete dei centri di tutela, tenutosi a Recife nel mese di ottobre del 1992, concepiva e progettava, per la prima volta, una proposta di sistema di garanzia dei diritti,
facendo proprie le raccomandazioni dell’articolo 86 dell’ECA: «La politica al
servizio dei diritti del fanciullo avverrà attraverso un insieme articolato di azioni di governo a livello centrale, statale, del distretto federale e dei Comuni».
Lo Statuto sancisce la responsabilità della famiglia, della comunità, della
società in generale e del potere pubblico di garantire i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, non spettando ad alcuna di tali istanze l’esclusiva responsabilità, e non essendone alcuna interamente esonerata.
Così, per la prima volta nella storia del Brasile, si riconosce, ai sensi della
legge federale, l’omissione da parte del potere pubblico nella definizione di
politiche, nella creazione di strutture e di programmi di assistenza, come violazione dei diritti degli adolescenti. Tale riconoscimento introduce la possibilità di intervento da parte della giustizia dell’infanzia e dell’adolescenza, sia nel
senso di imporne l’attuazione – e a tal fine sono ammissibili tutte le azioni pertinenti – sia ai fini di responsabilizzazione dell’agente o della pubblica autorità che si sarebbe resa responsabile dell’omissione lesiva degli interessi dell’infanzia e dell’adolescenza.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Le linee guida della politica di sostegno sono: municipalizzazione, creazione e attuazione di programmi specifici, nel rispetto del decentramento politico-amministrativo, integrazione operativa degli organi e mobilitazione dell’opinione pubblica, finalizzata all’indispensabile partecipazione dei diversi settori della società.
1.2 Piano nazionale
di promozione,
protezione e tutela
del diritto
del fanciullo
alla convivenza
familiare
e comunitaria
(dal 2007 al 2015)
Il Piano nazionale può essere considerato una proposta di percorso verso
la materializzazione del diritto alla convivenza familiare e comunitaria. È stato
elaborato a seguito di lunghe discussioni e azioni da parte dei vari attori istituzionali. A livello di inquadramento giuridico, si basa su normative internazionali: la Convenzione dei diritti del fanciullo, la Convenzione de L’Aja, le
dichiarazioni dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la Dichiarazione universale dei diritti umani, il progetto per le linee guida delle Nazioni Unite per i
bambini privati dalle cure dei genitori.
Tra le normative nazionali che disciplinano l’elaborazione di questo piano,
abbiamo la Costituzione federale del 1988, lo Statuto del bambino e dell’adolescente del 1990, la legge organica di assistenza sociale del 1993 e la politica
nazionale di assistenza sociale – Sistema unico di assistenza sociale (SUAS).
Le linee guida del Piano nazionale sono: centralità della famiglia nelle politiche pubbliche; responsabilità dello Stato nel sostenere le politiche integrate
di sostegno alla famiglia; riconoscimento delle competenze della famiglia
nella sua organizzazione interna e nel superamento delle difficoltà; pieno
rispetto delle diversità etnico-culturali, dell’identità e dell’orientamento sessuale; parità di genere e rispetto delle particolari condizioni fisiche, sensoriali e mentali, consolidamento dell’autonomia dell’adolescente e del giovane
adulto nell’elaborazione del proprio progetto di vita; garanzia dei principi di
eccezionalità e provvisorietà nei programmi di famiglie adottive, e accoglienza istituzionale di bambini e adolescenti.
Gli obiettivi generali sono: la riorganizzazione dei programmi di accoglienza istituzionale; l’adozione basata sul supremo interesse del fanciullo; il controllo sociale delle politiche pubbliche; l’allargamento, l’articolazione e l’integrazione delle politiche, dei programmi e dei progetti di assistenza sociofamiliare finalizzati alla promozione, alla protezione e alla tutela del diritto alla
convivenza familiare e comunitaria; un’adeguata assistenza psicosociale che
favorisca la permanenza del bambino o dell’adolescente in seno al proprio
ambiente familiare e comunitario, prendendo atto delle risorse e delle potenzialità della famiglia naturale, della famiglia allargata e della rete sociale di
sostegno; l’implementazione di programmi di famiglie affidatarie; il tutto finalizzato a garantire che l’accoglienza istituzionale venga effettivamente consi125
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
derata una misura di carattere eccezionale e provvisorio, secondo i principi, le
linee guida e le procedure dell’ECA. Si intende inoltre mettere in atto programmi che promuovano l’autonomia dell’adolescente e/o del giovane che è
stato incluso in programmi di accoglienza; il miglioramento delle procedure di
adozione nazionale e internazionale; il rispetto di strategie e azioni che favoriscano meccanismi di controllo sociale e la mobilitazione nella prospettiva di
attuazione del Piano nazionale; il miglioramento e l’integrazione di meccanismi di cofinanziamento (a livello di governo centrale, degli Stati, dei Comuni e
del distretto federale) delle azioni previste dal Piano.
In tal modo il Piano nazionale di convivenza familiare ha fissato gli ambiti
strategici, gli obiettivi e le azioni (analisi della situazione dell’infanzia e dell’adolescenza, sistemi di informazione, mobilitazione e partecipazione sociale) per il periodo 2007-2015. Si inserisce in questo periodo, nell’aprile del
2008, anche la creazione del registro nazionale delle adozioni, da parte del
Consiglio nazionale di giustizia e grazie alla legge federale 12.010/2009, i cui
obiettivi sono il miglioramento della normativa e delle procedure di adozione
nazionale e internazionale.
Durante la prima giornata di lavori, analizzando la cultura dell’istituzionalizzazione e il sistema di garanzia di diritti, è stato sottolineato che nel corso
degli ultimi decenni molto è già stato fatto rispetto alla realtà degli istituti, i
quali stanno attraversando un profondo processo di ristrutturazione, abbandonando il formato dei grandi orfanotrofi e delle istituzioni chiuse.
La nuova legislazione, legge federale 12.010/2009, sancisce che nelle politiche pubbliche si favorisca l’affido familiare all’accoglienza in istituto. Una
delle conclusioni è quindi che vi è un grande lavoro da svolgere per superare
la cultura dell’istituzionalizzazione, la cui storia risale a circa 500 anni fa,
parallelamente alla storia del Paese.
Tuttavia, per rispondere al supremo interesse del minore, si rende necessaria un’ampia e differenziata gamma di risorse nella comunità, che non può
semplicemente tradursi con la chiusura degli istituti, ma promuovendo la cultura dell’affido familiare e la garanzia dei diritti, affinché si abbia un ventaglio
di opzioni che meglio si applichino a ciascun caso specifico.
1.3 L’Autorità centrale
amministrativa
federale (Segreteria
speciale per i diritti
umani)
Se vogliamo fare una diagnosi della situazione delle adozioni internazionali, secondo la coordinatrice della ACAF il Brasile ha registrato 10.000 bambini
adottati con adozione internazionale, da famiglie provenienti da nove Paesi.
Nel settembre 2009 il numero di organismi internazionali accreditati era
così distribuito: Germania (1), Canada (1), Spagna (3), Francia (5), Italia (15),
Norvegia (1), Svizzera (1).
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Sono in media 400 le adozioni internazionali che transitano ogni anno dalle
commissioni statali giudiziarie di adozione internazionali presenti presso i tribunali degli Stati.
Il Consiglio delle autorità centrali brasiliane è l’organo che disciplina l’adozione internazionale, la cui presidenza spetta al Segretario speciale per i diritti umani (membro del potere esecutivo). Tale Consiglio si riunisce obbligatoriamente una volta l’anno, come previsto per legge.
Tra gli impegni assunti dal Brasile, a livello nazionale e internazionale, nell’ambito delle adozione sono state citate la Convenzione stipulata a L’Aja il 29
maggio 1993 e ratificata in Brasile con il decreto 3.087 del giugno 1999; l’ECA,
legge 8.069/1990; il decreto 3.174 del 16 settembre 1999; il decreto 5.491 del
18 luglio 2005; la Risoluzione del Consiglio delle autorità centrali e la guida
sulle buone prassi de L’Aja.
Le linee guida seguite dall’Autorità centrale amministrativa federale in
materia di adozione internazionale si sono basate sulla normativa nazionale e
internazionale in materia, tra cui si evidenzia lo Statuto del bambino e dell’adolescente e il Piano nazionale di convivenza familiare e comunitaria.
Un’attenzione del tutto particolare viene rivolta a questioni delicate quali
l’ottenimento della cittadinanza straniera per i minori adottati e il controllo
delle adozioni internazionali al fine di garantire che avvengano soltanto nei
casi di effettiva eccezionalità, come previsto dall’ECA.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito a una riduzione del numero di adozioni internazionali fallite e da ciò si coglie l’importanza delle valutazioni
postadozione che devono essere compilate per un periodo di due anni, su
determinazione dell’ACAF.
Alcune delle questioni relative all’adozione internazionale emerse sono
state le seguenti:
• l’aumento delle domande da parte di Europa e Stati Uniti; la ratifica della
Convenzione de L’Aja del 1993 da parte degli Stati Uniti;
• l’esistenza di oltre 100.000 candidati abilitati nel Sud dell’Europa;
• l’aumento considerevole nel numero di richieste di accreditamento di
nuovi organismi stranieri;
• il registro consolare; l’accordo tra i Paesi del Mercosul sull’entrata e l’uscita di minori; il Forum sulla migrazione; la legge federale 12.010/2009.
La Segreteria speciale per i diritti umani intende affrontare la situazione:
discutendo la sospensione o l’ampliamento dell’accreditamento di nuovi or ganismi, operando in conformità con le disposizioni del Piano nazionale di
convivenza familiare e comunitaria, e creando una Rete di Autorità Centrali
dell’America del Sud.
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
1.4 Commissione
giudiziaria di Stato
per l’adozione
internazionale dello
Stato di San Paolo
La Commissione giudiziaria di Stato per le adozioni internazionali dello
Stato di San Paolo è stata istituita con il decreto 2656/1992 del tribunale di
giustizia. È presieduta dal procuratore generale della giustizia e composta, a
San Paolo, da sei procuratori e da un giudice segretario.
Il GACEJAI (Gruppo di assistenza alla commissione statale giudiziaria per le
adozioni internazionali) offre assistenza tecnica e amministrativa alla commissione e si compone di cinque elementi, che svolgono attività di assistenza
amministrativa; in ambito tecnico, si avvale anche della collaborazione di un
assistente sociale e di una psicologa.
L’Ufficio tecnico, che opera direttamente presso il GACEJAI, è di recente
costituzione: la prima assistente sociale è stata nominata nel 2002 e nel 2004
si è costituita la prima équipe per le due aree, con l’inserimento della figura
dello psicologo. L’équipe attuale è stata nominata nel 2006.
Le funzioni principali della CEJAI-SP sono: l’analisi delle richieste di idoneità all’adozione internazionale di aspiranti stranieri e brasiliani residenti e
domiciliati all’estero; il rilascio del certificato di idoneità; l’aggiornamento dei
registri degli aspiranti nazionali e stranieri con domicilio in territorio nazionale registrati nello Stato di San Paolo; l’indicazione degli aspiranti all’adozione
nazionale e internazionale a seguito della richiesta dei giudici delle sezioni dei
minori del tribunale dello Stato; l’elaborazione di dati statistici; l’assistenza e
la supervisione alle azioni degli organismi internazionali accreditati che operano in qualità di intermediari per le adozioni internazionali; l’assistenza ai
giudici dei minori dello Stato di San Paolo riguardo le attività per le quali rappresentano un’interfaccia, ad esempio il registro degli aspiranti all’adozione.
L’Ufficio tecnico rilascia pareri riguardo le valutazioni psicosociali che
accompagnano la richiesta di idoneità, svolgono e pubblicano studi e ricerche
partendo dalla banca dati con l’obiettivo di sensibilizzare la società riguardo il
tema delle adozioni, elabora statistiche annuali e mensili relative alle adozioni internazionali e supervisiona le équipe tecniche delle sezioni dei minori,
cercando di chiarire le questioni relative al registro degli aspiranti all’adozione e tematiche analoghe.
La sfida costante è data dall’abbinamento del profilo del bambino o dell’adolescente in attesa di una famiglia, che dovrebbe rispondere alle aspettative
e alla preparazione degli aspiranti all’adozione, che spesso rimane senza soluzione. L’Ufficio tecnico ha quindi preso parte a tutte quelle attività in cui era
possibile discutere questa tematica alla presenza della società organizzata,
anche, dove possibile, con l’uso dei mezzi di comunicazione, o avvalendosi di
gruppi di sostegno all’adozione, o presso università e ogni altra istanza della
rete di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
L’adozione internazionale si è rivelata, per molti bambini, adolescenti e
gruppi di fratelli, il modo per garantire l’applicazione del diritto alla convivenza familiare in modo sussidiario. Riguardo più specificamente la situazione
italiana, si osserva che nel periodo tra il 2004 e il 2008 le adozioni internazionali avvenute nello Stato di San Paolo sono state nella misura dell’81,07% da
parte di famiglie residenti in Italia.
Alcuni dati riguardo il profilo delle adozioni da parte degli italiani nello Stato
di San Paolo per il periodo 2004-2008 indicano che l’83% dei minori è stato
adottato in gruppi di fratelli. Per quanto riguarda la fascia d’età: la percentuale
più bassa era dei bambini al di sotto dei 2 anni, mentre la percentuale più consistente è data dai bambini in età compresa tra i 6 e gli 8 anni. Si osserva ancora che il 20% era di età compresa tra i 9 e gli 11 anni, e il 3,65% dai 12 anni in su.
Per quanto riguarda il colore della pelle dei bambini e degli adolescenti
adottati, si osserva che il 54,89% era di pelle mulatta e il 16,06% nera, per un
totale pari al 70,95% di minori di etnia nera; il 26,28% di pelle bianca e lo
0,15% rappresentato da un’adozione di un minore di razza indigena; nel
2,62% delle adozioni non è indicato il colore della pelle.
Per quanto riguarda il sesso, il 55% dei minori adottati era di sesso maschile e il 45% femminile.
Riguardo alle condizioni di salute: nel 58% dei casi non avevano problemi
di salute, nel 38% avevano qualche problema di salute, mentre nel 4% delle
adozioni non veniva riferita alcuna informazione.
1.5 La registrazione
degli aspiranti
all’adozione
e l’indicazione delle
famiglie aspiranti
all’adozione nazionale
e stranieri o brasiliani
residenti all’estero
L’aspirante all’adozione deve presentarsi alla sezione dei minori del tribunale di competenza territoriale, da dove verrà indirizzato all’Ufficio tecnico del
tribunale stesso perché vengano svolte le indagini e le relative valutazioni.
L’Ufficio tecnico si compone di esperti dei servizi sociali e di uno psicologo. La
legge federale 12.010/2009 ha introdotto l’obbligatorietà, per gli operatori dei
tribunali, di realizzare un orientamento psicosociale e giuridico, preferibilmente con l’assistenza dei tecnici responsabili dell’applicazione delle politiche comunali di tutela del diritto alla convivenza familiare.
Una volta valutati e ritenuti idonei, gli aspiranti verranno iscritti sul registro
degli aspiranti all’adozione del tribunale dei minori. Le informazioni e le preferenze espresse verranno inoltrate per via telematica al Centro nazionale
adozioni, gestito dal Consiglio nazionale di giustizia, istituito nel 2008, che
riunisce inoltre le informazioni riguardo tutti i minori dichiarati adottabili a
livello nazionale.
Il registro centralizzato dello Stato di San Paolo è stato istituito nel 1995
ed è alimentato dall’invio di schede cartacee che pervengono alla Commis129
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
sione giudiziaria per le adozioni internazionali. La banca dati include il registro degli aspiranti all’adozione residenti nello Stato e gli aspiranti all’adozione internazionale.
Il sistema informatico attualmente in uso è stato introdotto nel 2003 e fin
dall’introduzione del registro nazionale delle adozioni, avvenuta nel 2008,
molto si è fatto per garantire una piena compatibilità tra i sistemi nazionale e
statale.
L’indicazione della coppia per l’adozione internazionale è prerogativa della
Commissione statale giudiziaria per le adozioni internazionali. Una volta esaurite le ricerche nel registro del tribunale dei minori locale, in quello centralizzato di Stato e in quello nazionale si procede alla ricerca degli aspiranti all’adozione internazionale, ricorrendo alla banca dati della CEJAI-SP, su richiesta
del giudice dei minori che segue il minore. La CEJAI-SP effettua l’indagine e
compila un elenco che viene a quel punto inoltrato al tribunale dei minori.
Tutte le procedure di preparazione dei minori per l’adozione, l’avvicinamento
e l’accompagnamento nei tempi di attesa e nel periodo di convivenza, sono a
cura degli operatori della sezione dei minori.
1.6 Alcuni dati relativi
allo Stato di San Paolo
e ai registri nazionale
e statale degli aspiranti
all’adozione presentati
durante i seminari
Lo Stato di San Paolo ha una popolazione stimata di 41.712.460 milioni di
abitanti, con una superficie di 8.051 km. La città di San Paolo, considerata la
terza metropoli del mondo, si stima abbia una popolazione di 10.432.252 abitanti, su un territorio di 1.530 km.
Gli assistenti sociali e gli psicologi che lavorano con il potere giudiziario
svolgono un ruolo di grande importanza in tutte le fasi legate alle adozioni.
Il tribunale di giustizia dello Stato di San Paolo è suddiviso in 58 circoscrizioni, che contemplano anche i distretti dell’interno dello Stato e della regione costiera dove le sezioni dei minori non sono specializzate. La capitale
conta 11 sezioni dei minori specializzate e 4 sezioni speciali, competenti per
i casi di delinquenza minorile. Nel settembre del 2009 vi erano 700 assistenti sociali e 294 psicologi operanti nello Stato di San Paolo, per un totale di 994 operatori così suddivisi: 274 operanti nella capitale e 720 all’interno dello Stato.
Riguardo il numero di minori istituzionalizzati ci è stato comunicato il
numero di 5.536 tra bambini e adolescenti, 3.485 dei quali accolti presso le
strutture presenti nella capitale.
Al 3 settembre 2009, a seguito della consultazione dei rapporti amministrativi del Consiglio nazionale di giustizia, si osservava che lo Stato di San
Paolo aveva registrato il 26% degli aspiranti all’adozione e il 31% dei minori
dichiarati adottabili di tutto il Paese.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Si è registrato un aumento progressivo della disponibilità degli aspiranti
all’adozione per i bambini in fascia di età tra i 25 e i 72 mesi nel periodo tra il
2005 e il 2008, secondo quanto indicato nelle schede compilate dagli aspiranti dichiarati idonei nello Stato di San Paolo. Un aumento significativo si è osservato per la fascia tra i 37 e i 48 mesi e tra i 49 e i 60 mesi: la prima fascia è passata dal 7,66% degli aspiranti nel 2005 al 14,04% nel 2008, mentre la seconda
ha registrato un aumento dal 5,42% nel 2005 al 10,46% nel corso del 2008.
L’attuale evoluzione non è comunque in grado di rispondere alla realtà dei
bambini dai 7 anni in su e degli adolescenti dichiarati adottabili. Secondo gli
studi statistici del registro nazionale delle adozioni consultato al 3 settembre
2009, nello Stato di San Paolo vi sono 457 (equivalenti al 39%) bambini tra i
7 e i 12 anni e 572 (ossia il 48%) adolescenti tra i 12 e i 18 anni. A livello nazionale, la stessa indagine indicava un numero di 1.310 (35%) bambini tra i 7 e i
12 anni e 1.773 (48%) adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni.
Progetti sociali presentati e visitati e documentazione
1. Famiglie affidatarie, del progetto SAPECA (Servizio alternativo di tutela speciale di infanzia e adolescenza – Assessorato comunale alla cittadinanza, assistenza e inclusione sociale del Comune di Campinas)
www.acolhimentofamiliar.org.br/[email protected]/sape
[email protected]
Referente: Adriana Pinheiro – Assistente sociale coordinatrice –
Tel.: 55 19 3256 6335/ 3256 6067
2. Progetto pilota di famiglie affidatarie del Comune di San Paolo
Referente: Isabel Cristina Bueno da Silva – Tutela speciale – Assessorato
comunale per l’assistenza e sviluppo sociale (SMADS) – Tel.: 55 11 3291 9730
3. Fundação criança de São Bernardo do Campo (Fondazione del bambino di São
Bernardo do Campo)
www.fundacaocriana.org.br/[email protected]/presidencia@fun
dacaocrianca.org.br
Referente: Ariel de Castro Alves – Presidente – Tel.: 55 11 4126 1310
4. Nuclei solidali e progetto di formazione per adolescenti della Liga solidária
www.ligasolidaria.org.br / [email protected]
Referente: Mariano Gaioski – Coordinatore degli istituti – Tel.: 55 11 3781 9615
5. Casa di accoglienza São Mateus (San Paolo)
www.obrasaomateus.org.br / [email protected]
Referenti: Vanessa Machado Alves (Casa I) – Tel.: 55 11 2010 8778
Danila Davi Yamachino (Casa II) – Tel.: 55 11 2013 0679
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
6. Casa di cittadinanza e cultura Vila Guacuri
www.casadeculturaecidadania.com.br/cscarvalho@casadeculturaecidada
nia.com.br
Referente: Carmem Silva Carvalho – Tel.: 55 11 5055 9314/ 5674 0920
7. Casa di accoglienza Auxiliadora (San Paolo)
Referente: Sorella Guadalupe – Tel.: 55 11 5676 2512/ 5873 5358
8. Gruppo di sostegno per l’adozione Revivescer (Comune di Mogi Guaçu)
Presidente: Cássio Rosa Cardoso – Tel.: 55 19 3841 7503 - [email protected]
9. Centro di assistenza all’infanzia (Comune di Mogi Guaçu)
Presidente: Romildo Fontanelli – Tel.: 55 19 3841 9666
10. Associazione Lua nova (Comune di Sorocaba)
Presidente: Raquel Barros – Tel.: 55 15 3234 5976 – [email protected]
11. Progetto pilota di promozione e sostegno all’accoglienza familiare –
Cooperazione internazionale: AIBI – Comuni di Carapicuíba e Araçatuba
Referente: Nelson Aldá (Carapicuíba) – [email protected]
12. Programma Famiglia solidale – (Comune di Várzea Grande Paulista) –
Cooperazione internazionale: ARAI
Referente: Helena Alessi – Tel.: 55 11 4158 3202
13. Centro di recupero e educazione nutrizionale – Cooperazione internazionale:
AVSI
Referente: Maria Luisa Pereira Ventura Soares – Tel.: 55 11 5584 6674/5594 3001
e.mail: [email protected]
Settori del tribunale di giustizia (SP) rappresentati durante i seminari
1. Commissione statale per le adozioni internazionali dello Stato di San Paolo
(CEJAI-SP) – [email protected]
2. Coordinamento per l’infanzia e l’adolescenza del TJ-SP – 55 11 2171 6636
3. Nucleo di sostegno professionale del servizio sociale e psicologia –
[email protected]
Sezioni dei minori visitate
1.
2.
3.
4.
132
Vara da infância e juventude do Foro regional de Itaquera (capitale)
Vara da infância e juventude do Foro regional de Santo Amaro (capitale)
Vara da infância e juventude da Comarca de Sorocaba (interno dello Stato)
Vara da infância e juventude da Comarca de Mogi Guaçu (interno dello Stato)
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Documentazione e riferimenti bibliografici
• Constituição da República federativa do Brasil, Brasília, Centro Gráfico do Senado Federal, 1988;
• Legge 8.069/1990: Estatuto da criança e do adolescente, Brasília, Centro
Gráfico do Senado Federal, 1990;
• Legge 12.010/2009: Brasília, Centro Gráfico do Senado Federal, 2009;
• Ministério do desenvolvimento social e combate à fome, Secretaria nacional
de assistência social, Política nacional de assistência social (PNAS), Brasília,
MDS/SNAS, 2004;
• Ministério do desenvolvimento social e combate à fome, Secretaria nacional
de assistência social, Norma operacional básica (NOB-SUAS), Brasília,
MDS/SNAS, 2005;
• Ministério do desenvolvimento social e combate à fome, Secretaria especial
dos direitos humanos, Plano nacional de promoção, proteção e defesa do
direito de crianças e adolescentes à convivência familiar e comunitária,
Brasília, MDS/SEDH, 2006.
• Marcílio, M.L., História social da criança abandonada, São Paulo, Hucitec,
1998.
• Secretaria municipal de assistência social et al., Reordenamento de abrigos
infanto-juvenis da cidade de São Paulo: construção da política interinstitucional de defesa dos direitos de convivência familiar e comunitária das crianças e
adolescentes de São Paulo, São Paulo, SAS, 2004.
2. La delegazione
di Bahia2
L’evento, considerato dell’équipe di operatori della CEJA-BA un’azione di
grande rilievo per il biennio 2008-2009, è stato ideato e promosso dalla
Commissione per le adozioni internazionali in collaborazione con l’Istituto
degli Innocenti di Firenze, ha visto la collaborazione del Tribunale di giustizia
dello Stato di Bahia e si è avvalso del contributo dell’agenzia regionale ARAI Regione Piemonte, rappresentata dalla dottoressa Fátima Farias.
Quando la Commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale
italiana in materia di adozioni, ha scelto Bahia come sede dello scambio italobrasiliano di esperienze in materia di adozione, denominato Scambio di idee
sull’adozione, la CEJA non aveva alcuna esperienza riguardo l’organizzazione
2 La relazione è a cura di Daniela Guimarães Andrade Gonzaga (giudice e presidente della CEJA
di Bahia), Prima tappa del progetto di formazione e scambio di esperienze tra gli operatori della
Repubblica federativa del Brasile e la Repubblica italiana, tenutosi nei giorni 11, 12 e 13 settembre
2009, a Salvador, Brasile.
133
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
di un evento di tale portata, ma non si è scoraggiata, e ha saputo affrontare
con grande serenità gli ostacoli e gli imprevisti sorti lungo la strada.
La proposta dell’équipe della CEJA era far sì che la delegazione italiana avesse una visione completa, e quanto più dettagliata possibile, circa il funzionamento dei servizi legati alle adozioni internazionali a Bahia: dalla realtà degli istituti di accoglienza, alle esperienze dei Tribunali dei minori di Salvador e di alcuni distretti dell’interno dello Stato, fino ai servizi specifici offerti dalla CEJA-BA.
La Commissione ha accolto una delegazione italiana composta da 16 operatori, la cui visita a Bahia si inseriva in un più ampio programma che prevedeva visite agli Stati di San Paolo e Minas Gerais. L’evento è proseguito con
uno stage di una settimana in Italia e si è chiuso con un seminario tenutosi a
Roma il 29 gennaio del 2010.
La programmazione delle attività proposte a Bahia ha avuto come base il
programma generale stilato dai responsabili scientifici italiani. La delegazione
italiana, composta da due giudici dei tribunali per i minorenni italiani e 14 operatori dell’area delle adozioni internazionali, tra cui assistenti sociali e psicologi, ha visitato la prima sezione dei minori di Salvador. Nel corso della visita
sono state scambiate informazioni circa le attività tecniche svolte in Brasile e
in Italia e sono state analizzate le differenze esistenti tra le legislazioni che
disciplinano la materia in ambo i Paesi.
In seguito, dopo il pranzo offerto dal tribunale, la delegazione ha avuto
modo di conoscere da vicino le attività svolte dalla CEJA, nel corso di una serie
di interventi presentati dal presidente stesso e dallo staff tecnico, con la presenza, tra gli altri, del presidente del Tribunale di Bahia e le procure della capitale e dell’interno dello Stato, oltre a numerosi membri della CEJA, giudici dei
minori, rappresentanti degli organismi internazionali accreditati a Bahia e funzionari del tribunale.
L’interesse dimostrato dai vertici del Tribunale nei confronti dell’evento e le
premure riservate alla delegazione italiana da parte del presidente del Tri bunale, hanno dimostrato l’importanza con cui le autorità giudiziarie di Bahia
hanno affrontato il tema dell’adozione internazionale.
L’evento ha permesso di presentare importanti azioni e progetti promossi
dai giudici delle sezioni dei minori dei distretti di Ilhéus, Itabuna, Jiquiriçá,
Porto Seguro e Campo Formoso, oltre ai progetti delle associazioni italiane
AIBI, AVSI e dell’Universidade Católica do Salvador.
Psicologi, assistenti sociali, giudici e operatori italiani del settore delle
adozioni internazionali hanno avuto modo di conoscere risvolti interessanti
del lavoro svolto a Bahia con i bambini istituzionalizzati, di porre quesiti e di
esporre un po’ della realtà vissuta in Italia. La valida esperienza ha fatto sì che
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
i professionisti italiani comprendessero meglio il profilo dei bambini bahaiani
adottati da coppie italiane e le circostanze che portano all’abbandono.
Il contatto iniziale avviato tra gli operatori bahaiani e italiani è stato
improntato sull’amicizia, sulla collaborazione reciproca e sulla condivisione di
dati, esperienze e aspettative. Molto rimane da fare ancora per i bambini e gli
adolescenti brasiliani, perché possano vedere garantito il proprio diritto alla
convivenza familiare.
È emersa con chiarezza, nel corso dello stage di Bahia, la perplessità da parte
degli operatori italiani riguardo i tempi lunghi di istituzionalizzazione cui sono
sottoposti i minori abbandonati dalle famiglie di origine. Per non parlare dello
sgomento quando si sono resi conto che gli istituti di accoglienza sono pieni di
bambini e bambine che non ricevono visite di parenti, che non hanno alcun legame con i genitori naturali, né alcuna aspettativa di reinserimento familiare o inserimento in famiglie adottive, in quanto non è stata destituita la patria potestà.
Contrariamente a quanto si verifica in Italia, questi bambini e adolescenti
entrano nelle strutture di accoglienza senza un programma di assistenza
generale, men che meno personalizzato, che possa aiutare a favorirne il reinserimento familiare.
La delegazione italiana ha potuto altresì rendersi conto della precarietà
delle politiche pubbliche di sostegno, ausilio e follow up di queste famiglie,
così fragili e in situazioni talmente svantaggiate da abbandonare i figli.
Durante la visita alla sezione infanzia e adolescenza del Tribunale è emerso un grande interesse da parte dei membri della delegazione italiana riguardo le procedure giudiziali adottate in Brasile in materia di adozioni e destituzione della patria potestà.
Le visite a due istituti di accoglienza, nel corso dell’ultima giornata dello
stage, hanno visibilmente emozionato tutti i partecipanti, che hanno avuto
modo di conoscere i diversi modelli di istituto, con diverse modalità di lavoro.
Il secondo giorno dello stage, dedicato alla presentazione di progetti sviluppati dai giudici dei minori di Bahia e dagli enti autorizzati, è stato notevolmente compromesso dalla mancanza di energia elettrica nei locali dove si
teneva l’evento, con un conseguente ritardo della chiusura dei lavori e un’evidente insofferenza da parte di alcuni membri della delegazione. Insofferenza
peraltro perfettamente comprensibile, dato che si aggiungeva alla stanchezza
dell’intensa settimana di lavoro e al vicino rientro in Italia.
La presentazione dei giudici e degli altri operatori presenti si è rivelata fondamentale ai fini di una miglior comprensione delle iniziative presentate, tutte
di estrema rilevanza per la risoluzione dei problemi che interessano i bambini
e gli adolescenti abbandonati a Bahia.
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Si è reso necessario riconoscere e mettere in luce l’importanza delle esperienze isolate di ciascuno dei giudici chiamati a intervenire, e il valore del lavoro svolto. La determinazione e la forza di volontà degli operatori che hanno
presentato le proprie esperienze hanno prodotto risultati positivi, permettendo a molti bambini e adolescenti di vedere un’alternativa alle istituzioni di
accoglienza, per rientrare nella famiglia di origine o per essere adottati da una
famiglia brasiliana o straniera. L’atteggiamento determinato e positivo di questi magistrati ha imposto a talune istituzioni di accoglienza di operare in sintonia con le regole sancite dall’ECA.
Estremamente importante era anche valorizzare le iniziative presentate, in
quanto rappresentano il meglio che Bahia possiede in termini di lavoro nell’area di tutela dei minori istituzionalizzati.
Molto positivi i momenti di svago, che hanno permesso una maggior integrazione tra i membri della delegazione italiana e gli operatori bahaiani, oltre
ad aver favorito lo scambio di idee in modo più diretto e informale. Non è mancato, per gli italiani, un approccio con aspetti tradizionali della cultura bahaiana, come la gastronomia, i punti di attrazione turistica e perfino le danze e le
musiche tipiche.
Dello scambio si può dire che andrà ben oltre i pochi giorni di permanenza
a Bahia della delegazione italiana. Per i bahaiani è stato un orgoglio ricevere
la delegazione, e non hanno lesinato gli sforzi per trasmettere le spiegazioni
richieste dai membri della delegazione italiana. In realtà non sono mancate
domande e richieste di approfondimento. Le spiegazioni hanno messo in luce
l’impegno e la passione su cui si fonda il lavoro degli operatori bahaiani legati al potere giudiziario, senza dimenticare lo splendido lavoro svolto dai dirigenti degli istituti visitati, che pur nella consapevolezza dei propri limiti sono
sempre pronti a offrire il meglio di sé ai bambini accolti.
I punti forti e deboli della realtà bahaiana, il coraggio degli operatori che si
dedicano alla risoluzione di gravi conflitti nello svolgimento del loro lavoro
quotidiano senza mai perdersi d’animo, sono stati presentati con grande trasparenza, rendendo lo stage a Bahia un’opportunità unica, per aver saputo
riunire, attorno alla tematica della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, persone così responsabili e impegnate, dedite alla creazione di nuove strategie
finalizzate al miglioramento delle procedure e al superamento degli ostacoli.
Alla luce di quanto esposto, secondo la valutazione dell’équipe della CEJABA, che si è occupata dell’organizzazione dell’evento, gli obiettivi prefissati
sono stati raggiunti: si è effettivamente avuto uno scambio di esperienze e di
idee attorno all’adozione internazionale e ai percorsi che portano bambini e
adolescenti all’istituzionalizzazione in Brasile.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Sarebbe importantissimo organizzare incontri di questo tipo, finalizzati a
uno scambio e al dialogo, per promuovere una ricerca congiunta di soluzioni
a problemi che interessano tutti gli operatori dell’infanzia e dell’adolescenza,
non solo brasiliani, ma nel mondo intero.
La CEJA-BA rimane sempre aperta al dialogo e sempre disponibile a sottoscrivere collaborazioni finalizzate allo studio delle questioni relative all’infanzia e all’adolescenza. Reputa infatti di grande utilità uno scambio di buone
prassi, necessario per affrontare le situazioni più delicate con cui ancor oggi
molti degli operatori brasiliani devono fare i conti.
3. La delegazione
del Minas Gerais3
3.1 Giovedì,
10 settembre 2009
La delegazione italiana è sbarcata all’aeroporto Tancredo Neves alle ore 18.00,
accolta dalla coordinatrice della CEJA, Liliane Maria Lacerda Gomes, dalla rappresentante della CIFA, Lucia Maria Miranda Cunha, da un funzionario della segreteria di comunicazione del Tribunale dello Stato di Minas Gerais e da due interpreti. Dopo una breve escursione alla Lagoa da Pampulha, progetto architettonico di Oscar Niemeyer, una breve sosta alla Chiesa di São Francisco de Assis.
Abbiamo notato che i componenti della delegazione italiana erano perfettamente a loro agio e dimostravano un grande entusiasmo nei confronti del
seminario nel nostro Stato.
La cena di benvenuto, in un ristorante della capitale mineira, è stata all’insegna dall’empatia reciproca e in un clima di grande sintonia tra italiani e brasiliani. Erano presenti membri e funzionari della CEJA-MG e la rappresentante
della CIFA.
3.2 Venerdì,
11 settembre 2009
Alle ore 8.30 si è proceduto alla registrazione dei partecipanti al seminario
italo-brasiliano, cui hanno preso parte operatori del settore infanzia e adolescenza: delegazione italiana, membri e funzionari della CEJA dello Stato di
Minas Gerais, procuratori del tribunale, giudici, rappresentanti di associazioni
italiane e funzionari del governo dello Stato.
Il panel di apertura vedeva Célio César Paduani, procuratore generale e
presidente della CEJA-MG, Reynaldo Ximenes Carneiro, secondo vicepresidente del Tribunale dello Stato di Minas Gerais, Maurizio Millo, presidente del
Tribunale dei minori di Bologna, André Luiz Amorim Siqueira, giudice e sovrintendente alla CEJA-MG, Valéria da Silva Rodrigues, della sezione dei minori del
Tribunale di Belo Horizonte e membro della CEJA-MG, Sérgio Parreiras Abritta,
3 La relazione è a cura dei responsabili della CEJA del Minas Gerais (Belo Horizonte, 10-13 settembre 2009).
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
procuratore e membro della CEJA-MG, Liliane Maria Lacerda Gomes, coordinatrice della CEJA-MG.
Il procuratore Célio César Paduani ha aperto il seminario con un breve discorso di saluto e di benvenuto alla delegazione italiana, e ha concluso con una
presentazione della CEJA-MG.
A nome della delegazione italiana, Maurizio Millo ha ringraziato per l’accoglienza nello Stato di Minas Gerais; ha riferito le aspettative riguardo lo svolgimento dei lavori e accennato brevemente alle normative italiane in materia
di infanzia e adolescenza.
Il primo intervento è stato presentato da Sérgio Parreiras Abrita, che ha illustrato le funzioni, la composizione e il funzionamento della CEJA-MG. Subito
dopo, Valéria da Silva Rodrigues nel suo intervento ha parlato delle esperienze di cooperazione internazionale della CEJA-MG e ha concluso sottolineando
che l’adozione internazionale, benché provvedimento estremo che nega il
diritto alla nazionalità brasiliana all’adottato, integrandolo in un nuovo Paese
e in una nuova realtà, è molte volte l’ultima possibilità perché alcuni bambini
possano crescere in un ambiente familiare, rendendosi auspicabile sulla base
delle circostanze e dei fatti accertati. Ha ricordato inoltre che il processo di
adozione è, per gli stranieri non residenti in Brasile, una realtà e va affrontata
dagli Stati come possibilità di dare una famiglia a chi ne ha bisogno, indipendentemente dal voler considerare l’adozione una forma di cooperazione
internazionale o semplicemente di “aggressione” nei confronti dei Paesi in via
di sviluppo.
Dopo l’intervento di Valéria da Silva Rodrigues, il procuratore Wagner
Wilson Ferreira, membro della CEJA-MG, ha parlato delle esperienze e dei
risultati pratici dell’adozione internazionale. È riuscito a stupire i presenti con
il suo intervento in italiano, riscuotendo tra l’altro grande simpatia da parte di
tutti gli ospiti.
Nel suo discorso ha chiarito che non è scopo della Commissione porre ostacoli all’adozione internazionale, anche perché non esiste più spazio per posizioni favorevoli o contrarie alla stessa. Tuttavia, il ricorso a tale strumento non
deve essere considerato la norma, bensì il provvedimento eccezionale, che
deve meritare tutela giurisdizionale e a cui si deve ricorrere solo una volta
esaurite tutte le altre possibilità di reinserimento nella famiglia di origine o di
adozione da parte di una famiglia brasiliana, secondo quanto disposto dalla
nostra legislazione.
Marcos Flávio Lucas Padula, giudice della sezione dei minori del Tribunale
di Belo Horizonte, ha preso la parola subito dopo, intervenendo sugli istituti
giuridici di tutela e adozione: ha esposto le alternative per ottimizzare gli
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
interventi a sostegno di bambini e adolescenti come soggetti di diritto e illustrato la campagna Mude um destino, contestualizzandola e presentandone
obiettivi, traguardi e risultati.
Durante il pranzo era tangibile la soddisfazione dei partecipanti, che si
sono mostrati ansiosi e curiosi di sentire le ulteriori spiegazioni previste per la
sessione pomeridiana.
I lavori del pomeriggio sono iniziati con la presentazione dell’operato degli
organismi italiani con progetti nello Stato di Minas Gerais, a cura degli organismi stessi.
Subito dopo, la visita al Tribunale dei minori di Belo Horizonte. Valéria da
Silva Rodrigues ha ricevuto tutto il gruppo, presentando il funzionamento e le
strutture della sezione, modello per gli altri Stati brasiliani in quanto dotata,
in uno spazio unico, di tutte le istituzioni necessarie per accogliere le istanze
di adolescenti in conflitto con la legge: aver riunito in un unico spazio fisico
tutti gli enti interessati garantisce una maggior celerità ed efficacia nell’espletamento dei servizi.
Alla fine del pomeriggio, su richiesta del gruppo italiano, ci siamo recati per
la cena nella cittadina storica di Ouro Preto (dichiarata patrimonio culturale
dell’umanità dall’Unesco). Pur dopo una giornata particolarmente densa di
interventi e visite, tutti si sono dimostrati curiosi, rilassati e felici di visitare la
cittadina, famosa nel mondo per la sua storia e per l’architettura barocca.
3.3 Sabato,
12 settembre 2009
I lavori si sono aperti con l’intervento di Ivan Ferreira da Silva, sovrintendente alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza della Segreteria di Stato per
lo sviluppo sociale ed economico, che ha affrontato la questione della lunga
permanenza di bambini e adolescenti negli istituti di accoglienza, a livello
federale, statale e comunale. Ha inoltre parlato di politiche pubbliche di assistenza sociale, strategie e azioni volte all’inserimento e reinserimento autonomo nel percorso di istruzione e formazione professionale.
La coordinatrice tecnica del Tribunale dei minori di Belo Horizonte, Rosilene
Miranda Barroso da Cruz, psicologa giudiziale, ha illustrato le forme di prevenzione della violenza domestica a danno di bambini e adolescenti e dell’adozione nazionale (la selezione e la registrazione degli aspiranti all’adozione
brasiliani, il tempo medio di attesa, il profilo dei bambini desiderati); ha definito l’adozione internazionale l’ultima chance perché molti bambini e adolescenti di Belo Horizonte possano vivere all’interno di una famiglia.
Ai rappresentanti delle associazioni italiane operanti nello Stato (CIFA,
Nova, I cinque pani, AIBI, Progetto São José e AVSI) è stato dedicato uno spazio all’interno del seminario perché potessero illustrare le proprie attività. Con
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LO STAGE IN BRASILE
LO STAGE IN BRASILE VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
l’occasione hanno proposto dei suggerimenti, valutati come possibili miglioramenti del lavoro della CEJA-MG.
La CIFA, con il suo progetto nella città di Capelinha, ha colto tutti i presenti di sorpresa con la presentazione, da parte degli stessi bambini e adolescenti
istituzionalizzati nella città, di danze afro e di capoeira. Visibile l’emozione non
solo della delegazione italiana, che inaspettatamente aveva un’opportunità di
conoscere un tassello della ricca cultura brasiliana.
Alla fine della mattinata, Célio César Paduani ha formalizzato la chiusura
del seminario consegnando di persona a tutti i partecipanti il certificato di frequenza.
Una volta conclusi gli eventi della mattina del sabato, sono iniziate le visite tecniche. Il primo istituto visitato, il Lar Marista João Batista Berne, ha invitato a pranzo i partecipanti al seminario. Tangibile l’emozione e la sensibilità
della delegazione italiana nel confrontarsi con il gran numero di bambini e
adolescenti istituzionalizzati, verso i quali si sono dimostrati estremamente
affabili e affettuosi. Il contatto fisico non lasciava adito a dubbi circa le conseguenze dell’abbandono morale e materiale dei bambini. Alcuni, i più piccoli,
hanno domandato se fossero lì per adottarli, indugiando a lungo tra le braccia
dei visitatori. Momenti di commozione e solidarietà, uniti a una sensazione di
impotenza di fronte alla realtà così avversa di quei bambini. I componenti
della delegazione italiana hanno fatto delle donazioni spontanee in favore dei
minori del gruppo di Capelinha.
Accompagnati da membri e funzionari della CEJA-MG, nonché da rappresentanti degli organismi italiani operanti nello Stato, i componenti della delegazione italiana hanno fatto una breve passeggiata alla Praça Israel Pinheiro,
meglio nota come Praça do Papa, punto di attrazione turistica della città di
Belo Horizonte.
I partecipanti italiani si sono dimostrati soddisfatti per i contenuti teorici
acquisiti nel corso delle presentazioni e per le informazioni ottenute durante
le visite agli istituti.
La cordialità, l’affiatamento e l’interesse dimostrato dal gruppo si sono
mantenuti sempre estremamente alti.
In un clima del tutto informale e allegro, la cena di socializzazione e chiusura dello stage, in un ristorante tipico della capitale dello Stato di Minas, ha
riunito la delegazione italiana, membri e funzionari della CEJA-MG e alcuni rappresentanti di associazioni accreditate italiane.
3.4 Domenica,
13 settembre 2009
La delegazione italiana, prima di riprendere il volo con cui sarebbe rientrata in
Italia, si è imbarcata con destinazione Rio de Janeiro per una breve escursione.
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Lo stage in Italia
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Lo stage della delegazione brasiliana in Italia
e il seminario conclusivo
Giorgio Macario
Formatore e psicosociologo, responsabile scientifico e formativo
dello stage italo-brasiliano, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
Una società moderna si amputa di gran parte della
sua creatività, ma anche del suo realismo, se non associa
lo spirito razionale alla conoscenza della storia personale, psicologica e sociale di ogni individuo e all’apertura al
soggetto personale che si nutre di una storia e di una memoria collettive […]1.
Poiché l’adozione è divenuta più complessa, con un
numero crescente di bambini che entra nelle nuove famiglie con molteplici rischi riconducibili alla fase precedente l’inserimento e spesso anche con problemi clinici già
evidenti, risulta sempre più importante che i genitori
adottivi siano adeguatamente preparati, istruiti e sostenuti nella sfida di crescere i loro bambini2.
1. La costruzione
progressiva
dello stage in Italia
Durante le fasi preparatorie e lo svolgimento dello stage in Brasile, la legislazione del Paese in materia di adozioni ha subito modificazioni consistenti a
opera della legge 12.010 emanata dal Presidente il 3 agosto 2009 ed entrata in
vigore dopo 90 giorni. Questa nuova legge ha apportato numerose innovazioni: il registro nazionale di adozione è stato riconosciuto come la principale
forma di abbinamento tra bambini e candidati genitori adottivi, per contrastare
la diffusione della cosiddetta “adozione diretta”; i gruppi di fratelli non potranno più essere separati; gli interessati ad adottare dovranno essere preparati dal
punto di vista psicologico sul significato dell’adozione, anche per incentivare
l’adozione dei bambini special needs; ci sarà una maggiore attenzione giuridica verso le mamme o le gestanti che vogliono consegnare i propri figli perché
sia evitato l’abbandono dei bambini; sarà consentito ai figli adottivi di conoscere i dati anagrafici dei propri genitori biologici; saranno rivalutate ogni sei
1 Touraine, A., La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, Milano, Il saggiatore, 2008.
2 Palacios, J., Brodzinsky, D., Lo sviluppo delle ricerche sull’adozione, in R. Rosnati (a cura di), Il
legame adottivo. Contributi internazionali per la ricerca e l’intervento, Milano, Unicopli, 2010.
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LO STAGE IN ITALIA
mesi le situazioni dei bambini e adolescenti che vivono in istituto e la loro permanenza, tranne casi particolari, non potrà protrarsi oltre i due anni.
Queste indicazioni piuttosto puntuali sulle innovazioni in corso in Brasile nel
periodo intermedio fra i due stage vengono riportate perché motivano in larga
parte lo specifico interesse degli interlocutori brasiliani, di Bahia, del Minas
Gerais e di San Paolo, rispetto alla situazione italiana, di cui si era già iniziato
a parlare durante il primo stage del settembre 2009. Nell’organizzazione dello
stage in Italia non si è trattato cioè soltanto di mettere a punto tutte quelle
tematiche connesse alla preparazione delle coppie aspiranti all’adozione, al
rientro della famiglia adottiva e al supporto postadottivo ai genitori e ai bambini provenienti dal Brasile. Si è trattato invece di tenere presenti i molteplici
interessi e curiosità dei colleghi brasiliani per le diverse esperienze di sostegno
alla genitorialità, per la realizzazione della deistituzionalizzazione3 dei minori,
per la conseguente trasformazione degli istituti4, per l’attenzione congiunta ai
diritti delle gestanti e alla salvaguardia della salute dei neonati, e così via.
Lo scambio che si è realizzato durante lo stage in Brasile ha permesso dunque la messa a punto delle principali aree tematiche. La prima ha riguardato
la cultura dell’adozione in Italia, con particolare riferimento agli aspetti qualitativi e quantitativi delle adozioni internazionali, ma senza trascurare le strategie connesse alle stesse adozioni nazionali. La disciplina normativa italiana,
alla luce della legislazione europea e delle stesse convenzioni internazionali,
ha rappresentato poi la cornice giuridica per una migliore comprensione del
fenomeno; mentre l’esplicitazione delle competenze e delle funzioni dei diversi soggetti coinvolti ha inteso favorire i possibili paralleli con la situazione brasiliana. Il ruolo di mediazione e di sostegno degli enti autorizzati, infine, ha
voluto presentare al meglio le specificità degli enti nel sistema italiano.
La seconda area tematica concerneva le esperienze e i processi di deistituzionalizzazione: dalle multiformi esperienze di residenzialità (con la specificazione dei modelli di comunità educative, comunità a dimensione familiare e
comunità familiari) all’affidamento familiare, che rappresenta da diversi anni
un’area dalla quale ci si aspetta molto senza però comprenderne a fondo le
specifiche peculiarità5, fino ad arrivare alle nuove sperimentazioni (quali le
3
La chiusura degli istituti per l’infanzia in Italia risale al 31/12/2006, così come previsto dalla
legge 149/2001.
4 A tutti i partecipanti è stata consegnata una copia di un recente volume sul tema: Macario, G.
(a cura di), Dall’Istituto alla casa. L’evoluzione dell’accoglienza all’infanzia nell’esperienza degli
Innocenti, Roma, Carocci, 2008.
5 Recentemente il sindaco di un piccolo Comune del Nord Italia ha dichiarato che, non potendo
più sostenere le ingenti spese di una comunità residenziale per minori, contava di inserire i ragazzi
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
famiglie professionali, l’affidamento diurno e a tempo parziale, le comunità di
sostegno per gli affidi familiari, ecc.).
Infine, la terza area tematica individuata ha inteso esplorare le modalità di
accoglienza in Italia e gli interventi sul postadozione, specialmente per quanto riguarda il sostegno alla nuova famiglia adottiva e i diversi strumenti utilizzabili (valorizzazione delle reti naturali, gruppi di varia natura e con diversi target, interventi psicoterapici). In merito ai tempi e alle procedure per l’acquisizione del diritto di cittadinanza da parte del bambino nel Paese di accoglienza si è illustrato compiutamente cosa prevede la legislazione italiana in tema
e i diversi procedimenti che in molti casi sono stati studiati per evitare i problemi paventati all’ingresso in Italia di una situazione giuridica incerta per il
minore, mentre la tematica dei “casi particolari” (coppie miste per nazionalità, ecc.) ha offerto uno spazio di analisi per le specificità che si incontrano di
frequente in questo settore.
Dal punto di vista delle partecipazioni è stato fissato un numero di otto partecipanti per ciascuno Stato, più due inviti per l’Autorità centrale6. La composizione del gruppo dei partecipanti brasiliani ha quindi rispecchiato la loro
specificità prevedendo in tutti e tre i casi un 50% di giudici e un’analoga percentuale di psicologi e assistenti sociali.
Per quanto riguarda l’organizzazione dei lavori si è deciso di dedicare le
prime due giornate della settimana di stage alle presentazioni delle diverse tematiche generali e specifiche, sia di area giuridica che di area psicosociale, facendo convergere su Firenze, sede di avvio dello stage italiano, docenti e operatori esperti provenienti da tutta Italia. La possibilità di realizzare tale attività nello stesso Istituto degli Innocenti ha consentito di affiancare alle sedute
in plenaria visite e incontri in ambito culturale e museale (non va dimenticato
infatti che l’Istituto è la più antica struttura di accoglienza per l’infanzia al
mondo, attiva dalla prima metà del ’400 e costruita da Filippo Brunelleschi), in
ambito documentaristico (all’Istituto è presente una biblioteca costituita
come progetto di cooperazione fra l’Istituto stesso e l’Innocenti Research
Centre dell’Unicef e un’attività di ricerca e documentazione di livello regionale, nazionale e internazionale), e ancora in ambito socioeducativo (con strut-
ospitati in affido familiare, ottenendo così un forte risparmio nelle spese e offrendo un ambiente
familiare maggiormente adeguato per i ragazzi, ma dimostrando di non avere la più pallida idea delle
differenze che intercorrono fra i due strumenti, sì complementari in alcuni casi, ma certamente non
intercambiabili.
6 Questo criterio ha avuto un’unica eccezione nell’estendere l’invito per lo Stato di San Paolo al
nostro diretto interlocutore dello stage in Brasile, il segretario della CEJAI, che nel frattempo era
stato sostituito nel ruolo da un nuovo collega.
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LO STAGE IN ITALIA
ture di accoglienza per bambini e madri con figli, oltre ad asili nido, ludoteca
e servizi per l’infanzia in genere).
Per le due giornate successive è stata prevista una suddivisione della delegazione per tre diverse destinazioni: Firenze e la Toscana per la delegazione di
San Paolo; Bologna e l’Emilia-Romagna per la delegazione del Minas Gerais;
Roma e il Lazio per la delegazione di Bahia e per i rappresentanti dell’Autorità
centrale, con un programma articolato in ulteriori presentazioni tematiche e
statistiche, oltre che visite a istituzioni (tribunali per i minorenni) e servizi educativi di diversa natura. Pur non essendoci un raccordo sistematico fra i tre
Stati brasiliani che potesse far prevedere una socializzazione dell’esperienza
estesa ai diversi colleghi, si è inteso ugualmente non limitare il confronto a
un’unica situazione territoriale, proprio per restituire uno sguardo allargato
sulla realtà italiana.
Con la presenza a Roma, dalla sera della quarta giornata, dell’intera delegazione brasiliana e della delegazione italiana che si era recata in precedenza
in Brasile è stato realizzato un momento significativo di incontro allargato più
conviviale, prima con una cena ufficiale e poi, nella quinta giornata, con un
seminario nazionale congiunto che ha ufficialmente concluso l’intero progetto
formativo.
2. La realizzazione
dello stage in Italia7
La prima osservazione necessaria per comprendere le specificità della fase
formativa realizzata in Italia riguarda concretamente la responsabilità scientifica e formativa dell’intero progetto che, per quanto si sia cercato di condividere la costruzione progressiva dell’intero impianto progettuale, non ha potuto essere espressa congiuntamente ma ha scontato la necessità di una direzione italiana.
Tale specificità ha quindi comportato anche la mancata possibilità di poter
costruire un momento di preparazione preliminare analogo a quello organizzato per la delegazione italiana per ovvie difficoltà logistiche e organizzative.
Per questo motivo, applicando metodologie organizzative e formative di
tipo adhocratico8, si è cercato di adattare la metodologia e gli strumenti del
primo stage a una sorta di versione sintetica che si prestasse a consentire un
7 Cfr. in Appendice Programma stage delegazione brasiliana in Italia e seminario congiunto
Italia-Brasile conclusivo.
8 Cfr. a riguardo: Mintzberg, H., La progettazione dell’organizzazione aziendale, Bologna, Il mulino, 1985; Mintzberg, H., Management, mito e realtà, Milano, Garzanti, 1991; Morgan, G., Images. Le
metafore dell’organizzazione, Milano, Franco Angeli, 1992.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
confronto unitario, salvaguardando uno scenario di provenienza particolarmente differenziato dato che l’autonomia degli Stati federali in Brasile rispetto alla loro Autorità centrale non è certo paragonabile allo scenario sostanzialmente unitario che caratterizza l’operato delle Regioni in Italia rispetto
all’Autorità italiana. Non è stato quindi possibile organizzare un seminario
preliminare in Brasile, mentre si è cercato di mantenere o adeguare in vario
modo gli altri strumenti.
In merito alla funzione del dossier informativo, si è cercato di condensare
gli elementi conoscitivi in un’accurata articolazione delle relazioni proposte,
facendo alternare nelle prime giornate gli stessi vertici della Commissione,
alcuni studiosi fra i più conosciuti nel loro settore a livello nazionale, oltre a
giuristi e operatori esperti provenienti da varie regioni. Tutti gli abstract dei
contributi, insieme ai materiali più significativi, sono stati preparati in lingua
brasiliana, in modo da poter rappresentare una sorta di mini dossier.
L’articolazione “obiettivi formativi - domande chiave” è rimasta invece più
implicita, con un maggiore coinvolgimento, già esplicitato, dei singoli referenti degli Stati nell’individuazione delle aree tematiche.
Per quanto riguarda poi la documentazione audiovisuale, la presenza
dello stesso regista del filmato girato in Brasile – e visionato in versione
provvisoria, riscuotendo grande apprezzamento, durante il seminario conclusivo – ha consentito anche per lo stage italiano la realizzazione di uno
specifico filmato.
Infine, è stato preparato, sempre in lingua brasiliana, uno strumento di
documentazione che ha condensato il diario-agenda e il taccuino di viaggio,
diventando O caderno de viagem, una sorta di diario di viaggio. Si tratta di
uno strumento formativo di accompagnamento differenziato e ad hoc che
necessariamente, per motivi di lingua e per la complessità di una gestione
unitaria eterodiretta, è orientato in senso autoformativo. È uno strumento la
cui compilazione è proposta ai singoli, per annotazioni giornaliere da fare nei
momenti liberi da attività e incontri. In un primo spazio (denominato espaço
racional, Lo spazio razionale) è prevista la possibilità di specificare passaggi,
rielaborare le riflessioni proposte e annotare interrogativi, facendo mente
locale sulle esperienze descritte e i servizi visitati; nel secondo spazio (espaço emozional, Lo spazio emotivo) si possono annotare osservazioni personali, impressioni, stati d’animo e quant’altro si desideri esprimere. Una sorta
quindi di contenitore emotivo ed esperienziale dei propri vissuti, che ha rappresentato un’esperienza formativa integrata con la propria biografia e le
proprie sensibilità professionali e personali. L’utilizzo di questo strumento
durante lo stage da parte di ciascun partecipante, la compilazione giornalie147
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LO STAGE IN ITALIA
ra e la socializzazione anche parziale dei materiali (ad esempio nel raccordo
con i colleghi del proprio Stato), ha rappresentato un sostegno alla condivisione a livello personale e di gruppo, con finalità formative, e ha costituito
altresì un prezioso strumento di documentazione che ha contribuito, successivamente allo stage e in varia misura, alla realizzazione da parte dei referenti
dei singoli Stati di una sintesi di massima per la documentazione finale dell’esperienza9.
Il concreto avvio dei lavori, così come è accaduto per l’arrivo della delegazione italiana in Brasile, è apparso avere un senso già prima che si prendesse
la parola per aprire la sessione inaugurale il lunedì mattina. Infatti, il lungo
viaggio attraverso l’oceano, realizzato da persone consapevoli dello scopo
principale di questa attività formativa ed estremamente motivate, ha favorito
da subito una maggiore comprensione di quali fatiche devono affrontare le
coppie e a quale spaesamento culturale sono sottoposti in particolare i bambini. E mentre per gli italiani l’identificazione più immediata si è realizzata con
le coppie che si recano in Brasile, perché sono loro a essere “le proprie coppie”, per i brasiliani l’effetto è stato ancora più coinvolgente perché sono i
bambini che lasciano il Paese per venire in Italia a essere “i propri bambini”. È
un elemento di immedesimazione estremamente potente che, pur in maniera
differenziata, si era già visto all’opera pochi mesi prima durante la formazione
realizzata in Italia sempre dalla Commissione per le adozioni internazionali
per la delegazione della Repubblica socialista del Vietnam10.
La presenza, poi, di esperti giuridici e dei servizi territoriali che in diversi
casi avevano partecipato alla realizzazione dello stage in Brasile ha consentito una particolare centratura delle tematiche affrontate (dall’atteggiamento
comparativista nell’esame della legislazione alla concreta presentazione di
casi di bambini brasiliani adottati), che ha favorito l’interazione da parte dei
partecipanti brasiliani e un’attiva interlocuzione con domande e confronti
significativi fra i due Paesi. Si potrebbe desumere che questa specificità è
stata un potente fattore motivazionale aggiuntivo che ha contribuito in larga
9
Cfr. sopra Lo stage in Italia visto dalla delegazione brasiliana.
In questo caso l’incontro diretto, a latere delle sessioni formative principali, con diverse
decine di bambini, ragazzi e adolescenti vietnamiti adottati in Italia negli ultimi 20 anni è stato
organizzato come una sorta di monitoraggio per un primo riscontro sulla qualità dell’inserimento
dei bambini vietnamiti nelle nuove famiglie adottive. E ha comportato, come effetto secondario,
momenti di intensa emozione, specialmente in occasione dell’intervento di una decina di ragazzi
di 20 anni e oltre, in Italia praticamente da sempre, che dichiaravano, in maniera semplice e diretta, la loro curiosità verso il proprio Paese di origine e la volontà di mantenere e costruire qualche
raccordo ulteriore.
10
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
parte alla sincera riconoscenza espressa dai rappresentanti della delegazione
brasiliana nella fase conclusiva del seminario congiunto.
Diversi i temi di approfondimento trasversali ai due Paesi emersi durante i
lavori e che hanno consentito uno sguardo non autocentrato, ad esempio nel
confronto fra preparazione dei futuri genitori adottivi (alla verifica della quale
sono particolarmente interessati i rappresentanti brasiliani per assicurarsi le
migliori condizioni di inserimento dei loro bambini adottati) e preparazione
dei bambini alla propria adozione (che rappresenta un fattore significativo per
la qualità del successivo inserimento nella nuova famiglia adottiva); oppure
nel considerare realisticamente le ragioni che spingono a non separare le coppie o i gruppi di fratelli nel darli in adozione, le possibili forzature che possono intervenire nella fase dell’abbinamento (utilizzare il fratello più piccolo per
far adottare anche quello più grande) e i concreti contesti di inserimento che
possono comportare rischi di successivi fallimenti adottivi specie per i fratelli
più grandi; o ancora, visto il costante aumento dell’età media dei bambini provenienti dal Brasile11, una franca disamina delle specificità adolescenziali utile
sia per gli adolescenti adottati in Italia, sia per quelli che vengono adottati nel
canale delle adozioni nazionali in Brasile.
Su tutte queste tematiche e molte altre ancora12 si è potuto assistere a
riflessioni e chiarificazioni reciproche non stereotipate e, soprattutto, non
difensive, sinceramente orientate all’individuazione dei principali fattori di
rischio, alla chiarificazione dei fattori di protezione e alla ricerca dei migliori
contesti di promozione educativa e sociale. E si è passati, quindi, da un setting allargato nelle prime due giornate (tutti e tre gli Stati del Brasile e
l’Autorità centrale che hanno affrontato le specificità nazionali delle adozioni
11 Secondo i dati più recenti, l’età media dei bambini adottati dal Brasile nel 2010 è arrivata a
7,9 anni, con una media riferita all’insieme dei Paesi che ha raggiunto i 6 anni. E il Brasile rappresenta il quarto Paese al mondo per numero di adozioni, con 318 bambini nel 2010 e il 7,70% del
totale, dopo la Federazione Russa, l’Ucraina e la Colombia. Cfr. Commissione per le adozioni internazionali, Dati e prospettive nelle adozioni internazionali. Rapporto della Commissione per le adozioni internazionali sui fascicoli dal 1° gennaio al 31 dicembre 2010, Firenze, Istituto degli
Innocenti, 2011.
12 Merita di essere citato l’approfondimento specifico del quadro statistico delle adozioni realizzate in Italia con bambini provenienti dal Brasile negli ultimi dieci anni, perché ha consentito di
cogliere al meglio la diffusione e la concretezza del fenomeno. Dal 2000 al 2009 è quindi emerso
che su 27.965 bambini adottati 2.264 sono brasiliani (poco più dell’8%) e di questi 273 sono residenti nel Lazio, 158 in Emilia-Romagna, 139 in Toscana (le tre regioni visitate dai colleghi brasiliani). L’età media ha subito una crescita pressoché costante (da 5,5 anni del 2000 a 8 anni nel 2009)
e la presenza di gruppi di fratelli è cresciuta in maniera esponenziale (nel 2009 i gruppi di due fratelli rappresentano il 52% del totale e quelli di 3 fratelli superano il 10%, arrivando al 10,8%). Le
elaborazioni statistiche sono a cura degli statistici dell’Istituto degli Innocenti.
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LO STAGE IN ITALIA
in Italia) a un setting maggiormente specifico nelle ulteriori due giornate (la
delegazione di un singolo Stato del Brasile che approfondisce le specificità
delle adozioni in una singola regione italiana).
3. Il seminario
conclusivo:
quale il senso
di un percorso
formativo
e autoformativo
Il seminario conclusivo congiunto Brasile-Italia è stata una buona occasione per raccogliere le idee e sistematizzare le riflessioni riferite all’esperienza
formativa di scambio di esperienze fra operatori del diritto e delle aree psicosociali dei due Paesi, perché ha consentito di cogliere il senso di un lavoro
comune che non può emergere solo a partire dal lavoro progettuale, ma deve
essere elaborato quanto più possibile in maniera strettamente connessa alla
sua realizzazione.
Così, dalle prime elaborazioni progettuali del 2007 al seminario preparatorio
realizzato in Italia nel luglio 2009, fino allo stage in Brasile del settembre 2009
e all’“avventura brasiliana” in Italia nel gennaio 2010 a conclusione dell’intero
percorso, l’obiettivo di favorire l’incontro fra il meglio del pensiero e dell’azione
sulle adozioni internazionali in Italia e in Brasile è apparso quasi secondario
rispetto alla comunità di pratiche e di pensiero che si è vista concretamente in
azione durante la realizzazione dei due stage. E che ha visto, in particolare nell’ultima fase italiana, la realizzazione di decine di incontri istituzionali, formali e
informali per migliorare, specificamente, la vita dei bambini e dei ragazzi anche
brasiliani che sono stati e che saranno in futuro accolti in Italia.
È infatti anche per gli oltre 2.200 bambini brasiliani accolti in Italia dal 2000
a oggi e per quelli che sono giunti in precedenza in Italia che tutti gli operatori,
sia brasiliani che italiani che hanno partecipato agli stage, si sono impegnati
fino a oggi. Ed è per i prossimi che arriveranno, auspicando che siano sempre
meno fino, che entrambe le delegazioni hanno lavorato intensamente sia in
Brasile che in Italia: per capire meglio come sia possibile accoglierli e sostenere
loro e le famiglie adottive che si sono create e si andranno a creare. Perché è
questo l’obiettivo dell’accoglienza delle adozioni internazionali: essere l’ultimo
degli strumenti della sussidiarietà che possa consentire di dare una famiglia a
tutti i bambini che ne hanno bisogno. Ma allo stesso tempo, come per l’accoglienza residenziale di bambini e adolescenti in Italia con la chiusura degli istituti dopo l’applicazione della legge 149/2001, pur privilegiando la famiglia come
ambiente centrale per la crescita non si possono far mancare le strutture di accoglienza residenziale per tutti quei ragazzi che ancora ne hanno bisogno, così per
le adozioni internazionali occorre utilizzare il meglio delle energie disponibili per
rendere sempre più efficaci gli interventi degli operatori che se ne occupano.
Anche perché non mancano autorevoli conferme della forte utilità di un lavoro
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
formativo analogo a quello realizzato in questi anni dalla Commissione, come
quelle recentissime di due eminenti studiosi quali Eugenia Scabini e Vittorio
Cigoli, che hanno detto «quanto più si sostengono i percorsi formativi per tutti
coloro (giudici, operatori sociali, psicoterapeuti) che approcciano le famiglie che
“osano adottare”, tanto più si concorre al benessere sociale»13.
Durante contatti informali nel periodo che ha visto la delegazione brasiliana in Italia, è emersa la proposta, che sembra sintetizzare magnificamente il
raggiungimento di un pensiero e di una azione comune, da parte di un responsabile della delegazione della CEJAI di San Paolo di creare un gruppo congiunto italo-brasiliano per contribuire alla migliore realizzazione delle adozioni internazionali nei due Paesi. Ed è proprio questa prefigurazione di sistematici spazi di confronto che può ben rappresentare una comunità di pensiero e
di pratiche all’opera. È molto più di quanto era realistico attendersi da un dispositivo formativo che, sostanzialmente, ha previsto una settimana di formazione in Brasile e una analoga in Italia. Ma come accade nei percorsi di alta formazione più significativi da un punto di vista qualitativo è la cura progettuale
complessiva, la verifica accurata dei bisogni formativi, la condivisione di una
metodologia appropriata e la copartecipazione alla predisposizione degli strumenti a moltiplicare esponenzialmente la significatività del tempo disponibile
negli specifici setting formativi.
La sinergia fra pensiero giuridico e riflessioni psicosociali da un lato e l’incontro fra giudici e operatori italiani, di San Paolo, di Bahia e del Minas Gerais
dall’altro, con la regia della Commissione per le adozioni internazionali e la
partecipazione determinante dell’Autorità centrale brasiliana nella persona
della coordinatrice Patricia Lamego, hanno consentito di mettere realmente al
centro le modalità più efficaci di sostegno al bambino nel suo Paese di origine
e le migliori possibilità di selezione, formazione e accompagnamento della
coppia aspirante adottiva in primo luogo e della nuova famiglia adottiva successivamente.
Le riunioni e gli incontri che nei giorni dello stage in Italia tendevano a prolungarsi oltre gli orari stabiliti, moltiplicando le domande e le osservazioni
comparative, sono una fotografia dell’impegno profuso.
La giornata seminariale conclusiva, dopo un contributo di vasto respiro del
professor Giuseppe Milan, non a caso orientato a coniugare la centralità dei
soggetti e le specificità dei contesti interculturali, e dopo una prima visione
del filmato con finalità formative realizzato in Brasile in versione provvisoria,
13 Scabini, E., Cigoli, V., Il legame adottivo: una forma radicale di genitorialità, in Rosnati, R. (a cura
di), Il legame adottivo. Contributi internazionali per la ricerca e l’intervento, Milano, Unicopli, 2010.
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LO STAGE IN ITALIA
si è basata essenzialmente su due tavole rotonde che hanno avuto per protagonisti i partecipanti agli stage e gli enti autorizzati, con il compito di restituire proprio la complessità e le particolarità del percorso realizzato.
La prima tavola rotonda, coordinata dalla vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali, ha restituito uno sguardo reciproco sulle
tematiche giuridiche nel Paese visitato (i magistrati brasiliani sull’Italia e i
magistrati italiani sul Brasile) mettendo al centro in particolare le tendenze
attuali e le tendenze innovative, oltre alle comparazioni possibili. Sono rimasti comunque sempre in evidenza i bambini e il percorso di abbinamento nel
Paese di origine, oltre alle coppie e le famiglie adottive nel Paese di accoglienza, con l’inserimento dello specifico punto di vista degli enti autorizzati,
in particolare sulle nuove norme previste dalla recente legge brasiliana.
La seconda tavola rotonda, coordinata dal responsabile scientifico e formativo, ha permesso di delineare alcune caratteristiche generali dei sistemi
dei servizi per l’infanzia e l’adolescenza nei rispettivi Paesi, comprese quelle
specifiche del sistema dei servizi psicosociali per le adozioni internazionali
con riferimento ai bisogni e alle competenze dei diversi soggetti coinvolti14; gli
enti autorizzati hanno portato osservazioni sui nodi critici individuabili nel
percorso adottivo e sulle forti progressioni riscontrate nello sviluppo in Brasile
delle adozioni nazionali, a riprova di concreti investimenti sulla sussidiarietà.
Non è la prima volta che si realizzano stage formativi all’estero (nel
2003/2004 la Commissione per le adozioni internazionali ha condotto stage
nell’Europa dell’Est15), ma è la prima volta che rappresentano un effettivo
scambio formativo “alla pari” fra due Paesi. Dal punto di vista formativo, quindi, questa esperienza, che si può sicuramente definire di alta formazione fra
Italia e Brasile, potrà rimanere come espressione di una buona prassi, per
certi aspetti anche di un modello indicabile ai colleghi degli altri Paesi come
una concreta possibilità di confronto costruttivo e di messa a punto di strategie e metodi adattabili a contesti così mutevoli.
Un approccio che restituisce vitalità e concretezza ad accordi che spesso
rischiano di essere buone affermazioni di principio difficilmente realizzabili.
Un senso, quindi, profondamente formativo, perché aiuta tutto il sistema a
evolvere e a funzionare meglio, ma anche significativamente autoformativo,
14 L’interesse degli operatori brasiliani era particolarmente centrato sulla preparazione delle
coppie per le adozioni, poiché in Brasile non c’è, nella loro esperienza, una possibilità di formazione
così consistente come accade in Italia (ha colpito molto la sproporzione di investimento sulle famiglie affidatarie: «1.500 a Bologna e 3 a Belo Horizonte», dice durante la tavola rotonda psicosociale
l’esponente del Minas Gerais).
15 Cfr. Commissione per le adozioni internazionali, L’operatore oltre frontiera, cit.
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
perché aiuta ciascuno a essere protagonista del miglioramento strutturale di
procedure e prassi operative.
Può essere questa una prima conclusione provvisoria del lavoro formativo realizzato: il valore aggiunto, cioè, di questa esperienza è rappresentato
dal passaggio da contributi formativi a contesti significativamente autoformativi. È solo con questo passaggio infatti che le più recenti riflessioni a
livello nazionale e internazionale identificano la possibilità di un “effetto
moltiplicatore” delle tendenze innovative16, dove ciascuno dei partecipanti
si fa interprete di una significativa diffusione di quanto non solo è stato
appreso, ma è stato rielaborato più profondamente a livello interno. Non
succede spesso, ma quando accade non c’è bisogno di parlarne troppo, perché lo si vede negli sguardi, lo si percepisce nella soddisfazione e negli
abbracci sinceri, lo si intuisce nella comunicazione ricca, nonostante e oltre
le barriere linguistiche.
Si può concludere con un’affermazione del massimo esponente degli studi
sulla resilienza, la capacità cioè di poter resistere anche a forti sconvolgimenti e ricostruire un nuovo equilibrio che faccia riacquistare una condizione vicina a quella della normalità perduta. Dice Boris Cyrulnik: «L’adozione non è un
trauma: anzi, è un incontro che permette un’evoluzione resiliente» 17.
Un’affermazione che può contribuire a dare un senso ulteriore alle molte energie che vengono spese nel lavoro quotidiano di migliaia di operatori e responsabili, e che sono state profuse senza risparmiarsi da tutti coloro che hanno
partecipato al lavoro formativo, tanto brasiliani quanto italiani.
4. Quando
un organismo è molto
più della somma
delle singole parti
(per una conclusione
provvisoria)
Come mai “fare formazione” era diventato un imperativo a cui le persone dovevano comunque sottomettersi? […] Come si sarebbe potuto contenere o alleviare il peso dei corsi “pre-ordinati”, il peso di una formazione così, “calata dall’alto”? […] Occorreva ricercare, in qualche modo, almeno una possibilità per una
formazione diversa, più capace di intonarsi alle persone. […] (Occorreva) una possibile via alternativa o ulteriore che conducesse nel luogo in cui le persone avrebbero potuto sentire di abitare, pienamente, nella casa della “loro” formazione18.
16 Cfr. Quaglino, G.P. (a cura di), Autoformazione. Autonomia e responsabilità per la formazione
di sé nell’età adulta, Milano, Raffaello Cortina, 2004; Schon, D.A., Formare il professionista riflessivo, Milano, Franco Angeli, 2006; Macario, G., L’arte di formarsi, Milano, Unicopli, 2008; Quaglino,
G.P., La scuola della vita. Manifesto della terza formazione, Milano, Raffaello Cortina, 2011.
17 Cfr. B. Cyrulnik, Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare le esperienze
traumatiche, Milano, Raffaello Cortina, 2009.
18 Quaglino, G.P., La scuola della vita. Manifesto della terza formazione, Milano, Raffaello
Cortina, 2011, p. 18.
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LO STAGE IN ITALIA
La formazione realizzata con diversi testimoni privilegiati del mondo delle
adozioni internazionali in Italia e in Brasile, e in particolare negli Stati di Bahia,
di Minas Gerais e di San Paolo, intendeva andare proprio nella direzione indicata da Gian Piero Quaglino, uno dei padri della formazione in Italia. D’altra
parte la stessa formazione nazionale per le adozioni internazionali realizzata
in Italia negli ultimi anni19 è giunta sempre più a individuare un contesto metodologico di formazione-intervento, orientato nella direzione prassi-teoriaprassi. In questo contesto molti dei partecipanti alla formazione diventano
autori di contributi significativi, e la formazione nel suo complesso diventa
contenitore ideale delle biografie di ragazzi e genitori ma anche delle “autobiografie professionali”, e non solo, degli stessi operatori.
Se, quindi, anche questo gruppo di formazione internazionale italo-brasiliano ha potuto, almeno in parte, costituirsi come una sorta di thinking group
di elevato valore culturale, o ancora meglio come una comunità temporanea di
pratiche e di pensiero, allora si può pensare che anche altri contesti ad alta
complessità – quale quello qui considerato, tale per i problemi metodologici,
logistici, linguistici che lo contraddistinguono – possano prefigurare interventi di alta formazione, magari ancora più articolati, a patto che si adotti un
approccio sempre più caratterizzato dall’empowerment, e cioè che, con
Tomkiewicz, si sappia «imparare a riconoscere che una bottiglia mezza vuota
– argomento vulnerabile – è anche mezza piena – argomento resiliente”20,
poiché, in una formazione così orientata, «ciò che si apprende nella formazione non è un cambiamento bensì una o più nuove possibilità all’interno di
sé»21. E quanto viene considerato un approccio estremamente innovativo per
la formazione aziendale22 è già strettamente connaturato alle realtà formative
come quella considerata in questo volume. È anche per questo che l’attività
formativa complessiva realizzata appare, nei resoconti e nelle considerazioni
19 Fra l’altro, molte delle tematiche già trattate nel 2009 e 2010 nei seminari formativi nazionali
di approfondimento hanno intrecciato in vario modo i lavori di questa formazione fra Italia e Brasile
(si veda, ad esempio: adolescenza e adozione; le adozioni di fratelli; l’inserimento scolastico nel
postadozione; le specificità interculturali dal pre al postadozione), mentre alcuni seminari in fase di
progettazione per il 2011 potranno far tesoro dell’esperienza realizzata (vedi, ad esempio, i bambini
con special needs).
20 Tomkiewicz, S., La nascita del concetto di resilienza, in «Bambini in Europa», 3, 2006.
21 Bruscaglioni, M., Per una formazione vitalizzante, Milano, Franco Angeli, 2005.
22 «Oggi sempre più ciò che viene richiesto dalle aziende sono persone che sentano come proprio l’oggetto del proprio lavoro, si passa cioè da un lavoro vissuto come vendita del proprio tempo
a un ente terzo a uno che è vissuto come espressione di sé e del proprio desiderio di realizzare qualcosa, di incidere nella realtà» (Gheno, S., Crescere per far crescere. La nuova formazione manageriale, in Bruscaglioni, M., Per una formazione vitalizzante, Milano, Franco Angeli, 2005).
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LO STAGE DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA E IL SEMINARIO CONCLUSIVO
dei diversi partecipanti, molto più consistente della somma delle singole azioni formative prese a sé stanti: come si è già accennato, infatti, l’“organismo
formativo” che si è messo insieme vale molto di più delle singole parti (o giornate formative) che lo compongono. E la prospettiva è che le ricadute positive
possano ulteriormente amplificarsi in una «prospettiva circolare: se i singoli
competenti ed empowered contribuiscono a rendere più competenti i gruppi e
le reti a cui partecipano, queste a loro volta diventano setting ambientali che
offrono nuovi stimoli alle persone che li frequentano»23.
È una convinzione e un auspicio, non una certezza.
La conclusione quindi di tutto questo percorso è sì provvisoria, ma non per
questo meno convinta. Ed è una conclusione che riprende uno spunto portato
all’inizio del viaggio formativo in Brasile, preso in prestito da un collega psicologo e scrittore.
La spedizione del Borneo era finanziata dall’Università di Vienna, ma i fondi
erano limitati, e quindi per guadagnare tempo l’antropologo Max Knaus marciava rapido alla testa della spedizione. I portatori a un certo punto si fermarono.
«Siete stanchi?», disse.
«No, ma siamo andati troppo veloci e le nostre anime sono rimaste indietro».
E la spedizione si fermò per aspettarne l’arrivo24.
Richiama il camminare lentamente, e anche il riuscire a cogliere quanto
accade tutto intorno, a percepire quanto ci circonda senza dimenticare ciò che
matura, con tempi non sempre prevedibili, dentro ciascuno, a livello autoriflessivo. Tutto il contrario rispetto ai tempi accelerati della vita quotidiana.
Riguarda il vivere quotidiano di ciascuno sia negli aspetti naturali sia in quelli professionali. E riguarda la capacità di ognuno di comprendere i bambini, di
adeguare il proprio lavoro alle loro esigenze e ai loro tempi, e non viceversa.
Si vorrebbe, infatti, evitare di perdere per strada anche le anime dei bambini, e con le loro, quelle di ciascuno di noi.
23
Francescato, Leone, Traversi, 1993, citato in Bruscaglioni, M., Gheno, S., Il gusto del potere.
Empowerment di persone e azienda, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 32-33.
24 Bocconi, A., Diogene, n. 18, in www.diogenemagazine.eu
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LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
La Commissione per le adozioni internazionali
e le collaborazioni a livello internazionale.
L’Italia e il Brasile
Daniela Bacchetta
Vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali
1. Le collaborazioni
fra Italia e Brasile
in tema di adozioni
internazionali
La Commissione per le adozioni internazionali e la collaborazione internazionale con specifico riferimento ai rapporti fra Italia e Brasile è il tema che
ritengo utile approfondire in questa sede seminariale conclusiva. Per svolgere
al meglio il compito, intendo soffermarmi sulle caratteristiche della Commissione e del lavoro che la Commissione svolge, per poi passare a individuare
alcuni aspetti specifici dell’attività che altrimenti potrebbero essere poco chiari o oggetto di interpretazione non esatta. D’altro canto, l’approfondimento
degli aspetti legislativi e di funzionamento strutturale della Commissione può
risultare determinante nelle relazioni internazionali, in particolare con il
Brasile, al fine di rendere sempre più efficaci e ben fatte le procedure delle
adozioni internazionali.
L’interessante esperienza di incontro realizzata a Brasilia nel dicembre
2008, quando una delegazione di rappresentanti della Commissione adozioni
internazionali e i presidente degli enti autorizzati e accreditati per lavorare in
Brasile sono stati invitati da Patricia Lamego, ha costituito la prima vera occasione di conoscenza e di proficuo scambio di informazioni. Certo l’incontro di
dicembre era stato a sua volta preceduto dal convegno internazionale dell’aprile 2008, svoltosi sempre a Firenze presso l’Istituto degli Innocenti, ma in
quella occasione la brevità dell’incontro specifico non aveva permesso di focalizzarsi a fondo sulle relazioni fra Italia e Brasile.
2. La Commissione
per le adozioni
internazionali:
composizione
e funzionamento
Per avviare questa disamina, partirei da alcuni dati descrittivi riguardanti la
Commissione per le adozioni internazionali, che è l’Autorità centrale italiana.
La Commissione è un organo collegiale, e ciò comporta molti pregi e qualche
difetto, perché ci sono alcune difficoltà operative rispetto ad Autorità centrali
organizzate come autorità individuali o con una testa e un corpo amministrativo, come sono costruite nella maggior parte dei Paesi.
La Commissione si riunisce una volta al mese, ne fanno parte una ventina
di membri rappresentanti dei ministeri che sono più interessati al cammino
dell’adozione perché svolgono un ruolo importante, ovvero i ministeri della
Giustizia, della Famiglia, dell’Economia, degli Affari esteri, degli Interni, del
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
Welfare, della Scuola e della Sanità, ma anche le associazioni della famiglie.
In questa sede vengono prese le decisioni fondamentali per le politiche dell’adozione internazionale. Nella vita quotidiana c’è la Segreteria tecnica, diretta fin dal suo nascere dalla dottoressa Maria Teresa Vinci che ne è il Direttore
generale: si tratta di una sorta di “braccio armato”, che permette all’Autorità
centrale di svolgere il suo lavoro di vigilanza e coordinamento degli enti autorizzati e di confronto e collaborazione con le Autorità centrali degli altri Paesi.
Nell’assetto della Commissione, la figura preminente e più “politica” è il presidente, attualmente il senatore Carlo Giovanardi, quale delegato del
Presidente del Consiglio, dato che la Commissione è incardinata presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre il vicepresidente, figura più “tecnica” è rappresentato dalla mia persona, in quanto giudice con esperienza nel
settore della giustizia minorile.
Si tratta di un’esperienza che costituisce un prezioso retroterra per poter
esercitare al meglio le funzioni richieste dalla Commissione. In particolare, per
come sono strutturati i tribunali per i minorenni italiani, è determinante sia la
competenza maturata nell’ambito penale, concernente cioè i reati commessi
dai minorenni, ma soprattutto quella maturata in ambito civile, che riguarda la
tutela dei minorenni, la limitazione della potestà genitoriale, le procedure di
adottabilità, le dichiarazioni di adottabilità, le valutazioni delle coppie aspiranti all’adozione nazionale e internazionale e quindi la concreta attuazione
delle adozioni.
3. Il divieto di adozioni
indipendenti
e l’importanza
del ruolo degli enti
autorizzati
Ci sono due aspetti importanti da tenere presenti. Il primo riguarda la scelta del legislatore italiano che nel 1998 ratificò la Convenzione de L’Aja optando, nonostante alcune difficoltà e tensioni, per il divieto – a regime – delle
adozioni indipendenti. Non si sarebbero quindi più realizzate adozioni indipendenti, che erano invece possibili e molto frequenti nel periodo precedente. Dal 1998 in poi, salvo un periodo transitorio che è andato avanti fino al
2001/2002, le adozioni internazionali realizzate dalle coppie residenti in Italia
si sono concretizzate con l’ausilio e l’intervento degli enti autorizzati. Si è visto
in seguito, nel corso degli anni, come l’intervento necessario dell’ente autorizzato sia indicato come un traguardo dalle organizzazioni internazionali che
si occupano di adozione internazionale: Permanent Boreau della Conferenza
de L’Aja, Servizio sociale internazionale, UNICEF. La presenza di un’organizzazione intermedia non solo rappresenta le coppie, le prende in carico, le aiuta
a realizzare all’estero l’adozione internazionale, ma costituisce altresì una
garanzia di correttezza e professionalità nei confronti dell’Autorità del Paese
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LA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI E LE COLLABORAZIONI
A LIVELLO INTERNAZIONALE. L’ITALIA E IL BRASILE
di provenienza della coppia e nei confronti del Paese di origine del bambino
adottando. Si tratta, quindi, un soggetto intermedio che le Autorità hanno il
dovere e il diritto di verificare e di controllare, intervenendo eventualmente
con provvedimenti sanzionatori. Viceversa, in assenza di soggetti intermedi le
coppie possono compiere errori per ignoranza dei dettati legislativi, possono
essere preda di sfruttatori, spesso difficili da individuare e punire.
Non ci si può nascondere che nel 1998 ci furono molte pressioni perché
questa radicale innovazione non passasse: rendere obbligatorio l’intervento
di un ente nel percorso adottivo fu inizialmente vissuto come una forma di
coercizione della libertà dei singoli. In seguito è subentrata la generale convinzione che questo sia un buon sistema. Chiaramente tutto è perfettibile, ma
su questo terreno l’Italia è comunque all’avanguardia, unico grande Paese in
cui le adozioni indipendenti sono davvero vietate.
Tutta questa spiegazione che precede anche per motivare la presenza in
Italia di un numero così elevato di enti autorizzati, che spesso nascono dalle
esperienze di genitorialità adottiva degli stessi fondatori degli enti, riuniti a volte
in gruppi di famiglie, che nell’entusiasmo della loro esperienza personale hanno
voluto aiutare le altre coppie che si affacciavano e si affacciano all’adozione
internazionale. Ora il mondo dell’adozione internazionale è cambiato e gli enti
che vogliono continuare a lavorare bene devono essere sempre più professionali. In questa direzione è importante segnalare che la Commissione nel 2008 ha
adottato una delibera con la quale ha chiarito in modo molto puntuale i requisiti indispensabili perché un ente possa essere autorizzato a svolgere le attività di
supporto e intermediazione nell’adozione internazionale in Italia e all’estero.
Alla luce di queste spiegazioni, è chiaro che l’elevato numero di enti autorizzati italiani è direttamente connesso al divieto delle adozioni indipendenti.
Se guardiamo infatti alla situazione in Francia, il 30% delle adozioni sono
indipendenti: ciò costituisce un indubbio motivo di preoccupazione per
l’Autorità centrale francese, che vorrebbe avere una legge che vietasse le adozioni indipendenti. Tuttavia la Francia ha comunque più di 50 enti autorizzati,
che fanno quindi apparire la nostra situazione non così squilibrata. Anche in
Spagna, Paese confrontabile con l’Italia per numero di adozioni, accade la
stessa cosa.
Sempre in merito al rapporto esistente fra la Commissione e gli enti, occorre ricordare che la Convenzione de L’Aja prevede che le Autorità centrali possano avvalersi, per lo svolgimento delle attività assegnate dalla Convenzione,
di altri organismi pubblici o privati. In Italia gli organismi presenti sono tutti
privati, tranne uno, l’Agenzia regionale del Piemonte (ARAI), soggetto attivamente partecipe di questa esperienza di scambio e formativa.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
4. Le funzioni svolte
dagli enti autorizzati
e il ruolo di verifica
e supporto
dell’Autorità centrale
Gli enti autorizzati rappresentano, ancorché informalmente, l’Italia all’estero nello svolgimento delle procedure di adozione. Sono i soggetti ai quali il
legislatore italiano ha affidato il compito di accompagnare le coppie per lo
svolgimento delle procedure adottive in altri Paesi. L’operato degli enti all’estero deve essere oggetto di controllo, di vigilanza, di verifica da parte dell’Autorità centrale perché, anche se in termini non tecnici, essi “rappresentano” la
stessa Autorità centrale, portano all’estero la sua voce, esprimono il nostro
modo di lavorare, la nostra visione dell’adozione internazionale, nel rispetto
delle norme che la governano. È quindi importante interagire con gli enti; è per
questo che vengono realizzate delle riunioni periodiche con loro per condividere le informazioni sui singoli Paesi e decidere insieme come portare avanti
il lavoro. Si cerca sempre di raggiungere decisioni concordate, senza però
rinunciare al ruolo direttivo della Commissione. Per esempio, nell’ultimo anno
la Commissione è stata molto attiva e propositiva rispetto alle attività in Cambogia, Paese in cui, a causa di difficoltà operative e procedurali, è stato deciso di sospendere il deposito di nuovi fascicoli. È stata una decisione concordata con gli enti, ma se così non fosse stato la Commissione avrebbe dovuto
e potuto comunque imporla.
Il rapporto di condivisione è sempre molto importante ed è garantito uno
scambio di informazioni molto stretto e fruttuoso: ma è comunque un rapporto su piani diversi, dove l’Autorità centrale è l’autorità statale di indirizzo e di
vigilanza sull’attività degli enti.
La stessa dottoressa Lamego e chi è stato presente in occasione degli
incontri qui a Firenze o in Brasile avrà potuto constatare come ci sia un buon
coordinamento con gli enti, che passa attraverso una costante attività di
comunicazione e vigilanza, svolta dalla Commissione con il proficuo lavoro
della Segreteria tecnica. Da diversi anni disponiamo di un sofisticato sistema di informazione via web, che viene perfezionato di anno in anno e che
consente una comunicazione in tempo reale, riservata e dedicata fra Commissione ed enti autorizzati. Inoltre, il sistema informatico della Commissione è tale da consentirci di seguire ogni singola procedura in ogni suo
momento; fin dal suo primo nascere quando la coppia è dichiarata idonea
all’adozione internazionale, il tribunale per i minorenni manda alla
Commissione il decreto e viene aperto un fascicolo, cartaceo e informatico.
Nel momento in cui, entro l’anno, la coppia dà mandato a un ente, lo stesso lo comunica alla Commissione. Da quel momento in poi ogni successiva
fase di svolgimento della procedura deve essere comunicata alla Commis sione, che è quindi in grado di seguirla in tutte le sue fasi ed eventualmente intervenire. Ad esempio, la Commissione ha la possibilità di verificare se
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LA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI E LE COLLABORAZIONI
A LIVELLO INTERNAZIONALE. L’ITALIA E IL BRASILE
una coppia rimane per troppo tempo “ferma” senza che la sua procedura
venga avviata in un Paese, è in grado di sapere in ogni momento quante
coppie hanno dato incarico a un ente, quanti incarichi sono stati presi in un
anno specifico, quanti mandati in quell’anno sono stati portati a termine e
in quale Paese.
5. Il sistema
di trascrizione
dell’adozione
internazionale
in Italia
e il postadozione
Le sentenze di adozione straniere non hanno efficacia immediata in Italia,
ma occorre passare attraverso una fase giudiziaria di riconoscimento. È un
aspetto che capiamo possa creare preoccupazione ai nostri colleghi brasiliani.
La ragione della necessità di tale meccanismo (peraltro presente anche in altri
Paesi d’accoglienza che hanno ratificato la Convenzione de L’Aja) è che la
legge di ratifica della Convenzione ha elaborato un sistema che si applica in
modo sostanzialmente uniforme alle adozioni internazionali ovunque realizzate, non solo nei Paesi aderenti alla Convenzione de L’Aja. Questa uniformità si attenua nella procedura per il riconoscimento, ma sono previste comunque verifiche a cura del giudice anche in merito alle adozioni realizzate in
Paesi del “sistema Aja”. La Commissione adozioni si è già attivata per ottenere modifiche normative in questa materia: si tratta però di percorsi che possono essere lunghi, in Italia come negli altri Paesi. Allo stato, l’impegno
dell’Autorità centrale italiana, condiviso con i tribunali e con gli enti, è quello
di operare per arrivare con la massima celerità alla trascrizione delle sentenze
di adozione. Possiamo assicurare che la celere trascrizione delle sentenze
delle adozioni dal Brasile è un adempimento all’attenzione quotidiana dei tribunali e della Commissione.
Per quanto riguarda il postadozione, ormai il sistema informatico utilizzato
dalla Commissione permette di segnalare, Paese per Paese, procedura per
procedura, i termini di scadenza entro i quali devono essere presentante le
relazioni di postadozione. Gli enti sono tenuti, sempre nell’ambito della rete
informatica che ho prima descritto, a dare l’avviso dell’invio all’estero della
relazione nel momento in cui lo fanno, e la Commissione è in grado di verificare quale è la situazione del postadozione di ogni procedura in qualsiasi
momento.
Questo sistema informatico è motivo di orgoglio per l’Autorità centrale italiana, anche perché per ora unico al mondo. Tant’è che nel prossimo mese di
febbraio delle delegazioni estere verranno in visita da noi per conoscere il
sistema in modo da poterlo importare nei propri Paesi: anche se, ovviamente,
si tratta di un sistema decisamente più difficile da realizzare nei Paesi in cui
sono consentite le adozioni indipendenti.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
6. La preparazione
delle coppie
e l’abbinamento
Credo sia importante fare un passo indietro per comprendere meglio un
altro punto specifico della procedura dell’adozione: e cioè la concordanza
dopo l’abbinamento, prevista all’art. 17 della Convenzione. L’abbinamento
proposto e accettato viene infatti comunicato dall’ente alla Commissione, con
la richiesta di emissione del provvedimento ai sensi dell’art. 17. Normalmente
questa è una procedura semplice, quasi automatica, nel senso che, arrivata la
richiesta di provvedimento ai sensi dell’art. 17, si controlla il tenore del decreto di idoneità, la sua validità, l’assenza di informazioni impeditive: si può quindi rilasciare il provvedimento di concordanza alla prosecuzione della procedura, da inviare all’estero. In alcuni casi, invece, possono essere necessari interventi diversi della Commissione.
Ad esempio: sappiamo tutti che le adozioni riguardano sempre più spesso
situazioni difficili. Nei fascicoli leggiamo storie di famiglie sempre più complicate, con interventi di sostegno pubblico protratti nel tempo, magari tentativi
falliti di affidamenti o adozioni nazionali. Come succede anche in Italia, all’adozione si arriva un po’ più tardi, talvolta, inevitabilmente, con bambini più
sofferenti.
Risulta quindi sempre più importante la preparazione delle coppie e dei
bambini: questo è un argomento che avremo modo di affrontare nel prosieguo
dei lavori, nel confronto con i giudici e con gli operatori.
Le autorità brasiliane ricevono le nostre relazioni e le studiano, e qualche
volta ritengono che si debba andare più in profondità. La Commissione condivide pienamente il fatto che le relazioni non abbastanza dettagliate debbano essere aggiornate e approfondite. Talvolta questo determina la “bocciatura” della coppia. Così come sono da verificare le relazioni che riportino
solo il pensiero o l’attitudine delle coppia, invece delle valutazione degli
esperti, poiché certamente la coppia deve essere disponibile ad accettare
l’esperienza ma la sua disponibilità deve esser valutata da parte dei professionisti.
Ricordo a questo proposito un caso concreto: si trattava di un gruppo di tre
sorelle, una nata nel 1996, la seconda nel 1997 e la terza nel 2002; la coppia
che era stata abbinata era formata dalla moglie nata nel 1976 e dal marito
ancor più giovane, del 1980.
La Commissione ha ritenuto che l’abbinamento non fosse così opportuno
perché era prevedibile che il giovane marito, data l’età, sarebbe diventato un
compagno di giochi delle due ragazze più grandi mentre la moglie si sarebbe
dedicata alla cura della bimba più piccola. È stato quindi chiesto ai servizi e
all’ente di rivedere la cosa per evitare problemi sia alle bambine sia alla coppia, ma anche agli stessi servizi.
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LA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI E LE COLLABORAZIONI
A LIVELLO INTERNAZIONALE. L’ITALIA E IL BRASILE
È vero infatti che l’adozione avrebbe potuto arrivare a buon fine comunque, ma la possibilità di ragionare meglio su di un caso così problematico ha
permesso a tutti i soggetti, che hanno potuto così condividere le responsabilità dell’adozione, di rivederlo e ripensarlo prima che si arrivasse a criticità poi difficili da risolvere. Molto ci sarebbe ancora da aggiungere, ma i contributi ulteriori potranno sicuramente completare il quadro che ho cercato
fin qui di tracciare.
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La cooperazione internazionale
e il ruolo tecnico-operativo della Commissione.
Il ruolo degli enti autorizzati
Maria Teresa Vinci
Direttore generale della Segreteria tecnica della Commissione
per le adozioni internazionali
1. La cooperazione
e il contesto
di nascita degli enti
autorizzati
Anche l’attività di cooperazione organizzata dalla Commissione per le adozioni internazionali si sviluppa secondo un filone di pensiero che è quello
all’interno del quale è stato costituito il procedimento adottivo. Le considerazioni molto positive della vicepresidente sull’impegno da me profuso in questi anni nell’organizzazione dell’Autorità centrale sono naturalmente molto
gradite; desidero però sottolineare un grande lavoro di squadra presente fin
dall’avvio del nostro lavoro.
Daniela Bacchetta diceva che la Commissione può usufruire di un sistema
organizzativo rigoroso, centralizzato; in modo più tecnico dirò che è stato prescelto un modello di organizzazione delle attività secondo le più moderne teorie di organizzazione del lavoro oggi codificate anche per il settore pubblico,
aventi come obiettivo procedure semplificate, ottimizzazione dei tempi nelle
singole fasi procedurali, immediata risposta alle domande delle famiglie:
sostanzialmente, migliore efficienza e qualità.
A fianco della tradizionale organizzazione “per funzioni”, inevitabile per
specifiche attività strettamente collegate o dipendenti da altri dipartimenti
della Presidenza del consiglio dei ministri, si è sviluppata l’organizzazione
“per flussi” e “per progetti”, che sono le caratteristiche di un sistema avanzato di qualità.
Sono stati disegnati i flussi e individuati i progetti inerenti le attività istituzionali, le procedure riguardanti l’iter adottivo, l’attività autorizzatoria degli
enti, l’attività di vigilanza sui medesimi, il sostegno alle coppie adottive, la
pubblicazione di bandi pubblici, l’attuazione dei progetti di sussidiarietà, la
gestione finanziaria. Si è pensato a una struttura che non fosse impostata
secondo il sistema piramidale tradizionale delle amministrazioni centrali, ma
che fosse in grado di dare risposte concrete ai bisogni espressi dalla collettività e dai soggetti pubblici e privati previsti dall’ordinamento per l’esecuzione
della Convenzione: amministrazioni centrali, regioni, tribunali, enti autorizzati
e, innanzitutto, le famiglie adottive.
Faccio ricorso a un’immagine geografica, quella di un fiume cui afferiscono
vari affluenti, per rappresentare la linearità e la complessità di tale sistema e
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
le possibili risposte che esso offre nella realizzazione degli obiettivi di programmazione annualmente prefissati.
Tutti i procedimenti sono infatti organizzati secondo uno specifico flusso
telematico e procedimentale che consente di scandire le tappe della procedura. Come gli affluenti confluiscono nel fiume e si incontrano con altri flussi,
così la confluenza dei dati di ogni singolo flusso procedimentale in quello principale consente di disporre di conoscenze che consentono un costante monitoraggio di tutte le attività, rilevazioni statistiche aggiornate, adeguamento
strutturale alle nuove esigenze, una programmazione e pianificazione costante e verificabile.
In questo contesto organizzativo, le iniziative di sussidiarietà e di cooperazione della Commissione, in ambito nazionale e internazionale, in collaborazione con gli enti autorizzati, sono state realizzate con il massimo dei risultati.
Ritengo importante soffermarmi su alcuni aspetti che qualificano il sistema
italiano, che credo meritino di essere approfonditi e compresi nella loro genesi. Mi riferisco ad esempio all’obbligo e all’esclusività del ricorso all’ente autorizzato da parte delle coppie adottive.
Per comprendere bene la scelta operata dal legislatore al momento dell’approvazione della legge di ratifica, occorre calarsi nel contesto culturale
dell’Italia fra gli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90.
In quegli anni si è legiferato in varie materie riguardanti il settore della solidarietà sociale. Mi riferisco alla legge che disciplina i rapporti con le organizzazioni di volontariato, a quelle inerenti l’impresa sociale, l’associazionismo
culturale, il decentramento e la regionalizzazione.
In quegli anni fu realizzata una rivoluzione copernicana dal punto di vista
istituzionale così importante che certamente non si poteva pensare alla famiglia se non all’interno di questo nuovo modo di guardare al rapporto tra pubblico e privato.
L’altro aspetto importante, conseguente alla trasformazione giuridico istituzionale del sistema, è che venivano poste le fondamenta della collaborazione tra pubblico e privato per l’erogazione di servizi alla persona e alla famiglia,
secondo un rapporto di solidarietà.
L’ente autorizzato, in quanto associazione familiare non lucrativa riconosciuta, avente finalità di promozione dei diritti dell’infanzia e dei valori della
famiglia, non è visto soltanto come il soggetto di intermediazione da sottoporre a controllo, ma è il soggetto capace di accompagnare la coppia, che
affronta una sfida importante, come quella di costruire una famiglia fra soggetti appartenenti a mondi lontani, con tradizioni e culture diverse, con valori
che a volte si assomigliano ma che a volte sono molto distanti fra loro.
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LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E IL RUOLO TECNICO-OPERATIVO DELLA COMMISSIONE.
IL RUOLO DEGLI ENTI AUTORIZZATI
In questa visione culturale, il percorso da compiere non è soltanto individuato dal punto di vista giuridico e tracciato secondo un “flusso”’ controllabile, ma diviene un sistema in cui si sviluppano i rapporti di collaborazione fra
soggetti competenti nel procedimento adottivo, in grado di guidare i cambiamenti e di far superare le possibili criticità che riguardano una famiglia interessata da un così importante cambiamento.
2. L’Autorità centrale
italiana
e la collaborazione
fra i soggetti
che si occupano
di adozione
Indubbiamente questa visione culturale presupponeva un ulteriore passo
in avanti sul fronte delle adozioni internazionali. Bisognava vincere nuove
sfide culturali in Italia e all’estero. Da qui la specifica previsione normativa
della legge di ratifica che contempla, fra i compiti propri dell’Autorità centrale
italiana, la promozione della collaborazione fra soggetti diversi da quelli che
si occupano di adozione internazionale. In questo contesto ci possiamo anche
riferire alla collaborazione e allo scambio di esperienze fra Autorità centrali
che si fondano su una progettazione condivisa. Ma a base della progettazione
vi è l’individuazione dei bisogni e dei soggetti destinatari dell’intervento; allora l’ente autorizzato, come organizzazione non governativa che opera nel
Paese, vicino alle situazioni di bisogno, per primo può captare, progettare e
interpretare il tipo di intervento che occorre realizzare. Ogni progetto va però
disegnato e realizzato in sinergia con le autorità locali di riferimento onde
compiere scelte strategicamente importanti, in grado di realizzare un miglioramento duraturo. È in questo quadro di riferimento che il sistema della
cooperazione della Commissione può essere ulteriormente esplorato.
3. Il sistema
di cooperazione
e il rapporto
con le altre Autorità
centrali
Sono comprensibili le perplessità o le preoccupazioni del Permanent Boureau
nei confronti dei Paesi ove gli interventi di cooperazione sono svolti con il sostegno, la collaborazione e l’assistenza degli organismi che si occupano di adozione internazionale se osservate soltanto dal punto di vista di un rapporto di scambio; ciò ha la sua ragion d’essere se la cooperazione viene considerata esclusivamente come assistenza alle realtà e ai bambini coinvolti nella adozione internazionale. I presenti comprenderanno che questo non è il caso dell’Italia.
Il nostro desiderio di collaborazione con le autorità dei Paesi di origine scaturisce dall’obiettivo di realizzare una vera solidarietà in favore delle fasce più
deboli della società e non soltanto nei confronti dei bambini adottabili.
D’altronde in tutte le convenzioni internazionali sono affermati principi
molto importanti e solenni cui gli Stati sono tenuti a conformarsi e che noi tutti
condividiamo; il nostro dovere morale consiste nel tradurli in azioni concrete.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DELLE ISTITUZIONI
L’Autorità centrale italiana ha sviluppato programmi di cooperazione con
numerose autorità di altri Paesi. Per quanto riguarda il Brasile, le iniziative di
sussidiarietà si sono sviluppate in tre direzioni:
• la collaborazione sul fronte procedimentale, già descritta in modo articolato dalla vicepresidente Bacchetta;
• la collaborazione sul fronte della promozione culturale: è quello che si
sta facendo oggi;
• la collaborazione sul fronte dell’effettivo intervento per determinare nuove
e migliori condizioni di vita per l’infanzia in difficoltà nei nostri Paesi.
Sottolineo la diversificazione delle scelte fatte, dettate da vari motivi, che
vanno dall’esigenza di cogliere tutte le opportunità, alla necessità di assicurare massima trasparenza, e all’importanza di innescare processi reali di cambiamento e di semplificazione.
Sono stati inoltre realizzati progetti condivisi tra Autorità centrali ed enti
accreditati nel Paese, progetti che nascono direttamente dalla collaborazione
delle due Autorità centrali, oppure progetti che vengono promossi e realizzati
dagli enti, sempre dopo averli concordati con le Autorità del Paese di origine,
che la Commissione finanzia a seguito di un bando pubblico che viene emanato ogni anno. In questo bando vengono individuati numerosi e complessi
obiettivi, le metodologie, i tempi programmati, il monitoraggio, le prospettive
cambiamento, e i risultati che si intendono conseguire.
Un’altra forma molto avanzata di cooperazione è quella oggetto di intese
istituzionali di programma o di accordi di programma. Si tratta di interventi di
programmazione negoziata, dove tutti gli attori pubblici e privati si siedono
intorno ad un tavolo e avendo come riferimento un’area geografica specifica,
individuano i bisogni, le priorità, le modalità di attuazione degli interventi.
Nella negoziazione vengono altresì individuate le modalità per fare sistema,
quali le prospettive di cambiamento, i ruoli dei partecipanti al tavolo, l’oggetto
e le modalità degli interventi, le risorse da mettere in campo. È possibile che
un intervento di programmazione negoziata sia più facilmente realizzabile nei
Paesi dove è più semplice il raccordo con le Autorità centrali o perché c’è una
tradizione di collaborazione, com’è nel caso del Brasile, o perché c’è un accordo bilaterale, come accade ad esempio con il Vietnam, o perché si sono create
comunque condizioni efficaci di collaborazione fra enti autorizzati, Autorità del
Paese e Regioni italiane. Si tratta di mettere insieme le risorse, da quelle economiche, alle persone, ai mezzi e a tutto ciò che può determinare il miglioramento del funzionamento del sistema dei servizi ai bambini, alle famiglie, gli
aiuti alle madri, in modo da fare uscire quell’area da una situazione di difficoltà, che è indirettamente la genesi del futuro stato di abbandono dei bambini.
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LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E IL RUOLO TECNICO-OPERATIVO DELLA COMMISSIONE.
IL RUOLO DEGLI ENTI AUTORIZZATI
Si tratta, quindi, di prevenire l’abbandono, di agevolare il riaccoglimento in
famiglia, di sviluppare tutta una serie di cambiamenti anche di tipo culturale
che sono poi quelli che determinano lo stato di abbandono del minore.
4. Centralità
del sostegno
alle madri
e della valorizzazione
delle realtà locali.
L’ente autorizzato
come partner a tutto
campo
Certamente i soggetti più vulnerabili in questo tipo di intervento sono le
madri. Tutti noi sappiamo quale tormento può esserci in una madre che è
costretta a non occuparsi più del suo bambino per motivi di povertà, culturali
o altro.
Molti degli interventi di cooperazione promossi o finanziati dalla
Commissione sono infatti in favore delle madri per prevenire l’abbandono, o
affinché diventino autonome anche dal punto di vista economico laddove si
tratta di persone che hanno avuto il figlio fuori da una relazione giuridicamente riconosciuta, oppure per intervenire culturalmente, pensiamo ad alcune zone asiatiche dove le seconde figlie femmine vanno soppresse perché ciò
è previsto dalla tradizione locale, oppure ancora perché effettivamente nella
situazione familiare c’è una tale povertà per cui è necessario sostenere la
madre.
Anche gli interventi che riguardano specifici obiettivi, sia di tipo sanitario
sia aiuti diretti alle madri, vanno sempre realizzati in rete.
I bandi emessi dalla Commissione per le adozioni internazionali, che lasceremo a vostra diposizione per poterli consultare, hanno quale elemento comune la valorizzazione della realtà locale. Realtà locale vista come l’insieme di
soggetti pubblici e privati che operano insieme nel contesto di riferimento.
L’ente italiano autorizzato, quale soggetto senza scopo di lucro, dotato di
adeguata organizzazione e storicamente impegnato sul fronte della promozione dei diritti dell’infanzia, com’è stato ben spiegato da Daniela Bacchetta,
è partner dell’Autorità centrale italiana, ma lo è anche dell’Autorità centrale
del Paese di origine in quanto accreditato o riconosciuto nel Paese.
In questa prospettiva mi pare opportuno ancora ribadire che l’ente autorizzato italiano non si propone come un’agenzia di intermediazione riconosciuta
da entrambi i Paesi, ma come soggetto partner.
A conclusione mi sento di poter affermare che la Commissione per le adozioni internazionali intende proseguire in spirito di amicizia la collaborazione
con il Brasile e la condivisione di strategie di sussidiarietà capaci di dare risposte efficaci ai bisogni dei bambini di entrambi i Paesi.
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LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA:
I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
La condizione giuridica dell’infanzia
e dell’adolescenza in Italia. Normativa italiana
e contesto giuridico europeo
Maurizio Millo
Presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna
1. Normativa italiana
e contesto giuridico
europeo
Prima di tutto voglio ringraziare gli ospiti brasiliani non in modo formale
come è sempre uso fare in queste occasioni, ma con un sincero e profondo
sentimento e con vero piacere che nascono dal ricordo della nostra visita in
Brasile e delle profonde emozioni riportate in quell’occasione.
Passando a illustrare il tema affidatomi e perciò il quadro generale nel
quale si inseriscono le singole norme che riguardano la tutela dei diritti dei
bambini e degli adolescenti in Italia, va innanzi tutto sottolineato che la lingua
italiana non ha una parola unica per dire infanzia e adolescenza: tutte le leggi
che si riferiscono alla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza usano il termine
“minore” per indicare ragazze e ragazzi di età inferiore ai 18 anni.
Cercherò di rappresentare sinteticamente il sistema legale italiano per la
tutela dei minori. Si tratta di un sistema per più aspetti analogo a quello brasiliano ma probabilmente un po’ più complicato. Prima di tutto in Italia vi è una
gerarchia delle norme in conseguenza della quale le leggi che vengono approvate dal Parlamento nazionale o dalle Regioni non possono essere contrarie
alla Costituzione e debbono ovviamente rispettare i principi e le prescrizioni
specifiche della Carta costituzionale, ma, proprio a seguito di quanto previsto
nella Carta, alcune sfere di competenza legislativa spettano allo Stato e altre
alle Regioni e perciò né le leggi statali né quelle regionali possono invadere i
campi riservati agli altri ambiti. Inoltre, l’aspetto interessante nelle leggi che
riguardano la tutela dei minori è che spesso non ci sono norme dettagliate ma
norme generali che indicano solo principi e criteri. Queste norme devono perciò essere attentamente interpretate per esser applicate e hanno spesso bisogno di essere completate perché ci sono molti casi concreti non espressamente previsti. Questo è ovviamente il compito del giudice, ma risulta molto
importante il richiamo alla Costituzione perché più che in altri settori i principi costituzionali devono essere utilizzati per completare i vuoti e per guidare
il lavoro dei giudici verso regole legali costituzionalmente orientate.
Punti fondamentale di riferimento, oltre alla Costituzione italiana, è la normativa europea. L’Europa costituisce una situazione politico-istituzionale complicata perché tutti i popoli europei sono stati in guerra fra di loro per secoli,
hanno lingue e tradizioni spesso profondamente diverse, ma nello stesso tempo
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
– fra guerre e insieme scambi commerciali, culturali e di altro genere – hanno
una mentalità di fondo e dei costumi che poggiano in modo incredibilmente
forte su basi comuni, o almeno molto comunicanti. Sono infatti tanti secoli che
ci si confronta e affronta, non solo combattendosi, che ci si invade a vicenda, che
ci si sposta da una parte e dall’altra dei confini che alla fine, pur parlando lingue
diverse e contrastandosi, i popoli europei sono molto simili tra loro. Girando
nelle città europee, per come sono costruite le chiese, i palazzi, le piazze, si percepiscono gli scambi continui e i viaggi che i costruttori di quelle architetture e i
loro abitanti hanno fatto per secoli nei Paesi limitrofi. Nel secolo scorso infine, in
maniera molto interessante e per ora unica nella storia – perché fondata su processi pacifici e democratici, invece che su conquiste e invasioni – gli europei
hanno avviato la costruzione di una specie di Stato federale, certamente meno
unitario di quello del Brasile, ma progressivamente sempre più integrato,
soprattutto in certi settori. Il risultato è stato molto buono, sono stati i primi 60
anni di pace nella storia dell’Europa moderna e i primi 60 anni di vera integrazione. Gli europei cominciano a collaborare e capirsi e stare bene insieme, anche
se si manifestano continui e grossi problemi, a cominciare da quelli linguistici.
Per questo sotto la voce “Costituzione” viene riportata “Normativa europea”,
perché in certi settori nella gerarchia delle fonti legislative la normativa europea
risulta superiore a quella italiana. Di conseguenza, le leggi emanate dal
Parlamento italiano non possono contrastare quelle della Comunità europea:
questo costituisce un’assoluta novità per noi e ha creato più di un problema in
molti Stati europei, ma si sta procedendo in questa direzione. In alcuni settori –
esattamente in quelli che sono chiamati i quattro pilastri dell’Unione Europea –
la normativa europea se risulta in certi casi in contrasto con quella nazionale si
sostituisce direttamente a questa e i giudici debbono perciò applicare le leggi
europee e non quelle nazionali: non è una novità di poco conto o facile da vivere per nazioni che non nascono già come componenti di uno Stato federale e da
secoli vivono anzi in reciproca autonomia, diffidenza o persino lotta. Il settore
dell’adozione non rientra fra questi, non ci sono cioè normative europee sovrastanti, superiori a quelle dei vari Paesi e anzi in tanti casi le normative nazionali
sono molto diverse tra loro. Basta pensare ai requisiti che devono avere le coppie per poter adottare (si parla, infatti, delle normative di coppia), e che non in
tutti i Paesi i single possono adottare. In Italia possono fare domanda di adozione solo le coppie regolarmente sposate, in altri Paesi possono, invece, adottare anche coppie che convivono e omosessuali.
Ciò precisato, si deve tenere conto delle convenzioni internazionali, come
quella de L’Aja, che sono sullo stesso piano delle leggi nazionali perché nell’ordinamento italiano le convenzioni diventano leggi per i cittadini nel momen172
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LA CONDIZIONE GIURIDICA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA IN ITALIA.
NORMATIVA ITALIANA E CONTESTO GIURIDICO EUROPEO
to in cui sono rese esecutive da una legge del Parlamento, quindi, dopo l’approvazione, non si distinguono dalle leggi ordinarie quanto a valore vincolante.
Ci sono poi le leggi regionali (è vero che alcune regioni in Italia hanno la superficie di un Comune brasiliano, l’Italia è piccola rispetto al Brasile!). Le nostre
regioni, però, anche se piccole, sono molto diverse per storia e tradizioni le une
dalle altre; l’unità italiana risale ad appena 150 anni fa. Prima c’erano veri e propri Stati (ad esempio in Toscana c’era uno Stato diverso da quello della confinante Emilia-Romagna, ora a meno di un’ora di treno). I piccoli Stati italiani
hanno però avuto una grande storia e questo rende a volte culturalmente molto
diversi gli abitanti delle varie regioni. Ad esempio i Granduchi di Toscana, per la
loro importanza e ricchezza, sono stati i finanziatori del re di Francia, il quale si
rivolgeva a loro per ottenere dei prestiti. Le chiese e i palazzi di Firenze erano
voluti da personaggi che rappresentavano una cultura e un’importanza finanziaria e sociale pari a quella di un grande Stato. Perciò le regioni italiane, come
già detto, hanno tradizioni diverse e le leggi regionali, che in alcune materie
hanno la stessa importanza delle leggi statali, possono risultare sensibilmente
diverse. Laddove la nostra Costituzione dice che certe materie sono di competenza della Regione, in quelle materie è la legge regionale che conta, mentre lo
Stato, quando possibile, dà solo una legge quadro.
Gerarchia delle norme secondo il sistema italiano
COSTITUZIONE
e
NORMATIVA EUROPEA
LEGGI ORDINARIE
(parlamentari)
1.1 I principi
costituzionali
CONVENZIONI
INTERNAZIONALI
(rese esecutive
con legge ordinaria)
LEGGI REGIONALI
(nelle materie
a queste riservate)
Passando alla presentazione dei principi rilevanti della Costituzione nella
materia di cui stiamo parlando, va sottolineato che la nostra Costituzione non
è solo un frutto di ingegneria istituzionale. Non indica solo come deve essere
fatto lo Stato, quali poteri hanno il Governo, il Parlamento o le Regioni. C’è in
più alla sua base un aspetto di fondamentale importanza: chi l’ha pensata ha
voluto inserirvi dei principi che rappresentano un appello ai cittadini a impe173
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
gnarsi. Questo prevede la comprensione dei cittadini e la loro partecipazione
attiva per realizzare quei principi. Coloro che hanno voluto la Costituzione italiana avevano attraversato la Seconda guerra mondiale e avevano capito che
solo rendendo i cittadini partecipi e consapevoli di questi principi si poteva
creare uno Stato che avrebbe evitato ai loro figli e nipoti i pericoli di una nuova
guerra e delle devastazioni che ne conseguono.
Facciamo solo qualche esempio degli importanti valori posti a fondamento della proposta costituzionale che possono interessare il nostro campo
d’interesse.
L’articolo 2, per esempio, dice che è sempre rilevante – quindi anche quando si pensa e realizza un’adozione – che la persona umana si sviluppi non solo
come singolo, ma anche nei gruppi sociali intermedi, e inoltre che al singolo
cittadino sia richiesto di adempiere ai propri doveri inderogabili, anche quando vorrebbe pensare solo ai problemi personali.
Nell’articolo 3 si sostiene che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, razza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Questa è un garanzia e un conforto per chiunque venga da
altri Stati, se diventa cittadino italiano. In Italia è un principio sentito, almeno
nei confronti dei cittadini italiani.
L’articolo 30 afferma che è diritto ma anche dovere (responsabilità) dei
genitori mantenere, educare, istruire i figli senza differenza fra legittimi e
naturali. Le istituzioni devono intervenire se i genitori si dimostrano incapaci,
non sostituendo però l’educazione dello Stato a quella dei genitori, ma garantendo che lo sviluppo della personalità dei minori non sia pregiudicato in caso
di loro disinteresse.
L’articolo 32 dice che la salute è un diritto del singolo, ma anche un interesse della collettività. Questo principio è stato evidenziato perché c’è sempre
un importante aspetto sanitario sia per le coppie che sono disponibili ad adottare sia per i bambini che vengono adottati con problemi di salute. Qui in Italia
c’è un sistema sanitario nazionale gratuito che sostanzialmente funziona in
modo adeguato.
Nell’articolo 34 si afferma che l’istruzione è obbligatoria e gratuita per
almeno otto anni, ma nelle leggi più recenti il diritto/dovere è stato ampliato
fino ai 16 anni.
In sostanza tutte le norme della Costituzione, lette nel loro complesso,
vogliono costruire un sistema per realizzare uno Stato che sia al servizio del
cittadino, ma per riuscirci richiedono al cittadino di partecipare, di impegnarsi per lo sviluppo personale e della società, altrimenti la società non potrà funzionare né riuscire a essere di sostegno per il cittadino.
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LA CONDIZIONE GIURIDICA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA IN ITALIA.
NORMATIVA ITALIANA E CONTESTO GIURIDICO EUROPEO
Passiamo a parlare della legge 184/1983 (modificata nel 2001), che ha stabilito i principi fondamentali per l’affidamento familiare e per l’adozione. Il
primo è il diritto del bambino di crescere ed essere educato nella propria famiglia, quella in cui è nato, principio affermato anche dalla legge del Brasile; il
secondo è che l’affidamento a un’altra famiglia (scelta, come dirò tra poco, da
preferire rispetto a quella di una struttura), o a una struttura di tipo familiare,
è possibile solo in caso di impossibilità temporanea della famiglia e ha una
durata massima di due anni, rinnovabile per altri due. La decisione deve essere concordata tra i genitori in difficoltà e i servizi sociali e viene ratificata dal
giudice tutelare, il quale verifica la legalità della decisione. Se i genitori non
sono d’accordo, se non pensano che l’affidamento temporaneo sia utile, può
intervenire il tribunale per i minorenni, superando la volontà dei genitori qualora accerti l’impossibilità temporanea della famiglia di occuparsi del bambino e la necessità di affidarlo ad altri. La legge prescrive anche la chiusura delle
strutture di tipo non familiare. Dovendo disporre l’affidamento del bambino
per difficoltà temporanea della famiglia, si deve cercare di affidarlo a un’altra
famiglia e se non risultasse possibile almeno a una comunità di tipo familiare
che cerchi di realizzare lo stesso rapporto fra adulti e bambini che si ha in
famiglia. Le strutture come l’Istituto degli Innocenti, che dal 1400 ha accolto
tanti bambini abbandonati, per realizzare questi principi hanno avuto un’evoluzione di cui si parlerà in un intervento successivo.
La stessa legge prevede anche cosa fare quando l’incapacità della famiglia
non risulti solo temporanea, ma tenda a essere stabile o molto prolungata. In
questo caso si prevede l’adozione da parte di un’altra famiglia, come figlio legittimo. La legge prevede naturalmente che si accerti, prima dell’abbandono, l’impossibilità morale e materiale da parte della famiglia d’origine di occuparsi del
bambino e allora il tribunale per i minorenni pronuncia l’adottabilità; successivamente viene individuata una coppia che possa procedere all’adozione, proprio
come succede in Brasile. Inoltre è prevista l’adozione non legittimante per casi
particolari, per esempio da parte del coniuge del genitore del bambino, oppure
per i parenti fino al quarto grado. La legge richiama infine norme che da ancora
prima di questa normativa si occupano della tutela dei minori. Queste norme si
trovano nel codice civile (l’attuale risale al 1942, ma per la parte relativa ai rapporti di famiglia è stato modificato con leggi successive, in particolare nel 1975).
Soprattutto gli articoli 330 e seguenti danno attuazione al principio costituzionale che prevede l’intervento delle istituzioni quando i genitori si dimostrano
incapaci. L’articolo 330 prevede l’esclusione dalla potestà dei genitori quando
trascurano i loro doveri o abusano dei propri poteri senza che però si arrivi a un
caso di vero e proprio abbandono (che porta, come detto all’adozione).
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
Gli articoli 155 e 155 bis, ter, ecc. prevedono invece cosa fare quando i genitori si separano e, per quanto qui ora interessa, si afferma che il giudizio del
giudice nell’affidamento dei figli e nel regolare il loro rapporto con i genitori
deve essere essenzialmente guidato pensando all’interesse morale e materiale dei figli. Queste norme si applicano ai genitori sposati e a quelli non sposati, sia che abbiano convissuto o meno. In questo settore esiste un regolamento europeo che, per certi aspetti, prevale sulla legge italiana, ma non per gli
aspetti sostanziali. Il regolamento europeo, emanato nel 2003, si preoccupa
soprattutto di individuare chi è il giudice competente e come si possono poi
rendere efficace i suoi pronunciamenti in tutti gli Stati europei, perché evidentemente è sempre più diffuso il matrimonio fra persone di Stati europei
diversi e perché sempre più frequentemente le famiglie si spostano da uno
Stato all’altro portandosi i figli. Il criterio di fondo è quello della competenza
del giudice del luogo della residenza abituale del minore.
1.2 Alcuni riferimenti
specifici
alla Convenzione
de L’Aja
Della Convenzione de L’Aja del 1993, ben conosciuta da tutti, si possono
evidenziare due aspetti perché non scontati. Il primo è la valorizzazione del
principio per cui si deve tenere in debito conto l’origine religiosa e culturale
del minore. In Italia non è così scontato né semplice da applicare. Per molti
anni infatti, nello sforzo di sottolineare il principio di uguaglianza, proclamato
dall’articolo 3 della Costituzione («tutti sono uguali senza differenze di sesso,
cultura, religione, posizione sociale»), si è sempre pensato che fare una distinzione fra le coppie disponibili all’adozione in base alla loro religione contrastasse con la Costituzione. In base, invece, al principio appena ricordato della
Convenzione è riconosciuto prioritario tener conto dell’origine religiosa. Si
potrebbe perciò arrivare a soluzioni diverse: un bambino abbastanza grande e
cresciuto in ambiente religioso islamico, cattolico o di altra religione potrebbe
legittimamente essere dato in adozione a un famiglia che si riconosca in una
religione e per questo preferirla a un’altra.
Il secondo principio, che è stato già evidenziato in occasione dello stage in
Brasile, è che al bambino adottato con adozione legittimante – quella che interessa parlando di adozione internazionale – è immediatamente garantita la
cittadinanza italiana e di conseguenza quella europea: qualunque bambino
adottato da una famiglia italiana diventa perciò immediatamente cittadino italiano e automaticamente europeo. Anche se dovesse succedere che, arrivando in Italia, l’adozione non avesse sviluppi positivi il bambino è già cittadino
italiano e lo rimane comunque. È accaduto a una famiglia italiana che non ha
ritenuto di trattenere il bambino con sé in tempi brevi, prima che si realizzasse la trascrizione per l’esecuzione della sentenza in Italia. Il Tribunale per
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LA CONDIZIONE GIURIDICA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA IN ITALIA.
NORMATIVA ITALIANA E CONTESTO GIURIDICO EUROPEO
minorenni di Bologna, però, avendo già i documenti ha potuto inviarli al
Comune chiedendo la registrazione, per cui il bambino è comunque cittadino
italiano ed europeo anche se non è con la famiglia che l’ha adottato originariamente e quindi dovrà essere dichiarato nuovamente adottabile.
LA CONVENZIONE DE L’AJA 29/5/1993 (legge 476/1998)
È noto quanto stabilito dalla Convenzione, ma è bene ricordare oggi due particolari aspetti dell’applicazione che se ne fa in Italia:
1. è valorizzato il principio che si deve “tenere in debito conto … l’origine religiosa e culturale del minore”
2. In Italia al bambino adottato con adozione legittimante è immediatamente
garantita la cittadinanza italiana – e in conseguenza contemporaneamente
quella europea – anche se la registrazione della sentenza di adozione può
avvenire dopo qualche tempo: è comunque un diritto già acquisito dal bambino al momento della sentenza di adozione all’estero
1.3 La legislazione
regionale
Parliamo infine delle leggi regionali. In Italia le leggi regionali regolano l’organizzazione dei servizi sociali, mentre la legislazione statale in materia di servizi sociali deve solo stabilire il quadro dei principi e gli obiettivi generali del
sistema. Spetta poi alle norme regionali regolare l’organizzazione dei servizi
alla persona e dei servizi alla famiglia. Le leggi della Regione Emilia-Romagna,
per esempio, sono diverse (anche se simili) rispetto a quelle della Toscana.
Le disposizioni concrete per il funzionamento dei servizi sociali dipendono
poi dai Comuni, piccole entità territoriali importanti (da secoli in Italia si vive
in piccole e diverse comunità territoriali).
L’informazione e la formazione delle coppie che si dichiarano disponibili ad
adottare e il sostegno alle famiglie che diventano adottive fanno parte dei servizi alla persona e perciò dipendono dall’organizzazione concreta dei Comuni,
sotto il coordinamento delle leggi e degli organismi istituzionali delle Regioni.
I servizi sociali in questa materia sono tenuti a collaborare con l’autorità giudiziaria per disposizione legislativa. Spesso la collaborazione avviene senza
difficoltà, ma qualche volta i problemi nascono dal fatto che i servizi sociali
dipendono, per la loro organizzazione e per la carriera del personale di cui
sono composti, dai Comuni e non dall’autorità giudiziaria, da cui dipendono
solo funzionalmente. Di conseguenza il giudice che si occupa di minori deve
essere capace di coordinare servizi la cui carriera e organizzazione non dipen177
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
dono dal tribunale. Posso comunque testimoniare che il coordinamento fra le
due istituzioni viene garantito dal Comune, con intento delle istituzioni di
agire nell’interesse del minore.
2. Il ruolo
del tribunale
per i minorenni
e il sistema
delle adozioni
Queste brevi note intendono delineare sinteticamente il funzionamento e
le competenze dei tribunali per i minorenni in Italia. Si tratta di tribunali specializzati; ne esiste uno per ciascuna corte d’appello, cioè uno per ogni
Regione, tranne quelle in cui ci sono più corti d’appello. In Toscana, ad esempio, c’è solo il Tribunale per i minorenni di Firenze, in Emilia-Romagna solo
quello di Bologna e nel Lazio solo quello di Roma.
L’aspetto più interessante nella composizione e nel funzionamento del tribunale per i minorenni, consiste nel fatto che tutte le decisioni sono collegiali, non esistono decisioni che vengono prese dal giudice singolo, nemmeno dal
presidente (salve alcune, che però sono solo provvisorie e devono poi essere
confermate da provvedimenti collegiali).
I collegi che decidono sono formati da quattro giudici, stranamente un
numero pari (è noto infatti che normalmente i collegi giudicanti sono composti da un numero dispari di giudici per consentire la facile formazione di una
maggioranza); nel tribunale per i minorenni ogni collegio è composto da due
magistrati professionisti (cioè giudici ordinari, che per un certo periodo fanno
i giudici minorili) e due giudici onorari, esperti che esercitano altre professioni (normalmente sono psicologi, psichiatri, pedagogisti, sociologi, qualche
volta medici); hanno competenze extragiuridiche e sono nominati per tre anni
rinnovabili normalmente per un massimo di tre volte.
Questo significa due cose:
• innanzi tutto che normalmente il tribunale per i minorenni non ha necessità di utilizzare consulenti tecnici perché in qualche modo sono già
all’interno; solo in caso di situazioni molto complesse viene perciò richiesta la consulenza di psichiatri o psicologi o altro;
• inoltre che la capacità di comprendere anche i profili umani, psicologici e
sociali delle vicende da giudicare viene a essere garantita sia dalla specializzazione dei giudici minorili, in quanto magistrati professionali, sia
soprattutto dal contributo dei giudici onorari, che sono professionisti
esterni al mondo della giustizia e che non hanno solo un titolo di studio
diverso, ma esercitano proprio un’altra professione. Questi ultimi lavorano con il tribunale solo per alcune ore della settimana e perciò hanno la
formazione e anche la deformazione professionale dello psicologo o psichiatra o comunque della loro professione e non del giurista. Questo ele178
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NORMATIVA ITALIANA E CONTESTO GIURIDICO EUROPEO
mento non è solo molto interessante sul piano culturale, ma comporta
anche l’impegno dei giudici professionisti di comprendere la visione
della realtà che portano i giudici onorari e di saperla tradurre in categorie giuridiche, oppure, in alcuni casi, di saper spiegare ai giudici onorari
che alcune ipotesi da loro fatte non sono giuridicamente realizzabili.
2.1 Competenze
del tribunale
per i minorenni
Le competenze dei tribunali per i minorenni sono prima di tutto nel campo
penale: si occupano, infatti, di tutti i reati commessi dai minorenni, di qualunque gravità essi siano, dai furti agli omicidi, dallo spaccio di droga alla partecipazione alla criminalità organizzata. Non sono di loro competenza, invece, i
reati commessi in danno di minorenni quando tali reati sono commessi da
adulti. Il tribunale per i minorenni è però competente anche in caso di reati
commessi da minorenni insieme ad adulti: il tribunale ordinario fa il processo
all’adulto mentre il tribunale per i minorenni si occupa del processo al minorenne, e ciò a tutela del trattamento migliore per il minorenne, anche se si
corre evidentemente il rischio che le due sentenze possano finire per essere in
contrasto fra loro.
Nel campo civile, invece, il tribunale per i minorenni ha la competenza di
intervenire quando i genitori trascurano i loro doveri o abusano dei loro poteri nei confronti dei figli minorenni. Il tribunale deve intervenire limitando la
potestà dei genitori o persino escludendola, e, come conseguenza di queste
limitazioni della potestà o ablazioni della stessa, può disporre l’affidamento
del minore ad altre famiglie oppure, nei casi più gravi di trascuratezza, che
configurano casi di vero e proprio abbandono del minore, dichiarare l’adottabilità del bambino. Al tribunale per i minorenni compete poi l’abbinamento del
bambino dichiarato adottabile (quando questa dichiarazione diviene definitiva) con una delle coppie che si sono dichiarate disponibili e che il tribunale
cerca di selezionare, preparare e distinguere nelle varie potenzialità e risorse
per poter rispondere alle esigenze del bambino.
Il tribunale per i minorenni è competente anche per le dichiarazioni giudiziarie di paternità o maternità: quando per esempio una madre pensa che il
proprio bambino sia figlio di un uomo e questo non vuole riconoscerlo può
chiedere al tribunale per i minorenni la dichiarazione giudiziale di paternità.
Se viene provato che il figlio è di quell’uomo viene fatta una sentenza che
tiene conto del riconoscimento di paternità e viene iscritta sul registro delle
nascite per cui alla fine quel bambino a tutti gli effetti è riconosciuto figlio di
quel padre, come dichiarato dal tribunale per i minorenni.
Un’altra competenza è quella di decidere sull’affidamento dei figli all’uno o
l’altro dei genitori quando questi non sono sposati e vogliono interrompere la
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
loro convivenza. In questo caso possono rivolgersi al tribunale per i minorenni che emana i provvedimenti che riguardano l’affidamento del bambino all’uno o all’altro dei genitori o, soluzione più auspicabile, a tutti e due, e in questo caso dove va collocato il bambino, il diritto di visita dell’altro genitore e
anche i provvedimenti che riguardano il mantenimento del figlio. Si tratta degli
stessi provvedimenti relativi all’affidamento del bambino che i genitori sposati in Italia devono chiedere al tribunale ordinario.
Un’ultima competenza, in realtà poco utilizzata dai tribunali per i minorenni in Italia, è quella prevista da un articolo della legge che ha istituito i tribunali per i minorenni (Ddl 20 luglio 1934, n. 1404). La norma prevede che il tribunale per i minorenni, quando il ragazzo vive in conflitto con la legge e con
l’organizzazione sociale e ha raggiunto ormai un’età nella quale, anche se ci
sono state responsabilità della famiglia, la responsabilità maggiore comincia
a divenire sua personale, lo stesso tribunale deve intervenire e affidare il
minore al servizio sociale e dare inoltre delle prescrizioni. Questo tipo di procedimenti si sviluppa con un rapporto il più possibile diretto con il ragazzo che
deve essere responsabilizzato.
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Complessità e specificità dell’essere adolescenti.
Le adozioni internazionali
Gustavo Pietropolli Charmet
Psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Istituto di analisi dei codici affettivi
Il minotauro
1. Cambiamenti in atto
nei modelli educativi
Le osservazioni di questo contributo si basano su alcuni dati empirici raccolti nel corso delle consultazioni con adolescenti adottati realizzate nel consultorio per adolescenti e genitori a Milano al quale si rivolgono ogni anno
centinaia di famiglie. Il consultorio è un dispositivo di presa in carico di ispirazione psicoanalitica visibile in città e operativo da parecchi anni, che può considerarsi un crocevia di problematiche educative, relazionali, affettive, evolutive di discreta complessità senza che si raggiungano le grandi patologie o gli
alti rischi.
Nel corso degli anni gli operatori del consultorio, come tutti i colleghi che
organizzano dispositivi di presa in carico, di consultazione, di appoggio psicoterapico agli adolescenti in crisi e ai genitori in difficoltà educativa e relazionale, sono venuti in contatto con le consistenti novità che caratterizzano il percorso di crescita generazionale e sono stati costretti a chiedersi che cosa alimenta, determina queste novità e quali siano i cambiamenti e le trasformazioni che devono essere introdotte nei servizi per fronteggiare in modo più
intelligente e tempestivo i cambiamenti e cercare di dare senso ad alcuni comportamenti adolescenziali e ad alcune reazioni dei genitori, degli educatori,
dei docenti della scuola che possono non essere adeguati perché non riescono a tenere il passo con le rapide trasformazioni avvenute nel contesto di crescita dell’adolescenza e quindi nell’interpretazione e nella declinazione del
processo adolescenziale.
Si cercherà, quindi, di identificare quali sono i cambiamenti più significativi che sono intervenuti nel nostro Paese o quanto meno nell’area dove lavora
il servizio, cioè nel Centro-nord Italia, e soprattutto in una grande città come
Milano, e come questi cambiamenti possono ricadere, riverberarsi sul percorso di crescita adolescenziale dell’adottato, cercando di fare un confronto su
come le stesse pressioni culturali o le stesse modificazioni che sono avvenute
vengono gestite all’interno delle famiglia, nella relazione con la scuola e con
le istituzioni parafamiliari, da parte del figlio naturale e da parte del figlio
adottato.
Questo lavoro viene fatto in connessione a un lavoro clinico attento e scrupoloso condotto in gruppo, ma ovviamente su una casistica relativamente
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LO STAGE IN ITALIA
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limitata e piuttosto recente, rispetto alla quale non si conoscono bene quali
siano le conclusioni e gli esiti nel corso degli anni dopo la maggiore età.
Una questione importante è che nel nostro Paese il modello educativo
all’interno della famiglia ha sicuramente dato una grande importanza allo sviluppo e alla centralità del “sé”, simbolizzando il bambino come una piccola
persona già dotata di molte competenze e che bisogna aiutare a diventare se
stesso e non ciò che vuole la società o la famiglia. Questo è un cambiamento
che sembra abbastanza verificabile e cioè la trasformazione del modello educativo tradizionale di stampo etico, in cui i genitori ritenevano di avere come
obiettivo principale quello di trasmettere molti valori e molte regole, cioè
molta cultura per aiutare il bambino a tenere a bada la propria natura vista dal
modello educativo come incompatibile con la civiltà. Il cambiamento secondo
le ricerche più recenti condotte nel nostro Paese consisterebbe in sostanza nel
ritenere che in realtà il figlio dell’uomo sia molto buono, alla ricerca di relazioni, di affetto, di contenimento, molto competente, molto dotato di capacità
relazionali e di competenze innate per inserirsi precocemente in una rete di
relazioni sociali con gli altri cuccioli e con i coetanei. Questa valorizzazione del
sé coincide, durante la crescita, con una tendenza a svalorizzare l’importanza
dei ruoli.
2. Il rapporto
con adolescenti
e giovani in ambito
universitario
Quella tracciata è anche un’esperienza autobiografica, avendo insegnato
all’università per diversi anni, con diverse generazioni di giovani adulti, tardo
adolescenti e avendo potuto confrontarmi, nel ruolo di docente, con più generazioni di ragazzi. L’ingresso del docente in aula 30 anni fa era caratterizzato
da un cambiamento significativo nell’aula, una trasformazione dell’acustica,
della disposizione dei corpi, della disponibilità dell’aula, e tutti i docenti
sanno che l’aula è come dire un soggetto antropologico che ha una qualità di
relazione, un tipo di ascolto, un’anima e offre un partecipazione, una collaborazione al lavoro di tipo diverso. Negli ultimi anni l’entrata del docente in aula
è stato caratterizzata dall’ingresso dell’uomo invisibile: non succedeva più
nulla, l’acustica rimaneva la stessa così come la disposizione dei corpi, tutti
girati dalla parte del gruppo, dalla parte dei coetanei e non dalla parte del
ruolo, del sapere, dell’università, dello Stato, del potere. Ho vissuto quindi
direttamente cosa vuol dire il furto del significato simbolico e istituzionale del
ruolo di docente. Credo che in tutte le scuole superiori del nostro Paese ogni
mattina avvenga questo: degli adulti con il ruolo di docente entrano in aula ma
i ragazzi non vedono un ruolo, né sociale, né istituzionale, vedono una persona di sesso maschile o femminile, che ha quell’età, quell’abbigliamento e cer182
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COMPLESSITÀ E SPECIFICITÀ DELL’ESSERE ADOLESCENTI. LE ADOZIONI INTERNAZIONALI
cano il rapporto con la persona e non con il ruolo. Questa crisi del significato
dell’importanza del ruolo è un fenomeno diffuso che mette in difficoltà sia il
ruolo paterno, sia quello materno, quello docente, quello educativo perché
tutti gli adulti che hanno a che fare con i ragazzi sentono che questi non hanno
più un’aspettativa o non aprono una delega in bianco all’adulto solo perché è
portatore di quel ruolo, cercano invece una relazione con la persona, cioè con
l’adulto. Questo fenomeno è di grande importanza e tutte le strutture educative, comprese quelle sportive, devono trovare una nuova soluzione a questo
nuovo comportamento.
Il mio ruolo docente era poi caratterizzato da un super investimento simbolico, insegnavo infatti psicoanalisi in una grande università di Milano dove
la psicoanalisi negli anni era stata caratterizzata come un disciplina molto
negativa sia dagli studenti di sinistra che da quelli cattolici; l’atteggiamento
nei miei confronti era di natura simbolica: non ero io a essere investito ma ciò
che rappresentavo. Negli ultimi anni di insegnamento ho smesso di rappresentare qualsiasi cosa, ero solo me stesso e ogni mattina dovevo cercare di
ricostruire l’università con le mie parole, con la mia offerta di relazione. E qualche mattina fortunata questo accadeva perché i ragazzi si giravano verso il
docente, iniziavano a prendere appunti e quindi chi entrava poteva dire che si
stava facendo lezione, cioè era in atto il rito della lezione universitaria, della
ricerca, della trasmissione del sapere.
3. Il rapporto
con gli adolescenti
e in particolare
con gli adolescenti
adottati
Va osservato che questa stessa crisi dell’importanza dei ruoli all’interno
della famiglia ha un’interpretazione assai significativa da parte dei figli naturali, facilitati durante l’adolescenza nel processo di disinvestimento dell’importanza del ruolo paterno e materno. Questo rende piuttosto facile e sbrigativa la trasformazione delle figure importanti dei genitori dell’infanzia nelle
persone o nelle figure di adulti con le quali gli adolescenti intrattengono vari
tipi di negoziazione e contrattazione per aver più denaro, più potere, più libertà, più importanza, per contare di più nei processi decisionali.
Con gli adolescenti adottati si ha l’impressione che questo movimento, questo contesto socioculturale, li sospinga a un processo di disinvestimento dell’importanza del ruolo degli adulti di riferimento, i ruoli paterno e materno, e li
sospinga anche più facilmente al di là del disinvestimento verso forme attive di
denigrazione. È come se l’attacco all’importanza del ruolo sulla scena della
famiglia, ampiamente consentito dalla cultura generazionale, favorito dalla
società del narcisismo, dalla società liquida, dalla società delle passioni tristi,
da tutto quello che sta succedendo nella nostra società dove l’importanza dei
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LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
ruoli, quello paterno, quello materno, il ruolo maschile, quello femminile, il
ruolo gerarchico, quello di docente è tutto molto fluido, molto interscambiabile, molto flessibile, è come se tutto questo fosse più deciso. È come se l’adolescente adottato, per i motivi che caratterizzano gli obiettivi che persegue nella
sua adolescenza, radicalizzasse ancora di più quello che è il processo naturale
che vivono e che utilizzano i figli naturali per prendere le distanze dai genitori
e per abbassare l’importanza simbolica del ruolo paterno e del ruolo materno,
attraverso una procedura che fa sì che dal ruolo simbolico di padre e di madre
si passi alla persona genitore femmina e alla persona genitore maschio, in un
abbassamento dell’importanza e dell’autorevolezza, in sostanza della capacità
di somministrare regole, controlli e quant’altro.
Questo fenomeno è attualmente molto diffuso e con esso la cultura educativa del nostro Paese sta facendo i conti nelle aule scolastiche ma anche nelle
aule dei tribunali o nei servizi territoriali.
Spesso i ragazzi che entrano nel consultorio, nonostante vedano i capelli
bianchi e l’età già avanzata, si avvicinano e danno del tu, cosa insolita perché
nelle generazioni precedenti i ragazzi o erano provocatori, e allora se davano
del tu era significativo perché era come un attacco all’arroganza di voler capire, di volere avere una posizione di potere, o davano del lei come dettava l’educazione.
Questa è una questione di carattere generale alla quale si deve prestare
un’attenzione particolare perché la gestione del ruolo materno e paterno
durante l’adolescenza dell’adottato è di importanza centrale, e sarebbe
necessario sostenere il padre e la madre adottivi nell’elaborazione delle passioni e degli affetti che derivano da una denigrazione attiva del significato simbolico dei ruoli e anche nella ricerca della valorizzazione dell’importanza della
persona, del carattere, delle modalità specifiche con cui il genitore femmina e
il genitore maschio offrono la relazione durante il processo adolescenziale.
4. Il rapporto
con i pari età
per gli adolescenti
Questo movimento, nel contesto italiano, lo si vede all’opera in un’altra
vicenda anch’essa caratterizzata da importanti novità, e cioè la straordinaria
importanza che ha acquistato per gli adolescenti attuali la relazione con il
gruppo dei pari età. Questo è un fenomeno ovviamente strutturale, specifico
della fase adolescenziale, che è una fase di socializzazione, di nascita sociale,
di decollo di una vera e propria pulsione sociale e quindi tende a costruire
legami, a favorire contatti.
Nell’adolescente figlio naturale sembra che la socializzazione con il gruppo di pari età porti il più delle volte (quando dobbiamo interessarci di quale
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sia il ruolo che svolge il gruppo nel determinismo di fenomeni di sofferenza,
di disagio, di blocco, di comportamento deviante, trasgressivo, antisociale, di
consumo di sostanze) a problemi di esagerata dipendenza affettiva dal proprio gruppo. L’adolescente si sacrifica e assume anche comportamenti che
sono rischiosi per se stesso, per la sua salute e vanno invece a favore del
gruppo, perché il gruppo svolge per lui funzioni affettive, antinoia, antidepressive; combatte cioè la solitudine e regala relazioni molto importanti nel
contesto attuale. Quello che vediamo nel figlio naturale è quindi un fenomeno di dipendenza che assume anche caratteristiche pericolose e si istituisce
come principale fattore di rischio rispetto a condotte pericolose per la salute,
per la legalità, ecc.
Nell’adolescente adottato succede spesso di vedere che questo comportamento è ancora più importante e che assume caratteristiche di grande passionalità, come se il gruppo venisse usato alla stregua di una coalizione antimaterna o antipaterna. Chiaramente c’è questo significato non riconosciuto,
non declamato anche nel legame di gruppo di qualsiasi adolescente: il gruppo serve per riuscire a opporsi alla propria dipendenza nei confronti del padre
e della madre. Si ha come l’impressione, in molti casi di adolescenti adottati
che si sono recati in consultazione nel consultorio, che il gruppo venga usato
quasi in modo paranoico per abbattere il potere della madre e la legge del
padre. È solo una questione di quantità, ma la quantità di aspettativa che il
gruppo possa svolgere questa funzione regala alla qualità della relazione con
il gruppo caratteristiche specifiche, come se l’adolescente adottato tendesse
a farsi adottare durante l’adolescenza più dal gruppo dei pari età che dai genitori e usasse gli amici contro la famiglia adottiva per abbattere il suo potere e
la sua personale dipendenza dai genitori adottivi, che l’hanno aiutato a crescer fino a quel punto.
La stessa vicissitudine sembra intravedersi nella relazione che gli adolescenti adottati hanno con alcune mode e con alcuni idoli. Questo è un altro
fenomeno di grande interesse che caratterizza l’adolescenza attuale che, grazie alla possibilità di condividere una cultura generazionale planetaria in termini di musica, di alimentazione, abbigliamento, valori di riferimento, si è
ampiamente globalizzata. Si scorge ora nella mente individuale dell’adolescente una nuova presenza che in passato non si vedeva se non vagamente,
cioè una specie di super-io generazionale più che familiare, o se si vuole delle
aspettative ideali introiettate durante la preadolescenza e l’adolescenza
molto importanti. Anche in passato si vedeva questa appartenenza degli adolescenti alla loro generazione, per le mode, i valori, la visione politica –
attualmente però più che valori politici, ideali, religiosi ci sono valori legati a
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LO STAGE IN ITALIA
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idoli, consumi –, ma ora si percepisce la presenza nella mente di una struttura che può essere definita il sentimento di appartenere a una generazione e
quindi di avere un legame di sudditanza rispetto a ciò che la generazione prescrive in termini di gusti e di consumi. È una faccenda importante perché
spesso crea situazioni di conflitto e di incomprensione con gli adulti che non
riescono a decifrare chi comanda nella mente del figlio o dell’allievo, perché
ipotizzare che comandi una cultura che viaggia lungo la comunicazione virtuale, digitale, televisiva è difficile da accettare. Mentre negli adolescenti figli
naturali l’uso nel processo di crescita della cultura generazionale è transizionale, cioè si appoggiano ai consumi, alle mode, al look per passare dall’infanzia a una fase più evoluta, si fanno accompagnare dagli oggetti per non
sentirsi soli e perduti, per avere un orientamento, sembra che da parte di
alcuni adolescenti adottati ci sia un uso per così dire molto intenso e feticistico degli oggetti e dei consumi alla moda, come se si aggrappassero a questi oggetti in modo dai loro genitori ritenuto avido, ingordo, inappropriato,
non realistico. È come cioè se questi oggetti, mode, valori, idoli avessero una
funzione da svolgere nel processo di soggettivazione, di personificazione dell’adolescente adottato.
5. Il rapporto
con il corpo
per gli adolescenti
Connesso a questa analisi, un altro punto da approfondire è, poi, la questione della relazione con il corpo, o meglio dell’uso del corpo. Chi lavora con
gli adolescenti in questi anni è alle prese con una super centralità del corpo,
con una specie di ipersimbolizzazione della corporeità, ma tendente spesso a
un uso improprio, come se – proprio in un momento in cui nella nostra cultura la liberazione di costumi sessuali rende il corpo post-puberale, sessuato, il
corpo del desiderio, del piacere, molto più innocente e accettabile alla mente
dell’adolescente rispetto al passato – proprio in questa fase comparissero
delle relazioni di ostilità con il corpo naturale che non si vedevano in passato.
Si tratta di attacchi al corpo, manipolazioni violente, come se il corpo naturale in sé e per sé non fosse soddisfacente e dovesse venire culturalizzato attraverso il pearcing, il tatuaggio, ore passate in palestra per costruire un muscolatura diversa da quella naturale, o messo a digiuno per dimagrire, oppure
viceversa per inconsapevolmente ingrassare. Insomma, varie forme di attacchi
al corpo che si spingono fino alle condotte autolesive, di cutting, branding,
fino alle condotte suicidali in grande aumento anche nel nostro Paese. Questa
strana relazione con il corpo trova invece, nei casi che si sono potuti osservare, una condotta di tipo inverso da parte dell’adolescente adottato che mette
un’enfasi particolare sulla bellezza, sulla cura del corpo come corpo bello.
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COMPLESSITÀ E SPECIFICITÀ DELL’ESSERE ADOLESCENTI. LE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Molto lontano, quindi, dall’idea del corpo magro di molte adolescenti femmine o del corpo scolpito, muscolare, forte di molti adolescenti maschi. Questa
enfasi sulla bellezza fa pensare che nell’adolescente adottato, più o meno
consapevolmente, più che nell’adolescente figlio naturale, il corpo sia della
madre. Questo nella nostra cultura è un problema per tutti gli adolescenti i
quali sanno che il corpo è della madre, che lo dà in prestito al bambino ma ne
rimane in qualche modo la proprietaria, quindi chiede al bambino conto di
come viene usato, se viene tenuto sano, pulito, ecc. Appropriarsi del corpo,
mentalizzare il nuovo corpo, sessuato e generativo, è un problema che chiama
in causa la relazione con la madre, vissuta come la legittima proprietaria del
corpo che non può essere usato senza il suo consenso.
Nella nostra cultura il corpo viene vissuto spesso anche come la “casa del
Signore” e come tale quindi non può essere manipolato violentemente. Nel
caso dell’adolescente adottato si ha l’impressione che spesso profondamente si veda nel culto del corpo una qualità speciale di relazione con il lascito
della madre, così come nell’adolescente figlio naturale la relazione con il
corpo è la relazione con la madre. Per esempio molto studiosi di ispirazione
psicanalitica vedono nella scelta del suicidio un attacco al corpo che sottintende inconsciamente un attacco alla madre proiettata nel corpo e poi soppressa. Varrebbe la pena di approfondire questa osservazione verificandola su
un numero di ragazzi adottati molto più ampio rispetto a quelli incontrati negli
ultimi dieci anni e che colpiscono sia per la loro bellezza oggettiva ma soprattutto per la cura degli aspetti estetici, a confronto con un stuolo di ragazzini e
ragazzine che preferiscono parlare e mettersi in relazione con un corpo strano,
con un corpo alimentare, cioè grasso o magro, o con un corpo muscolare,
quindi forte e aggressivo, e con il problema di come controllare la capacità di
uccidere che lo sviluppo della massa muscolare consegna all’adolescente.
È come se molti dei cambiamenti, delle trasformazioni che sono avvenute
nel contesto generale e che influenzano il normale processo adolescenziale,
questi nuovi modi di gestire il corpo e la relazione con i ruoli, venissero utilizzati da parte dell’adolescente adottato per realizzare un proprio processo di
individuazione e di separazione che fa parte della sua storicità personale e che
raggiunge obiettivi confrontabili con quelli degli altri adolescenti, ma con caratteristiche peculiari. Il processo di separazione, di individuazione che viene
interpretato dall’adolescente figlio naturale in modo spesso molto polemico, a
volte anche con spunti di violenza sulla scena familiare, sembra derivare dal
fatto che per lui la conclusione dell’adolescenza segni la nascita di un nuovo
individuo separato, autonomo, che ha pensieri, passioni, desideri e anche comportamenti e stili di vita autonomi rispetto alle aspettative dei genitori.
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6. Il rapporto
con l’oggetto d’amore
in adolescenza
e le specificità
negli adolescenti
adottati
C’è stata anche la possibilità di discutere con alcuni adolescenti adottati, in
difficoltà nella relazione con i genitori per la gravità dei conflitti che si sviluppano sulla scena familiare, della possibilità che nel loro vissuto più profondo
il processo di separazione, il processo di individuazione, cioè la nascita di un
nuovo individuo sociale, sessuato, durante l’adolescenza, non sia per l’adolescente adottato, anche simbolicamente, la fine dell’adozione e l’ingresso in
un’altra qualità di relazione con il nucleo familiare che lo contiene, che lo accoglie e lo accompagna nella fase successiva dello sviluppo, cioè quella del giovane adulto.
Questo uso delle risorse dell’adolescenza per realizzare degli obiettivi
che hanno una connessione storica, genetica e simbolica con la questione
dell’adozione si è potuto intravedere spesso anche nella qualità di relazione
che l’adolescente adottato maschio o femmina intrattiene con il nuovo
oggetto d’amore, cioè con il partner amoroso, facendo sì che la coppia amorosa adolescenziale abbia delle caratteristiche di intensità tali da rasentare
spesso una relazione simbiotica. Si crea una relazione di grande intensità e
spessore caratterizzata da un bisogno devoto di appartenenza, naturalmente ambivalente perché la componente simbiotica fra ragazzi ormai grandi
diventa spesso una scena di tipo sadomasochistico con abbandoni, ritrovamenti, e così via.
L’uso della coppia amorosa sembra che, anche se si può trovare in qualsiasi adolescenza, sia una costante nel caso degli adolescenti adottati: c’è
un’intensità e una difesa a oltranza della sopravvivenza della coppia amorosa
da parte dell’adolescente adottato, come se avesse un impegno etico particolare nel tenere in vita nonostante tutto una coppia che vista dal di fuori è in difficoltà, litigiosa, che lavora molto poco perché sempre impegnata nella gestione del conflitto.
7. Altri fattori
da considerare
(denaro, abitazione,
scuola) e il sostegno
ai genitori con figli
adottivi
Ci sono altre questioni, apparentemente più superficiali e marginali, che
creano molte occasioni di conflitto con i genitori durante l’adolescenza, come
è ovvio che sia. Per esempio la relazione con il denaro. Normalmente il denaro in adolescenza diventa un simbolo di libertà, di potere, rappresenta gli
oggetti di consumo, regala maggior mobilità territoriale, insomma è potere di
acquisto.
Si ha l’impressione che certe forme di appropriazione, di uso, di richiesta
del denaro da parte dell’adolescente adottato significhino che ai suoi occhi il
denaro è un equivalente di riconoscimento, di affetto, di amore, cioè che questa richiesta spesso furtiva, ambivalente, contraddittoria di avere molto dena188
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COMPLESSITÀ E SPECIFICITÀ DELL’ESSERE ADOLESCENTI. LE ADOZIONI INTERNAZIONALI
ro possa essere l’espressione di qualcosa di un po’ diverso rispetto agli altri
adolescenti.
Anche la relazione con la casa e con i suoi contenuti può avere un significato simbolico che forse ha caratteristiche diverse rispetto a quello dato dagli
adolescenti figli naturali. Per gli adolescenti adottati è come se ci fosse non
tanto il bisogno di abbandonare la casa, semmai il bisogno di impadronirsene.
In casi estremi si è potuto constatare che sono i genitori che devono andarsene ed è l’adolescente adottato che temporaneamente si impadronisce dell’abitazione, come se avesse bisogno di passare di là per provare una sorta di
pietas nei confronti degli esuli e riportarli a casa.
Queste manipolazioni di oggetti, che in adolescenza sono spessissimo
occasioni di conflitto, come avere la casa, poter disporre della casa, poter dire
agli amici venite a casa mia piuttosto che a casa dei miei, diventano di una
concretezza particolare.
Per quanto concerne poi la scuola, quando questa viene attaccata da parte
degli adolescenti adottati lo è con maggiore evidenza rispetto ad altri casi nei
quali, nell’adolescenza, la scuola viene attaccata, perché è un’istituzione
materna, a volte la rappresenta e quindi viene coinvolta nel processo di separazione e individuazione. Forme poco comprensibili di diserzione o insuccesso scolastico sembra che facciano parte di questo quadro.
Le osservazioni appena svolte si basano forse su di un numero di adolescenti adottati non così importante, ma che appare comunque significativo
per la qualità e per la specificità dei problemi che hanno presentato e che ha
portato gli operatori a chiedersi quale possa essere il modo per aiutare il
padre, la madre e lo stesso adolescente adottato a trovare una forma di riorganizzazione, di risignificazione delle loro relazioni, che siano utili alla crescita e all’elaborazione pacifica del conflitto.
Le osservazioni appena sintetizzate e le ipotesi formulate possono essere
utili se, invece di spingere a parlare e a esprimersi attraverso le azioni a volte
violente e i comportamenti spesso trasgressivi, riescono a diventare pensieri
e parole. Questo movimento con l’adolescente adottato è relativamente semplice, mentre è risultato un po’ più complicato aiutare la madre e il padre a
conquistare rappresentazioni nitide e tollerabili delle motivazioni che spingono il figlio adottato a organizzare una specie di monumentale messa in scena
che sembra voler comunicare il suo vissuto e che il periodo dell’adozione si è
concluso e ne inizia un altro. Lavorare per far comprendere questi movimenti
anche ai genitori costituisce quindi senz’altro un aiuto significativo, che può
avere effetti importanti sugli stessi ragazzi adottati che diventano grandi.
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L’intervento nelle situazioni di difficoltà
e il lavoro con i genitori adottivi
Graziella Fava Vizziello
Professore ordinario di psicopatologia dello sviluppo dell’Università di Padova
Elisa Bisoni
Psicologo clinico, specializzanda in Terapia breve strategica
La genitorialità è una funzione autonoma e processuale dell’essere umano,
preesistente al concepimento, che ne è soltanto una, se pur fondamentale,
non necessaria espressione. La genitorialità è quindi una funzione umana universale anche quando non vi sia la presenza di figli (Fava Vizziello, 2003).
Questa funzione risulta di fondamentale importanza per le persone che si
occupano di bambini adottati, in quanto hanno la necessità di identificarsi e di
“contenere” in maniera genitoriale le situazioni che vivono.
La situazione italiana è molto particolare: si ha una forma di depressione
della genitorialità in quanto il numero di bambini che nascono si è notevolmente ridotto e ormai da molti anni l’indice di natalità si aggira dall’1,2 all’1,5
per famiglia, nonostante l’apporto delle famiglie dei migranti. Inoltre si diventa genitori in età più avanzata: vi è un picco a 30 anni e un secondo a 39 anni.
Ciò dà luogo a una discronia fra il miglior momento biologico per avere dei
figli, cioè dai 20 ai 30 anni, e quello reale.
L’aspetto biologico ha comunque una sua rilevanza che probabilmente si
ripercuote anche sull’aumento dell’infertilità e della sterilità, spesso prima
motivazione della richiesta di adozioni nazionali e internazionali. Anche nel
percorso preadottivo vi è una discronia fortissima fra il momento del desiderio e il momento della realizzazione. Spesso la domanda viene fatta in un preciso momento, quando la famiglia ha metabolizzato il fatto di non poter avere
figli propri e la risposta arriva solo dopo 3 o 4 anni, ma le cose nel frattempo
sono cambiate. Spesso la coppia si è ristrutturata adattandosi alla nuova
situazione ed è meno pronta a ricevere un bambino con cui manca quella storia che fa sì che la genitorialità, funzione interattiva, si formi un po’ per volta,
attraverso il contatto tra genitori e figli, e che evolva nel tempo. I genitori
stentano a immedesimarsi con i bisogni di un bambino con cui non hanno
condiviso le fondamentali tappe di vita precedenti. Inoltre, la credenza culturale per cui per avere figli bisogna essere genitori “perfetti” (aspetto che è
anche alla base della difficoltà degli italiani ad avere figli) rende ancora più
difficili quelle adozioni in cui è richiesto navigare momento per momento tra
difficili scelte.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
Negli ultimi anni nel nostro Servizio per la genitorialità attivo presso il
Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova sono arrivati in consultazione genitori adottivi e biologici,
la cui domanda è: «In che cosa abbiamo sbagliato?». La profonda incertezza
su che cosa fare riguarda molti genitori biologici, non solo quelli adottivi, e
negli anni questa insicurezza è peggiorata. Se in passato, gli insicuri/spaventati erano i genitori di adolescenti con tendenze al suicidio, ora chiedono
aiuto i genitori di bambini piccoli, anche di 1 anno, che riferiscono che il bambino picchia la mamma e non sanno come fermarlo. I genitori sembrano non
riuscire ad affermarsi nel loro ruolo, soprattutto per quanto riguarda gli
aspetti normativi. Il problema diventa ancora più rilevante per i genitori adottivi: è evidente la grande difficoltà che incontrano nel cercare la propria identità genitoriale, soprattutto quando devono identificare i bisogni e i desideri
dei bambini, e al tempo stesso, pur desiderando accontentarli in tutto per
“recuperare il tempo perso”, devono dar loro delle regole di vita.
In un follow up fatto nella zona di Brescia e di Padova (Fava Vizziello,
Simonelli, 2004), 15 anni dopo le prime adozioni internazionali sono state convocate 75 famiglie con adolescenti o giovani adulti adottati 15 anni prima e se
ne sono presentate i due terzi. Le famiglie non presentatesi sono state quelle
che hanno avuto problemi molto gravi con i propri figli e di conseguenza avevano difficoltà a testimoniare la loro esperienza.
Si è voluto, con l’indagine, verificare come i bambini adottati avevano organizzato il loro attaccamento e la relazione con la nuova famiglia e cosa ricordavano del passato.
Sono stati evidenziati aspetti interessanti. I ricordi dei bambini sul passato erano molto nebulosi: rispetto agli istituti la maggior parte ricordava storie vaghe dalle quali emergevano le figure di una o due persone solo per il
fatto che erano state gentili; delle famiglie d’origine cercavano di recuperare
figure genitoriali o parentali che li avevano salvati dalla fame, e questo è
stato evidente soprattutto con i bambini africani. Praticamente tutti i bambini avevano avuto difficoltà scolastiche, in particolare relativamente alle seriazioni e alla successione del tempo. Avevano, quindi, gestito il trauma della
separazione, creando un fondo di memoria che doveva rimanere lontana. Per
esempio uno di questi bambini, che era stato seguito anche a livello terapeutico, non riusciva a imparare i giorni della settimana nella loro sequenza,
le ore, e comunque ogni nozione che dovesse essere organizzata nel tempo.
Era però popolare e ben accetto in classe. In quinta elementare comincia ad
angosciarsi e comincia a creare problemi in classe. Alla mia richiesta di limitare il comportamento più irritante a scuola, il bambino ha risposto che così
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L’INTERVENTO NELLE SITUAZIONI DI DIFFICOLTÀ E IL LAVORO CON I GENITORI ADOTTIVI
riusciva a ottenere più cose. Quando era in istituto, aveva imparato a non
eccedere nei comportamenti insistenti, perché ogni volta che qualcuno eccedeva (e lo facevano in genere per poter avere qualcosa di più per mangiare)
veniva portato in uno stanzino e massacrato di botte e non tornava perché lo
uccidevano. Vera o falsa che fosse la storia, è successo che, dopo averla raccontata, il bambino ha iniziato a prendere a botte la madre e ci sono voluti
mesi per recuperare la situazione e perché riuscisse poi un po’ meglio a gestire la successione temporale.
Questo fatto evidenzia come sia difficile “toccare” la storia di questi bambini utilizzando modalità terapeutiche che sono le medesime utilizzate con gli
altri: occorre essere dei referenti molto accoglienti ma certamente non sollecitare ricordi che sono stati tenuti da parte per anni per poter raggiungere l’equilibrio attuale. La dolorosità di alcuni rischia di mettere in gioco equilibri che
ormai apparivano consolidati.
Un altro fatto risultato evidente è che le famiglie che non hanno partecipato all’indagine provenivano quasi tutte da zone dove nel tempo c’era stato un
cambio di operatori. Invece nelle zone in cui gli operatori erano rimasti gli
stessi per tutti gli anni, le famiglie avevano avuto una grande facilità nel rivolgersi al servizio che, quindi, era potuto intervenire con brevissime azioni di
sostegno alla genitorialità risolvendo i momenti critici più rapidamente.
L’aspetto dell’organizzazione dei servizi e della relativa conoscenza della
storia dei bambini da parte degli operatori è una questione fondamentale.
In questi anni è cambiato il tipo di difficoltà che si devono affrontare, i bambini che arrivano in consultazione sono più difficili da gestire: questo è evidente quando si tratta di più fratelli e non solo nel caso di bambini adottati,
ma anche di famiglie che hanno figli biologici.
Sembrerebbe quindi che nell’organizzazione italiana il contesto sociale non
sia abbastanza forte per sostenere le famiglie che hanno 3-4 figli. Certamente
fra i casi dei bambini adottati ci sono tante situazioni nelle quali le famiglie non
erano preparate ad avere adozioni plurime (la coppia era andata nel Paese di origine del bambino non con l’idea di tornare in Italia con 2-3 figli).
In realtà anche dall’inchiesta realizzata è risultato come le ragioni per le
quali le famiglie riescono ad agire bene e i figli a stare bene sono spesso
impensabili. Per esempio due fratelli adottati di 11 e 12 anni, quindi età difficile, abituati ad agire per l’autosostentamento in maniera molto libera, con
gravi problemi di comportamento anche a scuola, nel giro di pochi mesi sono
riusciti ad adeguarsi molto bene alla nuova situazione. Alla domanda di quale
fosse stata la cosa più bella ricevuta dalla nuova famiglia hanno risposto «la
consegna delle chiavi di casa quando siamo arrivati». I genitori avevano pre193
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
parato una torta tipo nuziale all’arrivo dei bambini e avevano messo al posto
delle figure degli sposi le chiavi di casa da consegnare ai ragazzi. Un altro
aspetto che i bambini avevano apprezzato era che la madre ci fosse poco e
dormisse quando tornava a casa. La madre, infatti, aveva un’attività che la
portava a casa tardi e stanca mentre il padre, che aveva un rosticceria, portava a casa i cibi per la cena. I ragazzi avevano apprezzato moltissimo la fiducia
che i genitori avevano in loro tanto da dar loro le chiavi di casa e da lasciarli
da soli. Questo mi ha fatto pensare che spesso l’aspetto del distanziamento è
necessario per questi bambini.
Ma quali possono essere gli strumenti utili nel lavoro con queste famiglie?
Nell’iter diagnostico-terapeutico abbiamo utilizzato l’LTP, il gioco triadico
di Losanna (Lausanne Trilogue Play) e l’intervista allo specchio, mirror interview (Kernberg, Buhl-Nielsen, Normandin, 2006). Entrambe le procedure
sono relativamente brevi e permettono di lavorare sulla semeiotica positiva,
cioè permettono di individuare le risorse e di lavorare sugli aspetti funzionali e positivi.
Per quanto riguarda l’LTP, la famiglia, ambiente affettivo e relazionale del
bambino, diventa il nucleo fondamentale dell’osservazione e il punto di accesso per un trattamento. Per lunghi anni in psicologia evolutiva sono stati fatti
solo studi sulla diade madre-bambino che hanno permesso di conoscere
importanti aspetti delle competenze interattive, ma hanno avuto il limite di
considerare il sistema familiare come una somma delle parti e non come una
totalità. Le relazioni triadiche non possono essere ridotte alla somma delle
relative relazioni diadiche perché le relazioni che si stabiliscono all’interno
della triade familiare hanno un proprio sviluppo. Non è quindi possibile estrapolare dalle relazioni triadiche le caratteristiche delle relazioni diadiche e viceversa, perché ogni livello di complessità sociale ha proprietà specifiche.
La triade familiare madre-padre-bambino viene considerata come l’unità
primaria di comprensione delle capacità relazionali del bambino e di valutazione del funzionamento familiare nel suo insieme.
Il focus sulla triade implica un cambiamento di prospettiva, per cui essa
non è riducibile alla somma dei sottosistemi diadici e individuali che la compongono, ma i differenti elementi del sistema si influenzano reciprocamente e
dalla loro cooperazione emerge una nuova proprietà, non riconducibile alla
somma delle parti (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery, 2000).
L’LTP consente di studiare tutte le configurazioni possibili di una triade e le
interazioni precoci all’interno della famiglia, ed è l’unico strumento per osservare madre, padre e bambino in interazione permettendo di conoscere le abilità del bambino e la qualità dell’alleanza familiare.
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L’INTERVENTO NELLE SITUAZIONI DI DIFFICOLTÀ E IL LAVORO CON I GENITORI ADOTTIVI
Il gioco triadico di Losanna (Fivaz-Depeursinge, Corboz-Warnery, 2000) è
una procedura osservativa di laboratorio che permette di studiare la famiglia
in quanto unità, un vero e proprio gioco fra genitori e figlio/i che valuta l’interazione triadica in termini di qualità di alleanza familiare. Nella versione clinica questo gioco, che si può somministrare dall’infanzia all’adolescenza, si
suddivide in quattro parti. Nella prima parte un genitore sarà attivo nel gioco
con il figlio/i e l’altro rimarrà nella posizione di osservatore; nella seconda i
genitori si scambiano il ruolo; nella terza parte giocano tutti assieme e infine
nella quarta il figlio/i rimaranno osservatori mentre i genitori parleranno fra di
loro. Tutti i componenti della famiglia, anche i figli biologici se ci sono, vengono riuniti e si chiede di fare qualcosa tutti assieme. Se il bimbo è piccolo, fino
a 5/6 anni, si utilizzano degli elementi della Lego, seguendo le regole precedentemente descritte. L’obiettivo è sempre quello di divertirsi facendo qualcosa tutti assieme. Quando i bambini sono più grandi, dai 7 ai 10 anni, viene
proposto di organizzare insieme un picnic attraverso le medesime parti. Infine,
sopra gli 11 anni, la consegna è quella di organizzare un week-end in cui i genitori partono e lasciano a casa il figlio/i da soli. La procedura dura 15/20 minuti ed è interessante vedere come tutti rispettano i tempi e i modi degli altri e
come riescono a interagire per mediare la situazione, in particolare i passaggi
da una configurazione all’altra.
In questo gioco le variabili che vengono valutate sono quattro: la partecipazione, che risponde alla domanda “sono tutti inclusi?”, cioè chi riesce a
partecipare e chi viene escluso nel gruppo familiare; l’organizzazione, che
risponde alla domanda “sono tutti nel proprio ruolo?”, cioè come i componenti si organizzano tra di loro e come rispettano il ruolo che hanno in quella specifica parte; l’attenzione focale, che risponde alla domanda “prestano
tutti attenzione all’attività di gioco in corso?” (questo aspetto è molto importante perché valuta se tutti riescono a concludere e finalizzare il lavoro,
perché molto spesso l’ansia di dover fare per il bene dei bambini fa sì che il
dare non significhi finalizzare); infine il contatto affettivo, che risponde alla
domanda “sono tutti in contatto?” e valuta lo scambio affettivo fra i vari
membri familiari.
Questo metodo è molto proficuo perché permette di utilizzare i filmati con
i genitori adottivi, in particolare attraverso la tecnica del video-feedback.
La mirror interview è un’intervista semistrutturata consistente in una serie
di domande che vengono formulate mentre l’intervistato si guarda in uno
specchio che riflette l’immagine del soggetto nella sua interezza. L’intervistatore si posiziona di fronte a lui, senza però poter essere visto direttamente, o indirettamente, nel riflesso dello specchio. La procedura è videore195
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
gistrata e dura circa 20 minuti. L’intervista allo specchio mette l’intervistato
nella condizione di dover integrare informazioni enterocettive e esterocettive. Si potrebbe ipotizzare che questa esperienza sia la stessa che il bambino
sperimenta per la prima volta nel “rispecchiamento materno” e nella “sintonizzazione affettiva” nella quale il bambino, integrando le informazioni percettive provenienti dalla madre con quelle enterocettive (informazioni provenienti dal proprio corpo), impara a cogliere cognitivamente anche i propri
stati interni. Se le prime relazioni con il caregiver non sono soddisfacenti, si
può ipotizzare che anche il comportamento di fronte allo specchio rispecchierà questa anormalità.
Le interazioni madre bambino, essendo mediate da diversi fattori, possono
risultare deficitarie a causa di caratteristiche proprie della madre, del bambino o dall’incontro delle peculiarità di entrambi.
Anche questa procedura quindi permette di poter ricavare informazioni
preziose e importanti con i bambini adottati e offre una chiave di accesso per
un possibile trattamento.
In particolare nell’adozione le domande in cui viene chiesto al soggetto a
chi assomiglia, se si piace, se piace agli altri, cosa gli piace di se stesso, danno
indici importantissimi di come il soggetto vive la sua relazione col proprio
corpo nella comunità attuale e quale spazio ha la sua immagine in rapporto a
quella dei compagni e dei genitori. Le risposte sono poi facilmente utilizzabili
nei colloqui successivi.
1. Breve caso clinico
I genitori adottivi di L., una ragazzina di 13 anni, e M., bambino di 8 anni, si
rivolgono al servizio perché preoccupati per l’inserimento dei due figli nella
nuova realtà familiare e sociale. I genitori paiono preoccupati soprattutto da
alcune manifestazioni comportamentali di M., che dicono incontenibile. Per
quanto riguarda L., la preoccupazione maggiore riguarda l’ambito scolastico.
Nella fase di valutazione diagnostica si decide di somministrare l’LTP clinico e l’intervista allo specchio.
Nel gioco familiare emergono in maniera evidente le difficoltà anche a livello di verbalizzazione: i due fratelli si stuzzicano vicendevolmente e la madre
fatica a mediare. L. oscilla tra due ruoli: quello di madre che vuole organizzare il gioco in tutti i suoi aspetti e quello di adolescente dispettosa nei confronti
del fratello più piccolo. D’altra parte M. ha un atteggiamento molto oppositivo sia a livello comportamentale che verbale, riportando tematiche d’angoscia
tanto da dire che «vuole andare a mangiare i cervelli sotto terra». Dall’analisi
della procedura emerge che la maggior risorsa di questa famiglia in questo
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L’INTERVENTO NELLE SITUAZIONI DI DIFFICOLTÀ E IL LAVORO CON I GENITORI ADOTTIVI
momento è il padre: cerca di strutturare la situazione, è adeguato nel compito genitoriale, cercando di valutare le proposte dei figli con i pro e i contro. Si
decide così che è la persona sulla quale ci si può basare per lavorare nella
direzione di una riorganizzazione dei ruoli, cosi alterati in questo contesto
familiare. Per prima cosa viene utilizzata la tecnica del video-feedback per permettere a questi genitori di comprendere appieno le dinamiche che si sono
venute a creare e le modalità attraverso le quali intervenire.
L. è stata adottata con l’idea che potesse integrarsi senza difficoltà nella
famiglia in cui era già stata negli anni precedenti per le vacanze estive; M.,
imposto all’ultimo momento ai genitori che erano andati a prendere soltanto la ragazza, sta facendo di tutto per avere l’attenzione su di sé. Tutta la
famiglia deve concentrarsi su di lui per contenerlo. La ragazza si è adattata
alla scuola anche se non è brillante nei risultati. A un certo punto si è innamorata di un ragazzo straniero, diventando, in questa scoperta della propria
femminilità, molto bella. La madre dà il veto a questo amore fino alla promozione, riservandosi di verificare anche dopo come gestire il rapporto, in
una sorta di rifiuto della sua femminilità dirompente. L. più o meno ubbidisce, continuando comunque a mandare messaggi al suo amore e incontrandolo qualche volta di nascosto. La madre non lo sopporta, prevedendo una
serie di pericoli popolati da fantasmi sulla vita della madre biologica, e la
soluzione viene trovata nell’allontanamento della ragazzina per le scuole
superiori.
La soluzione delle scuole convitto nelle quali i ragazzi vanno senza sentirsi
rifiutati anche dalla famiglia adottiva, ma nello stesso tempo possono assumere una loro individuazione e separazione, è stata adottata in più situazioni
nelle quali c’era un rifiuto della famiglia o, come in questo caso, con la madre
in depressione che sta lontana dal lavoro per un anno.
Il bambino, diventato re della situazione, riesce a ritrovare un suo equilibrio attraverso il contenimento garantito dal padre. Quest’ultimo, già individuato come risorsa, sacrifica un poco il lavoro per aiutare il bambino. La
madre era sul punto di rinunciare, nelle indubbie difficoltà di questo iter
postadottivo, ma il fatto di poter lavorare molto e da subito con il padre,
anche attraverso l’utilizzo delle tecniche di video-feedback con l’LTP ripetuti,
è stato di grande aiuto. Per il nostro gruppo di lavoro questa è una prassi di
routine. Il punto fondamentale è ripartire dall’aspetto che funziona bene;
infatti qualsiasi critica fatta ai genitori adottivi o qualsiasi accoglimento dei
loro sensi di colpa per qualcosa che non funziona in quello che fanno, diventa estremamente negativo per lo sviluppo continuo della genitorialità e quindi per il futuro dei ragazzi.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
Intervista allo specchio
(indirizzata ai bambini in età scolare)
Consegne: «Adesso facciamo un gioco, ti farò delle domande mentre ti guardi
allo specchio, non ci sono risposte giuste o sbagliate, rispondi come vuoi… Sei
pronto per cominciare?»
1) Ti capita mai di usare lo specchio? Ne hai a casa? Dove sono?
2) Ti piace guardarti allo specchio?
3) C’è qualcosa che ti piace di te?
4) E invece, c’è qualcosa che non ti piace di te?
5) Cosa ti piace di come sei vestito oggi?
6) Cosa non ti piace di come sei vestito oggi?
7) Assomigli a qualcuno della tua famiglia? A chi? Perché? (Indagare sulle figure
di riferimento: Mamma? Papà? Nonna/o?)
8) Ti sembra di piacere alle altre persone?
9) Il bambino che vedi nello specchio, è come te o diverso? Perché? In cosa?
10) Il bambino che vedi nello specchio sembra più grasso/più magro? Più grande/più piccolo? (Indagare sulla stessa linea con altri aggettivi, esempio: altezza,
capelli, ecc.).
11) Il bambino che vedi nello specchio è come vorresti essere?
Al termine, mentre il soggetto non guarda più lo specchio:
12) Come ti sei sentito guardandoti allo specchio?
Riferimenti bibliografici
Fava Vizziello, G.
2003 Psicopatologia dello sviluppo, Bologna, Il mulino.
Fava Vizziello, G., Simonelli, A.
2004 Adozione e cambiamento, Torino, Bollati Boringhieri.
Fivaz-Depeursinge, E.
2006 Utilizzo della metodologia LTP in ambito clinico e di ricerca, Dipartimento di
Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, Università di Padova.
Fivaz-Depeursinge, E., Corboz-Warnery, A.
1992
L’approccio sistemico, in Fava Vizziello, G.M., Stern, D., Dalle cure materne
all’interpretazione. Nuove terapie per il bambino e le sue relazioni: i clinici raccontano, Milano, Raffaello Cortina.
2000 Il triangolo primario, Milano, Raffaello Cortina.
Kernberg, P., Buhl Nielsen, B., Normandin, L.
2006 Beyond the reflection: the role of the mirror paradigm in clinical practice, New
York, Other press.
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La trasformazione-innovazione delle strutture
di accoglienza. Il caso degli Innocenti
Giorgio Macario
Formatore e psicosociologo, responsabile scientifico e formativo dello stage
italo-brasiliano, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
Una società moderna si amputa di gran parte della
sua creatività, ma anche del suo realismo, se non associa
lo spirito razionale alla conoscenza della storia personale, psicologica e sociale di ogni individuo e all’apertura al
soggetto personale che si nutre di una storia e di una memoria collettive1.
1. Premessa
Il caso dell’Istituto degli Innocenti è paradigmatico delle possibili trasformazioni-innovazioni delle strutture di accoglienza per l’infanzia ed è stato
sistematizzato in una specifica pubblicazione2 che può essere utile tenere presente per questa sintesi.
La citazione da cui si avvia questa riflessione è tratta da un volume piuttosto
recente (nella versione italiana) di Alaine Touraine. Si tratta di La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, scritto da un
sociologo di fama mondiale, che richiama una sensibilità sempre più necessaria
volta a intrecciare la dimensione sociale con quella psicologica, personale e soggettiva, che ben si presta, a mio avviso, a inserire la tematica della deistituzionalizzazione in un contesto più ampio e meno specialistico. «Molti di noi – scrive l’autore – hanno fatto l’esperienza di riconoscere nell’altro una presenza che
supera quella dell’individuo interessato. Siamo attirati dalla presenza illuminante di quel valore umano superiore che ogni individuo porta in sé» (p. 179).
Cercare di comprendere gli attuali mutamenti e associare a questi le riflessioni e la documentazione del lavoro pedagogico, del lavoro psicologico e del
lavoro sociale dedicato negli anni all’accoglienza dell’infanzia, rappresenta un
tentativo di riaffermare la non perifericità del pianeta infanzia.
La costruzione di contesti sempre più orientati alla “persona” bambino
(di contro alla spersonalizzazione imperante negli istituti), gli investimenti
nella professionalizzazione e nello sviluppo di competenze educative estese
1 Touraine, A., La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo,
Milano, Il saggiatore, 2008, p. 174.
2 Macario, G. (a cura di), Dall’istituto alla casa. L’evoluzione dell’accoglienza all’infanzia nell’esperienza degli Innocenti, Roma, Carocci, 2008.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
e orientate in senso interdisciplinare (di contro al sistema chiuso delle professionalità negli istituti) e l’attenzione all’inserimento nella rete di sostegno delle risorse e delle competenze “educative naturali” (di contro alla loro
sostanziale lateralizzazione o strumentalizzazione negli istituti) prefigurano
una sostanziale riappropriazione dell’accoglienza all’infanzia come problematica non specialistica e separata, ma, per quanto possibile, diffusa e
socializzata.
Questa realtà, che speriamo rappresenti un percorso irreversibile, rischia,
caricandosi di un eccessivo significato simbolico, di indurre ad aspettative di
completa cesura fra un prima (con gli istituti) e un dopo (senza istituti). La
legge 149/2001, pur sancendo infatti la chiusura degli istituti al 31 dicembre
2006, o meglio il loro superamento per la manifesta inadeguatezza in riferimento ai principali bisogni relazionali, educativi e psicologici dei bambini, non
risolve certo le necessità di sostegno residenziale per i minori. E come ben evidenzia Pasquale Andria nell’editoriale di Minori giustizia (4/2006), dedicato a
Il superamento degli istituti nella lunga marcia per l’attuazione dei diritti dei
minori, non c’è sufficiente chiarezza sul fatto che la chiusura degli istituti non
avrebbe comportato la fine dell’accoglienza di minori in strutture residenziali,
proprio per la complessità delle problematiche da affrontare.
Il rischio di cambiamenti di facciata, di trasformismo e di lifting istituzionale di molti istituti è sempre presente e può riguardare, anche se in diversa
misura, tutto il territorio nazionale. Lo stesso Piercarlo Pazè, nel suo saggio
Dagli istituti alle case di accoglienza3, sottolinea come «alcuni istituti si sono
adeguati solo formalmente dividendo i locali in settori nominalmente definiti
“comunità di tipo familiare” e mantenendo però tutti i caratteri edilizi e gestionali precedenti, che li allontanano dalla dimensione spaziale e relazionale di
una casa familiare4».
Proprio per questo le riflessioni sulla sussidiarietà educativa, sul percorso
delle comunità per minori, sulla formazione degli educatori di Casa bambini,
sulla cura della documentazione, della stessa formazione e della riprogettazione educativa, e infine sulle storie di vita in Casa bambini rappresentano il
tentativo di dare sostanza a percorsi attivi da oltre 20 anni, ma che hanno
lasciato tracce quasi nulle5.
3
Pazè, P., Dagli istituti alle case di accoglienza, in Macario, G. (a cura di), Dall’istituto alla casa,
p. 143-157.
4 Pazè, P., Dagli istituti alle case di accoglienza, p. 150.
5 Una ricerca bibliografica condotta nel 2007 sullo specifico argomento ha dato praticamente un
esito negativo.
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LA TRASFORMAZIONE-INNOVAZIONE DELLE STRUTTURE DI ACCOGLIENZA.
IL CASO DEGLI INNOCENTI
2. Una prima chiave
di lettura
dell’esperienza:
la dimensione
biografica
ed autobiografica
Per quanto riguarda il primo aspetto, e cioè la dimensione biografica, questa fa riferimento agli educatori (per il versante educativo-professionale) e ai
volontari, agli obiettori di coscienza, ma anche agli stessi educatori quando
intervengono e offrono la propria disponibilità al di là del contributo strettamente professionale (per il versante educativo-naturale) che raccontano e
restituiscono significato alla vita dei bambini temporaneamente loro affidati,
anche per periodi brevi o brevissimi.
Questo approccio biografico è tanto più significativo in quanto riesce in
diversi casi a travalicare i limiti temporali dell’affidamento diventando una
sponda significativa nella storia del bambino (nel contributo di Bernoni6, vedi
il caso di S. di 10 anni portata in casa bambini dalla madre su sua esplicita
richiesta) o dell’adulto che ricostruisce il proprio percorso di vita (sempre
nello stesso contributo, vedi il caso di L. che diventa C. e che ritorna dopo ben
40 anni). In quest’ultimo caso l’adulto trova la forza ed il coraggio di ritornare
alle proprie origini mai ammesse neanche con i propri figli, riscoprendo un
entusiasmo inaspettato e contagioso per gli stessi educatori.
Ma è altrettanto importante la dimensione autobiografica, che può trasparire
dal trenino di fotografie dei bambini che accoglie i visitatori all’entrata di Casa
bambini, ma riguarda in maniera consistente gli stessi educatori (e coordinatori).
Questi ultimi strutturano in molti casi la propria identità professionale e
personale sul ruolo educativo svolto, senza mai interpretare in maniera separata le pur consistenti responsabilità di ruolo.
Permettetemi un’autocitazione, a questo proposito, di una nota del testo
che ritengo molto significativa:
Un’immagine tratta da un’osservazione sulle funzioni svolte dal coordinatore in comunità è diventata per certi aspetti il simbolo della pluralità delle funzioni e della flessibilità in Casa bambini: si tratta di Margherita che scopa per
terra, riordina e al contempo tiene in mano un telefono, cercando di rassicurare
una madre preoccupata per la figlia inserita nella Casa. Ci parla di cura e attenzioni per la migliore risistemazione dell’ambiente e per le relazioni familiari. Il
bambino in questo caso non c’è, ma è al centro; l’attenzione è orientata in senso educativo e progettuale7.
L’attenzione autobiografica rivolta ai bambini ma anche agli stessi educatori rappresenta quindi uno dei migliori antidoti possibili ai processi di sper-
6
Bernoni, M., Una vita per gli Innocenti. L’evoluzione di Casa bambini nella mente e nel cuore
della sua coordinatrice, in Macario, G. (a cura di), Dall’istituto alla casa, p. 84 e p. 91.
7 Macario, G. (a cura di), Dall’istituto alla casa, nota 20, p. 168.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
sonalizzazione e istituzionalizzazione strettamente connessi alla separatezza
istituzionale.
Vivificare l’ambiente che accoglie partendo in primo luogo dal considerarlo un insieme di storie di vita, ha la precedenza su dotazioni strumentali e arredamenti appositamente progettati – sebbene a questi debba essere associato ogni volta che sia possibile.
Una analoga sensibilità si è potuta riscontrare anche in diverse esperienze
di case famiglia visitate a Minsk in Bielorussia8, dove gli scarsi mezzi economici e le contenute competenze professionali erano parzialmente compensate da una predisposizione a ricreare una vita famigliare sostitutiva accogliente per i bambini ospitati. Modesta, ma dignitosa e viva.
3. Una seconda chiave
di lettura
dell’esperienza:
il “fare casa”
e la dimensione
familiare
Sappiamo che anche solo dal punto di vista numerico è difficile confondere Casa bambini con una vera e propria abitazione dove vive una normale famiglia. Tanto più adesso, in un tempo nel quale una famiglia con più di 5/6 figli
è tanto rara da fare notizia in sé.
Come dice lo stesso Andrea Canevaro: «In una forma che ha svariate sfumature il nucleo familiare viene preso come un modello. Ma di quale famiglia
parliamo? È da scoprire, perché può essere una famiglia come non ce ne sono
più. È una famiglia numerosa»9. E ancora, riconoscendo la pluralità dei possibili modelli proposti: «In alcuni casi – ma non credo che sia possibile estenderlo più di tanto – le stesse strutture che avevano avuto una funzione di accoglienza su grandi numeri si trasformano e diventano case con diversi alloggi e
servizi».
La dimensione familiare è stata fin dall’inizio della storia delle comunità
per minori un “modello a tendere”. Ma anche in precedenza, dalle prime
esperienze di deistituzionalizzazione in ambito francese, non è un caso che i
processi di uscita dall’istituto prendano vita da coppie di educatori che
aggregano alla loro famiglia (con figli, in genere) altri ragazzi da seguire10. E
questo percorso non si è esaurito, ma si rinnova in una miriade di esperienze
che intrecciano in vario modo la competenza educativa professionale in
senso lato con la disponibilità educativa naturale del “fare famiglia” in un
8 Commissione per le adozioni internazionali, L’operatore oltre frontiera, a cura di Macario, G.,
Istituto degli Innocenti, Firenze, 2005 (Studi e ricerche, 4).
9 Canevaro, A., I diritti dei bambini e delle bambine e abitare l’apprendimento, in Macario, G. (a
cura di), Dall’istituto alla casa, p. 111-142.
10 Cfr. Cartry, J., Genitori simbolici, Bologna, Dehoniane, 1989.
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IL CASO DEGLI INNOCENTI
contesto che evolve. Sono numerose le esperienze, in genere case famiglia,
avviate spesso da coppie di professionisti che operano nel settore psicosociale ed educativo.
4. Una terza chiave
di lettura
dell’esperienza:
la dimensione
dell’integrazione
funzionale
e la sussidiarietà
educativa
Il tentativo di contrapporre la centralità della famiglia allo sviluppo di un
panorama plurale di strumenti di accoglienza è altamente strumentale ed è
connesso più a fattori ideologici e di contenimento della spesa complessiva
che a esigenze di efficacia degli interventi educativi. La complessità dell’attuale configurazione della società con ruoli generazionali in via di trasformazione radicale (perdita delle competenze di ruolo dei nonni, analfabetismo
informatico dei genitori, sostanziale isolamento affettivo, emotivo e valoriale
dei figli) rendono progressivamente sempre più arduo lo svolgimento di ruoli
educativi naturali sufficientemente buoni. La difficoltà crescente a espletare
ruoli storicamente naturali anche con un solo figlio provoca una forte spinta
all’introduzione di competenze più professionalizzate nell’intervento educativo naturale. Lo stesso Ciotti11 ci parla di famiglie disorientate, spaventate,
spesso isolate. Crepet segnala, in altri segmenti sociali, la crescente difficoltà
di passaggio delle aziende di famiglia dai padri ai figli12, e così via.
Occorre quindi, nell’ambito di una dimensione dell’integrazione funzionale, alleggerire l’apporto professionale con un’attenzione all’educazione naturale da parte delle strutture professionali, che apparentemente diventano più
soft recuperando però una valenza meno sostitutiva e più integrativa. Ma
anche consentire un recupero di protagonismo educativo da parte delle figure educative naturali (i genitori in primo luogo) fornendo loro strumenti di analisi e di comprensione del reale più articolati.
Le accoglienze diventeranno più temporanee e la vasta gamma dei contesti
e delle proposte di accoglienza di confine (famiglie affidatarie, ma anche rete
delle famiglie naturali, figure disponibili per i supporti domiciliari, ecc.) saranno anche possibili destinatari di interventi di service e supporto da parte delle
comunità. Il supporto orientato alle famiglie affidatarie e/o adottive da un lato,
e quello al tribunale per i minorenni per gli incontri con il bambino dall’altro
sono già due realtà in Casa bambini passibili di ulteriori sviluppi. E d’altra parte
tutta l’esperienza di coinvolgimento di educatori e volontari nelle uscite dei
bambini per il fine settimana ampiamente sperimentata in Casa bambini, rap-
11 Ciotti, L., Educarci a vivere in una terra che ci è data in prestito, in «Animazione sociale», n.
2/2006, p. 3-14.
12 Crepet, P., I figli non crescono più, Torino, Einaudi, 2005, p.7-19.
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LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
presenta già di per sé una sperimentazione, appunto, di confini variabili fra l’intervento educativo professionale e l’intervento educativo naturale.
A partire da queste brevi considerazioni, e prendendo spunto dal crescente utilizzo dei concetti di sussidiarietà verticale (competenza prioritaria per chi
ha la massima prossimità all’interlocutore destinatario, da parte delle diverse
istituzioni pubbliche) e sussidiarietà orizzontale (analoga indicazione con
riguardo alle istituzioni pubbliche e al privato sociale), in ambito educativo è
possibile delineare un concetto analogo adattato. In questo senso la sussidiarietà educativa può porsi come principio regolatore fra gli interventi educativi professionali e quelli naturali: è la maggiore prossimità ad un ambiente
educativo sufficientemente buono, infatti, che può modulare e regolare l’intervento in caso di allontanamento temporaneo dalla famiglia.
Occorre quindi innescare, utilizzando la sussidiarietà educativa, un circolo
virtuoso fra attivazione mirata e consapevole delle risorse educative naturali
e utilizzo orientato al sostegno delle risorse educative professionali. E ciò vale
sia nella prevenzione dell’allontanamento, sia nell’attivazione di risorse residenziali per l’accoglienza, sia nella predisposizione delle migliori opportunità
di reinserimento nel tessuto sociale circostante.
Concretamente Casa bambini ha cercato di praticare percorsi soggettivi dei
bambini nella casa tutte le volte che si è rivelato possibile, con i genitori naturali, con qualche familiare, con i genitori affidatari e con i genitori adottivi.
In altre parole favorire la ricostruzione di spazi di accoglienza educativa naturale può rappresentare un modo avanzato di interpretare la denominazione “a
dimensione familiare” che ha caratterizzato da sempre gran parte delle strutture di comunità. Riconnettendosi in tal modo alla chiave di lettura precedente.
5. Una quarta chiave
di lettura
dell’esperienza:
la dimensione
professionale
e la centralità
della riprogettazione
educativa
La quarta ed ultima chiave di lettura non poteva che riguardare la dimensione professionale. Apporto centrale della consulenza assistita condotta per
un quinquennio con l’équipe di Casa bambini, la formazione degli educatori
costituisce l’architrave fondamentale per il percorso di riprogettazione educativa che è iniziato diversi anni prima ed è proseguito negli anni successivi
alternando apporti formativi e supervisioni.
D’altra parte i percorsi di ricerca “non lineari” caratterizzano gli ambienti
educativi vitali; e ciò accade ancor più nelle situazioni di accoglienza residenziale che rischiano una stabilizzazione delle routine e una chiusura verso l’esterno, cioè di fatto un’autocentratura educativamente deleteria.
In estrema sintesi sono tre le aree che è possibile tenere in considerazione
nel favorire le trasformazioni-innovazioni nelle strutture di accoglienza.
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LA TRASFORMAZIONE-INNOVAZIONE DELLE STRUTTURE DI ACCOGLIENZA.
IL CASO DEGLI INNOCENTI
1) La prima riguarda la cura della documentazione: l’autoriflessione professionale e l’esplicitazione dei clienti diretti e indiretti del servizio, unitamente alla ricerca di una più precisa identità del servizio e della documentazione delle attività svolte, può favorire la costruzione di una cultura documentaristica operativa meno verbale. Infine la prefigurazione
di azioni di documentazione accanto alle fasi definitorie (documenti e
strumenti, oggetti della documentazione, obiettivi della documentazione) possono imprimere maggiore dinamicità al “fare casa”.
2) La seconda area trasversale riguarda l’immissione dei bambini nella
dimensione progettuale, con una chiarificazione delle finalità di osservazione/valutazione, di affiancamento al nucleo per la riacquisizione di
più consistenti funzioni parentali, di sostituzione temporanea delle funzioni genitoriali.
3) La terza area, infine, concerne la riprogettazione educativa e può fornire risposte ai bisogni multiformi e in veloce mutamento. Dalla riprogettazione si può passare infatti – come è stato concretamente fatto nel
caso di Casa bambini – a un’analisi organizzativa orientata verso nuovi
possibili scenari. Il contesto di apprendimento autoriflessivo trae poi
notevole beneficio dall’utilizzo del metodo autobiografico nella formazione degli adulti, in costante e progressivo perfezionamento già dal
decennio scorso. L’articolazione pluriennale di quest’ultima fase favorisce sicuramente riflessioni anche operative diversificate che contribuiscono alla costruzione di una maggiore qualità del servizio, auspicando
che questo percorso favorisca ulteriori apporti orientati all’autoformazione in senso riflessivo e autoriflessivo.
Gli elementi qui presi in considerazione hanno caratterizzato di fatto tutte
le varie fasi dell’intervento formativo che sono state accompagnate dalla produzione di una specifica documentazione che testimonia la concretezza del
lavoro svolto. Come nel caso del depliant delle strutture residenziali, costruzione collettiva di un’immagine della/delle Case che ha rappresentato una
sorta di ufficializzazione dell’identità collettiva sia in una dimensione orientata all’esterno, ma anche in una dimensione interna13.
6. Conclusione
C’è una necessità di essere sensibili alla resilienza dei bambini (educarsi
alla resilienza) ma anche di non trascurare la responsabilità per gli educatori
13
Cfr. Macario, G. (a cura di), Dall’istituto alla casa, p. 70.
205
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
(educarsi alla responsabilità)14. La capacità di resilienza, di poter cioè resistere alle vicissitudini ed alle difficoltà della vita, è estremamente importante
perchè costituisce una sorta di antidoto naturale ai problemi pur consistenti
che si possono incontrare già da piccolissimi.
Come ormai confermato da numerosi specialisti (per fare solo due nomi
eccellenti è possibile citare Gustavo Pietropolli Charmet e Graziella Fava
Viziello), occorre valutare al meglio come e se intervenire con percorsi di aiuto,
di recupero e terapeutici, perchè spesso le capacità di ripresa sono inaspettate e l’equilibrio fra sostegno naturale e sostegno professionale non sempre è
a favore di quest’ultimo. Ma è altrettanto importante che nel momento in cui
si rivela necessaria un’accoglienza residenziale che tutela, protegge e sostiene educativamente il percorso del bambino, ci siano a disposizione una pluralità di proposte educativamente connotate che non costringano né a sovraccaricare le disponibilità degli uni, né a ripiegare su soluzioni formalmente realizzabili ma inadeguate nella sostanza. È quanto si auspica perché le evoluzioni delle strutture residenziali possano realmente andare nella direzione di
un effettivo “superiore interesse del minore”.
14
206
Canevaro, A., I diritti dei bambini e delle bambine e abitare l’apprendimento, p. 70.
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I rapporti tra servizi sociali e autorità giudiziaria
minorile con particolare riferimento
al procedimento di adozione
Vincenzo Starita
Giudice presso il Tribunale per i minorenni di Salerno
1. Breve ricostruzione
storica dei rapporti
tra autorità
giudiziaria minorile
e i servizi sociali
La storia dei rapporti tra servizi sociali e autorità giudiziaria minorile affonda le sue origini nella nascita dei moderni Stati nazionali, in cui le attività caritative in favore di minori, da sempre presenti, per la prima volta assunsero una
caratteristica professionale e vennero affidate dagli Stati stessi a grandi enti
nazionali, organizzati burocraticamente e distinti per categorie di utenti.
In Italia i primi esempi di tali rapporti risalgono proprio alla disciplina di
uno di questi enti di natura pubblica, vale a dire l’Opera nazionale maternità e
infanzia (ONMI). Gli assistenti sociali dipendenti di questo ente avevano infatti l’obbligo di riferire a esso situazioni che potevano richiedere l’intervento del
giudice. Il comitato direttivo dell’ONMI, alla luce di tali segnalazioni, svolgeva
successivamente un’autonoma attività di inchiesta e, sussistendone i presupposti, provvedeva, ex articolo 171 del regolamento 718/1926, a informarne il
procuratore del re perché valutasse l’opportunità di richiedere al tribunale un
provvedimento limitativo della potestà genitoriale, oppure, nei casi più gravi,
avanzava direttamente al presidente del tribunale richiesta di perdita della
patria potestà o della tutela.
È significativo, poi, che i primi assistenti sociali dipendenti dallo Stato (più
precisamente dal Ministero della giustizia) furono quelli operanti nei centri di
rieducazione istituiti con la legge 1404/1934 che prevedeva anche l’istituzione del tribunale per i minorenni.
Iniziò allora una diretta e feconda collaborazione tra assistenti sociali e
autorità giudiziaria minorile che trovò una completa disciplina solo, dopo
quasi un trentennio, con la legge 1085/1962, che all’articolo 2 disponeva che
gli uffici del servizio sociale minorile dovessero svolgere «in relazione a provvedimenti penali, civili e amministrativi dell’autorità giudiziaria, inchieste,
trattamenti psicologico-sociali e ogni altra attività diagnostica educativa».
La peculiare organizzazione dei servizi ministeriali condusse un autorevole
autore, Alfredo Carlo Moro, a definire il sistema della giustizia minorile “autarchico” perché presso il Ministero della giustizia erano inquadrati sia i servizi
sociali che gli istituti di correzione (i cosiddetti riformatori giudiziari).
Le grandi rivoluzioni sociali e culturali che caratterizzarono gli anni ’70 produssero un profondo cambiamento strutturale nel sistema. Vennero, infatti,
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
aboliti tutti gli enti di categoria e con il Dpr 617/1977, sul decentramento
amministrativo, la funzione assistenziale non divenne più di esclusiva pertinenza dello Stato ma passò in buona parte ai Comuni. In particolare, nei procedimenti amministrativi e civili il tribunale per i minorenni poteva avvalersi
dei servizi sociali comunali e non più ministeriali.
In questo periodo storico si attuò di fatto lo “stato del benessere”, venne
implementata una rete territoriale di servizi per i minori gratuiti, generalistici,
pubblici, integrati, con valenza preventiva ma anche con una forte connotazione di controllo. I servizi vennero chiamati per la prima volta a una stretta
collaborazione con la magistratura minorile (anch’essa nel frattempo destinataria con la riforma del diritto di famiglia di nuove competenze in tema di potestà genitoriale), con il compito di promuovere e tutelare insieme i diritti del
minore.
Il processo di autonomia degli enti locali e dei loro servizi, iniziato con la
legge 142/1990 si è concluso con la recente legge costituzionale 3/2001 che
ha modificato il titolo V della Costituzione e ha profondamente cambiato la
struttura dei servizi minorili che oggi presentano una forte impronta regionale, con differenze sensibili da Regione a Regione.
Alla Regione, per effetto della modifica dell’articolo 117 della Costituzione,
è oggi riservata una potestà legislativa propria ed esclusiva sulla disciplina dei
servizi e delle funzioni assistenziali. È importante evidenziare che, per effetto
di tali riforme, in questo momento storico assistiamo a una grande proliferazione ma anche frammentazione di produttori e gestori di servizi per i minori
perché, accanto alla coppia strutturale tradizionale costituita da Comuni e
aziende sanitarie locali, si è organizzato un articolato sistema di “privato
sociale” a cui i servizi vengono affidati con aggiudicazione, convenzione,
accreditamento da parte dello stesso ente locale, che assume solo un ruolo di
programmazione, acquisto e controllo.
La situazione oggi è operativamente difficile dal momento che il tribunale
per i minorenni non ha più un referente pubblico unico e stabile, ma presenta
anche aspetti positivi perché si è realizzato finalmente un maggiore controllo
dei servizi, diffuso su tutto il territorio, a tutela della popolazione minorile.
2. Quadro generale
della suddivisione
delle competenze
in materia di servizi
sociali nell’ordinamento
italiano
Sotto il profilo legislativo, la disciplina giuridica dei servizi sociali è caratterizzata in Italia da una ripartizione delle relative competenze tra lo Stato e
gli altri enti pubblici territoriali, vale a dire Regioni, Province e Comuni.
Le competenze statuali si desumono da una lettura integrata del decreto
legislativo 112/1998 e della legge 328/2000. Per effetto delle disposizioni ivi
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
contenute, oltre alla programmazione e al coordinamento con le politiche
internazionali, lo Stato si è riservato i compiti di indirizzo e di coordinamento
delle politiche sociali e assistenziali. Ciò comporta, sul piano operativo, un
ruolo primario dello Stato nella redazione di un piano nazionale triennale degli
interventi in cui, ex articolo 18 della legge citata, devono essere indicate le
caratteristiche e i requisiti delle prestazioni sociali essenziali individuate ai
sensi dell’articolo 22 della stessa legge.
Le competenze regionali sono previste, invece, dall’articolo 8, commi
primo e secondo, della legge in parola e si tratta di compiti fondamentali.
Alle Regioni viene infatti attribuita sia la funzione di programmazione e di
raccordo tra tutti gli enti locali, istituzioni e terzo settore coinvolti nell’attuazione delle politiche sociali e sanitarie, sia quella di indirizzo e sintesi di
tali politiche. Spetta quindi alle Regioni il compito di individuare gli ambiti
territoriali più idonei per l’esercizio in rete dei servizi sociali (preferibilmente coincidenti con i distretti sanitari), di favorire l’esercizio associato dei servizi, di definire l’integrazione delle politiche sociali, ambientali e scolastiche. La ratio della legge è volta, quindi, a incaricare la Regione del ruolo di
ente promotore della sperimentazione di nuovi modelli operativi in grado di
elaborare modelli elastici che si aggiornano continuamente seguendo le
mutate esigenze del corpo sociale. Alla Regione sono inoltre attribuiti poteri sostitutivi in caso di inadempienza alle rispettive competenze da parte
delle Province e dei Comuni.
Alle Province l’articolo 7 della legge quadro attribuisce un compito di raccordo tra Regioni e Comuni, con funzioni precipue di aggiornamento e di formazione del personale nonché di documentazione e di studio dei bisogni e
delle risorse presenti nei vari ambiti territoriali.
La raccolta dei dati assume rilievo fondamentale in sede di elaborazione
del piano regionale di assistenza. Il decreto legge 112/1998 ha precisato, però,
che le funzioni operative di assistenza sociale e la realizzazione della rete dei
servizi sociali sono attribuite ai Comuni. Il medesimo decreto ha previsto che
le Regioni possano delegare ai Comuni una serie di attività sociali tra cui quelle inerenti ai minori, anche a rischio e devianti, e ai giovani.
La legge quadro ha specificato meglio il ruolo del Comune quale ente deputato alla programmazione, progettazione e realizzazione del sistema dei servizi sociali in rete, con il compito di indicare in questo settore le priorità, di
concertare l’utilizzo delle risorse finanziare e umane, ivi compreso il volontariato, nonché di promuovere lo sviluppo delle sensibilità sociali in modo da
attivare percorsi di mutuo aiuto tra i cittadini.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
3. Il ruolo attuale
dei servizi
nel procedimento
minorile
La storia dei rapporti tra i servizi sociali minorili e il tribunale per i minorenni è da sempre caratterizzata da una profonda ambiguità determinata dall’assenza di un progetto normativo organico che definisca in modo analitico le
rispettive competenze e specificità. Tale progetto sarebbe quanto mai necessario trattandosi di due istituzioni che, poiché interferiscono tra di loro nello
svolgimento dell’attività propria e tendono a realizzare un obiettivo comune
che è la salvaguardia e la concreta esplicazione dei diritti del minore, necessitano di collaborare organicamente. Attualmente, invece, si assiste a una frammentazione della materia. Così, ad esempio, a una regolamentazione dettagliata del ruolo dei servizi nel procedimento di adozione si accompagna l’assenza di qualsivoglia regolamentazione nei procedimenti de potestate. Per
questi procedimenti si assiste a una diffusione di prassi diverse rispetto alle
modalità di relazione. Si sono così creati rapporti disfunzionali in un campo in
cui dovrebbe essere sempre pregnante il ruolo dei servizi atteso che a essi
solitamente il tribunale richiede non solo di fotografare la situazione esistente, le condizioni di vita e l’ambiente in cui vive il minore, ma anche di formulare un’ipotesi di intervento che poi verosimilmente sarà lo stesso servizio a
porre in atto e a seguire.
Ha osservato correttamente Luigi Fadiga che nei procedimenti de potestate non si trovano regole per interagire con i servizi, anche gli stessi giudici non sono tenuti a chiamare i servizi per ascoltare il loro parere. Il giudice, infatti, può proseguire oltre ignorando i servizi con ripercussioni pesanti sul loro operato.
È superfluo sottolineare che questa interferenza genera talvolta un rimpallo di responsabilità tra servizi e giudice a tutto danno degli interessi del
minore.
In molte tipologie di procedimenti minorili i servizi hanno una posizione
esterna, sfuggente, eppure quasi sempre invasiva, dal momento che spesso a
essi viene affidato da parte del giudice il compito di eseguire il provvedimento giurisdizionale e di vigilare sulla sua corretta applicazione.
Occorre allora chiedersi in che modo sia possibile uscire da questa rilevata
ambiguità.
Alcuni autori in dottrina, prima dell’attuazione della riforma introdotta ex
legge 149/2001, nel tentativo di rafforzare il ruolo non strumentale e servente
dei servizi nel procedimento, arrivarono a caldeggiare l’assunzione da parte
degli stessi della qualità di parte con autonomi poteri processuali di impulso,
a tutela delle fasce sociali più deboli. È noto che la scelta del legislatore italiano è stata di diverso avviso. L’attuazione del giusto processo è avvenuta
attraverso l’accentuazione della terzietà del giudice minorile, attribuendo
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
maggiori poteri processuali al pubblico ministero e dotando il minore di assistenza difensiva nei procedimenti di adozione e de potestate.
La negazione della qualità di parte non deve portare però a sminuire l’importanza che assume oggi la capillare e diffusa organizzazione dei servizi
sociali nel nostro sistema dal momento che gli stessi costituiscono l’unica istituzione presente sul territorio che con le sue attività di prevenzione, di informazione, di promozione, di vigilanza, di ispezione, di ascolto, di sostegno, può
rendere effettivo e non un mero simulacro l’esercizio dei diritti del minore e, in
primis, quello di essere educato in un ambiente familiare idoneo a garantirgli
un corretto ed equilibrato sviluppo psicofisico.
La concreta attuazione di questi compiti richiede allora la presenza sul territorio di un servizio sociale dotato di una forte autonomia e di un’efficiente
organizzazione. Quest’ultima da contenitore deve divenire un contenuto
essenziale del sistema di protezione delle fasce deboli. Solo un servizio sociale effettivamente presente capillarmente sul territorio, in grado di conoscere i
bisogni e di intervenire tempestivamente, potrà infatti essere un interlocutore
valido per il tribunale per i minorenni. Autonomia significa, quindi, che l’operatore del servizio, anche quando svolge compiti richiesti dal tribunale, non è
mai un esecutore materiale di un’attività che rientra nella sfera di competenza dell’autorità delegante. L’inchiesta o indagine sociale, ad esempio, anche
quando richiesta dall’autorità giudiziaria minorile, rimane un atto proprio dei
servizi che nello svolgimento conservano una piena autonomia. Del resto, ciò
si desume dalla stessa natura dell’inchiesta che non deve riguardare solo la
descrizione di uno stato di fatto ma anche e soprattutto la descrizione di dinamiche relazionali; può e deve contenere, inoltre, laddove possibile, una proposta di intervento – con la redazione di un articolato progetto – oppure specifiche indicazioni all’autorità giudiziaria circa l’opportunità di adottare nella
fattispecie un determinato provvedimento.
Ormai è tempo in cui occorre superare l’equivoco che la collaborazione dei
servizi con il tribunale per i minorenni comporti una limitazione automatica
dell’autonomia dei primi, ma anche superare ogni forma di appiattimento del
giudice sulle relazioni dei servizi.
Il giudice minorile è terzo anche rispetto alle relazioni dei servizi che costituiscono solo degli strumenti di conoscenza assunti ai fini della decisione.
Non è importante in questa sede stabilire la valenza processuale di tali relazioni (vale a dire vere e proprie consulenze tecniche d’ufficio o atti provenienti da ausiliario del giudice). Ciò che è importante stabilire è che si tratta di atti
che costituiscono espressione dell’autonoma funzione amministrativa e l’autonomia è fonte di responsabilità propria.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
L’ambiguità in commento, allora, potrà essere superata del tutto solo
quando il legislatore provvederà a individuare per ogni procedimento minorile, e in ogni fase dello stesso, in maniera più compiuta, quali sono le competenze proprie dell’amministrazione e quali quelle della giurisdizione.
4. Le specificità
del sistema italiano
delle adozioni:
le multiformi
e massicce normative
regionali sull’attività
dei servizi
Passando alla materia specifica dell’adozione nazionale e internazionale è
agevole constatare quanto la stessa sia caratterizzata da una profonda eterogeneità sia sotto il profilo del riparto delle competenze legislative sia sotto il
profilo del numero dei soggetti istituzionali coinvolti. Di conseguenza è più
corretto discorrere di un “sistema italiano delle adozioni” che occupa una
posizione peculiare nell’ambito del nostro panorama giuridico.
La poliedricità del fenomeno adottivo – che può essere studiato secondo
un duplice angolo prospettico, cioè sia sotto il profilo giuridico, in quanto fattispecie che incide direttamente su diritti personalissimi come quelli di status del soggetto adottato, sia sotto il profilo sociale, dal momento che richiede una serie di prestazioni di tipo assistenziale – ha fatto sì che lo stesso, in
seguito alla riforma costituzionale del 2001, sia disciplinato in modo autonomo sia dalla normativa statuale che da quelle regionali. La normativa dell’adozione, infatti, in quanto complessivamente incidente sulla cittadinanza,
sull’anagrafe, sullo stato civile, sulla giurisdizione, su norme processuali e,
quella dell’adozione internazionale, anche sui rapporti internazionali dello
Stato e sull’immigrazione, rientra nella legislazione riservata in via esclusiva
allo Stato.
Come si vedrà meglio in seguito, però, alcune rilevanti attività, tra cui quelle di informazione-preparazione e indagine, sono state riservate ai servizi
socioassistenziali locali dalla legge 184/1983. Al riguardo, la legge 476/1998,
in tema di adozione internazionale, ha rafforzato tale opzione introducendo
l’articolo 39 bis alla legge 184/1983, in forza del quale viene dato alle Regioni
e alle Province autonome di Trento e Bolzano un espresso incarico «di sviluppare una rete di servizi previsti dalla normativa, di vigilare sul funzionamento
delle strutture e dei servizi che operano sul territorio per l’adozione internazionale al fine di garantire livelli adeguati di intervento, di promuovere la definizione di protocolli operativi e convenzioni tra enti autorizzati e servizi sociali nonché forme stabili di collegamento tra gli stessi e gli organi giudiziari
minorili».
La potestà legislativa concorrente delle Regioni con la riforma costituzionale del 2001 è divenuta, in questo ambito ben delineato, autonoma ed esclusiva in tutte le prestazioni assistenziali, tra cui rientrano quelle in esame,
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
essendosi il legislatore nazionale riservato nel settore solo la determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
L’intervento massiccio di una poliedrica normativa regionale ha determinato inevitabilmente, per quanto riguarda l’attività dei servizi, una profonda
diversificazione delle procedure utilizzate, dei modelli organizzativi, delle
metodologie (in particolare dei percorsi di sperimentazione).
Un illustre studioso, Piercarlo Pazé, ha cercato di sintetizzare le motivazioni di una tale varietà contenutistica, evidenziando come essa dipenda, in
primis, dal diverso sviluppo dei servizi nelle aree geografiche, quindi, dalle
diverse richieste formulate dai tribunali, verso cui molti progetti sono serventi, e dalla diversa sensibilità e cultura degli operatori e degli amministratori2. Accanto a essi va aggiunto un ulteriore elemento di complessità, sussistente in alcune Regioni, e rappresentato dal fatto che l’attività organizzativa
dei servizi che operano nel settore delle adozioni è riservata a due organi
politici distinti, vale a dire l’assessorato alle politiche sociali e quello alla
sanità. In questi casi l’efficienza del sistema dipende da un’ulteriore variabile: l’attivazione di modalità di raccordo interno che consenta un dialogo proficuo tra queste autorità competenti e una rapida realizzazione delle finalità
perseguite.
Ovviamente non è qui possibile riportare, neppure sinteticamente, tutta la
vastissima produzione normativa regionale in tema di organizzazione dei servizi socioassistenziali nel settore adozioni. Alcuni dati salienti possono però
essere posti all’attenzione di un osservatore straniero:
a) il sistema adozioni italiano, per quanto riguarda l’organizzazione dei
servizi, è caratterizzato da una considerevole sproporzione tra il notevole livello di attenzione rivolto alla determinazione e disciplina delle
attività che precedono il giudizio valutativo del tribunale per i minorenni e lo spazio ridotto riservato alla realizzazione di strumenti sociali di
sostegno per la coppia nel periodo dell’attesa e del nucleo familiare nel
postadozione;
b) il sistema adozioni funziona molto meglio laddove si è instaurata una
prassi virtuosa volta a porre in essere un’opera di coordinamento tra i
diversi protagonisti del procedimento adottivo a vari livelli (direzione
servizi sociali, tribunale per i minorenni, rappresentanti di enti autorizzati, operatori dell’équipe adozioni, rappresentanti del privato sociale –
2
Cfr. Pazé, P., L’adozione internazionale nelle normative regionali, in Commissione per le adozioni internazionali, Il post-adozione fra progettazione e azione, a cura di G. Macario, Firenze, Istituto
degli Innocenti, 2008 (Studi e ricerche, 7).
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
tra cui un ruolo primario assumono, in quest’ambito, le associazioni di
famiglie adottive – e, in alcune Regioni, i referenti scolastici);
c) nel sistema assume un ruolo sempre più centrale la realizzazione di
un’adeguata formazione degli operatori ai vari livelli, anche attraverso
la creazione di corsi multidisciplinari e interdisciplinari, organizzati dalla
Commissione per le adozioni internazionali tramite l’Istituto degli
Innocenti. In tal modo, negli ultimi anni, si sono approfondite alcune
tematiche essenziali del procedimento adottivo, ponendo particolare
attenzione alla cura della famiglia adottiva, alla riscoperta delle origini,
al rapporto sinergico con la scuola, alle probleatiche connesse alle adozioni che avvengono nella fase adolescenziale o a quelle aventi ad
oggetto più fratelli, alle criticità connesse al periodo dell’attesa e alla
fase postadottiva, alle forme di cooperazione e confronto e scambi di
esperienze con i Paesi di origine;
d) la quasi totalità delle Regioni riserva la competenza nell’adozione e
postadozione a servizi specifici con composizione mista (con presenza
sempre di assistenti sociali e psicologi), cioè a équipe integrate, variamente definite, che svolgono sia la funzione informativa-orientativa sia
di formazione e di sostegno.
5. Quadro sintetico
delle competenze
dei servizi
nel sistema italiano
delle adozioni
Esaminati gli aspetti salienti sotto il profilo organizzativo, si ritiene opportuno, per le finalità specifiche del presente lavoro, enunciare in maniera schematica le competenze dei servizi socioassistenziali degli enti locali, singoli o associati, nel procedimento adottivo così come previste dalla legislazione nazionale.
Per quanto concerne l’adozione nazionale esse possono essere così sintetizzate:
a) attività di prevenzione rispetto all’insorgenza di situazioni di abbandono
ex articolo 1 legge 184/1983. Rientra, infatti, tra le funzioni dello Stato e
degli enti locali territoriali, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, quella di sostenere i
nuclei familiari “a rischio”, a salvaguardia del diritto fondamentale del
minore a essere educato all’interno della famiglia di origine. In questo
vasto ambito è ricompresa tutta l’attività dei servizi volta non solo alla
vigilanza e al monitoraggio del territorio, ma anche all’elaborazione di
progetti di intervento in favore, ad esempio, dei nuclei in difficoltà economica, delle donne sole, delle coppie molto giovani e di tutti i casi in cui
è presente una forma di parziale incapacità genitoriale, oltre all’attività
volta a formare e a realizzare affidamenti familiari ed eterofamiliari;
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
b) attività obbligatoria di segnalazione di minori in situazioni di abbandono al pubblico ministero minorile ex articolo 9, legge sovra citata, situazioni di cui i servizi vengono a conoscenza in ragione del proprio ufficio
(obbligo che grava, più in generale, su tutti i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio o esercenti un servizio di pubblica necessità);
c) attività di accertamento, in base al successivo articolo 10, a richiesta del
tribunale per i minorenni, sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull’ambiente in cui lo stesso ha vissuto e vive, al fine di verificare la
sussistenza o meno dello stato di abbandono;
d) attività di formazione-informazione sulle tematiche dell’affido e dell’adozione;
e) attività di sostegno alle comunità familiari;
f ) attività di indagine ex articolo 22, sempre della legge già citata, su
richiesta del tribunale per i minorenni dopo la presentazione della
domanda di adozione, avente a oggetto le seguenti aree tematiche relative alle coppie istanti: la capacità di educare; la situazione personale
ed economica; la salute; l’ambiente familiare; i motivi della richiesta
adottiva;
g) attività di vigilanza sull’affidamento preadottivo con svolgimento eventuale di interventi di sostegno psicologico e sociale.
Nell’adozione internazionale, infine, si individuano le seguenti competenze
(ex articolo 29 bis legge 184/1983, in seguito alla trasmissione da parte del tribunale per i minorenni di copia della dichiarazione di disponibilità):
a) attività di informazione sull’adozione internazionale, sulla relativa procedura, sugli enti autorizzati, sulle altre forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà. Tale attività può essere svolta anche in collaborazione con gli enti;
b) attività di preparazione degli aspiranti all’adozione, anche in questo
caso, in possibile collaborazione con gli enti;
c) attività di indagine volta ad acquisire elementi indispensabili per la valutazione degli aspiranti, in particolare, sulla situazione personale-familiare-sanitaria, sull’ambiente sociale in cui vivono, sulla motivazione,
sulla capacità di rispondere alle esigenze di uno o più minori e sulle
eventuali caratteristiche peculiari del minore che essi sarebbero in
grado di accogliere;
d) ex articolo 31, legge citata, attività di sostegno del nucleo adottivo fin
dall’ingresso del minore in Italia, su richiesta della coppia e in collaborazione con l’ente;
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
e) in forza del successivo articolo 34, attività di assistenza ai genitori affidatari, ai genitori adottivi e al minore, su richiesta degli interessati, dall’ingresso del minore in Italia e per almeno un anno ai fini di una corretta integrazione familiare e sociale. Tale compito grava anche sui servizi
dell’ente;
f ) attività di relazionare al tribunale per i minorenni in ogni caso sull’andamento dell’inserimento e di segnalare l’insorgenza di difficoltà che
richiedano l’adozione di opportuni interventi.
6. Alcuni aspetti
problematici
che ineriscono
al rapporto tra servizi
sociali, tribunale
per i minorenni
ed enti autorizzati
nelle tre fasi
del procedimento
di adozione
internazionale
La delineata complessità dell’iter che conduce all’adozione internazionale,
caratterizzato, come già sottolineato, dall’intervento di professionalità eterogenee, determina l’insorgenza nella pratica quotidiana di considerevoli criticità, alcune delle quali, in conclusione del presente lavoro, è interessante
segnalare con riferimento alle singole fasi endo-procedimentali, partendo da
quella che precede l’emissione del decreto di idoneità.
Fin dall’inizio dell’iter adottivo, il richiamato articolo 29 bis della legge
184/1983 prevede l’obbligatorietà dell’intervento dei servizi locali attraverso
l’organizzazione e lo svolgimento di percorsi formativi-informativi che esercitano una rilevanza riflessa sulla valutazione complessiva degli aspiranti. Le
relazioni dei servizi sul punto sono, infatti, divenute una fonte della decisione
di idoneità parimenti all’attività di ascolto degli aspiranti all’adozione da parte
del tribunali per i minorenni, ai sensi del successivo articolo 30, comma primo.
È di palmare evidenza, pertanto, quanto sia importante che tra questi due
momenti non si realizzi, come spesso accade, uno iato ma, al contrario, una
profonda integrazione, frutto di un proficuo coordinamento. La prassi insegna
che tutto ciò può attuarsi solo quando siano previamente delineati i criteri cui
devono attenersi i servizi nello svolgimento di queste attività. È stato giustamente affermato che le relazioni dovrebbero essere le meno valutative possibili, pur dovendo offrire quanti più elementi obiettivi e verificabili per consentire un giudizio valutativo.
Un ulteriore aspetto problematico da evidenziare attiene alla necessità di
una standardizzazione dei percorsi su tutto il territorio di riferimento del tribunale per i minorenni, in modo da garantire non solo identiche occasioni alle
coppie di informazione-formazione ma soprattutto all’organo valutativo di
ricevere, in modo omogeneo, tutte le informazioni e descrizioni necessarie per
esprimersi. È fondamentale, allora, che la metodologia seguita dai servizi nei
corsi di formazione sia la stessa, soprattutto con riferimento al delicato
momento dell’analisi psicologica, e che, allorquando sussistano importanti
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
divergenze tra le risultanze emerse dal colloquio valutativo in tribunale e quelle contenute nelle relazioni, si assicuri un’attività di dialogo tra gli operatori.
Solo così, del resto, sarà possibile accertare celermente se sia opportuno o
meno lo svolgimento di eventuali percorsi mirati di approfondimento.
Ancora, un problema che si sta ponendo in maniera sempre più insistente
nella prassi è quello della necessità di rispettare in via tendenziale il termine
previsto dalla legge per la conclusione del procedimento. Ciò, ovviamente,
non perché tale termine deve considerarsi perentorio, ma perché la ragionevole durata dei processi è principio di carattere costituzionale foriero di
responsabilità anche in ambito comunitario. Inoltre, non occorre possedere la
sfera di cristallo per prevedere gli effetti deleteri che possono prodursi, sia
individualmente che nel rapporto di coppia, a carico di coniugi costretti per
lungo tempo a essere sottoposti allo stress di sentirsi “sotto esame”. Tenuto
conto che si deve comunque garantire che le relazioni siano adeguatamente
approfondite, potrebbe superarsi l’impasse con la creazione di équipe integrate interdisciplinari che anche prima, e al di fuori del procedimento di idoneità, pongano in essere percorsi di orientamento e formazione, in collaborazione con gli enti. La domanda di disponibilità deve diventare, per quanto possibile, non più l’inizio ma una tappa del procedimento di valutazione.
Nella fase dell’attesa, la disciplina delle relazioni tra i soggetti interessati,
in mancanza di una normativa nazionale, è demandata alla sensibilità degli
interpreti e degli operatori, i quali sono costretti a ricorre alle scarne indicazioni che provengono dalla normativa regolamentare (in particolare dalle linee
guida della Commissione per adozioni internazionali) e dalle consuetudini che
si vengono progressivamente formando negli uffici e nei tribunali. Anche l’intervento della normativa regionale, infatti, non si è ancora esteso a tutto il territorio nazionale. Alla stregua di tutto ciò, non è possibile individuare con chiarezza il soggetto istituzionale demandato a “presiedere” l’attesa con il rischio
di invasioni di campo (come accade quando il tribunale per i minorenni chiede
continuamente in questo periodo relazioni agli enti) o di avere un vuoto generale. È evidente che in questa fase si avverte quanto mai necessaria la stipulazione di protocolli di intesa tra il tribunale per i minorenni, i servizi sociali e
gli enti autorizzati che non solo garantiscano una proficua collaborazione tra
gli stessi ma addirittura ripartiscano in modo inequivoco le rispettive competenze. Va però sottolineato che solo le Regioni più sensibili si sono attivate per
realizzare, durante l’attesa, il fondamentale sostegno della coppia, finalizzato
a rafforzare le motivazioni che l’hanno condotta alla scelta adottiva e a superare il cosiddetto “vuoto adottivo”. È intuitivo che soltanto la diffusione su
tutto il territorio nazionale di questo orientamento potrà far diventare ovun217
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
que il periodo in questione un fecondo tempo di passaggio in cui lavorare per
realizzare condizioni più favorevoli all’accoglienza, attraverso il rafforzamento
del dialogo tra la coppia e gli altri soggetti coinvolti nell’iter adottivo.
Purtroppo, ancora oggi, molte normative regionali si limitano invece a prevedere l’attivazione dei servizi al fine esclusivo di segnalare al tribunale per i
minorenni la sopravvenienza di cause che possano incidere sulla permanenza
dell’idoneità e consigliarne la revoca. La prassi ha insegnato, inoltre, che
soprattutto in questa fase deve essere feconda la collaborazione tra i servizi e
gli enti. Questi ultimi di fatto sono i principali gestori dell’attesa e, nella creazione di un necessario rapporto fiduciario ed esclusivo con la coppia, possono determinare una grave frattura nella relazione tra quest’ultima e i servizi.
Invece, uno scambio continuo di informazioni e l’attivazione di interventi,
anche congiunti, di sostegno tra questi due soggetti istituzionali può evitare il
rischio appena paventato e facilitare l’attuazione dell’obiettivo comune della
realizzazione di un’adozione consapevole.
Passando, infine, alla fase del postadozione, l’ormai unanime riconoscimento della sua rilevanza per la riuscita dell’adozione, impone che il sistema,
così come realizzatosi nella prassi operativa, venga perfezionato da una serie
di correttivi su cui è opportuno soffermare brevemente l’attenzione.
Innanzitutto, è indispensabile garantire in modo omogeneo sul territorio
nazionale un coinvolgimento effettivo degli enti autorizzati, coinvolgimento
che non sia demandato alla buona volontà degli operatori ma sia obbligatorio
secondo modalità previamente disciplinate. L’indispensabilità nasce da una
duplice considerazione: in primo luogo, la fase postadottiva interviene subito
dopo quella dell’attesa in cui, come in precedenza osservato, un ruolo primario se non esclusivo è svolto dagli enti, i quali hanno instaurato rapporti significativi non solo con la coppia adottiva ma, inizialmente in via esclusiva, anche
con il minore; in secondo luogo, tali enti, essendo accreditati presso lo Stato
estero, sono portatori di informazioni essenziali perché possa essere svolto
correttamente, sin dalle prime battute, un programma di sostegno. Tant’è che
talvolta è proprio a tali enti che le autorità dello Stato estero si rivolgono per
ricevere relazioni di aggiornamento sull’andamento dell’adozione, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione de L’Aja. La necessità di un collegamento costante è, invece, sovente trascurata nella realtà quotidiana, al punto
che, quando sorgono crisi nella fase postadottiva, spesso i genitori continuano a rivolgersi agli operatori dell’ente, prima ancora, se non all’insaputa, dei
servizi sociali che intervengono talvolta solo su segnalazione successiva del
tribunale per i minorenni, a cui l’ente sarebbe obbligato a relazionare. Si arriva addirittura in alcuni casi al paradosso che, invece di operare di concerto
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I RAPPORTI TRA SERVIZI SOCIALI E AUTORITÀ GIUDIZIARIA MINORILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO DI ADOZIONE
verso l’identico fine che è la tutela del benessere del bambino, gli operatori
raggiungano autonomamente posizioni antitetiche e inconciliabili. L’assenza
di collegamento, denunciata a più riprese dai servizi sociali, manifesta tutta la
sua gravità nella fase iniziale. Gli enti non sono infatti tenuti a informare i servizi sociali dell’ingresso del minore sul territorio nazionale. Capita così frequentemente che i servizi abbiano contezza di questo dato solo dal tribunale
dopo che è avvenuta la trascrizione del provvedimento straniero di adozione,
quindi anche molti mesi dopo l’effettivo ingresso, con inevitabile ritardo nello
svolgimento di tutta quella attività di supporto nella delicata fase dell’inserimento che può divenire addirittura superflua. La gravità di questo modus operandi discende anche dal rilievo, proprio nella fase dell’accoglienza, che è più
facile per i servizi entrare in empatia con il minore, gettando le basi per quella relazione di mutua fiducia che è fondamentale laddove dovessero insorgere momenti successivi di criticità. Ancora, è paradossale che in alcune Regioni
gli atti normativi vigenti si limitino ad affidare il lavoro di sostegno alle équipe
adozioni, con il coinvolgimento se necessario delle strutture sociosanitarie,
facendo riferimento alla sola gestione delle criticità. Tale opzione è criticabile
già in via di principio perché una concreta assistenza richiede una prassi operativa volta sempre a programmare il sostegno come attività dovuta, avente a
oggetto la prevenzione delle criticità e non solo a intervenire, spesso su
segnalazione ritardata da parte dei genitori adottivi, quando queste si manifestano. Nelle Regioni “virtuose”, in maniera opportuna, sono state definite
delle linee guida contenenti le modalità specifiche del sostegno, con indicazione precisa delle competenze dei servizi territoriali (competenze che vanno
dalla collaborazione con gli insegnanti, alla redazione di un articolato progetto di accompagnamento, alla predisposizione di interventi specialistici di
sostegno psicologico e pedagogico in caso di disfunzioni evolutive e relazionali, alla promozione dell’accettazione da parte della coppia genitoriale di
tutte queste attività, all’organizzazione di gruppi di sostegno formati da coppie di genitori adottivi e da minori adottati dove si possa realizzare quello
scambio esperienziale e quel mutuo aiuto che sta fornendo risultati estremamente positivi in tema di inserimento familiare e sociale). Tutto quanto sin qui
rappresentato non significa che, anche nella Regioni “meno virtuose” sotto il
profilo regolamentare, questi strumenti non siano stati adottati, su iniziativa
autonoma, da alcune équipe. Il rilievo critico, qui svolto, attiene alla ancora
sussistente incapacità da parte di alcuni legislatori regionali a fornire linee di
indirizzo in materia di postadozione non generiche ma estremamente specifiche, in modo da migliorare qualitativamente l’intero servizio territoriale.
Ancora, si avverte la necessità di avviare, grazie alla predisposizione e al coor219
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
dinamento dei servizi sociali, in ogni angolo del territorio, un effettivo lavoro
di rete a maglie strette, in cui vengano coinvolte tutte le istituzioni e le professionalità interessate; lavoro destinato a operare per un lasso temporale
imprecisato che va ben al di là dell’arco temporale indicato dal tribunale. In
questo lavoro di rete ruolo di primaria rilevanza nell’individuazione delle problematiche afferenti i minori adottati non possono non avere gli operatori
sanitari (e, in primis, i pediatri di base) e gli operatori scolastici. Spetta ai servizi sociali programmare tempestivamente idonee attività di informazione che
rendano tutti questi operatori professionali consapevoli della rilevanza del
loro ruolo di “sentinelle sul disagio” e dell’importanza di una pronta e immediata segnalazione. In particolare, la collaborazione con la dirigenza scolastica è essenziale per l’effettuazione di corsi finalizzati a preparare i docenti ad
affrontare le difficoltà insite nell’inserimento degli adottati, soprattutto quando questi siano portatori di riferimenti culturali e di valori sociali e religiosi
diversi dai nostri. Inoltre, è auspicabile un ampliamento del ruolo sin qui
assunto dai tribunali per i minorenni, non più di solo controllo, spesso meramente formale, delle relazioni sul postadozione inviate dai servizi, ma piuttosto di promozione sostanziale della nuova cultura dell’adozione, attraverso
interventi autorevoli volti a sollecitare e a favorire la partecipazione effettiva
di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento adottivo e ad assicurare che i protocolli operativi una volta sottoscritti non permangano semplici declaratorie di
buone intenzioni. Infine, dovrebbe essere attuata una progressiva omogeneizzazione dell’attività dei servizi sociali, assicurando una tendenziale continuità tra gli operatori che hanno accompagnato la coppia nel percorso di formazione preadottivo e quelli che la seguono nelle fasi successive. Ai fini dell’instaurazione di un rapporto empatico duraturo l’ideale consisterebbe nell’individuazione di un unico gruppo di riferimento. In realtà oggi si assiste a un
ingiustificato frazionamento dell’iter adottivo in vari momenti in cui intervengono o addirittura si accavallano operatori diversi. Nella fase postadottiva
dovrebbe essere garantita anche l’effettuazione di periodici colloqui tra gli
operatori sanitari, i genitori adottivi e il minore adottato. Tali colloqui, non
necessariamente congiunti, dovrebbero avvenire, anche in modo strettamente riservato e personale, con ciascuno dei soggetti coinvolti nell’esperienza
adottiva.
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La preparazione della coppia che adotta,
l’ingresso del bambino in famiglia e le specificità
della preadolescenza e dell’adozione di fratelli
Antonio D’Andrea
Psicologo e psicoterapeuta familiare del Centro di salute mentale asl di Latina.
Didatta Accademia Psicoterapia della famiglia di Roma
1. Premessa
In un’epoca in cui le società dei diversi Paesi vivono in un contesto globalizzato è necessario avviare un confronto sui cambiamenti riguardanti i sistemi familiari. Conoscere il modo di funzionare delle “nuove famiglie” permetterà a tutti di sapere la loro organizzazione interna (rapporto dinamico tra coniugalità e genitorialità, sistemi di accudimento, modelli educativi, rapporti con
la famiglia allargata), i loro sistemi operativi (come ciascun modello affronta i
compiti di sviluppo nelle diverse fasi del suo ciclo vitale) e i rapporti che ciascuna famiglia stabilisce con la comunità di cui fa parte (rapporti con la scuola, con il quartiere, ecc.). La presenza di famiglie monoparentali, famiglie ricostituite, famiglie interrazziali, famiglie affidatarie e famiglie adottive rappresenta un elemento di complessità che deve indurre, specialmente gli operatori che si occupano di famiglie, ad assumere un atteggiamento di umile curiosità per evitare superficiali forme di assimilazione e per conoscere le specificità che le caratterizzano.
Per quanto riguarda la famiglia adottiva è necessario che tutti i soggetti
istituzionali e non che a vario titolo intervengono nelle varie fasi del percorso adottivo (operatori sociosanitari, della giustizia minorile, operatori che
accudiscono i bambini nel tempo preadottivo, operatori degli enti autorizzati, le associazioni delle famiglie adottive, ecc.) si sentano parte di un lavoro
di rete e contribuiscano così alla buona riuscita dell’esperienza. Una chiara
definizione delle proprie competenze e una corretta motivazione a integrarsi con quelle degli altri soggetti della rete rappresentano, infatti, il presupposto indispensabile per costruire un contesto professionale collaborativo
ed efficiente.
Ne consegue che conoscere la specificità delle fasi del ciclo vitale della
famiglia adottiva e analizzarne gli eventi critici prevedibili e imprevedibili che
questa deve affrontare permetterà ai diversi membri e sistemi (coppia adottante, famiglia allargata in particolare) di fare scelte responsabili e consapevoli, in base alle risorse e limiti che si possiedono, e di prepararsi ad affrontare quelle sfide specifiche che questa esperienza comporta. C’è un accordo
comune nel ritenere che i momenti critici più complessi per una famiglia adot-
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
tiva siano quelli del tempo precedente l’adozione, dell’ingresso del bambino
nella famiglia e del tempo dell’adolescenza.
A fronte di queste criticità occorre ricordare che, in seguito ai cambiamenti
avvenuti nel campo dell’adozione negli ultimi anni, un ulteriore elemento di
complessità è determinato dall’adozione di bambini più grandi e di nuclei di
fratelli/sorelle. È necessario quindi che nel momento in cui la coppia dichiara
la propria disponibilità ad adottare un bambino faccia un’attenta valutazione
delle reali capacità e risorse per affrontare queste nuove sfide.
2. Il tempo precedente
l’adozione
Il tempo dell’attesa rappresenta uno degli eventi critici imprevedibili più
stressanti per la famiglia adottiva per almeno tre motivi:
• per l’incertezza dell’esito del tempo dell’attesa;
• per l’imprevedibilità della durata di questo tempo;
• per la difficoltà di valutare le risorse della coppia che ha manifestato la
disponibilità ad adottare un bambino dopo aver vissuto l’attesa di un
figlio per almeno tre volte.
La coppia che matura la decisione di adottare un figlio, infatti, ha già vissuto
l’esperienza dell’attesa per altre due volte, con emozioni contrastanti collegate
con l’entusiasmo che comporta il desiderio di diventare genitori e la conseguente delusione di vedere minacciato o vanificato questo progetto. La prima
quando in maniera naturale cerca di avere un figlio proprio e la seconda quando, in seguito alle difficoltà a realizzare questo progetto, si rivolge a centri di
fecondazione assistita. La minaccia che comporta l’evento della sterilità biologica vanifica sogni e aspettative presenti non solo nella coppia ma anche nella
famiglia allargata. Quando una coppia riceve una diagnosi definitiva di sterilità
biologica vede vanificati tutti i tentativi fatti per avere un figlio. Questo evento
imprevedibile modifica gli equilibri individuali, ridefinisce l’assetto del patto
coniugale, obbliga una famiglia a ricostruire i propri confini emotivi e pone l’intero sistema familiare di fronte a tabù e pregiudizi che un tema di questa portata sollecita. La sterilità biologica è stata associata da molti studiosi a un evento
luttuoso e come tale deve poter essere elaborato, per permettere che le scelte
successive siano l’esplicitazione delle ritrovate risorse che la coppia ha voglia di
investire. La scelta adottiva, infatti, non può rappresentare in alcun modo una
ricerca di compenso al “vuoto” che la coppia vive. La mancata elaborazione del
lutto della sterilità è come un boomerang che nei momenti critici che la famiglia
adottiva dovrà affrontare ritorna con una dirompenza impressionante.
La coppia che decide di manifestare la propria disponibilità ad adottare un
figlio si apre al rischio: nel senso che in questa fase deve essere aiutata a rico222
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LA PREPARAZIONE DELLA COPPIA CHE ADOTTA, L’INGRESSO DEL BAMBINO IN FAMIGLIA
E LE SPECIFICITÀ DELLA PREADOLESCENZA E DELL’ADOZIONE DI FRATELLI
noscere e valutare quali sono le risorse e i limiti di cui è portatrice (come ha
superato le delusioni provocate dalle due precedenti attese; come si è modificato il rapporto di coppia con il tempo e quali conoscenze si possiedono in riferimento alla decisione presa). La disponibilità a confrontarsi con gli operatori
sociosanitari potrà far maturare una scelta responsabile e consapevole sia di
adesione al progetto adottivo sia di un’ulteriore attesa sia di un ripensamento.
Questa scelta, comunque, fa entrare la coppia e il sistema familiare allargato in
un’altra attesa, anche questa non priva di insidie e incertezze, che ha l’obiettivo
primario di far ri-nascere le giuste motivazioni per adottare un figlio.
In questi anni la maggior parte dell’attenzione è stata rivolta, specialmente da parte degli operatori sociosanitari, a superare la logica prevalentemente valutativa della coppia adottante per costruire una relazione di aiuto che la
affiancasse e la aiutasse a maturare una scelta consapevole. Oggi alla luce dei
cambiamenti che stanno avvenendo nel campo dell’adozione (in particolare
con l’adozione di bambini preadolescenti e nuclei di fratelli) sta diventando
urgente anche la necessità di preparare questi bambini a vivere l’esperienza
dell’adozione come un’opportunità per la loro vita.
Il tempo precedente l’adozione potrebbe aver esposto questi bambini a ulteriori esperienze traumatiche, successive a quelle dell’abbandono, con conseguenze critiche rispetto alla possibilità di dare un significato evolutivo alla relazione di attaccamento e di appartenenza che andranno a vivere con i genitori
adottivi. È quindi necessario che specialmente gli operatori che si prendono cura
dei bambini che vivono nei “contesti di attesa” (case famiglia, istituti, ecc.) li aiutino a comprendere e a dare un senso a quello che stanno vivendo.
È anzitutto necessario che questi bambini non si attribuiscano la responsabilità, la colpa di quanto avvenuto nella loro famiglia di nascita. Nelle consultazioni cliniche con figli adottati questo vissuto è abbastanza frequente con
affermazioni quali: «Sono nato nel momento sbagliato», «Era meglio se non
fossi nato», e così via. Un peso che evidentemente viene da lontano.
I luoghi dove i bambini vivono il tempo precedente l’adozione debbono
poter essere vissuti come contesti significativi sia per ri-costruire rapporti di
fiducia con gli adulti sia per consolidare il rapporto con i pari. Questi luoghi,
maggiormente nel passato, erano luoghi anonimi e alienanti che determinavano una sorta di estraneamento del bambino. Con la sensibilità acquisita e le
scoperte scientifiche sui disturbi del legame di attaccamento, il tempo dell’attesa anche per il bambino deve rappresentare un tempo “vitale” e non essere
vissuto come un limbo dove il tempo è sospeso.
Sulla base delle competenze cognitive ed emotive dei bambini, gli operatori che li accudiscono, attraverso l’uso di favole, storie, drammatizzazioni,
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
cartoons possono cominciare ad avviare quel processo di elaborazione che
permetterà loro di comprendere il senso della loro storia. Queste esperienze
spezzano la spirale di solitudine e angoscia in cui può precipitare il bambino e
lo mettono nella condizione di sperimentare la vicinanza di un adulto di cui si
può fidare. Questi legami che durano il tempo della permanenza del bambino
in queste strutture servono a ri-attribuire un valore, un significato al legame di
appartenenza (preparatori per il futuro legame con i genitori adottivi) e a recuperare quel senso di sicurezza necessario per la propria autostima (che lo
fanno sentire “degno di essere amato”). Stare a fianco dei bambini in questi
contesti e durante questo tempo serve anche per mantenere il bambino su un
piano di realtà, necessario per non avviare pericolosi processi di idealizzazione rispetto alla futura esperienza adottiva.
3. L’ingresso
del bambino
in famiglia
L’ingresso del bambino in famiglia è un evento che mette la coppia e il bambino di fronte alla possibilità concreta di diventare una famiglia e rappresenta
un momento delicato perché tutti debbono passare dal piano fantastico-ideativo a quello reale.
Per costruire un legame di reciproca appartenenza è anzitutto necessario
“darsi tempo” e avviare quel processo di legittimazione nel rispettivo ruolo di
genitori e di figlio. La coppia adottiva insieme alla famiglia allargata dovrà
essere in grado di costruire un contesto di accoglienza nei confronti del bambino dove ci sia un riconoscimento e una valorizzazione delle sue risorse e una
consapevolezza dei traumi subiti.
Le risorse primarie che il bambino vuole riconosciute nella relazione adottiva
sono il suo nome (che non bisogna cambiare), il suo corpo (imparando a riconoscere la giusta “vicinanza” per non essere percepiti né distanti né invadenti), la
sua storia e la sua cultura: caratteristiche che rimandano direttamente alla sua
identità. Il riconoscimento e l’accoglienza di queste risorse sarà il modo migliore per far sentire al/la figlio/a il desiderio di volersi prendere cura di lui/lei.
L’adozione si connota come un’esperienza di riparazione socioaffettiva
dove non è soltanto la famiglia a svolgere questa funzione ma tutti coloro che
hanno rapporti, si prendono cura del/la figlio/a adottato/a. Va comunque sottolineato che bisogna riconoscere l’entità del trauma ma non bisogna enfatizzarla. I principi costitutivi della relazione adottiva non possono basarsi soltanto sul danno subito dal bambino. Se così fosse la relazione si orienterebbe
prevalentemente sul bisogno riparatorio e potrebbe determinare una dinamica di dipendenza: i genitori potrebbero assumere una funzione di indispensabilità nella vita del figlio e quest’ultimo non credere nelle proprie capacità.
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LA PREPARAZIONE DELLA COPPIA CHE ADOTTA, L’INGRESSO DEL BAMBINO IN FAMIGLIA
E LE SPECIFICITÀ DELLA PREADOLESCENZA E DELL’ADOZIONE DI FRATELLI
4. L’adolescenza
adottiva
L’adolescenza rappresenta uno degli eventi critici più impegnativi nel
ciclo vitale di ogni famiglia e nel caso di quella adottiva in particolare, per
la complessità dei molti compiti evolutivi che questa specifica esperienza
comporta.
Le trasformazioni fisiche che il figlio adottato vive in questo periodo idealmente lo rimandano a figure fisicamente assenti ma riconoscibili attraverso il
suo aspetto. Domande come: “Chi sono?”, “A chi assomiglio?”, “Chi sono i
miei genitori di nascita?”, “Perché sono stato abbandonato?”, “Perché sono
qui e sono stato adottato?”, lo mettono in rapporto diretto con la sua origine,
con il suo abbandono, con la sua storia, con i suoi ricordi. Le precedenti risposte, quelle date dai propri genitori, sembrano non essere più esaustive per
placare quell’inquietudine interna che un figlio adolescente adottato vive.
Questo stato d’animo lo conduce a cercare risposte in maniera più autonoma.
Il viaggio alla ricerca delle proprie origini comincia ora ed è un viaggio interiore, un’esplorazione che ha come scopo ultimo quello di dare un senso profondo alla propria storia e recuperare quei tasselli mancanti per la costruzione
della propria identità.
I genitori, in questa fase, possono provare impotenza, inutilità e passività
di fronte alle angosce del figlio e, presi da un bisogno di protezione e dall’ansia, essere indotti ad agire, a cercare soluzioni concrete e pratiche. In realtà
occorre imparare a “stare a fianco” del proprio figlio. Questa presenza discreta, la disponibilità all’ascolto sono gli atteggiamenti più costruttivi. Il/la
figlio/a sta cercando faticosamente una propria modalità per convivere con
queste inquietudini anche nel confronto con i coetanei e deve imparare ad
accettare in maniera più matura e autonoma la propria diversità. Nella fase
dell’adolescenza genitori e figli hanno la necessità di ri-conoscersi e ri-collocarsi nel proprio mondo affettivo e relazionale come figure diverse, che stanno cambiando e in questa prospettiva ri-adottarsi per non rimanere prigionieri di frustrazioni e delusioni.
Durante la fase dell’adolescenza il figlio adottato e la sua famiglia sono
impegnati a ridare un significato evolutivo alle esperienze vissute dal bambino nel tempo precedente l’adozione, a integrare la storia passata con quella
presente e a evitare di cercare nella storia passata le cause di eventuali incomprensioni, delusioni, malesseri derivanti dalla criticità di questo evento. Dare
un senso di continuità tra la storia passata e quella presente offre all’intera
famiglia l’opportunità di ri-conoscersi in un’unica storia avvenuta attraverso la
scelta adottiva.
Diversamente l’adolescenza, per le invitabili crisi che provoca, rischia di
rappresentare un evento che decreta una divisione tra un prima e un dopo l’a225
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
dozione, una contrapposizione tra le persone con cui il bambino è vissuto nel
tempo preadottivo (con il rischio di una connotazione negativa) e quelle che si
sono prese cura di lui (con il rischio di essere definiti come coloro che lo
“hanno salvato, accolto”). Questo scenario può indurre il figlio adottato ad
attribuire significati ambivalenti e angosciosi all’“oscuro passato”, che in
maniera quasi persecutoria viene considerato l’artefice responsabile di quei
cambiamenti non accettati dalla propria famiglia.
Quando invece la famiglia adottiva riconosce e si convince che l’abbandono e alcune esperienze precedenti l’adozione hanno prodotto un “trauma riparabile” nel tempo, arriverà a credere sia nell’azione riparatrice dell’esperienza
adottiva ma soprattutto a riconoscere le potenzialità del figlio, e saranno quindi più pronti a vivere serenamente la fase del reciproco svincolo.
Nel momento in cui il sistema familiare è impegnato a ridare un valore
diverso al senso di appartenenza e avviare il processo di reciproco svincolo, la
coppia coniugale deve riscoprire energie che rivitalizzino il loro rapporto.
L’adolescenza è anche la fase in cui la famiglia deve ridefinire nuovi equilibri
sia sul piano coniugale che su quello genitoriale. I coniugi trovano e rafforzano il senso dello stare insieme anche dal sentirsi genitori ma non possono far
dipendere il loro stare insieme dalla presenza dei figli, specialmente nell’esperienza adottiva. Se invece i figli adolescenti verificano che i loro genitori si
cercano, si corteggiano, si amano, sono indipendenti da loro nelle scelte che
fanno, sanno divertirsi, e quindi in sintesi se la coppia coniugale è in buona
salute e questa fase viene vissuta come una nuova opportunità, si sentono più
liberi nell’avviare il loro processo di autonomizzazione.
5. L’adozione
di preadolescenti
e di nuclei di fratelli
L’adozione di un figlio adolescente comporta sia per i genitori che per i figli
la necessità di conciliare da un lato il bisogno di costruire un legame di appartenenza e dall’altra di favorire le naturali spinte a differenziaziarsi e a rendersi autonomo da parte dei figli. Questo duplice impegno richiede serenità,
capacità di tollerare le frustrazioni e le inevitabili contraddizioni che la famiglia
deve affrontare.
Inoltre, le difficili esperienze vissute dai bambini nel tempo precedente l’adozione possono aver provocato un processo di adultizzazione precoce, portandoli a credere di essere autosufficienti e di non aver bisogno degli adulti. I
genitori adottivi devono essere aiutati a distinguere le reali competenze concrete e pratiche del bambino, che vanno valorizzate, da quelle affettive, tipiche di ogni figlio. La “presunzione” di potersela cavare da soli può mettere
questi bambini nella condizione di non riconoscere i loro reali bisogni, non
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LA PREPARAZIONE DELLA COPPIA CHE ADOTTA, L’INGRESSO DEL BAMBINO IN FAMIGLIA
E LE SPECIFICITÀ DELLA PREADOLESCENZA E DELL’ADOZIONE DI FRATELLI
rivolgersi con fiducia a figure adulte di riferimento, in definitiva a non sapersi
porre nella relazione nel ruolo di figlio. I genitori possono rimanere confusi di
fronte a simili atteggiamenti ambivalenti e interpretarli come una forma di
rifiuto o di ribellione.
Conoscere queste difficoltà, attraverso incontri con gli operatori o iniziative di gruppi di autoaiuto, permette ai genitori adottivi di riconoscere i bisogni
reali del figlio, dare il giusto significato alle iniziali difficoltà e concedersi il
tempo necessario per costruire un legame di appartenenza senza sottovalutare le richieste di autonomia del figlio. Allo stesso tempo sono da valorizzare
quelle esperienze di gruppo che aiutano i figli a incontrarsi per affrontare le
difficoltà insite in questa età, in un periodo in cui il gruppo dei pari rappresenta un riferimento affettivo significativo.
L’adozione di più fratelli corrisponde all’esigenza di mantenere i legami esistenti tra fratelli nella famiglia di nascita e non disperdere questa risorsa affettiva nell’esperienza adottiva. Ma perché questo obiettivo sia raggiunto è
necessario che la coppia adottante sia consapevole dell’impegno che sta per
assumere e sia aiutata a valutare bene le risorse in suo possesso per affrontare questo complesso impegno. È necessario che la coppia sappia fin dall’inizio che adotterà più fratelli e non si trovi di fronte a questa possibilità quando già si trova all’estero per adottare un bambino.
La coppia inoltre deve essere messa al corrente del tipo di rapporto preesistente tra fratelli nel tempo e nei contesti in cui i bambini hanno vissuto
prima dell’adozione. I fratelli di sangue che hanno condiviso l’abbandono e,
spesso, l’istituto, da una parte rappresentano la continuità del legame
naturale ma dall’altra possono aver stabilito delle funzioni, delle gerarchie
all’interno di questo sottosistema familiare. Occorre porre attenzione a che
tali dinamiche interne al gruppo al momento dell’adozione non diventino la
causa di pericolosi processi di rivalità e competizione con le figure genitoriali, specialmente da parte dei fratelli maggiori che hanno svolto una funzione parentale nei confronti dei più piccoli. Anzi sono proprio i fratelli maggiori che necessitano di una particolare cura e attenzione, per essere aiutati a recuperare il loro ruolo di figli, sentirsi riconosciuti per la funzione di
protezione svolta e per promuovere quel rapporto di fiducia e affidabilità
verso le nuove figure di accudimento di cui hanno bisogno. I genitori adottivi non debbono dimenticare che quel fratello maggiore ha rappresentato
un punto di riferimento per i più piccoli e che quindi è necessario un congruo tempo di adattamento affinché tutta la fratria possa vedere in loro le
figure affettive di cui fidarsi e in cui identificarsi per ricostruire un legame di
appartenenza.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
Saper gestire questa dinamica complessa nel tempo permetterà all’intera
famiglia di poter apprezzare la ricchezza affettiva di questa esperienza, consapevoli che la famiglia adottiva non è all’origine dei legami ma ne promuove
e stimola la costruzione di nuovi.
6. Conclusione
La complessità dell’esperienza adottiva deve indurre tutti i soggetti e i
sistemi coinvolti a vario titolo nelle diverse fasi del processo a riconoscere che
la buona riuscita di un’adozione dipende dall’attenzione di tutti e dalla capacità di promuovere le iniziative sociali che possano creare una cultura adottiva. Questo impegno rappresenta un sfida importante in un momento storico
in cui le forme di discriminazione e di emarginazione che si intravedono nei
confronti della diversità non investa direttamente il figlio adottato. Questi
deve poter sentire che dopo essere stato adottato dalla sua famiglia verrà
adottato anche in tutti quei contesti sociali da lui frequentati, dalla scuola al
catechismo, dalla palestra al gruppo dei pari. Il principio dell’integrazione
infatti si basa non sulla stigmatizzazione della diversità ma nel saperle riconoscere un valore che arricchisca tutti.
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“Con i bambini in testa ai pensieri”.
Informare e preparare all’adozione
Patrizia Buratti
Psicologo responsabile scientifico de Il cerchio, centro adozioni asl Provincia di Milano
Si possono insegnare tante cose, ma le cose più importanti, le cose che importano di più, non si possono insegnare, si possono solo incontrare.
Oscar Wilde
1. La fase informativa:
aspetti teorici,
metodologia
e strumenti operativi
A partire dal titolo di questo contributo, che fa riferimento in modo metaforico all’essere “con i bambini in testa ai pensieri”, viene spontaneo domandarsi: è proprio vero che ancor oggi nel mondo manchi una cultura dell’infanzia?
È da poco ricorso il 50° della Dichiarazione dei diritti del fanciullo (Onu,
1959), condivisa e ratificata da centinaia di Paesi: una conquista di altissimo
valore civile ed etico, tuttavia il significato profondo dell’intrinseco principio di
tutela in gran parte del mondo è poco più di una mera affermazione retorica.
Ai bambini con tutti i loro bisogni «non possiamo rispondere domani, poiché il loro nome è oggi», come affermava Gabriela Mistral, poetessa cilena
premio Nobel per la letteratura, in una sua bellissima poesia. Quindi, tenendo
presente come si opera nei servizi territoriali e ancor di più come si potrebbe
operare guardando con il nostro particolare paio d’occhiali, intendo raccontare cosa facciamo in ambito informativo e di preparazione delle coppie che
vogliono adottare un bambino.
Già nella fase informativa cerchiamo di mettere in evidenza aspetti teorici,
metodologia e strumenti operativi. Perché informare serve sicuramente a indicare una corretta prospettiva da cui osservare il percorso adottivo che solleciterà i membri della coppia a confrontarsi fra loro e con il loro contesto di vita
e che li vedrà cambiare nel tempo; ma, a livello più generale, è anche importante sensibilizzare tutta la popolazione ai temi dell’infanzia per poter predisporre un contesto accogliente a 360°.
Nello specifico, parlando di adozione, è fondamentale informare circa:
• il quadro legislativo e procedurale che regola l’adozione nazionale e l’adozione internazionale, specificando anche le relative differenze;
• i requisiti minimi ed essenziali per poter adottare (età, stato giuridico);
• le varie agenzie preposte all’adozione, lo specifico ruolo e i compiti di
ciascuna di esse (enti autorizzati, tribunali per i minorenni, Commissione
per le adozioni internazionali, servizi territoriali, associazioni);
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
• il concetto di sussidiarietà e residualità dell’adozione;
• le diversità esistenti tra le varie forme di accoglienza e di solidarietà
(adozione, affido familiare, sostegno a distanza);
• cosa significa diventare genitori di un figlio non generato da sé. Noi diciamo sempre che ci vuole una marcia in più e per questo è importante prepararsi introducendo, sin dalla fase informativa, il concetto di responsabilità genitoriale;
• le differenze dei bambini adottabili in relazione all’età, all’area geografica di provenienza, alle condizioni psicofisiche;
• le procedure di abbinamento in Italia e nei Paesi stranieri;
• il concetto di “selezione”, poiché dobbiamo ben definire sin da subito
che non è un diritto della coppia avere un figlio ma è un diritto dei bambini avere dei genitori.
I bambini portano con loro le gioie, le nostalgie, le speranze e i timori, il
loro modo di essere figli, di vivere in famiglia, di stare al mondo. Nella loro valigia non ci sono solo abiti, cibo, religioni diverse, ma soprattutto modelli differenti di nuclei familiari, scuole, amicizie, società e la loro presenza richiede e
richiederà sempre risposte diversificate e non convenzionali.
I luoghi più idonei per informare possono essere sia i servizi pubblici sanitari e sociali, i servizi dedicati quali i centri adozione o gli enti autorizzati, i tribunali e anche luoghi altri dove è comunque importante “seminare informazioni” per predisporre un terreno fertile per la futura accoglienza dei bambini
che arriveranno. È possibile informare in piccoli gruppi, con colloqui individuali o di coppia, e ancora con la creazione di punti di ascolto (sportelli) che
vedono la presenza di personale preparato al tema specifico; ma soprattutto
si deve informare anche in ambito sociale, più allargato, con eventi di sensibilizzazione in cui raccontare cose importanti con parole leggere (bibliote che/scuole/piazze).
Gli strumenti da utilizzare, oltre alle potenti parole, sono diversi, ad esempio: brochure, in cui anche l’immagine sia comunicazione; manuali informativi che sintetizzino le informazioni più importanti; siti web dove navigare per
scoprire altri mondi; bibliografie e filmografie che sollecitino altri canali del
nostro apprendere, e infine leggi e convenzioni sui diritti dell’infanzia; tutti
questi strumenti, infatti, possono essere di aiuto e supporto alla riflessione.
Gli esempi concreti sono molti e il materiale che è possibile visionare anche
al nostro centro adozione ne è la miglior riprova.
I bambini non possono aspettare, ad esempio, è una brochure realizzata
con la partecipazione dei Comuni, degli enti autorizzati, delle associazioni
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“CON I BAMBINI IN TESTA AI PENSIERI”. INFORMARE E PREPARARE ALL’ADOZIONE
familiari, che diffondiamo sul territorio e che specifica, in merito all’adozione,
all’affido familiare, al sostegno a distanza, che cosa siano questi diversi istituti, chi vi può accedere, dove rivolgersi e quale sia il punto di vista del bambino. Osservando il materiale si può notare come anche graficamente i gufi
che rappresentano i genitori siano diversi, perché non è detto che chi è un
bravo genitore affidatario sia anche un bravo genitore adottivo e viceversa. E
che dire di come sono rappresentati i bambini? Tra tanti piccoli gufi c’è anche
un pulcino, uno giallo e uno nero. Questo per dire che anche con l’immagine
si può veicolare un messaggio specifico ed efficace, più di molte parole.
2. Alcuni strumenti
specifici: il Manuale
dell’adozione
e la fiaba Bibo
nel paese degli specchi
Il Manuale dell’adozione, che consegniamo alle coppie che partecipano ai
corsi di preparazione, realizzato all’interno del progetto Adottiamoci con la
partecipazione del privato sociale, vuole trasmettere in forma semplice e sintetica le principali informazioni, norme e prassi che regolano il mondo dell’adozione. Il linguaggio è volutamente semplice e alla portata di tutti affinché la
scelta dell’adozione possa essere fatta con chiara e piena consapevolezza.
Un esempio interessante di informazione/sensibilizzazione allargata al
contesto della società civile è la lettura della fiaba Bibo nel paese degli specchi che racconta di un’adozione internazionale ed è stata realizzata con la collaborazione della Provincia di Milano, un ente autorizzato (il CIAI), una casa
editrice sensibile, uno sponsor, i bambini e le loro famiglie. Noi leggiamo la
fiaba, nelle scuole e nelle biblioteche, ai bambini tra i 5 e i 10 anni, con enfasi
teatrale, tentando anche il loro coinvolgimento. In genere iniziamo l’incontro
con la lettura di una frase tratta dal film Mrs Doubtfire sui vari e differenti tipi
di famiglia:
Esistono tanti tipi differenti di famiglie: certe famiglie hanno solo un padre, altre hanno solo una mamma […] e altri bambini vivono con i genitori adottivi […]
ma se c’è l’amore, quello è un legame autentico e tu avrai una famiglia nel cuore
per sempre.
Proseguiamo il nostro incontro attivando i bambini con il gioco dei fili colorati, per aiutarli concretamente a interiorizzare il concetto di appartenenza, “i
fili che ci differenziano… ma nello stesso tempo ci accomunano”, e concludiamo consegnando ai bambini una chiave simbolica che metaforicamente rappresenta la possibilità concreta di accedere ad altri e differenti mondi. Vedete
che belli i colori? Un bambino blu arriva in un paese pieno di specchi e si accorge che gli adulti che gli vogliono bene sono diversi da lui, sono arancioni… ma
si accorge che anche il suo migliore amico è diverso da lui, è verde.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
3. Il piccolo gruppo
e l’utilizzo del metodo
esperienziale
Riteniamo utile esplicitare il fatto che è indispensabile prepararsi all’adozione e sarebbe davvero opportuno che le coppie accedessero ai percorsi di
preparazione prima di presentare la dichiarazione di disponibilità al tribunale
per i minorenni. Ciò detto, in merito alla cosiddetta fase della preparazione
della coppia, dobbiamo dire che dal punto di vista teorico, la modalità migliore per preparare le coppie è quella del piccolo gruppo, che è in genere un
gruppo composto da un massimo di otto coppie, che si snoda in sei o otto
incontri a cadenza settimanale, della durata di circa due ore e mezzo, che prevede la testimonianza di una famiglia adottiva e che è condotto da due operatori formati nelle tecniche di conduzione dei gruppi e con competenze specifiche in ambito adottivo. Gli operatori sono in genere uno psicologo e un assistente sociale dei servizi che lavorano preferibilmente in modo integrato con
un operatore degli enti autorizzati. Questa presenza è importantissima in
quanto gli enti portano un contributo specifico e competente per quanto
riguarda una pluralità di aspetti fondamentali (i Paesi di provenienza dei bambini; la realtà e il significato dell’abbandono nelle diverse aree geografiche del
mondo; i diversi approcci culturali all’adozione; le diverse modalità di accadimento; il ruolo specifico dell’ente autorizzato e le diverse modalità di abbinamento e di incontro).
Le motivazioni sottese al privilegiare proprio la modalità del lavoro in
gruppo sono sempre le stesse. Si tratta infatti, in primo luogo, di una dimensione che facilita i futuri genitori nel poter pensare la propria disponibilità
adottiva attraverso la condivisione di esperienze, di vissuti con altre coppie
che si trovano nella stessa condizione, rispecchiandosi nell’altro, abbassando le difese, riconoscendo difficoltà e situazioni ansiogene che, attraverso la
condivisione, divengono più tollerabili; offre quindi la possibilità di attivare
nuovi e significativi rapporti che diventano di aiuto e di sostegno reciproco;
diventa, inoltre, uno spazio in cui è possibile la nascita di un pensiero creativo, in cui è peraltro possibile sospendere il giudizio; e infine il gruppo dà
voce ad aspettative, timori, dubbi, emozioni, senza negare le difficoltà e
affrontando la relazione con se stessi, il partner, il futuro figlio in modo realistico e non sulla base del tanto semplicistico e frequente ricorso all’immaginazione.
L’utilizzo poi del metodo esperienziale diviene una proposta interessante
perché “si apprende coinvolgendo, e si coinvolge aumentando l’apprendimento”, mettendo i destinatari della formazione nelle condizioni di partecipare attivamente al processo di apprendimento e/o di produzione di idee. Senza
sottovalutare che questi percorsi assumono pure un rilievo importante nella
definizione del successivo rapporto tra servizio e coppia adottiva.
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“CON I BAMBINI IN TESTA AI PENSIERI”. INFORMARE E PREPARARE ALL’ADOZIONE
4. Gli obiettivi
del percorso
di autovalutazione
delle coppie
In sintesi si tratta di aiutare la coppia ad affinare le capacità di autovalutazione che saranno necessarie non solo quando deciderà di inoltrare la dichiarazione di disponibilità all’adozione, o, nell’eventualità lo avessero già fatto,
di ritirarla, ma ancor più quando sarà presente il futuro figlio.
Le tre macro finalità entro le quali programmare detto intervento sono:
migliorare le conoscenze complessive in ambito adottivo delle coppie aiutandole anche a sviluppare un sapere consapevole; offrire, secondariamente, uno
spazio che sia di confronto e non di valutazione; favorire una modalità di lavoro integrata tra i diversi attori dell’adozione (servizi, enti autorizzati, tribunale
per i minorenni, associazioni familiari).
Alcuni degli obiettivi specifici che via via si sviluppano durante gli incontri
possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
• aiutare i partecipanti ad acquisire maggiore consapevolezza delle diverse motivazioni sottese alla scelta adottiva;
• riconoscere i vissuti personali e di coppia legati all’infertilità;
• stimolare la riflessione sulla non contemporaneità tra il percorso di procreazione medicalmente assistita e quello adottivo;
• comprendere le differenze tra la genitorialità biologica e la genitorialità
adottiva;
• favorire nella coppia il passaggio dall’immagine del bambino desiderato
e fantasticato per accogliere il bambino reale;
• favorire nella coppia una riflessione sulla famiglia di origine del bambino
e sul suo contesto di provenienza;
• conoscere le caratteristiche particolari dei minori in stato di abbandono
nei Paesi stranieri;
• comprendere il significato di diventare genitori di un figlio non generato
biologicamente attraverso il racconto di un’esperienza vissuta;
• aiutare le coppie a proiettarsi come futuri genitori adottivi di possibili
bambini con particolare attenzione all’aspetto della diversità etnica e
culturale;
• individuare limiti e risorse a livello personale e di coppia;
• favorire una riflessione sul ruolo della famiglia allargata e in particolare
dei nonni e sull’accettazione del nipote come continuità familiare;
• favorire una riflessione sul ruolo dei genitori adottivi come ponte tra il
bambino e il contesto sociale, in particolare rispetto alla scuola.
Certo non si può essere qui esaustivi, l’adozione è un percorso molto complicato che anche gli stessi operatori affrontano con serietà e competenza perché, come declama il Piccolo principe, ci sentiamo «responsabili di ciò che
addomestichiamo». L’adozione è un legame molto forte che coinvolge più pro233
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
tagonisti, professionisti compresi. È per questo che sosteniamo con forza che
l’adozione è un percorso sociale e psicologico complesso che coinvolge il
bambino, gli operatori dei vari servizi, i genitori adottivi, la famiglia allargata
e la comunità tutta prima ancora che si realizzi.
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Le politiche sociali per la tutela dell’infanzia
e le indagini psicosociali
Carmine Pascarella
Psicologo e psicoterapeuta, Azienda asl di Reggio Emilia
Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio.
(Proverbio africano)
1. Le politiche sociali
per la tutela
dell’infanzia
e la prevenzione
dell’abbandono.
Elementi introduttivi
L’aumentata fragilità dei ruoli genitoriali, la nuclearizzazione delle strutture familiari, l’aumentata diffusione del disagio invisibile, non conclamato, il
progressivo indebolimento delle relazioni di prossimità, l’attenuazione del
senso di appartenenza a una società sempre più complessa: tutti questi elementi concorrono ad aumentare la vulnerabilità delle nostre famiglie.
A fronte di questi processi viene evidenziata la funzione di una legislazione
internazionale e nazionale tesa a favorire la nascita e la promozione di risorse
pubbliche e del privato sociale, fra loro integrate, capaci di generare la promozione di risposte articolate, a diversi livelli, finalizzate al sostegno delle
responsabilità genitoriali. In quest’ottica ragionare d’accoglienza significa ricercare rapporti di interazione, connessione, intersettorialità, per costruire
legami di comunità coinvolgendo ed affiancando i diversi attori del territorio.
Accogliere, affidare, significa assicurare ma anche proteggere e garantire.
Il concetto di garanzia, quando il bene è costituito da un bambino, definisce
un’esperienza in grado di caratterizzare una vita e diventare occasione di crescita per tutti i soggetti coinvolti. Riflettere sulla capacità di accogliere, nella
nostra società, significa realizzare un’iniezione di civiltà nel nostro sistema.
Verranno di seguito messe in evidenza le diverse articolazioni nelle quali si
realizzano le politiche di sostegno e di contrasto al fenomeno dell’abbandono
nell’infanzia. Fra queste viene esaminata in particolare l’affidamento familiare.
Sostiene Luigi Fadiga:
L’affidamento familiare è un intervallo, un ponte che deve avere su entrambe
le sponde la famiglia di origine. È un gravissimo errore tecnico e giuridico considerare chiuso il caso una volta avvenuto l’affidamento. In tal modo si confonde la
partenza con l’arrivo, lo strumento per risolvere un problema con la soluzione del
problema stesso, e da ciò deriva sempre un grave pregiudizio per la famiglia d’origine, per gli affidatari e, soprattutto, per il minore1.
1
Fadiga, L., L’affidamento familiare, in «Rassegna bibliografica», n. 2, 2005, p. 16.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
1.1 Lo scenario
normativo
Lo scenario normativo fa riferimento ai principi della Convenzione Onu,
recepita dal nostro ordinamento con la legge 176/1991, che impegna gli
Stati ad agire senza discriminazione alcuna nell’assicurare i diritti riconosciuti dalla stessa convenzione; ai principi presenti nella Carta europea dei
diritti fondamentali, articolo 24; a quanto contenuto nelle leggi nazionali,
quali in particolare la legge 184/1983, Diritto del minore a una famiglia, e la
legge 149/2001, le modifiche alla legge 184/1983, recante Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonché il titolo VIII del libro primo
del codice civile.
A partire da questi riferimenti, si possono effettuare alcune considerazioni
preliminari.
Le Regioni si impegnano a riaffermare il diritto del minore a crescere nella
propria famiglia e, quando eccezionalmente, nel suo preminente interesse, ne
sia separato, a essere comunque inserito, tramite affidamento, in una famiglia
idonea a una sana crescita evolutiva o, ove ciò non sia possibile, in una comunità di tipo familiare. Le Regioni perseguono altresì l’obiettivo di riaffermare
l’importanza che sia rispettato il diritto del minore, in tutte le procedure che lo
riguardano, a essere informato e a esprimere la propria opinione, in considerazione dell’età e della sua capacità di discernimento.
La Repubblica italiana è tenuta ad adottare le misure necessarie perché le
famiglie possano svolgere a pieno il loro ruolo e si impegna ad assicurare al
minore la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in attuazione dei
diritti e dei doveri dei suoi genitori e per sostenere le persone che assolvono i
compiti genitoriali.
Inoltre, la legge 328/2000 rimane un importante punto di riferimento per le
Regioni che hanno legiferato o stanno legiferando in materia, in quanto offre
una sintesi efficace delle linee di indirizzo seguite in questi anni dalle sperimentazioni di enti locali e Regioni.
Entro questo quadro normativo di riferimento, i Comuni realizzano politiche
per i minori entro il principio di sussidiarietà verticale, in quanto soggetti istituzionali pubblici più vicini ai cittadini e, come tali, soggetti propulsori e
responsabili delle più complessive politiche socioassistenziali.
1.2 L’impegno
delle istituzioni
pubbliche
e del privato sociale
Le attività fondamentali che i Comuni e la comunità locale devono assicurare per l’attuazione dei diritti dei minori, con punti di riferimento nel territorio competenti e coordinati, hanno fondamento giuridico in una pluralità di
norme sopracitate e sono riferite a diversi obiettivi.
In primo luogo di promozione e prevenzione: attraverso iniziative di appoggio alla famiglia nelle sue molteplici funzioni di cura ed educative. Secon 236
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LE POLITICHE SOCIALI PER LA TUTELA DELL’INFANZIA E LE INDAGINI PSICOSOCIALI
dariamente di tutela: la complessità dei bisogni e le conseguenti domande di
intervento richiedono competenze articolate e risorse, capaci di sostenere azioni che devono realizzare una rete di attività e di presidi tra loro complementari,
attraverso interventi funzionali al ripristino del diritto del minore alla salute,
nella sua accezione più completa, e di una sua armonica crescita evolutiva, se
possibile con il coinvolgimento di tutte le risorse genitoriali e parentali.
Si fa qui riferimento alla situazione di pregiudizio del minore, così come
definita dall’OMS nel Rapporto violenza e salute 2002:
L’abuso o il maltrattamento sull’infanzia è rappresentato da tutte le forme di
cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente, nonché sfruttamento sessuale di altro genere, che provocano un danno
reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del
bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere.
Infine, di continuità nella presa in carico e quindi anche nella cura e nell’educazione.
Le risposte e gli interventi, organizzati a livello domiciliare, comunale,
distrettuale, di ambito territoriale di zona, di azienda asl e, per alcune attività
complesse, a livelli sovrazonali, dovranno garantire un’efficace collaborazione
tra servizi sociali, sanitari, educativi e scolastici nel contesto di una rete integrata a livello interistituzionale e interdisciplinare.
Nell’ambito della rete integrata, anche conformemente a quanto disposto
dalla legge 328/2000, particolare importanza riveste la collaborazione, entro
il principio della sussidiarietà orizzontale, tra servizi pubblici e agenzie del
terzo settore, che assumono un ruolo rilevante soprattutto con riferimento alla
programmazione ed erogazione degli interventi di tutela dei minori e di sostegno alla genitorialità.
1.3 Il tessuto sociale
Le finalità e quindi la realizzazione delle azioni previste, presuppongono la
costruzione di una comunità solidale che consenta una presa in carico comunitaria dei bisogni dei minori.
Le azioni solidali del terzo settore e i legami comunitari, nonché la valutazione dei risultati, devono essere promossi, sostenuti e messi in rete da specifiche azioni coordinate dagli enti locali. Questo ricco e complesso sistema di
relazioni tra pubblico e privato sociale concretizza il concetto di “sussidiarietà
orizzontale” secondo il quale «le funzioni degli enti locali sono svolte anche
attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalle
autonome iniziative dei cittadini e delle loro formazioni sociali» (DL 257/2000,
Testo unico delle leggi sull’ordinamento delle leggi locali, articolo 3, comma
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
5). Ciò non implica che il sistema pubblico abdichi a esercitare le sue funzioni,
ma significa che le autonome attività dei cittadini e delle loro formazioni sociali concorrono allo svolgimento delle funzioni pubbliche.
1.4 L’inserimento
di un minore in una
famiglia affidataria
o in servizi
residenziali tutelari
Lo Stato, le Regioni, gli enti locali – nell’ambito delle proprie competenze –
devono garantire il diritto al minore a vivere nella propria famiglia, attraverso
la promozione di idonee politiche di intervento, nel rispetto della reciproca
autonomia e delle rispettive competenze.
Nella situazione in cui il minore viene allontanato dalla famiglia, sia che si
trovi una famiglia affidataria sia che venga inserito in un servizio residenziale
socioeducativo, dovranno essere assicurati interventi di sostegno alla famiglia
e ai minori per il loro sviluppo sul piano affettivo ed emotivo.
La sistemazione del bambino al di fuori della sua famiglia deve avvenire
tramite interventi e servizi che integrino o sostituiscano temporaneamente la
casa e la famiglia, offrendo al minore uno spazio di vita in cui elaborare o
riprendere a elaborare un progetto per il futuro, con il supporto di figure adulte capaci di sviluppare relazioni significative sul piano affettivo ed educativo,
di cooperare con le persone dell’ambiente di vita del minore e con gli altri servizi del territorio ai fini della loro integrazione sociale e del loro orientamento
nel mondo del lavoro. Obiettivo primario è il rientro del minore nel nucleo
famigliare d’origine.
L’inserimento di un minore in una famiglia affidataria o in struttura residenziale va situato quindi all’interno di una dimensione progettuale ampia,
nella quale oltre alla definizione, attuazione e verifica di un progetto educativo individualizzato vi sia un’attenzione particolare e “straordinaria” tesa a
rimuovere le cause che hanno portato all’allontanamento.
Il progetto educativo individualizzato si colloca quindi all’interno di un
progetto globale unitario finalizzato al rientro del minore nella sua famiglia.
Non solo tale progetto deve prevedere l’attivazione di una serie di interventi
con la famiglia di origine, ma vanno anche ribaditi diversi principi. Il primo
afferma che il progetto deve essere condiviso, per quanto possibile e opportuno, dal minore e dalla sua famiglia, che devono essere coinvolti in tutte le
diverse fasi di preparazione, attuazione e di verifica; il secondo sottolinea
come l’allontanamento del minore, di norma, deve trovare soluzioni che insistono nel territorio nel quale egli viveva con la sua famiglia; il terzo ribadisce
che vi deve essere condivisione del progetto e coerenza operativa fra i servizi invianti e la comunità; il quarto, infine, sostiene che, pur mantenendo
distinte e specifiche responsabilità, non è possibile separare l’intervento
fatto con il minore da quello fatto con la sua famiglia. Si riafferma il ruolo cen238
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LE POLITICHE SOCIALI PER LA TUTELA DELL’INFANZIA E LE INDAGINI PSICOSOCIALI
trale dei servizi del territorio nella promozione, realizzazione e verifica di un
progetto complessivo ma, nel caso di inserimenti in strutture residenziali, è
opportuno che gli operatori delle comunità, indipendentemente dalla tipologia strutturale, siano portatori di competenze specifiche di carattere educativo e pedagogico da spendere nella relazione con il minore, ma anche in relazione al rapporto con le famiglie di origine e in relazione alla necessità di mettersi in rete con i servizi del territorio e in particolare alla capacità di co-progettare con il servizio inviante.
Le Regioni ritengono di fondamentale importanza lo sviluppo di un’offerta
di accoglienza in grado di affrontare problematiche differenti, sempre più complesse, difficili, e in continua evoluzione.
Le Regioni quindi si impegnano a promuovere lo sviluppo dell’affido familiare, lo sviluppo e la qualificazione di comunità di tipo familiare e la formazione degli operatori impegnati nella tutela dei minori e nella realizzazione dei
progetti che prevedono inserimenti extrafamiliari di minori.
Un’idea diffusa di responsabilità parentali, il concetto di comunità educante e di sussidiarietà orizzontale, sembra essere alla base di un intreccio fra il
pubblico e il privato sociale che può restituire al tessuto sociale l’immagine di
una serie di legami che tengono insieme i diversi soggetti, con particolare riferimento a quelli più fragili e deboli, che fanno parte della nostra società, prevenendone il disagio e l’emarginazione.
La prevenzione del fenomeno dell’abbandono implica pertanto un’assunzione di responsabilità a più livelli nei quali assumono un ruolo fondamentale
le politiche dell’occupazione, dell’abitazione, dell’integrazione, della coesistenza delle differenze, della diffusione dei centri di responsabilità e dei servizi, in un approccio sempre più integrato.
2. Le indagini
psicosociali
L’importanza dell’attività di indagine psicosociale nei confronti delle coppie candidate all’adozione nazionale e internazionale consiste nel permettere,
attraverso un’approfondita analisi delle caratteristiche psicologiche, sociali e
relazionali dei candidati, di evidenziare gli elementi che consentiranno al tribunale per i minorenni di svolgere al meglio le proprie funzioni.
L’indagine psicosociale si propone quindi i seguenti obbiettivi: la costruzione di una relazione collaborativa con la coppia; un’adeguata acquisizione
di elementi e approfondimenti e, quindi, la stesura di un’esauriente relazione
finale.
La relazione finale oltre a mettere in evidenza le criticità e i punti di forza
della coppia adottiva metterà in evidenza gli aspetti inerenti la storia di cop239
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
pia; le motivazioni della scelta adottiva; le competenze genitoriali richieste in
ambito adottivo; le relazioni interne alla coppia; le relazioni dei coniugi con le
famiglie di origine, eventuali figli naturali e ambienti sociali di riferimento; le
patologie sanitarie, fattori compromissori, l’espletamento della competenza
genitoriale richiesta in ambito adottivo; e infine gli aspetti di specificità connessi alla disponibilità per l’adozione internazionale.
L’intero percorso delle indagini psicosociali sarà centrato sui processi di
trasformazione che conducono la coppia a desiderare un figlio adottivo attraverso l’elaborazione della mancanza di un figlio biologico. In tal senso non ci
si riferisce alla domanda di adozione, fondata sull’urgenza e sul bisogno riparativo di una ferita per la coppia, ma alla disponibilità all’adozione, sia nazionale che internazionale. Si considererà pertanto la capacità plastica della coppia, di cambiare, di accogliere, di riflettere su di sé, di saper narrare, di saper
introiettare, facendo sì che le prefigurazioni del figlio idealizzato si modifichino per incontrare un bambino reale; senza rivendicare un percorso inverso, nel
quale il figlio adottivo si adatti in modo adesivo alle aspettative della coppia.
Sarà valutata la capacità di rendere familiare la diversità, costruendo un
nuovo intreccio affettivo del quale, a pieno titolo, facciano parte le storie dei
componenti della famiglia adottiva. In tal senso la funzione riparativa, che
costituisce un elemento specifico della genitorialità adottiva, potrà sostenere
il bisogno del senso di continuità dell’identità del bambino.
Verranno qui di seguito esemplificati alcuni temi cruciali che il percorso
delle indagini psicosociali potrà metter in evidenza. Tali temi sono correlati
alla potenzialità riparativa ed elaborativa che la coppia potrà realizzare nel
corso dell’accompagnamento del figlio adottivo nel suo percorso di crescita.
La capacità di realizzare la funzione del monitoraggio metacognitivo rappresenta il fondamento per comprendere gli stati mentali vissuti dal bambino
nella propria vicenda adottiva. Ad esempio non riconoscere, ovvero minimizzare, le proprie reazioni emotive di fronte alla diagnosi di sterilità può rappresentare un’incapacità di rendere dicibile, e pertanto mentalizzabile, un dolore
interno. Tale incapacità non prelude alla possibilità di esplorare e mentalizzare il dolore e lo stato mentale a esso connesso, che il bambino potrà aver sperimentato nella sua vicenda abbandonica.
Lo stile narrativo della propria biografia diventa pertanto un indicatore fondamentale, inerente sia alla capacità del monitoraggio metacognitivo, sia
dello stile di attaccamento introiettato dalla coppia candidata all’adozione.
Non aver effettuato esami finalizzati alla diagnosi delle cause ostative al verificarsi di una gravidanza, ovvero l’anteporre la scelta adottiva alla gravidanza
stessa, possono sottendere un inconscio rifiuto della maternità, ovvero una
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LE POLITICHE SOCIALI PER LA TUTELA DELL’INFANZIA E LE INDAGINI PSICOSOCIALI
difficoltà a prendere atto di dati negativi che potrebbero sconvolgere l’omeostasi relazionale, che caratterizza la vita di coppia. Allo stesso tempo il desiderio di adottare un bambino molto piccolo può sottendere a una difficoltà a
fronteggiare il tema della diversità iscritto in ogni adozione.
2.1 Le dinamiche
relazionali:
la coesistenza
di valutazione
e sostegno
Per quanto riguarda le motivazione all’adozione, quella solidaristica sembra altamente correlata con le successive difficoltà che potrebbero contribuire al fallimento adottivo. Regalare al bambino abbandonato l’opportunità di
crescere in una famiglia accogliente significa fondamentalmente fargli un
dono che potrà rivelarsi “velenoso”, in quanto non potrà mai essere ricambiato con un dono di pari valore. Ciò introdurrà la percezione del debito da un lato
e della gratitudine dall’altro che configureranno la relazione genitori-figlio
attraverso una gerarchizzazione squalificante. Se si riconoscerà invece che il
figlio potrà a sua volta donare ai genitori, con il suo esserci, la potenza riparativa della sterilità, potrà in questo modo ricambiare il dono, depurando la relazione dalle aspettative di gratitudine e “saldo del debito”, consegnando al
bambino stesso un rifornimento narcisistico che potrà aiutarlo a riparare la
propria autostima ferita.
La capacità di gestire le proprie emozioni da parte della coppia e la tolleranza alla frustrazione potranno aiutare a comprendere il significato di strategie disfunzionali che il figlio adottivo ha appreso nelle fasi precedenti all’adozione e che ancora utilizza durante il momento dell’inserimento nella famiglia
adottiva. Reazione di timore o di spavento, senso di impotenza, incapacità a
contenere le manifestazioni emotive del figlio rischiano di restituirgli un’immagine di sé negativa, con la quale egli era già entrato in contatto quando
aveva sperimentato l’incapacità da parte dei caregiver a farsi carico dei suoi
bisogni.
Le indagini psicosociali si muovono pertanto in uno scenario nel quale la
funzione valutativa e quella di sostegno, in diversa misura, coesistono, potendo auspicabilmente promuovere nella coppia stessa un’autovalutazione che
contenga la rappresentazione dei punti di forza e delle criticità, al fine di favorire la costruzione di una genitorialità sempre più consapevole.
In questo scenario, pertanto, l’approccio non può essere ridotto a una valutazione delle caratteristiche puntiformi, ma dovrà tener conto dei successivi
bisogni di accompagnamento nel postadozione, con particolare attenzione
alla prevenzione della crisi adottiva. Le possibilità di intervento saranno tanto
più efficaci quanto più positivo sarà il vissuto della coppia durante la fase
delle indagini psicosociali.
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Il postadozione. Metodi e strumenti
degli operatori delle adozioni in Italia
Marina Farri
Psicologa e psicoterapeuta, responsabile coordinamento adozioni, asl TO5
Regione Piemonte
1. Premessa
Nel corso degli ultimi dieci anni, gli operatori delle équipe adozioni in Italia
hanno sviluppato nuovi modelli di organizzazione delle attività e degli interventi a favore delle famiglie adottive sia nazionali che internazionali. Gli studi
e le ricerche sul campo, uniti alla complessità dei bambini oggi adottabili (per
età, traumi psicologici, condizioni di salute, ecc.), hanno, infatti, orientato i
cambiamenti nell’area della prassi e della tecnica degli interventi.
L’adozione si è quindi connotata come vero e proprio “percorso”, con l’esigenza di individuare strumenti finalizzati a “formare alla genitorialità e alla relazione adottiva”, secondo un’ottica di empowerment che permetta la maturazione di processi di autoformazione e di sviluppo, tanto del sé individuale quanto
del sistema familiare. Di conseguenza agli operatori non interessa solo valutare
se la coppia possieda capacità educative, competenze genitoriali, requisiti e
attitudini alla cura, ma anche formare (attraverso corsi d’informazione/preparazione) e sostenere la famiglia adottiva, attraverso interventi integrati nella fase
del postadozione. In questo modo si favorisce la costruzione delle relazioni di
attaccamento, l’attivazione della funzione mentale di riflessione e il pensiero
sulle criticità, oltre che una rete sociale di sostegno allargato.
Nel campo adottivo si è lavorato quindi per definire:
• il modello (cosa si intende per adozione? A quali definizioni e teorie psicologiche si fa riferimento? Che cosa è possibile indagare quando si valutano
i risultati dell’adozione? Che cosa può essere oggetto di misurazione?);
• il processo (quali sono i principi che orientano operativamente l’adozione? Quali sono i momenti e le fasi in cui si articola il processo adottivo?);
• il metodo (come si procede nella formazione alla genitorialità adottiva?
Quali sono le metodologie che si possono utilizzare?).
2. Fattori di rischio
e fattori di protezione
presenti nel processo
adottivo
L’esperienza clinica e di ricerca nell’ambito degli interventi di prevenzione,
valutazione/trattamento di famiglie e bambini con più o meno gravi difficoltà
psicosociali, permette di individuare fattori di rischio e fattori di protezione
anche per la famiglia adottiva, in quanto famiglia culturalmente costruita, che
attraversa una transizione rischiosa nel suo percorso di crescita e di evoluzione.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
L’esercizio della genitorialità adottiva ripropone, infatti, la presenza di fattori positivi e negativi di cui non si può ipotizzare in modo sicuro l’evoluzione.
Sul versante del bambino sono fattori di rischio l’età al momento dell’adozione (soprattutto in preadolescenza), le condizioni sanitarie, la storia traumatica pregressa, la presenza di altri fratelli, eventuali problemi comportamentali,
ecc. La coppia adottiva, ritenuta idonea dagli operatori, dal tribunale e dall’ente, dovrebbe possedere adeguati requisiti e attitudini; tuttavia si possono
verificare disfunzionalità relazionali e comportamentali di diverso grado e in
momenti diversi della vita familiare.
Il postadozione rappresenta quindi la fase del processo adottivo in cui si
rappresentano tali dinamiche e dove istituzionalmente gli operatori possono
intervenire con finalità preventive e/o curative. L’obiettivo è creare un percorso di continuità tra il prima-durante-dopo l’arrivo del bambino, secondo l’assunto che se l’adozione nasce da una frattura/discontinuità, gli operatori
devono invece poter rispecchiare alla famiglia una continuità di interventi in
risposta alle diverse fasi della vita familiare. Si è lavorato quindi per costruire
un modello di percorso postadozione, che prevede un approccio integrato e
multiprofessionale nei diversi sistemi in cui il minore proveniente dal circuito
nazionale o internazionale, si trova inserito, al fine di costruire una rete sociale di sostegno. Le finalità di tale percorso sono diverse: dall’osservare la
dimensione dell’adattamento nel rapporto genitori/figlio adottivo, individuando eventuali fattori di rischio o di stress da contrastare con l’attivazione
di fattori protettivi (ad esempio interventi di supporto familiare, sociale, educativo) all’accompagnare e sostenere la coppia e la famiglia adottiva, per prevenire il fallimento adottivo sviluppando la funzione genitoriale; dall’intrecciare i diversi ruoli e funzioni degli operatori per costruire una forma di integrazione protettiva, promuovendo il benessere della nuova famiglia, al sostenere l’inserimento sociale e scolastico del bambino, fino all’educare alla narrazione autobiografica personale e familiare, per il recupero della memoria del
passato attraverso un’attribuzione di senso condiviso.
3. Metodologie
di intervento
nella fase
del postadozione
Le attività rivolte alle famiglie adottive hanno una finalità formativa, che
consiste nell’apprendere dall’esperienza in modo flessibile, partecipato e
diretto il consolidamento dello sviluppo personale. In questa fase i destinatari e i metodi di intervento generalmente risultano articolati in modo diverso. Per i genitori si utilizzano colloqui di coppia, osservazione minore/genitori, visite domiciliari, gruppi espressivi di confronto tra genitori, gruppi di
genitori con figli adolescenti, incontri formativi sulla narrazione autobiogra244
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IL POSTADOZIONE. METODI E STRUMENTI DEGLI OPERATORI DELLE ADOZIONI IN ITALIA
fica e presa in carico psicoterapeutica. Per i bambini si attua una valutazione psicodiagnostica e una presa in carico psicoterapeutica. Per gli insegnanti si sviluppa una formazione sull’accoglienza del bambino adottivo in
classe. Di seguito vengono descritti alcuni tra gli interventi ritenuti più efficaci e innovativi che si stanno ormai diffondendo sul territorio italiano come
“buone pratiche”, a sostegno delle famiglie adottive.
3.1 I gruppi espressivi
di confronto
tra genitori
Una volta che la nuova famiglia si è costituita, la formula d’incontrarsi in
gruppo con altri genitori, sotto la guida di specialisti, risulta molto efficace in
quanto il racconto e la condivisione dell’esperienza, l’aiuto e il sostegno emotivo reciproco nell’affrontare i problemi comuni, permettono di rafforzare i
legami e gli attaccamenti. In generale, l’operatore-formatore si pone nei gruppi come agevolatore della comunicazione e dello sviluppo personale, sollecitando l’autoconsapevolezza, la funzione riflessiva su sé e sull’altro, l’elaborazione dell’esperienza dal punto di vista cognitivo ed emotivo.
I gruppi di confronto tra genitori prevedono due fasi:
1) fase espressiva:
Operatori: psicologo, assistente sociale, psicologo osservatore
Durata: 1 anno
Struttura: 2h mensili
Modalità: gruppo omogeneo espressivo;
2) fase attiva (auto-mutuo-aiuto):
Operatori: psicologo, assistente sociale, psicologo osservatore
Durata: 4 incontri guidati più 4 incontri autocondotti (alternati e a
cadenza mensile)
Struttura: 2h mensili
Modalità: gruppo di formazione all’autoaiuto.
Dal punto dei vista dei risultati e secondo riferimenti teorici psicodinamici,
i gruppi di genitori hanno i seguenti obiettivi:
• sostenere e rafforzare il legame e l’attaccamento nelle nuove relazioni
familiari;
• prevenire le disfunzioni relazionali intrafamiliari e le crisi adottive;
• sostenere le fasi critiche del ciclo vitale della famiglia;
• favorire lo sviluppo della dimensione partecipativa all’interno del sistema sociale.
Il gruppo espressivo (fase 1) che si trasforma in gruppo di auto-mutuoaiuto (fase 2) costituisce una modalità di lavoro innovativa in quanto permette di creare un sostegno di rete e dare valore sociale e culturale all’adozione;
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
sviluppare la capacità di riflettere sulle proprie modalità di comportamento;
aumentare le capacità individuali nell’affrontare i problemi della genitorialità
adottiva; aumentare la stima di sé, delle proprie abilità e risorse come genitori, lavorando su una maggiore consapevolezza personale; e infine facilitare la
nascita di nuove amicizie con altri genitori adottivi.
3.2 Gruppi con genitori
L’adolescenza dell’adottato (tenuto conto che oggi i bambini adottati
di adolescenti adottati
sono più grandi rispetto al passato) richiede ai genitori e al minore di affrontare e integrare tra loro due condizioni critiche dell’esistenza: l’adolescenza
e l’adozione. Alcuni nodi conflittuali ma fisiologici dell’adolescenza possono
infatti assumere per l’adottato e la sua famiglia una valenza più disturbante
per difficoltà psicoaffettive di ogni genere. Per tale motivo si offrono alle
famiglie adottive occasioni formative di gruppo, per affrontare i nodi critici di
questa età in cui la costruzione dell’identità diventa un momento fondamentale della crescita.
L’organizzazione delle giornate formative risulta articolata su due giornate,
durante le quali si propone il racconto, in piccoli gruppi, di due fiabe con contenuti specifici relativi all’identità e alla ricerca delle origini; si realizza la recitazione, attraverso role playing, delle fiabe da parte dei genitori guidati dallo
psicologo; si favorisce uno scambio e confronto delle emozioni vissute nei
ruoli recitati, e, infine, si discute e ci si confronta nel gruppo allargato.
La fiaba, ascoltata e interpretata dai genitori, fa prendere coscienza delle
emozioni legate al rapporto genitori-figli adolescenti relativamente alla ricerca dell’identità, al ricordo del passato, al desiderio di indipendenza.
3.3 Interventi a scuola
In una fase preliminare, sono stati analizzati i bisogni presenti nel contesto
scolastico e tra i genitori adottivi. Accogliere un figlio in adozione richiede di
essere capaci di familiarizzare con la diversità, di sviluppare una buona relazione con il tessuto sociale allargato (scuola, tempo libero, ecc.), di conoscere e accogliere la storia del bambino per integrarla nel contesto scolastico.
Nella loro esperienza di lavoro, gli operatori hanno evidenziato che sono
diversi gli elementi che emergono per i diversi soggetti in gioco. Da un lato i
genitori adottivi esprimevano sia un bisogno di costruire buone relazioni e di
sentirsi legittimati nella propria identità di genitori anche all’interno del contesto sociale, sia un certo disagio conseguente al raccontare di sé e della propria origine/famiglia nella comunità scuola. D’altra parte gli insegnanti esprimevano sia un bisogno di formazione sul tema dell’integrazione e delle differenze all’interno del gruppo classe, sia richieste di metodologie e strumenti
operativi per intervenire con il bambino adottivo.
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IL POSTADOZIONE. METODI E STRUMENTI DEGLI OPERATORI DELLE ADOZIONI IN ITALIA
Si è pertanto strutturato un percorso con tre obiettivi principali: sensibilizzare all’accoglienza del bambino adottivo nei diversi contesti, formare e sostenere le competenze relazionali degli insegnanti e quindi promuovere la costruzione di reti multidisciplinari e sociali.
Il percorso offerto agli insegnanti di tutti gli ordini di scuole comprendeva:
• due giornate di lavoro;
• la somministrazione di questionari sulla rappresentazione che i docenti
hanno dell’adozione;
• relazioni frontali su temi specifici;
• gruppi di confronto tra operatori e insegnanti.
L’elaborazione dei questionari somministrati agli insegnanti mette in evidenza alcuni dati significativi su cui continuare il lavoro di riflessione e formazione. I docenti hanno una rappresentazione dell’adozione idealizzata rispetto al perché si adotta: pensano infatti che si adotti “per amore” o per “mancanza biologica”; hanno una conoscenza limitata delle condizioni di disagio
familiare grave, a causa del quale molti bambini oggi arrivano all’adozione;
descrivono, infine, i bambini adottati con aggettivi negativi (diffidente, confuso, insicuro, agitato, fragile, impaurito, problematico).
3.4 La narrazione
autobiografica
nella famiglia
adottiva: il progetto
Vite da raccontarsi
Il progetto Vite da raccontarsi si fonda sul presupposto teorico che considera la narrazione autobiografica uno strumento psicoeducativo fondamentale per bambino e genitori, i quali intrecciano le rispettive storie di vita in un
racconto comune, quale testimonianza di “avercela fatta nonostante le difficoltà”. Inoltre, se da un lato raccontare e raccontarsi aiutano a definire il senso
della propria identità, questa operazione è ancor più importante per l’adottato, spesso portatore di sofferenza a livello dell’identità del sé.
L’approccio narrativo facilita la riformulazione della propria storia di vita,
perché permette di dare agli eventi vissuti una nuova struttura e all’esperienza un nuovo significato, favorendo l’elaborazione, il contatto con le emozioni
e i sentimenti, recuperando la memoria implicita di eventi (immagini, sapori,
odori, ecc.). Il racconto di sé, quindi, ha una funzione terapeutica, perché
attraverso il racconto è possibile una trasformazione del sé e il suo rafforzamento; stimola la sistematizzazione dei ricordi; trasmette un significato sociale, che rafforza l’identità (chi racconta presenta agli altri se stesso e le persone significative all’interno del proprio sistema culturale di riferimento e alle
aspettative del destinatario); permette di costruire e ri-costruire il significato
delle vicende personali di vita, integrandolo nella sua nuova realtà familiare;
dà un significato comune a cose passate conosciute e al mondo nuovo fatto di
relazioni e memorie condivise.
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LO STAGE IN ITALIA
LO “STATO DELL’ARTE” DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA: I CONTRIBUTI DEGLI ESPERTI
Gli obiettivi principali del progetto consistono nel trasmettere alle famiglie
adottive l’importanza della narrazione di sé e della propria storia, per dare
forza alla propria identità; nell’aumentare le capacità narrative dei genitori,
affinché sviluppino a loro volta quelle del bambino.
Per quanto concerne il gruppo di lavoro, il progetto (2009/2010) è promosso dalla Agenzia regionale adozioni internazionali (ARAI) della Regione
Piemonte, in collaborazione con gli operatori dei servizi adozioni. Il gruppo è
costituito da alcuni operatori delle équipe adozioni che, in qualità di esperti,
incontrano i genitori adottivi sul territorio della Regione Piemonte.
Per quanto riguarda la metodologia e gli strumenti, vengono realizzati
incontri formativi per i genitori nelle fasi successive all’adozione e sono previsti 13 incontri nell’anno 2010 su tutto il territorio regionale; inoltre si proietta
un video (intervista a Duccio Demetrio, docente universitario, studioso del
metodo dell’autobiografia narrativa), si attua un intervento degli operatori
esperti per coinvolgere le famiglie, si distribuisce il libretto per le famiglie, con
le riflessioni degli esperti, consigli pratici e testimonianze di genitori. Come
dice infatti Duccio Demetrio
Il racconto, che consente una nuova “interpretazione” di ricordi e vissuti, permette di tenere insieme tutti i pezzi che costituiscono il sé, quelli passati, quelli
presenti e quelli che verranno, restituendo continuità e coerenza all’essere.
Quando ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi1.
4. Conclusioni
L’adozione è una forma di “genitorialità sociale” che implica il concetto di
maternità e paternità fondato non sulla trasmissione biologica ma sul rapporto affettivo genitori-figli. La famiglia adottiva è quindi una famiglia culturalmente costruita da tutti noi, operatori dei servizi, del tribunale e delle associazioni, che la accompagniamo nel cammino della crescita, spesso non facile
se non addirittura problematico. Risulta pertanto fondamentale offrire alle
famiglie e ai minori occasioni di sostegno e formazione permanente, per valorizzare le potenzialità emotive e relazionali presenti in ognuno dei protagonisti. Come operatori, riteniamo il nostro compito impegnativo ma anche coinvolgente perché ci permette di condividere con le coppie la più affascinante
avventura della vita: diventare genitori degli affetti, che sono quelli indispensabili a far crescere un bambino troppo presto segnato dalle difficoltà.
1
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Demetrio, D., Raccontarsi, Milano, Raffaello Cortina, 1996.
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IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
Apertura del Seminario nazionale congiunto
fra Italia e Brasile
Carlo Giovanardi
Presidente della Commissione per le adozioni internazionali
L’incontro odierno costituisce la fase finale del lungo seminario internazionale sulle adozioni internazionali iniziato in Brasile nel settembre dello scorso
anno e proseguito in Italia nelle passate quattro giornate di lavoro formativo,
intenso e appassionato. Questa iniziativa, preceduta da numerosi contatti sia
a livello federale che dei singoli Stati brasiliani di San Paolo, Bahia e Minas
Gerais, ha anche visto specifici incontri preparatori sia in Italia durante il convegno internazionale dell’aprile 2008 svoltosi a Firenze, sia in Brasile nel
Brasilian-Italian meeting del dicembre 2008 realizzato a Brasilia.
Per la prima volta è stato realizzato un percorso formativo così complesso
che ha preso in considerazione in maniera bilaterale le condizione dell’infanzia
e dell’adolescenza e lo “stato dell’arte” delle adozioni sia in Brasile che in Italia.
A differenza delle iniziative formative pur molto significative realizzate in
passato con i Paesi dell’Est Europa1, siamo in presenza di una reale e convinta collaborazione a estendere le nostre conoscenze tecnico-scientifiche e procedurali per la realizzazione effettiva del “superiore interesse del minore”,
come giustamente indicato nelle convenzioni internazionali che riguardano
l’infanzia. È per questo, siamo convinti, che la proposta italiana è stata così
ben accetta da parte delle Autorità brasiliane centrali e, in particolare, da
quelle degli Stati di San Paolo, Bahia e Minas Gerais.
Questo Seminario congiunto conclusivo, che vede presenti fra l’altro tutti
gli operatori brasiliani e italiani che hanno partecipato alle attività formative
realizzate, può quindi rappresentare la conclusione provvisoria di un percorso
comune, cui seguiranno sicuramente momenti ulteriori di confronto, scambio
e collaborazione fra i due Paesi.
Nella mattina, da parte dei relatori e nelle tavole rotonde che seguiranno,
saranno sviluppati argomenti impegnativi su temi giuridici, psicologici e sociali riguardanti l’adozione internazionale. Ma non si tratta di una giustapposizione al percorso fin qui realizzato, quanto di una sorta di ripresa degli elementi e
1 Il riferimento è agli stage formativi realizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali
nel 2003-2004 in Bielorussia, Romania, Bulgaria e Ungheria. Cfr. Commissione per le adozioni internazionali, L’operatore oltre frontiera. Percorsi dell’adozione internazionale nei vari Paesi di origine.
L’Europa orientale, a cura di Macario, G. (Studi e ricerche, 4), Firenze, Istituto degli Innocenti, 2005.
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LO STAGE IN ITALIA
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
delle riflessioni più interessanti emerse sia dallo stage realizzato in Brasile nel
settembre scorso, sia dai gruppi di studio e dalle diverse attività svolte nei giorni precedenti dal gruppo dei rappresentanti brasiliani che hanno già mostrato
di aver molto apprezzato l’accoglienza e il programma di lavoro formativo che
è stato loro riservato. Accoglienza che d’altra parte è successiva a quella, altrettanto significativa, riservata alla delegazione italiana in Brasile.
In questa “assemblea plenaria” si dovrebbero quindi trarre alcune conclusioni anche interlocutorie dei lavori formativi realizzati, e si potrà assistere
anche alla proiezione di un filmato che illustra in maniera sintetica ed efficace
la parte di Seminario già realizzata in Brasile.
In conclusione e nell’avvio dei lavori della giornata, la Commissione per le
adozioni internazionali non può che esprimere la soddisfazione per il lavoro
formativo realizzato in Brasile e in Italia e per l’intensità e la profondità dei
contributi a questa così difficile e complicata materia. È stato possibile, infatti, anche l’ incontro e lo scambio non solo formale fra persone fisiche e rappresentanti delle istituzioni, coloro cioè che sono preposti nei due Paesi ad
affrontare la materia, e ciò appare di estrema importanza: conoscersi personalmente, dialogare e costruire occasioni per confermare un rapporto di reciproca fiducia non può che essere un ottimo viatico e un’eccellente premessa
per la possibilità futura di affrontare insieme tematiche così delicate.
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Saluti e osservazioni conclusive del coordinatore
dell’Autorità centrale brasiliana (ACAF)
Patricia Lamego
Coordinatore dell’Autorità centrale brasiliana
1. L’avvio dei lavori
seminariali
Questo progetto di scambio di esperienze tra Brasile e Italia, estremamente produttivo per tutti i partecipanti, giunge con questa iniziativa seminariale
congiunta fra Italia e Brasile alla conclusione. Vorrei ringraziare per la collaborazione, l’attenzione e l’accoglienza che tutte le autorità italiane qui presenti
ci hanno riservato, e mi piacerebbe rivolgere un breve saluto alla persona che
si è profusa in grandi sforzi perché questo programma vedesse la luce, e che
ne è stato, potremmo dire, il coordinatore e l’organizzatore, ossia Giorgio
Macario, con il quale mi preme congratularmi per l’eccellente lavoro che svolge in questo ambito, quello delle adozioni internazionali tra il Brasile e l’Italia.
Direi che in questi ultimi giorni tutti siamo stati testimoni di un’importante
esperienza, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere più da vicino la realtà
italiana, che ci ha sicuramente dato molto e che segnerà il futuro della collaborazione tra i due Paesi.
Tra i temi di cui si è parlato ieri, nel corso della cena1, le problematiche dell’infanzia come risultato di un fenomeno più ampio, che si verifica in Brasile e
in altri Paesi, ossia la destrutturazione familiare. Di tutte le problematiche che
coinvolgono e interessano direttamente il bambino, che è il soggetto maggiormente colpito, la destrutturazione familiare richiede una grande attenzione da parte delle autorità pubbliche e della società civile in generale.
Nel caso del Brasile, il ruolo del potere giudiziario nei confronti di questi
bambini abbandonati è estremamente importante, e tutta la nostra esperienza di lavoro è molto legata alla gestione del processo civile, del processo di
adozione in Brasile. I tribunali qui rappresentati all’interno delle delegazioni
hanno una lunga esperienza nel campo delle adozioni internazionali.
Ritengo che la scelta fatta dalle autorità italiane e dalla Commissione per le
adozioni internazionali, quando hanno optato per gli Stati di Bahia, Minas
Gerais e San Paolo per partecipare a questo seminario, sia stata buona in
quanto si tratta di Stati che, oltre ad avere una grande esperienza di programmi nell’area dell’infanzia, vantano eccellenti strutture, sia dal punto di vista
1
Il sottosegretario Carlo Giovanardi, in qualità di presidente della Commissione per le adozioni
internazionali, ha invitato le delegazioni congiunte alla cena ufficiale del 28 gennaio 2010, che si è
tenuta nel loggiato di Raffaello presso Villa Madama a Roma.
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LO STAGE IN ITALIA
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
giudiziario sia per quanto riguarda gli operatori del diritto, e cioè tutti i magistrati, i giudici minorili e i tecnici che hanno preso parte a questo seminario. Si
tratta quindi di Stati che hanno una capacità di lavoro già fortemente consolidata, e una consistente esperienza che indubbiamente permette loro di offrire uno scambio di qualità e un eccellente lavoro di cooperazione con le autorità italiane.
Tra le altre cose, alla cena di ieri sera, parlando con il senatore Carlo
Giovanardi, ho appreso della sua formazione salesiana, e sono lieta di sapere
che una persona con tale formazione sia a capo della tematica dell’adozione
internazionale in Italia. È una grossa responsabilità occuparsi di una materia
così vasta e delicata. La lunga esperienza dell’opera salesiana in Brasile è altamente riconosciuta e l’impatto che ha prodotto sulla società brasiliana è
molto positivo. Spero, e ne sono certa, che i lavori fin qui svolti producano
risultati eccellenti, che le esperienze italiane siano portate in Brasile e che
possano incidere su un lavoro sempre più puntuale e più approfondito, con
risvolti positivi per i bambini brasiliani. I bambini sono il futuro del Paese e
lavorare sull’infanzia significa garantire un futuro migliore a tutta la società.
Auguro quindi a tutti buon lavoro, e che la permanenza in Italia continui, e si
concluda, nel miglior modo possibile.
2. La conclusione
della giornata
seminariale
Come delegazione brasiliana, la prima cosa che vorrei dire è che è raro,
nelle questioni di lavoro della segreteria per i diritti umani, trovare persone
così coinvolte, così appassionate a quello che fanno come nel caso delle adozioni internazionali.
La sensazione che ci porteremo dietro, dopo questi incontri e questa esperienza così ricca che si sta concludendo qui in Italia, è che le persone che lavorano in questo ambito sono veramente motivate e impegnate sul tema dell’infanzia e l’adolescenza. Credo che, sia in Brasile sia in Italia, i bambini brasiliani saranno sempre molto ben seguiti una volta dati in adozione internazionale, all’interno di un sistema di cooperazione che oggi è estremamente organizzato e rigorosamente disciplinato.
Vorrei qui ringraziarvi per questa esperienza, per il lavoro e il coinvolgimento da parte delle autorità italiane, nella persona di Daniela Bacchetta, di
Maria Teresa Vinci e di Giorgio Macario, al quale dobbiamo questa programmazione così intensa, ma al contempo così arricchente.
Infine, mi preme sottolineare che molto di quanto sentito oggi, e in tutti
questi giorni, è strettamente legato alla discontinuità della vita del bambino,
che comprende la distruzione della patria potestà e l’allontanamento dalla
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SALUTI E OSSERVAZIONI CONCLUSIVE DEL COORDINATORE
DELL’AUTORITÀ CENTRALE BRASILIANA
famiglia; e proprio a seguito di questa discontinuità sorge la necessità urgente di stabilire un vincolo affettivo, di costruire un rapporto, e io credo che questo lavoro di scambio tra Brasile e Italia sia in certa misura anche parte di un
processo di costruzione di più proficui rapporti tra i due Paesi.
Quando si parla di cooperazione internazionale, penso sempre che non la
si debba vedere come una strada a senso unico; deve essere invece considerata come un ponte a doppio senso, in cui entrambe le sponde apportano
esperienze e si scambiano, condividono discussioni e idee, cercando in tal
modo di trovare risposta ciascuno ai rispettivi problemi.
Quel che mi rimane quindi di questa esperienza, di questo scambio, è proprio l’immagine della costruzione di un ponte, sempre più vicino, sempre più
solido tra i due Paesi, sul quale portare avanti il tema delle adozioni internazionali. E mi congratulo davvero con tutti i presenti, con tutti gli operatori che
vi hanno preso parte, per gli eccellenti risultati raggiunti.
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La soggettività nelle dinamiche interculturali.
Il mondo delle adozioni
Giuseppe Milan
Professore ordinario di Pedagogia interculturale e Pedagogia sociale,
direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione, Università di Padova
1. Premessa
In quanto pedagogista, la mia relazione risentirà naturalmente dell’appartenenza al mondo dell’educazione, chiamato a tener conto delle complesse
sfide che la realtà propone, a individuare un orizzonte di valori-finalità (l’utopia cui tendere) e a mettere in atto strategie di miglioramento che riguardino
il percorso educativo del singolo, del soggetto, ma anche il miglioramento
della comunità e, in ultima analisi, dell’umanità.
Naturalmente in questa relazione potrò affrontare solo alcuni punti, ma
spero che possano aiutare a comprendere la grandezza del compito educativo
e l’importanza di quanti operano a vari livelli in quest’ambito. E, visto il tema
previsto per questo intervento, cercherò di intrecciare le suggestive sfide dell’intercultura e dell’adozione lasciando intravedere alcune affinità che esse
presentano sul piano pedagogico.
2. L’adozione reciproca
Adottare un bambino è una profonda esperienza interculturale, una grande
sollecitazione all’apertura, all’incontro e all’ospitalità che aiuta ad assumere
competenze umane, culturali ed educative sempre più richieste per la costruzione del mondo che ci aspetta.
Il mondo delle adozioni è un laboratorio di esperienze che non si possono generalizzare: conosco famiglie diverse, per cultura, per posizione economica, per età, che hanno adottato bambini e bambine provenienti da etnie
diversissime. Alcuni bambini palesano difficoltà enormi all’inizio, poi via via
le superano; altri iniziano nel modo più positivo poi hanno un crollo; alcuni
vanno bene a casa, male a scuola, altri il contrario; altri ancora sembrano
andar male sempre, altri sempre bene. Non è possibile trovare un sistema di
soluzioni, un vademecum onnicomprensivo. Il mondo delle adozioni, di
fatto, ci porta nell’orizzonte delle differenze: proprio per questo include in
dinamiche relazionali che aiutano a essere pionieri, precursori di un mondo
– oggi ancora lontano – dove tutti, persone e popoli, sappiano reciprocamente adottarsi.
Ogni bambino che viene al mondo è una sfida all’educazione, una sfida difficile: come dice un saggio proverbio africano, «per far crescere un bambino ci
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LO STAGE IN ITALIA
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vuole un villaggio». Questa bellissima affermazione racchiude due tematiche
importantissime, che si richiamano e si implicano reciprocamente: la tematica
dell’educazione del bambino, perciò dell’essere umano; la tematica della
costruzione del villaggio, perciò della comunità. Entrambe tematiche per le
quali l’intercultura è imprescindibile. Infatti, oggi non è possibile pensare a un
essere umano che non sia interculturale, soggettività plurale, dialogica, aperta al mondo, e – ancora più evidente – non possiamo pensare alla comunità
che non sia solidale integrazione delle differenze.
L’essere umano, dobbiamo riconoscerlo, è indubbiamente provvisto di
un’attitudine creativa autopoietica, di un’energia reattiva e vitale, di una
resilienza come intima forza, forza della natura, che gli permette di superare tante difficoltà che sembrerebbero insormontabili. Molte sono le ricerche
che parlano di “bambini invulnerabili”, degli infiniti ostacoli superati da
alcuni bambini figli di situazioni disastrose, a partire da questa forza immane, simile a quella di un fiore, di una pianta capace di affondare le radici
sulla roccia e di crescere in ambienti apparentemente impossibili. L’essere
umano è anche – direi ontologicamente – speranza: speranza di farcela, di
venirne fuori, di superare l’ostacolo con l’energia maieutica di un’autoeducazione che spinge a raggiungere se stessi. Ma è pur vero che il bambino,
l’essere umano, è ontologicamente sociale, nato per essere società, villaggio, città, popolo, umanità: è chiamato alla socialità. Fin dall’inizio ha la
necessità di un “utero sociale”, non meno importante di quello biologico.
Erikson, Spitz, Dolto, Maslow, e tanti altri, hanno insistito in molti modi su
questo aspetto.
Ne deriva un’intensa problematicità: già alla nascita si presenta una prova
immane, il trauma della separazione/abbandono che, in alcuni casi, può durare per un’intera esistenza, quando il contesto lascia i segni di una solitudine
di fondo, di una separazione esistenziale contrassegnata da un’infinità di
appuntamenti affettivi mancati.
La letteratura offre molti spunti al riguardo. Proprio due secoli fa, lo scrittore tedesco Büchner descriveva un quadro metaforico suggestivo e inquietante:
C’era una volta un povero bambino e non aveva papà e non aveva mamma,
erano morti tutti, e non c’era più nessuno al mondo. Tutti morti, allora lui è partito e ha cercato giorno e notte. E siccome sulla terra non c’era più nessuno, ha voluto andare in cielo: c’era la luna che lo guardava così buona; e quando finalmente era arrivato alla luna, quella era un pezzo di legno marcio. E allora è andato dal sole e quando era arrivato al sole, quello era un girasole appassito. E
quando arrivò alle stelle, erano dei moschini d’oro […]. E lui voleva tornare sulla
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terra, anche la terra era una pentola capovolta. E lui era solo solo. E allora si è seduto e si è messo a piangere, ed è ancora là seduto, solo solo1.
È la descrizione di incontri mancati, di illusioni esistenziali, di scacchi affettivi: c’è un viaggiare, un migrare in un mondo luccicante che gira, un mondo
fittizio e superficiale, ma non c’è incontro: è l’immagine di una vera desolazione esistenziale e sociale, il quadro del villaggio assente.
Anche oggi possiamo chiederci: che villaggio stiamo costruendo? Quale
“dappertutto”? Quale panthakù? Platone insisteva su questa parola: il panthakù, il “dappertutto”, proprio per dire che esso educa o diseduca, costruisce o distrugge, a seconda della dimensione valoriale che lo attraversa.
Tanto più noi educatori dovremmo chiederci – assumendo lo sguardo critico della pedagogia – com’è il panthakù odierno, su quali basi costruiamo il
nostro villaggio, quali sono, per così dire, i criteri di abitabilità che proponiamo e mettiamo in campo.
Un altro grande filosofo, in realtà attualissimo, critica dalle fondamenta
l’architettura su cui stiamo forse costruendo oggi il nostro villaggio. Si tratta
di Nietzsche, in Così parlò Zarathustra:
Egli [Zarathustra] voleva venire a sapere che cosa fosse avvenuto nel frattempo dell’uomo: se fosse diventato più grande o più piccolo.
E una volta, al vedere una fila di case nuove, disse pieno di meraviglia: Che
mai significano queste case?
In verità, non fu certamente un’anima grande a erigerle a sua immagine e somiglianza! Un bimbo scemo le ha tirate fuori da scatole dei suoi balocchi? Magari un altro bimbo le rimettesse dentro la sua scatola!
E queste camere e stanzette: possono uomini entrarne e uscirne? […] E Zarathustra si fermò meditabondo.
E infine disse, turbato: “Tutto è diventato più piccolo!”2.
Questa denuncia, ripeto, sembra oltremodo attuale e in fondo sottende la
più radicale questione pedagogica: stiamo diventando più grandi o stiamo
rimpicciolendo? Al bulimico gigantismo materiale procuratoci dall’ipernutrimento consumistico corrisponde un’effettiva crescita dell’umanità, in noi e tra
noi, o ci stiamo rassegnando al piccolo, incapsulati nella città dell’angustia?
Queste, dobbiamo riconoscerlo, non sono soltanto antiche denunce da parte
di una letteratura suggestiva, o di un pensatore folle, ma l’amara constatazio-
1
2
Büchner, G., Woyzeck, in Teatro, Milano, Adelphi, 1978.
Nietzsche, F., Così parlò Zarathustra, Milano, Adelphi, 1982.
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LO STAGE IN ITALIA
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
ne di un disorientamento esistenziale e di un’anoressia antropologica che
riguardano oggi più che mai l’essere umano e inducono alla riflessione pedagogica nella preoccupata ricerca di vie d’uscita non secondarie: per recuperare il bandolo della matassa e imboccare una direzione che ci riconduca a noi
stessi, alla nostra vera grandezza e interezza.
Quale villaggio, allora? Quale città? Chiusi in stanzette o aperti all’utopia, a
un viaggio verso quell’isola che ancora non c’è, ma che dovrebbe esserci e può
esserci?
3. La questione
dell’intercultura.
Invitare l’altro,
andare a trovare
l’altro, so-stare
con l’altro
È evidente che qui si situa la questione dell’intercultura, ovvero la questione delle chiusure nelle nicchie narcisistiche (dell’io egocentrato – o delle collettività etnocentriche) oppure dell’ospitalità che accoglie e integra, la questione dei muri fisici-psicologici-culturali che separano o dei ponti che permettono quell’andirivieni relazionale che può condurre alla convivialità delle
differenze. Qui, ancora, si situa la decisione tra l’ideale della fraternità umana,
della solidarietà che ci vede tutti figli del mondo comune, veri compagni di
viaggio, e – d’altra parte – il mito della propria perfezione e dell’imperfezione
altrui, della propria superiorità e dell’inferiorità altrui, della propria autosufficienza e dell’altrui subordinazione e dipendenza. Passa di qui la discriminante tra la costruzione di un arcipelago delle identità culturali separate, dei ghetti monoculturali chiusi per l’intolleranza altrui o per l’autoisolamento culturale che deriva dalla paura della contaminazione e dalla recintazione nel dogmatico territorio del pensiero unico, e la disponibilità ad abitare la città della
fiducia e dell’intercultura. Qui, ancora, si pone la decisione di fondo – che può
contrassegnare l’etica individuale e l’etica sociale-politica – tra la creativa dialogicità delle differenze e il piatto conformismo che caratterizza la pratica
omologante dell’assimilazione.
La prospettiva interculturale si fonda proprio nel proporre, come finalità
educativa, come utopia cui tendere, l’io-dialogico, l’io-ospitale, l’Io-Tu (come
direbbero il filosofo austriaco Martin Buber e, con parole diverse ma con simile visione, Paulo Freire quando parla dell’educazione dialogica, problematizzante, capace di superare l’opposizione oppressore/oppresso, io/altro, educatore/educando, per stabilire l’autentica dialogicità)3.
Anche nel linguaggio è importante superare la tentazione di innalzare muri:
le barriere culturali si avvalgono anche di parole “intransitive”, di concetti
3
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Cfr. Milan, G., Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, Roma, Città Nuova, 2008.
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LA SOGGETTIVITÀ NELLE DINAMICHE INTERCULTURALI. IL MONDO DELLE ADOZIONI
murati (Freire parlerebbe di “coscienza impermeabile”)4: abusiamo di extra e
di intra, senza renderci conto che in questo modo fissiamo spesso la distanza,
la spaccatura, il canyon culturale, tra la comunità intra e la comunità extra,
giustificando il fatto che la convivenza sociale sia fatta, in fondo, della nostra
comunità intra e di altre comunità extra, cioè di comunità “a parte”.
Il progetto interculturale crede invece nella possibilità, impegnativa, che
ciascuno e tutti siano parte della comunita, superando la frantumazione delle
comunità a parte. “Inter” in intercultura significa “tra”, allude alla relazione, al
dialogo, alla costruzione di ponti, alla dinamica convivialità delle differenze, in
base ai valori dell’ospitalità.
È implicata un’arte difficile, una metodologia complessa, un andirivieni
dinamico: l’arte di invitare l’altro, l’arte di andare a trovare l’altro, l’arte di sostare con l’altro. Non è facile questo incontrarci, questa fedeltà al patto di sostare nell’incontro, soprattutto oggi che – come denuncia Bauman – il nostro
vivere sembra un “pattinare sul ghiaccio sottile”, che soltanto la velocità ci
impedisce di sprofondare, e si riscontra la frenesia, la consumazione veloce,
l’usa e getta, anche nelle relazioni umane.
Cosa propone, invece, di quest’arte dell’incontro che dovrebbe diventare
una prassi normale, quotidiana? Essa implica alcuni atteggiamenti importantissimi, che ora indicherò in estrema sintesi, ma ben si comprende che
dovremmo aprire un capitolo per ognuno di loro.
L’arte di invitare l’altro (primo punto) richiede:
• autenticità, che potremmo anche definire sincerità, coerenza, congruenza.
Posso ospitare l’altro, a casa mia, se sono autentico; se esisto non come un
falso, come una bugia, ma come una realtà autentica. Autentico, dal greco,
vuol dire “che è dell’autore”, che non è una fotocopia, che è originale. Significa vivere un rapporto sincero con se stessi e comunicare congruenza,
senza maschere o nascondimenti, proponendo con trasparenza la propria
identità personale e culturale, facendo prevalere l’essere e non l’apparire.
• Accettazione dell’altro nella sua diversità: accogliere l’altro-diverso, che
ha un suo mondo di progetti, di paure, di azioni, di errori. Ha bisogno di
essere accettato, non sempre approvato, ma accolto con la sua identità
originale e unica. Accettare, dal latino “accipere”, significa “prendere con
sé”, “contenere”, “abbracciare”, e ha l’etimologia simile a “concepire”,
cioè “dare la vita a”: dovrebbe includere quindi anche questo senso di
dar vita all’altro. Accettarti è anche darti la vita, farti venire alla luce.
4 Cfr. Milan, G., L’educazione come dialogo. Riflessioni sulla pedagogia di Paulo Freire, in
«Studium educationis», 1, 2008.
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IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
L’arte di andare a trovare l’altro (secondo punto), implica ascolto, decentramento, desiderio di conoscere, di comprendere, in una parola:
• empatia, cioè la reale partecipazione al mondo dell’altro, ai suoi pensieri, sentimenti, paure, memorie, desideri, difficoltà: non è qualcosa di
prettamente razionale e cognitivo, è chiamata in causa un’intuizione, e
intuire significa “andare al tu”, e vedere un po’ il mondo, ma anche se
stessi, con gli occhi dell’altro, da un altrove, da un’altra prospettiva, un
altro punto di vista.
L’arte di so-stare con l’altro (terzo punto) ci conduce all’incontro educativo
concreto e responsabile, in una fase in cui accettare ed empatizzare non
bastano più. Bisogna passare all’azione, agire insieme, progettare insieme,
costruire insieme in mondo comune. Bisogna, come dice Freire, “dare un nome
al mondo”, dargli l’identità che si merita, a partire da quell’atto educativo che
dà identità al tu e che Martin Buber definisce con una parola forte:
• “lotta”: la relazione educativa, afferma Martin Buber, è una calda, profonda lotta interpersonale, interculturale, per costruirci l’un l’altro. È un
appassionato dialogo, concreto, reciproco: con l’altro, per l’altro e anche,
a volte, contro l’altro5. Non contro il tu, per negarlo, ma per aiutarlo a
migliorarsi. Non per uscirne vincitori o perdenti, ma sempre vincenti insieme. La lotta educativa può essere, per usare una parola antica e sacra,
una “benedizione”, capacità di dire il bene e fare il bene dell’altro.
Mi sia consentita, a questo punto, una suggestione che ricavo dalla Bibbia.
Ricordo, a proposito di lotta educativa, la “lotta” di Giacobbe (Genesi
23,32), nel pieno di una notte buia, con un angelo misterioso, messaggero di
Dio, che in lui si nasconde. Giacobbe è un senza nome, un senza identità, un
senza-popolo. Dio lo chiama a un confronto inquietante, che dura tutta la
notte, nell’oscurità più tetra. E Dio, più grande e più forte, si fa vincere: all’alba dà la sua benedizione a Giacobbe e, insieme, gli dà il nome, Israele, che è
pure il nome del suo popolo. Giacobbe, attraverso quella lotta, realmente
5 Scriveva Alfredo Carlo Moro: «Si va diffondendo nei genitori una tendenza, sempre più forte, a
lasciar correre, a lasciar fare: dire “no” crea dubbi, paure, ansie e sensi di colpa. Ma la capacità di
dire “no” fa parte dell’amore per i figli: perché li aiuta a crescere, a porsi dei limiti, a confrontarsi con
le inevitabili rinunce che la vita impone e alle conseguenti frustrazioni; perché dà valore al “sì” in
quanto, senza l’esperienza del rifiuto, tutto appare scontato; perché se non si ha esperienza del “no”
diventa difficile anche al giovane dire a sua volta “no”, il che è invece essenziale per affermare se
stesso e la propria alterità» (Moro, A.C., Minori: persone che la società non riconosce, in
Osservatorio delle povertà della Caritas Tarvisina, Minori alla porta, Treviso, San Liberale, 2004).
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LA SOGGETTIVITÀ NELLE DINAMICHE INTERCULTURALI. IL MONDO DELLE ADOZIONI
educativa, trova l’identità personale e collettiva, e viene incluso nella partecipazione più autentica, da attore reale di una comunità reale. Questa lotta
avvincente – vera metafora della lotta educativa, identitaria – lascia una ferita profonda in Giacobbe, che zoppicherà tutta la vita: è il ricordo indelebile di
un incontro autentico che lascia una grande eredità, che lascia il segno, che
insegna.
4. L’intercultura
come arte
dell’incontro
Credo che si comprenda bene che questa complessa arte dell’incontro è
l’arte del “tra”, il segreto dell’intercultura, e che ha molto a che fare con l’arte
di invitare un bambino a casa propria, l’arte di andarlo a trovare, l’arte di stare
insieme. Sono certo dimensioni impegnative, che i genitori adottivi possono
attuare facendo riferimento a quell’energia creativa e generativa che si manifesta proprio a partire dalla dialogicità coniugale e familiare.
L’atmosfera di base accogliente, intrafamiliare, è anche importantissima,
per essere non la mera vicinanza fisica di individui indifferenti, bensì la calda
solidarietà tra persone che si amano.
Tuttavia, la dimensione “intra” dell’adozione, pur importante e necessaria,
è riduttiva, non è sufficiente. La famiglia non può essere un’isola. C’è il rischio
che la dinamica familiare sia essa stessa una recintazione ermetica/invischiante o spazio dell’impersonale, luogo di assenza di relazioni positive. È necessario costruire alternative, già all’interno della dinamica familiare. In questo
senso, l’esperienza dell’adozione può innestare una positiva inversione di tendenza, aiutando a reimpostare le relazioni, non sul ghiaccio sottile, bensì su
fondamenta solide, sul terreno della solidarietà, delle relazioni solide.
Allora la famiglia può davvero essere “capitale sociale primario”6, per la
forza della “fiducia primaria di base”7 legata alla dimensione della prossimità
Io-Tu-Noi nel microcosmo della solidarietà in atto nella normalità della quotidianità. Ma bisogna pure riconoscere l’importanza del “capitale sociale secondario”: associazionismo, reti di famiglie, fonti di appartenenza, di “fiducia
secondaria contestuale”, di con-cittadinanza. Mi riferisco, evidentemente, alla
strategia pedagogica (sociale-interculturale) della rete, alla necessità – anche
in questa prospettiva – di decentrarci, di andare a trovare l’altro, di tessere e
cucire legami.
Vi propongo un’antica parabola orientale:
6 Donati, P., Famiglia e capitale sociale nella società italiana, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2003.
7 Erikson, E.H., Childhood and Society, New York, Norton, 1950; trad. it. Infanzia e società, Roma,
Armando, 1960.
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LO STAGE IN ITALIA
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
Un re, un giorno, rese visita al grande mistico sufi Farid.
Si inchinò davanti a lui e gli offrì in dono un paio di forbici di rara bellezza,
tempestate di diamanti.
Farid prese le forbici tra le mani, le ammirò e le restituì al visitatore dicendo:
“Grazie, Sire, per questo dono prezioso: l’oggetto è magnifico, ma io non ne faccio uso. Mia dia piuttosto un ago”.
“Non capisco”, disse il re. “Se voi avete bisogno di un ago, vi saranno utili anche le forbici”.
“No”, spiegò Farid: “le forbici tagliano e separano. Io non voglio servirmene.
Un ago, al contrario, cuce e unisce ciò che era diviso. Il mio insegnamento è fondato sull’amore, l’unione, la comunione. Mi occorre un ago per restaurare l’unità
e non le forbici per tagliare e dividere”8.
Questa strategia dell’ago e della tessitura vale naturalmente anche per l’intreccio interculturale dell’adozione.
La rete è una metodologia, una strategia, una strumentazione, ma è ancor
prima una visione/filosofia, un modo di pensare che ci aiuta a oltrepassare la
tentazione di soffermarci sui pur importantissimi segmenti del microcosmo
delle relazioni interpersonali e familiari, per aprire lo sguardo alla più ampia
prospettiva interculturale e della coesione sociale.
La rete è proprio lo strumento, per così dire, per l’autentica cementificazione sociale, forza di coesione in modo coerente. Un importante sociologo
francese, Boltanski, si riferisce proprio alla necessità di far leva sulle alleanze tra gruppi solidali – “gruppi agapici”, li definisce – proprio per ricostruire a
partire da questi nodi solidali il tessuto socioculturale ora sfilacciato e disorientato. Egli, descrivendo la nostra realtà socioculturale priva di un autentico collante valoriale, utilizza l’immagine della “colata lavica-magmatica”
che appare inarrestabile: essa, in realtà, si solidifica, e perciò si arresta, nel
momento in cui trova il famoso masso di solidificazione, attorno al quale
avviene il processo di aggregazione di una forma. Soltanto così è possibile
governare la massa informe e incanalarla in altre direzioni. La rete ha proprio
questa funzione di aggregazione dinamica e solidale, capace di offrire appartenenza e orientamento, avvalendosi dell’intraprendente protagonismo relazionale delle persone, delle famiglie, delle associazioni, agenti di intrecciamento e di solidarietà.
Utilizzando un’altra metafora: proprio la rete può dare una via di salvezza
all’“acrobata senza rete”. Il bambino adottato, che ha abbandonato l’appiglio
culturale-familiare di partenza e non possiede ancora il senso di appartenen-
8 Vernette,
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J., Parabole d’Oriente e d’Occidente, Padova, EMP, 1995.
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LA SOGGETTIVITÀ NELLE DINAMICHE INTERCULTURALI. IL MONDO DELLE ADOZIONI
za rassicurante al contesto di accoglienza, nello svolgimento dei suoi esercizi
di identità, di autonomia, è assimilabile proprio a un trapezista, a un acrobata
senza rete, spesso sottoposto al rischio di sbagliare, di cadere, di farsi del
male. La rete, come per il trapezista, non esclude la possibilità di esprimersi in
virtuosismi, anzi, li promuove assicurando il necessario sfondo protettivo, che
regala fiducia e sollecita l’acrobata a mettersi alla prova.
È perciò importante che le famiglie adottive, con le loro associazioni, possano includersi in una dimensione della “reticolarità approssimante” (o
“approssimazione reticolare”), dove la rete è catalizzatrice di prossimità,
inclusione, facilita il contatto-incontro, l’accompagnamento educativo. In altre
parole, la rete si fa prossimo.
Ho alluso soprattutto al ruolo della famiglia, della rete di famiglie. Ma si
capisce che, analogamente, la medesima prassi di accoglienza e lavoro interculturale va attuata dalla scuola, nella costruzione di reti di scuole, in modo da
realizzare veramente – con quella che chiamiamo inclusione – il superamento
di quell’apartheid (persone a parte, comunità a parte) che sgretola e frantuma
la convivenza sociale. E così via per altri soggetti sociali e istituzionali, nella
costruzione della città interculturale, in modo che ciascun bambino, che ciascun essere umano incluso in contesti di accoglienza possa via via sperimentare, nel suo percorso formativo, l’esperienza del genitore interno, per oltrepassare il genitore pur conservandolo intra, della famiglia interna, per oltrepassare la famiglia pur conservandola intra, della comunità interna, per oltrepassare la comunità pur conservandola intra, della città interna, per oltrepassare il proprio villaggio, e divenire cittadino del mondo.
È del tutto evidente che questo percorso impegnativo e difficile richiede
formazione, a tanti livelli, e grande disponibilità alla ricerca condivisa e allo
scambio di esperienze. Come si sta realizzando in questa importante iniziativa formativa, con un lavoro prezioso, umile e nascosto.
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Confronto conclusivo tra gli operatori brasiliani
e italiani: le due tavole rotonde
A cura di Valentina Ortino
Antropologa, tutor per il progetto formativo in Brasile
Alla conclusione dell’esperienza di scambio Italia-Brasile si è collocato il
seminario tra gli operatori e le Autorità centrali dei due Paesi. Questo dibattito, realizzatosi in due tavole rotonde, ha rappresentato un’occasione per mettere a confronto gli operatori brasiliani e italiani protagonisti di questo viaggio
con le loro impressioni reciproche sui sistemi giuridici e i servizi per l’infanzia
e l’adozione dei due Paesi.
Si riassumono di seguito per ciascuna tavola rotonda i temi salienti e le
questioni affrontate.
1. Prima tavola rotonda:
il contesto giuridico
nelle adozioni
internazionali; il sistema
giuridico brasiliano visto
dall’Italia e il sistema
giuridico italiano
visto dal Brasile1
1.1 Differenze
nell’organizzazione
dei servizi
La prima riflessione da parte dei giudici brasiliani e italiani è rivolta a ciò
che accomuna i due Paesi dal punto di vista legislativo: nello spirito della
Convenzione de L’Aja entrambi condividono di proteggere il supremo interesse del bambino preservando la famiglia di origine e i vincoli familiari,
percorrendo ogni strada pur di mantenere il minore all’interno della sua
comunità e Paese, e ricorrere, come ultima alternativa, all’adozione internazionale.
Le differenze tra i due Paesi si distinguono proprio nell’applicazione e nella
struttura dell’organizzazione di tutela del minore. Confrontandosi con i colleghi e il sistema giudiziario italiani, i giudici brasiliani hanno sottolineato una
differenza sostanziale riguardo il ruolo e le funzioni del giudice minorile nel
campo delle adozioni internazionali: figura “monocratica”, il giudice minorile
brasiliano non solo giudica ma è coinvolto in tutta la fase esecutiva, ovvero
quella precedente alla fase decisionale. Avvalendosi di un proprio corpo tecnico di psicologi e assistenti sociali, il giudice brasiliano ha sulle proprie spalle, infatti, tutto il processo di assistenza oltre quello ovviamente decisionale.
In Italia invece è stata ammirata la solida organizzazione del sociale diffusa capillarmente su tutto il territorio e di vero sostegno alla struttura giudizia-
1 La prima tavola rotonda, coordinata da Daniela Bacchetta, ha visto la partecipazione di
Reinaldo Cintra Torre de Carvalho, Wagner Wilson Ferreira, Arnaldo Lemos, Roberto Ianiello, Mario
Zevola, Gianfranco Arnoletti, Pietro Ardizzi.
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IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
ria, la quale può svolgere la propria funzione giudicante avvalendosi della collaborazione e del lavoro dei servizi sociali territoriali.
Questa differenza, conferma un giudice brasiliano, oltre ai grandi numeri di
casi che devono affrontare (alti per il numero di popolazione e per casi di
abbandono), è alla base delle manchevolezze di efficienza nel loro sistema e
per questo si propone di diffondere in Brasile un simile tipo di lavoro sociale.
Da una parte i giudici italiani confermano quanto detto dai loro colleghi
brasiliani, avendo constatato che in effetti, in Brasile, l’organizzazione dei servizi non sembra essere adeguatamente sviluppata e che il giudice non è sufficientemente sostenuto in scelte e situazioni difficili. Un giudice italiano ha
voluto però ricordare ai colleghi d’oltreoceano che anche in Italia i giudici
hanno coperto il ruolo di assistenti sociali, psicologo, mischiandosi con i servizi e perdendo la sua terzietà. Adesso che hanno superato questa fase, rivendicano questa indipendenza, pur notando come in Italia avvenga un’eccessiva
delega ai servizi delle decisioni del tribunale per i minorenni.
In ultimo, viene riconosciuto al Brasile una novità rispetto alla legislazione
italiana, ovvero di aver stabilito un tempo massimo di permanenza in istituto
di due anni.
1.2 Testimonianza
di impegno e alta
professionalità italiani
Un aspetto molto interessante che ha sollevato un giudice brasiliano è
quello che potremmo racchiudere nell’espressione “fare esperienza” della
controparte. Come è stato sottolineato altrove, l’esperienza di scambio è stata
sì occasione di confronto sulle questioni adottive ma la forza di questo interscambio è stata quella di venire a contatto personalmente con i colleghi d’oltreoceano, di essere testimoni della loro passione, dedizione e serietà nel tentativo sincero di perseguire il supremo interesse del bambino.
Incontrare gli operatori e parlare con loro, testimoniano i giudici brasiliani,
li ha rassicurati sul destino dei loro bambini e sulla serietà delle procedure.
Parole simili hanno avuto i giudici italiani per il lavoro dei colleghi brasiliani e
per l’entusiasmo e la serietà nonostante la moltitudine di casi e la difficoltà
delle decisioni.
1.3 Chiarimenti
sulla nuova legge
postadozione
(art. 50)
Di grande interesse sono stati i chiarimenti su alcuni punti della nuova
legge sull’adozione brasiliana (legge 12.010/2009), richiesti dai colleghi italiani e forniti dalla coordinatrice dell’Autorità centrale brasiliana.
Un giudice italiano ha infatti espresso titubanza nei confronti dell’articolo
50 della nuova legge, che dichiara che «L’Autorità centrale federale brasiliana
potrà, in qualunque momento, richiedere informazioni sulla situazione dei
minori adottati». Dal punto di vista del giudice questa legge stigmatizza inu266
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CONFRONTO CONCLUSIVO TRA GLI OPERATORI BRASILIANI E ITALIANI: LE DUE TAVOLE ROTONDE
tilmente il minore impedendogli di diventare un figlio italiano a tutti gli effetti; inoltre, non se ne vede l’utilità dato che il minore, una volta adottato, diventa cittadino italiano e sarà compito della giurisdizione italiana occuparsi di lui.
La coordinatrice dell’ACAF ha quindi precisato tre questioni principali:
1) secondo la Conferenza de L’Aja si raccomanda di seguire nel postadozione il minore uscito dal Paese di origine;
2) nel caso del Brasile il bambino non perde la cittadinanza brasiliana ma
la mantiene (avrà quindi una doppia nazionalità). Una volta diventato
maggiorenne potrà optare per la richiesta del passaporto brasiliano e le
ambasciate e consolati brasiliani saranno tenuti a fornirglielo;
3) l’articolo 50 rispecchia una preoccupazione del governo brasiliano sulla
“cittadinanza non automatica” del minore adottato in Italia, ovvero la
trascrizione della sentenza brasiliana di adozione da parte del tribunale
italiano, ultima fase grazie alla quale il bambino adottato acquisisce la
cittadinanza italiana. Il loro proposito è quindi quello di seguire l’andamento dell’adozione del minore non per poca fiducia nel sistema italiano ma appunto per la molto dibattuta questione della “cittadinanza non
automatica” del minore adottato in Italia. In passato ci sono stati casi in
cui il minore è rimasto senza cittadinanza per molti anni, anche fino alla
maggiore età (un caso proprio in Italia). Ecco che questa legge ha senso
nell’eventualità che incorrano problemi di ordine giudiziario e di altro
tipo; in questo caso, informato, il governo brasiliano potrà essere di
aiuto, intervenendo in collaborazione con il Paese ospitante. Tra l’altro,
ha proseguito la coordinatrice dell’ACAF, la richiesta di informazioni
copre un tempo di due anni dall’adozione: poco, ci tiene a precisare, in
confronto ad altri Paesi che la prevedono fino al compimento della maggiore età.
In merito alla questione del postadozione e del contatto del Paese di origine con l’andamento dell’adozione del minore, un altro giudice italiano ha
voluto sottolinearne l’importanza, in quanto può permettere di valutare possibili difficoltà nelle procedure e diventare quindi sorgente di utili suggerimenti che funzionerebbero come lessons learned per migliorare le procedure
stesse.
Ulteriore questione riguardo il postadozione, emersa dalle valutazioni di un
giudice italiano, concerne invece il follow up del minore in Italia che in ogni
Regione e tribunale italiano segue procedure distinte, con tempi diversi, ed è
effettuato da organismi diversi (in alcune Regioni, precisa, sono gli enti che
hanno il compito di farlo, in altre sono i servizi sociali assieme agli enti).
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IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
La vicepresidente dell’Autorità centrale italiana ha quindi chiarito che questa diversità di gestione tra Regione e Regione è dovuta al fatto che al tempo
della promulgazione della legge sull’adozione internazionale in Italia (1998) si
parlava molto poco di postadozione. Gli enti si sono quindi organizzati e i servizi territoriali che fanno capo alle Regioni, le quali hanno una capacità normativa nel campo specifico dei servizi sociali, si sono autoregolamentati.
Conclude però precisando che, nonostante la legge italiana sulle adozioni
abbia in effetti bisogno di un aggiornamento, le norme sul postadozione esistono, anche se diverse da Regione a Regione.
1.4 Fondo dei diritti
del minore (art. 52)
Gli enti autorizzati italiani presenti alla tavola rotonda hanno colto l’occasione per chiedere un chiarimento sull’articolo 52 della nuova legge brasiliana riguardo le adozioni internazionali e quindi il destino delle risorse destinate ai progetti di sussidiarietà in Brasile da parte di enti stranieri, che secondo
l’articolo sembrano dover essere stanziati nel Fondo dei diritti del minore: «È
proibito, pena l’imputazione di responsabilità e la perdita dell’accreditamento, trasferire risorse provenienti da organismi esteri incaricati di presentare
richieste di adozione internazionale a organismi nazionali o a persone fisiche
[...]. Gli eventuali trasferimenti potranno esser effettuati soltanto attraverso il
Fondo dei diritti del minore e saranno soggetti alle deliberazioni del rispettivo
Consiglio dei diritti del minore», dichiara la legge.
La coordinatrice dell’ACAF ha voluto quindi precisare che questo articolo è
stato elaborato dal Consiglio dei diritti del minore per far sì che la modalità di
spesa dei fondi stranieri investiti nel Paese per la tutela del minore sia accompagnata da e concordata con le autorità locali. Prima di tutto sottolinea che
questi fondi non saranno destinati né a tribunali né ad altri organismi brasiliani. In ogni caso questo articolo non influisce sulle attività di cooperazione
degli enti italiani perché tutti hanno sede in Brasile, quindi tutti i progetti
hanno automaticamente un accompagnamento nazionale ovvero lavorano già
in conformità con la legge. Questa legge è stata pensata invece per tutti quegli organismi privi di sede nel territorio brasiliano, i quali invece non potranno
trasferire risorse se non attraverso il Fondo dei diritti del minore.
1.5 Richiesta di dossier
più approfonditi
Un ultimo aspetto emerso riguarda i dossier di approfondimento della coppia di genitori adottivi richiesti dalla controparte brasiliana e un maggior
approfondimento sulla storia del minore sollecitata dagli enti italiani.
Quest’ultimo aspetto sarà ampiamente sviluppato nella seconda tavola rotonda. Il primo tipo di dossier invece, proposto da un giudice brasiliano, consiste
nella richiesta di ottenere una valutazione tecnica della reazione della coppia
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al momento della lettura della storia del minore. Avere queste informazioni
permetterebbe loro di preparare il minore all’incontro con i nuovi genitori e
quindi darebbe un supporto adeguato alla nuova famiglia nel momento del
contatto e durante la permanenza di 30 giorni in Brasile.
2. Seconda tavola rotonda:
il contesto psicologico
e sociale nelle adozioni
internazionali; il sistema
dei servizi per l’infanzia
e l’adozione italiani vista
dal Brasile e il sistema
dei servizi per l’infanzia
e l’adozione brasiliani
visto dall’Italia2
Quello che è emerso da entrambe le parti, anche in questa contesto, è l’unanime e reciproco apprezzamento del lavoro altrui che questa esperienza ha
permesso di conoscere in prima persona: da una parte gli operatori sociali
brasiliani sono stati rassicurati dalla meticolosità e professionalità con cui gli
operatori sociali italiani svolgono il loro mestiere, dall’altra questi ultimi
hanno invece sottolineato il grande e contagioso entusiasmo nella tutela dei
minori che si respira in Brasile.
Inoltre, entrambe le parti hanno riconosciuto un linguaggio comune che si
concretizza nel desiderio di dare una famiglia a un bambino e non un bambino a una famiglia.
2.1 Differenza
dei servizi
Anche gli operatori sociali brasiliani riconoscono una differenza sostanziale rispetto all’Italia del sistema sociale brasiliano, ancora dipendente
dalle strutture giudiziarie e debole per i numeri di professionisti rispetto ai
casi da seguire (uno psicologo italiano ricorda che a San Paolo ci sono 900
operatori per una popolazione di 41 milioni di abitanti). Ma proprio su quest’ultimo aspetto si soffermano vari operatori italiani per ricordare che il
contributo dei servizi è essenziale non solo per accelerare i tempi dell’adozione ma altresì per contribuire in modo essenziale nel trovare la strada più
appropriata per ogni minore. Una psicologa italiana dice infatti di aver percepito in Brasile una difficoltà da parte dei giudici nel prendere decisioni a
volte durissime per il minore, come quella di recidere i rapporti con la famiglia di origine. Riprendendo il discorso affrontato nella prima tavola rotonda
da un giudice italiano, un’altra psicologa italiana ribadisce il principio che la
famiglia di origine non è sempre la soluzione migliore, che non basta sostenerla perché sia l’ambiente adatto al minore, insomma come a volte recidere i rapporti sia l’unica alternativa. Ecco che il supporto dei servizi può contribuire in modo decisivo e sostenere e accompagnare i giudici in queste
scelte difficili.
2 La seconda tavola rotonda, coordinata da Giorgio Macario, ha visto la partecipazione di Sandra
Lucena, Conceição de Maria Camurça Citó, Silvia Nascimento Penha, Carmine Pascarella, Albarosa
Talevi, Daniela Randazzo, Alice Calori, Marco Griffini.
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Un altro aspetto della prospettiva di rafforzare i servizi in Brasile è proprio
quello di diffondere capillarmente nel territorio una cultura nuova del bambino, portatore di una propria dignità umana, che va rivendicata e protetta.
Negli interventi precedenti quasi tutte le operatrici brasiliane avevano dichiarato il desiderio di vedere diffondersi in Brasile una maggiore disponibilità
all’accoglienza, di costruire una nuova cultura di solidarietà sociale, anche e
soprattutto, afferma un’assistente sociale brasiliana, per quei minorenni con
bisogni speciali, tra cui gli adolescenti. Una presenza diffusa sul territorio di
tali servizi, suggerisce una psicologa italiana, potrebbe in tal modo contribuire anche alla costruzione di questa nuova cultura.
2.2 Preparazione
della coppia adottiva
e del minore
all’adozione
Se da una parte gli operatori brasiliani riconoscono di dover preparare
maggiormente il bambino all’adozione, dall’altra si richiede all’Italia di avere
informazioni più dettagliate sulle coppie che intendono adottare, per preparare il bambino a sostenere il loro incontro.
In questo senso vanno anche le richieste degli enti italiani di dossier più
approfonditi sulla storia del minore, che proprio in Italia arriva già grande e
quindi con un passato denso di questioni critiche da dover essere seguite e
sostenute. Come dice la presidente di un ente, non tutte le coppie, seppur con
idoneità, sono capaci di adottare bambini che hanno vissuto uno stato prolungato di deprivazione. Molti concordano quindi nel richiedere che l’autorità
competente del Paese di origine, attraverso il lavoro di una sua équipe tecnica, consenta la conoscenza della storia del minore con una relazione che ne
descriva i nodi critici. La coppia sarà, così, preparata sulla reale condizione del
bambino e l’ente potrà prepararla a decidere o meno l’accettazione con sufficiente consapevolezza della realtà che dovrà affrontare. Infatti, affermano gli
operatori sociali, i loro sforzi si concentrano nella prevenzione dei fallimenti
adottivi, e il loro prossimo obiettivo sarà quello di migliorare le coppie ad
accogliere la diversità dei bambini stranieri.
Si desidera concludere con una riflessione che il presidente di un ente italiano pone come oggetto di discussione alla tavola rotonda, ovvero se l’adozione internazionale, in quanto ultima spiaggia, sia una sponda a cui approdare di così poco valore o se invece dovremmo parlarne come un’opzione
altrettanto dignitosa. La storia vissuta e raccontata da un giudice brasiliano
potrebbe dare a questa riflessione una risposta concreta: riguarda una bambina abbandonata dai genitori e affidata dal giudice, attraverso i servizi sociali, a un istituto. Il giudice si dimentica di lei – queste le parole usate – e dopo
un anno viene contattato perché la bimba, sempre in istituto, presenta vari
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CONFRONTO CONCLUSIVO TRA GLI OPERATORI BRASILIANI E ITALIANI: LE DUE TAVOLE ROTONDE
problemi, anche di salute. Accompagnato da un assistente sociale, si incontra
con la bambina che risponde alle sue domande dicendo di essere molto ben
trattata nell’istituto ma desidera un padre e una madre. Non conosce le ragioni per cui suo padre l’abbia abbandonata ma adesso vuole dei genitori. Data
l’età avanzata della bambina non c’è stata la possibilità di trovare dei genitori nel Paese, mentre all’estero una coppia si era resa disponibile ad adottarla
ed è stata quindi preparata a intraprendere questo percorso. In un’udienza il
giudice le ha chiesto come vivesse la possibilità di un’adozione internazionale e la bambina ha risposto che l’importante per lei era avere un padre e una
madre, dei fratelli, una casa, andare a scuola e tornare a casa con le amiche,
come faceva una volta, e che non aveva importanza dove fosse questa casa e
la nazionalità dei genitori.
Questa storia, unica perché vera, è allo stesso tempo esemplificativa di
molti aspetti dell’adozione in Brasile: il minore abbandonato, il forte coinvolgimento del giudice brasiliano, la tipologia dei bambini brasiliani che non
sono voluti dalle coppie brasiliane, e le loro caratteristiche. Adulti per le storie di disagio che avrebbero da raccontare, ma ancora molto bambini nel loro
bisogno di stabilità, sicurezza e amore, ovvero di una famiglia.
Un giudice brasiliano per parlare delle differenze di procedure tra Autorità
centrali dei due Paesi, aveva utilizzato poco prima una frase interessante:
«Noi perdiamo un cittadino, voi ne acquisite uno». Si riferiva alle distinzioni
sostanziali tra le due autorità governative, ma queste parole lasciano trasparire come per un Paese veder partire i propri figli provochi comprensibilmente
un senso di perdita. Eppure, l’adozione internazionale, come ha voluto far
capire il collega brasiliano con la sua storia, acquisisce tutta la sua dignità
quando si ascoltano i bisogni dei bambini e si capisce la soluzione concreta
che essa è e può essere. Fa capire che un Paese che trova una soluzione felice per i propri figli non è un Paese che perde ma un Paese capace di costruire
loro un futuro, dando loro “um pai” e “uma mãe”, come diceva la bambina, e
una casa a cui tornare dopo essere stata con le amiche a scuola. Insomma dà
la possibilità ai propri figli di realizzare un sogno, e non è poco.
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Conclusioni del Seminario nazionale
e dello stage in Italia
Daniela Bacchetta
Vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali
Gli spunti e i suggerimenti emersi dai lavori di questo seminario nazionale
conclusivo dello stage in Italia sono stati molteplici e di estremo interesse. Dopo
la realizzazione dello stage in Brasile dello scorso settembre, avere per la prima
volta, nell’ambito della formazione promossa dalla Commissione per le adozioni internazionali, la possibilità di una presenza così qualificata degli amici e colleghi brasiliani arricchisce in maniera consistente il livello dello scambio.
Le direzioni del cambiamento prospettate su più aree, per quanto riguarda
le adozioni internazionali, costituiscono un riferimento prezioso per l’implementazione, l’aggiornamento e il complessivo miglioramento dello stesso dispositivo legislativo in forza del quale operiamo.
Come nel caso del postadozione, che è regolato fino a oggi da leggi regionali e dai contratti che le coppie stipulano con gli enti autorizzati e che impegnano alla realizzazione di un corretto postadozione, già a partire dalle relazioni postadottive richieste dal Paese di origine, in questo caso la Repubblica
Federale del Brasile. La necessità di prevedere anche normativamente il
rispetto di tali dispositivi e la migliore finalizzazione al benessere del bambino adottato di tutta l’azione postadottiva sono esigenze reali cui occorre prestare ascolto.
La Commissione per le adozioni internazionali in ogni caso verifica, specialmente tramite il sistema informatico cui si è già fatto ampio riferimento in
queste giornate di stage in Italia, che ci sia da parte degli enti l’invio delle relazioni richieste dall’Autorità centrale del Paese di origine. Questo è infatti uno
dei punti centrali della vigilanza che la Commissione attua sempre più in
tempo reale.
Certo, qualche volta si incontrano coppie in difficoltà rispetto a questa
attenzione, talvolta vissuta come “interferenza” ulteriore nella propria famiglia,
ma in tutti questi casi si cerca di spiegare al meglio come non si tratti tanto di
un adempimento formale, quanto di una legittima preoccupazione dello Stato
di origine del bambino sul miglior andamento del percorso adottivo.
Per ciascuna adozione, infatti, occorre lavorare in termini progettuali: ci
sono alcune famiglie che possono muoversi con le proprie forze anche nel caso
di adozioni un po’ complicate, ma in tante altre situazioni i servizi territoriali
dovrebbero essere coinvolti fin da subito, nel momento in cui l’abbinamento
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LO STAGE IN ITALIA
IL SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
viene accettato e prima che la coppia torni in Italia, per mettere a punto un adeguato progetto di sostegno. Perché in tutti quei casi, e non sono pochi, nei
quali i figli adottati sono più di uno o con problemi di salute di una certa entità, per i quali sono prefigurabili specifici problemi di integrazione, è inutile
aspettare che questi si presentino più tardi, magari in maniera dirompente.
Alcune famiglie devono essere sostenute prima: possono essere infatti ottime
famiglie ma non avere intorno a sé una sufficiente rete familiare. Al contrario,
come capita spesso con famiglie tradizionali del Sud Italia, queste possono
essere semplici ma ampie e con molte relazioni, capaci anche di accogliere difficoltà particolari, proprio perché c’è una rete allargata che assicura ai genitori
il necessario sostegno, che consente ogni tanto di cedere il bambino al nonno,
al fratello, allo zio, e di avere un po’ di ristoro dalla fatica che il compito genitoriale comporta. Ancora, ci possono essere ottime famiglie che hanno difficoltà logistiche e alle quali manca l’appoggio della rete familiare, e in questi casi
occorre fare un progetto senza aspettare che emergano ulteriori problemi.
Infine, è emerso da tutti i presenti un apprezzamento unanime per l’iniziativa che si è intessuta nel corso dell’ultimo anno e mezzo con l’Autorità centrale del Brasile. Per l’Autorità centrale italiana, quello della formazione in
ambito nazionale e internazionale è un compito molto importante, per la realizzazione del quale sono state destinate consistenti energie personali e finanziarie. L’esperienza con il Brasile, che si è dimostrata così articolata e ricca,
avendo avuto l’opportunità di una reciproca presenza delle delegazioni nei
due Paesi, è sicuramente un fiore all’occhiello che costituirà nel tempo una
vetrina delle esperienze di qualità che possono essere realizzate quando si
lavora insieme.
Già in passato erano state effettuate esperienze più contenute, ma comunque molto proficue. Nel valutare successivamente gli esiti di questi interventi,
la Commissione si è accorta di come gli scambi realizzati abbiano permesso
una comprensione reale e siano state altrettante occasioni per condividere
esperienze, per capire – reciprocamente – come ci si esprime. Le ricadute positive sono state colte in modo molto tangibile, con l’aumento della comprensione e della fiducia reciproca, e appare chiaramente che sarà ugualmente questo
l’esito più che positivo che si realizzerà nei rapporti fra il Brasile e l’Italia.
Un sentito ringraziamento va quindi a tutti i partecipanti, a Giorgio Macario
e all’Istituto degli Innocenti di Firenze che hanno realizzato concretamente l’iniziativa promossa dalla Commissione, alla dottoressa Vinci e a tutti i collaboratori, agli enti autorizzati, agli ospiti brasiliani e alla dottoressa Lamego che ha
consentito di mantenere un ottimo raccordo ai massimi livelli tra i due Paesi.
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LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Il resoconto della delegazione brasiliana
1. La delegazione
di San Paolo1
1.1 L’impatto dell’invito
per uno scambio
tra operatori italiani
e brasiliani
Il contatto con il lavoro degli operatori italiani del settore è iniziato nel
momento in cui abbiamo ricevuto l’invito a partecipare allo scambio. Molte le
aspettative e, nel valutare la proposta, affioravano non di rado le domande:
ma perché? Come ci organizzeremo per ricevere i colleghi italiani? Cosa
mostreremo di noi stessi per poterli accogliere al meglio e offrire al contempo
un’immagine reale del nostro sistema di garanzia dei diritti, dai primi provvedimenti di tutela fino all’adozione internazionale quale strumento di sussidiarietà? Come effettivamente anche Giuseppe Milan accennava, nel suo contributo, riguardo al senso dell’ospitalità.
Nel discutere la programmazione a San Paolo, importantissima si rivelava
la collaborazione del Nucleo di sostegno professionale dei servizi sociali e di
psicologia, del Coordinamento dell’infanzia e adolescenza e del rappresentante dell’ente internazionale accreditato per le adozioni internazionali.
Potremmo dire quindi, a conclusione delle attività, che lo scambio è stato
anche una felice opportunità per dimostrare che la collaborazione tra i diversi
settori è in grado di produrre buoni risultati.
Nell’intervallo tra i due stage, dalla preparazione per la seconda fase dello
scambio fino alla meravigliosa accoglienza riservataci, ancor più pressante si
faceva il perché di tanti sforzi profusi in una formazione che «ha attraversato
due volte l’oceano» (per usare un’espressione di Giorgio Macario). Una prima
risposta è stata che tutti gli sforzi sembrano riflettere, in primo luogo, l’inestimabile valore che gli italiani attribuiscono al benessere dei bambini e degli
adolescenti che sono stati, sono e potranno essere adottati in Brasile. Ed è
stato quindi in virtù di tale valore che noi, operatori brasiliani, siamo stati
inclusi in questo scambio.
1.2 L’importanza rivolta
alla formazione degli
operatori
Nel suo insieme, il progetto sembra volerci far riconoscere la grande disponibilità, in Italia, di risorse materiali e umane rivolte alla formazione
degli operatori del settore dell’infanzia e adolescenza. Dopo aver conosciuto i servizi italiani, la legislazione che li disciplina e un po’ della loro
storia, ci è stato chiaro il valore che viene dato all’investimento sull’operatore del settore.
1 La relazione è a cura dei responsabili della CEJAI di San Paolo, Impressioni sullo stage tenutosi in Italia dal 24.01.2010 al 30.01.2010 - Delegazione di San Paolo.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Si evince quindi con molta chiarezza che la condizione fondamentale perché un progetto di formazione abbia buon esito sta soprattutto nell’individuazione delle priorità.
1.3 La metafora
dello specchio
La metafora dello specchio è stata presente in molti dei nostri discorsi
durante il seminario finale dello stage in Italia. Cominciava già a farsi largo tra
le considerazioni degli operatori italiani a seguito dello stage in Brasile, quando hanno riconosciuto i principi condivisi da ambo le parti: la territorialità
delle azioni, l’importanza del lavoro in rete unendo gli sforzi in modo integrato e coordinato, la priorità rivolta alla famiglia e al supremo interesse del
minore, la promozione di una cultura dell’accoglienza.
In Italia questa immagine è sembrata riflettersi in modo intenso, ma accompagnata da una sorta di disagio innanzi a un riflesso nel quale non ci era possibile un pieno riconoscimento, visto che nonostante i principi fossero gli stessi, le modalità e la fase di implementazione dei servizi sono diverse e alle volte
ben al di sotto di quanto auspicheremmo. Oggi, rientrati in Brasile, ci appare
più chiaro quanto sia grande la sfida che ci si apre con lo Statuto del bambino
e dell’adolescente e quanti passi avanti abbiamo già fatto se si considera la
complessità delle questioni in gioco.
1.4 L’importanza
della banca dati
e dell’elaborazione
delle informazioni
in essa contenute
Rispetto alla creazione di una banca dati, si è percepita l’importanza che
l’Italia attribuisce alla documentazione e all’analisi delle informazioni per
stabilire priorità e programmi. Questa impressione è avallata dalle valutazioni della Segreteria tecnica dell’Autorità centrale italiana, che intrattiene
accordi con tribunali, università e centri di documentazione. Abbiamo quindi avuto conferma di quanto sia importante portare avanti l’impegno brasiliano per creare una vasta rete di informazioni nell’area dell’infanzia e dell’adolescenza.
I dati sui minori brasiliani adottati in Italia hanno confermato il progressivo
aumento dell’età media, anche rispetto alla media generale, come suggerivano le schede degli aspiranti all’adozione presentate nello Stato di San Paolo.
La CEJAI-SP si è impegnata non poco per garantire la pubblicazione dei dati
statistici annui e ogni anno sembra esservi una progressiva evoluzione per
quanto riguarda la disponibilità degli aspiranti all’adozione rispetto alle caratteristiche dei bambini e degli adolescenti adottabili. Ci rendiamo conto che
aumentano le probabilità di trovare una famiglia per i bambini fino ai 5 anni di
età e anche per gruppi di fratelli. Sembra quindi che il ricorso all’adozione
internazionale avvenga anche nei casi più difficili, come suggerito dalle convenzioni internazionali.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Si evidenzia quindi la necessità di individuazione dei problemi e delle prassi da seguire e di quelle da contrastare.
1.5 La costruzione
di una cultura
dell’accoglienza
e di una cultura
dell’adozione
Durante gli interventi, e nel corso delle visite previste in Italia, abbiamo
percepito il lavoro fatto per creare una cultura dell’accoglienza per i bambini e
per gli adolescenti stranieri adottati e perché ne vengano accettate le differenze, nel senso più ampio del termine. Sembra lodevole il lavoro fin qui svolto, e non abbiamo potuto esimerci dal pensare che anche in Brasile si dovrebbe cercare di promuovere una cultura dell’accoglienza. Ma al tempo stesso ci
siamo scontrati, e non è stato facile ammetterlo, con l’abisso sociale esistente nel nostro Paese. Non abbiamo potuto non riconoscere che in Brasile ancora manca, purtroppo, una società capace di accogliere tutte le sue famiglie.
Per quanto riguarda il rapporto tra genitori e figli bisogna cambiare l’atteggiamento, per riconoscere che il rapporto affettivo è e deve sempre essere considerato più forte e più importante di quello di sangue. Bisogna cambiare la cultura
dell’umanità rispetto alla questione, dando maggior valore al rapporto affettivo.
Va affrontato il pregiudizio culturale secondo cui il figlio naturale è più
amato o più importante del figlio adottato, quando la cosa più importante è
riconoscere che i genitori devono davvero “adottare” i figli naturali per provare di amarli davvero. Essere padre, madre o responsabile vuol dire effettivamente adottare il figlio, indipendentemente che si tratti di padre biologico o
meno, assolvendo i propri doveri ed esercitando i diritti derivanti dalla patria
potestà, nello spirito e nella consapevolezza del principio di tutela integrale.
1.6 La preparazione
per l’adozione
Negli interventi di alcuni operatori italiani si è colta una preoccupazione
data dalla sempre maggiore complessità di casi di bambini, fratrie e adolescenti che vengono adottati, che sembra riflettere un’analoga preoccupazione
anche in Brasile, sostenuta dalla nuova legislazione con la quale si riconosce
la necessità di mettere in atto un lavoro di preparazione per l’adozione.
Per quanto riguarda la preparazione all’adozione di bambini e adolescenti, va
sottolineata l’importanza dell’accompagnamento da parte di tutti gli operatori interessati, in tutte le fasi del processo, dalle prime misure di tutela, fino al progetto di intervento personalizzato, prevedendo l’ascolto del minore e della famiglia.
1.7 Riguardo l’organizzazione
dei servizi rivolti all’infanzia
e all’adolescenza, e al ruolo
del potere giudiziario
nella rete di tutela
Un’altra osservazione piuttosto comune è stata che molte delle attività
svolte autonomamente in Italia dai servizi sociosanitari, dai centri di adozione
e dai centri di affido familiare o dai servizi territoriali, in Brasile vengono svolti dagli assistenti sociali e dagli psicologi che lavorano presso i tribunali. In un
determinato momento della nostra storia, è come se la società brasiliana
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
avesse voluto così garantire l’ascolto e la valutazione psicosociale dei bambini, degli adolescenti e delle rispettive famiglie.
Tali funzioni, attribuite agli uffici tecnici del potere giudiziario, benché riconosciute importanti, sono vaghe. Questa nebulosità si traduce in inefficienza
da parte dello Stato per quanto riguarda i servizi sociali, di tutela e difesa dei
diritti dei bambini e degli adolescenti e dei suoi responsabili, dovendo inoltre
ricorrere alla giustizia per numerose questioni familiari che potrebbero invece
trovare una soluzione nell’ambito dei servizi sociali.
Questa peculiarità lascia intendere molto riguardo la nostra cultura e il
modo in cui ci siamo organizzati fino a oggi per mettere in atto un modello di
adozione che veda al primo posto veramente il supremo interesse del minore.
1.8 L’importanza
della pianificazione
familiare
Un’altra conclusione cui si è giunti nel corso dello scambio di esperienze è
che prima di preoccuparsi di prevenire il fallimento delle adozioni bisogna
pensare a provvedimenti che evitino l’abbandono di bambini e adolescenti,
mettendo in atto la cultura della pianificazione familiare e una maggior sensibilizzazione dei genitori riguardo le loro responsabilità.
1.9 I due sistemi
giuridici e il contesto
sociale in cui
si inseriscono
Lo scambio di esperienze tra Brasile e Italia ha rivelato con chiarezza la differenza di contesti. In Brasile esiste una legge avanzata che non è stata recepita e rispettata da una società la cui cultura è ancora poco evoluta, e uno
Stato inefficiente nella sua attuazione. In Italia invece, benché la legge sia
antica quanto i monumenti storici, vi è una maggior coscienza sociale e le politiche pubbliche sostengono il principio di tutela integrale, scontrandosi solo
talvolta con l’eccessiva diversità di comandi.
Il principio di tutela integrale dell’interesse del minore, che in Brasile ha
ispirato l’evoluzione legislativa, è già assimilato nella responsabilità sociale e
nelle politiche pubbliche italiane, e sarebbe auspicabile che potesse ispirare
le azioni sociali, di governo e le legislazioni nel mondo intero.
In Brasile, il principio di tutela integrale è in fase di “semina”, e nel corso de gli ultimi decenni sono stati registrati importanti progressi. Ci troviamo in piena
fase di implementazione del Sistema unico di assistenza sociale, di municipalizzazione dei servizi e del lavoro in rete, e la famiglia è il centro dell’attenzione.
1.10 Alcune riflessioni
riguardo il principio
di sussidiarietà
Come illustrato da Daniela Bacchetta, l’esperienza con l’infanzia e l’adolescenza produce dei cambiamenti nella vita delle persone, degli operatori che
prendono il proprio lavoro come una vera e propria missione. È ancora necessario un profondo cambiamento dell’approccio affinché sia possibile capire
appieno la portata del cosiddetto Principio di tutela integrale, che sta alla
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
base dello Statuto del bambino e dell’adolescente, vigente in Brasile. Tale
principio stabilisce che è dovere della famiglia, della società e dello Stato
garantire i diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza fino al raggiungimento della maggiore età. Questa garanzia diventa efficace solo quando lo
Stato è capace di creare meccanismi affinché i bambini nascano in famiglie
pianificate, e non da rapporti occasionali o da situazioni indesiderate. Per questo è necessario che lo Stato dia priorità alle questioni legate all’infanzia e
all’adolescenza, destinando risorse pubbliche, e che la società si organizzi per
garantire il pieno adempimento delle disposizioni di legge e la garanzia dei
diritti e degli interessi della futura generazione.
È inoltre necessario che la società e lo Stato siano consapevoli della
responsabilità che hanno, in modo solidale e sussidiario, nei confronti di tutti
i minori di età, a livello nazionale, con una tendenza ad allargarsi anche alla
sfera internazionale.
In questo contesto l’adozione (sia essa nazionale o internazionale) finisce
per essere un importante strumento di garanzia del diritto di ogni bambino e
di ogni adolescente alla convivenza familiare, fondamentale per una buona
formazione e per uno sviluppo appagante. Ma è fondamentale verificare se
quello che stiamo difendendo effettivamente sono gli interessi del minore,
ponendoli al di sopra delle questioni burocratiche e anche dei desideri e delle
volontà degli aspiranti all’adozione.
1.11 Possibili forme
di collaborazione/scambio
riguardo i metodi
di lavoro
Nel prendere contatto con il lavoro di preparazione degli aspiranti all’adozione, abbiamo constatato un intervento meticoloso, tecnico e competente. Ci
sembra quindi che la nostra collaborazione potrebbe inserirsi principalmente
nel lavoro di preparazione dei bambini che verranno adottati. Siamo altresì
interessati a conoscere in maniera più approfondita il metodo di lavoro, così
delicato e creativo, che gli operatori italiani impiegano nell’elaborazione e
rielaborazione delle esperienze di vita e le opportunità di rielaborazione,
insieme alle famiglie adottive e ai loro figli.
Sussiste il desiderio di ampliare lo scambio di esperienze, ampliandolo
anche all’area della delinquenza minorile, illustrando in modo circostanziato
le posizioni di ciascuno e valutandone analogie e differenze.
1.12 Suggerimenti
che potremmo
elaborare in Brasile
Considerate le possibilità di uno scambio di esperienze, sembra importante
sottolineare che lo stage italiano ha rappresentato un’ottima opportunità di contatto tra gli assistenti sociali e gli psicologi che operano presso la CEJA/CEJAI dei
diversi Stati, visto che in Brasile abbiamo poche occasioni di incontro. Un suggerimento è dunque che si promuovano nuove opportunità per confrontarsi.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Anche in Brasile abbiamo buone esperienze da condividere, mettere in atto
e moltiplicare, in risposta alle sfide degli ultimi anni, introdotte anche dalla
nuova legislazione. La partecipazione a questo seminario ci ha permesso di
conoscere un metodo di lavoro basato sulla condivisione, la discussione e lo
scambio di buone prassi di lavoro. Principi condivisi sembrano permettere la
costruzione di ponti, come qualcuno ha detto nel corso del seminario conclusivo e, grazie ai ponti, può avvenire l’integrazione di realtà diverse.
La nostra partecipazione a questo lavoro di formazione, composto da seminari, presentazioni e discussioni sulle diverse esperienze, in favore di obiettivi comuni, ha dimostrato un metodo di lavoro che potrebbe essere replicato
anche con i nostri operatori. Il nostro Stato è complesso, diverso, ma si compone di una rete di operatori, professionali e creativi, che amano il proprio
lavoro e che meritano, quindi, le proficue esperienze che abbiamo avuto l’opportunità di vivere.
2. La delegazione
di Bahia2
Dando seguito allo scambio di esperienze in materia di adozioni internazionali tra il Brasile e l’Italia, nel periodo compreso tra il 25 e il 29 gennaio
2010, ci siamo recati in Italia, più precisamente a Firenze e Roma.
L’incontro, organizzato dagli operatori dei due Paesi che lavorano con i
minori di età in particolari situazioni di abbandono e a rischio, ha rappresentato una valida opportunità per uno scambio di esperienze e informazioni, che
certamente verranno impiegate nelle pratiche professionali degli operatori e
dei magistrati di Bahia.
Lo scambio ha permesso un contatto diretto con operatori e autorità italiane, che hanno parlato del proprio lavoro e delle metodologie adottate.
Fin dai primi momenti abbiamo potuto percepire una grande mobilitazione
di tutte le parti interessate perché questo evento potesse vedere la luce, con
un’intensa programmazione che fosse in grado di offrire il maggior numero di
informazioni possibile, senza tuttavia trascurare qualità e approfondimento
dei temi trattati.
Il primo giorno dell’incontro, presso la sede dell’Istituto degli Innocenti a
Firenze, siamo stati salutati da Giorgio Macario e da Daniela Bacchetta della
Commissione per le adozioni internazionali, che ci hanno manifestato la loro
soddisfazione nel vedere realizzato lo scambio di idee e informazioni. Ci
2 La relazione è a cura di Daniela Guimarães Andrade Gonzaga, giudice e presidente della CEJA di
Bahia, coordinatore della delegazione del Tribunale di giustizia di Bahia (Salvador-BA, 5 luglio 2010).
Relazione sulla seconda fase dello scambio di esperienze fra Brasile e Italia, in materia di adozioni
internazionali (Firenze - Bologna - Roma, 25-30 gennaio 2010).
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
hanno parlato in modo dettagliato della tutela dei minori, con particolare riferimento al principio della sussidiarietà.
La direttrice dell’Istituto, Anna Maria Bertazzoni, ha spiegato rapidamente
che l’Istituto accoglie i bambini su segnalazione del tribunale per i minorenni,
adoperandosi, quando possibile, per mantenere i rapporti tra i bambini e le
rispettive madri.
In rappresentanza del Brasile, Patricia Lamego, coordinatrice dell’ACAF, ha
ripercorso i momenti della fase dello scambio avvenuta in Brasile, sottolineando l’ottimo rapporto tra Autorità centrale brasiliana, Commissione per le
adozioni internazionali e organismi accreditati. Ha inoltre ricordato quanto sia
importante essere informati circa la buona preparazione delle coppie e la
conoscenza degli istituti di accoglienza.
2.1 Daniela Bacchetta La Commissione
per le adozioni
internazionali
e le collaborazioni
a livello internazionale
La relatrice ha chiarito alcuni punti ancora oscuri in merito al riconoscimento della sentenza brasiliana di adozione in Italia.
Dodici anni fa l’Italia ratificava la Convenzione de L’Aja, disciplinava l’operato delle associazioni di adozione internazionale e strutturava i servizi sociali per rispondere alle necessità di preparazione delle famiglie adottanti e dell’accompagnamento postadozione. È incomprensibile che nel Paese non sia
ancora stata modificata la legge ordinaria nazionale, per trattare in modo
distinto le sentenze di adozione provenienti da Paesi ratificanti. È altresì
incomprensibile che l’Italia conceda ai Paesi ratificanti lo stesso trattamento
offerto a quei Paesi che ancora non hanno ratificato la Convenzione.
Inaccettabile, essendo logica della Convenzione favorire i Paesi ratificanti, in
quanto hanno accettato di rispettarne le disposizioni.
Va ricordato che i Paesi ratificanti, che si impegnano reciprocamente al
rispetto delle disposizioni della Convenzione e a operare secondo gli stessi
standard di adempimento, vengono equiparati ai Paesi non ratificanti sul
piano delle decisioni giudiziali in essi pronunciate.
Per questo, nonostante la maggior celerità con cui vengono rilasciati i certificati di cittadinanza dei minori brasiliani adottati in Italia, sussiste la preoccupazione riguardo la necessità di convalida della sentenza emessa dai magistrati brasiliani e ancor di più rispetto alla possibilità, benché remota, che non
venga omologata alcuna adozione autorizzata in Brasile, lasciando l’adottato
in una situazione a rischio su territorio straniero.
Riguardo la valutazione preadottiva, che descrive e analizza i candidati
all’adozione, si reputa necessario rafforzare e valorizzare ulteriormente il
ruolo delle équipe multidisciplinari, in quanto è a queste che spetta la decisione circa l’idoneità o meno della coppia. Insomma, come Bacchetta ha ricor281
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
dato, non sta alla coppia dire che è pronta, ma sarà l’équipe tecnica che ha
svolto l’indagine a dichiarare se la coppia è idonea o meno, pronta o meno,
per adottare un bambino o un adolescente3.
Per quanto riguarda gli organismi accreditati si è sottolineato che essi rappresentano l’Italia all’estero e che si tratta di soggetti cui l’autorità italiana affida lo svolgimento delle adozioni: per questo esiste un rapporto così prossimo
tra la Commissione e gli enti autorizzati. La relatrice ha inoltre sottolineato che
tuttavia, in caso di mancato consenso rispetto a un parere, prevarrà quello
della Commissione e gli organismi dovranno sottostare alla sua decisione. La
decisione di non inviare più domande di adozione in Cambogia, ad esempio, è
stata consensuale, ma laddove il consenso fosse venuto meno, sarebbe stata
imposta la decisione della Commissione.
Si suggerisce un controllo più rigoroso da parte della Commissione rispetto alla richiesta immediata, da parte degli organismi accreditati, della trascrizione della sentenza brasiliana nel momento in cui i minori entrano in Italia.
2.2 Maria Tersa Vinci Il ruolo degli enti
autorizzati
Lo scrupoloso accompagnamento durante il periodo di convivenza alle coppie italiane che vengono a Bahia per adottare, riflette l’importanza del lavoro
svolto dagli enti accreditati, con la possibilità di identificare in tempo, affinché
possano essere corretti, eventuali errori o mancanze.
Di fatto, lo stesso tipo di collaborazione che gli enti autorizzati hanno con
la Commissione è a Bahia quella che la CEJA intrattiene con gli enti autorizzati qui operanti, anche perché questi svolgono progetti rilevanti dal punto di
vista della sussidiarietà, dando chiara dimostrazione di non essere orientati
unicamente alle adozioni internazionali.
Gli enti svolgono progetti di collaborazione nei Paesi di origine dei bambini, valorizzando la realtà locale, mirando a prevenire l’abbandono e a favorire
il reinserimento nella famiglia d’origine. Maria Teresa Vinci ha sottolineato che
l’ente accreditato deve dimostrare di non avere scopo di lucro e al tempo stesso di avvalersi di metodologie innovative rispetto al trattamento offerto al
bambino.
Con l’aumento delle politiche pubbliche volte a prevenire l’abbandono, a
favorire il rientro in famiglia di bambini e adolescenti istituzionalizzati, a
garantire loro il diritto alla convivenza familiare, è possibile che nel medio termine il numero di adozioni internazionali si riduca, in particolar modo in virtù
del rispetto del principio della sussidiarietà.
3
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Ferma restando, nel sistema italiano, la funzione del tribunale per i minorenni [NdC].
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Al tempo stesso, la Commissione sembra agire in modo efficace, assumendosi la responsabilità dell’elaborazione e della diffusione di buone prassi,
impegnandosi per creare maggiori opportunità, incentivare la trasparenza e
snellire le procedure.
La Commissione cerca inoltre, elemento ancor più importante, di operare al
fine di garantire il diritto di ogni bambino alla convivenza familiare, per prevenire l’abbandono e promuovere il rientro dei minori nelle famiglie di origine.
2.3 Maurizio Millo La condizione
giuridica dell’infanzia
e dell’adolescenza
in Italia
È interessante, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna regione italiana, il
fatto che le leggi regionali abbiano lo stesso valore di quelle nazionali. Può
tuttavia destare qualche preoccupazione la possibilità che uno stesso problema legato a un’adozione internazionale venga trattato in modo diverso a
seconda della regione di competenza.
La Costituzione italiana, elaborata da un’Assemblea costituente eletta
poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale, già garantiva l’uguaglianza
tra figli naturali e adottivi. Ma è con la legge 184/1983, successivamente modificata nel 2001, che viene riconosciuta al bambino l’importanza prioritaria
della convivenza familiare. In Brasile, i dispositivi che fissano provvedimenti
pratici di riduzione del periodo di affidamento, nell’ottica di un reinserimento
del minore in seno alla famiglia, sono stati introdotti solo nel 2009.
Riteniamo positivo il termine massimo di due anni per la permanenza del
bambino in una famiglia affidataria in Italia, in quanto spinge il giudice a decidere riguardo l’adottabilità del minore nel più breve tempo possibile, dando
effettiva priorità alla convivenza familiare. Si percepisce, inoltre, il valore attribuito alla famiglia allargata: di fatto un bambino che abbia parenti fino al
quarto grado non sarà dichiarato adottabile.
Appare evidente che quasi non vi siano bambini adottabili in Italia, come
risultato di una serie di politiche basate su leggi che valorizzano la convivenza familiare e scoraggiano l’allontanamento dei bambini dal nucleo familiare.
Durante l’intervento è stato detto che il bambino adottato avrà diritto alla
cittadinanza italiana, pur senza sentenza omologata in Italia, anche laddove
l’adozione fallisca. Questo contraddice alcune informazioni ricevute in
Brasile che facevano temere la presenza di giovani brasiliani che vivono in
Italia, rifiutati dalle rispettive famiglie adottive, ancora privi di cittadinanza
italiana dopo un’esperienza di adozione fallita non omologata dalla giustizia
italiana.
Nel corso dello stesso intervento, ancora, il giudice affermava che sicuramente le sentenze di adozione emesse in Brasile nel rispetto della Conven zione de L’Aja saranno riconosciute in Italia. Quello che lascia piuttosto per283
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
plessi è la possibilità, seppur remota, del non riconoscimento di una sentenza
di adozione che, secondo la legge brasiliana, è irrevocabile.
La trascrizione della sentenza di adozione emessa nel Paese straniero ha
efficacia retroattiva alla pronuncia della stessa; l’atto di trascrizione viene
fatto su richiesta dei genitori adottivi, il che viene considerato un problema
per la giustizia brasiliana, in quanto affida ai genitori adottivi una fase del procedimento che dovrebbe essere a carico della giustizia italiana, vista l’importanza che per il minore rappresenta.
Le adozioni internazionali italiane avvengono necessariamente per il tramite delle associazioni, le cui responsabilità sono rilevanti, e il cui ruolo è infatti altamente riconosciuto.
La delegazione bahaiana è stata colpita anche dall’importanza delle équipe interdisciplinari, il cui lavoro è valorizzato dalla giustizia italiana, considerato che a queste spetta la formazione e la preparazione delle coppie aspiranti all’adozione. In Italia, il procedimento di adozione, di grande responsabilità,
non si concentra nelle mani del potere giudiziario, come in Brasile. Secondo
quanto ci è stato detto, le équipe di cui sopra operano fondamentalmente per
il successo dell’azione, e per questo il lavoro da esse svolto gode di grande
riconoscimento.
È tuttavia emerso con chiarezza che in Italia i procedimenti, se seguiti meticolosamente, finiscono col riporre nelle mani del potere giudiziario la responsabilità dell’affidamento presso una famiglia affidataria nazionale, sotto
forma di adozione, in quanto la legge vieta qualunque contatto tra la madre
biologica che intenda dare il proprio figlio in adozione e le persone interessate all’adozione.
Spetta al giudice decidere chi adotterà ciascun bambino, non essendovi
spazio per la rinuncia volontaria guidata, meccanismo di raggiro che si cerca
ancora di contrastare in Brasile con l’uso dei registri nazionali di recente costituzione e con l’applicazione della nuova legge (modifiche introdotte con la
legge 12.010/2009).
In Italia la madre che non desideri riconoscere il figlio dovrà dichiararlo al
momento del parto, rinunciando alla patria potestà innanzi a un tribunale per
i minorenni, che dichiarerà il bambino adottabile, scegliendo una coppia che
lo possa adottare. Contrariamente a quanto viviamo in Brasile, in Italia non è
prevista la revoca della rinuncia al figlio da parte dei genitori biologici, perché
la legge italiana sancisce che la rinuncia è un evento valutato e verificato dal
tribunale, e non semplicemente accettato dalla giustizia. Pertanto, una volta
sedimentata a livello giudiziale la rinuncia, il bambino sarà dichiarato disponibile per essere affidato a una famiglia.
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L’adozione non legittimante, che mantiene il legame di parentela tra bambino e famiglia biologica, è ancora usata in Italia. È revocabile in casi estremi,
come nel caso di tentato omicidio tra padre e figlio adottivo; conferisce all’adottante gli stessi doveri e al figlio gli stessi diritti, quale il diritto all’eredità;
non crea vincolo di parentela tra il figlio adottivo e i parenti dei genitori adottivi; si ricorre a questa in particolare per gli adolescenti.
È stato inoltre spiegato che uno dei motivi della così stretta collaborazione
e della grande fiducia tra i tribunali per i minorenni e le associazioni accreditate sta nel fatto che i servizi sociali non dispongono di risorse sufficienti per
procedere all’accompagnamento necessario dei bambini. Nasce quindi questa
proficua collaborazione, benché i servizi sociali siano pubblici e le associazioni private, eccezion fatta per l’ARAI della Regione Piemonte.
La partecipazione delle associazioni era stata all’inizio interpretata come
una sorta di ingerenza nella vita privata, nella sfera del desiderio delle persone, un condizionamento della libertà individuale, da cui ne derivava un certo
rifiuto. È chiaro che la Commissione per le adozioni internazionali coordina
tutti gli enti, esercitando su di essi un efficace controllo.
Un altro aspetto positivo che ci è stato illustrato nel corso del seminario
è la composizione mista dei tribunali per i minorenni, che ricorda la composizione delle CEJA. Nonostante il numero pari di elementi (quattro membri,
due dei quali giudici onorari, non togati, con mandato triennale rinnovabile
fino a tre volte), le decisioni vengono assunte in modo consensuale. Molti di
questi giudici non togati sono psicologi, psichiatri, specialisti del settore, il
che contribuisce a un maggior arricchimento delle discussioni e della conseguente decisione del tribunale. Le decisioni non sono mai monocratiche,
ma solo collegiali. Dopo approfondite discussioni, quindi, si arriva a una
decisione.
2.4 Vincenzo Starita Il ruolo dei servizi sociali
territoriali e del tribunale
per i minorenni nelle
procedure di adozione
Negli anni ’70 sono stati istituiti i servizi sociali di competenza del Comune,
a seguito del decentramento delle funzioni. Dopo le riforme degli anni ’90, e
dopo la riforma costituzionale del 2001, le funzioni delle Regioni sono diventate molto più ampie. Il vantaggio della divisione sta nella possibilità di decidere, a livello regionale, in merito alla destinazione delle risorse per i diversi
settori, ivi compreso quello dell’infanzia e dell’adolescenza.
I servizi sociali sono presenti nelle varie regioni e si fanno carico di seguire
le diverse istanze relative all’adozione nazionale, quali: verifica dello stato di
abbandono, elaborazione delle indagini, supervisione dell’affidamento preadottivo (un anno). Tali servizi si occupano inoltre della preparazione/formazione delle coppie per l’adozione internazionale.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
I servizi differiscono molto da regione a regione, con un Nord del Paese che
gode di un maggior grado di sviluppo rispetto alle regioni meridionali. In un
certo senso potremmo dire che in Brasile la situazione non è dissimile, con
enormi sperequazioni a livello regionale che si riflettono sulla qualità dei servizi pubblici al cittadino.
I tribunali dei minori prendono atto e tengono in considerazione il contenuto delle valutazioni dei servizi sociali. L’Italia non ha una legge che equivalga allo Estatuto da criança e do adolescente, che centralizza i temi relativi
all’infanzia e all’adolescenza, ma vi sono provvedimenti isolati.
Ci è stato detto che dal 1990 l’Italia ha iniziato a promuovere corsi di formazione rivolti ai giudici dei minori, con carattere facoltativo; non è stata però
ancora istituita una scuola specifica per la magistratura.
2.5 Visita all’Istituto
degli Innocenti
L’Istituto degli Innocenti ha iniziato a occuparsi di formazione degli operatori italiani prima ancora di occuparsi dello studio dell’adozione internazionale.
La struttura Casa bambini accoglie bambini a rischio, in età da 0 a 6 anni. I
bambini provengono in genere da situazioni potenzialmente pericolose per il
loro sviluppo. L’aspetto più importante è che i bambini rimangono nella Casa
il tempo necessario a sviluppare il proprio progetto educativo individuale. Si
tratta di un modello che favorisce il reinserimento familiare del bambino, cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza del piccolo al di fuori del contesto familiare. Due anni sono il periodo massimo di permanenza previsto. Il progetto viene elaborato entro un mese dall’ingresso del minore nella Casa. Tutte le
visite con i familiari avvengono alla presenza degli operatori.
L’ambiente della struttura, appositamente realizzato per l’accoglienza dei
bimbi piccoli, è sicuro, colorato, pulito e tranquillo, con diversi tipi di stimoli. Cerca di riprodurre un ambiente familiare, non standardizzato, ma personalizzato.
La struttura Casa madri adotta modalità di accoglienza molto diverse da
quelle brasiliane e ci hanno positivamente colpiti. Alcune iniziative trovano
delle analogie, benché in Brasile ancora solo sul nascere, come la Casa Madre,
che accoglie le madri con i propri figli, che possono quindi appoggiarsi a una
struttura di operatori per ritrovare un’autonomia e per inserirsi nel mondo del
lavoro.
2.6 Gustavo Pietropolli
Charmet - Complessità
e specificità
dell’adolescenza
Il relatore ha trattato un fenomeno sempre più comune in Italia: il cambiamento del rapporto adolescenti-adulti (siano essi genitori, insegnanti, ecc.),
con i primi che non vedono più i secondi nel ruolo che rappresentano. I giovani non considerano più il ruolo istituzionale dell’insegnante, ma in lui vedono
semplicemente una persona con la quale rapportarsi. È una vera e propria crisi
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
dei ruoli. I giovani non hanno più fiducia nella figura dell’insegnante, come
avveniva in passato.
Il gruppo ha acquisito un ruolo di maggior importanza per l’adolescente e
viene usato per coalizzarsi contro la madre o il padre. Tale fenomeno si riscontra con maggior frequenza nei figli adottivi, nei confronti dei quali questa crisi
del ruolo dei genitori si accentua, arrivando a uno svilimento dell’immagine
del genitore; atteggiamento che sembra non solo consentito, ma addirittura
favorito da una società in cui tutto appare lecito.
I figli adottivi esasperano certi comportamenti vissuti anche dai figli naturali per prendere distanza e sminuire il ruolo dei genitori, facendo venir meno
la capacità di gestire norme e regole.
È stata sottolineata l’importanza degli psicologi nel dare un sostegno ai
genitori adottivi per affrontare i cambiamenti intervenuti nei figli adottivi, in
particolare nella delicata fase dell’adolescenza.
Tra i giovani brasiliani sembra verificarsi un fenomeno analogo, ma apparentemente l’essere figlio adottivo non modifica i problemi comportamentali.
Probabilmente si tratta di qualcosa di insito nella gioventù odierna, questo
bisogno di allontanare l’esempio dell’adulto e di cercare nuovi riferimenti,
spesso in un compagno, in un amico o nel fidanzato.
2.7 Antonio D’Andrea L’ingresso del bambino
in famiglia e le specificità
della preadolescenza
e dell’adozione di fratelli
L’abbandono lascia un segno che durerà per sempre nella vita del bambino, per questo l’adozione deve puntare a recuperare il senso di appartenenza,
e per questo c’è la necessità, per la coppia, di avere un sostegno per costruire un rapporto con il figlio che sta per arrivare.
La cosa più importante in questo processo di costruzione del rapporto è
aiutare il figlio a superare le sfide più che cercare di riparare i danni subiti nel
passato.
I genitori adottivi hanno difficoltà a offrire uno spazio perché i figli adolescenti possano iniziare a muoversi autonomamente. L’abitudine di andargli
incontro, di soccorrerli per ogni minima cosa, potrebbe contribuire alla scarsa
autostima del ragazzo.
Non va dimenticato che i figli, siano essi adottivi o naturali, danno delle
delusioni ai genitori. Anche per questo è necessario capire che i genitori non
devono sempre esigere la perfezione, ma cercare solo di rendersi genitori
possibili.
È un fatto che tende a verificarsi anche nelle famiglie composte da genitori e figli naturali, non si tratta di un fenomeno esclusivo dei nuclei familiari di
padri e figli adottivi. In realtà, i figli vogliono solo sentire che i genitori ci sono,
che sono vicini, non vogliono che risolvano i loro problemi.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Nelle adozioni di fratrie si riscontrano delle specificità. Una è identificare la
natura del rapporto tra i fratelli adottati e fare attenzione affinché il figlio più
grande non abbandoni il ruolo di figlio.
Il relatore ricorda un altro punto su cui operatori e genitori adottivi dovrebbero fare attenzione: non permettere che il gruppo di fratelli si chiuda, evitando in tal modo di approfondire il rapporto con i genitori adottivi e dando luogo
a una famiglia all’interno di un’altra famiglia.
Il tema ci ha riportati alla memoria le difficoltà vissute da una coppia di italiani arrivati a Bahia per adottare tre fratellini, proprio nel periodo delle festività
natalizie. I bambini erano molto legati tra loro e a un certo punto si ribellarono
contro i genitori adottivi. Dopo una fase di grandi tensioni in cui si era arrivati a
pensare che l’adozione non sarebbe andata a buon fine, il sostegno del rappresentante dell’ente e dell’assistente sociale della CEJA, oltre all’ottimo livello di
preparazione della coppia, si sono rivelati risolutivi per invertire la situazione.
2.8 Graziella Fava Vizziello L’intervento nelle
situazioni di difficoltà
e il lavoro con i genitori
adottivi
La relatrice ha parlato della mancanza di sincronia tra il desiderio di avere
dei figli e il momento in cui l’adozione diventa realtà. Ha citato uno studio
fatto su gruppi di giovani adottati 15 anni fa, in cui si era osservato che i ragazzi parlavano del passato in modo vago, nebuloso, poco dettagliato, con alcuni ricordi positivi degli istituti. Molti avevano difficoltà a riferire i fatti secondo
una sequenza cronologica. Delle 75 famiglie invitate, un terzo non si è presentata, esattamente lo stesso numero di adozioni con problemi gravi. Queste
famiglie venivano da regioni in cui gli operatori dei servizi sociali erano cambiati, e in cui era quindi venuto meno un riferimento stabile.
Quanto più tempo si perde prima di chiedere aiuto, tanto più si aggrava la
situazione e tanto più ci si allontana dalla soluzione.
2.9 Carmine Pascarella Politiche per la tutela
dell’infanzia e prevenzione
dell’abbandono
Il relatore ha accennato all’esistenza di famiglie affidatarie, formate e disponibili ad accogliere bambini e adolescenti per un periodo.
In Italia i servizi sociali raccolgono le informazioni dalle famiglie e predispongono interventi diversi per trovare una soluzione al problema dell’abbandono. Gli istituti di tipo tradizionale hanno chiuso i battenti il 31 dicembre del
2006, ed è stata adottata, dove possibile, la modalità della famiglia affidataria. La preparazione di queste famiglie è di estrema importanza considerato
che devono essere pronte ad accogliere tutto l’universo del bambino. Al
tempo stesso, gli operatori devono svolgere un importante lavoro sulla famiglia di origine affinché sia in grado di riaccogliere il bambino.
A Reggio Emilia sono stati 200 i bambini dati in affidamento, dato che getta
un’ombra di preoccupazione sulle famiglie.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
L’adozione oggi si è trasformata in un fatto sociale, che travalica i limiti personali. Le coppie che vogliono adottare perché non riescono ad avere figli biologici giungono all’adozione frustrate, portandosi dietro un profondo dolore.
Si considera tuttavia molto efficace il lavoro svolto dall’équipe tecnica e
dall’ente di adozione, dato che sulle coppie italiane che arrivano a Bahia per
adottare, non si coglie alcun segno di frustrazione.
La preparazione, come detto dal relatore, include l’ascolto della coppia
adottante e dei genitori (i nonni del bambino): è infatti fondamentale che la
famiglia allargata sia in grado di aiutare la coppia nel processo di accoglienza
del bambino adottato.
Alcune coppie scelgono di far prima adattare il bambino, promuovendone
l’inserimento sociale e familiare, per poi procedere all’inserimento nella scuola. Questa decisione appare la più equilibrata.
Il relatore ha difeso la necessità di valutazioni fedeli rispetto al vissuto
della coppia, in quanto di grande aiuto al momento dell’abbinamento con il
bambino. Lo studio del caso può offrire preziosi indizi per il miglior abbinamento, a cura della CEJA, tra i bambini e le coppie adottive.
2.10 Marina Farri Il postadozione
Molto interessante il lavoro svolto da Marina Farri sul percorso postadozione integrato, in cui il lavoro di sostegno tecnico viene svolto nella scuola e
nella famiglia, e anche sotto forma di gruppi di auto-aiuto, in cui possono condividersi strategie, soluzioni, esperienze positive e negative vissute da altre
famiglie, come mezzo di aiuto nel processo di consolidamento dei legami delle
nuove famiglie formate grazie all’adozione, per dare sostegno a tali famiglie
nei momenti di difficoltà, prevenendo le crisi postadottive.
Si tratta di una strategia che sembra funzionare molto bene nel postadozione, in quanto offre alle famiglie la possibilità di acquisire strumenti e tecniche
per trovare un punto di equilibrio nella convivenza, riducendo gli episodi di conflitti familiari. I servizi sociali sono passati da una dimensione di valutazione alla
formazione delle coppie. Il lavoro si compone oggi di fasi successive.
2.11 Comune di Roma
La delegazione è stata ricevuta nel Comune di Roma dall’assessore, viceassessore, assistenti sociali e psicologo.
In Italia, tutti i servizi sociali sono pubblici, ma sono spesso affiancati da
volontari.
La popolazione di Roma, negli ultimi tre anni, è arrivata ai tre milioni di abitanti. I servizi sociali in Italia non riescono oggi a far fronte alle richieste, analogamente a quanto viviamo in Brasile. Noi brasiliani immaginavamo che il
Governo italiano non si occupasse di problemi di tale natura e che il potere
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
pubblico fosse dotato di strutture sufficienti per far fronte alle richieste della
popolazione a tutti i livelli.
Negli ultimi dieci anni la popolazione straniera residente a Roma è raddoppiata e rappresenta oggi il 10,3% degli abitanti della città. Un bambino su dieci
è straniero, e c’è un bambino ogni quattro adulti. Ogni anno in Italia avvengono circa 1.400 adozioni nazionali.
Già dal 1975, il rapporto tra servizi sociali territoriali e magistratura è di
attiva collaborazione. I servizi sociali si fanno carico del progetto di sostegno,
ma i limiti dell’intervento vengono definiti dalla magistratura. Sono fondamentalmente tre i tipi di intervento a livello locale: sostegno economico, assistenza domiciliare e ludoteche.
Roma è suddivisa in 19 quartieri. Ogni quartiere riunisce una popolazione
di più o meno 100mila abitanti. I quartieri hanno una certa autonomia finanziaria e dispongono di un coordinamento interno. Ciascun quartiere dispone
di un servizio sociale specifico, per rispondere alle necessità della popolazione residente.
Attualmente i problemi minorili più gravi sono: tossicodipendenze, destrutturazione familiare, difficoltà riguardo il futuro inserimento nel mondo del
lavoro. I bassi indici di natalità sono dovuti alla riduzione del numero di matrimoni e alla prima gravidanza che in genere sopraggiunge in età avanzata. Per
questo, per ogni figlio che nasce o che viene adottato vi è un sussidio da parte
del Governo in aiuto alla famiglia. Le famiglie con quattro o più figli ricevono
anch’esse aiuti dal Governo. È previsto un bonus bebè.
Nel 2003 i servizi sociali hanno rilevato l’1,3% di adozioni internazionali e
il 3% di adozioni nazionali fallite4. Il buon livello di preparazione delle coppie
favorisce indubbiamente il successo delle adozioni.
Ogni anno si registra l’ingresso di circa 600-800 minori stranieri in Italia, la
maggioranza dei quali entrano nel Paese illegalmente. La storia dell’immigrazione in Italia è recente, e non vi sono ancora studi su quanto la popolazione
straniera influisca sulla cultura italiana, benché ve ne siano segnali percettibili.
Dal 1984 a Roma vi è un servizio sociale che opera specificamente nel settore dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel caso di fallimento di un’adozione, e
laddove non si trovi una sistemazione per il bambino nella stessa regione, è
possibile inserirlo in una regione diversa. Le famiglie affidatarie sono preparate con corsi di formazione ad hoc.
4
La ricerca citata è stata curata dalla Commissione per le adozioni internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, e ha rilevato solo quella parte di fallimenti adottivi che
hanno comportato il passaggio del’adottato in una struttura residenziale [NdC].
290
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Il sindaco di Roma viene designato tutore pubblico di tutti i minori che non
possono essere seguiti dai genitori e non hanno parenti che possano assumerne la tutela. In questo caso i servizi sociali si adoperano in favore del minore. Sarà competenza del giudice nominare un tutore, la persona cioè che si
farà carico anche di gestirne il patrimonio.
2.12 Visita al Consultorio
familiare San Benedetto.
Incontro con gli operatori
del GIL
La preparazione della coppia per l’adozione internazionale è a cura del GIL
(Gruppo integrato di lavoro) e si svolge in otto-dieci incontri che prevedono
anche una visita domiciliare. Secondo i membri dell’équipe, quando il rapporto costruito con la coppia è solido e improntato sulla fiducia la coppia tenderà sempre a ricorrere ai servizi sociali per un sostegno, anche durante il postadozione.
Nonostante la semplicità del Consultorio familiare San Benedetto, è stato
possibile riscontrare che gli operatori sono fortemente impegnati nel loro lavoro, hanno una formazione specialistica e prendono parte alla formazione con
altri gruppi di lavoro.
Il lavoro non viene svolto con un approccio rigido, tutt’altro: vengono prospettate diverse possibilità e discusse le varie questioni inerenti al tema dell’adozione.
La coppia deve prenotarsi presso il Centro del Comune per partecipare ai
corsi di preparazione tenuti da un assistente sociale e da uno psicologo, che
offre spunti e suggerimenti riguardo l’adozione. In una riunione vengono discusse le fasi dell’approvazione e vengono consegnati i formulari necessari
per la presentazione del ricorso al tribunale per i minorenni. Sono inoltre dispensate informazioni riguardo la legislazione italiana specifica in materia.
Gli operatori del GIL sono responsabili per l’acquisizione degli elementi relativi alla storia personale, familiare e sociale degli aspiranti all’adozione, per valutarne il potenziale e le motivazioni. Durante il corso la coppia compila una dichiarazione di disponibilità all’adozione nazionale o internazionale, o entrambe.
Le riunioni con la coppia, nelle grandi città, si tengono in genere presso la
sede del consultorio familiare. Nelle città più piccole, invece, sono organizzate presso la sede del servizi sociali del Comune.
Dopo le riunioni gli operatori del GIL elaborano le valutazioni che vengono
successivamente inoltrate al tribunale per i minorenni che, dopo averne
preso visione, richiede agli operatori del GIL la realizzazione di un’indagine
psicosociale.
Il percorso postadozione viene valutato dal gruppo di lavoro in modo esaustivo: ai genitori viene chiesto come si sono sentiti, come hanno vissuto nel
Paese straniero durante il periodo di convivenza.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Lo staff del GIL ha osservato che alle volte è la coppia ad avere problemi, e
non il bambino, benché la richiesta venga posta al servizio come se provenisse dal bambino. Non di rado il bambino assorbe i problemi dei genitori adottivi che riaffioreranno in un secondo momento.
Il gruppo si preoccupa di verificare se i genitori hanno un’idea, una fantasia riguardo il bambino e si cerca di mettere bene in chiaro che la coppia dovrà
mantenere una vita normale dopo l’arrivo del figlio.
2.13 Visita alla Città
dei ragazzi di Roma
La Città dei ragazzi offre assistenza, educazione e sostegno sociale ai minori di età compresa tra i 12 e i 18 anni, provenienti soprattutto dall’Asia, dall’Africa e dai Paesi dell’Est europeo. Fondata dopo il secondo conflitto mondiale da un prete irlandese, si avvale della collaborazione di medici e di personale volontario.
Il ragazzo istituzionalizzato, che in genere è sfuggito a una guerra, a una
situazione di povertà e miseria, qui impara a leggere, scrivere, a trovare un
posto di lavoro e a rendersi indipendente.
La visita ha prodotto, nella delegazione bahaiana, forse le sensazioni più
forti di tutto lo stage. Il gruppo è rimasto affascinato nel vedere i giovani vivere una vita in comunità in modo sano, seguiti e coadiuvati da coppie tecnicamente preparate, disponibili a seguire gli adolescenti in un contesto simile a
quello di una famiglia, alla presenza di una figura maschile che ne è il coordinatore. Al tempo stesso regnano tra i giovani un’organizzazione e una disciplina non indifferenti, che non vanno comunque a ledere la libertà, che hanno
imparato a usare con equilibrio, responsabilità e misura.
Il luogo, nonostante sia così vicino alla metropoli, riesce a infondere pace
e tranquillità, proprio come fosse una tenuta rurale: i ragazzi hanno così modo
di stare a contatto con la natura in diversi momenti della giornata.
È stato emozionante vedere che i ragazzi, grazie a costanti sollecitazioni,
sono spinti a sviluppare potenzialità e capacità proprie. Vengono anche stimolati a coltivare un progetto di vita, a programmare il futuro, nella consapevolezza che l’esperienza di vita in comune non rappresenta che una fase
della loro esistenza. Imparano e interagiscono tra loro e con gli istruttori,
dimostrandosi perfettamente a proprio agio nello schema in cui sono inseriti. Non ci sono sembrati a disagio o intimiditi dalla presenza della delegazione durante il pranzo. Non viene meno il contatto con il mondo esterno e con
gli eventi quotidiani, hanno infatti la possibilità di lavorare e di studiare all’esterno.
È stato, senza alcun dubbio, uno dei momenti di maggior interesse di tutto
lo scambio.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
2.14 Carmela Cavallo Presidente
del Tribunale per
i minorenni di Roma
Carmela Cavallo ci ha informati che il presidente del tribunale dei minori
viene scelto tra i giudici togati dal Consiglio superiore della magistratura e
rimane in carica per un massimo di otto anni. È stato interessante apprendere
che il mandato non è più di trent’anni, ma di soli quattro, con possibilità di rinnovo, un’unica volta, per un pari periodo.
Ci è stato spiegato che viene fatta un’attenta analisi da parte del tribunale
per quanto riguarda l’idoneità delle coppie, con il coinvolgimento dei componenti del tribunale che cercano di ampliare le valutazioni dell’équipe tecnica e,
se necessario, possono procedere a un’integrazione, sempre alla presenza del
pubblico ministero.
La Presidente è stata piuttosto rigida nelle sue osservazioni, in un rimando
alle adozioni sempre più tardive, affermando subito che il tribunale intende
limitare i decreti di idoneità per le adozioni di adolescenti e preadolescenti, in
virtù della complessità dei casi e del sovraccarico di lavoro che comportano
per i servizi sociali e per il tribunale stesso.
Tuttavia, sulla base dei risultati di un’indagine svolta tra il 16 novembre
2000 e il 31 dicembre 2009, a cura dei servizi sociali del Comune di Roma,
Adozioni dei minori brasiliani in Italia, si evince che l’aumento dell’età media
dei bambini adottati in Italia è una realtà valida per tutti i Paesi di origine, e
non solo per il Brasile, benché l’aumento della media dell’età dei bambini brasiliani adottati da italiani sia più significativo – è infatti passata dai 5,5 agli 8
anni d’età, nel periodo oggetto dell’indagine.
È perfettamente comprensibile il motivo della lamentela: si sa che le adozioni tardive comportano un sovraccarico di lavoro per i tribunali e per i servizi sociali, ma nel contesto della Convenzione de L’Aja, nel rispetto del principio della
sussidiarietà, che deve rappresentare una linea guida per la condotta da seguirsi in materia di adozione internazionale, bisogna accettare le adozioni tardive come un fenomeno naturale. Bisogna guardare a esse come riflesso dell’applicazione di tale principio, che fa dell’adozione internazionale un’eccezionalità e spin ge le autorità competenti a esaurire i mezzi di inserimento di bambini e adolescenti in ambito nazionale, prima di indirizzarli verso l’adozione internazionale.
Va tuttavia riconosciuto che molto si può ancora fare in Brasile per ridurre
i tempi di istituzionalizzazione dei bambini e degli adolescenti, facendo sì che
rientrino quanto prima nelle famiglie di origine o, in tempi ancor più brevi,
indirizzandoli verso l’adozione internazionale, secondo le disposizioni della
nuova legge in materia di adozioni.
Il Tribunale dei minori di Roma sconsiglia oggi le adozioni di tre o quattro
fratelli, elemento che va a scontrarsi con la realtà brasiliana, e di questo gli
operatori italiani sono ben consapevoli. Il Tribunale ha osservato che si verifi293
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
cano adozioni di fratelli in forma massiccia e considerato che spesso il vincolo che li unisce è molto fragile, non si giustifica la riunione del gruppo, né il
mantenimento di tale vincolo.
L’adozione di fratrie impone alcune peculiarità di non facile risoluzione, ma
riteniamo fondamentale, ogni qualvolta sia possibile, che si mantenga il vincolo di convivenza. Viene giustificato l’allontanamento dal gruppo solo nel
caso di bambini che non risiedono da tempo presso lo stesso istituto o nei casi
in cui, secondo la valutazione dell’équipe tecnica del Paese di origine, non vi
sia un effettivo legame tra i bambini. Negli altri casi, la regola del mantenimento del gruppo dovrà essere rispettato, come sancito dai principali testi
legali in materia, ivi compreso l’ECA brasiliano.
2.15 Conclusioni
Tra i vari aspetti positivi, il seminario ha reso possibile uno scambio di idee,
di materiale tecnico e di esperienze vissute. Tutti gli interventi sono stati illuminanti e ci hanno riportato alle situazioni tipiche dei processi di adozione.
Un momento veramente speciale dello stage è stata la visita al Museo e all’Archivio storico dell’Istituto degli Innocenti, che ha portato la delegazione brasiliana a un passato remoto della storia dell’Italia, allora povera, con problemi
sociali simili a quelli esistenti ancor oggi in Brasile. I documenti conservati
nell’Archivio storico dell’Istituto e le opere d’arte esposte al piano superiore dell’edificio ritraggono il percorso dei fondatori, svelandoci informazioni sui primi
fanciulli accolti. Il valore della visita rimarrà per noi del tutto inestimabile.
Il lavoro svolto dalle équipe interdisciplinari di Roma – va sottolineato l’eccellente lavoro del GIL – verrà divulgato a Bahia, affinché lo staff tecnico del
Tribunale di giustizia possa, una volta opportunamente adattato alla realtà
brasiliana, incrementare con le conoscenze acquisite il lavoro di preparazione
degli idonei all’adozione nazionale.
Sarebbe opportuno che i referenti dell’associazione che seguono la coppia
informino, in un’apposita valutazione, circa la reazione degli aspiranti nel
momento in cui prendono conoscenza dell’esistenza del bambino, momento
estremamente importante per tutti gli altri settori operativi (tribunale per i
minorenni e staff ). In tal modo disporrebbero di maggiori strumenti per identificare, attraverso la reazione, l’effettivo grado di preparazione della coppia.
Si potrebbe giungere a una migliore analisi del grado di preparazione della
coppia anche nell’eventualità in cui si volesse escludere quell’abbinamento o
avvicinare la coppia a un nuovo contatto.
Anche nel Paese di origine le équipe potranno preparare meglio il bambino
sulla base della prima reazione della coppia, che verrà rivalutata dall’équipe
tecnica al momento dell’incontro personale.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
È stato interessantissimo sapere come avviene l’assistenza postadozione e
la preparazione delle coppie.
La possibilità, benché remota, del non riconoscimento della sentenza di
adozione, che per la legge brasiliana è irrevocabile, fa sorgere qualche perplessità nei giuristi bahaiani che registrano qui l’urgenza di una posizione da
parte del Governo italiano in merito a una modifica della legislazione che
disciplina il riconoscimento della sentenza di adozione proveniente da Paesi
ratificanti la Convenzione de L’Aja. È auspicabile che, fintanto che non vi sia
una modifica alla legge, il Tribunale dei minori italiano riduca i termini previsti
per la trascrizione della sentenza di adozione brasiliana.
Il significativo cambiamento del profilo del bambino desiderato, da parte delle persone dichiarate idonee all’adozione nazionale, ha dato origine in Brasile ad
adozioni tardive per gli stranieri nel rispetto del principio della sussidiarietà.
Il Tribunale di giustizia di Bahia auspica che le coppie italiane, così ben preparate dalle équipe interdisciplinari, continuino ad adottare i nostri bambini più
grandicelli, che crescono in un’angosciosa attesa di una famiglia che li accolga.
Le modalità di accoglienza utilizzate in Italia hanno offerto spunti ai giudici bahaiani che ricercheranno nuove possibili strade da percorrere a Bahia.
Qui rimane il nostro grazie, da parte della delegazione di Bahia, alla Commissione per le adozioni internazionali che ha reso possibile questo scambio
tra il Brasile e il suo maggior partner nelle adozioni internazionali: l’Italia.
Vanno sottolineati l’affetto e la disponibilità dimostrati dall’Istituto degli
Innocenti, nella persona di Giorgio Macario, che non ha lesinato sforzi per il
buon esito dell’evento.
3. La delegazione
del Minas Gerais5
3.1 Il taccuino
di viaggio: lo spazio
emotivo
Ad attenderci in aeroporto al nostro arrivo a Firenze abbiamo trovato una
guida che, molto premurosamente, ci ha accompagnati per tutta la durata del
nostro soggiorno nel capoluogo toscano.
Una volta sistemati in un accogliente albergo, siamo stati gentilmente
invitati a visitare il centro storico di Firenze. Si mescolavano in quei momenti una sensazione di stanchezza (dovuta alle molte ore di volo e alla differenza di fuso orario) e il forte desiderio di conoscere, che ci spingeva a continuare a esplorare le strade di questa meravigliosa città, in estasi davanti agli
antichi palazzi e alla ricchezza dei musei. Ci siamo sentiti riportati ai libri di
Storia, agli anni di studio, alle lezioni di Storia dell’arte. Un sacro rispetto di
5
La relazione è a cura dei responsabili della CEJA del Minas Gerais.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
fronte alle opere immortali di grandi artisti e profonda ammirazione nei confronti di un Paese che ha saputo valorizzare e conservare il proprio patrimonio storico-artistico.
Dopo la bellissima passeggiata, una sontuosa cena di benvenuto e di
socializzazione tra le delegazioni degli Stati brasiliani, alla presenza di alcuni componenti della delegazione italiana che si era recata in Brasile nel settembre del 2009. Felicità mista a euforia hanno caratterizzato la serata, e
allegria ed entusiasmo verso il lavoro che prendeva il via hanno pervaso il
cuore di tutti.
3.1.1 Lunedì
25 gennaio 2010
All’Istituto degli Innocenti ci ha colpito innanzitutto l’imponenza della costruzione rinascimentale. Ci siamo sentiti investiti da una sensazione di freddo ed emozione. Nel susseguirsi delle conferenze, e alla fine del pomeriggio,
ci è stato spiegato che quel luogo era un registro vivente di più di 500 anni di
storia della tutela dell’infanzia abbandonata. Una struttura che, ancora oggi,
è interamente dedicata alla promozione e difesa dei diritti del minore.
Nel corso delle conferenze sono state affrontate diverse tematiche, quali
l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni italiane, della Commissione per le adozioni internazionali, del tribunale dei minori, la legislazione, le
procedure, i progressi e le lacune rispetto all’adozione, le differenze a livello
regionale. Ci siamo resi conto della portata dell’iniziativa di scambio di esperienze, che ci avrebbe arricchito a livello personale e professionale.
La visita alla Casa bambini ci ha permesso di capire come siano simili certi
problemi in Brasile e in Italia. La differenza sta nella dimensione degli stessi,
oltre alla maggiore attenzione rivolta alle famiglie con problemi, che si traduce in una considerevole riduzione dei casi istituzionalizzazione. Osservando le
foto dei bambini passati dall’istituto in epoca recente, abbiamo notato che la
maggior parte di loro sono figli di immigrati, probabilmente partiti dai propri
Paesi per sfuggire a condizioni di vita avverse e sbarcati in Europa per rincorrere il miraggio di un lavoro e del denaro. Abbiamo riflettuto quindi sulle condizioni di miseria e disuguaglianza sociale che, anche in Brasile, comporta
l’abbandono delle campagne in favore delle metropoli con l’illusione di una
vita migliore.
La sera, nel corso della cena in un ristorante tipico, e durante la visita al
Piazzale Michelangelo, abbiamo avuto l’opportunità di socializzare con i colleghi brasiliani degli altri Stati e con quelli italiani, oltre a godere di un panorama mozzafiato sulle sponde dell’Arno. Nonostante il freddo intenso, ci
siamo sentiti riscaldati dal calore dei colleghi, e appagati dalla giornata densa
di novità e per il proficuo scambio di conoscenze.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
3.1.2 Martedì
26 gennaio 2010
La giornata del martedì è stata dedicata alla discussione degli aspetti psicologici e sociali in gioco nell’adozione, con particolare enfasi all’adozione
internazionale.
Grazie alle informazioni particolareggiate, quali la preparazione della coppia adottante, abbiamo percepito la serietà e la meticolosità del lavoro svolto
dai professionisti dei servizi territoriali, nella misura in cui permettono agli
aspiranti all’adozione di comprendere che la funzione dell’adozione, oltre a
rispondere all’interesse di quelle coppie che non possono avere figli, cerca di
rispondere al bisogno dei bambini di genitori capaci di rispettarli e accoglierli
con il loro vissuto e tutte le difficoltà derivanti dall’esperienza di abbandono.
Le informazioni riguardo le procedure e la sensibilità dimostrata dai professionisti ci hanno rassicurato riguardo l’accoglienza che i nostri minori ricevono in Italia, e su come vengono seguiti.
Di fronte alla questione della preparazione del bambino idoneo all’adozione internazionale, siamo stati chiamati a riflettere su come agire nel nostro
Stato, dove in realtà ci scontriamo con non poche difficoltà, quali lo scarso
numero di operatori, spesso senza la formazione necessaria per svolgere al
meglio il lavoro presso gli istituti di accoglienza, a contatto con i bambini e/o
gli adolescenti. Abbiamo riflettuto e preso atto della sfida che ci si prospetta.
Abbiamo valutato con preoccupazione le questioni relative all’adolescenza, discusse durante gli interventi. Abbiamo percepito che i problemi dell’adolescenza sono molto simili, se non del tutto uguali, in una società globalizzata. E dunque, in entrambi i Paesi, si vivono problemi inerenti alla scuola, alla dipendenza da sostanze chimiche, e all’organizzazione familiare. Abbiamo trovato particolarmente interessanti le esperienze degli adolescenti
adottati.
I programmi di sostegno alle famiglie rappresentano una serie di possibilità per le famiglie con problemi, e abbiamo riconosciuto l’importanza delle
politiche preventive messe in atto dagli enti locali, che abbracciano diversi
aspetti, dalle abitazioni all’integrazione delle famiglie.
Abbiamo ancora riconosciuto il cambiamento di atteggiamento, che ha portato alla chiusura per legge degli istituti italiani. Una situazione analoga inizia
a verificarsi anche in Brasile, a seguito del recepimento dell’ECA, Estatuto da
Criança e do Adolescente. Proposte come quelle delle famiglie affidatarie, già
sperimentate con successo in Italia, continuano a essere per noi un obiettivo
che non può più continuare a rimanere solo sulla carta.
Alla fine del pomeriggio, il viaggio della delegazione di Minas Gerais alla
volta di Bologna per approfondire alcune tematiche inerenti alla Regione
Emilia-Romagna, con due esperienze inattese di puro divertimento: il treno
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
ad alta velocità e le neve, che molti di noi vedevano per la prima volta. Ad
accoglierci calorosamente, Maurizio Millo, presidente del Tribunale per i
minorenni.
3.1.3 Mercoledì
27 gennaio 2010
La conoscenza diretta dell’Assessorato alla promozione delle politiche
sociali ed educative per infanzia e adolescenza insieme a quella degli operatori provenienti da diverse province impegnati nella preparazione dei genitori
e nel postadozione, ci ha permesso di chiarire dei dubbi e di comprendere più
a fondo la pratica. Ci ha fatto piacere vedere riconosciuti gli sforzi del Brasile
per operare nel fedele rispetto delle disposizioni della Convenzione de L’Aja.
Molto apprezzato è stato l’impegno degli operatori che hanno presentato i
lavori e che hanno condiviso le proprie esperienze e conoscenze, senza mai perdere di vista le differenze tra le nostre realtà, e nel pieno rispetto delle stesse.
Comprendendo meglio i risvolti del processo adottivo all’estero, abbiamo
constatato la necessità di redigere valutazioni dei minori più dettagliate e
approfondite, finalizzate a una miglior conoscenza e preparazione della coppia rispetto a quel determinato bambino che andranno ad adottare. Abbiamo
altresì percepito quanto sia importante sensibilizzare gli operatori brasiliani
riguardo la demistificazione dell’adozione internazionale. Anche in questo
aspetto, abbiamo sentito di dover agire in prima persona come moltiplicatore
delle informazioni e delle esperienze in Brasile.
Durante la visita al Centro per le famiglie del Comune di Bologna, abbiamo
preso parte con entusiasmo a una attività esercitativa a titolo esemplificativo,
assumendo la posizione di coppie aspiranti all’adozione e manifestando,
sotto forma di gioco di ruolo, desideri e fantasie rispetto al figlio adottivo. In
un clima rilassato abbiamo visto da vicino gli operatori al lavoro e compreso il
funzionamento del nucleo.
A pranzo, in un ristorante per noi del tutto singolare, L’osteria dei poeti,
abbiamo sentito consolidarsi il rapporto tra i componenti del gruppo, cui si
erano aggiunte le operatrici italiane. Ci siamo sentiti in grande sintonia e,
saranno state le origini latine comuni, sarà stata la cucina innaffiata da un
buon vino, l’emozione di tutti era palpabile. A nome della delegazione del
Minas Gerais, in modo del tutto informale, il procuratore Wagner Wilson
Ferreira ha pronunciato delle parole che hanno saputo interpretare l’allegria,
la soddisfazione e la gratitudine di tutti per la calorosissima accoglienza da
parte degli italiani, e per il proficuo scambio di esperienze.
A piedi per le strade bolognesi abbiamo ammirato il paesaggio, così diverso
dai nostri: vicoletti, costruzioni di oltre 600 anni, tutti conservati e ricoperti di
neve. Ricordi di scene di film ci hanno regalato la sensazione di conoscerne i luo298
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
ghi. Nel corso del pomeriggio la visita al centro storico, con le sue chiese, i suoi
palazzi e le sue torri, che ci hanno incantato con la loro maestosità e bellezza.
In occasione della visita al Tribunale dei minori di Bologna, siamo stati
accolti con affetto dal presidente Maurizio Millo, dai suoi colleghi e collaboratori, e lì abbiamo potuto vedere le aule delle udienze, e chiarirci in merito al
funzionamento del potere giudiziario italiano. Siamo rimasti favorevolmente
colpiti dall’importanza rivolta ai tecnici, che hanno voto equivalente a quello
dei giudici togati nel collegio, e dalla filosofia secondo cui devono agire di
comune accordo sempre nell’interesse del minore.
Dopo l’eccellente presentazione, ricchissima di informazioni di elevato
livello, siamo stati invitati a un’altra magnifica cena, insieme ai nostri premurosi ospiti, Maurizio Millo e Vanessa Carocci. Il clima disteso, allegro e informale, ha reso ancor più stimolante il nostro stage bolognese.
3.1.4 Giovedì
28 gennaio 2010
Durante la visita alla struttura educativa per bambini, abbiamo conosciuto
più da vicino questo tipo di comunità di accoglienza. La struttura, in un appartamento adeguato all’uso e tra l’altro molto accogliente, non ha nulla dell’ambiente istituzionale come viene generalmente immaginato. Ancora una volta
abbiamo potuto toccare con mano la grande disponibilità e attenzione delle persone che ci hanno ricevuto e che si sono prodigate per cercare di fornirci il massimo delle informazioni e, al tempo stesso, per farci sentire a nostro agio.
La visita alla struttura di accoglienza Comunità madre-bambino ci ha offerto nuovi chiarimenti riguardo le trasformazioni intervenute in questa rete
sociale di istituzioni. Dai bambini, estremamente numerosi, l’attenzione si è
spostata verso gli adolescenti, le mamme e gli anziani. Il progetto di accoglienza di mamme e figli ci rivela un cambiamento dei destinatari dei servizi.
Il pranzo, all’interno della struttura stessa, ci ha avvicinato ancor di più alla
vita di ogni giorno e alla realtà delle persone che vivono in Italia.
Pronti per ripartire, recandoci alla stazione ferroviaria per imbarcarci con
destinazione Roma, ci siamo resi conto di non essere preparati per questo tipo
di viaggio. I nostri bagagli, enormi e pesantissimi, ci hanno reso difficoltoso
l’uso delle scale della stazione. Tra l’altro le valigie non erano nemmeno delle
dimensioni previste per un viaggio in treno. In momenti come questi (e non
solo a Bologna, ma anche durante tutti gli altri spostamenti), abbiamo toccato con mano le differenze culturali tra europei e brasiliani, che affioravano
anche nella mancanza di mano d’opera a basso costo, con la conseguente
mancanza di servizi di portabagagli, cui noi siamo così abituati nel nostro
Paese. Ci siamo organizzati in squadra e, grazie alla solidarietà creatasi, e con
un pizzico di ironia siamo riusciti a superare anche queste barriere, contando
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
ancora una volta sulla disponibilità della nostra cara tutor, Vanessa Carocci,
che ci ha aiutato a scaricare uno a uno i bagagli dal treno.
La sensibilità e la deferenza con cui siamo stati accolti alla cena di gala offertaci dal sottosegretario di Stato Carlo Giovanardi sono indimenticabili, come lo è
la bellezza della sede scelta per l’evento: Villa Madama. L’incontro con gli altri
componenti della delegazione italiana che non avevamo ancora visto dopo la loro
permanenza a Belo Horizonte è stato emozionante, allegro e anche carico di
nostalgia. La disposizione degli invitati ci ha colpito molto. In realtà nulla era
lasciato al caso e la composizione dei tavoli, con componenti delle delegazioni,
relatori, rappresentati degli enti autorizzati operanti in Brasile e autorità, ha permesso un’interazione e uno scambio di informazioni tra i gruppi, oltre a gradevoli dialoghi e all’opportunità di conoscere altre persone coinvolte nel settore dell’adozione internazionale. Il servizio durante la cena e i piatti tipici non possono
essere definiti altrimenti se non impeccabili. A conclusione della serata ancora un
atto di gentilezza da parte degli italiani che ci hanno fatto dono di ricordi italiani.
3.1.5 Venerdì
29 gennaio 2010
Il seminario conclusivo è stato presieduto dal sottosegretario Carlo
Giovanardi, che ha portato un saluto di benvenuto in apertura dei lavori, successivamente è intervenuta Patrícia Lamego coordinatrice dell’Autorità centrale brasiliana (ACAF).
I lavori sono stati avviati, dal punto di vista tecnico, dall’intervento di
Giorgio Macario, responsabile scientifico e formativo per la formazione nazionale e internazionale che è intervenuto sul tema Il senso di un percorso formativo e autoformativo di scambio di esperienze.
All’introduzione dei lavori ha fatto seguito la relazione di Giuseppe Milan,
professore ordinario di Pedagogia interculturale e pedagogia sociale, direttore del Dipartimento di scienze dell’educazione presso l’Università di Padova
che ha tenuto la sua lectio magistralis su La soggettività nelle dinamiche interculturali: il mondo delle adozioni. Successivamente è stata presentata la versione ancora provvisoria (ma quasi definitiva) del video sullo stage della delegazione italiana in Brasile, con la regia di Adamo Antonacci.
La presentazione del video dello stage della delegazione italiana in Brasile
è stato un momento toccante per tutti. Nel corso della proiezione, infatti,
diversi partecipanti erano visibilmente commossi.
Una delle canzoni scelte come colonna sonora ritrae perfettamente la realtà dei nostri bambini abbandonati: Viver e não ter a vergonha de ser feliz […]
Eu fico com a pureza da resposta das crianças, é a vida, é bonita e é bonita [...]
(Vivere e non vergognarsi a essere felici… Trattengo la purezza della risposta dei bambini, è la vita, è bella ed è bella…).
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Si sono quindi succedute due tavole rotonde, coordinate rispettivamente
da Daniela Bacchetta e da Giorgio Macario su: Il contesto giuridico nelle adozioni internazionali. Il sistema giuridico brasiliano visto dall’Italia e il sistema
giuridico italiano visto dal Brasile e su: Il contesto psicologico e sociale nelle
adozioni internazionali. Il sistema dei servizi per l’infanzia e l’adozione italiano visto dal Brasile e il sistema dei servizi per l’infanzia e l’adozione brasiliano visto dall’Italia, cui sono seguite le conclusioni della stessa vicepresidente
della Commissione per le adozioni internazionali.
3.1.6 Sabato
30 gennaio 2010
Nel corso di questa giornata, programmata come libera, alcuni membri
della delegazione di Minas Gerais hanno scelto di visitare alcuni musei, mentre altri hanno preferito rimanere in albergo per un momento di riposo. Già
pronti a rientrare in Brasile, siamo stati ancora una volta invitati per un pranzo di saluto nel ristorante dell’albergo nel quale eravamo alloggiati.
Dispiacere, nostalgia ed emozione hanno accompagnato la partenza.
Sulla strada per l’aeroporto, accompagnati da Vanessa e Valentina, siamo
stati colti di sorpresa, con una graditissima sosta al Colosseo programmata a
nostra insaputa dai colleghi italiani.
Il saluto alle nostre accompagnatrici è stato all’insegna dell’affetto e della
riconoscenza, per la pazienza e l’attenzione dispensate nel corso del soggiorno in un così bel Paese, per le premure e gli sforzi, per cercare di offrirci sempre quanto di meglio, e al rammarico per il poco tempo trascorso insieme.
In generale, per quanto riguarda gli aspetti emotivi, potremmo concludere
con una serie di osservazioni sintetiche.
Il contatto con le persone e con gli operatori, con il loro modo di lavorare,
ha dato vita ai racconti che prima erano fatti solo di documenti. Ci è servito da
illustrazione, dal vivo e a colori, del lavoro di cui siamo informati sulla carta. Ci
ha permesso di sentire una maggior intimità, sicurezza, ed è come se le distanze tra tutti si fossero ridotte.
L’accoglienza, le premure e la disponibilità di tutti ci hanno trasmesso un
sentimento di calore e appartenenza, infondendoci tranquillità e sicurezza.
La qualità delle strutture fisiche di tutti gli ambienti, sia di lavoro, che di
accoglienza o ricreative, sono state il riflesso dell’ottima organizzazione e del
valore, del rispetto e dell’affetto nei confronti degli ospiti.
La possibilità di visitare alcune istituzioni (pubbliche e private), strutture di
accoglienza, musei (accompagnati da una guida), monumenti, ristoranti, punti
di attrazione turistica, insomma, le città nel loro insieme, ci hanno permesso
di prendere contatto con la cultura locale. Oltre a constatarne la bellezza,
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
abbiamo avuto modo di avvicinarci alle persone e a meglio comprenderne il
modo di vivere. In un certo qual modo ha funzionato come strumento di intimità con un’altra realtà: un altro popolo, un’altra nazione. È affiorata una certa
affettività nei confronti del Paese di accoglienza, verso la sua popolazione e
tutto quanto lo riguarda.
Le cene offerte, alcune tradizionali, hanno parimenti riflesso abitudini e
costumi italiani.
La scelta dei relatori, le conoscenze trasmesse e i temi affrontati hanno
espresso la preoccupazione da parte delle istituzioni e delle persone legate
alla tematica dell’adozione internazionale, il che si evidenzia nell’attenzione
verso i bambini e gli adolescenti e verso le famiglie.
La quantità e la diversità delle istituzioni partecipanti e degli ospiti sono
stati riflesso del coinvolgimento, nelle problematiche dell’infanzia e adolescenza, dei vari settori del potere pubblico e della società in generale.
È stato con enorme piacere che abbiamo ascoltato gli interventi dei magistrati e dei tecnici che sono intervenuti alle tavole rotonde, sentirne i racconti
carichi di emozione per l’esperienza vissuta in Brasile, l’affetto e il rispetto
nutrito verso il nostro Paese. È stato bello percepire la loro riconoscenza per
lo scambio di informazioni ed esperienze, con un arricchimento reciproco.
Tutto quanto ci è stato messo a disposizione, oggettivamente e soggettivamente, è sintomo del grande impegno dei nostri ospiti verso i diritti dei
minori. Questo ha inevitabilmente comportato un aumento del sentimento di
fiducia, sicurezza e affidamento nell’invio di bambini brasiliani in Italia, per il
tramite dell’adozione internazionale.
Infine, i sentimenti di gratitudine e saudade. Gratitudine per l’opportunità
di allargare le nostre conoscenze e di vivere rapporti nuovi e piacevoli.
Saudade, la nostalgia di tutti quei momenti gradevoli, ricchi e giocosi e, principalmente, delle persone e del loro affetto.
3.2 Il taccuino
di viaggio: lo spazio
razionale
3.2.1 I contributi
conoscitivi
nelle relazioni
degli esperti
Questa relazione sullo spazio razionale presenta i punti dello stage ritenuti più significativi dalla delegazione brasiliana di Minas Gerais. Sono state
riscontrate, come era da prevedersi, convergenze e divergenze tra le procedure, i concetti, le legislazioni e le strutture. In alcuni punti viene presentato un
parere tecnico sull’argomento in esame.
A seguito delle visite svolte, e da quanto esposto nel corso delle conferenze, si evidenziano i seguenti aspetti.
I servizi sociali svolgono il ruolo di preparazione delle coppie, di accoglienza della famiglia e di accompagnamento nel postadozione. Il potere giudiziario interviene solo nei casi di competenza della giustizia.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Vi è una stretta collaborazione tra gli organismi accreditati e gli altri enti pubblici. I primi svolgono un lavoro di sostegno alle azioni dello Stato, affrontando
le questioni relative alla famiglia, l’infanzia, l’adolescenza. Ci è rimasto qualche
dubbio riguardo il fatto se l’operato degli organismi accreditati non derivi da un
trasferimento delle funzioni dallo Stato (di orientamento neoliberista) alla società, sfociando in una deresponsabilizzazione dello stesso, o se invece corrisponde a un effettivo coinvolgimento della società/comunità in tali ambiti.
L’attenzione del potere pubblico viene indirizzata sull’affido familiare. A
Bologna, ad esempio, vi sono 1.500 famiglie che risultano idonee come “famiglie affidatarie”. Risultato di azioni del Comune che coinvolgono e sensibilizzano la popolazione mediante campagne informative permanenti, incontri,
documentari, distribuzione di materiale, visite alle scuole. Esistono inoltre
campagne periodiche a livello nazionale, ma è necessario che le istituzioni
siano pronte a rispondere alle richieste che ne derivano.
Oltre a considerare l’aspetto del benessere dei bambini e degli adolescenti, in termini finanziari, per lo Stato è meno dispendioso offrire un sussidio alla
famiglia che prende in affido il bambino/adolescente, piuttosto che mantenerlo istituzionalizzato.
Nei casi della comunità educativa che ospita adolescenti, siamo rimasti colpiti dalla libertà con cui i giovani possono muoversi: possono entrare e uscire
da casa in qualunque momento. In caso di fuga dall’istituto, chi decide in merito alla continuità o meno del progetto sono i servizi sociali. Il potere giudiziario interviene soltanto in casi specifici.
Il lavoro di preparazione delle coppie è a carico delle équipe dei servizi
sociali e degli organismi accreditati, senza partecipazione diretta da parte del
potere giudiziario. In Brasile questa pratica è ancora in fase di attuazione, con
alcune differenze per rispondere alle recenti disposizioni di legge, in particolare dettate dalla legge n. 12.010 del 2009.
Per quanto riguarda l’accompagnamento della famiglia nel postadozione,
che dura in media un anno, è emersa chiaramente una grossa preoccupazione
e sono molte le attenzioni dedicate a questa fase, ritenuta cruciale per il successo dell’adozione. Anche in questo caso, l’équipe del potere giudiziario italiano non opera direttamente. Si tratta di funzioni del potere esecutivo, in collaborazione con gli organismi accreditati. Nella realtà brasiliana la legge parla
di estágio de convivência, il periodo di vita in comune che alla lettera vuol dire
“stage di convivenza”, la cui durata va stabilita dall’autorità giudiziaria. La
nova lei 12.010/2009 ha inoltre deliberato per noi l’acompanhamento pós
adotivo, il postadozione, fissando i termini per la conclusione del processo di
perdita della patria potestà, al fine di garantire una maggior celerità dell’ado303
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
zione del bambino o dell’adolescente, sia essa nazionale o internazionale, a
seconda del caso.
Dopo le prime esposizioni c’è stato spazio per il dibattito.
Quindi si sono succedute le informazioni trasmesse da Daniela Bacchetta
riguardo l’operato degli organismi accreditati (enti autorizzati) che hanno introdotto nuovi dati. A titolo d’esempio, il divieto dell’adozione indipendente, ossia
senza l’intermediazione delle associazioni. L’obbligatorietà dell’intervento delle
associazioni intende garantire un maggior controllo sulle adozioni e il pieno
rispetto della Convenzione sulla protezione dei minori e la cooperazione in
materia di adozione internazionale, firmata a L’Aja il 29 maggio 1993.
Il rapporto tra istituzioni di governo, in particolare la Commissione per le
adozioni internazionali e le associazioni accreditate, ci ha molto colpito.
Trasferendo il caso alla realtà brasiliana, questo rapporto corrisponderebbe al
coinvolgimento del potere pubblico, dei consigli (di tutela e di diritto) e della
comunità (gruppi di sostegno all’adozione, per dare un esempio), per garantire il pieno rispetto dei diritti dei bambini e degli adolescenti, come disposto
dalla legge 8069/1990 (ECA).
Secondo la vicepresidente Daniela Bacchetta, la Commissione dispone di
un’eccellente banca dati. Lo strumento tecnologico può rivestire un’importanza significativa nell’effettivo controllo che la Commissione esercita sugli organismi accreditati, oltre a offrire informazioni su ogni fase del processo di adozione internazionale.
Maria Teresa Vinci ha poi parlato delle fasi del sistema di adozione internazionale. La pianificazione delle azioni va dall’identificazione delle necessità
rilevate inizialmente dagli organismi accreditati. Tra le caratteristiche richieste
alle associazioni, ritroviamo quella di non avere scopo di lucro e di essere
innovativa in favore del minore.
Nell’intervento di Maurizio Millo sono stati evidenziati aspetti relativi al
rapporto tra potere giudiziario, esecutivo (servizi sociali), organismi accreditati e la comunità.
Il collegio del tribunale dei minori in Italia non è formato solo da membri del
potere giudiziario: vi sono due giudici togati e due onorari (psicologi, psichiatri, sociologi o assistenti sociali) scelti in base all’esperienza e alle qualifiche.
Vi è una grande collaborazione tra magistratura e servizi sociali. Lo Stato
italiano invoca un servizio sociale forte e indipendente, il che garantisce una
maggior capillarità e permette di ritrarre la realtà più fedelmente. Fin dal 1962
i servizi sociali hanno l’obbligo di agire in tutti i casi portati in giudizio. Sono
notevoli le differenze dei servizi sociali a livello regionale, la formazione degli
operatori ne è un esempio.
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Nell’intervento di Vicenzo Starita del Tribunale dei minori di Salerno si è
affermato che il sistema di adozione è caratterizzato dalle diverse competenze legislative e dalla pluralità di soggetti istituzionali.
È stato spiegato che i membri del collegio dei tribunali hanno il compito di
far applicare le leggi e di interpretare la visione dei giudici non togati riguardo
la situazione delle famiglie e dei minori.
Il rapporto tra servizi sociali per i minori e il tribunale è caratterizzato da
una forte ambiguità, frammentazione e mancanza di normative, il che implica
pratiche differenziate.
Esiste una pluralità di interventi tra i tribunali regionali a causa, ad esempio, dello sviluppo dei servizi sociali in Italia, estremamente diversificati: fattori umani (sensibilità amministrativa); questioni politiche; mancanza di unità
tra servizi sanitari e servizi sociali. Le regioni che funzionano meglio sono
quelle in cui vi è una maggior interlocuzione tra i settori, ivi compresi genitori
che operano presso gli enti, educatori e mediatori sociali. Si osservano analogie con la realtà brasiliana per quanto concerne lo sviluppo dei servizi sociali.
I punti critici dell’adozione internazionale si ritrovano principalmente nei
rapporti con la scuola, nei casi di fratrie e nell’adolescenza.
Giorgio Macario ha parlato della creazione di contesti sempre più rivolti al
minore in quanto persona. L’accoglienza dell’infanzia dovrà, nei limiti del possibile, essere diffusa e condivisa. Si ha una maggior valorizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza come non era avvenuto in altri periodi storici.
Antonio D’Andrea ha affermato che la famiglia deve essere umile perché
possa comprendere lo svilimento del ruolo genitoriale agli occhi di un minore.
L’adozione si deve basare sul legame di appartenenza, sulla ri-creazione di
tale legame. Ha quindi presentato alcuni “suggerimenti” relativi alla preparazione della coppia, alla “riparazione” del bambino e al suo arrivo.
In particolare, in merito alla preparazione della coppia adottante, occorre
mettere la coppia in condizione di conoscere gli eventi specifici con cui si
dovrà confrontare, affinché la motivazione all’adozione sia consapevole e
responsabile. I genitori adottivi devono abbandonare la sindrome della valutazione, che si traduce nel fare sempre la prova se sono stati “bravi” o fare
un’analisi sul dove hanno sbagliato. Legittimazione significa anche imparare a
sbagliare e a essere genitori possibili (non perfetti).
Per quanto concerne la preparazione del bambino, affinché sappia imparare a dar valore ai rapporti e perché non si senta colpevole del suo stesso
abbandono, deve instaurarsi un rapporto di fiducia tra bambino e adulto. Può
essere un rapporto transitorio con gli operatori, ad esempio, prima ancora che
con i genitori adottivi. È meglio non puntare sul ricatto, sulla seduzione, ossia
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LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
su modelli del tipo: “se non ti comporti bene non verrai adottato”. Per il bambino è più facile sedurre che mantenere un rapporto.
Infine, per quanto concerne l’arrivo del bambino in famiglia, questo è uno
dei momenti più delicati del percorso adottivo, durante il quale sia i genitori
che il bambino/i devono essere sostenuti. È un processo molto lento, al quale
va dedicato il tempo necessario per consolidare il rapporto, il legame di appartenenza e il contatto affettivo. Neppure nella famiglia di origine il vincolo
avviene naturalmente, ma si costruisce. Il bambino ha quindi bisogno di
tempo per adattarsi alla nuova realtà.
Ancora, la distanza del bambino nei confronti del genitore non significa allontanamento. Parallelamente alla conquista della famiglia adottiva vi è la perdita
degli ambienti in cui viveva in precedenza (il contatto con tutto quel che aveva:
operatore, letto, giocattolo, per fare un esempio). È necessario quindi concedere del tempo affinché il bambino viva i cambiamenti che l’adozione comporta.
La famiglia si arricchisce con la storia del figlio, che è un tassello precedente e che deve essere valorizzato e considerato. Occorre altresì valorizzare
la cultura del Paese di origine. La storia stessa è parte dell’identità del bambino. Da questo punto di vista, abbiamo sentito dagli operatori che vi è la
necessità che i rapporti sui bambini siano maggiormente dettagliati. È una
richiesta avanzata anche dalla Comissão Estadual Judiciária de Adoção de
Minas Gerais (CEJA/MG). Quanto più dettagliate saranno le informazioni
riguardanti il minore, tanto più consistente sarà il numero di domande di adozione che potranno avere un adeguato abbinamento e successivamente maggiore sarà la disponibilità espressa nelle dinamiche familiari e le possibilità di
follow-up da parte delle équipe tecniche nel Paese di accoglienza.
Riguardo la specificità dell’adozione di fratelli, Antonio D’Andrea ha affermato l’importanza del sostegno dato alle famiglie, la loro preparazione per
essere consapevoli di cosa li aspetta, perché siano in grado di affrontare la
situazione e abbandonino un erroneo luogo comune, e cioè l’adottare il più
grande per poter adottare il più piccolo.
La coppia deve sapere quanto più possibile circa il vissuto dei fratelli, circa
cosa permette di conservare il legame che li unisce. Quando il fratello maggiore si occupa del più piccolo, è il primo che ha bisogno di maggiori attenzioni. Se così non fosse, potrebbe vedere i genitori come rivali, come una
“minaccia”. Se il fratello maggiore cede il posto di difensore, i più piccoli
potrebbero interpretarlo come un tradimento. Bisogna quindi aiutare il fratello maggiore a recuperare la posizione/il ruolo di figlio.
Gustavo Pietropolli Charmet, nella sua relazione ha sottolineato come nell’adolescenza venga data maggior importanza al rapporto con i pari, i coeta306
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
nei e i gruppi. Per l’esagerata dipendenza affettiva dal gruppo, l’adolescente
assume un comportamento a rischio per sé, per poter mantenere il ruolo
all’interno del gruppo. Per l’adolescente adottivo, questo tipo di atteggiamenti pericolosi possono essere più accentuati.
L’adolescente desidera essere adottato più dal gruppo che dai genitori. Il
gruppo ha la funzione di opporsi alla dipendenza dal padre o dalla madre. Il
gruppo si coalizza in un fronte “anti-mamma” e “anti-papà”, che viene usato
in modo ossessivo nel rapporto con i genitori.
La scuola può essere attaccata in quanto istituzione materna. La mamma
appartiene alla scuola, rappresenta la scuola. In questa fase il figlio può produrre un’aggressione nei confronti dei genitori attraverso un cattivo rendimento scolastico.
Simbolicamente, il corpo appartiene alla madre, che lo presta al bambino e
gli richiede cure. L’aggressione al corpo, nei casi estremi il suicidio, per l’adolescente figlio biologico rappresenta un’aggressione alla madre. Con l’adolescente adottato si richiede un atteggiamento diverso. Questi sottolinea la bellezza. Il corpo è bello. Nelle cure del suo corpo vi è molte volte una qualità speciale del lascito della madre.
Attualmente i valori dell’adolescente sono legati eccessivamente agli elementi della moda e al consumismo. Esiste un sentimento di appartenenza a
una generazione e la sottomissione a quel che la cultura generazionale
impone.
Denaro e oggetti di consumo sono simboli di libertà e potere. Il denaro
equivale a riconoscimento, affetto, amore. Certe forme di uso del denaro, per
l’adolescente adottato, si caratterizzano come richiesta di affetto. Durante l’adolescenza il rapporto con la casa, la famiglia, i beni, è diverso per l’adolescente figlio biologico, rispetto all’adolescente figlio adottivo. L’adottato ha la
necessità di essere padrone dei beni, proprietario della casa. Sarebbe altrimenti sancito l’allontanamento dai genitori: “la casa è mia; non è la casa dei
miei genitori, e io ne sono il proprietario”.
La violenza in seno alla famiglia funziona come una ricerca dell’individuazione e un segno della nascita di un individuo scisso dai genitori. Per l’adottato
significa la fine dell’adozione e il cambiamento del rapporto con i genitori.
Graziella Fava Vizziello ha affermato che la genitorialità è una funzione
umana che tutti possediamo e la utilizziamo anche durante l’esercizio professionale per la necessità di contenere in modo genitoriale.
Nelle adozioni vi è diacronia tra il momento del desiderio e quello della realizzazione dello stesso. La risposta viene dopo, circa quattro anni dopo l’inizio
del processo di adozione.
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
Tutti i genitori che si rivolgono al servizio di psicologia e psichiatria si
domandano: dove ho sbagliato? L’incertezza che regna riguardo il da farsi è
grande, con l’idea di voler essere perfetti a tutti i costi. È per questo che si
rivolgono ai servizi.
La ricerca di soluzioni immediate per far fronte alle difficoltà di un bambino
vittima di maltrattamenti, non ha prodotto risultati. Le famiglie che non hanno
risposto all’appello del servizio hanno dovuto fare i conti con serie difficoltà.
Ma nel caso di difficoltà, alcune famiglie preferiscono non presentarsi, e tuttavia un’attesa eccessiva prima di cercare un aiuto può determinare un peggioramento della situazione.
Le famiglie che non si presentavano agli incontri venivano in genere da
zone in cui vi era una forte alternanza di operatori, il che rendeva difficile la
costruzione di un rapporto di fiducia. Nei posti invece in cui il tipo di sostegno
era più stabile, con riferimenti costanti, l’evoluzione dei rapporti con i servizi
si dimostrava migliore. Se l’operatore conosce le dinamiche familiari, se ha
avuto modo di instaurare un rapporto costante con la famiglia, seguirla risulterà molto più semplice e naturale.
È pertinente qui fare una riflessione riguardo il ruolo del potere pubblico:
vigila e controlla il cittadino in nome del successo dell’adozione? Fino a che
punto il rifiuto della coppia deriva dal desiderio di non subire un’ingerenza
dello Stato nella vita privata? O deriva dalla difficoltà, molto più intima, nell’ammettere la propria fragilità e la necessità di un aiuto?
L’adolescente nutre un suo rispetto verso la famiglia di origine, il suo Paese
e la sua etnia. Non esistono solo ricordi negativi. L’adolescente sceglie di
difendere l’origine biologica. Potrebbe essere portato a seguirne la stessa
strada (uso di droghe, ad esempio). La tendenza è “identificarsi” con la famiglia più fragile, più precaria, perché starebbe a significare “io sono un eroe”
(la valorizzazione del ruolo dell’eroe nell’adolescenza).
Nel verificare come gli adottati avevano elaborato il proprio rapporto con la
famiglia biologica, si sono riscontrati ricordi nebulosi del passato, degli istituti, dei genitori, principalmente, di persone che erano state gentili con loro (una
o due, di media).
Marina Farri dei Servizi territoriali della Regione Piemonte ci ha spiegato
che la chiusura degli istituti è stata disposta per legge. L’accoglienza avviene,
provvisoriamente, presso famiglie, in modo da favorire un sostegno alla famiglia di origine perché possa essere in condizione di riaccogliere il bambino.
Da questo punto di vista si vede una certa analogia con l’Estatuto da
Criança e do Adolescente (ECA). Le recenti modifiche alla legge mettono al
primo luogo l’affido familiare a scapito dell’istituzionalizzazione; sottoli308
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
neano l’importanza del lavoro con le famiglie affidatarie (affido familiare);
danno importanza al sostegno alla famiglia di origine per ri-creare le condizioni che permettano di ri-accogliere i figli. Tuttavia, le condizioni socioeconomiche della maggioranza della popolazione brasiliana e l’insufficienza di
risorse da destinarsi alle politiche pubbliche di assistenza sociale (uno
degli elementi della previdenza sociale, secondo la Costituzione federale
del 1988), riducono drasticamente l’efficacia delle azioni di sostegno alla
famiglie.
Patrizia Buratti, dei servizi territoriali della Regione Lombardia, ha parlato del supremo interesse del minore e del suo benessere, ricordando quanto sia importante l’informazione e la preparazione delle coppie aspiranti
all’adozione.
Sono stati citati gli strumenti legislativi internazionali, nazionali e regionali di riferimento per la scelta del percorso dell’adozione, sia essa nazionale o
internazionale.
Carmine Pascarella dei servizi territoriali della Regione Emilia-Romagna ci
ha informati che, nel corso dell’analisi e della valutazione psicosociale, le coppie si portano spesso dietro un bagaglio di sofferenza dovuta a una diagnosi
di infertilità, ai deludenti tentativi di fecondazione, e alla frustrazione di non
essere stati all’altezza delle aspettative sociali. La coppia ha bisogno di tempo
per elaborare questo dolore. La loro sofferenza va accolta cercando di identificarne i punti di forza e di debolezza. È il primo passo perché la coppia possa
affidarsi al servizio e rendersi disponibile ad accogliere un bambino. Laddove
prevalga un sentimento persecutorio prevalente, questo potrebbe essere indice di non idoneità all’adozione.
Il Diario della famiglia del futuro offre uno spaccato delle proiezioni circa il
futuro, delle aspettative e delle fantasie condivise dalla coppia, il desiderio
comune di un’adozione, la volontà di collaborare e l’affettività. Nell’immaginare il bambino che adotteranno, si verifica se il bambino idealizzato in modo
narcisistico può corrispondere al bambino reale.
Pascarella si è dichiarato non favorevole a un inserimento immediato del
bambino a scuola, per concedergli il tempo di adattarsi e di instaurare, in
tempi possibili, una situazione di normalità. Ha quindi raccomandato che si
rifletta sul significato dell’adozione di un bambino più grandicello o con caratteristiche etniche e somatiche diverse dalla coppia. Va sempre valutata la disponibilità a convivere con una differenza e ad assimilarla.
Va soppesato se la mancata disponibilità da parte della coppia a sottoporsi a esami medici prima della richiesta di adozione implica un rifiuto della
maternità biologica o la paura di confrontarsi con la sterilità.
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LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
3.2.2 Le visite
alle strutture regionali
e territoriali. Gli
approfondimenti delle
tavole rotonde
Durante la visita all’Assessorato alla promozione delle politiche sociali ed
educative per infanzia e adolescenza della Regione Emilia-Romagna, è stato
riferito che nel 2007 è stata firmata una delibera in materia di politiche di
accoglienza al fine di garantire il buon affidamento dei minori. La delibera tratta inoltre taluni aspetti relativi all’educazione e alla maggior individualizzazione dei servizi. È un documento recente, proprio come le modifiche apportate
all’ECA, che confermano il carattere delle procedure e il movimento dei fenomeni sociali, non precostituiti, ma in continuo divenire.
La tutela giuridica viene esercitata dal tribunale mentre altre competenze
spettano invece ai servizi territoriali (tra cui servizi sociali e di psicologia). In
Brasile non siamo che agli inizi, e ancora in una fase di transizione. Funzioni
che prima erano esclusive del potere giudiziario passano a essere svolte con
il sostegno degli operatori responsabili per le politiche di tutela dei diritti del
bambino e dell’adolescente.
Gli addetti ai lavori ritengono che per un buon esito dell’adozione sia fondamentale una buona preparazione. L’adozione ha inizio a partire dalla preparazione. Gli obiettivi dello studio della coppia che sono stati esposti riguardano il miglioramento delle capacità e del potenziale ai fini di una migliore
accoglienza del bambino, al fine di presentare al tribunale una valutazione,
chiara e articolata, che illustri le caratteristiche della coppia.
Gli operatori parlano con la coppia facendo manifestare le loro fantasie e
idealizzazioni attorno all’origine del bambino e alla famiglia di origine.
Laddove fantasia e idealizzazione tendano a non dissolversi, l’adozione
potrebbe essere messa in discussione. Si è constatato che nelle adozioni fallite vi è spesso una negazione del passato del bambino. Il lavoro degli operatori punta a trovare un equilibrio tra sogni, fantasie della coppia (con un desiderio enorme e immediato) e fatti concreti.
Il momento dell’arrivo del bambino nella famiglia è la prova del nove del
lavoro di preparazione, strutturato per far funzionare tutto alla perfezione,
perché l’accoglienza del bambino sia la migliore e per aiutare i candidati a sentirsi genitori. Non è compito facile, in quanto è necessario che anche il bambino li riconosca come genitori. È un momento di grande tensione. Stare attenti
alle scelte della coppia, che siano quelle giuste. Come per esempio la decisione di iscrivere il figlio a scuola, non sarà motivata dalla necessità dei genitori
di “prendere una boccata d’aria”?
Nel postadozione si organizzano incontri periodici con la coppia e il figlio,
per osservare le dinamiche familiari. È uno strumento che può aiutare i genitori a capire determinati comportamenti del figlio. Ci sono stati presentati i punti
su cui sarebbe auspicabile un “miglioramento”: età avanzata dei bambini e fra310
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IL RESOCONTO DELLA DELEGAZIONE BRASILIANA
trie numerose; preparazione in Brasile, a cura di psicologi e assistenti sociali,
dei bambini che si apprestano a partire per l’Italia (cambiamento di cultura, di
Paese, di lingua); elaborazione di valutazioni che approfondiscano gli aspetti
psicosociali, scolastici, sanitari e tutto quanto possa permettere alla coppia di
conoscere quanto più possibile il bambino che adotteranno; infine, l’atteggiamento degli operatori brasiliani rispetto all’adozione internazionale.
Successivamente, nella visita alla struttura di accoglienza Comunità
madre-bambino (Casa Padre Marella) si è potuto riscontrare come nella casa
di accoglienza madre/figlio e nella comunità educativa, mantenute dalla Casa,
è fissato un termine massimo di due anni di permanenza in istituto, limite del
tutto analogo ai tempi di istituzionalizzazione previsti dall’ECA.
Nell’ambito della tavola rotonda sul contesto psicosociale nelle adozioni
internazionali, i dibattiti vertevano sui servizi rivolti al bambino/adolescente e
all’adozione disponibili in Brasile e in Italia, dal punto di vista dei professionisti di ambo i Paesi.
Nella presentazione dell’assistente sociale della CEJA-MG, Conceição Maria
de Camurça Citó, dopo un saluto e un ringraziamento rivolto ai partecipanti
all’evento, sono stati messi in evidenza i punti positivi dei servizi italiani, le
analogie e i progressi fatti dall’Italia in un raffronto con i servizi brasiliani, e gli
aspetti che richiederebbero invece dei miglioramenti.
Tra gli aspetti positivi sono stati citati: la preparazione attenta e meticolosa delle coppie aspiranti all’adozione, lo sforzo congiunto delle istituzioni
pubbliche e private per evitare il fallimento dell’adozione, l’azione e il contributo positivo da parte degli organismi accreditati, il postadozione rispetto alle
peculiarità della famiglia e, in particolare, all’età del bambino.
Le analogie identificate: i funzionari e i professionisti danno priorità al
bambino pur dedicando grande attenzione alle coppie, le differenze regionali
tra Nord e Sud del Paese si riflettono sulle strutture, sulle istituzioni e sull’operato dei professionisti, il concetto di rete sociale per rispondere alle richieste di famiglie, bambini/adolescenti e anziani.
Riguardo invece i progressi fatti rispetto al Brasile: nella Regione Emilia
Romagna, il numero di famiglie affidatarie corrisponde alla stessa quantità di
bambini/adolescenti che hanno bisogno di essere accolti. Nel 2006, il Brasile
aveva lanciato il Piano nazionale di protezione e difesa del diritto del bambino e dell’adolescente alla convivenza familiare e comunitaria (Plano Nacional
de Proteção e Defesa do Direito de Crianças e Adolescentes á Convivência
Familiar e Comunitária). Nel 2009 lo Stato di Minas Gerais pubblicava il Piano
valido per lo Stato. Si tratta di strumenti che si traducono in linee guida per
azioni concrete a livello nazionale e statale rispettivamente, di formulazione e
311
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LO STAGE IN ITALIA
LO STAGE IN ITALIA VISTO DALLA DELEGAZIONE BRASILIANA
attuazione di politiche pubbliche che garantiscano i diritti di bambini e adolescenti. Si cerca, ad esempio, di dare priorità all’affido familiare rispetto all’accoglienza in istituto.
È stato quindi osservato, nell’esperienza italiana, un forte impegno nell’utilizzo dei gruppi in sostegno dell’adozione, inteso come contributo positivo
per un soddisfacente esito delle adozioni. In Brasile, il ricorso a gruppi di
sostegno è ancora sul nascere. Le recenti modifiche all’ECA, promosse dalla
legge 12.010/2009 e i Planos Nacional e Estadual favoriscono l’affido familiare, ma è necessaria una maggior partecipazione da parte della società nel suo
insieme, del governo e della comunità, per promuovere un vero sostegno alle
famiglie affidatarie. I gruppi di sostegno si rivelano di grande importanza e
aiuto per queste famiglie.
Infine, si ritiene utile proporre alcuni suggerimenti per produrre un miglioramento. In primo luogo sembrerebbero opportune valutazioni tecniche maggiormente dettagliate, soprattutto per quanto riguarda le capacità e i limiti
della coppia, perché si possa scegliere con maggior precisione la coppia idonea all’adozione di quel determinato minore, sulla base delle necessità di
quest’ultimo. Ancora sarebbe auspicabile un parere tecnico da parte degli
operatori del settore, che informi circa l’auto-percezione dei candidati. Nei
casi in cui i richiedenti si dicano poi disposti ad ampliare la propria disponibilità, per esempio per quanto riguarda la fascia d’età del minore, sarà opportuno che si invii una valutazione con allegato il parere tecnico riguardo l’aspetto da modificarsi.
312
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Appendice
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Programma stage delegazione italiana in Brasile
Programma per San Paolo - SP, dal 6/9/2009 al 10/9/2009
Domenica, 6/9/2009
Arrivo del gruppo italiano a San Paolo
Accoglienza dei rappresentanti del TJ/CEJAI-GACEJAI e di AIBI, sistemazione in albergo,
riposo
Lunedì, 7/9/2009
Mattinata libera
Pranzo in albergo
City-tour
Cena in albergo
Sintesi dei lavori (form.)
Martedì, 8/9/2009
GIORNATA: ADOZIONE INTERNAZIONALE COME STRUMENTO DI SUSSIDIARIETÀ
h. 8.00
Accoglienza dei partecipanti
h. 8.30/9.00
Apertura ufficiale
Presidente del tribunale di giustizia, corregitore generale della giustizia, rappresentante
della CEJAI-SP, pubblico ministero, console dell’Italia, coordinatore scientifico del progetto
h. 9.00/10.00
Il ruolo dell’Autorità centrale amministrativa federale (ACAF), dell’autorità statale
(CEJAI-SP) e aspettative per il postadozione
Patrícia Lamego – coordinatore dell’ACAF
due rappresentanti della CEJAI-SP
h. 10.00/11.00
Il sistema di protezione in Brasile, principi internazionali condivisi e i progetti del Coordinamento dell’infanzia e della gioventù del Tribunale di giustizia dello Stato di San Paolo
3 rappresentati da definire
h. 11.00/11.15
Coffee break
h. 11.15/11.45
I consigli dei diritti e il Piano nazionale di promozione, protezione e difesa del diritto dei
bambini e adolescenti alla convivenza familiare e comunitaria
Benedito Rodrigues dos Santos – segretario esecutivo del CONANDA
h. 11.45/12.15
Cultura dell’istituzionalizzazione, aspetti storici dello Statuto del bambino e dell’adolescente e il Sistema unico di assistenza sociale (SUAS)
Myriam Veras Baptista – Nucleo di studi e ricerche sul bambino e adolescente (NCA) –
Pontificia Università Cattolica di San Paolo
h. 12.15/12.45
Discussione e chiusura della prima parte
h. 12.45/14.00
Pranzo nello stesso locale dell’evento
315
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APPENDICE
h. 14.00/15.00
Il ruolo degli assistenti sociali e psicologi del Tribunale di giustizia e gli sforzi per la
costruzione della banca dati per il sussidio delle politiche pubbliche
Ana Cristina Marcondes de Moura – direttore tecnico del Nucleo di appoggio professionista del servizio sociale e della psicologia del TJ-SP
Clarinda Frias (assistente sociale del GACEJAI-SP) e Silvia Nascimento Penha (psicologa
del GACEJAI-SP)
h. 15.00/17.30
Quadro di progetti di reinserimento familiare, gruppi di appoggio all’adozione, famiglie
accoglienti, formazione per adolescenti e repubbliche (case comunitarie)
Accompagnamento dopo l’affido familiare e adozione
Denise Sanches Careta – psicologa del gruppo di studi e appoggio all’adozione di São
Bernardo do Campo
Progetto SAPECA e le famiglie accoglienti, nel Comune di Campinas
Jane Valente – segreteria municipale di cittadinanza, assistenza e inclusione sociale
della prefettura del Comune di Campinas
Progetto Pilota di famiglie accoglienti della capitale
Maria da Gloria Rangel Gomes – assistente sociale del Nucleo di appoggio professionista del servizio sociale e psicologia del TJ-SP
Fundação Criança di São Bernardo do Campo e il progetto di istituzione di repubbliche
per usciti dalla accoglienza istituzionale
Hellen Carmona – direttore tecnico ausiliare della Fundação Criança di São Bernardo do
Campo
Istituti solidari e il progetto di formazione per adolescenti
Mariano Gaioski – coordinatore degli istituti – Liga Solidaria
h. 17.30/18.00
Discussione e chiusura delle attività
h. 18/19
Sintesi dei lavori (form.)
h. 20.00
Cena
Mercoledì, 9/9/2009
GIORNATA: VISITE E PICCOLI VIAGGI IN GRUPPI (CAPITALE E INTERNO)
CAPITALE: SELEZIONATE LE DUE REGIONI CON MAGGIORE RICHIESTA
Mattino
Pomeriggio
GRUPPO 1:
Casa Abrigo São Mateus
Tribunale dell’infanzia e gioventù di Itaquera
Mattino
Pomeriggio
GRUPPO 2:
Casa di cittadinanza e cultura della Vila Guacuri
Tribunale dell’infanzia e gioventù di Santo Amaro
Interno: Selezionati un gruppo di appoggio all’adozione che possiede un lavoro di reinserimento familiare e un progetto sociale diretto a giovani madri
Mattino
Pomeriggio
GRUPPO 3:
Gruppo di appoggio alla adozione Revivescer
Tribunale dell’infanzia e gioventù di Mogi Guaçu
316
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PROGRAMMA STAGE DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
Mattino
Pomeriggio
GRUPPO 4:
Associazione Lua Nova
Tribunale dell’infanzia e gioventù di Sorocaba
Attività di “fraternizzazione”
Serata
Sintesi dei lavori (form.)
Giovedì, 10/9/2009
h. 8.00
h. 8.30/9.00
Accoglienza
Il ruolo degli organismi internazionali credenziati
Carlos Berlini – direttore esecutivo di AIBI
h. 9.00/10.00
Quadro di progetti di cooperazione internazionale svolti da organismi internazionali credenziati
h. 10.00/10.15
Coffee break
h. 10.15/11.15
Esposizione fatta dai rappresentanti italiani delle impressioni raccolte durante la tappa
a San Paolo
h. 11.15/11.45
Discussione
h. 11.45/12.00
Chiusura
Pomeriggio
Trasporto del gruppo italiano all’aeroporto
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APPENDICE
Programma per Bahia - BA, dal 10/9/2009 al 13/9/2009
h. 18.15
h. 20.30
h. 8.00
Giovedì, 10/9/2009
Arrivo a Salvador – Sistemazione dei partecipanti in hotel
Cena (Località: Ristorante Casa Lisboa)
Sintesi dei lavori (form.)
Venerdì, 11/9/2009
Visita della Prima sezione di infanzia e gioventù di Salvador, incontro con giudici, rappresentanti del ministero pubblico e staff tecnico
Relatori:
Emílio Salomão Pinto Resedá – giudice titolare della Prima sezione di infanzia e gioventù della Circoscrizione giudiziale di Salvador
Arnaldo José Lemos de Souza – giudice ausiliare della Prima sezione di infanzia e gioventù della Circoscrizione giudiziale di Salvador
Walter Ribeiro Costa Júnior – giudice titolare della Sezione di infanzia e gioventù della
Circoscrizione giudiziale di Feira de Santana
(Località: Prima sezione di infanzia e gioventù della Comarca di Salvador)
h. 10.00
Uscita per visita al progetto Axé
Spiegazione del progetto
Presentazioni di gruppi di bambini e adolescenti accolti dal progetto
(Località: Pelourinho)
h. 12.00
Pranzo (Località: Tribunale di giustizia – Sala do Convívio)
h. 14.00
Apertura Ufficiale
Presidente del tribunale di giustizia, giudice Sílvia Zarif; pretore della capitale, giudice
Telma Britto; pretore dell’interno dello Stato, giudice Maria José Sales Pereira; presidente della CEJA, Daniela Gonzaga; coordinatore scientifico del progetto, Giorgio Macario; direttrice dell’ARAI Regione Piemonte, Anna Maria Colella; coordinatrice dell’ACAF,
Patrícia Lamego
(Località: Tribunale di giustizia di Bahia – Sala das Sessões n° 04 - 2° piano – Ala sud)
h. 15.00
Presentazione dello staff della CEJA-BA sulle attività generali del settore, partecipazione nel processo di adozione internazionale e ruolo dello staff tecnico
Daniela Guimarães Andrade Gonzaga – presidente della CEJA-BA
Progetto SIAA (segmento istituzioni di accoglienza, contrattazione di staff tecnici per circoscrizioni giudiziarie dell’interno dello Stato, smembramento di sezioni dell’infanzia
dell’interno dello Stato)
Maria Simone de Castro Gomes dos Santos – segretaria esecutiva
SICAR (controllo effettivo delle adozioni e del postadottivo – parte amministrativa)
modernizzazione e informatizzazione dei servizi
Sandra Raquel Figueiredo Gonzaga de Lucena – assistente sociale
Paula Rabelo de Almeida Amaral – psicologa
Lavoro effettuato dallo staff tecnico della CEJA / Progetti implementati
Progetto Come stanno i nostri bambini?
Progetto A mani strette
318
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PROGRAMMA STAGE DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
h. 17.00
Coffee break
h. 17.20
Dibattito
h. 18.00
Visita della CEJA – Sala 115 Norte – Tribunale di giustizia
h. 20.00
Cena (Ristorante Yemanjá)
Sintesi dei lavori (form.)
h. 8.00
Sabato, 12/9/2009
Presentazione di interventi di cooperazione a Bahia
Progetto Tecendo Laços – Convenzione ARAI Regione Piemonte / ESSUCSAL / SEDES
Stella Maria Leal Senes – docente della ESSUCSAL – coordinatrice del progetto
Socorro Paim – direttrice della ESSUCSAL
Fernanda Gonçalves – docente della ESSUCSAL
Irani Lessa – assistente sociale – rappresentante della SEDES
Progetto di Lotta alla denutrizione infantile – Società CDM – Cooperazione per lo sviluppo e residenza umana / AVSI
Heli Roberto Mansur dos Reis – direttore esecutivo della CDM
Rappresentante AVSI
(Località: Ondina Apart – salone Ibiza)
h. 10.00
Coffee break
h. 10.30
Dibattito
h. 11.00
Incontro con i rappresentanti degli enti autorizzati a operare nell’adozione internazionale nello Stato di Bahia (Località: Ondina Apart – salone Ibiza)
h. 12.00
Pranzo (Località: Ondina Apart)
h. 13.30
Presentazione del lavoro messo in pratica presso le circoscrizioni giudiziarie dell’interno dello Stato di Bahia nell’area di infanzia e gioventù
Marcos Antônio dos Santos Bandeira – giudice dell’infanzia e gioventù ed esecuzione di
misure socioeducative della Circoscrizione giudiziaria di Itabuna
Sandra Magali Brito Silva Mendonça – giudice dell’infanzia e gioventù ed esecuzione di
misure socioeducative della Circoscrizione giudiziaria di Ilhéus.
Kátia Regina Mendes Cunha – giudice dell’infanzia e gioventù della Circoscrizione giudiziaria di Jiquiriçá
Nêmora de Lima Janssen – giudice sostituto dell’infanzia e gioventù e esecuzione di
misure socioeducative della Circoscrizione giudiziaria di Porto Seguro
George Alves de Assis – giudice della sezione crimini, Júri, esecuzioni penali e infanzia e
gioventù della Circoscrizione giudiziaria di Campo Formoso
Presentazione del progetto Casa Lar – Società AIBI / Potere giudiziario / Municipio di
Campo Formoso
Gianluigi Airoldi – coordinatore di Stato della AIBI
Monalisa Cardoso de Souza – Coordinatrice del progetto.
Roseane Cristina S. Rocha – Psicologa
(Località: Ondina Apart – salone Ibiza)
319
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APPENDICE
h. 15.30
Dibattito
h. 16.10
Coffee break
h. 16.30
Uscita per visita al Mercado Modelo e al Pelourinho
h. 20.00
Spettacolo tipico (Teatro Miguel Santana – Pelourinho)
h. 21.00
Cena (Ristorante Convento do Carmo)
Sintesi dei lavori (form.)
h. 8.00/9.30
Domenica, 13/9/2009
Visita della Casa di accoglienza Lar da Criança
h. 10.00/11.00
Visita della Casa di accoglienza Abrigo Cidade da Luz
h. 11.00/11.30
Conferenza – Processo di evoluzione dell’istituzionalizzazione a Bahia: cambiamenti e
nuove iniziative
Eliana Menezes Rafael – pedagogista – coordinatrice della Casa di accoglienza Abrigo
Cidade da Luz
(Località: Abrigo Cidade da Luz)
h. 11.30/12.00
Dibattito
h. 12.00/12.20
Pranzo (Churrascaria Boi Preto)
Pomeriggio libero: City tour
Sintesi dei lavori (form.)
h. 20.00
Cena (Ristorante Barra Vento)
320
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PROGRAMMA STAGE DELEGAZIONE ITALIANA IN BRASILE
Programma per Belo Horizonte - MG, dal 10/09/09 al 13/09/09
h. 18.00
h. 21.00/23.00
Giovedì, 10/9/2009
Arrivo della Delegazione Italiana all’aeroporto Tancredo Neves
Spostamento da BH e city tour per il complesso architettonico della Lagoa da Pampulha
Cena di “confraternizzazione”
h. 7.30/8.30
Venerdì, 11/9/2009
Colazione servita nell’Hotel
h. 8.30/9.00
Accreditamento
h. 9.00/9.30
Composizione tavolo apertura:
Giudice Claudio Costa – primo vicepresidente del Tribunale di giustizia di Minas Gerais
- TJMG
Célio César Padani – giudice e ispettore generale di giustizia di Minas Gerais - TJMG
Reynaldo Ximenes Carneiro – giudice e secondo vicepresidente del TJMG
Valéria da Silva Rodrigues – giudice e membro della Commissione statale giudiziaria
adozioni di Minas Gerais
Maurizio Millo – presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna
Apertura Ufficiale: Giudice Célio César Paduani – presidente CEJA-MG
h. 9.30/10.00
Conferenziere: Procuratore Sérgio Parreiras Abritta – membro CEJA-MG
Tema: La Commissione statale giudiziaria adozioni – CEJA-MG: attribuzioni, composizione e funzionamento
Contenuti da trattare: La Commissione statale giudiziaria adozioni – CEJA-MG: attribuzioni, composizione e funzionamento
h. 10.00/10.20
Coffee break
h. 10.20/11.00
Conferenziere: Valéria da Silva Rodrigues – membro CEJA-MG
Tema: Aspetti legali dell’adozione internazionale di bambini e adolescenti nel Brasile e
La cooperazione tra Paesi: aspetti storici e prospettive della CEJA-MG
Argomento da trattare: Esperienze di cooperazione internazionale della CEJA-MG - redazione e invio di relazioni, presentazione di coppie e accompagnamento postadozione
h. 11.00/11.40
Conferenziere: giudice Wagner Wilson Ferreira – membro della CEJA-MG
Tema: Adozione internazionale: esperienze e risultati
Contenuti da trattare: Esperienze e risultati pratici dell’adozione internazionale
h. 11.40/12.20
Conferenziere: Giudice Bruno Terra Dias – membro CEJA-MG
Tema: Il collocamento di bambini e adolescenti in famiglie sostitutive nel Brasile e
Aspetti legali e esperienze pratiche
Contenuti da trattare: Gli istituti giuridici dell’affidamento e dell’adozione; alternative
per ottimizzare gli interventi di supporto a questi soggetti di diritto; la campagna
Cambia un destino – contestualizzazione, obiettivi, mete e risultati
321
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APPENDICE
h. 12.20/13.50
Pranzo
h. 13.50/15.50
Cooperazione internazionale / Enti autorizzati – Rappresentanti
h. 16.00/18.00
Visita al Tribunale per i minorenni di Belo Horizonte
h. 18.15/19.00
Sintesi dei lavori (form.)
h. 20.00/22v
Cena
h. 7.30/8.30
Sabato, 12/9/2009
Colazione servita nell’Hotel
h. 8.30/9.20
Conferenziere: Ivan Ferreira da Silva – sovrintendente alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza
Tema: (Re)Inserimento autonomo di bambini e adolescenti istituzionalizzati: la politica
pubblica di MG per assicurare la scolarità e la formazione professionale di questi soggetti di diritto
Argomento da trattare: La permanenza prolungata di bambini e adolescenti istituzionalizzati nell’ambito federale, statale e municipale, e la politica pubblica, strategie e azioni promotrici del (re)inserimento autonomo nei campi dell’educazione e della formazione professionale
h. 9.20/10.10
Conferenziere: Rosilene Miranda Barroso da Cruz
Tema: Adozione nazionale: l’attuazione dell’équipe tecnica della sezione civile infanzia
e gioventù di BH
Argomento da trattare: Forme di prevenzione della violenza domestica contro i bambini e
gli adolescenti; L’adozione nazionale – selezione e registro degli interessati brasiliani ad
adottare, tempo medio di attesa, profilo dei bambini ricercati. La necessità dell’adozione
internazionale come ultima alternativa per molti bambini e adolescenti a Belo Horizonte
h. 10.10/10.30
Coffee break
h. 10.30/12.00
Cooperazione internazionale / Progetti
h. 12.15/13.15
Pranzo (Casa Lar Maistas)
h. 13.15/15.45
Visita tecnica alla casa Lar Marista
h. 16.00/17.30
Visita tecnica al TJ Abriga
h. 17.45/18.00
Coffee break
h. 18.00/19.00
Sintesi dei lavori (form.)
h. 21.00/23.00
Cena di “confraternizzazione” tra i partecipanti (Ristorante Xapuri)
Domenica, 13/9/2009
Check-out hotel, spostamento per l’aeroporto Tancredo Neves, imbarco della delegazione italiana (partenza volo h. 10.30)
322
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Programma stage delegazione brasiliana in Italia
e seminario conclusivo congiunto Italia-Brasile
(Roma, Firenze, Bologna – 25/30 gennaio 2010)
Domenica, 24/1/2010
Arrivo in Italia, trasferimento da Roma a Firenze
Cena di benvenuto
Lunedì, 25/1/2010
FIRENZE (PRIMA GIORNATA; AREA PREVALENTE: GIURIDICO-ISTITUZIONALE)
h. 9.30
h. 10.00
h. 10.15
Saluti e apertura dei lavori
Alessandra Maggi – presidente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze
Daniela Bacchetta – vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali
Patrécia Lamega – coordinatore dell’Autorità centrale brasiliana
Presentazione del percorso formativo
Giorgio Macario – responsabile scientifico e formativo per la formazione nazionale e internazionale
Interventi:
Daniela Bacchetta – vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali
“La Commissione per le adozioni internazionali e le collaborazioni a livello internazionale. L’Italia e il Brasile”
h. 10.45
Maria Teresa Vinci – direttore generale della segreteria tecnica della Commissione per le
adozioni internazionali
“La cooperazione internazionale e il ruolo tecnico-operativo della Commissione. Il ruolo
degli enti autorizzati”
h. 11.15
Coffee break
h. 11.30
Maurizio Millo – presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna
“La condizione giuridica dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Normativa italiana e
contesto giuridico europeo”
h. 12.15
Dibattito e confronto con i relatori
h. 13.00
Pranzo
h. 14.30
“Il sistema delle adozioni e il ruolo del tribunale per i minorenni. Livello operativo e interconnessioni con i protagonisti del percorso adottivo. Confronto fra Nord, Centro e
Sud Italia”
Emma Avezzù – Tribunale per i minorenni di Torino (assente, con spunti sintetizzati dal
collega Vincenzo Starita)
Maurizio Millo – Tribunale per i minorenni di Bologna
Vincenzo Starita – Tribunale per i minorenni di Salerno
323
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APPENDICE
h. 16.00
“La trasformazione-innovazione delle strutture di accoglienza. Il caso degli Innocenti”
Giorgio Macario
h. 16.30
Tre gruppi per visite alternate di 30’ ciascuna:
a) Casa bambini
b) Casa madri e/o Casa rondini
c) Museo e Archivio storico dell’Istituto degli Innocenti
h. 18.00
Conclusione dei lavori della giornata
Serata
Ristorante caratteristico e visita a Piazzale Michelangelo
Martedì, 26/1/2010
FIRENZE (SECONDA GIORNATA; AREA PREVALENTE: PSICOLOGICA E SOCIALE)
h. 9.15
Antonio D’Andrea – psicologo e psicoterapeuta
“La preparazione della coppia che adotta, l’ingresso del bambino in famiglia e le specificità della preadolescenza e dell’adozione di fratelli”
h. 10.00
Gustavo Pietropolli Charmet – psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Istituto di
analisi dei codici affettivi Il minotauro
“Complessità e specificità dell’essere adolescenti. Le adozioni internazionali”
h. 10.45
Coffee break
h. 11.00
Graziella Fava Vizziello – professore ordinario di Psicopatologia dello sviluppo all’Università di Padova
“L’intervento nelle situazioni di difficoltà e il lavoro con i genitori adottivi”
h. 11.45
Confronto e dibattito con i relatori
h. 12.30
Pranzo
h. 13.30
“L’organizzazione dei servizi territoriali per il sostegno alla coppia che adotta, al bambino e alla famiglia adottiva. Dal preadozione alla selezione delle coppie, dall’accompagnamento nei tempi dell’attesa e dell’abbinamento al postadozione nell’inserimento
scolastico e nel supporto alla coppia e al bambino”
Marina Farri – Servizi territoriali della Regione Piemonte
Patrizia Buratti – Servizi territoriali della Regione Lombardia
Carmine Pascarella – Servizi territoriali della Regione Emilia-Romagna
h. 16.00
Confronto e dibattito con i relatori
Termine dei lavori della giornata
Tardo pomeriggio-sera
La delegazione di San Paolo rimarrà a Firenze (approfondimento della realtà della Regione Toscana) Referente: Anna Maria Colella; tutor: Valentina Ortino
La delegazione del Minas Gerais si sposterà a Bologna (approfondimento della realtà
della Regione Emilia-Romagna)
Referente: Maurizio Millo; tutor: Vanessa Carocci
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PROGRAMMA STAGE DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA
E SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
La delegazione di Bahia e l’Autorità centrale si sposteranno a Roma (approfondimento
della realtà della Regione Lazio)
Referente: Giorgio Macario; tutor: Ilia Galimberti e Alessandra Jovine
Mercoledì, 27 e giovedì, 28/1/2010
BOLOGNA/FIRENZE/ROMA (TERZA E QUARTA GIORNATA;
AREA PREVALENTE – L’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI A LIVELLO REGIONALE E TERRITORIALE)
PROGRAMMA PER BOLOGNA (Delegazione dello Stato del Minas Gerais)
h. 9.30-11.30
h. 11.30-13.00
Mercoledì, 27/1/2010
Incontro di avvio dei lavori: Regione Emilia-Romagna
Saluti:
Anna Maria Dapporto – assessore promozione politiche sociali ed educative
Saranno presenti:
Maurizio Millo – presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna
Ermenegildo Ciccotti – referente statistico Istituto degli Innocenti
Tiziana Giusberti – psicologa dell’équipe adozione del distretto di Casalecchio: il sostegno post-adottivo
Chaiara Labanti – assistente sociale, componente équipe adozioni di Bologna: i corsi di
preparazione per genitori adottivi
Paolo Battistella – ente autorizzato Nova, componente coordinamento regionale adozione
Anna Cavallini – psicologa asl di Ferrara, componente équipe adozioni di Ferrara: le indagini psicosociali con i coniugi aspiranti all’adozione
Clara Cicognani – referente regionale comunità di accoglienza e affidamenti familiari
Monica Malaguti – referente regionale legge 476/1998
Visita presso il Centro per le famiglie del Comune di Bologna
Pranzo (Osteria de’ poeti)
Visita al cortile del Tribunale di Bologna
h. 16.00-18.00
h. 10.00
h. 11.30-12.30
Visita al Tribunale per i minorenni di Bologna
Giovedì, 28/1/2010
Visita alla struttura educativa per minori/ragazze gestita dalla cooperativa CSAPSA, riferimento Chiara Cicognani (Rer) e Giulio Baraldi (coordinatore CSAPSA)
Visita alla struttura di accoglienza Comunità madre-bambino
Pranzo presso la struttura
PROGRAMMA PER FIRENZE (Delegazione dello Stato di San Paolo)
h. 9.30-12.00
Mercoledì, 27/1/2010
Firenze, Palazzo Strozzi Sacrati, sede della Presidenza della Giunta della Regione Toscana
Saluti:
Giovanni Lattarulo – Dirigente del settore Cittadinanza sociale, Regione Toscana
“Le politiche e gli interventi di tutela dei diritti dei minori in Toscana”
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APPENDICE
Roberto Ricciotti, Centro regionale di documentazione e analisi per l’ infanzia e l’adolescenza
“L’attività di monitoraggio degli interventi per i minori in famiglia e fuori famiglia: i dati
più significativi, le banche dati sull’adozione nazionale e internazionale”
Lucia Dallai – responsabile Unità minori, Servizio minori e famiglia, Comune di Firenze
“La realtà dei servizi di accoglienza per minori e degli interventi a favore dei minori stranieri non accompagnati del Comune di Firenze”
h. 12.00-14,30/15.00
Visita città e pranzo
h. 14.30/15.00-16.30
Firenze, Tribunale per i minorenni
Gianfranco Casciano – presidente del Tribunale per i minorenni della Toscana
“L’attività del Tribunale per i minorenni della Toscana”
h. 17.00-18.30
h. 10.00-12.30
h. 12.30-14.00
h. 14.00-15.30/16.00
Visita alle comunità di accoglienza dell’Istituto Gould di Firenze
Accompagnatore: Daniele Maltoni – Centro adozioni e Centro affidi del Comune di Firenze
Giovedì 28/1/2010
Siena, Palazzo Comunale, Piazza del Campo
Saluti
“Gli interventi del Comune di Siena in tema di tutela dei diritti dei minori e di organizzazione dei servizi dedicati”
Cristina Pasqui – referente area minori zona senese, Comune di Siena
Simona Viani – referente organizzativo per l’adozione, Comune di Siena
“L’esperienza dei Quattro Centri per l’adozione nazionale e internazionale della Toscana: incontro con i referenti delle attività”
Daniele Maltoni – Centro adozioni Firenze
Cristina Pasqui – Centro adozioni Siena
Ivana Massi – Centro adozioni Prato
Letizia Ciompi – Centro adozioni Pisa
Pranzo
Visita al Palazzo Comunale di Siena
PROGRAMMA PER ROMA (Delegazione dello Stato di Bahia e Delegazione
dell’autorità centrale brasiliana)
h. 9.30-10.00
Mercoledì 27/1/2010
Partenza dall’hotel e trasferimento al Comune di Roma
h. 10.00-12.15
Comune di Roma, Dipartimento politiche sociali e promozione della salute,
Incontro con i funzionari e gli operatori sui temi “Le politiche per l’infanzia, l’adolescenza e il sostegno alla genitorialità” e “I servizi territoriali per l’adozione e l’affido a Roma”
h. 12.15-13.00
Trasferimento alla Struttura per adolescenti La città dei ragazzi
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PROGRAMMA STAGE DELEGAZIONE BRASILIANA IN ITALIA
E SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO ITALIA-BRASILE
h. 13.00-14.30
Pranzo presso la stessa struttura
h. 14.30-16.30
Visita della struttura e incontro con i responsabili e gli operatori
h. 17-18.30
h. 18.30
20.00
h. 9-00-10.00
Commissione per le adozioni internazionali, incontro dei vertici della Commissione con
l’Autorità centrale federale del Brasile (Patrécia Lamego e assistente)
Rientro in Hotel
Cena con i rappresentanti della Commissione per le adozioni internazionali presso il ristorante dell’Hotel Nazionale
Giovedì 28/1/2010
Trasferimento dall’hotel al Consultorio familiare
h. 10.00-12-00
Consultorio Familiare San Benedetto
Incontro con il direttore e gli operatori del GIL adozioni
h. 12.00-14.00
Colazione di lavoro
14.00-16.00
Sera
Tribunale per i minorenni di Roma
Incontro con il Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma e alcuni magistrati
Nel pomeriggio le delegazioni da Bologna e da Firenze si spostano a Roma
Villa Madama – Loggiato di Raffaello
Cena ufficiale presieduta dal sottosegretario di Stato senatore Carlo Giovanardi, con le
delegazioni congiunte a Roma
Venerdì, 29/1/2010
ROMA (QUINTA GIORNATA; SEMINARIO CONCLUSIVO CONGIUNTO BRASILE-ITALIA;
AREA PREVALENTE PER INTERVENTO INTRODUTTIVO: PEDAGOGICO-INTERCULTURALE)
Presiede il sottosegretario di Stato senatore Carlo Giovanardi
h. 9.30
Saluti e apertura dei lavori
Carlo Giovanardi – sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio e presidente
della Commissione per le adozioni internazionali
Patricia Lamego – coordinatore dell’Autorità centrale brasiliana
h. 10.00
“Il senso di un percorso formativo e autoformativo di scambio di esperienze”
Giorgio Macario – responsabile scientifico e formativo per la formazione nazionale e internazionale
h. 10.15
“La soggettività nelle dinamiche interculturali. Il mondo delle adozioni”
Giuseppe Milan – professore ordinario di Pedagogia interculturale e Pedagogia sociale,
direttore del Dipartimento di Scienze dell’educazione, Università di Padova
h. 11.00
Proiezione del video realizzato durante lo stage della delegazione italiana in Brasile
(versione provvisoria)
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APPENDICE
h. 11.30
Coffee break
h. 11.45
Tavola rotonda:
“Il contesto giuridico nelle adozioni internazionali. Il sistema giuridico brasiliano visto
dall’Italia e il sistema giuridico italiano visto dal Brasile”
Coordina: Daniela Bacchetta
Partecipano:
Reinaldo Cintra Torre de Carvalho – giudice, membro della Sezione di infanzia e gioventù del Tribunale di giustizia di San Paolo
Wagner Wilson Ferreira – giudice, Corte di Giustizia del Minas Gerais (membro della
CEJA-MG)
Arnaldo José Lemos de Souza – giudice, Prima sezione di infanzia e gioventù della Circoscrizione giudiziale di Salvador - BA
Roberto Ianiello – giudice, Tribunale per i minorenni di Roma
Vincenzo Starita – giudice, Tribunale per i minorenni di Salerno
Mario Zevola – giudice, Tribunale per i minorenni di Milano (presidente)
Gianfranco Arnoletti – Ente autorizzato CIFA
Pietro Ardizzi – ente autorizzato AVSI
h. 13.45
Pranzo
h. 14.45
Tavola rotonda:
“Il contesto psicologico e sociale nelle adozioni internazionali. Il sistema dei servizi per
l’infanzia e l’adozione italiano visto dal Brasile e il sistema dei servizi per l’infanzia e l’adozione brasiliano visto dall’Italia”
Coordina: Giorgio Macario
Partecipano:
Sandra Lucena – assistente sociale, CEJA-BA
Conceição De Maria Camurça Citó – social judicial assistent MG
Silvia Nascimento Penha – psicologa del CEJAI-SP
Carmine Pascarella – psicologo, partecipante per la Regione Emilia-Romagna
Albarosa Talevi – psicologa, partecipante per la Regione Marche
Daniela Randazzo – psicologa, partecipante per la Regione Sicilia
Alice Calori – ente autorizzato Istituto La casa
Marco Griffini – ente autorizzato AIBI
h. 16.45
Conclusioni
Daniela Bacchetta, vicepresidente Commissione per le adozioni internazionali
Patricia Lamego, coordinatore Autorità centrale brasiliana
Sabato, 30/1/2010
ROMA (SESTA GIORNATA)
Programma culturale e partenza per il Brasile
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Delegazione italiana per stage in Brasile1
(San Paolo – Bahia – Belo Horizonte, 7-13 settembre 2009)
Lo staff
Giorgio Macario*, responsabile scientifico e formativo
Maurizio Millo, esperto giuridico
Anna Maria Colella*, esperto servizi
Vanessa Carocci, tutor
Valentina Ortino*, tutor
Adamo Antonacci, operatore video
Marco Sabatini*, referente amministrativo Istituto degli Innocenti
I partecipanti
Girolamo Baldassarre* (psicologo, Regione Molise)
Adele Ferrari (psicologa, Regione Lombardia)
Roberto Ianniello* (magistrato, Tribunale per i minorenni di Roma)
Elena Iovane* (assistente sociale, Regione Calabria)
Verena La Chiusa* (assistente sociale, Provincia autonoma di Bolzano)
Rocco Ributti (referente legge 476/1998, Regione Basilicata)
Chiara Lionello* (psicologa, Regione Veneto)
Daniele Maltoni (assistente sociale, Regione Toscana)
Illia Martellini* (referente legge 476/1998, Regione Friuli Venezia Giulia)
Elena Mazzella (assistente sociale, Regione Campania)
Carmine Pascarella* (psicologo, Regione Emilia-Romagna)
Nicoletta Poli (assistente sociale, Provincia autonoma di Trento)
Daniela Randazzo (psicologa, Regione Sicilia)
Paola Salino (psicologa, Regione Valle d’Aosta)
Vincenzo Sparita (magistrato, Tribunale per i minorenni di Salerno)
Albarosa Talevi (psicologa, Regione Marche)
Giorgina Zaccaron (referente legge 476/1998, Regione Liguria)
Giuliana Zerbato (assistente sociale, Regione Umbria)
Mario Zevola* (magistrato, Tribunale per i minorenni di Milano)
Federica Sassi* (psicologa, accompagnatrice)
Gabriele Terzano* (psicologo, accompagnatore)
1 Tutti i partecipanti erano presenti nello stage a San Paolo. I partecipanti contrassegnati da (*)
hanno proseguito lo stage a Bahia, mentre gli altri si sono recati a Belo Horizonte.
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Delegazione brasiliana per stage in Italia1
(Firenze – Roma – Bologna, 25-30 gennaio 2010)
ACAF
Patricia Lamego de Texeira Soares, coordinator
Juliana Paes de Castro, assessora técnica/assistant
Bahia
Daniela Gonzaga, coordinator (judge/president CEJA)
Simone De Castro, social assistant/social worker (secretary CEJA)
Sandra Lucena, social assistant/social worker CEJA
Paula Amaral, psychologist CEJA
Arnaldo Lemos, judge - 1ª Vara da infância de Salvador
Walter Ribeiro, judge, Vara da infância de Feira de Santana
Katia Cunha, judge, Vara da infância de Jiquiriça
Sandra Mendonça, judge, Vara da infância de Ilhéus
Minas Gerais
Wagner Wilson Ferreira, coordinator, judge of Court of justice of Minas Gerais State and
member of CEJA-MG (representative of Judge Célio César Paduani, CEJA’s president)
André Luiz Amorim Siqueira, judge of the justice general, superintendence of Minas
Gerais State and member of CEJA-MG
Valéria da Silva Rodrigues, law judge of the children and youth, subsection and member
of CEJA-MG
Matilde Fazendeiro Patente, justice prosecutor of children and youth, subsection from
Belo Horizonte and member of CEJA-MG
Liliane Maria Lacerda Gomes, CEJA’s coordinator
Conceição de Maria Camurça Citó, social judicial assistant
Ana Christina Bensemann da Costa Cruz, judiciary official
Alcione Adriana Teixeira, judicial psychologist
San Paolo
Ademir de Carvalho Benedito, coordinator, desembargador (membro da Comissão estadual judiciária de adoção internacional do Estado de São Paulo)
Raul Khairallah Oliveira Silva, juiz secretário da Comissão estadual judiciária de adoção
internacional do Estado de São Paulo
Reinaldo Cintra Torres de Carvalho, juiz membro da Coordenadoria da infância e da
juventude do Tribunal de justiça do Estado de São Paulo
Eduardo Cortez de Freitas Gouvea, juiz substituto em segundo gráu da Câmara especial
do Tribunal de justiça do Estado de São Paulo (área da infância e da juventude)
Ana Cristina Marcondes de Moura, assistente social judiciário, diretora do Núcleo de apoio
profissional de serviço social e psicologia do Tribunal de justiça do Estado de São Paulo
1 Tutti i partecipanti hanno avviato lo stage a Firenze e lo hanno concluso a Roma. Nella terza e
quarta giornata la delegazione del Minas Gerais si è recata a Bologna; la delegazione di San Paolo è
rimasta a Firenze; la delegazione di Bahia e con l’ACAF si è recata a Roma.
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DELEGAZIONE BRASILIANA PER STAGE IN ITALIA
Denise Helena de Freitas Alonso, psicóloga judiciário, psicóloga-chefe do Núcleo de
apoio profissional de serviço social e psicologia do Tribunal de justiça do Estado de São
Paulo
Clarinda Frias, assistente social judiciário do grupo de atendimento à Comissão estadual judiciária de adoção internacional do Estado de São Paulo
Silvia Nascimento Penha, psicóloga judiciário do grupo de atendimento à Comissão
estadual judiciária de adoção internacional do Estado de São Paulo
Cláudia Grieco Tabosa Pessoa, juiza secretaria da Comissão estadual judiciária de adoção internacional do Estado de São Paulo e juiza auxiliar da Corregedoria geral da justiça do egrégio Tribunal de justiça do Estado de São Paulo
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Finito di stampare nel mese di maggio 2011
presso la Litografia IP, Firenze
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