la bibbia come storia della salvezza

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la bibbia come storia della salvezza
VII.
LA BIBBIA COME STORIA DELLA SALVEZZA
Una visione di fede
La storia della salvezza non è una storia parallela a quella profana, è la storia narrata nei
libri sacri, letta con occhi di fede. Solo la fede sa scoprire, dentro la storia, l’impronta di Dio, il
suo piano di salvezza a favore dell’umanità. E’ una storia dentro la storia che solo Gesù ha potuto
decifrare e che lo Spirito Santo ispiratore delle Scrittura ha insegnato alla Chiesa. Nell’Apocalisse
una scena illustra tutto questo: Dio, seduto sul suo trono di gloria, tiene in mano un rotolo scritto
all’interno e all’esterno, chiuso ermeticamente da sette sigilli di ceralacca come i documenti
diplomatici del tempo. Nessuno è in grado di aprire quel rotolo misterioso. Si tratta del libro del
progetto misterioso di Dio, ormai completo (scritti dentro e fuori) con la venuta degli ultimi tempi.
Giunge l’Agnello, simbolo del Cristo pasquale immolato e risorto; ormai glorificato, egli sale sul
trono di Dio, prende il volume e lo apre con facilità, scatenando il canto entusiasta e gioioso di tutte
le creature: «Tu sei degno, o Signore, di prendere il rotolo e di aprirne i sigilli, perché sei stato
immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro per nostro Dio un regno e sacerdoti, e regneranno su tutta la terra» (Ap 5,1-10).
La storia contenuta nella Bibbia non è solo una serie di fatti raccontati in forma di cronaca,
slegati fra loro, è un insieme di avvenimenti scelti per il loro significato religioso teologico che lo
Spirito ha ordinato per mostrare come Dio ha agito logicamente all’interno di essi per costruire
un progetto di salvezza. Il giorno di Pasqua, Gesù risorto comparve agli apostoli e «aprì la loro
mente a comprendere le Scritture». E’ l’inizio di quella lettura unitaria della Bibbia che contiene
la rivelazione completa di Dio. Paolo, che ne aveva penetrato con l’aiuto dello Spirito il pieno
significato, lo chiamava «il mistero di Dio» e lo presentava così ai cristiani di Efeso: «A me, che
sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili
ricchezze di Cristo e illuminare tutti sull’attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore
dell’universo, affinché per mezzo della Chiesa, sia manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli
la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù» (Ef.
3,8-11) .
Gesù centro e fine della storia
Il Dio della Bibbia è il Dio della storia: Egli si rivela dentro
gli avvenimenti storici e attraverso di essi. Qui incontra l’uomo e
lo chiama a costruire storia con lui. Le divinità pagane erano dei
della natura, legate agli astri o ai cicli della fecondità vegetale o
animale. Gli autori biblici operarono una rivoluzione culturale
enorme con la loro fede nel Dio che agisce nella storia. Egli si era
rivelato così a Mosè: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe . Ho udito e
osservato la miseria del mio popolo in Egitto, sono sceso per
liberarlo» (Es 3,6-8). In quella circostanza egli rivelò a Mosè il
suo nome ineffabile: «Io sono colui che sono», cioè il Dio
presente nella storia «Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe»,
Jahweh (colui che è sempre presente) (Es 3,14-15).
1.
La storia della salvezza procede per selezione
L’ autoselezione, è la prima legge che guida la storia biblica della salvezza. Dio chiama
gli uomini a collaborare con lui, ma c’è chi non risponde e non collabora; così si autoesclude e si
emargina. La Bibbia mostra che la storia ha camminato come su un binario tracciato da Dio;
su questa duplice rotaia parallela hanno agito insieme Dio e l’uomo. Coloro che hanno collaborato
al piano di Dio hanno portato avanti il treno della salvezza, coloro che l’hanno rifiutato sono scesi e
sono rimasti ai margini delle rotaie. In una parola, hanno fatto vera storia solo i collaboratori di
Dio, gli altri hanno fatto solo cronaca, spesso cronaca nera.
Uno dei compiti delle genealogie che si riscontrano numerose nella Bibbia è di mostrare
quali furono i veri collaboratori di Dio nelle storia della salvezza. Esse mostrano una vera selezione
di personaggi che inizia molto presto: Caino si autoescluse con l’omicidio di suo fratello Abele e
Dio lo sostituì con Set, il terzo figlio di Adamo (Gn 4,25-26). Dei figli di Noè ha fatto storia solo
Sem, il figlio rispettoso e fedele; Cam e Iafet scompaiono presto dalla storia con i rispettivi
discendenti (Gn 11,16-26). Dei tre figli di Terach, solo Abramo ha fatto storia perché obbediente
alla chiamata di Dio, che gli assicurò: «In te e nella tua discendenza si diranno benedette tutte le
famiglie della
terra (Gen 1,3; 22,16).
Con Abramo inizia una discendenza benedetta che attraversa tutti i tempi (Gal 3,7). Dio si
riserva di scegliere i portatori della benedizione
per l’umanità come recita la professione di fede
proclamata da Giosuè a Sichem: «Io presi
Abramo vostro padre; gli diedi Isacco; a Isacco
diedi Giacobbe. In seguito mandai Mosè e Aronne
e vi feci uscire» (Gs 24, 2-13). Così Dio scelse
Giacobbe, invece di Esau (Gen 27, 27-29), per i
dodici figli di Giacobbe la scelta del padre cadde
su Giuda, che era appena il quartogenito; i primi
tre (Ruben, Simone e Levi)
furono esclusi, perché non si erano comportati
Abramo sta per sacrificare Isacco (Caravaggio)
bene (Gn 49,9-12). Questa libertà di selezione
affiorò ancora quando si trattò di scegliere una monarchia permanente per il popolo d’Israele : Dio
respinse il grosso Saul della tribù di Beniamino, eletto re da Samuele, e scelse il piccolo Davide che
apparteneva alla tribù di Giuda (2°Sam 7,11-12).
L’evangelista Matteo ci ha fornito il riassunto della storia della salvezza nella genealogia di
Gesù che mette all’inizio del suo vangelo (Mt5 1,1-17): Ci fornisce tre serie di 14 nomi ciascuna,
da Abramo a Cristo. Il numero 14 nasconde la cifra di Davide (in ebraico 14 si scrive con le lettere
di questo nome: DWD) che è al centro di quella lunga lista. La benedizione di Abramo è passata
attraverso quelle persone chiamate per nome. Essi hanno fatto storia di salvezza, qualche volta
loro malgrado, perché non furono tutti esemplari. Prepararono comunque la via al Cristo.
1. L’inizio e la fine si richiamano
La seconda legge della storia della salvezza è quella del richiamo allusivo. Così il libro
della Genesi, che è il primo libro della Bibbia, è richiamato dall’Apocalisse che è l’ultimo. Questo
richiamo molto chiaro indica l’unità teologica della Bibbia: c’è dietro un progetto che lega tutti i
libri sacri, organizzati per far risaltare il piano di salvezza messo in atto da Dio, che è l’autore
principale del Libro Sacro.
2
Dopo il peccato originale che introdusse nel mondo la maledizione e distrusse la felicità
dell’uomo, scattò la benedizione di Dio che avviò la storia della salvezza. Dio maledì il serpente,
figura del demonio, con queste parole: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la
sua stirpe (zera’): questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3,15).
La vergine del Segno
Questa lotta impari è attesa e realizzata lungo i
secoli nello scontro tra il bene e il male, il peccato e
la grazia. Nella sua fase finale è descritta dalla
Apocalisse che presenta la Donna ormai divenuta
Chiesa così: «Un segno grande apparve in cielo:
una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi
piedi e, sul capo una corona di dodici stelle. Era
incinta, e gridava per le doglie del parto. Allora
apparve un altro segno i cielo: un enorme drago
rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette
diademi. Il drago si pose davanti alla donna, che
stava per partorire, in modo da divorare il bambino
appena lo avesse partorito. Essa partorì in figlio
maschio, destinato a governare tutte le nazioni con
scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e
verso il suo trono: La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Scoppiò quindi una guerra in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il drago. E il
grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la
terra abitata, fu precipitato sulla terra. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: ″Ora si è
compiuta la salvezza, la forza il regno del nostro Dio » (Ap 12,1-10).
Sono sottolineati gli elementi che fanno riferimento chiaro alla promessa di Dio ai
progenitori: La donna contemplata nelle luce di Dio (vestita di sole); il drago, il serpente antico
che tenta di assalire la donna e divorare il figlio (la sua stirpe: zera’) senza riuscire nel suo intento
(insidia il calcagno). Il figlio dal suo trono nel cielo invia Michele e i suoi angeli e sconfigge
definitivamente il serpente (gli schiaccerà la testa).
Per dipingere il quadro, che abbiamo appena letto, Giovanni, nella sua Apocalisse, usa
chiaramente come modello Maria la madre di Gesù. Siamo riportati all’incarnazione che Paolo
presenta così: «quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (la
stirpe benedetta) (Gal 4,4). Dopo un numero incalcolabile di secoli, compare finalmente quella
figura misteriosa di donna madre, portatrice di speranza per l’umanità.
Luca ci narra l’annunciazione a Maria, una vergine di Nazaret, sposa di Giuseppe della
famiglia di David; l’angelo Gabriele, inviato da Dio, le aveva detto:«Non temere, Maria, perché hai
trovato grazia presso Dio. Ed ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce, lo chiamerai Gesù» (Lc
1,30-31). Elisabetta che, ispirata dallo Spirito Santo, avvertì la maternità misteriosa di Maria,
proclamò: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo»(Lc 1,42). Era un’eco
della benedizione-promessa pronunciata da Dio agli inizi dell’umanità: finalmente la donna
benedetta, che con il frutto del suo grembo, vincerà il male, è arrivata e si chiama Maria.
A questa scena ben conosciuta si era ispirato Giovanni nell’Apocalisse, nel presentare la
Chiesa, come la donna incinta che partorisce Cristo al mondo in ogni epoca, riaccendendo la
lotta tra il demonio e l’umanità dei salvati. Era un aggiornamento della promessa divina fatta da
Dio ai progenitori nel momento in cui lasciavano il Paradiso creato per loro.
3
Quel Paradiso l’Apocalisse vuole ripresentare come compimento di un lungo viaggio umano
che da lì era partito e lì ritornava. Così l’ultimo libro della Bibbia ci riporta al primo, dove era
descritto il giardino dell’Eden luogo della vita e della felicità (Gn 2,4-25). Questo mostra lo Spirito
Santo, autore principale della Bibbia, pur servendosi da tanti scrittori umani in epoche diverse. La
immagine dell’Eden primordiale, ormai si è arricchita e popolata lungo la storia: è diventata una
città, la città di Dio, Gerusalemme, raduno di tutte le genti, come aveva visto Isaia (Is 60). Così la
descrive l’Apocalisse: « Vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti
erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova,
scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce
potente che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai
loro occhi; non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno,perché le cose di prima sono
passate». E Colui che sedeva sul trono disse: ″Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Ecco sono
compiute!″» (Ap 21,1-6).
Le antiche mura del Tempio di Gerusalemme
«In principio Dio creò il cielo e la terra»
(Gn 1,1), ora li rifà nuovi : è una nuova
creazione che scende dal cielo, da Dio,
annullando il caos del male che ha invaso
la terra. Non c’è più la sola coppia umana
primordiale, ora c’è una moltitudine
immensa di salvati di tutti i tempi e di
tutte le razze (Ap 7,9); ci vuole una città
nuova dalle mura larghe quanti il mondo
per contenerli tutti (Ap 21,9-27). Qui
l’umanità ritrova nella speranza il suo
paradiso perduto, ancor più splendido e
felice di quello lasciato da Adamo e Eva. Sarà la città della vita senza fine, perché non vi sarà più
morte, né lutto,né lacrime. Come un tempo Dio viveva con i primi uomini, ora tornerà a vivere ed
abitare con loro.
2. Le promesse messianiche
La terza coordinata della storia della salvezza e la linea messianica che attraversa la Bibbia da
cima a fondo e condiziona le scelte dei fatti narrati. Anche per questo tema è necessari partire dalla
promessa fatta ai progenitori sulle soglie del Paradiso terrestre. Dio promise una discendenza
benedetta che avrebbe vinto definitivamente il demonio. Proprio parlando a costui gli dice:« Io
porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe (zerà’): questa ti schiaccerà la
testa e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3,15). E’ seguendo il filo di quella stirpe, cioè di quella
discendenza (zerà’) benedetta, che scopriamo nelle pagine della Scrittura il piano di Dio.
Questa «discendenza» passa attraverso il figlio di Adamo, Set (Gen 4,25) e arriva a Noè (10,1);
attraverso Sem (11,10) arriva ad Abramo (11,27). Qui si esplicita ancora con la benedizione e le
promesse che vi sono legate. Dio dice: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò
grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. In te si diranno benedette tutte le famiglie
della terra» (12,2-3). Dopo il sacrifico del figlio Isacco, Dio gli specifica: «Si diranno benedette
nella tua discendenza (zerà’) tutte le nazioni della terra» (22,18). Paolo commenterà così questa
promessa: «Non dice la Scrittura:″i tuoi discendenti″ come se si trattasse di molti, ma ″la tua
discendenza″, come a uno solo, cioè Cristo» (Gal 3,16). E’ l’eco delle parole di Gesù che diceva
agli ebrei: «Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna; sono proprio esse che
danno testimonianza di me» (Gv 5,39). Dopo la Pasqua, fin dalla sua prima apparizione, il risorto
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insegna: «Sono queste le parole che io vi dissi, quando ero ancora con voi: bisogna che si
compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì la
loro mente per comprendere le Scritture e disse: ″così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà da
morte il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono
dei peccati, cominciando da Gerusalemme» (Lc 24,44-47). Ciò che diremo confermerà queste
parole, specie nelle evidenze segnalate.
La promessa di salvezza messianica si trasmette con la benedizione patriarcale a Isacco e poi a
Giacobbe che l’affida a Giuda, specificando ancora: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il
bastone di comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta
l’obbedienza dei popoli» (Gn 49,10). Parole ancora misteriose, ma che alludono alla venuta di un
sovrano che regnerà sui popoli del mondo. E’ la discendenza promessa ad Abramo, nella quale
saranno benedette tutte le nazioni della terra. Il futuro Messia avrà caratteristiche regali.
Mosè commisura su di sé la figura del futuro Messia: egli avrà la personalità di un profeta
portatore della rivelazione di Dio. Egli lo descrive così: « Il Signore tuo Dio susciterà per te, in
mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai
chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce
del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose:
Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in
bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole,
che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto»(Dt 18,15-19).
Intanto con la proclamazione di Davide come re d’Israele, la regalità
di un suo futuro misterioso discendete prende forma. Il profeta Natan
(1000 a.C.) a nome di Dio annuncia al re: «Quando i tuoi giorni saranno
compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente
(zera’) dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno.
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo
trono sarà reso stabile per sempre» (2°Sam 7,12.16). Da questo
momento i profeti del regno di Giuda, faranno a gara per delineare
sempre meglio al figura del Messia davidico.
Primo fu Isaia, che a causa delle su anticipazioni profetiche sempre
più dettagliate, venne chiamato «profeta evangelista». In occasione della
nascita del pio re Ezechia (716 a.C.) egli vide un anticipo simbolico della nascita del futuro
Messia con espressioni ridondanti che mal sia adattano al nudo fatto storico : «Un bambino è nato
per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere, e il suo nome sarà: Consigliere
ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace . Grande sarà il suo potere e la
pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con
il diritto e la giustizia, ora e per sempre» (Is 9,5-6)
Chiunque abbia un minimo di familiarità con il vangelo riconosce in queste parole l’annuncio
dell’angelo ai pastori nelle campagne di Betlemme, la notte di Natale: «Vi annuncio una grande
gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è
Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una
mangiatoia. Gloria a dio nell’alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini , che geli ama» (Lc 2,1014). Ci sono tutti gli ingredienti utilizzati da Isaia per confezionare questa figura a distanza di più di
700 anni.
Il luogo della nascita di Gesù bambino
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Lo stesso profeta descrive con colori vivi e
simbolici l’ambiente idilliaco creato dal Messia
bambino con la sua nascita: «Un germoglio
spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto
germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo
Spirito del Signore. La giustizia sarà fascia per i
suoi lombi e la fedeltà sarà cintura ai suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo
si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il
leoncello pascoleranno insieme e un piccolo
fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa
pascoleranno insieme, i loro piccoli si sdraieranno
insieme. Il leone si ciberà di paia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il
bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso» (Is 11,1-8).
Lo scopo di questo personaggio delicato come un germoglio e debole come un virgulto, è di
vincere la cattiveria con la bontà e la forza bruta con la debolezza disarmante. Egli appiana i
contrasti e compone gli opposti con la legge dell’amore; ristabilisce l’armonia paradisiaca,perché
lo Spirito del Signore è su di lui. Sembra qui evocata la figura di Gesù subito dopo la teofania del
Giordano: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase 40 giorni, tentato da Satana.
Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,1,12). E’ come se Gesù,
l’innocente, reintroducesse lo stato dell’uomo prima del peccato. Lui, l’obbediente che resiste alle
tentazioni, è la controfigura di Adamo, che ha rotto l’armonia con Dio e con le creature. Un giorno
quell’armonia sarà ristabilita definitivamente. Egli creerà un nuovo mondo, dove «non vi sarà più
maledizione» (Ap 22,3).
Il profeta Michea, contemporaneo di Isaia, durante l’assedio assiro di Gerusalemme (701 a.C.),
precisa ancora le circostanze della nascita del futuro Messia. Gerusalemme è divenuta una città
violenta e oppressiva; il Messia non nascerà in questa città come ci si aspetterebbe per un
discendente di David: egli nascerà a Betlemme. Il profeta infatti proclama: « E tu, Betlemme di
Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te nascerà colui che deve essere il
dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Egli si leverà e
pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri
perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!» (Mic
5,1-4).
Anche qui sono molti gli agganci evangelici: Erode poté
indirizzare i Magi a Betlemme, perché il Sinedrio gli citò questa
profezia di Michea (Mt 2,5-11). Luca ci rivela che fu un
censimento di Cesare Augusto a spostare Maria e Giuseppe da
Nazaret, dove risiedevano, alla città di nascita di David (Lc 2,17). Dio non poteva smentire il suo profeta. Qui nasceva il nuovo
re d’Israele, il Salvatore, il Cristo e il Signore, le cui origini
erano nell’eternità, perché nato dal Padre prima di tutti i secoli
(Gv 1,1). E proprio nelle campagne di Betlemme fu presentato
come re della pace sulla terra degli uomini che Dio ama.
Il profeta Amos, qualche decennio prima di Michea, aveva detto a
nome di Dio: «In quel giorno rialzerò la capanna di Davide che
è cadente; ne riparerò le brecce,ne rialzerò le rovine, la
ricostruirò come ai tempi antichi» (Am 9,11). Nascendo a
Betlemme, il Messia risollevava la capanna di David. La storia
della salvezza cristiana ricominciava dove era iniziata la storia
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del re pastore. Natan aveva ragione quando diceva a Davide a nome di Dio: «Io susciterò un tuo
discendente (zera’). La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono
sarà reso stabile per sempre» (2°Sam 7,12.16). Dio non dimentica, perciò l’angelo Gabriele,
ripeterà a Maria la stessa promessa per il figlio annunciato: «Il Signore gli darà il trono di David
suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32).
Fin qui la personalità regale del Messia atteso da tutto il popolo ai tempi di Cristo. La
domenica delle Palme, la folla che accompagna Gesù lo acclama con entusiasmo: «Osanna al
figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!»
(Mt 21,9). La modesta coreografia esterna contrasta con la personalità regale del Messia come
aveva preannunciato il profeta Zaccaria (9,9): «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re,
mite seduto su un’asina, su un puledro, figlio di una bestia da soma» (Mt 21,5). Si trattava di una
regalità tutta particolare che non ha paragoni nella storia; lo spiegava lo stesso Gesù a Pilato che gli
chiedeva se egli era vero re, o re di burla: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno
fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai
Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36).
Gesù ha faticato molto a far capire ai discepoli la particolare dignità regale che egli incarnava,
ma non ci era riuscito. Nei tre annunci della sua passione disseminati nel vangelo (Mc 8,31-38;
9,31-32; 10,32-34) egli aveva fatto riferimento ad alcune profezie di Isaia rimaste dimenticate,
perché tutt’altro che trionfalistiche. Gesù aveva concluso il suo terzo annuncio della passione con
queste parole:« Voi sapete che coloro che sono considerati i governanti delle nazioni dominano su
di esse, e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuol diventare grande tra voi
sarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà lo schiavo di tutti. Anche il Figlio
dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
molti»
Gesù faceva riferimento a Isaia che aveva presentato il Messia come Servo del Signore in
quattro canti contenuti nella seconda parte del suo libro:
Il primo descriveva la sua mansuetudine e la sua forza d’animo: «Ecco il mio servo che io
sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto
alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una
canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con
fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra; e le
isole attendono il suo insegnamento» (Is 42,1-4). Chiunque vede le allusioni a precisi testi evangeli
tra cui Mt 12,19.
Il secondo canto descrive il futuro Messia come un profeta disprezzato e rifiutato che sembra
aver faticato invano per farsi capire e accettare: «Io ho risposto: ″Invano ho faticato, per nulla e
invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,la mia ricompensa
presso il mio Dio″. Mi disse: ″E’ troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di
Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la
mia salvezza fino all'estremità della terra». Così dice il Signore, il redentore di Israele, il suo
Santo,a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni, al servo dei potenti: ″I re vedranno e
si alzeranno in piedi,i principi si prostreranno, a causa del Signore che è fedele,del Santo di Israele
che ti ha scelto″» (Is 49,4-7). Qui c’è tutta la vicenda umana di Cristo apparentemente fallimentare,
conclusasi con l’abbandono di tutti e con la morte in croce. Ma poi c’è stata la sua risurrezione a
riscattare l’apparente fallimento. Egli è diventato allora «luce del mondo» (Gv 8,12; 9,5), lo ha
anticipato con la guarigione de cieco nato di Gerusalemme.
Cristo del Beato Angelico
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Il terzo canto anticipa alcune sofferenze subite da Gesù
durante la sua passione: «Ho presentato il mio dorso ai
flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba,
non ho sottratto la mia faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore mi
assiste, per questo non resto svergognato. Chi tra voi teme il
Signore ascolti la voce del suo servo» (Is 50,6-10). Basterebbe
rileggere le pagine dei vangeli. In casa di Pilato, Gesù subì la
flagellazione e gli insulti dei soldati; c’è una sorprendente
coincidenza con questa pagine scritte sette secoli prima: «Pilato
fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati intrecciarono
una corona di spine, glie la posero sul capo e gli misero addosso
un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: ″Salve,
re dei Giudei!″. E gli davano schiaffi»(Gv19,1-3). In casa di Caifa
non andò meglio «Alcuni si misero si misero a sputargli addosso, a
bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli:″Fai il profeta!″. E i
servi lo schiaffeggiavano» (Mc 14,65).
Finalmente il quarto canto completa la descrizione del Messia sofferente con questa specie di
elegia:
« È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha
apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi,non splendore per poterci piacere. Disprezzato e
reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si
copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,si è addossato i nostri dolori e noi lo
giudicavamo castigato,percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue
piaghe noi siamo stati guariti. Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta
sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei
viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il
ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di
riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del
Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio
servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le
moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato
annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (Is
53,2-12).
Sono molti i richiami presenti nella pagine del Nuovo Testamento: Sentiamo una terminologia
evangelica ben conosciuta in riferimento a Gesù. La passione di Gesù è riassunta in quella
definizione netta: disprezzato,reietto,uomo dei dolori, un uomo che fa ribrezzo tanto è sfigurato.
Così dovette apparire quando fu presentato alle folle da Pilato dopo la terribile flagellazione:
«Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: ″Ecco
l’uomo!». Bisognava gridare forte che quel mostro di dolore era un uomo!
Le ragioni di tutto questo sono teologiche: Ha voluto essere solidale con chi soffre, per sentirsi
vicino agli ultimi e dare loro coraggio. Matteo cita questo testo quando Gesù compie miracoli (Mt
8
8,17) per dire che, guarendo i malati, Gesù si è addossato le loro sofferenze, costruendosi così
giorno dopo giorno al sua croce; la croce è vista da lui come la somma dei dolori che egli ha tolto
ai malati da lui guariti.
Altra ragione ancora più misteriosa è di carattere spirituale: il Servo di Dio, con la sua passione e
la sua morte si è sostituito a noi nel pagamento dei nostri debiti con Dio; ha pagato per tutti
perché si è addossato i peccati di noi tutti. Il Battista presentando Gesù al mondo aveva detto:
«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29.36). L’evangelista
Giovanni sottolinea che Gesù morì in croce nell’ora in cui si immolavano nel Tempio gli agnelli
pasquali (Gv 18,28), e indica nel crocifisso l’agnello pasquale al quale non doveva essere rotto
alcun osso (19,36). Fu il culmine del suo spogliamento, così descritto da Paolo ai cristiani di
Filippi: «Svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini;umiliò
se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò» (Fil
2,7-9).
Alla sua morte ebbe in prestito da un ricco uomo di Arimatea (Mc 15,43-46) il suo sepolcro
nuovo: «Con il ricco fu il suo tumulo» e il terzo giorno
risuscitò: «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce».
Quel suo sangue sparso per tutti in remissione dei peccati
(Mt 26,28), gli ha guadagnato una moltitudine di segaci da
lui giustificati. Dirà: «Quando sarò innalzato xda terra
attirerò tutti a me» (Gv 12,12).
Sulla strada di Emmaus Gesù aveva spiegato queste cose
ai discepoli scoraggiati e delusi dalla sua morte scandalosa:
«Stolti e tardi di cuore a credere a tutto ciò che hanno
detto i profeti. Non bisognava che Cristo patisse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da
Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva e lui» (Lc 24, 25-27). A conclusione di
quella conversazione i due, come noi, dovettero costatare:
«Non ardeva forse in noi il nostro cuore quando ci
spiegava le Scritture?» (24,32).
Discesa agli inferi, risurrezione
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