13 La storia della cooperazione commerciale fra l

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13 La storia della cooperazione commerciale fra l
La storia della cooperazione commerciale fra l’Europa e i Paesi ACP
Da Yaoundé a Lomé
Il 23 giugno del 2000, l’Unione Europea e 77 Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico
(ACP) firmarono un importante accordo di cooperazione economica: l’Accordo di
Cotonou.
Il percorso che condusse a quella firma trae origine dai primissimi passi verso l’
integrazione fra i paesi europei, per la precisione, dal Trattato di Roma del 1957(5),
quando alcuni paesi (soprattutto africani), oggi aderenti al blocco ACP, vennero
associati all’allora Comunità Economica Europea in quanto stati o territori d’oltremare ancora dipendenti da alcuni dei paesi fondatori della Comunità.
L'associazione fu progettata come un grande contenitore che prevedeva accordi
commerciali ed aiuti allo sviluppo, ma dopo i primi cinque anni il fatto che molti
paesi avessero ottenuto la loro indipendenza, fece nascere l’esigenza di qualche
cambiamento.
Pertanto nel 1963 a Yaoundé, capitale del Camerun, venne firmato il primo accordo fra paesi ACP(6) e la Comunità Europea; ne seguì un secondo, firmato nel 1969
che, come il precedente, costituiva soprattutto un piano di aiuti indirizzati verso i
paesi di espressione francofona e dell'Africa sub-Sahariana.
La prima Convenzione di Lomè venne firmata nel 1975 fra 46 Paesi ACP e i 9
membri della Comunità Economica Europea(7).
A dare impulso all’accordo furono diversi elementi. Innanzitutto l'ingresso del Regno Unito nella Comunità portò un radicale cambiamento nella politica di aiuto; la
crisi petrolifera generò timori per la carenza di materie prime, vi era poi il desiderio di non perdere i mercati d'oltremare unito al residuo senso di responsabilità
per il passato coloniale e ad interessi geo-strategici.
Si parla dell’ingresso della Gran Bretagna come motivo di cambiamento poiché era
suo desiderio far rientrare sotto il “cappello” della CEE le preferenze accordate alle
sue ex colonie, in particolare per zucchero e banane.
Il protocollo relativo all’importazione di zucchero concesse l’accesso sul mercato
comunitario di una quantità prestabilita, a prezzi ben superiori di quelli di mercato (garantiti ai produttori europei), dando inizio ad una pratica arrivata ai giorni
nostri ed oggi sotto accusa in sede WTO da parte di alcuni paesi(8).
In seguito il numero dei paesi ACP aumentò progressivamente e nel 1989 la Lomé
IV venne firmata da 68 stati: 48 dell'Africa, 15 dei Caraibi e 8 del Pacifico(9).
Allo scadere di quest’ultima Convenzione, nel febbraio 2000, l’Unione Europea decise di approfittarne per un riesame completo alla luce delle rilevanti novità avvenute sulla scena internazionale, dei cambiamenti socio-economici e politici dei
paesi ACP, e dell’aumento della povertà avvenuto nonostante gli aiuti concessi attraverso le varie convenzioni.
La Commissione riassunse tutte le sue analisi in un libro verde(10) pubblicato nel
1996, da cui vennero tratte le linee guida per negoziare una nuova Convenzione.
Dopo due anni, nel febbraio 2000, la storica “Convenzione di Lomè” venne sostituita dall’Accordo di Cotonou ratificato in Benin il 23 giugno 2000 da 77 paesi (sei
in più) avendo aderito anche le Isole Cook, la Repubblica di Nauru, la Repubblica
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Co n v en zi o ni f ra l a CE E / UE e i pa es i A CP
Anno
Convenzione
1957
Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea.
Gli Articoli 131 e 136 definiscono l’associazione dei paesi non europei
e dei territori d’oltremare con cui paesi membri della CEE hanno particolari relazioni.
1963
Yaoundé I: Accordo tra la CEE e 18 ex colonie dell’Africa francofona,
consistente in facilitazioni commerciali ed aiuti finanziari.
1969
Yaoundé II: Rinnovo della Yaoundé I, allargata a Kenya, Tanzania e
Uganda, con l’introduzione di accordi di preferenza commerciale per i
paesi in via di sviluppo in cambio dell’accesso alle loro materie prime
per la CEE.
1975
Lome I: Convenzione con inclusi accordi di preferenza commerciale
per molti prodotti ACP, diritto da parte di ogni paese di decidere autonomamente le proprie politiche, sistema di cooperazione basato
sulla reciproca sicurezza e rispetto della sovranità, sistema di stabilizzazione del reddito proveniente dall’esportazione di materie prime
(STABEX).
1979
Lome II: inserito il SYSMIN sistema di aiuto teso a stabilizzare le entrate dal settore minerario dei paesi ACP
1984
Lome III: spostamento dell’attenzione dallo sviluppo industriale al tema della sicurezza alimentare.
1990
Lome IV: Focus su aggiustamenti strutturali, incoraggiamento per la
democrazia, il buon governo, il rispetto dei diritti umani, il miglioramento della condizione femminile e l’ambiente. Enfasi sul ruolo del
settore privato come risposta alla crisi del debito e alla fame.
1995
Lome IVrev: Nuovamente sottolineati l’importanza dei diritti umani,
della democrazia e del buon governo. Nessun aumento della dotazione dell’ottavo Fondo europeo di sviluppo. Cooperazione decentrata
con inclusione della società civile.
2000
Cotonou: Rimozione di molte tariffe su prodotti ACP. Passaggio da un
sistema di concessioni senza vincolo di reciprocità a nuovi accordi di
partenariato economico fra UE e sei gruppi di paesi ACP.
2001
EBA (Everything but Arms): Immediata rimozione dei dazi doganali
su tutti i prodotti importati dai paesi meno sviluppati (eccetto armi e
munizioni). Deroghe temporali per zucchero, riso e banane.
Fonti: Bjornskov (2001), European Commission (2001)
delle Isole Marshall, Nioue e gli Stati federali di Micronesia. L’accordo, di durata
ventennale, ha terminato l’iter di ratifica di tutti i parlamenti solo nel 2003(11), anno da cui ne è ufficialmente iniziata l’applicazione.
Lomé: un nuovo approccio alla cooperazione
La prima Convenzione di Lomé venne sottoscritta il 28 febbraio 1975 nella capitale del Togo, da 46 Paesi in via di sviluppo (PVS) oltre che dalla Comunità Economica Europea.
La Convenzione si presentava innovativa rispetto alle precedenti Convenzioni di
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Yaoundé, in quanto stabiliva:
¨ la non reciprocità del libero scambio fra UE e ACP,
¨ l'attivazione di un meccanismo (STABEX) volto alla stabilizzazione dei benefici
di esportazione dei prodotti di base degli ACP;
¨ la nascita di una nuova forma di cooperazione finanziaria che prevedeva il coinvolgimento diretto delle piccole e medie industrie (PMI) locali.
L’accordo sanciva, come regola basilare del sistema della cooperazione CEE-ACP,
il principio del "partenariato tra eguali" che, nell’art. 2 della Convenzione, si esplicava:
¨ nell’eguaglianza fra i partner,
¨ nel rispetto della sovranità di ciascuno,
¨ nell’interesse reciproco,
¨ nel diritto di ogni Stato a determinare le proprie scelte politiche, sociali, culturali ed economiche.
Un aspetto fondamentale della cooperazione economica e commerciale istituito
dalla Prima Convenzione di Lomé era il regime di preferenze commerciali, il quale
prevedeva che i prodotti manufatti e i prodotti agricoli entrassero nell'Unione senza dazi doganali né restrizioni quantitative; vi era però una eccezione non di poco
conto: che tali prodotti non fossero direttamente in concorrenza con i prodotti
soggetti alla politica agricola comune.
La cooperazione allo sviluppo era invece assicurata attraverso il cosiddetto
“approccio settoriale”, suddiviso in interventi specifici nella sanità, istruzione, ambiente, eccetera.
La copertura finanziaria (di questa e di tutte le successive convenzioni) era affidata al Fondo Europeo di Sviluppo (FES) e alle risorse della Banca europea per gli
Il Fondo Europeo di Sviluppo
Il Fondo europeo di sviluppo (FES) è lo strumento principale degli aiuti comunitari alla cooperazione allo
sviluppo degli Stati ACP nonché dei paesi e territori d'oltremare (PTOM). Gli articoli 131 e 136 del trattato
di Roma del 1957 ne previdero la creazione per fornire aiuti tecnici e finanziari ai paesi africani ancora colonizzati all'epoca e con i quali alcuni Stati hanno avuto legami storici.
Benché, su richiesta del Parlamento europeo, al Fondo sia riservato un titolo nel bilancio comunitario dal
1993, il FES non fa parte del bilancio comunitario generale. È finanziato dagli Stati membri, dispone di regole finanziarie proprie ed è diretto da un comitato specifico. Gli Stati membri fissano il bilancio del FES in
seno al Consiglio mediante accordi che in seguito sono ratificati dal Parlamento nazionale di ciascuno Stato membro. La Commissione europea ed altre istituzioni istituite nel quadro del partenariato svolgono un
ruolo chiave nella gestione quotidiana del Fondo. Ciascun FES è concluso per un periodo di circa cinque
anni. Dalla conclusione della prima convenzione di partenariato nel 1964, i cicli del FES seguono in generale quelli degli accordi o delle convenzioni di partenariato.
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Primo FES: 1959-1964
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Secondo FES: 1964-1970 (Convenzione di Yaoundé I)
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Terzo FES: 1970-1975 (Convenzione di Yaoundé II)
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Quarto FES: 1975-1980 (Convenzione di Lomé I)
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Quinto FES: 1980-1985 (Convenzione di Lomé II)
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Sesto FES: 1985-1990 (Convenzione di Lomé III)
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Settimo FES: 1990-1995 (Convenzione di Lomé IV)
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Ottavo FES: 1995-2000 (Convenzione di Lomé IV e sua revisione IV bis)
Il FES è composto di vari strumenti, in particolare gli aiuti non rimborsabili, i capitali a rischio e i prestiti al
settore privato. Gli strumenti Stabex e Sysmin volti ad aiutare rispettivamente i settori agricolo e minerario sono stati soppressi dal nuovo accordo di partenariato firmato a Cotonou nel giugno 2000. Tale accordo ha inoltre razionalizzato gli strumenti del FES ed ha introdotto un sistema di programmazione evolutiva
che consente maggiore flessibilità e conferisce una più grande responsabilità agli Stati ACP.
Il 9° FES, concluso per lo stesso periodo dell'Accordo di Cotonou , è dotato di un importo di 13,5 miliardi
di euro per un periodo di cinque anni. Inoltre, le rimanenze dei FES precedenti ammontano a oltre 9,9 miliardi di euro. Fonte: Commissione Europea
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investimenti (BEI).
L’Accordo è stato costantemente rinnovato allo scadere della durata quinquennale
(1979, 1984, 1989) ed è progressivamente cresciuto il numero di adesioni, fino a
quella del Sudafrica che portò nel 1997 il numero degli associati a 71.
La terza Convenzione, firmata l'8 dicembre 1984, introdusse un nuovo capitolo
dedicato alla cooperazione culturale e sociale; l'ultima (Lomè IV), firmata il 15 dicembre 1989, la cui durata venne fissata in dieci anni, introdusse il concetto di
cooperazione decentrata per permettere agli attori territoriali (regionali e locali),
pubblici e privati, dei Paesi ACP di partecipare ai progetti di cooperazione e segnò
l’ingresso della questione democratica e della tutela dei diritti umani nelle politiche di cooperazione comunitaria.
Fra gli strumenti principali previsti dalla Convenzione è da ricordare anche il Sysmin(12), un meccanismo destinato al risanamento ed allo sviluppo del settore minerario e delle materie prime nei Paesi ACP, che si concretizza in un sistema speciale di finanziamento destinato ad essere impiegato in casi di riduzione della capacità produttiva o di congiuntura economica sfavorevole in modo da stabilizzare
le entrare minerarie.
Dopo Lomé
Allo scadere della IV Convenzione di Lomé apparve
chiaro che questa architettura andava rivista, o
quantomeno questa fu la
decisione unilaterale della
Comunità Europea.
La recessione economica
mondiale degli anni ’80, il
collasso dei sistemi socialisti dell’Est e la fine del
bipolarismo, nonché l’accelerazione del processo di
unificazione europea motivarono la scelta di negoziare qualcosa di nuovo.
Pertanto nel 1997, l’allora
Commissario per lo Sviluppo, Joao de Deus Pinheiro, chiese una riforma
radicale al sistema di cooperazione, dopo aver presentato il cosiddetto “libro
verde” con cui si chiedeva
ai paesi membri di esprimersi sul futuro della cooperazione con i paesi
ACP. Da questo vennero
tratte le linee guida(13) per
i negoziati successivi.
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Scriveva la Commissione:
"Alla vigilia del XXI secolo è necessaria una profonda riflessione sugli orientamenti futuri delle relazioni euro-ACP. La prossima scadenza dell'attuale Convenzione di Lomé (febbraio 2000) e l'obbligo contrattuale di avviare i negoziati
fra le parti al più tardi diciotto mesi prima di tale data, nonché la necessità di
definire, nell'ambito delle norme più rigorose dell'Organizzazione Mondiale del
Commercio (OMC), un quadro di cooperazione commerciale pienamente conforme alle nuove norme multilaterali, forniscono un'occasione privilegiata per
procedere a tale riflessione ed avviare un ampio dibattito sul futuro delle relazioni ACP/UE".
"Il nuovo panorama mondiale non soltanto modifica gli interessi oggettivi dell'Unione e dei suoi partner in via di sviluppo ma, per una protagonista come
l'Unione, implica anche maggiori responsabilità, che sono innanzitutto di ordine politico: l'Unione deve sostenere attivamente i processi di apertura avviati
alla fine della Guerra Fredda nel corso della seconda metà degli Anni Ottanta
e in particolare contribuire ad assicurare la vitalità dei processi di democratizzazione ancora fragili in numerosi paesi ACP. Tali responsabilità sono anche
di carattere economico: l'Unione deve mitigare gli effetti della globalizzazione,
agevolando il progressivo inserimento dei paesi poveri nell'economia mondiale”.
Quattro erano le criticità evidenziate:
1. I paesi ACP non erano tutti uguali e perciò non si doveva a considerarli come
tali:
"non tutti i paesi ACP attualmente possono impegnarsi in un partenariato politico
ed economico standardizzato con l'Unione Europea".
2. In secondo luogo, i paesi ACP dovevano iniziare a mettere mano a riforme interne per rendere efficaci gli aiuti UE e questa, dovendo rendere conto ai propri
cittadini, doveva prestare maggior attenzione all’uso dei suoi contributi: "i partners europei e ACP devono sforzarsi di conciliare due esigenze: da un lato, la responsabilità principale delle riforme delle politiche di sviluppo deve poter essere
assunta dai paesi beneficiari; dall'altro, l'Unione Europea deve poter rendere
conto al cittadino dell'impiego delle risorse della cooperazione”.
3. Come terzo fattore, la Commissione di Bruxelles sosteneva che "l'Europa e i
paesi ACP devono prefiggersi di dar vita a nuove forme di cooperazione: l'Unione
costituisce un polo unico in grado di proporre un ampio ventaglio di strumenti e
di incoraggiare partenariati scientifici, economici e tecnologici. ".
4. Per ultimo, era chiamato in causa il tema della partecipazione: "potrebbe essere
prevista una partecipazione più attiva degli operatori non governativi (settore privato ed altri rappresentanti della società civile) sotto forma di dialogo sulle priorità della cooperazione e di accesso diretto ad una parte delle risorse disponibili".
I dati statistici presentati dalla Commissione evidenziavano un declino delle
esportazioni ACP verso l’UE: la quota di mercato UE appannaggio dei paesi ACP
era del 6,7% nel 1976, ma nel 1998 era scesa al 3%, con il 60% delle esportazioni
concentrate in soli 10 prodotti. Pochi paesi avevano fatto registrare crescita economica come conseguenza delle preferenze commerciali.
Inoltre in molti dei paesi ACP la situazione interna era sfociata in disgregazioni soT RADEWATCH. SPLINDER. COM
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ciali, conflitti, guerre e crisi umanitarie rendendo impossibili le politiche di sviluppo previste.
Relativamente agli aiuti finanziari si sottolineava che le donazioni internazionali
erano scese dal 0,33% del PIL del 1976 allo 0,23% del 1998.
Relativamente alle possibili soluzioni, il libro verde definì quattro opzioni:
1. "lo status quo, con alcuni leggeri adattamenti, che mantiene il principio di un accordo globale con tutti i paesi ACP, prevedendo però modalità e priorità diverse”;
2. “un accordo globale integrato da accordi bilaterali, ed in questo caso la differenziazione sarebbe maggiore in quanto l'accordo globale comporterebbe soltanto
impegni di natura molto generale";
3. "una scomposizione di Lomé in accordi regionali”;
4. “la possibilità di dar vita ad un accordo specifico con i Paesi Meno Avanzati
(PMA) del gruppo ACP, eventualmente aperto ad altri PMA”
I negoziati iniziarono nel settembre del 1998 e si conclusero alla fine del 1999.
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l’Accordo di Cotonou: l’inserimento degli Stati ACP 19
nell'economia mondiale
Il nuovo accordo(14), firmato nel giorno del 25° anniversario della prima Convenzione di Lomé, sicuramente in una cosa appariva subito innovativo: era estremamente semplificato nella redazione, comprendendo solo 100 articoli(15) rispetto ai 369
del precedente.
Suo obiettivo dichiarato era e rimane la creazione di un nuovo sistema di relazioni
paritarie aventi come obiettivo la crescita istituzionale, sociale ed economica dei
paesi ACP, attraverso il rafforzamento dei processi d'integrazione regionale, così
da favorire il loro inserimento nel processo di globalizzazione economica mondiale,
come ben espresso dal primo articolo.
ARTICOLO 1
Obiettivi del partenariato
La Comunità e i suoi Stati membri, da un lato, e gli Stati ACP, dall'altro, in appresso
denominati "le parti", concludono il presente accordo al fine di promuovere e accelerare lo sviluppo economico, culturale e sociale degli Stati ACP, contribuendo in tal
modo alla pace e alla sicurezza e favorendo un contesto politico stabile e democratico.
Il partenariato si propone come fine principale la riduzione e infine l'eliminazione
della povertà, in linea con gli obiettivi di uno sviluppo durevole e della progressiva integrazione dei paesi ACP nell'economia mondiale.
Dimensione FINANZA
E COOPERAZIONE
Dimensione
ECONOMICA E
COMMERCIALE
Dimensione POLITICA
ACP-UE COTONOU
AGREEMENT
I tre pilastri dell’Accordo di Cotonou
Strutturalmente l’impianto dell’accordo regge su tre pilastri interconnessi: politica, economia e commercio, cooperazione e finanza. La dimensione politica sottolinea come principale obiettivo la promozione di un ambiente democratico stabile
contribuendo alla pace e alla sicurezza; leggendo il testo non può sfuggire l’enfasi
sul rispetto dei diritti umani, dei principi democratici, dello Stato di diritto e sulla
buona gestione degli affari pubblici, come esplicitato nell’articolo 9 relativo agli
“Elementi essenziali”, qui di seguito riportato(16):
“La cooperazione è orientata verso uno sviluppo durevole incentrato sull'essere umano,
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che ne è il protagonista e beneficiario principale; un siffatto sviluppo presuppone il rispetto
e la promozione di tutti i diritti dell'uomo.
Il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, compreso il rispetto dei diritti
sociali fondamentali, la democrazia fondata sullo Stato di diritto e un sistema di governo
trasparente e responsabile sono parte integrante di uno sviluppo durevole.”
La nuova formula di sostegno proposta dalla Comunità Europea prevede il coinvolgimento della società civile. L’articolo 6 definisce infatti come “attori della cooperazione” lo Stato (a livello locale, nazionale e regionale) e altri “attori non statali”:
¨ il settore privato;
¨ i partner economici e sociali, comprese le organizzazioni sindacali;
¨ la società civile in tutte le sue forme, a seconda delle particolarità nazionali.
La Convenzione, nella sua parte politica, contiene molti riferimenti alla necessità
di migliorare la democrazia in tutti i paesi dell’area:
“Il partenariato sostiene attivamente la promozione dei diritti dell’uomo, i processi di democratizzazione, il consolidamento dello Stato di diritto e il buon governo.”.
Non manca l’impegno per la tutela dei diritti delle donne:
“In tutti i campi, politico, economico e sociale, si tiene conto sistematicamente della situazione delle donne e delle questioni di genere.”
E il riferimento allo sviluppo sostenibile:
“Sono applicati e integrati ad ogni livello del partenariato i principi della gestione sostenibile
delle risorse naturali e dell'ambiente.”
La nuova Convenzione dà rilievo al settore privato al fine di stabilire condizioni di
sviluppo nei paesi ACP.
Lo sviluppo economico a cui l’accordo mira è ovviamente quello perseguito dall’Unione europea e l’articolo 21 elenca i consueti mezzi considerati indispensabili:
riforme per creare un utile contesto al settore privato e privatizzazioni:
1. La cooperazione sostiene le riforme e le politiche economiche e istituzionali di livello nazionale o
regionale necessarie per creare un contesto favorevole agli investimenti privati e allo sviluppo di
un settore privato dinamico, efficiente e competitivo. La cooperazione sostiene inoltre:
a) la promozione del dialogo e della cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato;
b) lo sviluppo di competenze imprenditoriali e di una cultura aziendale;
c) le privatizzazioni e le riforme delle imprese;
d) lo sviluppo e l’aggiornamento dei sistemi di mediazione e arbitrato(17).
A livello di riforme macroeconomiche non deve stupire che la ricetta prescritta sia
quella della liberalizzazione degli scambi e delle politiche di bilancio rigorose:
1. La cooperazione sostiene gli sforzi compiuti dagli Stati ACP per realizzare:
a) la crescita e la stabilizzazione macroeconomiche mediante l'adozione di politiche di bilancio e
monetarie di rigore, che consentano di ridurre l'inflazione e migliorare la bilancia dei pagamenti e l'equilibrio fiscale , rafforzare la disciplina fiscale, migliorare la trasparenza e l'efficienza
del bilancio, migliorare la qualità, l'equità e la composizione della politica di bilancio;
i) liberalizzare il regime commerciale e il regime dei cambi e la convertibilità delle partite correnti, tenendo conto delle condizioni particolari di ciascun paese;
ii) rafforzare le riforme dei mercati del lavoro e dei prodotti(18);
L'Unione si impegna ad offrire sostegno alla costituzione di un quadro legale in
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grado di promuovere e proteggere gli investimenti con la conclusione di nuovi accordi, il finanziamento di un meccanismo di garanzia e la fornitura di capitali di
rischio, prestiti, linee di credito.
Dal punto di vista commerciale, Cotonou ha adottato la terza opzione a suo tempo
formulata dalla Commissione Europea nel suo “libro verde”, optando per la creazione di accordi di partenariato economico:
“I negoziati per gli accordi di partenariato economico mirano in particolare a fissare il calendario della progressiva eliminazione degli ostacoli agli scambi tra le parti, conformemente alle pertinenti norme dell’OMC.”
Questi accordi, come hanno scritto Lamy e Nielson(19), rispettivamente commissari
al commercio e allo sviluppo sino al novembre 2004, costituiscono il cuore del
nuovo approccio teso a bloccare e invertire il processo di marginalizzazione dei
paesi ACP.
Pertanto:
1. Alla luce degli obiettivi e dei principi che precedono le parti convengono di concludere
nuovi accordi commerciali compatibili con le disposizioni dell'OMC, eliminare progressivamente gli ostacoli che intralciano i loro scambi e approfondire la cooperazione in tutti i settori connessi al commercio(20).
Riguardo ai tempi:
1. Gli accordi di partenariato economico sono negoziati durante il periodo preparatorio che
terminerà al più tardi il 31 dicembre 2007. I negoziati ufficiali per i nuovi accordi commerciali iniziano nel settembre 2002 e gli accordi entrano in vigore il 1° gennaio 2008, a meno
che le parti non convengano di anticipare tali date.
Sino ad allora continueranno a valere le “le preferenze commerciali non reciproche applicate in conformità della IV convenzione ACP-CE ”.
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22 Gli EPA
Tutti, nel negoziare accordi internazionali,
ripetono come un “mantra” che devono essere
compatibili col WTO e che hanno come
obiettivo la fine della povertà, la democrazia, il
rispetto dei diritti umani e lo sviluppo
sostenibile.
Il problema è che tutto questo sinora si è
rivelato incompatibile col WTO.
Dopo la firma dell’accordo il processo di avvio dei negoziati è stato lento.
Il mandato negoziale per il commissario al commercio Lamy è stato approvato solo
nel giugno del 2002 e la fase preparatoria è terminata nell’ottobre del 2003.
Il 27 settembre 2002 è stata avviata la prima fase che ha coinvolto tutti i paesi
ACP e l’Unione Europea e che si è conclusa in occasione dell’incontro ministeriale
del 2 ottobre 2003 con una dichiarazione congiunta e un rapporto contenente riferimenti e linee guida per la fase successiva dei negoziati(21), quella a livello regionale.
L’accordo di Cotonou non aveva precisato la configurazione geografica degli EPA
ma l’Unione Europea si è dimostrata decisa a non negoziare con l’intero blocco
stabilendo sei diversi gruppi regionali. Il primo gruppo ad avviare i negoziati è stato quello dei paesi dell’Africa Centrale, il 4 ottobre 2003.
Complessivamente gli EPA saranno sei, uno per ognuno dei seguenti gruppi di
Paesi:
¨ Africa Centrale;
¨ Africa Occidentale;
¨ Africa Sudorientale;
¨ Comunità di Sviluppo Sud Africana – SADC;
¨ Caraibi;
¨ Pacifico.
In totale il processo coinvolge ben 75 Paesi a cui si aggiunge il Sud Africa come
osservatore. Nel continente Africano sono esclusi dai negoziati solo i paesi del
Nord: Egitto, Libia, Algeria, Tunisia, Marocco e Sahara Occidentale, peraltro già
coinvolti nella creazione dell’area di libero scambio euro-mediterranea.
Per ogni EPA è stato concordato un documento con un calendario delle fasi previste, l’elenco delle priorità, la struttura dei gruppi di lavoro; in alcuni è stata creata
una task force congiunta UE-ACP con il compito di unire i negoziati alla cooperazione per lo sviluppo.
Le differenze fra i documenti redatti nei diversi gruppi sono minime poiché, anche
se sulla carta le decisioni dovrebbero essere collegiali, nella realtà l’esperienza e
l’abilità dei negoziatori europei ha sinora dettato legge.
In attesa di affrontare il cuore dei problemi, i paesi ACP stanno mettendo a punto
la struttura negoziale preparando le persone in modo che abbiano competenza ed
autorevolezza per negoziare con l’UE. Il problema è che è proprio l’UE a collaborare in questo, cioè a “formare” la propria controparte.
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Gli EPA Africani
Sono ben 4 le aree in cui è stata divisa l’Africa e non è stato semplice giungere alla
composizione dei gruppi negoziali.
In questo continente sono già presenti 14 comunità regionali, alcune attive altre
ancora in fase di integrazione; Southern African Development Community(22)
(SADC), Economic Community of West African States (ECOWAS) e l’Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (Communaité Economique et Monetaire de l’Afrique Centrale CEMAC) sono quelle che hanno sinora ottenuto i maggiori
risultati in termini di integrazione.
La definizione dei gruppi si è dovuta scontrare col problema delle partecipazioni
multiple e di tutta una serie di processi di integrazione ancora incompleti tentando di mettere insieme paesi con un minimo di coesione.
Il gruppo relativo all’Africa centrale è stato configurato attorno a una organizzazione regionale esistente: la CEMAC, composta da sei paesi; ad essi si è unita Sao
Tome e Principe.
Anche per l’Africa Occidentale si è fatto riferimento a una organizzazione esistente: la ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale), accordo di libero commercio che unisce 15 paesi. Otto di questi, Togo, Senegal, Niger, Mali, Guinea Bissau, Costa D’Avorio, Burkina Faso e Benin, fanno anche parte dell’UEMOA, l’Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale(23).
Il problema della sovrapposizione di più organizzazioni regionali è stato particolarmente difficile da risolvere nell’Africa Meridionale e orientale. Alla fine si è optato per due blocchi: la Southern African development Community (SADC) e l’Eastern and Southern African region (ESA).
Il cuore dell’ESA a sua volta è costituito da COMESA(24) (Market for Eastern and
Southern Africa) ma non tutti i suoi paesi membri sono stati inseriti nell’ESA
mentre l’Egitto, membro di COMESA, non è coinvolto negli EPA non essendo un
paese ACP. Infine alcuni paesi membri del gruppo ESA stanno partecipando ad altri progetti di integrazione regionale come la SADC, l’East Africa Community(25)
(EAC), l’Intergovernmental Authority on Development(26) (IGAD) e l’Indian Ocean
Commission(27) (IOC).
Nella regione identificata con l’organizzazione regionale SADC non è stato inserito
tutto il blocco dei paesi che lo compongono come potrebbe apparire logico ma solo 7 su 14 paesi aderenti, gli altri: Congo, Malawi, Mauritius, Seychelles, Zambia
e Zimbawe sono stati inseriti nell’ESA; inoltre il gruppo SADC si interseca con EAC attraverso la Tanzania (che fa parte di entrambi) e con COMESA attraverso la
partecipazione di Burundi, Coromos, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea,
Etiopia, Kenya, Madagascar, Mauritius, Ruanda, Seychelles, Sudan, Uganda,
Zambia e Zimbawe.
In più nel SADC sono inseriti tutti i paesi facenti parte della SACU, l’unione doganale dei paesi sudafricani, eccetto il Sud Africa che ha già firmato un accordo di
libero scambio con l’UE. Questa esclusione però genera un problema.
Il Sud Africa è infatti il principale paese della SACU, senza il cui consenso non si
definisce alcuna politica commerciale, non può utilizzare le preferenza riservate ai
paesi ACP non facendone parte ed essendo legato all’UE da un accordo bilaterale
di libero commercio, sta attuando politiche commerciali che influenzano anche gli
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AFRICA CENTRALE AFRICA OCCIDEN- AFRICA SUD-EST
TALE
CEMAC
ECOWAS
ESA
AFRICA MERIDIONALE
SADC
Camerun, Rep.Congo,
Gabon, Guinea Equatoriale, Rep.
Centroafricana, Chad e
Sao Tome e Principe.
Angola, Botswana, Lesotho, Mozambique,
Namibia, Swaziland e
Tanzania (SudAfrica
come osservatore).
Benin,Burkina Faso,
Costa d’Avorio,GuineaBissau, Mali, Niger,
Senegal, Togo, Capo
Verde, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia,
Nigeria, Sierra Leone e
Mauritania
Burundi, Coromos, Gibuti, Rep.Democratica
del Congo, Eritrea,
Etiopia, Kenya, Madagascar, Malawi, Mauritius, Ruanda, Seychelles, Sudan, Uganda,
Zambia e Zimbawe
Da: “Trade traps Why EU-ACP Economic Partnership Agreements pose a threat to Africa’s development”, ActionAid2004.
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ECOWAS: Economic Community of Western African States
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IGAD: Intergovernmental Authority on
Development
UEMAO: Unione
Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale
CEMAC:
Communaité
Economique et
Monetaire de
l’Afrique Centrale
COMESA: Market for Eastern and Southern Africa
SADC: Southern African Development
Community/Comunità di Sviluppo dell’Africa
del Sud
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altri paesi della SACU.
Come sarà possibile conciliare un EPA intersecato a un Accordo bilaterale? Considerando l’EPA di questa regione esterno all’accordo di Cotonou o concedendo le
preferenze APC/EBA al Sud Africa?
La situazione è insomma tutto tranne che semplice da capire e gestire: in questa
complicata rete di appartenenze a diverse organizzazioni regionali, le complicazioni e le difficoltà tecniche che molti paesi si troveranno ad affrontare dovendo trattare simultaneamente diversi accordi economici e commerciali che impongono regole diverse fra loro complicheranno la ricerca di soluzioni utili a favorire i più deboli.
Visivamente l’intricata situazione Africana è mostrata dallo schema seguente, tratto da Trade Negotiation Insights(28).
T RADEWATCH. SPLINDER. COM