CAPIRE LA LUNA

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CAPIRE LA LUNA
Capire La Luna
CAPIRE LA LUNA
di
Alessandro Boldrini
La luminosità della piccola lampadina lo infastidisce molto.
La fioca luce attraversa le palpebre e lo spesso lenzuolo che gli copre la faccia.
È già qualche minuto ch'è sveglio. Forse da quando l'ha sentita respirare più
rapidamente. Si vorrebbe girare per sottrarsi a quell'accecante bagliore che gli
impedisce di dormire; ma non ci riesce. Forse non vuole che lei s'accorga che lui è
sveglio. Sente scandire lento il tempo, troppo lento.
Il sangue che scorre alla base del collo premuto sul cuscino rumoreggia nelle orecchie
quell'assurda cantilena. Forse è questo rumore profondo, quasi provenisse dal suo
cervello, ipnotico, gl'impedisce di muoversi, di dormire. Tutti i suoi sensi nonostante il
suo desiderio di fuggire nel sonno, si sono acutizzati; la sente armeggiare nel bagno,
tra poco uscirà. Sente i passi leggeri sul pavimento di legno, gli sembra addirittura
sentire vibrare il letto che ha ormai raggiunto, apre il cassetto del suo comodino. Sente
l'ansia crescergli dentro non vuole che si accorga che non sta dormendo. È tanto
tempo che non parlano più, lui non riesce più a parlarle, ha paura di perderla. Ma sa
che l'ha persa tanto tempo fa, quando non ha saputo dirle di No.
Gli viene in mente di quella volta che stanchi del viaggio, dormirono in macchina, e lui,
sdraiato poggiava la guancia sulle cosce, e la nuca sul ventre di lei; all'improvviso
l'odore forte
del suo sesso ha raggiunto il suo naso, un odore che gli ha impedito di dormire quella
notte. E come allora tante altre notti, anche quando lei non c'era, anche quando era
lontana magari insieme ad un altro. Cerca di respirare lentamente per non insospettirla
ma non ci riesce. Svita lentamente il tappo della bottiglietta e rapidamente la mano
accarezza qua e là il corpo cospargendo quel profumo; lui, in tutta la sua vita non ha
trovato accostamento migliore.
Si veste veloce.
Tutte le paure che lo hanno congelato in quell'assurda immobilità, in quell'inspiegabile
silenzio, adesso le sente vicine, le sente sopra di lui. Il peso immenso, come mai prima,
che gli ha procurato tanto fastidio e dolore sente che sta per abbandonarlo, un peso
che l'ha protetto come una calda coperta e ora sente arrivare il freddo. Il freddo che lo
costringe a serrare forte i denti affinché non battano; allora lei si accorgerebbe. La pelle
d'oca gli copre ormai tutto il corpo, ha l'impressione di tremare. La valigia scorre
lentamente da sopra l'armadio, il rumore è ormai assordante, le orecchie gli fanno male
forse dallo sforzo per non sentire, ma più cerca di distrarsi e più sente acutizzarsi i
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sensi, quasi che qualche parte del suo cervello volesse vendicarsi, ora, di tutto quello
che lui l'ha costretto a subire. Apre i cassetti velocemente, poi l'armadio, chiude la
valigia, click. La solleva dalla sedia, alcuni passi verso il letto e poi ... silenzio. Sembra
che tutto sia immobile, conta i battiti del cuore ma il tempo sembra fermo, forse si è
sbagliato, un sogno. Probabilmente è ancora accanto ...
Sente ora il suo respiro, sempre più nitido. È rimasta accanto a lui per tutto questo
tempo, immobile, forse gli ha dato un ultima possibilità. Immagina la luce fioca della
lampada riflettersi sui suoi grandi occhi. Sente il suo sguardo frugare tra le pieghe del
lenzuolo come mani leggere che carezzano, attraverso il sudario, il suo corpo;
dolcemente. L'ultima tenera carezza prima dell'oblio.
Quanto tempo da quando lei gli accarezzava dolcemente le mani o lo baciava, quasi
sfiorando, sul collo. Si gira; passi verso la porta, infila velocemente le scarpe e la apre.
Ancora silenzio ma ora non sente più lo sguardo di lei. Click, buio.
Ancora un altro, quasi impercettibile scatto e la porta si chiude. Immobile nel letto non
riesce a muoversi, gli occhi sembrano non sopportare ora il buio che si mescola a
colori, immagini, lampi accecanti. Finalmente riesce ad aprire la bocca, vorrebbe
gridare; il nome di lei, ma non riesce. Un nome che ormai è scolpito nel suo cervello,
no! Sente il nome dentro il suo cervello, come se l'immenso dolore avesse sviluppato
un particolare tatto tra le umide masse cerebrali, e potesse sentirlo solo ora, come
dopo la chiusura di un interruttore, il dolore provocato dall'apertura del cranio e
dall'introduzione del ferro rovente che ha inciso il nome di lei ... per sempre. E ora
l'orrenda cicatrice, nel suo vuoto sembra racchiudere il ricordo della vita passata per
lei, con lei. Il rumore dei passi di lei sulle scale, sembra il martellare della pioggia sul
marciapiede, prima qualche goccia incerta, qua e là, poi sempre più fitta fino a
scrosciare violenta, sempre più forte. Ora forma rigagnoli che piano piano scendono
verso il basso, si uniscono formando una massa più grande, più forte che lenta lava la
orrenda ferita, per sempre dolente, rendendo il ricordo pungente. Lei ormai è lontana,
chissà?
Non sa che ora è, o quanto tempo è passato ma ormai non riesce più a dormire, il
freddo gli ha addormentato il corpo e ora prova un tremendo dolore nel muoversi. Si
alza, si veste. È già sul pianerottolo, sente la porta chiudersi dietro di lui, quando si
rende conto che non ha voglia di uscire. Guarda di fronte a lui le scale che poco tempo
prima lei ha disceso. Sembra come vedesse per la prima volta quelle scale, strette in
alto, quasi fossero state costruite per impedire che si potesse percorrerle in coppia, e la
luce che parte dalle anguste fessure in prossimità degli ampi scalini pare non arrivare
alla sommità del discendente tunnel a forma di cuneo. Che strano; non l'aveva mai
notato prima. "Il tunnel" non è regolare, ma segue strane traiettorie curve che
impediscono di vedere in anticipo il pianerottolo, che spesso appare all'improvviso. La
sommità del cuneo non è sempre centrale ma a volte è spostata, ora a destra, ora a
sinistra quasi a voler segnare un passaggio obbligato; infatti gli scalini sono più
consumati, a volte rotti, dove la linea immaginaria che segnata dalla sommità del tunnel
nel buio profondo consiglia il passaggio. È arrivato al portone, ancora pochi passi.
Sente il rumore dell'acqua che cadendo con forza s'infrange sull'asfalto della strada,
nettandola.
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È solo un tubo rotto, e in basso nella pozzanghera tra i rifiuti beve un gatto, cieco da un
occhio che al suo passare lo guarda, ammiccando soddisfazione. È ancora buio, e
l'illuminazione artificiale accentua i contrasti creando un atmosfera irreale.
Uscito dal portone prende a sinistra dove la strada scende leggermente in tenui curve
fin giù al porto. Questa sera la luna illumina il cielo, e le stelle sembrano assenti, un
immenso lenzuolo nero copre le case e la luce della luna non arriva fino alla strada,
talmente e stretta e alte sono le case intorno. Un venticello leggero, fresco lo
accompagna nel suo vagare. In fondo vicino alla grande curva vede un uomo,
avvicinarsi lentamente.
Lui è contrariato, non vuole vedere nessuno, ma non fa nulla per evitarlo. È alto, vestito
senz'altro, ma non saprebbe descrivere come, di qualche anno più giovane di lui.
L'uomo lo fissa attentamente, lui non regge lo sguardo e china la testa continuando a
camminare. L'uomo s'è fermato, non sente più i suoi passi; timidamente alza gli occhi e
lo vede fermo, immobile sul lato opposto della strada nel punto più buio tra due
lampioni dove la luce sembra non essere riflessa da nulla. Non capisce cosa succede,
non ha voglia di pensare; e come se tirato da un invisibile filo continua il cammino
verso il basso, anche se sente dentro l'agitazione crescere, forse paura. Ormai l'uomo
e vicino, forse pochi passi ancora e l'avrà superato. Sente lo sguardo dell'uomo su di
lui, come se lo stesse aspettando; talmente un pensiero ridicolo che vorrebbe riderne,
ma non lo fa.
Buona sera. Posso disturbarla signore? Vorrei chiederle un favore.
Lui si ferma, ancora con gli occhi bassi, si gira verso l'uomo e risponde: Certo. L'altro
rimane fermo al suo posto immobile nel buio, e aspetta. Con riluttanza allora lui si
avvicina all'uomo, nel buio, a cui presto si abitua e può vedere il bel viso del giovane;
un viso simpatico, senz'altro in altre circostanze si sarebbe fidato di lui.
Dovrebbe aiutarmi ad entrare qui.
E con la mano indica una piccola porta di legno non più alta di un metro e forse larga la
meta. La bella voce del giovane e il suo sorriso non lo mettono a suo agio, ma
risponde:
Mi dica cosa devo fare.
L'altro: È semplicissimo, deve solo stare qui e guardarmi mentre entro, non ci
vorrà molto.
Lui non capisce, una richiesta così strana, ma in fondo non deve fare molto e annuisce
leggermente. Il giovane sorride e subito si china alla porticina e armeggia in modo
strano. La piccola porta ha due ante molto mal messe ma ancora robuste; molte mani
di vernice l'hanno ricoperta nel tempo, ma nel buio non riesce a distinguerne il colore:
marrone, nero forse rossiccio. La porta inizia ad aprirsi verso l'esterno con un leggero
rumore. Dentro il buio più assoluto, una leggera folata di aria calda e umida gli colpisce
il viso, uno strano odore ma non di vecchio come si sarebbe aspettato. Non è un odore
familiare, ne è certo. Ha la sensazione di qualcosa di vivo che al suo naso non
dispiace. Sente stranamente l'agitazione crescergli dentro, prova a riepilogare nella
mente gli avvenimenti delle ultime ore, ma ogni volta che pensa a lei sente dolore. Il
marchio sembra aumentare il vuoto che racchiude i ricordi di lei che piano piano
affiorano alla coscienza, rendendoli vivi e costantemente presenti. Prova a guardare in
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alto; cerca la luna che non può vedere, cerca le stelle che non può ... "Per favore non si
distragga, si concentri o non ci riuscirò mai." La voce bassa e potente del giovane lo
richiamano alla ... realtà. Ora lo fissa attentamente, vede le mani di lui, grandi, potenti,
dalle lunghe dita, scorrere sulla porta e a volte all'interno nel buio tirando fuori qualche
granello di muro o facendo cadere dei pezzetti di vernice. Nota che più si concentra e
più e facile aprire le due ante. Infatti ora lo vede afferrarle e tirare velocemente. È ormai
aperta, l'odore è ora forte, il giovane si gira verso di lui e con un sorriso, grato, lo
ringrazia. Poi si tuffa nel buio profondo e scompare. Ne un rumore, ne un segno
dell'accaduto. Incredulo si gira intorno, come se cercasse la conferma di ciò ch'è
successo nello sguardo di ... nessuno.
Rapido è stato il movimento dei suoi occhi, ma ancor più rapida la porta a chiudersi.
Ora l'aria
è fresca, l'odore e scomparso; quasi non vede più la porta nel buio. La tocca, un
leggero calore, un brivido. Ha paura e subito ne discosta la mano. Guarda
attentamente l'ingresso; o l'uscita. Con la certezza che se ne distogliesse lo sguardo
per un attimo poi non la troverebbe più lì. Si gira e veloce si allontana verso la luce,
vorrebbe girarsi. Ma la paura lo prende, un brivido alle spalle, la sensazione forte di
una presenza dietro di lui lo fa tremare. Vorrebbe correre via, ma non riesce a mutare
il suo passo; anzi più forte è il bisogno di accelerarlo e più sente pesanti le gambe.
Come se stesse camminando nel fango, fango sempre più alto.
Finalmente la luce lo circonda e l'impressione di difficoltà lentamente scompare. Sa che
ora, anche girandosi indietro non potrebbe vedere nulla, forse una macchia di buio tra
due lampioni, ma non lo fa. Continua per la sua strada ora sereno, un cane bianco e
nero lo affianca e per un poco fanno la stessa strada. Probabilmente è stato
abbandonato e ora gira senza meta in cerca di cibo o di una carezza. Con la mano lo
accarezza dal garrese fin quasi alla coda, sul pelo corto e irto. Il cane si gira e gli
annusa la mano. Poi alla prima stradina a destra, scodinzolando allegramente sale
delle antiche scalette. Il porto è ormai vicino, ma stranamente non ode le voci dei
pescatori; forse ancora fuori per la pesca. Ecco finalmente appare alla sua vista il
piccolo porticciolo con i suoi odori, con i suoi rumori.
Il rifrangersi dell'acqua tra le barche cattura la sua mente come una dolce musica
sempre nuova, sempre uguale. Gira a destra ora, verso la piccola spiaggetta dietro il
porto dove spesso passeggiava in solitudine. In mezzo alla gente, d'estate; e solo
d'inverno, spesso accompagnato dal sibilo del vento tra i cubi di cemento; qualche
volta una coppia di innamorati il cui cuore scaldato dall'amore impediva di sentire il
freddo, dal mare. Ora stanco si siede sulla piccola barca capovolta e guarda il mare.
Increspato leggermente dalla leggera brezza che viene da terra, e la luna dipinge una
strada d'oro, che diritta da lei fino a raggiungere la spiaggia, proprio davanti a lui. Solo
una piccola fetta di cielo la interrompe. Inizia a spogliarsi lentamente come spesso gli
accadeva di fare tempo addietro, quando sentiva il bisogno di calmarsi, e tranquillo
entra nel mare, quando voleva sentire l'acqua scorrergli sulla pelle, ed inizia a nuotare
sotto, per perdersi nel buio, quando sentiva l'acqua portar via tutte le cattiverie, i
fallimenti, gl'insulti, le delusioni, le ... fino a farlo tornare pulito, nettato da ogni peso
superfluo che potesse impedirgli di sognare.
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Il respiro gli manca ed è costretto a riemergere. Affonda con forza le narici nell'aria e
inspira con vigore, quasi a volersi preparare. Apre gli occhi, e davanti a se la luna ora
tocca il mare. Lei sorride e maliziosa gli fa l'occhietto, come volesse dire:
Ma ancora non hai capito ...
Nuota lentamente a l'acqua fresca gl'inturgidisce i muscoli che sembrano trovare nuovo
vigore da quel massaggio audace. Ora la strada d'oro lo circonda completamente; e la
luna ora non sembra poi così lontana.
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