Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
Avevo dormito per ore. Venni svegliato dal sole che, passando dalle sbarre, sembrava
quasi squagliarmi il volto.
Avevo anche sognato. Immagini confuse, sfocate, bruciate agli orli. Forse avevo sognato
di quando ero bambino, la mia infanzia. Non ricordavo.
Non è la prima volta. Mi capita spesso di non ricordarmi ciò che sogno. Tuttora la mia
vita non mi pare reale: vivo aspettando il giusto momento per svegliarmi.
Il secondino Dan aprii la cella.
“Dormito bene?” Chiese poggiando la colazione sopra la branda.
Non risposi. Dan fece spallucce e se ne andò. Mentre camminava notai che non poggiava
mai completamente il piede destro. Era zoppo.
Frugai la colazione: il caffelatte era tiepido, quasi freddo, il pane così tostato che anche
un'anatra lo avrebbe scartato.
Feci scorrere il rubinetto e mi rinfrescai il viso. L'acqua era gelida, sembrava pungermi il
viso.
La cella era fredda e poco illuminata. Puzzava di urina e umidità. Le pareti erano
macchiate da piccole crosticine azzurre: quello che rimaneva della vecchia tinta.
Era una stanza completamente spoglia. Triste. In bianco e nero.
A destra c'era la mia branda, dura come la giustizia, a sinistra il water. Il resto pura
desolazione.
La cosa peggiore del carcere è la noia. La noia non andrebbe mai sottovalutata. Ho
sentito storie di suicidi in nome della noia.
Potevi ritrovarti nel mezzo della giornata, sdraiato nel freddo pavimento a contare le
parole dei pochi libri in possesso. Non era triste, era semplicemente noioso. Era triste,
anzi temendo, fare i conti con la solitudine. La solitudine, quel male che non scompare
con una chiacchierata, con l'ora d'aria o col dolce del venerdì. La solitudine è l'angoscia
del presente che deriva da quel passato fatto di scelte sbagliate. Il tutto poi fa da
palcoscenico a quel piatto futuro. Un futuro pronto a schiacciarti con le sue mancate
speranze.
Mi chiedevo: avrò mai una vita? Avrò mai una famiglia, una donna, un lavoro... Tutte
quelle cose che una volta avrei buttato e ricoperto di sputi venivano ora richiamate con
voce rauca per far luce verso la mia salvezza sociale.
Ho sempre creduto che la società volesse ''impacchettare'' l'uomo in una vita fatta di
lavori in ufficio, tasse, spese e mediocri lussi. Regole. Ho sempre evitato tutto ciò. L'ho
evitato così tanto e alla fine sono finito in carcere.
Ma ora, dopo circa cinque anni, prenderei tutto. Prenderei quella strada ''impacchettata'' e
ci girerei l'itinerario della mia vita. Sarei pronto a invecchiare nella mediocrità Avrei
passato le mie ultime risate in compagnia della noia. L'avrei fatto.
Passavo il tempo scrivendo. Scrivevo tantissimo. Riempivo le mie vuote giornate con
centinaia di parole.
Scrivere per me, era come colpire un sacco da boxe. Mi sfogavo. Mi teneva occupato.
Scacciavo la rabbia e le idee folli dalla mia testa. Le idee folli erano quelle che ti si
paravano davanti nei momenti di maggor sconforto. Idee come morire dissanguato
mordendoti la lingua,o tentare di sgozzare il secondino Louis con le posate di plastica. Sì,
le cattive idee si presentavano come pazzia, inizialmente non le temevi, erano facili da
ignorare,non le prendevi sul serio, ma dopo che rimanevano saldate alla tua mente per
tutta la giornata, iniziavi a dare loro attenzioni. Oh! sì che le ascoltavi. Iniziavi a trovarci
positività .erano come un seme. Germogliavano lentamente, senza fretta. E quando
sbocciavano in tutta la loro pazzia,tu le avevi già accettate. Era la fine.
In quel momento la penna ti salvava. Ti ridava lucidità e conforto, pensavo:”Magari un
giorno sarò famoso e mi salverò”.Non che ci credessi fermamente,sia chiario.
Probabilmente era una semplice bugia creata dal mio cervello per salvarmi. Una specie di
meccanismo di autodifesa per non morire.
Ma forse quella bugia, quella stupenda bugia, mi avrebbe veramente donato la chiavi
della libertà. Come una candela del tutto consumata che con lo stupore di tutte le
lampadine bruciava ancora,io volevo ancora bruciare. Avevo ancora qualcosa da dire al
mondo.
Scrivevo almeno cinque racconti alla settimana. Non ero male come scrittore, me la
cavavo. Da giovane avevo vinto qualche concorso.
Provavo a sbalordire gli editori con le mie storie da carcerato. Non funzionava.
Puntualmente i racconti venivano rispediti al mittente. In allegato c'era una lettera da
parte della casa editrice di turno:
“Egregio Sig. Neri, la ringraziamo per il suo aiuto alla letteratura odierna.
Purtroppo siamo costretti a rispedire i suoi racconti perchè non attinenti
alle attuali richieste della casa editrice.
In risposta al vostro interessamento le inviamo un buono sconto spendibile presso i
nostri prodotti,il buono ha validità per dieci giorni.
Distinti saluti, M&B edizioni.”
Puntualmente prendevo la lettera, i racconti, messi in una angolo della cella, e li bruciavo.
Alla luce di quel falò di parole ne producevo altre sul mio blocco notes.
L'intero carcere conosceva la mia passione. Alcuni collegando, per qualche strano
motivo, la scrittura con l'universo femminile, sfottevano. altri invece chiedevano i miei
scritti incuriositi.
Il carcere è come un piccolo mondo in miniatura incatenato. Etnie diverse, storie di
uomini pentiti e non. Il carcere è quella piccola città dove il mondo ''Reale'' riversa i suoi
scarti. Rapine, omicidi..una gabbia dove vengono gettate le più grandi bestie in
circolazione. Personalmente dopo cinque anni ho capito che la cosa più bestiale del
carcere è proprio la sua gabbia.
Indy era alto, magro e curvo. Aveva dei denti tremendamente storti. Sembravano, i denti
spingersi egoisticamente a vicenda alla ricerca di spazio.
Era stato rinchiuso per omicidio. Aveva delle tremende occhiaie ed era un maestro nello
spaventare i nuovi arrivati. Avevo imparato a ignorarlo. Non mi faceva più paura. Ora lo
trovavo ridicolo, anzi comico. Indy lo sapeva, e ciò non le andava giù.Lo infastidiva.
Una mattina, durante l'ora d'aria, tentavo di abbozzare una poesia sulla solitudine, Indy
mi si avvicinò. Mi strappò dalle mani il taccuino. Lo sfogliò e ridacchiò.
“Ehi Neri scrivi ancora stronzate?”. Disse guardando gli altri carcerati in attesa di risate.
Notai che gli mancava il mignolo sinistro .Le risate arrivarono. Non risposi.
“Rispondi finocchio!”. continuò infiammando l'arena. Mi tirò il taccuino.
Scrutai Indy con uno sguardo concentrato, da vero intellettuale.
“Ehi Indy che fine ha fatto il tuo mignolo?”. Chiesi raccogliendo il taccuino, che mi misi
in tasca aspettando la sua risposta.
Ci rimase male, davvero molto male più di quanto mi aspettassi. Gli altri carcerati ci
osservavano in sacro silenzio: lo spettacolo era nell'aria.
Indy si morse le labbra e buttò aria carica di rabbia dalle narici. Il mignolo era il suo
punto debole. Spalancò gli occhi e ne vidi le piccole venuzze rosse.
“L'ho perso spaccando la faccia a un finocchio come te,forse era proprio il tuo ragazzo!”.
Rispose indiavolato. Gli occhi gli si aprivano sempre di più. Gli occhi di un finto pazzo.
Divertito dissi: “Hai perso il mignolo spaccando la faccia a un finocchio?Brutto affare
amico..”.
I carcerati attorno a noi scoppiarono a ridere. Un messicano paonazzo rideva talmente
forte che gli venne la faccia rossa e per poco non si affogò risi anche io. Tutti ridevano
tranne Indy.
Indy era nero.Il suo labbro inferiore vibrava dall'umiliazione ricevuta.
La sirena suonò nell'aria. L'ora d'aria era finita. I carcerati tornarono alle loro celle.
Indy mi fissava impietrito.E'propio incazzato pensai.
Si avvicinò. Ora rideva. Ma era un falso sorriso.
“Tutti dicono che sei uno stronzo,Neri” .L'alito gli puzzava di tabacco.
Tutti si sbagliano gli risposi e me ne andai.
Stai molto attento! Sentii urlare alle mie spalle.
Tornai nella mia cella. Ero stanco. La branda non sembrava più scomoda .Mi
addormentai quasi subito.
Era un raggiante Mercoledì mattina quando il secondino Grant mi prelevò dalla mia cella.
Mi accompagnò dal direttore del carcere e, strada facendo, mi disse che ero
maledettamente fortunato. Non capivo.
Arrivai all'ufficio del direttore. Le poltrone in pelle marrone sembravano uscite da un
museo. Per terra riposava un enorme tappeto indiano. Toccai il tappeto con i piedi: era più
morbido della mia branda
Aspettavo in mezzo all'ufficio in manette. Al mio fianco c'era il secondino Grant pronto a
neutralizzarmi.
Grant sembrava un poliziotto delle SS. Aveva occhi blu ghiaccio e fumava sigarette
finissime. Lo avevo visto leggere Nietzsche con faccia confusa. In fondo era un povero
mediocre. Leccava le scarpe ai superiori e sputava al restante. Odiava i carcerati e
viceversa. Io non gli stavo simpatico. Stranamente!
Il piccolo direttore sbucò da chissà dove con un sigaro in bocca. Era davvero piccolo,
sotto il metro e sessanta .Entrò e non salutò .Camminava e aspirava il suo sigaro cubano.
Roba da ricchi. Roba da direttore del carcerare. Era vestito elegantemente. Aveva una
bella mascella quadrata e ancora qualche capello. Ma era troppo basso.
“Signor Neri! Prego si sieda”.
Mi sedetti nella poltrona in pelle. Era straordinariamente comoda. Anni luce dalla mia
branda .Sensazionale.
“Posso offrirle qualcosa?”chiese il direttore.
Il secondino Grant mi fissava dal fondo della stanza masticando una cicca. Aveva L'aria
da duro.
<<Un bicchiere d'acqua,grazie>>. risposi al piccoletto.
Mi venne data l'acqua, Il direttore mi osservava incuriosito.
“Se avessi saputo della sua passione per la scrittura, gli avrei fatto trovare una macchina
da scrivere nella cella!”.Era una battuta. Non faceva ridere. Decisi di ridere lo stesso,
Grant fece altrettanto.
Il direttore aspirò ancora il sigaro,”la casa editrice M&B, ha saputo della sua storia, ed è
molto interessata a lei,signor Neri, e ai suoi racconti”.
L'acqua sembrò tornarmi su. Ero senza parole. Al secondino Grant venne una faccia
disgustata.
“Da-davvero?”.Balbettai.
“Gli sembro una persona che scherza”.
Il direttore aveva una faccia da pazzo. Un vero pazzo.
“No”.Risposi.
Il piccolo uomo si versò da bere in un bicchierino. Sorseggiò.
“E c'è dell'altro”.
“Cristo”.Pensai.
“C'è la possibiltà di diminuire la sua pena”
.Il secondino Grant ingoiò la cicca.
Ero silenzioso. Buttavo aria nei miei polmoni con respiri veloci e affannati.
Non potevo crederci. Un'ora prima tentavo il suicidio e ora invece vedevo la porta di
uscita, Uscita di sicurezza.
Era tutto così veloce, così poco reale. Temetti si trattasse di un sogno.”Mi sveglierò a
momenti”.Pensai.
E invece non mi svegliai. Il direttore continuava a parlare e gesticolare. Erano gesti pieni
di speranza.
“ Se lei assumerà una condotta positiva all'interno del carcere,tra pochi mesi, potrà
ritenersi un uomo libero”.
Nuovamente non risposi. Dentro di me regnava il caos.
“Beh non risponde?capisco il suo animo...faccia così,torni nella sua cella e metta ordine
tra le sue idee” Disse strizzando l'occhio a Grant. Grant aveva una faccia di bronzo.
Il direttore si alzò dalla sua poltrona, mi diede una pacca sulla sulla spalla: “ Lei ha una
grande occasione signor Neri,una rivincita”.
Le sue parole caricavano. Era come se butasse benzina nel mio animo infuocato. Avevo
voglia di scrivere.
“In bocca al lupo a lei e ai suoi scritti”.
“Crepi”.risposi.
Grant mi strattonò dalla morbida poltrona marrone e mi guidò verso la mia cella.
La pioggia scendeva come lacrime sopra il penitenziario. La cella era completamente
buia. Era notte fonda, circa le tre . Ero disteso nella mia branda in preda all’euforia. La
bella notizia mi impediva di dormire.
Oltre le sbarre la pioggia continuava a cantare.
Solitamente la pioggia facilta il sonno. Si viene cullati dal suo rumore e,lentamente,
diventiamo noi stessi parte della pioggia. Una goccia tra tante.
Ma quella notte i miei pensieri non volevano tacere. Iniziai a fare progetti. Sarei stato uno
degli scrittori di punta della D&B.
Avrei scritto almeno cinque romanzi. Già vedevo le mie opere nelle librerie. Il miei libri
affianco a quelli di Hemingway e Kerouac. Sarei stato fonte di ispirazione per i giovani
scrittori. I miei pensieri sarebbero stati per sempre immortalati nelle pagine dei miei libri.
Il rombo di un tuono interruppe le mie fantasie. Iniziò a tuonare a intervalli regolari.
Fuori Il cielo continuava a piangere. La pioggia bagnava il mondo. Bagnava l'anima.Il
mondo fuori era zuppo d'acqua. Io, da dentro la mia cella facevo progetti.
I giorni seguenti scrissi tantissimo.
Scrivevo giorno e notte, ora d'aria compresa.
Scrissi cinque racconti in tre giorni. Il quarto giorno iniziai il mio romanzo.
Mangiavo pochissimo. La scrittura mi assorbiva talmente tanto che mi faceva perdere
l'appetito.
Persi peso e mi vennero delle brutte occhiaie,ma continuavo a scrivere.
“Così morirai di fame”.Disse il secondino Dan.
“Forse”.
“Che scrivi?”.
“Non è interesse dei secondini ciò che faccio”.
“Morirai di fame”.
“Puo’ essere”.
Dan si grattò le folte sopracciglia. Sospirò.
“Mi piacerebbe leggere qualcosa”.
“Dan, ti prego!2.
“Davvero!”.Urlò
“Fuori dalle palle!”.
Dan mormorò qualche offesa e se ne andò.
Mi pentii subito . Dan era il secondino più gentile di tutto il penitenziario. Non meritava
quel trattamento.
Lavorava lì da vent ‘anni. Parlava con i carcerati più giovani dando loro consigli su come
sopravvivere.
Raccontò della sua famiglia. Aveva due figlie e un gatto. Era vedovo. Criticava il sistema
carcerario e aveva delle foltissime sopracciglia nere. Odiava quel lavoro ma lo faceva
con passione. Uno dei miei primi racconti parlava della sua vita si intitolava ''Il
secondino''.
Poi successe che persi l'ispirazione. Entrai nel panico. Guardavo il taccuino sotto il mio
mento. Avevo una tremenda sensazione di vuoto. Rimasi ore a pensare. Niente. Scrivevo
e cancellavo subito dopo. Tutte banalià .Le banalità non stupiscono gli editori.
Avevo forse perso il mio talento?Ero arrivato al capolinea senza neanche salire sul treno.
Sbuffavo e strappavo pagine dal taccuino.
Dan mi portò la colazione. Io provavo a buttare parole
“Come vanno i tuoi scritti Manuel?”.Chiese.
“Neri!”,urlai.
“Volevo salutarti. Sono stato trasferito”.La sua voce era una chitarra senza corde.
“Buona fortuna”,risposi freddamente.
“Magari un giorno ci si vede fuori”.
“Non penso”.
“Magari parliamo di letteratura”.
“Con te?”.Risi.
“Hai proprio un bel carattere tu”.
Gli diedi le spalle e continuai a scrivere.
“Buona fortuna”,disse Dan andandosene.
“Fermo!”.Dan si bloccò sulla porta.
“Tieni”.Gli diedi alcuni fogli strappati dal mio taccuino.
“E' un tuo racconto?”.
“Sì”.
“Per me?”,chiese.
“Vattene prima che te lo riprenda!”.
Dan lesse il titolo: “Il secondino”.
“Fuori dalle palle!”.
Dan si mise il racconto in tasca ridendo .Nel suo piccolo era un grande uomo. Non lo vidi
mai più.
Girava voce nel carcere che Indy me la volesse far pagare per lo sgarro di qualche
settimana prima.
“Attento amico, quello è pazzo”. dicevano alcuni
“Sei nei guai”.Dicevano altri.
Iniziai a temerlo, come i vecchi tempi.
La mancanza d'ispirazione mi dava angoscia. Indy la paranoia.
All'ora di pranzo ne ebbi la conferma.
“Oggi,all'ora d'aria” disse Miguel il moro.
“Non mi interessa”.
“Quello è pazzo”.
“E 'un bravo attore”.
“Stai attento!”
“Miguel fammi mangiare in pace ok?”.
Miguel non parlo più. Finimmo di mangiare e tornammo nelle nostre celle.
Mi addormentai.
Mi svegliarono i secondini. Urlavano “Ora d'aria!” sbattendo il manganello contro le
sbarre. Mi lavai la faccia e uscii in cortile.
Il cielo era grigio, l’aria carica di tensione.
Cercai Indy tra i carcerati. Non c'era. Probabilmente era rimasto a dormire in cella. Mi
cercai un posto dove scrivere.
Per una buona mezz’ora non scrissi niente. Il mio romanzo rimase incompleto. Iniziò a
gocciolare, il mio taccuino si bagnò.
Improvvisamente i carcerati iniziarono a fare baccano. Sentii chiaramente una voce che
diceva ''Fagliela pagare!''. Guai in arrivo, pensai.
Arrivo Indy. Tutti gli stavano attorno come fosse un messia.
Si fece largo tra i detenuti spingendo e bestemmiando.
“Datemi Neri!”,urlava.
Sbuffai..
Mi alzai e gli andai incontro.
“Indy, siamo uomini adulti non vedo perchè si debba...”Non terminai la frase. Indy mi
strappò il taccuino dalle mani. Iniziò a piovere forte.
Indy sfogliò il taccuino. Mi guardò con faccia inespressiva.
Fece il taccuino in mille pezzi. I carcerati osservarono la scena a bocca aperta.
I coriandoli del romanzo scesero per terra. La pioggia fece il resto.
Quasi d'impulso provai a colpirlo con un dritto. Lo schivò e mi fece scivolare.
Attorno a noi,i carcerati urlavano e ridevano. Neanche i tuoni li zittivano.
Mi ritrovai per terra sopra il fango, completamente sporco e bagnato.
Indy prese la rincorsa e mi diede un calcio. Mi colpii all'altezza della milza: un dolore
lancinante.
“Dove sono i secondini?”.Pensai.
Indy urlava. Era un animale. Mi prese per il colletto e mi scaraventò con violenza sopra i
gradini. Mi sputò più volte.
“Non esagerare”.Dissero alcuni detenuti. Indy non li ascoltava.
Strisciavo per terra cercando di rialzarmi. Mi schiacciò la testa col suo scarpone taglia
quarantaquattro. Quella mossa mi immobilizzò completamente. Mi morsicai la lingua e
sputai. Il sangue usciva come schiuma dalla mia bocca.
Sentivo qualcosa di duro nella tasca sinistra dei pantaloni. La presi in mano, era la mia
stilografica. Indy tolse il suo piede dalla mia faccia e mi prese nuovamente per il colletto.
Mi tirò su all'altezza dei suoi occhi. La mia vista era annebbiata, la milza sembrava vicina
a scoppiare.
“Il fango e la merda saranno la tua tomba!”.Urlò Indy.
La pioggia bagnava i nostri volti.
“VAFFANCULO!”.Risposi conficcandogli con forza la penna nell’ occhio destro.
Le sue urla di dolore tra la pioggia erano un qualcosa di poetico. La penna gli rimase
conficcata nell'occhio.
“Il mio occhio, dannato BASTARDO!”.Urlava muovendosi nevroticamente senza meta,
con i suo occhi coperti dalle mani.
I carcerati erano zitti. Non parlavano più. Alcuni andarono ad aiutarlo: “Mollami!”,urlava
tra lacrime e pioggia.
Il suo sangue colò per terra macchiando i resti del mio taccuino di rosso. Ebbi un brutto
presentimento. L'orecchio destro mi fischiò. Ricaddi a terra. Tutta la parte destra della
testa, orecchio compreso, mi doleva. Mi toccai la mano era sporca di sangue. Mi avevano
colpito:era stato il secondino Grant. Sdraiato, con gli occhi semi aperti vidi alcuni
secondini spingere i detenuti fuori dal cortile verso le loro celle.I ndy non c'era più. Gli
occhi mi si chiusero dolcemente. Stavo benissimo. La milza non mi faceva più male. Mi
addormentai.
Mi risvegliai in infermeria. Ero sdraiato in un lettino bianco. Ero stato sedato. Mi sentivo
molle e gonfio. Sentii delle voci erano quelle di Grant e del direttore, stavano parlando
nella stanza affianco:
“Ha visto la scena Grant?”.
“Gli ha conficcato la penna nell'occhio”.
“Come sta l'altro detenuto?”.
“Non ci vede più dall'occhio destro”.
“Cristo”.
“Già”.
“Un gran peccato per Neri”.
“Alcune persone non cambieranno mai”.
Mi riaddormentai.
Mi riportarono nella mia cella. Mi sdraiai nella mia branda Rimasi a guardare il soffitto
come ipnotizzato.
Un secondino mi portò la cena. Era un ragazzo nuovo, giovane. Probabilmente era il
sostituto di Dan.
“Dormito bene?”.
Non risposi.