Scheda di sala

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Scheda di sala
S T A G I O N E
2 0 1 4 - 2 0 1 5
Giuseppe Verdi
Messa da Requiem
Teatro Regio
Martedì 30
Settembre 2014
Giovedì 2
Ottobre
Sabato 4
Domenica 5
Martedì 7
Restate in contatto con il Teatro Regio:
ore 20
ore 20
ore 15
ore 15
ore 20
Turno A
Turno B
Turno C
Turno F
Turno D
Gianandrea Noseda direttore
Hui He soprano
Daniela Barcellona mezzosoprano
Jorge de León tenore
Michele Pertusi basso
Claudio Fenoglio maestro del coro
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Giuseppe Verdi (1813-1901)
Messa da Requiem per soli, coro e orchestra
I.
Requiem [Introitus]
«Requiem æternam» (coro)
«Kyrie» (soli e coro)
II.
Dies iræ [Sequentia]
«Dies iræ» (coro)
«Tuba mirum» (coro, basso)
«Liber scriptus» (mezzosoprano e coro)
«Dies iræ» (coro)
«Quid sum miser» (soprano, mezzosoprano e tenore)
«Rex tremendæ» (soli e coro)
«Recordare» (soprano e mezzosoprano)
«Ingemisco» (tenore)
«Confutatis» (basso e coro)
«Dies iræ» (coro)
«Lacrymosa» (soli e coro)
III.Offertorium
«Domine Jesu» (soli)
IV.
Sanctus
«Sanctus, Sanctus, Sanctus» (due cori)
V.
Agnus Dei
«Agnus Dei» (soprano, mezzosoprano e coro)
VI.Communio
«Lux æterna» (mezzosoprano, tenore e basso)
VII.Responsorium
«Libera me» (soprano e coro)
William D. Bramhall Jr, caricatura di Giuseppe Verdi. Brandywine Inc., New York 1979.
La «Messa da Requiem» di Verdi
e la costruzione dell’identità nazionale italiana
di Marco Marica*
Il Requiem di Verdi fu composto in uno dei momenti più critici della vita del compositore. Dopo il Don Carlos (1867), la revisione della Forza del destino (1869) e la rappresentazione di Aida al Cairo (1871) e subito dopo a Milano (1872), Verdi, che non
aveva ancora compiuto i sessant’anni, riteneva di aver terminato la sua carriera operistica.
Sebbene fosse al culmine della sua fama internazionale e fosse ancora dotato di grande
energia creativa, vi erano vari fattori che lo inducevano a questa convinzione, in parte di
natura strettamente personale, in parte dovuti invece all’ambiente culturale e artistico
che si andava affermando nell’Italia post-risorgimentale. In questo contesto ha visto la
luce uno dei suoi massimi capolavori, la Messa da Requiem, che riflette profondamente
nella genesi, nello stile e nelle finalità la crisi che il suo autore stava attraversando.
Con le ultime tre opere, in particolare con Aida, Verdi aveva portato a compimento
quel processo di integrazione tra l’esigenza di conservare le strutture formali dell’opera
italiana codificate da Rossini, Bellini e Donizetti, e il desiderio di rinnovarle dall’interno,
sperimentando nuove soluzioni che consentissero una più profonda aderenza della musica all’azione scenica. Anche nelle opere più “sperimentali”, come Macbeth e Don Carlos,
Verdi non abbandona mai il terreno della tradizione italiana, semmai la arricchisce di
nuovi apporti, fondamentalmente di matrice francese. Agli occhi di Verdi Aida rappresentava dunque un punto di arrivo, da cui era difficile ripartire. Ci vorranno più di quindici anni prima che il musicista con l’Otello (1887) torni a scrivere una nuova opera,
adottando uno stile profondamente differente e originale.
In un’Europa sempre più percorsa dai venti del nazionalismo era inevitabile che qualunque scelta estetica assumesse anche una valenza politica. Per tale ragione Verdi considerava persino un dovere civico degli italiani quello di restare fedeli alla loro secolare tradizione musicale, ed era sempre più allarmato dall’attrazione che le giovani generazioni
di artisti e parte del pubblico italiano provavano per la musica oltremontana, di Wagner
in particolare, di cui in realtà in Italia si faceva un gran parlare ma di cui si conosceva
ben poco, dato che solo nel 1871 verrà rappresentata in Italia un’opera wagneriana, il
Lohengrin, mentre solamente dopo il 1883 arriveranno sulle scene italiane anche le sue
opere della maturità.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento l’interesse dei giovani musicisti per il teatro d’opera francese e quello di Wagner andava di pari passo con l’apertura verso la musica
strumentale tedesca. Questa tendenza era particolarmente spiccata a Milano, dove alcuni
musicisti vicini alla Scapigliatura milanese come Arrigo Boito e Franco Faccio (Boito,
che era anche poeta, aderì nelle sue liriche alla Scapigliatura) auspicavano un radicale
rinnovamento nell’arte italiana. Facendo proprio un corollario del pensiero positivista
allora imperante in Europa, i giovani musicisti erano infatti convinti che anche in ambito
artistico potesse essere applicata la categoria del “progresso” e che pertanto la vera arte
fosse destinata ad avanzare, lasciandosi alle spalle il passato. E la direzione era quella
indicata da Wagner, la cui musica essi consideravano l’arte del futuro.
Nell’agosto del 1864 a Milano era stata costituita la prima Società del Quartetto (altre
ne sorsero in seguito nel resto d’Italia), con lo scopo di far conoscere i classici della musica da camera d’oltralpe. Alla Società milanese era legato il «Giornale della Società del
Quartetto», edito da Ricordi, nel quale venivano pubblicate recensioni dei concerti e articoli sulla musica strumentale, molti dei quali firmati da Arrigo Boito, dotati di una forte
vena polemica nei confronti della tradizione operistica italiana. A detta di Boito infatti i
musicisti della Penisola dovevano liberare il melodramma dalla «cerchia del vecchio e del
cretino», esercitandosi nei generi della sinfonia e del quartetto prima di arrivare a scrivere
opere. Tutto ciò non poteva non irritare Verdi, che sebbene fosse un esperto conoscitore
dei quartetti di Haydn, Mozart e Beethoven, sui quali aveva studiato in gioventù (nella
sua villa a Sant’Agata esiste tuttora l’edizione completa di queste composizioni posseduta dal musicista), non poteva condividere gli attacchi contro l’opera italiana.
Il programma di rinnovamento di Boito e Faccio – la loro aspirazione di dar vita a
un’arte più raffinata, intellettuale, sottratta ai condizionamenti del mercato, un’arte d’élite da contrapporre alle tendenze conservatrici della “massa” del pubblico – era espressione di un’apertura alle correnti più avanzate della cultura europea del tempo e un segno dell’evolversi della società italiana verso forme più moderne (la frattura tra artista
è pubblico sarà infatti uno dei temi dominanti della cultura del Novecento). Sebbene
negli scritti di Boito e Faccio non vi fossero attacchi personali nei confronti di Verdi,
il compositore tuttavia, in quanto il maggior rappresentante della tradizione operistica
italiana, si sentiva direttamente chiamato in causa. Inoltre, la sua repulsione per ogni
sistema astratto e il suo spirito pragmatico lo portavano a rifiutare un’«arte dell’avvenire»
che non si misurasse immediatamente con il presente e con il pubblico e che fosse intrisa
di una sorta di misticismo. Tutto ciò, unito alle accuse di wagnerismo che gli furono
rivolte da alcuni critici dopo la prima dell’Aida a Milano, aveva provocato furibonde
reazioni da parte di Verdi, lasciandogli la sensazione di essere vittima di pregiudizi e incomprensioni, e lo aveva rinsaldato nella sua decisione di dire addio definitivo alle scene.
«Bel risultato dopo 35 anni di carriera finire imitatore!!!», scriverà nell’aprile 1875 in uno
scoppio d’ira all’editore Giulio Ricordi, proseguendo poi sullo stesso tono: «Certo che
queste ciarle non mi fanno, come non mi hanno mai fatto deviare d’un punto da quello
che volevo fare, ché io ho sempre saputo quello che volevo, ma arrivato al punto che sono,
sia alto sia basso, posso ben dire: “Se è così, servitevi” e quando vorrò fare della musica
potrò ben farla nella mia stanza, senza udire le sentenze dei dotti, e degli imbecilli»1.
La storia fortunatamente andò diversamente: Verdi non si rinchiuse a far musica nella
sua stanza e nei quindici anni che separano Aida dalla prima della rappresentazione di
Otello il compositore si dedicherà alle revisioni di Simon Boccanegra (1881) e Don Carlo
(1884) e scriverà due capolavori assoluti nel loro genere: il Quartetto in mi minore (1873)
e la Messa da Requiem (1874). Sul piano personale invece l’intelligenza dei giovani musicisti e lo smorzarsi col tempo del tono delle loro affermazioni faranno sì che proprio
Faccio e Boito diverranno tra i più stretti collaboratori del compositore – il primo si conquisterà la sua stima dirigendo nel 1869 La forza del destino a Milano, il secondo scriverà
i libretti di Otello e Falstaff– mentre le ultime opere di Verdi rappresenteranno agli occhi
dell’Europa il segno tangibile di un arte italiana moderna, raffinata ed elitaria.
La Messa per Rossini
A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento e fino a poco prima della morte Verdi
dedicherà particolare attenzione alla musica sacra e alla polifonia vocale italiane, da Palestrina fino a tutto il Settecento, ritenute da lui un patrimonio fondamentale della cultura
nazionale, attraverso il quale le giovani generazioni dovevano ritrovare la propria identità
musicale (in questo senso si deve intendere la sua celebre frase «torniamo all’antico: sarà
un progresso» rivolta a Francesco Florimo in una lettera del 1871). Tuttavia il primo
avvicinamento di Verdi alla musica sacra risale a qualche anno prima. Il 13 novembre
1868 era morto a Parigi Rossini; sebbene il Pesarese avesse smesso di scrivere musica da
più di trent’anni, la commozione in Italia fu grande e sorsero immediatamente numerose
iniziative per celebrarlo. Quattro giorni dopo Verdi scriveva all’editore milanese Ricordi
una lettera, che questi pubblicò di lì a poco sulla «Gazzetta musicale di Milano» di cui
era l’editore.
Carissimo Ricordi
Ad onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani (Mercadante a capo, e
fosse anche per poche battute) componessero una Messa da Requiem da eseguirsi all’anniversario
della sua morte.
Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre il prestare l’opera loro, offrissero altresì l’obolo per pagare le spese occorrenti.
Vorrei che nissuna mano straniera, né estranea all’arte, e fosse pur potente quanto si voglia, ci porgesse aiuto. In questo caso io mi ritirerei subito dall’associazione.
La messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musicale di Rossini.
Questa messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità né di speculazione; ma appena eseguita,
dovrebbe essere suggellata, e posta negli archivi del Liceo musicale di quella città, da cui non dovrebbe esser levata giammai. Forse potrebbe esser fatta eccezione per gli anniversari di Lui, quando
i posteri credessero di celebrarli.
Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei di voler permettere, almeno per questa
sola volta, che le donne prendessero parte all’esecuzione di questa musica, ma non essendolo, converrà trovare persona di me più idonea ad ottenere l’intento.
Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l’andamento di quest’esecuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla
forma generale del lavoro.
Questa composizione (per quanto ne possano essere buoni i singoli pezzi) mancherà necessariamente d’unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare, come in noi
tutti sia grande la venerazione per quell’uomo, di cui tutto il mondo piange ora la perdita2.
Ha origine così il progetto della Messa per Rossini, da cui come vedremo in seguito
scaturirà successivamente la Messa da Requiem. Verdi intendeva celebrare colui che a
quell’epoca era considerato il più grande compositore italiano dell’Ottocento. Il progetto riscosse il plauso generale del mondo musicale italiano, e la commissione concepita
da Verdi si costituì già il mese dopo, con Giulio Ricordi in funzione di segretario; in
poco tempo la commissione, della quale Verdi non faceva parte e che agiva in piena autonomia, stabilì che la Messa avrebbe dovuto essere suddivisa in tredici parti, ciascuna
delle quali sarebbe stata scritta da un compositore di spicco nel panorama musicale nazionale. La scelta dei nomi venne effettuata da un lato in maniera tale da far partecipare
musicisti provenienti da tutte le parti della Penisola, dall’altro in modo da far figurare
compositori che si erano distinti nella musica teatrale o in quella sacra, privilegiando
coloro che occupavano cariche ufficiali come maestri di cappella di istituzioni religiose
o all’interno dei conservatori, affinché venisse rispecchiata il più possibile la realtà musicale dell’intero Paese. I compositori nominati dalla commissione furono: Antonio Bazzini, Raimondo Boucheron, Antonio Buzzolla, Antonio Cagnoni, Carlo Coccia, Gaetano Gaspari, Teodulo Mabellini, Saverio Mercadante (che declinò l’invito per ragioni di
salute), Alessandro Nini, Carlo Pedrotti, Errico Petrella (sostituito poi da Lauro Rossi),
Pietro Platania, Federico Ricci e Giuseppe Verdi, che avrebbe scritto il Libera me, brano
conclusivo della Messa. Le partiture avrebbero dovuto essere consegnate entro il 15
settembre 1869, in modo tale da permettere l’esecuzione il 13 novembre, a un anno di
distanza dalla morte di Rossini.
Nelle intenzioni del suo ideatore e della commissione si trattava di un progetto con
un contenuto non solo artistico e celebrativo, ma anche politico, di affermazione di unità
nazionale e di orgoglio professionale dei musicisti italiani. Alla fine degli anni Sessanta
dell’Ottocento non esisteva più un modello di musica sacra italiana, e a parte lo Stabat
Mater e la Petite Messe solennelle dello stesso Rossini non erano stati scritti altri capolavori di genere sacro dai musicisti italiani. L’appello di Verdi era dunque anche un segnale
di risveglio per i musicisti nazionali, affinché si riappropriassero di una tradizione che
da Palestrina fino a Pergolesi, Cherubini e Rossini aveva costituito un punto di forza
della musica italiana. Infine esisteva il precedente (anche se poco noto) della Messa da
Requiem per Vincenzo Bellini scritta da Donizetti come atto di omaggio di un musicista
a un illustre collega scomparso. E anche se – come prevedeva Verdi – il risultato sarebbe
stato un patchwork di stili musicali (per i più maliziosi detrattori del progetto era questa
la ragione per cui Verdi desiderava che la partitura restasse poi sotto chiave nel Liceo
musicale di Bologna), quello che contava era la valenza simbolica della composizione e
della sua esecuzione nell’anniversario della morte di Rossini.
Il progetto verdiano può essere inteso tuttavia anche come risposta indiretta alla polemica sollevata la primavera di quell’anno da una maldestra affermazione dell’allora ministro
della Pubblica Istruzione, Emilio Broglio, il quale nell’aprile 1868 aveva proposto a Rossini
di fondare e presiedere una società di amici della musica, che si sarebbe incaricata del finanziamento e dell’amministrazione dei conservatori, sottraendola così alle finanze dello
Stato, che in quegli anni versavano in pessime condizioni. La lettera di Broglio, nell’intento
di adulare il Pesarese, conteneva una palese offesa ai compositori italiani viventi: «[…] dopo
Rossini, che vuol dire da quarant’anni, cosa abbiamo? Quattro opere di Meyerbeer… Come
si può rimediare a una sì grave sterilità?». Quando la lettera del ministro fu pubblicata
Verdi, indignato, restituì la medaglia di commendatore dell’Ordine della corona che aveva
ricevuto da poco. La Messa per Rossini doveva costituire dunque una risposta costruttiva
a tale umiliante affermazione del ministro, una vera e propria impennata d’orgoglio dei
compositori italiani attraverso la celebrazione del Maestro scomparso.
Sebbene tutti i musicisti avessero consegnato puntualmente le loro partiture, Luigi
Scalaberni, impresario del Teatro Comunale di Bologna, non era disposto a concedere
l’orchestra, il coro e i cantanti del teatro fino a quando non fosse terminata la stagione
autunnale, cioè fino a dicembre; una condizione ritenuta inaccettabile da Verdi, perché
ciò avrebbe snaturato il significato dell’evento, come scrive il 19 agosto 1869 al direttore
d’orchestra Angelo Mariani, incaricato di dirigere la composizione:
[…] Un uomo, un grande artista che segna un’epoca, muore: un individuo qualunque invita gli
artisti suoi contemporanei ad onorar quell’Uomo, onorando in Lui l’arte nostra; una musica vien
espressamente composta ed eseguita nel Tempio maggiore della città che fu sua patria musicale, e
perché questo compimento non sia pascolo a miserabili vanità e ad interessi esosi, vien rinchiuso,
dopo la solennità, nell’archivio di un Liceo celebre. […]
Diventa questo un fatto storico e non una ciarlatanata musicale. […] Qui non si tratta d’individui;
basta che il giorno arrivi, che la solennità abbia luogo, infine che il Fatto storico, intendi bene: Fatto
storico, esista. Ammesso questo, l’obbligo è in tutti di fare quanto sta in noi per ottenere l’intento,
senza pretendere preghiere prima, né lodi e ringraziamenti dopo.
Se questa solennità avrà luogo, avremo fatto indubitatamente opera buona, artistica, patriottica. Se
no: avremo provato una volta di più che noi ci adoperiamo soltanto quando l’interesse e la vanità nostra son paghi; quando veniamo incensati adulati spudoratamente in articoli, in biografie; quando i
nostri nomi sono schiamazzati nei teatri, trascinati nelle vie, come i ciarlatani in piazza; ma quando
la nostra personalità deve sparire sotto un’idea ed un’opera nobile e generosa, allora ci dileguiamo
sotto il manto del nostro egoistico indifferentismo, che è il flagello e la rovina della nostra patria3.
Poiché né il Comune di Bologna, da cui dipendeva il Teatro Comunale, né la commissione milanese, né Mariani riuscirono a trovare una soluzione, l’esecuzione venne sospesa. Verdi, a torto, accuserà Mariani di aver avuto la sua parte di responsabilità nell’aver
fatto naufragare il progetto, visto che il direttore era stato impegnato alla fine dell’estate
in solenni celebrazioni a Pesaro, città natale di Rossini. Probabilmente ebbero invece
maggior peso la reticenza della Giunta comunale di Bologna e il netto rifiuto dell’impresario Luigi Scalaberni a mettere a disposizione i musicisti del Comunale. Va detto inoltre
che a Bologna il clima culturale era favorevole alla cosiddetta musica dell’avvenire, come
dimostra l’esecuzione del Lohengrin nel 1871, mentre vi era un clima ostile nei confronti
di Ricordi. A Bologna veniva infatti pubblicata la rivista musicale «L’arpa», il cui direttore Gustavo Sangiorgi (era anche assessore comunale) aveva sostenuto con forza la decisione dell’editore Lucca (concorrente di Ricordi) di pubblicare tutte le opere di Wagner.
Il conflitto tra «L’arpa» e la «Gazzetta musicale di Milano» di Ricordi fanno dunque da
sfondo al fallimento del progetto della Messa per Rossini a Bologna.
La Messa per Rossini compare ancora in una lettera di Verdi a Giulio Ricordi del 27
dicembre 1869, nella quale il compositore suggerisce che se proprio la Messa deve essere
eseguita, allora paradossalmente che venga eseguita alla Scala, concludendo laconicamente: «La nuova Messa può lottare con quelle di Mozart, Cherubini etc… collo Stabat,
colla Petite Messe?… Sì? … Datela. No? … Allora Pax vobis»4. Neanche quella volta,
tuttavia, se ne fece nulla: la prima esecuzione della Messa per Rossini si è tenuta più di
cent’anni dopo, l’11 settembre 1988, non in Italia ma nella Liederhalle di Stoccarda sotto
la direzione di Helmut Rilling.
Dalla Messa per Rossini alla «Messa da Requiem»
Fallito il tentativo di eseguire la Messa per Rossini, Verdi non parlerà più della composizione fino all’inizio del 1871, quando nuovamente la Commissione valuta l’idea di
Verdi di eseguirla alla Scala ed esamina attentamente la qualità artistica dei brani. In tale
circostanza il compositore Alberto Mazzuccato scrisse a Verdi una lettera di complimenti per il Libera me, alla quale il musicista rispose con tono scherzoso:
Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che mi fate di quel
mio pezzo […]. E, vedete ambizione di compositore! – quelle vostre parole avrebbero quasi fatto
nascere in me il desiderio di scrivere, più tardi, la Messa per intiero; tanto più che con qualche maggiore sviluppo mi troverei aver già fatti il Requiem ed il Dies iræ, di cui è il riepilogo nel Libera già
composto. Pensate dunque, e abbiatene rimorso, quali deplorabili conseguenze potrebbero avere
quelle vostre lodi! – Ma state tranquillo: è una tentazione che passerà come tante altre. Io non amo
le cose inutili. – Messe da morto ve ne sono tante, tante e tante!!! È inutile aggiungerne una di più5.
Effettivamente Verdi per un tempo non sembra più pensare alla Messa, anche perché
è assorbito dalla composizione e dal duplice allestimento (al Cairo e a Milano) dell’Aida.
Subito dopo, tuttavia, avendo deciso di non scrivere più opere, Verdi inizia a interessarsi ad
altri generi musicali. Sembra quasi che il compositore voglia ora suggellare la propria carriera – così come aveva fatto Rossini – con composizioni d’altro tipo e lasciare ai musicisti
più giovani una sorta di testamento musicale, che serva loro d’esempio e ammonimento.
In questo contesto vedono la luce il Quartetto in mi minore, nato da un intento più
polemico che celebrativo, e poco dopo la Messa da Requiem. Il Quartetto fu composto nel
marzo 1873 a Napoli, mentre Verdi era in attesa di mettere in scena Aida; anche nella
scelta del luogo, probabilmente, vi è un intento polemico: Napoli costituiva per Verdi la
città più rappresentativa dei valori “italiani” nella musica, la città della lunga tradizione
didattica dei conservatori, il luogo in cui si era formato il suo maestro Lavigna, ma anche
il luogo dove il pubblico si faceva meno condizionare dai giornalisti, come constaterà
poco dopo la prima di Aida al San Carlo, accolta dal pubblico napoletano con grande entusiasmo e senza le riserve e prevenzioni manifestate da parte dei critici milanesi. Verdi
da un lato ha voluto dunque ribadire il suo legame con la tradizione cameristica italiana
(sebbene messa in ombra dal melodramma, anche in Italia la musica strumentale era
stata coltivata durante l’Ottocento, come attestano per esempio i quartetti di due operisti
come Donizetti e Pacini), dall’altro intendeva dimostrare di essere in grado di comporre
una musica “dotta”, scrivendo l’ultimo movimento del Quartetto in forma di fuga. Anni
dopo avrebbe così ricordato la sua composizione: «[…] non volli dare nissuna importanza a quel pezzo, e perché credevo allora e credo ancora (forse a torto) che il Quartetto in
Italia sia pianta fuori clima. Non intendo dire perciò che anche questo genere di composizione non possa allignare ed essere utile fra noi, ma io vorrei che le nostre Società,
Licei, Conservatorio, unitamente a Quartetti a corda, istituissero Quartetti a voci, per eseguire Palestrina, i suoi contemporanei, e Marcello». Quando, nell’estate 1876, Ricordi
ed Escudier pubblicheranno la composizione, Verdi scriverà a Ricordi: «Ho ricevuto il
Quartetto, e ve ne ringrazio. L’interno non vale l’esterno, o lo valesse anche, è convenuto
che noi italiani non dobbiamo ammirare questo genere di composizioni se non porta un
nome tedesco. Sempre l’istessi!!».
Nell’aprile del 1873, neppure un mese dopo la composizione del Quartetto, Verdi
chiese a Ricordi di restituirgli la partitura del Libera me della Messa per Rossini; è assai
probabile che a questo punto avesse deciso di scrivere un Requiem, ed è altrettanto probabile che avesse in mente di dedicarlo ad Alessandro Manzoni, ancora in vita ma quasi
novantenne, di cui era un fervente ammiratore e che aveva potuto incontrare a Milano
qualche anno prima grazie a Clarina Maffei, intima amica di Verdi sin dagli anni giovanili. L’incontro era stato preparato nel 1867 con la solita abilità diplomatica da Giuseppina
Strepponi dopo una visita a Milano, nella quale aveva conosciuto la Maffei. Tornata a
Sant’Agata Giuseppina scrive il 21 maggio alla nuova amica:
[Verdi] mi aspettava alla stazione di Alseno con la piccola Filomena, ed appena in vettura mi domandò della mia famiglia e di quanto avevo fatto a Milano […].
Mentr’egli ridendo mi dava il lusinghiero epiteto di capricciosa (non si dà che alle donne giovani e
da un pezzo io non lo sono più), io sortii pian pianino dalla borsa il tuo bigliettino, glielo gittai sulle
ginocchia, ed appena egli v’ebbe dato uno sguardo mi procurò la vista di una gran fila di denti, compresi quelli del giudizio! Gli dissi presto presto, a passo di carica come tu mi avevi accolta; com’eri
(cosa per te straordinaria) sortita con me; come io fui sciocca a star tant’anni prima di conoscerti, ed
egli andava ripetendo: “non mi sorprende, non mi sorprende, conosco la Clarina”. Volendo spingere
la macchina a tutto vapore dissi con affrettata indifferenza: “se poi andrai a Milano, ti presenterai a
Manzoni. Egli t’aspetta, ed io vi fui con lei l’altro giorno”.
Pouff! qui la bomba fu così forte ed inaspettata, che non seppi più se dovevo aprir gli sportelli della
carrozza per dargli aria, o se dovessi chiuderli, temendo che nel parossismo della sorpresa e della
gioia non mi saltasse fuori! È venuto rosso, smorto, sudato; si cavò il cappello, lo stropicciò in modo
che per poco non lo ridusse in focaccia. Più (e ciò resti fra noi) il severissimo e fierissimo orso di
Busseto n’ebbe pieni gli occhi di lagrime, e tutti e due commossi, convulsi, siamo rimasti dieci minuti in completo silenzio. […]
Ora Verdi è in pensiero per iscrivere a Manzoni, ed io rido, perché se sono rimasta tanto confusa,
imbrogliata e scema quando mi procurasti quel grande onore di farmi trovare alla sua presenza, ho
piacere che anche quelli che sono da molto più di me provino un po’ d’imbarazzo, si stirino i baffi, si
grattino le orecchie per trovare parole degne da dirsi ai colossi.
Più ci penso, più mi meraviglio, non della mia grande pazzia, ma dell’incredibile, eppure sincera e
profonda modestia… di chi? di colui che scrisse il più gran libro dei tempi moderni!6
L’incontro con Manzoni avverrà di lì a poco, il 30 giugno 1867, durante la prima visita
di Verdi a Milano dopo quasi vent’anni di assenza. L’ammirazione del musicista per lo
scrittore lombardo, che considerava la personalità di maggior spicco tra gli intellettuali
italiani del tempo, era profonda e sincera, come traspare chiaramente dalla lettera di
Giuseppina, e ciò spiega il suo dolore alla notizia della morte, avvenuta il 22 maggio
1873. «Verrò fra breve per visitarne la tomba», scrive a Ricordi pochi giorni dopo, «solo
e senza essere visto, e forse (dopo ulteriori riflessioni, e dopo aver pesate le mie forze)
per proporre cosa ad onorarne la memoria»7. Quindi per tramite di Ricordi propone al
Comune di Milano di far eseguire nel primo anniversario della morte di Manzoni una
Messa da Requiem che si sarebbe incaricato di comporre: «È un impulso, o dirò meglio,
un bisogno del cuore che mi spinge ad onorare, per quanto posso, questo Grande che ho
tanto stimato come scrittore e venerato come uomo, modello di virtù e di patriottismo»8.
Tra la fine del 1873 e l’inizio del 1874 Verdi riprende dunque la partitura mai eseguita
del «Libera me», sviluppa le sezioni del «Requiem æternam» e del «Dies iræ» e compone
le restanti parti della Messa. Il Requiem verrà eseguito il 22 maggio 1874 nella chiesa di
San Marco a Milano, con Teresa Stolz e Maria Waldman (le due interpreti dell’Aida scaligera), Giuseppe Capponi (tenore) e Ormondo Maini (basso); l’orchestra e il coro della
Scala saranno diretti da Verdi stesso. È un successo enorme, che si ripeterà nell’estate a
Parigi e nella tournée europea della primavera del 1875, durante la quale Verdi dirige la
composizione nuovamente a Parigi, quindi a Londra e a Vienna.
Il fatto che un musicista di teatro come Verdi abbia scritto una composizione sacra
commemorativa ha da sempre attirato l’attenzione dei biografi, che sono andati alla ricerca delle ragioni di questa scelta, apparentemente in contraddizione con il suo anticlericalismo e la sua insofferenza per le celebrazioni ufficiali. Verdi, che aveva rifiutato altre
volte di scrivere musiche di circostanza, riteneva al contrario che fosse un dovere morale
degli artisti commemorare eventi o personalità particolarmente rilevanti per la nazione.
Angelo Colla (1827-1892), copertina per la prima edizione dello spartito della Messa da Requiem.
Ricordi, Milano 1874.
Per questa ragione nel 1849, in piena guerra risorgimentale, aveva composto l’inno «Suona la tromba» e nel 1862 l’Inno delle nazioni, destinato a rappresentare musicalmente il
nuovo Stato italiano all’esposizione internazionale di Londra; per le stesse ragioni aveva
concepito nel 1868 il progetto della Messa per Rossini. Rossini e Manzoni erano agli
occhi di Verdi i due pilastri su cui costruire l’identità della neonata nazione italiana, e ciò
spiega la sua intenzione di commemorare entrambi con una messa funebre.
La struttura musicale della «Messa da Requiem»
Il Requiem di Verdi, il cui titolo completo è Messa da Requiem per l’anniversario della
morte di Manzoni - 22 maggio 1874, utilizza il testo liturgico della messa funebre cattolica; poiché tuttavia, a differenza dell’ordinario della messa, non esiste un testo standard
per la celebrazione dei defunti (il Requiem di Mozart, per esempio, include il Communio, mentre le due messe funebri di Cherubini hanno anche un Graduale e un «Pie Jesu
Domine»), né esiste un criterio unico nella ripartizione musicale del testo, Verdi decise
di adottare per intero il testo della Messa per Rossini, comprendente Introitus, Kyrie,
Sequentia («Dies iræ»), Offertorium, Sanctus e Agnus Dei e terminante con un Libera
me, frequente nella tradizione italiana dell’Ottocento. Dalla Messa per Rossini Verdi ha
ripreso anche l’impiego dei quattro solisti, che cantano sia col coro, sia da soli, sia infine
in varie combinazioni di uno o più solisti9.
L’Introito («Requiem æternam») e il Kyrie della Messa di Verdi costituiscono due numeri separati, ma strettamente connessi tra loro; entrambi impiegano le quattro voci
soliste (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) e il coro e hanno una stretta relazione
tonale (il primo brano è in la minore, il secondo in la maggiore). Per l’Introito Verdi ha
ripreso la sezione «Requiem æternam» del Libera me scritto nel 1869, riadattando per
coro e orchestra d’archi la musica composta originariamente per soprano e coro a cappella. Due idee musicali contrastanti – una più tragica, sulle parole «Requiem æternam»,
una più luminosa in corrispondenza di «et lux perpetua» – stabiliscono da subito i due
poli drammatici – il timore e la speranza nella salvazione – su cui si basa la Messa da
Requiem. Il salmo «Te decet hymnus» viene intonato dal coro a cappella in uno “stile
antico” di stampo ecclesiastico.
Il Kyrie per quartetto vocale e coro è caratterizzato da una scrittura imitativa elaborata
e da un articolato percorso armonico, che danno l’impressione di un continuo ampliarsi
dell’orizzonte. Si tratta di una delle pagine musicalmente più complesse della Messa da
Requiem, in cui la musica prende il sopravvento sul testo cantato.
Il testo della Sequenza che nella liturgia della messa funebre fa seguito al Kyrie è
formato da diciotto strofe, nelle prime sei delle quali l’autore Tommaso da Celano
(ca. 1200 - ca. 1250) descrive il giudizio universale, mentre nelle restanti strofe supplica
Dio di salvarlo e di concedergli la pace eterna. Così come hanno fatto la maggior parte
dei compositori prima di lui, per esempio Mozart, anche Verdi suddivide la Sequenza
in più sezioni. La prima è affidata al coro e corrisponde alle due strofe iniziali («Dies
iræ, dies illa»); la musica descrive con estrema violenza sonora l’apocalisse, raffigurata
come una sorta di tempesta che si va calmando lentamente (Verdi scriverà qualcosa di
simile per la scena iniziale di Otello). La musica ritorna altre due volte nel corso della
Sequenza e costituisce una sorta di filo conduttore. Si tratta di una variazione rispetto
al testo liturgico che non si incontra nelle messe funebri di altri compositori e che fu
decisa da Verdi per dare unità drammatica alla composizione, resa ancora più stringente
da un’ulteriore ripresa del «Dies iræ» nel Libera me.
Il «Tuba mirum» per coro è introdotto da una fragorosa fanfara di trombe fuori scena.
Si tratta di un effetto chiaramente teatrale, che conferisce una spazialità visiva alla scena
e che accompagna con forte risultato drammatico le grida di terrore del coro. È uno di
quegli effetti chiaramente derivati dal mondo dell’opera che Verdi usa a piene mani nella
Sequenza, che con il suo testo ricco di immagini altamente drammatiche ha sempre costituito un’inesauribile fonte d’ispirazione per i compositori.
Il breve «Mors stupebit» per basso e orchestra riprende alcuni tópoi musicali operistici
per descrivere lo stupore, assai simili a quelli che Verdi ha già impiegato nella seconda strofa della sequenza («Quantus tremor»). Il successivo «Liber scriptus», affidato al
mezzosoprano, è il primo lungo brano lirico per voce sola; qui Verdi fa ricorso a una
scrittura vocale tipicamente operistica. Al termine di questa sezione viene esposta in forma abbreviata la musica del «Dies iræ».
Il «Quid sum miser» per soprano, mezzosoprano e tenore, caratterizzato dalle tipiche
appoggiature discendenti (un topos musicale del “lamento”), e il «Rex tremendæ» per i
quattro solisti e il coro sottolineano il passaggio nel testo poetico alla prima persona.
Ora è il peccatore a parlare, timoroso di non essere accolto tra i beati. La transizione tra
la terza e la prima persona è caratterizzata musicalmente nel «Rex tremendæ» dal passaggio dal coro alle voci solistiche; mentre al coro è affidata una musica imponente, con
una melodia discendente puntata (topos musicale dell’autorità), la preghiera intonata dai
solisti ha un carattere lirico, con un profilo melodico ascendente.
Le tre sezioni successive sono affidate interamente ai solisti, rispettivamente soprano e
mezzosoprano («Recordare»), tenore («Ingemisco») e basso («Confutatis»). Si tratta di
tre brani assai differenti l’uno dall’altro, ma in cui prevale il senso di fiducia nel perdono
divino e in cui la scrittura vocale si rifà nuovamente a modelli operistici – alcuni critici
dell’epoca di Verdi coglievano persino una certa somiglianza dell’«Ingemisco» con Aida.
Una brusca ripresa della musica del «Dies iræ» serve da introduzione all’ultima sezione della Sequenza, il «Lacrymosa» a quattro voci e coro. La melodia principale è derivata
da un duetto del Don Carlos, soppresso durante le prove dell’opera. La figura sincopata
che intona il soprano come contrappunto alla terza esposizione del tema fa ricorso a
un altro consolidato topos musicale del teatro d’opera associato all’idea del pianto e del
lamento.
L’Offertorio a quattro voci (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) è articolato in
tre sezioni distinte («Domine Jesu Christe», «Quam olim Abrahæ» e «Hostias»), delle
quali le prime due vengono riprese in ordine inverso dopo la terza sezione. Mentre nel
«Domine Jesu Christe» predomina un tono sereno, a dispetto delle pene infernali descritte nel testo, nel «Quam olim Abrahæ» Verdi ritorna allo “stile antico” con un fugato;
nell’«Hostias» infine il compositore evoca un’atmosfera mistica, facendo uso di mezzi
musicali – tonalità di do maggiore e melodie che si muovono prevalentemente per grado
congiunto – assai affini a quelli impiegati all’inizio del terzo atto di Aida («O tu che sei
d’Osiride») e che nel Requiem ritroviamo anche nell’«Ingemisco» e nell’Agnus Dei.
Il Sanctus è una fuga a due cori quanto mai originale, sia per il tempo veloce (Allegro), che contrasta con il carattere maestoso della maggior parte dei Sanctus di altri
compositori, sia perché Verdi fonde in un unico movimento della durata di pochi minuti
l’«Hosanna» e il «Benedictus», che generalmente costituiscono sezioni a parte. Inoltre
il trattamento della fuga è assai inconsueto, poiché a differenza delle fughe tradizionali
dopo un’esposizione completa il soggetto viene esposto in forma abbreviata, spesso senza il controsoggetto e con notevoli variazioni, mentre manca una vera e propria ripresa
finale.
Seguendo il modello del Requiem di Mozart Verdi ha composto l’Agnus Dei e il Lux
æterna come due movimenti separati. L’Agnus Dei a due voci (soprano e mezzosoprano)
e coro ha una struttura di tema e variazioni, con le tre implorazioni enunciate prima dalle
voci soliste e ripetute quindi in antifona dal coro. Il tema ha un aspetto più strumentale
che vocale e ricorda il cantus firmus gregoriano. Il Lux æterna a tre voci (mezzosoprano,
tenore e basso) inizia con una ripetizione del testo dell’antifona dell’Introito («Requiem
æternam»), ragion per cui numerose messe funebri, tra cui quella di Mozart, ne riprendono anche la musica e concludono con il Lux æterna. Poiché invece la composizione di
Verdi termina con il Libera me, che pure ripete il testo iniziale, nel Lux æterna il compositore non riutilizza le prime battute del suo Requiem, bensì scrive una nuova musica,
creando un contrasto musicale tra l’immagine della luce eterna e quella della pace eterna
(«Requiem æternam»), qui resa con una marcia funebre su un cupo rullo di timpani.
Il Libera me «per soprano e cori e fuga finale» con cui si conclude la composizione
riprende la musica che Verdi aveva scritto nel 1869 per la Messa per Rossini. Nella revisione del 1874 Verdi utilizza tuttavia le nuove parti scritte per il «Requiem æternam»
e il «Dies iræ» (nella versione originale questi brani erano differenti), ma conserva la
struttura in quattro sezioni, con un assolo iniziale del soprano («Libera me, Domine»), il
coro («Dies iræ»), una sezione per soprano e coro a cappella («Requiem æternam») e una
Fuga finale del coro con interventi del soprano. La prima sezione è una supplica dell’individuo – poco importa che la voce sia femminile, mentre il testo è al maschile: «factus
sum» – di chiara ascendenza operistica, con ampio uso dei “parlanti”. La seconda sezione
riprende la musica del «Dies iræ» (solo alcune battute di questa sezione corrispondono
alla versione originale del 1869), mentre la terza sezione riprende in maniera abbreviata
la musica dell’Introito («Requiem æternam»). L’ultima sezione è una fuga corale sul testo
iniziale («Libera me»), che lascia spazio ad ampi squarci solistici del soprano; il soggetto
della fuga è l’inversione di quello del Sanctus. Le battute finali sono affidate alla solista,
che mormora nel registro basso le ultime parole di supplica («Libera me, Domine, de
morte æterna»), spegnendosi lentamente.
La struttura formale del Libera me e il ruolo di protagonista del soprano stabiliscono
un chiaro riferimento alla forma del finale d’atto operistico, con una “scena” iniziale, un
coro («Dies iræ»), un tempo di mezzo («Requiem æternam») e una stretta in forma di
fuga corale. Questa struttura mette in evidenza i due poli drammatici fondamentali del
brano – e di tutta la composizione – ovvero il contrasto tra il timore del giudizio universale («Dies iræ») e la speranza nella pace eterna («Requiem æternam»). A differenza di
un finale d’opera, tuttavia, l’“azione” è per così dire sospesa e non vi è una transizione da
una situazione drammatica a un’altra. Il testo della supplica iniziale («Libera me») viene
ripetuto per intero nella fuga; la supplica dell’individuo, sospesa tra timore e speranza,
non ha risposta, e il finale termina con l’unica certezza della morte terrena. Si tratta a
ben vedere di un finale “laico”, nel quale manca la fiducia del fedele nel perdono divino:
l’ascoltatore non sa se la supplica finale è stata accolta oppure no, percepisce solo lo spegnersi della vita.
Che Verdi fosse ateo a quel tempo traspare chiaramente dalla corrispondenza di Giuseppina, che al contrario di lui era credente; si legge ad esempio in un lettera inviata il 9
maggio 1872 al medico veneziano Cesare Vigna, in risposta a un suo libro che questi aveva inviato a Sant’Agata e nel quale si discuteva dei rapporti tra spiritualità e positivismo:
[Verdi] è artista, tutti s’accordano nell’accordargli il dono divino del genio; è una perla d’onest’uomo, capisce e sente ogni delicato, ed elevato sentimento, con tutto ciò questo brigante si permette
d’essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed una calma da bastonarlo [nella brutta copia si legge tuttavia: “si permette di essere un ateo con una ostinazione ed una
calma da bastonarlo”]. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, etc. etc.
Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e sfortunatamente lo dice in buona fede10.
Ancora più interessante è un passo della lettera di Giuseppina a Clarina Maffei del
3 settembre dello steso anno, nel quale i nomi di Verdi e Manzoni appaiono associati:
Vi sono delle nature virtuosissime che hanno bisogno di credere in Dio: altre, ugualmente perfette,
che sono felici, non credendo a niente ed osservando solo rigorosamente ogni precetto di severa moralità. Manzoni e Verdi!… Questi due uomini mi fanno pensare, sono per me un vero soggetto di
meditazione. Ma le mie imperfezioni e la mia ignoranza mi rendono incapace di sciogliere l’oscuro
problema11.
La Messa da Requiem non è dunque il frutto di una conversione al Cattolicesimo del
musicista, ma un gesto d’omaggio a un grande uomo e artista profondamente religioso,
che Verdi vuole additare agli italiani come esempio in un momento difficile della storia
patria, quando la presa di Roma del 1870 aveva creato una profonda spaccatura tra Stato e
Chiesa. Così come Rossini rappresenta agli occhi di Verdi la tradizione operistica italiana,
minacciata dal crescente interesse del pubblico italiano per la musica sinfonica tedesca e per
le opere straniere, Manzoni costituisce a suo avviso un uomo che, nella ricerca del vero, ha
saputo conciliare fede cristiana e formazione culturale laica. Sebbene non ne condivida il
sentimento religioso, come si percepisce anche dalla musica del Requiem, nella quale manca
l’elemento di cristiana speranza e rassegnazione, Verdi riconosce dunque in Manzoni un
maestro di tutti gli italiani, che vuole onorare da laico con una messa da morto; un’ennesima dimostrazione della rettitudine morale e della responsabilità civile di Verdi, al di là di
ogni convinzione politica e religiosa.
Nato a Roma nel 1965, Marco Marica è dottore di ricerca in Musicologia. Ha pubblicato articoli
dedicati a Giuseppe Verdi, all’influenza dell’opéra-comique sul melodramma italiano del primo
Ottocento, e all’opera tedesca degli anni Venti del Novecento. Ha curato l’edizione dell’autografo
del Notturno a tre voci «Guarda che bianca luna!» di Verdi ed è coautore del libro Per amore di Verdi
(1813-1901). Vita, immagini, ritratti, edito nel 2001 dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani e dalla
Grafiche Step Editrice di Parma per celebrare il centenario della morte del compositore. Dal 1998
al 2003 è stato redattore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma. Dal 2008 è addetto
culturale del Ministero degli Affari Esteri e dal 2010 è il vicedirettore dell’Istituto Italiano di Cultura
di Buenos Aires.
1
Franco Abbiati, Giuseppe Verdi, vol. III, Ricordi, Milano 1959, p. 749.
2
«Gazzetta musicale di Milano», XXIII, n. 47, 22 novembre 1868, p. 379; cit. da Carlo Matteo
Mossa, Una Messa per la storia, in Messa per Rossini: la storia, il testo, la musica, a cura di Michele
Girardi e Pierluigi Petrobelli, Milano, 1988, pp. 11-78: 57.
3
Frank Walker, L’uomo Verdi, Milano, 1964, pp. 431-432.
4
I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di Gaetano Cesari e Alessandro Luzio, Milano 1913, pp. 222223: 223.
5
Ivi, pp. 243-244.
6
Frank Walker, op. cit., pp. 328-329.
7
I Copialettere cit., p. 283.
8
Franco Abbiati, op. cit., p. 645.
9
Per un’analisi dettagliata della musica del Requiem di Verdi si rimanda a David Rosen, Verdi:
«Requiem», Cambridge, 1995, pp. 18-59, a cui si rifanno i paragrafi seguenti. Per l’indicazione delle
sezioni musicali si è usato il corsivo per i titoli delle varie parti liturgiche della messa e le virgolette
per l’incipit testuale delle sezioni musicali, che spesso non coincidono con le parti della messa.
10
Frank Walker, op. cit., p. 340.
11
Ivi, p. 342.
*
Giuseppe Verdi (1813-1901) in una litografia ricavata dal ritratto fotografico di Étienne Carjat, 1870 ca.
Un ritratto
di Alberto Bosco*
Quanta gente ancora crede che Giuseppe Verdi sia nato in una famiglia di contadini?
Chissà, certo è che di tutti i miti che nei secoli, in particolare nel XIX, si sono sovrapposti alla figura storica di questo compositore, quello delle sue origini contadine è il più
rivelatore e da lì si può partire per tracciarne un ritratto. Tecnicamente parlando, Verdi,
contadino non lo nacque, ma lo diventò. Era, infatti, nato in una frazione di Busseto che
si chiama Roncole – e forse l’assonanza con roncola, attrezzo contadinesco, può aver
influito sulla nascita della leggenda – ma suo padre era un oste, sua madre una filatrice
e la sua educazione fu borghese. In più, i genitori furono abbastanza aperti da non ostacolare la vocazione del figlio che, seppur instradato un po’ tardi a quella carriera e non
aiutato da un talento eccezionalmente spiccato, era quanto mai ostinato a fare di sé un
musicista. Secondo alcuni, ricevette addirittura una formazione più ordinata nelle belle
lettere – si era pensato di farlo sacerdote – che non in musica, non avendo avuto ad
esempio la fortuna di un Rossini di incontrar per la sua strada un maestro del calibro del
padre Mattei all’età dovuta. Quel tanto, però, che apprese da Ferdinando Provesi a Busseto e da Vincenzo Lavigna a Milano, gli bastò per buttarsi nel mondo teatrale di allora,
imparando con le proprie gambe i segreti del mestiere, in particolare di strumentazione
e drammaturgia. Guadagnati soldi a sufficienza, poté comprarsi nel 1848 un podere e
una villa a Sant’Agata, nei pressi di Piacenza, e poi, affermatosi in tutto il mondo come
primo operista italiano, pensò di godersi dopo trentacinque anni di servizio la sua bella
pensione, dedicandosi interamente alla cura dei suoi terreni. Così si può apprezzare nel
ricco epistolario verdiano il cambio di prospettive, notando come alle lettere ai librettisti
su problemi di versi e finali d’atto, si siano sostituite lettere ancora più appassionate su
questioni di concimi e sementi.
Eppure la figura leggendaria del compositore contadino ha delle ragioni che vanno oltre la passione per il giardinaggio di Verdi e anche oltre la consueta abitudine romantica
di dare ai musicisti delle origini vicine al popolo per conferire alla loro musica l’autorità
dello spirito nazionale. La realtà è che, unico forse nel panorama europeo, Verdi guardò
sempre alla materia poetica da lui trattata e alle forme musicali in cui si cimentava dal
basso verso l’alto, arricchendo sempre più di sfumature e complessità il suo vocabolario,
ma mai mutando quelle categorie morali che l’alimentavano. Per cui le sue opere non si
sono mai poste come prerogativa di nessuna élite culturale o sociale, ma aspiravano a
trasmettere verità comunicabili a tutti. Di qui anche la peculiarità di uno stile che, pur
raffinandosi continuamente, non perse mai i modi spicci, quasi brutali che lo avevano
contraddistinto sin dagli esordi e che hanno fatto giustamente pensare ai modi sbrigativi
dei contadini.
Questo non significa che Verdi fosse, come si è visto, un illetterato e rozzo semplificatore; anzi, dotato di un intelletto reattivo e aperto, egli seppe adeguare il proprio stile in
modo costante al pubblico, garantendosi al tempo stesso la sua fedeltà e quindi la possibilità di farne evolvere i gusti senza mai perderne il consenso.
Del resto, sembra che il primo a stupirsi del successo del Nabucco anche tra i macchinisti e facchini della Scala sia stato lo stesso Verdi, che evidentemente capì allora quale era
la strada giusta per lui. Non solo, il fiuto di Verdi fu così infallibile da condizionare a sua
volta con il suo prepotente successo la vita culturale italiana: si pensi al risveglio dell’interesse per Shakespeare, interesse non limitato ai poeti e ai letterati, ma attivamente manifestatosi nei teatri, nato sulla scorta del Macbeth, dato a Firenze nel 1847; oppure si pensi
alla chiaroveggenza con cui Verdi volle a tutti i costi il soggetto del Rigoletto, riesumando
un dramma di Hugo di vent’anni prima che era stato un fiasco colossale, tanto da essere
tolto di scena dopo la prima rappresentazione.
Proprio in questa capacità di assecondare e guidare i gusti del pubblico sta una delle
grandi differenze che separano Verdi da Wagner, il quale operò la sua azione riformatrice
del teatro musicale a colpi di rivoluzioni e, per così dire, imponendola dall’alto, dopo aver
deliberatamente rifiutato le convenzioni vigenti. Verdi, invece, trasformò l’opera italiana
in modo parimenti profondo, ma senza mai uscire dal circuito e dalle pratiche che la
caratterizzavano. Colpisce, quindi, ancor di più sapere che il massimo esponente (Verdi)
della più antica e blasonata tradizione musicale europea (l’opera italiana) all’apice della
propria fama sia stato anch’egli stregato dalle teorie estetiche di Wagner, spingendosi con
le sue ultime opere in territori estranei alla sua poetica originale. L’influenza degli stimoli
culturali d’oltralpe, i mutamenti sociali avvenuti in Italia a seguito dell’unificazione, la
vicinanza con il culturalismo estetizzante di Arrigo Boito, spinsero il vecchio Verdi a
lasciarsi alle spalle il mondo morale e ideale dell’opera romantica e a declinare da par
suo i temi cari alla nuova borghesia che aspirava ad essere cosmopolita ed europea. Così
con Otello e Falstaff, Verdi, che aveva dominato il panorama musicale italiano negli anni
Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, aprì la strada al «dopo-Verdi», a quel periodo storico contrassegnato in musica dall’ascesa della cosiddetta Giovane Scuola. Un periodo
alquanto lontano dall’ethos risorgimentale, cui per amore della propria arte il “contadino”
Verdi sentì di doversi adeguare.
* Alberto Bosco è nato a Torino, dove ha completato gli studi di Composizione, Pianoforte e Storia
della musica all’Università e al Conservatorio. Ha frequentato per periodi prolungati anche l’Università di Vienna, l’Università Complutense di Madrid, il Conservatorio Superiore di Lione, l’Università di Oxford e la Columbia di New York. Tra le istituzioni che gli hanno conferito borse di studio
ci sono il Ministero degli Esteri spagnolo, l’Università di Torino, la Commissione Fulbright, la Fondazione Paul Sacher di Basilea e l’Accademia Nazionale dei Lincei. Attualmente insegna a Madrid,
nelle sedi distaccate dell’Università di Saint Louis e di Stanford, e collabora regolarmente con riviste
specializzate, società di concerti ed enti lirici.
Resurrezione dei morti, particolare del rosone rappresentante l'Apocalisse nella chiesa della SainteChapelle. Parigi, 1250 circa.
I. Requiem
coro Requiem æternam dona eis,
Domine, et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus Deus, in Sion, et tibi redettur
votum in Jerusalem, exaudi orationem meam,
ad te omnis caro veniet.
Requiem æternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
coro
L’eterno riposo dona loro, Signore,
e splenda su essi la luce eterna.
Si innalzi un inno a te, o Dio, in Sion, e ti sia
offerto un sacrificio in Gerusalemme; esaudisci
la mia preghiera, a te viene ogni mortale.
L’eterno riposo dona loro, Signore,
e splenda su essi la luce eterna.
soli e coro
Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison.
soli e coro
Signore, pietà; Cristo, pietà; Signore, pietà.
II. Dies iræ
coro
Dies iræ, dies illa,
solvet sæculum in favilla,
teste David cum Sibylla.
Quantus tremor est futurus,
quando judex est venturus,
cuncta stricte discussurus.
Tuba mirum spargens sonum,
per sepulchra regionum,
coget omnes ante thronum.
coro
Giorno terribile quel giorno
in cui il mondo finirà incenerito,
testimoni Davide e la Sibilla
[come testimoniato a cristiani e pagani].
Quale pauroso tremito si manifesterà
quando il Giudice verrà
a scrutare severamente ogni cosa.
Uno straordinario suono di tromba,
diffondendosi ovunque nei sepolcri,
chiamerà tutti innanzi al trono di Dio.
basso
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
basso
Natura e morte resteranno allibite
nel veder risorgere ogni creatura,
chiamata a rispondere a colui che giudica.
mezzosoprano e coro
Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
Judex ergo, cum sedebit,
quidquid latet, apparebit,
nil inultum remanebit.
mezzosoprano e coro
Sarà rivelato il libro scritto
in cui è contenuto tutto ciò
di cui l’umanità deve rispondere.
Il Giudice, assiso sul suo seggio,
svelerà ogni colpa nascosta,
e niente rimarrà impunito.
coro
Dies iræ, dies illa,
solvet sæclum in favilla,
teste David cum Sibylla.
coro
Giorno terribile quel giorno
in cui il mondo finirà incenerito,
testimoni Davide e la Sibilla.
soprano, mezzosoprano e tenore
Quid sum miser tunc dicturus,
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
soprano, mezzosoprano e tenore
Misero me, che dirò a mia discolpa,
chi chiamerò in mia difesa,
quando nemmeno il giusto è senza timore?
soli e coro
Rex tremendæ majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
soli e coro
O Re di tremenda maestà,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
o fonte di pietà, salvami.
soprano e mezzosoprano
Recordare Jesu pie, quod sum causa tuæ viæ,
ne me perdas illa die.
Quærens me, sedisti lassus,
redemisti crucem passus,
tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
donum fac remissionis,
ante diem rationis.
soprano e mezzosoprano
O buon Gesù, ricordati
che per me scendesti dal cielo in terra:
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
Per cercare me ti affaticasti,
per riscattarmi moristi in croce,
non sia vano tanto dolore.
Giudice giusto e severo,
concedimi il perdono,
prima del giorno della resa dei conti.
tenore
Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus,
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem didisti.
Preces meæ non sunt dignæ,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne!
Inter oves locum præsta,
et ab hædis me sequestra,
statuens in parte dextra.
tenore
Piango come un reo,
per la colpa arrossisce il mio volto:
risparmia chi ti supplica, o Dio.
Tu che hai perdonato Maria di [Magdala]
e accolto la preghiera del buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
Le mie preghiere sono indegne,
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
ch’io non arda nel fuoco eterno.
Fammi posto tra gli agnelli,
e separami dai capri,
chiamandomi alla tua destra.
basso e coro
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis,
gere curam mei finis.
basso e coro
Quando avrai smascherato i malvagi,
condannati alle fiamme atroci,
chiamami insieme ai tuoi eletti.
Prostrato a terra, invoco pietà,
il mio cuore è spezzato e incenerito:
prenditi cura del mio destino.
coro
Dies iræ, dies illa,
solvet sæclum in favilla,
teste David cum Sibylla.
coro
Giorno terribile quel giorno
in cui il mondo finirà incenerito,
testimoni Davide e la Sibilla.
soli e coro
Lacrymosa dies illa,
qua resurget ex favilla,
judicandus homos reus.
Huic ergo parce Deus.
Pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.
soli e coro
Giorno di lacrime, quello
in cui dalle ceneri risorgerà
il reo per essere giudicato.
Concedigli il perdono, o Dio.
Gesù, Signore pietoso,
concedi a tutti il riposo eterno. Amen.
III. Offertorium
soli
Domine Jesu Christe, Rex gloriæ, libera animas
omnium fidelium defunctorum de pœnis inferni
et de profundo lacu.
Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas tartarus,
ne cadant in obscurum: Sed signifer sanctus
Michæl repræsentet eas in lucem sanctam,
quam olim Abrahæ promisisti et semini ejus.
Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus.
Tu suscipe pro animabus illis, quarum hodie
memoriam facimus; Fac eas, Domine, de morte
transire ad vitam, quam olim Abrahæ promisisti
et semini ejus.
Libera animas omnium fidelium defunctorum de
pœnis inferni. Fac eas de morte transire ad vitam.
soli
Signore Gesù Cristo, Re di gloria, libera le anime
di tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno
e dal profondo abisso.
Liberale dalla bocca del leone, non siano
inghiottite dal baratro, non cadano nel buio
della notte eterna: ma che l’Arcangelo Michele,
col suo vessillo, le introduca nella luce divina,
che un tempo promettesti ad Abramo e alla sua
discendenza.
A te, o Signore, offerte e preghiere offriamo con
lodi. Accettale per le anime di cui oggi facciamo
memoria; falle passare, Signore, dalla morte alla
vita, che un tempo promettesti ad Abramo e alla
sua discendenza.
Libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene
dell’inferno. Falle passare dalla morte alla vita.
IV. Sanctus
due cori
Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus
Sabaoth.
Pleni sunt cœli et terra gloria tua.
Hosanna in excelsis!
Benedictus, qui venit in nomine Domini.
Hosanna in excelsis!
due cori
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo.
Il cielo e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nel più alto dei cieli!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Osanna nel più alto dei cieli!
V. Agnus Dei
soprano, mezzosoprano e coro
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis
requiem.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis
requiem sempiternam.
soprano, mezzosoprano e coro
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
dona a loro il riposo.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
dona a loro il riposo eterno.
VI. Communio
mezzosoprano, tenore e basso
Lux æterna luceat eis, Domine, cum sanctis tuis
in æternum, quia pius es.
Requiem æternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis, cum sanctis tuis
in æternum, quia pius es.
mezzosoprano, tenore e basso
L’eterna luce, Signore, li illumini in eterno insieme
ai tuoi santi, perché tu sei misericordioso.
L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda
su essi la luce eterna, insieme ai tuoi santi
in eterno, perché tu sei misericordioso.
VII. Responsorium
soprano e coro
Libera me, Domine, de morte æterna,
in die illa tremenda, quando cœli movendi sunt
et terra, dum veneris judicare sæculum
per ignem.
Tremens factus sum ego et timeo, dum discussio
venerit atque ventura ira, quando cœli movendi
sunt et terra.
Dies iræ, dies illa, calamitatis et miseriæ,
dies magna et amara valde, dum veneris judicare
sæculum per ignem.
Requiem æternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Libera me, Domine, de morte æterna,
in die illa tremenda, quando cœli movendi sunt
et terra, dum veneris judicare sæculum
per ignem.
soprano e coro
Liberami, Signore, dall’eterna morte, in quel giorno
tremendo, quando il cielo e la terra saranno
sconvolti, quando verrai a giudicare il mondo
col fuoco.
Io tremo di spavento e ho paura, davanti al severo
giudizio e all’ira che verrà, quando il cielo e la terra
saranno sconvolti.
Giorno terribile quel giorno, di catastrofi e miseria,
giorno grande e ben triste, quando verrai a
giudicare il mondo col fuoco.
L’eterno riposo dona loro, Signore,
e splenda su essi la luce eterna.
Liberami, Signore, dall’eterna morte, in quel giorno
tremendo, quando il cielo e la terra saranno
sconvolti, quando verrai a giudicare il mondo
col fuoco.
Michelangelo Buonarroti (1475-1564), Giudizio universale, particolare con la resurrezione dei corpi. Roma,
Cappella Sistina, 1536-1541.
Gianandrea Noseda è considerato oggi tra i più
eminenti direttori d’orchestra del panorama internazionale. Direttore Musicale del Teatro Regio dal
2007, che ha collocato stabilmente nella mappa
dei grandi teatri d’opera, vi dirige ogni anno produzioni operistiche e concerti sinfonici. Dal 2010
al 2014 ha guidato i complessi del Teatro Regio
in tournée in Spagna, Francia, Germania, Austria,
Cina, Giappone, Russia e Scozia. Al Théâtre des
Champs Elysées di Parigi torna ogni anno per
presentare opere in forma di concerto, un appuntamento ormai molto atteso dal pubblico parigino.
Nel maggio 2013 ha portato l’Orchestra e il Coro
del Teatro Regio per la prima volta a Dresda e a
Vienna (Konzerthaus), mentre nel dicembre 2014
li accompagnerà in Nord America, dove debutteranno con quattro esecuzioni in forma di concerto
di Guglielmo Tell a Chicago, Ann Arbor, Toronto e
alla Carnegie Hall di New York. Molte delle produzioni che ha diretto al Regio sono uscite in dvd;
tra queste I Vespri siciliani di Verdi (con la regia di
Davide Livermore), Boris Godunov di Musorgskij
(con la regia di Andrei Konchalovsky) e Thaïs di
Massenet (con la regia di Stefano Poda), che è stata
inserita tra le venti produzioni più belle degli ultimi vent’anni da «Bbc Music Magazine».
Gianandrea Noseda è inoltre Direttore Ospite
Principale dell’Orchestra Filarmonica di Israele,
Conductor Laureate della Bbc Philharmonic, “Victor De Sabata Guest Chair” della Pittsburgh Symphony e Direttore Artistico del Festival di Stresa.
È stato inoltre il primo Direttore Ospite Principale
straniero nella storia del Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo e Direttore Ospite Principale della
Rotterdam Philharmonic e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Nato a Milano, dove ha compiuto gli studi musicali, dirige le più importanti orchestre sinfoniche
del mondo: Los Angeles, Chicago, Pittsburgh,
Cleveland e Philadelphia negli Stati Uniti, la London Symphony, l’Orchestre de Paris e la Filarmonica della Scala in Europa, mentre in Giappone è
ospite regolare della NHK Symphony Orchestra.
Intensa e felice la collaborazione con il Metropolitan di New York dove dirige ogni anno dal 2002
e dove è tornato nel 2014 con due produzioni, tra
cui un attesissimo Il principe Igor (per la regia di
Dmitrij Černjakov). Tra i momenti culminanti delle passate stagioni, l’esecuzione del War Requiem
di Britten con la London Symphony (presentato
al Barbican Centre di Londra e al Lincoln Centre
di New York e poi pubblicato in cd). Il personale successo nel Macbeth alla Metropolitan Opera,
insieme al trionfo della Luisa Miller scaligera, dei
Vespri siciliani all’Opera di Vienna e del Rigoletto al
Festival di Aix-en-Provence, lo impongono ormai
come sicuro punto di riferimento per il repertorio
verdiano nel mondo.
Dal 2002 Gianandrea Noseda è legato all’etichetta discografica Chandos, per la quale ha registrato oltre 30 cd dedicati a musiche di Bartók,
Dvořák, Karłowicz, Liszt, Mahler, Prokof ’ev,
Rachmaninoff, Šostakovič e Smetana. Un posto
particolare nella sua discografia è occupato dalla
musica di Rachmaninoff, al quale ha dedicato diverse incisioni che comprendono tutte le sinfonie e
le tre opere. Ha inoltre avviato «Musica Italiana»,
un progetto consacrato ai compositori italiani del
XX secolo, che ha portato alla riscoperta della
produzione sinfonica di grandi personalità come
Casella, Dallapiccola, Petrassi e Wolf-Ferrari attraverso registrazioni discografiche accolte dalla
critica musicale internazionale con plauso unanime. Nell’ambito della collaborazione con Deutsche
Grammophon ha inciso il debutto discografico
di Anna Netrebko con la Filarmonica di Vienna,
mentre con l’Orchestra del Teatro Regio ha diretto
l’album mozartiano di Ildebrando D’Arcangelo e
i due progetti discografici dedicati all’anniversario
verdiano con Rolando Villazón e Anna Netrebko.
Attento ai giovani musicisti, ha collaborato con
il Royal College of Music e con l’Orchestra della
Guildhall School di Londra, con la National Youth
Orchestra of United Kingdom e con l’Orchestra
Giovanile Italiana. Dirige inoltre regolarmente la
European Union Youth Orchestra in tournée in
Europa.
Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.
Il soprano Hui He è nata in Cina a Xī’ān (la
vecchia città imperiale, nota anche per il famoso
esercito di terracotta) e si è imposta all’interesse
del mondo musicale internazionale in occasione
della vincita del secondo premio al Concorso Internazionale “Plácido Domingo’s Operalia” tenutosi a
Los Angeles nel settembre 2000. Tutta la prestigiosa Giuria del Concorso ne ha sottolineato la bellissima voce e la splendida musicalità. Con Plácido
Domingo ha tenuto poi un importante concerto
il 5 gennaio 2001 a Shànghǎi Due anni più tardi,
nell’aprile 2002, si è affermata al 42° Concorso internazionale “Voci verdiane” di Busseto, vincendo
il primo premio. Presidente della prestigiosa giuria
era il noto soprano Leyla Gencer, che su di lei si è
subito espressa in termini entusiastici.
Hui He è una delle soliste più amate dal pubblico e dai mass media cinesi: recente il suo New Year
Concert, nella Sala Grande del Parlamento a Pechino, alla presenza del Presidente della Repubblica e
delle maggiori personalità politiche e culturali cinesi.
La sua carriera internazionale ha conosciuto una
svolta dal 2003, con la Madama Butterfly all’Opéra
di Bordeaux, ruolo interpretato in tutto il mondo,
e anche al Teatro Regio nel 2010 (regia di Damiano Michieletto). Celebre interprete anche di Aida e
Tosca, il suo repertorio include fra gli altri anche Un
ballo in maschera (Amelia), Il trovatore (Leonora),
Manon Lescaut, Turandot (Liù). Nell’ultimo decennio ha cantato nei maggiori teatri di tutto il mondo,
dal Metropolitan alla Wiener Staatsoper, dal Teatro
alla Scala alla Deutsche Oper di Berlino, dalla Bayerische Staatsoper al Gran Teatre del Liceu.
Daniela Barcellona è nata a Trieste, dove ha
compiuto gli studi musicali e vocali sotto la guida
di Alessandro Vitiello. Dopo aver vinto numerosi concorsi internazionali, fra i quali l’“Aldo Belli”
di Spoleto, l’“Iris Adami Corradetti” di Padova e il
“Pavarotti” International di Filadelfia, la sua carriera
ha avuto un inizio sfolgorante nell’estate del 1999
quando al Rossini Opera Festival ha interpretato
per la prima volta il ruolo di Tancredi: da allora è riconosciuta come una delle più importanti e richieste
interpreti a livello internazionale.
In Italia è stata acclamata più volte, olte che al
Rof, alla Scala di Milano, al Teatro Regio (Anna
Bolena, Tancredi, Don Carlo, Messa da Requiem di
Verdi), al Teatro dell’Opera di Roma, al Comunale
di Bologna e di Firenze, presso l’Accademia di Santa
Cecilia e il Festival dei Due Mondi di Spoleto, allo
Sferisterio di Macerata, all’Arena e al Teatro Filarmonico di Verona, al Teatro Regio di Parma e al San
Carlo di Napoli, al Carlo Felice di Genova, al Teatro
Massimo di Palermo, al Teatro Verdi di Trieste.
In campo internazionale, è stata poi ospite dei
Berliner Philharmoniker e dell’orchestra della Bayerische Rundfunk, della London Symphony Orchestra, della Deutsche Oper di Berlino, del Metropolitan di New York (Norma), della Royal Opera House di Londra. Si è esibita all’Opéra e al Théâtre des
Champs Elysées di Parigi, alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera, al Teatro Real di Madrid,
al Liceu di Barcellona, al Palau des Artes di Valencia,
alla Staatsoper di Vienna, a Ginevra, Amsterdam,
Semperoper di Dresda, all’Opera di Tel Aviv e al Festival di Salisburgo, presso la Sydney Opera House,
al Festival Radio France et Montpellier, a Las Palmas e Tokio.
Ha collaborato con alcuni fra i più grandi direttori d’orchestra, quali Claudio Abbado, Roberto
Abbado, Daniel Barenboim, Bruno Campanella,
Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Sir Colin
Davis, Gianluigi Gelmetti, Valery Gergiev, James
Levine, Lorin Maazel, Riccardo Muti, Kent Nagano, Gianandrea Noseda, Georges Prêtre, Wolfgang
Sawallisch e Alberto Zedda. Fra gli importanti riconoscimenti che le sono stati assegnati, ricordiamo il premio “Abbiati” della critica italiana, i premi
“Lucia Valentini-Terrani” e “Aureliano Pertile”, l’Opera Award 2002, il premio Cd Classica, il “Rossini
d’oro” e il “S. Giusto d’oro” (la più giovane premiata).
Numerose le incisioni discografiche, che comprendono monografie dedicate ad Alessandro Scarlatti e a Pergolesi (Sony), opere di Rossini (Stabat
Mater, Petite Messe solennelle, Giovanna d’Arco, due
edizioni del Tancredi, Bianca e Falliero, Adelaide di
Borgogna, Sigismondo e Il viaggio a Reims), di Bellini (due edizioni della Norma), di Mayr e Meyerbeer (rispettivamente Ginevra di Scozia e Margherita d’Anjou), la Messa da Requiem verdiana (nella
celebre incisione con Claudio Abbado e i Berliner
Philharmoniker), fino ai monumentali Les Troyens
di Berlioz, con la direzione di Gergiev.
Nato a Santa Cruz de Tenerife, Jorge de León intraprende lo studio del canto con Isabel García Soto,
perfezionandosi poi in Italia con Giuseppe Valdengo e in Spagna con Alfonso García Leoz. Vincitore
del Concorso nazionale “Villa Abaran” di Murcia, si
esibisce in opere, concerti e zarzuelas nei principali
teatri spagnoli. Nel 2004 vince il primo premio e il
premio “José Carreras” come miglior tenore al Concorso “Julian Gayarre”; l’anno seguente è vincitore
del secondo premio al concorso “Jaime Aragall”.
Nel 2010 si è affermato in Andrea Chénier a Madrid, in Cavalleria rusticana e La vida breve a Valencia sotto la direzione di Lorin Maazel, in Carmen,
ancora a Valencia e all’Arena di Verona, in Madama
Butterfly a Tenerife e in Aida a Valencia. Nel 2011
ha cantato Carmen al San Carlo di Napoli, Tosca a
Madrid, Madama Butterfly a Bari, Tosca e Carmen a
Palermo. Nel 2012 ha debuttato alla Scala in Aida,
interpretato Le Cid e Tosca a Valencia e Il trovatore e
Aida in Arena di Verona.
Il Teatro alla Scala l’ha coinvolto in due tournée
per Aida, in Qatar nel 2012 e in Giappone nel 2013;
dalla fine del 2012 ha cantato Turandot a Firenze e
a Tokyo sotto la direzione di Zubin Mehta, Tosca a
Pamplona e Valladolid, Aida a Palermo. Nell’estate 2013 ha eseguito la Messa da Requiem di Verdi a
Barcellona mentre, dopo l’Aida dell’Arena, ha vestito
i panni di Radamès anche alla Scala e a Napoli. Nel
2014 è stato invitato a Berlino per Tosca, ad Avenches e Verona per Carmen, a Pechino e Milano per
Cavalleria rusticana, a Bilbao per Alzira. Nel 2015
tornerà nuovamente a Pechino, per Aida, ancora
una volta diretto da Zubin Mehta. Con questo
concerto debutta al Teatro Regio.
Michele Pertusi ha collaborato con direttori
di fama internazionale quali Daniel Barenboim,
Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Colin Davis, Daniele Gatti, Carlo Maria Giulini, Vladimir
Jurowski, James Levine, Zubin Metha, Riccardo
Muti, Antonio Pappano e Georg Solti, calcando i
palcoscenici dei più importanti teatri al mondo, fra
i quali l’Opéra Bastille, la Wiener Staatsoper, il Covent Garden, il Teatro alla Scala, il Metropolitan
di New York, il Teatro Real di Madrid, il Rossini
Opera Festival di Pesaro, la Bayerische Staatsoper,
la Deutsche Oper di Berlino, la Monnaie di Bruxelles, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il
Barbican Centre di Londra.
Ha inaugurato la stagione 2013/14 con grande
successo in Attila all’Opéra Royal de Wallonie di
Liegi e in seguito ha interpretato Jacopo Fiesco
nell’inaugurale Simon Boccanegra del Teatro Regio;
ha cantato la Messa da Requiem di Verdi al Teatro
Regio di Parma, I Puritani all’Opéra national de
Paris, La Sonnambula al Liceu di Barcellona e al
Metropolitan di New York, Così fan tutte al Teatro
alla Scala e Petite Messe solennelle di Rossini al Festival di Salisburgo.
Fra i suoi prossimi impegni annovera La forza
del destino al Festival Verdi di Parma, Semiramide
(Lione), Maria Stuarda e Nabucco (Barcellona),
Requiem di Mozart con la Chicago Symphony, Il
barbiere di Siviglia, Nabucco, Rigoletto e Don Pasquale (Wiener Staatsoper), I Puritani (Zurigo),
Maria Stuarda (Avignone) ed Ernani (Tolosa).
Raffinato interprete rossiniano, Michele Pertusi
è stato più volte acclamato trionfatore al Rossini
Opera Festival di Pesaro. Il debutto pesarese, risalente al 1992, lo vide protagonista di una nuova
produzione di Moïse et Pharaon (come Moïse) diretta da Vladimir Jurowski, con la regia di Graham
Vick. Sempre a Pesaro ha recentemente interpretato Il viaggio a Reims, Petite Messe solennelle, Le Siège
de Corinthe e La gazza ladra. Il Festival Rossiniano
gli ha conferito inoltre il prestigioso premio “Rossini d’oro”.
La sua ricca discografia comprende, fra gli altri
titoli, Petite Messe solennelle, Stabat Mater, Cantata
per Pio IX, Cenerentola e Il turco in Italia diretta da
Riccardo Chailly, Don Giovanni e Così fan tutte con
Georg Solti (Decca), Le nozze di Figaro con Zubin
Mehta (Sony), Semiramide e Maometto II (Ricordi), Don Giovanni con Daniel Barenboim (Erato),
La Damnation de Faust e Falstaff con Colin Davis
(Lso).
Nel 1995 gli è stato conferito il premio “Franco
Abbiati” dalla critica musicale italiana. Per l’incisione del Turco in Italia diretta da Riccardo Chailly
(Decca) è stato insignito del Gramophone Award e
nel febbraio 2006 ha vinto il prestigioso Grammy
Award per l’incisione del ruolo del titolo in Falstaff.
Ha recentemente ricevuto dal Presidente della Repubblica italiana la Medaglia d’Oro come Benemerito della Cultura.
Nato a Parma, ha studiato canto con Arrigo Pola
e Carlo Bergonzi; in seguito ha completato la sua
formazione con Rodolfo Celletti. Collabora per la
preparazione dei ruoli con la professoressa Hisako
Tanaka.
Claudio Fenoglio, nato nel 1976, si è diplomato con il massimo dei voti e la lode in Pianoforte
e in Musica corale e direzione di coro; si è inoltre
laureato in Composizione. Ha studiato principalmente con Laura Richaud, Franco Scala, Giorgio
Colombo Taccani e Gilberto Bosco, frequentando
numerosi corsi di perfezionamento. Parallelamente
agli studi accademici ha iniziato l’attività in ambito
operistico come Maestro sostituto per poi specializzarsi nella direzione di coro. È stato Aiuto Maestro del coro presso il Teatro Massimo di Palermo
affiancando per due anni Franco Monego.
Nel 2002 è stato chiamato al Teatro Regio come
Assistente del Maestro del coro Claudio Marino
Moretti e successivamente di Roberto Gabbiani.
A partire dal 2007 ha cominciato l’attività come
Altro Direttore del coro, alternandosi al Direttore
principale in alcune produzioni della Stagione del
Regio e collaborando con il Coro Filarmonico dello
stesso Teatro. Nel novembre 2010 è stato nominato Direttore del Coro del Teatro Regio, incarico
che mantiene tuttora accanto a quello di Maestro
del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del
Conservatorio “G. Verdi” di Torino.
L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo
Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti
numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo
degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon
Lescaut e Bohème di Puccini.
Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato
una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in
prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti
più celebri e alla guida del complesso si sono alternati direttori di fama internazionale come Roberto
Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Gelmetti, Gergiev, Luisotti, Oren, Pidò, Sado,
Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal
2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e
del Mariinskij di San Pietroburgo.
Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi cinque anni, in particolare, è stata ospite
con il maestro Noseda in Germania (Wiesbaden,
Dresda), Spagna (Madrid, Oviedo, Saragoza e altre
città), Austria (Wiener Konzerthaus), Francia (al
Théâtre des Champs-Elysées di Parigi). Nell’estate
del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con Traviata e Bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”:
nove date a Tokyo con Tosca, Messa da requiem, Un
ballo in maschera e un Gala Rossini. Dopo le prime
tournées a San Pietroburgo ed Edimburgo, i prossimi appuntamenti internazionali del 2014 saranno
a Parigi, Chicago, Toronto, Ann Arbor e New York
(Carnegie Hall).
L’Orchestra e il Coro del Teatro figurano oggi
nei video di alcune delle più interessanti produzioni
delle ultime Stagioni: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana
Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera e
I Vespri siciliani. Tra le incisioni discografiche più
recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figurano due cd dedicati a Verdi con Rolando Villazón
e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcangelo per Deutsche Grammophon; per
Chandos Quattro pezzi sacri di Verdi e Magnificat e
Salmo XII di Petrassi.
Fondato alla fine dell’Ottocento e ricostituito nel
1945 dopo il secondo conflitto mondiale, il Coro del
Teatro Regio è uno dei maggiori cori teatrali europei. Sotto la guida di Bruno Casoni (1994-2002) ha
raggiunto un alto livello internazionale, dimostrato
anche dall’esecuzione dell’Otello di Verdi sotto la
guida di Claudio Abbado e dalla stima di Semyon
Bychkov che, dopo averlo diretto al Regio nel 2002
per la Messa in si minore di Bach, lo ha invitato a
Colonia per l’incisione della Messa da Requiem di
Verdi ed è tornato a coinvolgerlo nel 2012 in un
concerto brahmsiano con l’Osn della Rai.
Il Coro è stato diretto successivamente da Roberto Gabbiani, che ne ha incrementato ulteriormente
lo sviluppo artistico, mentre nel novembre 2010
l’incarico è stato attribuito a Claudio Fenoglio. Oltre alla Stagione d’Opera, il Coro svolge anche una
significativa attività concertistica e figura in diverse
registrazioni discografiche, ultime delle quali Boris
Godunov di Musorgskij, Un ballo in maschera, Vespri
siciliani e Quattro pezzi sacri di Verdi, Magnificat e
Salmo IX di Petrassi con l’Orchestra del Regio diretta da Gianandrea Noseda.
Il Coro ha preso parte alle numerose tournée del
Teatro Regio in tutta Europa e nelle due trasferte in
Oriente: in Cina e Giappone nel 2010, a Tokyo nel
2013, con diverse produzioni operistiche e concerti
lirico-sinfonici. Dopo le tappe di San Pietroburgo e
Edimburgo, parteciperà a tutti i prossimi appuntamenti internazionali del Regio, a Parigi e in Nord
America.
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Orchestra
Violini primi
Stefano Vagnarelli •
Marina Bertolo
Claudia Zanzotto
Monica Tasinato
Edoardo De Angelis
Fation Hoxholli
Marcello Iaconetti
Elio Lercara
Carmen Lupoli
Enrico Luxardo
Miriam Maltagliati
Alessio Murgia
Laura Quaglia
Daniele Soncin
Giuseppe Tripodi
Francesca Viscito
Roberto Zoppi
Violini secondi
Cecilia Bacci •
Tomoka Osakabe
Bartolomeo Angelillo
Silvana Balocco
Paola Bettella
Maurizio Dore
Anna Rita Ercolini
Angelica Faccani
Silvio Gasparella
Ekaterina Gulyagina
Roberto Lirelli
Anselma Martellono
Brice Olivier Mbigna
Mbakop
Ivana Nicoletta
Paola Pradotto
Valentina Rauseo
Laura Riccardi
Viole
Armando Barilli •
Alessandro Cipolletta
Gustavo Fioravanti
Andrea Arcelli
Tamara Bairo
Rita Bracci
Claudio Cavalletti
Maria Elena Eusebietti
Alma Mandolesi
Franco Mori
Roberto Musso
Alessandro Sacco
Claudio Vignetta
Giuseppe Zoppi
Violoncelli
Relja Lukic •
Jacopo Di Tonno •
Davide Eusebietti
Giulio Arpinati
Fabrice De Donatis
Alfredo Giarbella
Francesca Gosio
Armando Matacena
Luisa Miroglio
Marco Mosca
Paola Perardi
Ottavino
Roberto Baiocco
Flauti
Federico Giarbella •
Maria Siracusa
Trombe
Sandro Angotti •
Marco Rigoletti
Paolo Paravagna
Luca Saglietti
Oboi
Carlos Del Ser •
Stefano Simondi
Tromboni
Gianluca Scipioni •
Enrico Avico
Marco Tempesta
Clarinetti
Luigi Picatto •
Luciano Meola
Tuba
Rudy Colusso
Fagotti
Andrea Azzi •
Orazio Lodin
Angela Gravina
Sergio Pochettino
Corni
Ugo Favaro •
Pierluigi Filagna
Fabrizio Dindo
Evandro Merisio
Timpani
Raul Camarasa •
Percussioni
Lavinio Carminati
Trombe interne
Ivano Buat •
Stefano Coppo
Gianluigi Petrarulo
Lorenzo Bonaudo
Contrabbassi
Davide Botto •
Atos Canestrelli
Alessandri Belli
Fulvio Caccialupi
Vito Galante
Michele Lipani
Stefano Schiavolin
• Prime parti
Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori
Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686), Marina Bertolo (Violino Carlo Ferdinando
Landolfi, Milano 1751), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725) e Tomoka Osakabe (violino
Bernardo Calcanius, Genova 1756).
Coro
Soprani
Sabrina Amè
Nicoletta Baù
Chiara Bongiovanni
Anna Maria Borri
Caterina Borruso
Sabrina Boscarato
Eugenia Braynova
Serafina Cannillo
Cristina Cogno
Cristiana Cordero
Eugenia Degregori
Alessandra Di Paolo
Manuela Giacomini
Federica Giansanti
Rita La Vecchia
Laura Lanfranchi
Paola Isabella Lopopolo
Maria de Lourdes
Martins
Francesca Moretti
Lyudmila Porvatova
Silvia Spruzzola
Pierina Trivero
Giovanna Zerilli
Mezzosoprani /
Contralti
Angelica Buzzolan
Shiow-hwa Chang
Ivana Cravero
Corallina Demaria
Maria Di Mauro
Roberta Garelli
Rossana Gariboldi
Elena Induni
Naoko Ito
Antonella Martin
Raffaella Riello
Myriam Rossignol
Marina Sandberg
Teresa Uda
Daniela Valdenassi
Tiziana Valvo
Barbara Vivian
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Tenori
Pierangelo Aimé
Janos Buhalla
Marino Capettini
Gian Luigi Cara
Antonio Coretti
Diego Cossu
Luis Odilon Dos Santos
Alejandro Escobar
Giancarlo Fabbri
Sabino Gaita
Mauro Ginestrone
Roberto Guenno
Leopoldo Lo Sciuto
Vito Martino
Matteo Mugavero
Fulvio Oberto
Matteo Pavlica
Dario Prola
Gualberto Silvestri
Sandro Tonino
Franco Traverso
Valerio Varetto
Baritoni / Bassi
Leonardo Baldi
Mauro Barra
Lorenzo Battagion
Enrico Bava
Giuseppe Capoferri
Massimo Di Stefano
Umberto Ginanni
Desaret Lika
Luca Ludovici
Riccardo Mattiotto
Davide Motta Fré
Gheorghe Valentin Nistor
Franco Rizzo
Enrico Speroni
Marco Sportelli
Marco Tognozzi
Francesco Toso
Vincenzo Vigo
Prezzo: € 2
MESSA DA REQUIEM
IL TURCO IN ITALIA
OTELLO
I PURITANI
GIULIO CESARE
HÄNSEL E GRETEL
GIUSEPPE VERDI
GIUSEPPE VERDI
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL
BALLET NACIONAL DE CUBA
GISELLE
DON CHISCIOTTE
GIOACHINO ROSSINI
VINCENZO BELLINI
ENGELBERT HUMPERDINCK
FAUST
CHARLES GOUNOD
ROBERTO BOLLE AND FRIENDS
LA BOHÈME
GALA DI DANZA
GIACOMO PUCCINI
GOYESCAS
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
ENRIQUE GRANADOS
GIOACHINO ROSSINI
SUOR ANGELICA
LA TRAVIATA
LE NOZZE DI FIGARO
NORMA
GIACOMO PUCCINI
WOLFGANG AMADEUS MOZART
GIUSEPPE VERDI
VINCENZO BELLINI