CAP.1 - Natura ed evoluzione della scienza politica Politica

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CAP.1 - Natura ed evoluzione della scienza politica Politica
CAP.1 - Natura ed evoluzione della scienza politica
Politica: attività svolta da uomini e donne per tenere insieme un gruppo; per proteggerlo, organizzarlo e
allargarlo; per scegliere chi prende decisioni e come; per distribuire risorse, prestigio, fama, valori.
Scienza politica: studio delle attività con metodo scientifico (formula generalizzazioni e teorie che possono
essere verificate e falsificate).
vedi definizioni di Easton.
L’evoluzione della Scienza politica come disciplina è difficile da delineare perchè:
1) la sua storia si intreccia con quelle di altre discipline (filosofia politica, storia delle dottrine e del
pensiero politico, diritto costituzionale e sociologia);
2) l’oggetto di analisi (che cosa è politica?) e il metodo (che cosa è scienza?) vengono sempre ridefiniti,
mano a mano che evolve la disciplina, alla ricerca della massima “scientificità”.
La scienza politica ha perciò origini antiche e recenti, e solo odiernamente le sue riflessioni sono diventate
tanto specializzate da potersi differenziare dalle altre discipline.
Dividere l’evoluzione della disciplina in pre-scientifica e scientifica, con l’individuazione di una data, rischia di
sminuire l’apporto degli studiosi pre-scientifici.
Gli oggetti d’analisi della scienza politica sono stati:
il potere
definizione in senso “politico” e distinzione dalle altre forme di potere, modalità di acquisizione e
utilizzazione, concentrazione e distribuzione, origine e legittimità del suo esercizio;
ha interessato le prime analisi classiche, da Machiavelli a Hobbes (come creare ordine politico attraverso il
controllo del potere all’interno di confini ben definiti).
lo Stato
come crearlo pluralista (Locke), democratico (Toqueville e federalisti statunitensi), forte
(Hegel), capace di assicurare compromesso fra le classi sociali (Kelsen), in grado di decidere in situazioni
d’emergenza (Schmitt);
gli studi erano influenzati da due distinte tradizioni analitiche
1] anglosassone = più attenzione ai
processi sociali che alle configurazioni statuali e il diritto costituzionale non è considerato a vantaggio della
prassi (common law); 2] continentale = studi istituzionali e forte dominanza del diritto costituzionale che
costringe l’analisi entro i confini nazionali.
la classe politica
consolidatesi le formazioni statuali, gli studiosi analizzano le modalità di formazione,
ricambio, sostituzione delle classi dirigenti (teorie pre-scientifiche di Mosca, Pareto, Michels; teoria delle
elites).
il sistema politico
dopo le esperienze del New Deal, dell nazismo e dello stalinismo è nata la necessità
di ridefinire l’oggetto di analisi, perché il potere oramai non poteva più rimandare tautologicamente allo Stato
e società senza Stato manifestavano attività politiche.
David Easton allora dà una nuova definizione di politica** e propone un’analisi sistemica della politica,
per analizzare le interazioni di tutti i componenti nel sistema e conseguenze
modello di inputs e
outputs*
L’evoluzione del metodo d’analisi:
A lungo la fonte di tutti i dati fu la storia politica. Machiavelli fu il primo a introdurre l’osservazione e la
descrizione oggettiva della realtà effettuale.
Tra il XIX-XX sec. con la riv. scientifica si imitano le tecniche d’indagine delle scienze naturali, fondate
sul principio di causa-effetto. Max Weber (1920) fonda il metodo storico comparato e la sociologia che
tiene conto del punto di vista dell’attore.
La scienza politica però non riusciva ad affermarsi come scienza autonoma a causa 1) del fascismo e del
nazismo, 2) alla spinta verso una unificazione di tutte le scienze sociali intorno ad un metodo condiviso.
Ottiene autonomia grazie al bisogno di un’analisi specificamente politologica sul New Deal (1933-1937), sul
nazismo e sullo stalinismo.
Dal 1920 fu influenzata dal comportamentismo, dai contributi di Easton, dalle critiche di Almond e Powell.
L’irruzione sulla scena politica di nuovi Stati fuori dall’area occidentale creò forti problemi analitici,
obbligando paradigmi meno etnocentrici.
Negli anni ’60 si combinano lo studio dell’oggetto “sviluppo politico” + il metodo di studio “metodo
comparato”.
Dalla fine del XX sec. c’è un pluralismo di approcci, tecniche, metodi, tematiche.
Oggi la sua autonomia è ancora messa in questione dall’economia politica con l’interpretazione marxiana,
che fa della politica mera sovrastruttura.
*Il modello di input/output per l’analisi sistemica di Easton.
Per Easton qualsiasi sistema politico ha 3 componenti:
1) comunità politica = tutti coloro sottoposti al regime; è la componente che cambia più raramente, con
secessioni e annessioni, dando vita a nuovi sistemi politici (es. divorzio di velluto della Cecoslovacchia);
2) regime = insieme delle norme, regole, procedure e istituzioni; può essere democratico, autoritario,
totalitario; cambia raramente (ma non nel caso della Francia!); attenzione, il semplice cambiamento del
sistema elettorale non individua un nuovo regime;
3) autorità = i detentori del potere politico, autorizzati dalle norme a produrre “assegnazioni imperative di
valori”; nelle democrazie cambiano periodicamente.
Inputs
domande e sostegni provenienti dalla società;
Outputs
sono gli inputs tradotti in risposte e decisioni.
Non c’è necessaria coincidenza fra Stato e sistema politico.
Il modello può analizzare anche sottoinsiemi politici come i partiti e i sindacati.
**Politica, sistema politico, scienza politica per Easton
La politica è “assegnazione imperativa di valori per una società” e non può essere espressa solo come
potere o come Stato.
Perché non è potere
ci sono troppe forme di potere e bisogna perciò specificare che cosa significa
“potere politico”; il mero potere come oggetto di studio è un ambito troppo vasto, invece il “potere politico” è
troppo limitato perché i conflitti sono caratterizzati da altri elementi come la collaborazione, la coalizione, il
consenso.
Perché non è Stato
è un’organizzazione recente che può sparire; prima dello Stato esisteva politica e ci
sarà anche dopo di esso; c’è politica sia a livello inferiore che a livello superiore dello Stato.
Se la politica è “assegnazione di imperativa di valori per una società”, allora il legame dell’attività politica non
è necessariamente solo con una particolare organizzazione come lo Stato, ma si fa ovunque si assegnino
valori (partiti, sindacati, parlamento, rapporti fra parlamento ed esecutivo...).
Il sistema politico è “un sistema di interazioni, astratte dalla totalità dei comportamenti sociali, attraverso la
quali i valori vengono assegnati in modo imperativo per una società”, il luogo privilegiato della politica.
La scienza politica è lo studio delle modalità (mutevoli) con le quali i diversi sistemi politici assegnano
imperativamente i valori.
Comportamentismo
Easton nella sua ricerca di scientificità si avvicina al comportamentismo, pensiero nato e sviluppato in
psicologia.
Il comportamentismo in politica è
1) osservare e analizzare i comportamenti concreti degli attori politici;
2) ricorrere a tecniche specifiche come interviste, sondaggi d’opinione, analisi del contenuto,
simulazioni, quantificazioni.
I suoi obiettivi sono:
I – generalizzare i comportamenti politici;
II –verificare le generalizzazioni;
III – elaborare nuove tecniche di osservazione, raccolta e interpretazione dei dati;
IV – quantificare i dati;
V – distinguere i valori dai fatti;
VI – sistematizzare le conoscenze acquisite;
VII – ottenere una scienza pura (= base solida dell’applicazione del sapere);
VIII – integrare le nuove conoscenze delle altre scienze sociali, perché se la scienza politica le ignora, si
indebolisce.
L’avvicinamento di Easton alle scienze naturali attraverso il comportamentismo porta a una rottura
epistemologica, poiché è una “scientificità” sconosciuta ai precedenti cultori dell’analisi politica. In alcuni casi
porta all’iperfattualismo, raccolta disordinata e senza costrutto di dati, rischiando l’autonomia della
disciplina.
Critiche alla scienza politica odierna di Almond e Powell
Alla fine dei ’50, Gabriel Almond e Bingham Powell indicano i tre difetti fondamentali della scienza
politica, specialmente statunitense:
1) provincialismo
fare analisi concentrate solo su sistemi europei occidentali e democratici (GB,
USA, DE, FR) e URSS;
2) descrittivismo
descrivere le caratteristiche dei sistemi, senza elaborare
ipotesi/generalizzazioni/comparazioni;
3) formalismo
fare troppa attenzione alle variabili formali (istituzioni, norme, procedure) e ignorare il
funzionamento reale dei sistemi politici.
Mentre Easton suggeriva “scientificità” e comportamentismo, essi suggerivano politica comparata e sviluppo
politico.
Almond e Powell colgono nel segno per la scienza politica statunitense, ma meno per l’europea:
1) benché basate su contesti nazionali, c’erano delle analisi non formalistiche (classe politica e partitiOstrogorski/Michels/Siegfried; procedure elettorali-Tingsten; analisi delle forme di governo-Friedrich/Finer);
2) in EU l’analisi formale è più significativa, poiché lo Stato contava più che in USA, nati senza passato
feudale.
Oltre il comportamentismo
Alla fine del XX sec. la scienza politica era diventata
1) meno euro-americanocentrica;
2) più realistica, al di là delle descrizioni formali-istituzionali;
3) più precisa;
4) più disponibile a teorizzare;
un insieme di diversi approcci, tecniche, metodi e tematiche.
Per ottenere criteri analitici precisi, ma elastici si combinano gli obiettivi del comportamentismo +
“cinque frammenti in cerca di unità” individuati da Dahl, dopo il successo del comportamentismo.
I 5 frammenti sono:
1) quantificazione
la battaglia per l’introduzione di queste tecniche è in parte vinta, perché la diffidenza è
diminuita. Purtroppo la loro utilizzazione a volte è fine a sé stessa e non illuminano i problemi, perché
slegate da teorizzazioni.
2) scienza politica empirica
ricerca di regolarità nei comportamenti politici; dalla raccolta dei dati,
elabora e verifica le generalizzazioni.
In generale la scienza politica ha sviluppato le tecniche empiriche di ricerca in tutte le loro varianti (interviste,
sondaggi d’opinione, raccolta di dati).
Due cambiamenti importanti:
I) ricomparsa del dibattito metodologico, su cosa sia davvero metodo scientifico;
II) affermazione della scienza politica empirica come obiettivo di fondo.
La scienza politica empirica non ha l’obiettivo di creare una scienza pura, perché non si accontenta di
descrivere/valutare solo l’esistente, ma riceve molti stimoli verso l’analisi applicata. Si apre così il settore
delle analisi pubbliche.
Viene applicata nel settore elettorale, nel settore delle politiche pubbliche, nello studio delle istituzioni.
Settore elettorale
si presta maggiormente ad interventi sulle regole per conseguire determinati risultati;
Settore delle politiche pubbliche
si analizzano i processi decisionali, si individuano i partecipanti e le
coalizioni, si valuta l’incidenza dei policy(issue) networks sulle decisioni stesse;
Studio delle istituzioni
detto anche ingegneria politica, è il settore in cui la scienza politica opera come
sapere applicabile.
3) l’uso della storia
il problema non è il metodo storiografico, ma l’utilizzo del materiale nell’analisi
politica. Odiernamente si preferisce lo studio diacronico.
4) rapporto fra policy making e teoria generale in scienza politica
non esiste un’insanabile
contraddizione fra policy making e teoria generale della politica: anche l’attività politica produce quesiti ai
quali lo scienziato può rispondere con teorizzazioni.
Dahl dice che: “se lo studio della politica non nasce e non è orientato da teorie generali coraggiose, anche
se vulnerabili, esso sarà destinato a cadere nella banalità”. L’opinione è condivisa, ma c’è lo scetticismo
sulla possibilità di lanciare teorie coraggiose.
William Mitchell pensa che “la teoria diventerà sempre più logico-deduttiva e matematica” e che si farà
sempre più grande uso della teoria economica, ossia indicava come risposta la political economy.
Political economy = studio che combina le variabili economiche e politiche;
- rilevati tanti inconvenienti nelle teorizzazioni in economia;
- inadeguato davanti a nuovi fenomeni;
- scarsa capacità predittiva.
Tuttavia c’è un’indissolubile rapporto fra sfera politica ed economia.
5) speculazione teorica
criticabile.
la scienza politica non ha fatto grandi passi in tale direzione, rimanendo così
Fare teoria politica in scienza politica.
Per fare speculazioni teoriche la scienza politica deve:
1) confrontarsi con la filosofia politica;
2) confrontarsi con i classici;
3) decidere che cos’è teoria politica, più precisamente scegliere l’apparato concettuale più adatto.
Filosofia politica
il suo pensiero contiene quattro conponenti significative:
I)
ricerca della migliore forma di governo;
II)
ricerca del fondamento dello Stato e giustificazione (o non) dell’obbligo politico;
III)
ricerca della natura della politica e distinzione tra politica e morale;
IV)
analisi del linguaggio politico e metodologia della scienza politica.
Solo l’ultimo punto s’incontra con la scienza politica. Gli altri 3 mancano di almeno 1 componente
indispensabile a fondare una scienza politica empirica, che sono:
i – avalutatività;
ii – esplicatività;
iii – verifica empirica. (classificazione di Bobbio)
La scienza politica, a differenza della filosofia politica ricerca puntigliosamente i fondamenti empirici delle
sue prescrizioni con l’applicazione del metodo comparato.
Le diverse tradizioni di scienza politica nei paesi derivano da un certo modo di porsi rispetto alle
componenti che Bobbio considera necessarie per il pensiero della filosofia politica.
Germania
Stoicismo e idealismo tedesco + cultura segnata dal diritto e dal peso delle istituzioni =
scienza politica che interpreta i fenomeni politici nella ricerca di una concezione totalizzante.
L’emancipazione iniziata da Weber e dalla scuola di Francoforte fu vanificata dal nazismo.
La rinascita portò:
1) importazione di metodi e di interrogativi degli Stati Uniti (dalla diaspora degli studiosi tedeschi);
2) risorgere della tradizione indigena con teorie totalizzanti.
La teorizzazione tedesca è ancora molto intensa anche se dirige verso l’empirico.
Francia
Leca.
Forte tradizione di storia politica, poca ricerca empirica. Significative eccezioni con Grawitz e
Gran Bretagna e Scandinavia
Terreno fertile per la filosofia politica. Riscontro dei 3 presupposti di
Bobbio e di riflessione sulla lingua e sul metodo; filosofia analitica (John Stuart Mill).
Gli scandinavi uniscono le tradizioni culturali <<continentali>> (analisi istituzionale) + cultura anglossassone
(ricerca empirica e filosofia analitica)
Stein Rokkan.
Italia
Interrotta dal fascismo; eterogenea e fragile; passato illustre con Mosca, Pareto, Michels.
L’influenza del diritto e della filosofia idealistica ritardano l’evoluzione della scienza politica italiana.
Alla ricerca dell’equilibrio fra ricerca empirica e teorizzazione.
Spagna
ritorno democrazia = rigoglioso sviluppo della scienza politica con importanti teorizzazioni sul
sistema politico da parte di studiosi formatisi all’estero.
Stati Uniti
scienza politica americana relativamente recente; praticata da un numero di studiosi pari alla
somma degli altri paesi; in costante scrutinio; diverse tendenze e grandi diversità = difficile fare un giudizio
sintetico.
Origini influenzate da:
1) formalismo giuridico tedesco in piccola parte; 2) dalla filosofia empirica-pragmatica di Dewey; 3) incontro
con le altre scienze sociali (psicologia behaviorista).
In estrema sintesi la scienza politica americana è empirica, orientata alla soluzione dei problemi politici più
urgenti (soprattutto nelle relazioni internazionali), poco inclini alla teorizzazione, legata al proprio modello
democratico.
Il problema maggiore sarà il superamento dell’avalutatività, interpretata scorrettamente, cioé l’accettazione e
riproposizione acritica del modello americano di democrazia.
Rapporto con i classici
Molto difficili; 2 tendenze:
1) messi da parte, sostenendo che sì, hanno saputo sollevare interrogativi cruciali, ma i tempi, i luoghi,
i metodi e le tecniche sono cambiati ed è avvenuta una rottura epistemologica in tutte le scienze
all’inizio del XX sec., che separa nettamente i classici dalla odierna riflessione politologica;
2) si sostiene la possibilità di utilizzarli efficacemente, ma non si sa assegnare loro un ruolo ben
definito.
In sintesi: la scienza politica non ha ancora trovato il modo di recuperare il pensiero dei “classici”, né di
riformularne i contributi in modo da renderli più utilizzabili.
Nasce così una battaglia fra filosofi e scienziati della politica per la difesa dei confini disciplinari, rimane
aperto il problema di cosa significhi davvero fare teoria politica nella scienza politica contemporanea.
Che cosa è teoria politica?
Non esiste un’idea universalmente accettata.
1) x Weber
teoria = insieme di empatia e comprensione = Verstehen;
2) x Kaplan (teoria positivistica)
teoria = “sistema di leggi” di 2 tipi:
I) concatenate = le leggi che le compongono formano una rete di rapporti che producono
un modulo (pattern) identificabile;
II)gerarchiche = leggi sono deduzioni da un piccolo insieme di principi fondamentali.
La maggioranza dei politologi ritiene possibile produrre teorie a medio raggio e non elaborare una teoria
generale della politica; anche se molti cercano di tenere aperta la strada della teorizzazione generale.
Ma su quale concetto generale si deve teorizzare? Ci sono diversi apparati concettuali: teoria generale del
potere, dello Stato, di sistema politico, di decisione, di heresthetics (studio della strategia di decisione +
identificazione delle “condizioni per un equilibrio delle preferenze”).
Duello fra 2 prospettive dominanti:
1) neoistituzionalismo
ha riscoperto il ruolo delle istituzioni sia formali, sia nei comportamenti
ritualizzati (es. costrizioni e aspettative di ruolo);
2) scelta razionale
accento sui comportamenti e sulle aspettative degli attori politici individuali.
A seconda del problema studiato, le formulazioni teoriche fanno riferimento ad apparati concettuali diversi.
L’utilità della scienza politica
1) Risponde alle perenni domande concernenti i temi della democrazia, della giustizia sociale, della
costruzione della pace;
cerca di porsi gli interrogativi in modo da costruire risposte falsificabili;
2) pervenire ai regimi democratici: I politologi contemporanei condividono in maggioranza la democrazia
come forma di governo;
la scienza politica è maturata con il pieno riconoscimento della multilinearità dei processi per pervenire ai
regimi democratici e alla valorizzazione della diversità degli assetti possibili;
3) formulare e sistematizzare conoscenze specifiche in materia di fenomeni
politici/istituzioni/movimenti/processi/comportamenti;
4) introdurre cambiamenti desiderabili: consapevolezza che il funzionamento dei sistemi politici non può
essere spiegato in maniera soddisfacente da chi non possiede le tecniche analitiche specifiche.
Cap.2 - Metodi di analisi
Considerazioni preliminari
Studiare i comportamenti delle donne e degli uomini nelle associazioni è più complicato perché apprendono
spesso qualcosa dai loro comportamenti e possono se vogliono cambiarli.
I comportamenti nuovi, nati in risposta a nuovi problemi, possono essere studiati con redifinizioni delle
vecchie teorie.
La pluralità dei metodi analitici
Molteplici fenomeni = molteplici metodi, alcuni specifici per certi, altri invece inappropriati, più metodi sono
applicabili allo studio dello stesso fenomeno.
Lijphart distingue 3 tipi di metodi esclusivi per fare ricerca e teorizzazione in scienza politica:
1) metodo sperimentale = si presta a poche possibilità applicative;
2) metodo comparato = se i casi sono pochi, e le variabili molte; ovviamente si riducono il numero di
variabili; adatto allo studio di sistemi politici;
3) metodo statistico = si applica quando si hanno molti casi e variabili pure. Secondo Pasquino, il
metodo statistico non ha un’autonomia precisa, ma è una tecnica, che può essere utilizzata sia
nell’osservazione partecipante, sia nel metodo sperimentale e sia nel comparato, se ci sono molti
casi.
Ai tre metodi tradizionali Pasquino ha aggiunto il metodo di osservazione partecipante = possibile solo nei
fenomeni che tollerino la presenza fisica dello studioso come “osservatore”.
La scelta di un metodo non preclude necessariamente gli altri tre.
Lijphart ha rivisto la sua classificazione e ha considerato il metodo comparato come un metodo statistico in
condizioni sfavorevoli, ma migliorabili”.
Metodo osservazione partecipante: approfondimento + esempi
Vantaggi:
1) attraverso la partecipazione in prima persona, si ottiene una massa di materiale impossibile da
ottenere per un osservatore esterno;
2) lo studioso sa quali info cercare e a chi rivolgersi per ottenerle;
Svantaggi:
1) l’oggetto dell’osservazione non può essere un intero sistema politico, ma solo il fenomeno di un
sottosistema;
2) l’osservatore rischia di essere coinvolto politicamente ed emotivamente nei fenomeni e rischia di
partecipare, perché prova simpatia per il fenomeno: lo studioso deve evitare il coinvolgimento
diretto/personale per garantire la validità della sua ricerca;
3) l’osservazione partecipante è applicabile ad un solo caso per volta: lo studioso potrà ripetere lo
studio del caso in tempo posteriore e fare ua comparazione diacronica oppure analizzare un altro
caso dello stesso periodo.
Esempio della ricerca di Michels
studio del partito socialdemocratico tedesco del 1911, fatto per rispondere alla domanda “la democrazia è
possibile e realizzabile”?
3 premesse:
I – la democrazia è fondata sui partiti;
II – se i partiti non sono democratici è improbabile che si affermi nel sistema politico;
III – è cruciale che il partito socialdemocratico che combatte per la democrazia abbia una struttura
democratica.
Michels analizza
i) la distribuzione/concentrazione del potere all’interno del partito;
ii) la selezione dei dirigenti;
iii) la produzione delle decisioni.
Risultato
Il partito socialdemocratico tedesco era un grande partito di massa e aveva bisogno di un
apparato permanente che richiedeva funzionari stipendiati a tempo pieno. I funzionari in posizione centrale
all’organizzazione, controllavano il flusso delle info, decidevano i temi dell’agenda del partito, influenzavano
le preferenze dei membri.
Nel corso del tempo, il loro interesse principale diventava il mantenimento delle loro cariche e del potere nel
partito.
Conclusione Legge ferrea dell’oligarchia = il meccanismo dell’organizzazione, mentre crea una solida
struttura, provoca nella massa organizzata la divisione di due sottopartiti: una minoranza dirigente ed una
maggioranza diretta dalla prima.
Se il partito che combatte per la democrazia non è democratico, allora non c’è speranza che la democrazia
si affermi nel sistema politico.
L’errore di Michels nella formulazione della legge e nella conclusione:
1) formula la legge, senza verificarla con lo studio di altre organizzazioni;
2) dal sottosistema applica la legge al sistema politico.
Sartori critica il salto analitico, a suo parere la democrazia si afferma grazie alla libera competizione
elettorale fra partiti, a prescindere dalla loro democraticità interna.
Procedimento scientifico usato:
1) selezione sulla base di un’ipotesi, di un caso specifico (cruciale);
2) raccolta dati, attraverso l’osservazione partecipante;
3) formulazione elegante e parsimoniosa di una legge verificabile empiricamente.
La legge ferrea delle oligarchie è stata poi verificata negli studi del sindacato americano dei tipografi e della
CDU berlinese 1950/60.
Esempio della ricerca di Hellmann
Studio sulle reazioni del partito comunista di Torino alla proposta del compromesso storico del 1976/78.
Domanda
Quanto e come può una struttura accentrata, abituata ad opporsi alla DC, trasformarsi in una
struttura di governo flessibile e disposta alla collaborazione con la DC?
L’imperativo di collaborare porta a ciò che oggi si dice “crisi terminale”: in un partito accentrato,
gerarchizzato e senza spazio al dissenso, va in crisi quando fallisce la strategia del “centro”, perché manca
una posizione di ripiego in grado di ridefinire la strategia del partito.
Studio di casi singoli: casi devianti dalla legge ferrea dell’oligarchia
Il caso del sindacato americano International Typographical Union, (studiato da Seymur, Lipset, Trow,
Coleman) è deviante
la ITU è democratica:
a) non esiste un gruppo stabile, e nel momento del rinnovo delle cariche si affrontano 2 liste di candidati;
b) le preferenze degli iscritti sono seriamente prese in considerazione da chi ha ottenuto le cariche, perché
sanno che il loro potere dipende dalla capacità di soddisfare le loro preferenze.
c) sono tutti tipografi: le differenze fra i membri erano limitate;
d) chi perdeva le cariche non subiva un trauma di perdita di status, perché ritornava al proprio lavoro.
Le variabili favorevoli alla democrazia:
1) tutti avevano un livello d’istruzione medio-alto;
2) tutti erano ben informati sui problemi del loro mestiere;
3) non esistono privilegi lavorativi per chi occupa cariche elettive, perciò non ci sono tentativi per
mantenere le cariche oltre il tempo previsto.
La legge ferrea dell’oligarchia non viene confutata, ma ridefinita: a determinate condizioni la democrazia si
afferma nelle organizzazioni.
Il caso della CDU di Berlino dal 1950/60 (studiato da Mayntz), indirettamente verifica la legge di
Michels (non viene smentita, ma neanche corroborata).
La struttura del partito era permeabile e l’unico funzionario a tempo pieno non cercava di accumulare potere
a scapito dei dirigenti eletti, perché il partito non aveva molto potere da conquistare e distribuire; perciò
1) le lotte interne erano inesistenti;
2) le manipolazioni degli iscritti irrilevanti;
Se democrazia è anche apertura del partito all’esterno e possibilità degli iscritti di controllare l’operato dei
dirigenti, allora la CDU non era abbastanza democratica: gli iscritti contavano poco, perché non si
attivavano e i dirigenti non desideravano attivarli.
Il metodo comparato
Spesso si fanno comparazioni implicite per capire le differenze e similarità fra i fenomeni politici.
Sartori dice che “paragonare serve a controllare se una generalizzazione tiene a fronte dei casi ai quali si
applica”.
Il controllo consente dopo di imparare e spiegare.
Il metodo storico comparato è una variante del metodo comparato “sincronico”, molto usato nelle scienze
sociali.
Esempi di ricerche con metodo comparato
Gabriel Almond fu un pioniere dell’analisi comparata. Classificò i sistemi politici basandosi su due
insiemi di variabili:
a) cultura politica; b) strutture di ruolo;
individuando 4 grandi categorie.
Con questa classificazione sottolinea lo stretto rapporto tra
1) cultura politica omogenea secolare + struttura di ruolo basata sulla diffusione del potere =
stabilità politica dei sistemi anglo-americani;
2) cultura politica eterogenea e frammentata + struttura di ruolo inserita in contesti ideologici =
instabilità dei sistemi continentali.
Questa analisi oggi risulta ingenua e insoddisfacente, ma stimolò la ricerca sulla cultura politica civica e sulla
democrazia.
Motivi di insoddisfazione: le categorie non sono esaustive ed esclusive (non sa dove collocare i paesi
scandinavi e la categoria dei sistemi politici pre-industriali è “residuale”)
ricerca The Civic Culture di Almond e Verba
Rendendosi conto delle inadeguatezze del tentativo, Almond, assieme a Verba, fa uno studio comparato
sulla cultura politica dei cittadini di 5 nazioni (USA, GB, Ger, Ita, Messico).
Le 4 variabili dello studio sono:
1) orientamento dei cittadini nei confronti del sistema politico in quanto tale;
2) loro conoscenza delle modalità per esprimere domande/sostegni;
3)
di produzione e influenza delle decisioni;
4) loro conoscenza sul loro specifico ruolo di cittadini.
Risultano 3 configurazioni di cultura politica:
I) provinciali = sanno quasi niente di politica;
II) sudditi = riconoscono il peso del sistema politico sulla loro vita;
III) partecipanti = sanno abbastanza del sistema politico e del ruolo che vi possono svolgere.
Gli orientamenti del sistema politico sono influenzati da elementi a) cognitivi; b) affettivi; c) valutativi;
variabili indipendenti che delineano 3 configurazioni di cultura politica (accettazione, apatia,
alienazione, dette variabili intervenienti).
I 3 diversi tipi di democrazie (stabile, statica, sfidata) sono variabili dipendenti.
Il pregio della griglia costruita è che:
1) consente di estendere l’analisi ad altri sistemi politici;
2) coglie i cambiamenti nella qualità della democrazia a seconda dei cambiamenti politici dei cittadini.
Siccome il numero dei casi è limitato a cinque, ma le variabili sono molte e i dati derivano da 5000 interviste,
il metodo d’indagine è comparato, ma l’elaborazione dei dati è statistica.
George Tsebelis, insoddisfatto della tradizionale bipartizione, fa una classificazione delle forme di
governo in base alla loro capacità decisionale ed efficienza.
La variabili indipendenti analizzate sono:
1) il numero di veto players (che cambiano a seconda degli esiti elettorali);
2) la loro posizione nel processo decisionale.
La variabile dipendente è l’esito decisionale.
Pasquino introduce nella tabella anche i sistemi semi-presidenziali + un esempio specifico di sistema
politico per ogni sistema di governo.
Ci sono 2 tipi di veto players:
1) attori istituzionali = presidenti, primi ministri, parlamenti; 2) attori partitici.
A seconda del numero di veto players si può stilare una graduatoria delle capacità decisionali (es.GB – FR –
USA – ITA 1993).
I 3 esempi sono accomunati dal fatto che sono “whole system analysis” e dallo studio sincronico;
siccome sono stati prodotti in tempi diversi, osservarli ci mostra lo sviluppo del metodo comparato:
a) l’analisi di Almond è molto teorica, ma estesa a tutti i sistemi politici;
b) l’analisi in The Civic Culture deriva dalla teoria, ma è orientata per la verifica empirica;
c) con Tsebelis, siamo a un livello intermedio.
Sincronico = fotografare in uno specifico periodo alcune situazioni e spiegarle analizzando variabili esogene
ed endogene;
Diacronico = analizzare le differenze fra fenomeni e sistemi politici nell’arco di un certo periodo di tempo.
Consente di aumentare i casi senza aumentare le variabili.
Le comparazioni diacroniche, siccome si sviluppano nello stesso ambiente politico e sociale, usufruiscono
della clausola “coeteris paribus” = danno per scontato l’ininfluenza di un certo numero di fattori, e le
differenze fra i casi sono attribuite alle variazioni nei modelli costituzionali (regimi) e alla loro incidenza sul
funzionamento del sistema.
La complessità delle comparazioni di differenze fra sistemi (sia diacroniche che sincroniche) può essere
ridotta comparando sistemi “più simili”.
Esempi di studio di casi diversi
Dowse analizza i fattori politici e i partiti che hanno influenzato i processi di modernizzazione
dell’URSS e del Ghana, sistemi politici diversissimi fra loro, che hanno in comune solo l’esistenza di un
partito unico.
Le differenze d’esito derivano dal tipo di struttura e di potere del partito unico.
Studio comparato diacronico di Turchia e Giappone (Ward e Rustow): entrambi casi di
modernizzazione dall’alto con gradi diversi di successo e apertura democratica. Le variabili studiate erano la
natura/potere/capacità delle due élite modernizzanti.
Comparazioni implicite: comparazioni molto frequenti e fatte inconsapevolmente per migliorare la
comprensione del fenomeno studiato; per tale ragione fanno parte della categoria “studio di casi”.
Gli studi di casi
Eckstein classifica i diversi tipi di studio di casi, nel modo più generale possibile, per cogliere le differenze
fra i diversi tipi e individuare le ricerche fatte per ciascun studio di caso (vedi schema).
La maggior parte degli studi su singoli sistemi politici nazionali è collocabile negli studi
“ideografico/descrittivi”.
Spesso gli studiosi cercano di rendere interessante la loro ricerca del singolo paese argomentandone
l’eccezionalità.
Ciò esclude le possibilità di comparazione e rende difficile la formulazione di generalizzazioni da sottoporre a
verifica.
Eccezionalità per Lipset = particolare combinazione di storia, credenze e valori non riscontrabili in nessun
altro sistema politico.
Lo studio euristico (thick description) = raccolta meticolosa di dati + esposizione di tutti i possibili
significati; si applica nei casi complessi senza dati e generalizzazioni di base, per ottenere una descrizione
particolareggiata.
Il suo iniziatore fu Clifford Geertz, antropologo.
Esempio di caso in parte euristico
Putnam fa una ricerca sulle regioni italiane, per studiare la natura della democrazia.
È uno studio in parte interpretativo, perché fa una comparazione diacronica fra il gruppo di regioni
meridionali e centro-nord.
Variabile indipendente
tradizioni civiche = comportamenti che conducono alla cooperazione fra
cittadini o la ostacolano.
Variabile dipendente
rendimento istituzionale (risultato superiore al centro-nord).
I comportamenti positivi vengono detti “capitale sociale” = elementi che migliorano l’efficienza
dell’organizzazione sociale, come la fiducia, le norme che regolano la convivenza e le reti di
associazionismo civico.
Lo studio si basa sulle teorie di Tocqueville (democrazia cresce e si rafforza quando i cittadini si
organizzano in gruppi).
Putnam incuriosito dai risultati, indaga poi sulla sussistenza del “capitale sociale” negli Usa.
Il caso deviante dell’India
È deviante dalla generalizzazione di Lipset sul rapporto livello di benessere – esistenza della democrazia
le democrazie nascono in sistemi politici dove la distribuzione delle risorse socio-economiche è equilibrata
e gli indicatori economici (reddito pro-capite/sociale, istituzioni) raggiungono livelli medio-alti.
L’ India ha una democrazia consociativa, benché sia un sistema economicamente povero.
Lijphart analizza il caso e spiega la devianza con la teoria del “consociativismo”
i negoziati delle élite,
producono un basso livello di conflitti sociali e un migliore funzionamento del sistema politico.
Secondo Lijphart, l’India è un caso cruciale che conferma la teoria della superiorità delle democrazie
consociative.
Lo studio del caso di Weimar e della Norvegia di Eckstein
Norvegia viene utilizzata per verificare la quasi-teoria dei modelli d’autorità, ricavata dalla precedente
comparazione fra GB e rep.di Weimar.
Premettendo che la caratteristica essenziale della democrazia è un pluralismo illimitato, responsabile,
competitivo,
perché la Germania di Weimar non ha saputo sostenere la democrazia?
Conclusione: contare i gruppi non è sufficiente, ma bisogna analizzare l’organizzazione interna dei gruppi
+ la congruenza dei loro “modelli d’autorità” con i modelli democratici. In Weimar i gruppi rilevanti
avevano una struttura gerarchica e autoritaria; le forze armate e la burocrazia non accettavano il modello
democratico.
In GB, il modello organizzativo dei gruppi era congruente con i modelli democratici.
Dal caso della Norvegia, elabora la teoria della congruenza, perfezionata con l’individuazione di 3 tipi di
sistemi, a seconda della divisione e coesione fra i gruppi:
1) consensuale (GB);
2) integrato (USA), cioé la coesione deriva dall’interazione fra le divisioni politiche;
3) di comunità (Norvegia), nonostante le visibili divisioni esiste coesione grazie a un grande senso di
solidarietà.
Lo studio dei casi è utile per:
1) comprendere i fenomeni politici;
2) controllo delle ipotesi, formulazione di generalizzazioni, affinamento teorie;
3) con scarsità di dati; lo studio descrittivo/ideografico diventa utile.
Il metodo sperimentale: approfondimento
Esempio della sperimentazione di Verba
Si interroga sugli effetti del tipo di leadership sulle attività di un piccolo gruppo.
Variabili indipendenti = leadership autoritaria/democratica;
variabili dipendenti = 1) conseguimento dell’obiettivo; 2) grado di soddisfazione dei partecipanti del
gruppo.
Risultati sfumati
dipendono dalla personalità dei partecipanti; quelli potenzialmente “partecipanti”, non
gradiscono la leadership autoritaria, al contrario dei “decisionisti”.
Metodo del sondaggio deliberativo: un campione di cittadini discute su alcuni temi sotto la guida di un
moderatore professionista. Dal suo sviluppo si capisce come e perché i partecipanti strutturano le preferenze
e dopo quali info la cambiano.
CAP.3 - Partecipazione politica
Definizione preliminare
Attività politica = rapporti che intercorrono fra individui/gruppi/associazioni/istituzioni in forme, modalità,
frequenze e intensità diverse. L’attività politica si riflette nella partecipazione politica.
Partecipazione politica = “insieme di azioni e di comportamenti che mirano ad influenzare le decisioni e la
selezione dei detentori del potere, in maniera più o meno diretta e più o meno legale, per conservare o
modificare la struttura (e i valori) del sistema d’interessi dominante.”
La definizione data individua solo la partecipazione visibile.
Partecipazione invisibile = opinione pubblica interessata alla politica e informata, che per vari motivi si
attiva raramente. È importante nei regimi democratici perché possiede la capacità di partecipare.
Le modalità di selezione dei decisori/influenza delle decisioni sono 3:
a) riconosciute dalle norme e dalle procedure legali;
b) non riconosciute, ma accettabili e accettate;
c) non riconosciute, sfidano le basi del sistema con diversi gradi di extra-legalità.
I sistemi politici si differenziano nella capacità di assorbire o meno le nuove forme di partecipazione, nel loro
grado di elasticità/rigidità rispetto a nuove domande.
La partecipazione politica è meglio analizzabile partendo dall’individuo e spiegando attraverso i suoi
comportamenti, i processi di formazione dei gruppi e delle attività collettive.
Secondo Rokkan, le variabili importanti per la partecipazione dell’individuo sono:
1) i ruoli dell’individuo nei suoi ambienti vitali;
2) con quali collettività s’identifica;
3) le scelte disponibili nella comunità locale di appartenenza;
4) le scelte disponibili nel sistema politico nazionale.
Un processo complesso = che cosa ha spinto/spinge verso la partecipazione?
Si può dire che la partecipazione politica sia un fenomeno sia antico che recente.
Antico, perché già nelle poleis greche, benché limitata a un gruppo ristretto, la partecipazione politica si
sviluppava nelle sue caratteristiche centrali (diretta a influenzare decisori e decisioni).
Recente, perché la partecipazione ha assunto le sue caratteristiche più specifiche dopo la formazione degli
stati nazionali, durante le pressioni per la democratizzazione.
I processi più importanti di sviluppo della partecipazione politica possono essere sintetizzati così:
il motivo della decisione di ampliare il numero di partecipanti deriva dal conflitto interno delle élite che
detengono il potere.
Ogni volta che il conflitto non si può risolvere entro i confini con i modi tradizionali, un settore dell’élite cerca
dei sostenitori esterni e procedono alla mobilitazione politica (= incentivazione dall’alto al coinvolgimento
nella sfera politica).
Tale passaggio avviene con la rottura delle vecchie regole e la creazione di nuove.
Il processo più regolare e semplice da studiare è l’allargamento della partecipazione politica attraverso la
concessione del diritto al voto; i processi più sregolati sono le rivoluzioni.
Rokkan, analizza il processo di democratizzazione insieme all’ampliamento della partecipazione politica
e individua 4 soglie istituzionali:
1) legittimazione = il riconoscimento formale del diritto di critica contro il regime, di riunione, di
espressione e stampa;
2) incorporazione = sono concessi formalmente i diritti di partecipazione anche ai sostenitori delle
nascenti opposizioni;
3) rappresentanza = la possibilità sostanziale di ottenere seggi in parlamento (quanto erano alte le
soglie di accesso e quanto si sono abbassate);
4) potere esecutivo = quanta influenza diretta ha il parlamento sulle decisioni dell’esecutivo.
Il processo di democratizzazione è influenzato dalla mobilitazione sociale, cioé l’insieme dei seguenti
fenomeni socio-economici:
i)
spostamento della popolazione dalla campagna alla città;
ii)
spostamento della popolazione dal settore agricolo a quello industriale e poi al terziario;
iii)
aumento della popolazione e mutamento della sua composizione;
iv)
crescita dell’alfabetizzazione;
v)
maggiore esposizione dei mezzi di massa.
Questi cambiamenti stimoleranno gli individui a partecipare per influenzare i processi che li toccano da
vicino, ma la loro “effettiva” partecipazione dipenderà dalla struttura delle opportunità politiche = le
modalità di organizzazione della sfera politica + le potenzialità di integrazione politica.
Il coinvolgimento di masse di individui è partecipazione politica quando nasce dal basso, è autonomo,
influenza i detentori del potere politico;
Si dice mobilitazione quando il coinvolgimento è indotto dai detentori del potere per controllare gli strumenti
di partecipazione e il consenso dei sudditi.
Attenzione! La mobilitazione crea le precondizioni per la partecipazione politica.
Germani distingue la mobilitazione in
1) primaria = rottura degli tradizionali schemi di comportamento;
2) secondaria = rilancio dell’attività di gruppi già mobilitati, ma passivi e subordinati;
3) smobilitazione = nel corso dei conflitti, il tentativo di alcuni gruppi sociali di fermare la mobilitazione
e ripristinare lo status quo smobilitando i settori mobilitati. È sempre temporanea, perché una volta
attivata la tensione alla partecipazione, essa non pupò essere spenta, ma solo incanalata.
C’è uno stretto nesso fra
1) processo di mutamento sociale;
2) rivendicazione dei diritti;
3) espansione nel settore pubblico e partecipazione politica.
Processo a più stadi
Gli elementi che influenzano l’intensità della partecipazione sono:
I) politicizzazione = interesse + partecipazione
II) ricettività = se gli individui ritengono irrilevanti o meno le conseguenze dell’attività degli imprenditori
politici e se questi si preoccupano o meno ad organizzare consenso.
Fattori della politicizzazione:
1) precedenti esperienze di partecipazione
hanno ottenuto soddisfazione alle proprie domande?
2) La sensibilità dei detentori rispetto alle domande
se insensibili, sono stati rimpiazzati?
3) Se e quanto senso d’identità e collaborazione si prova partecipando.
La partecipazione cala quando i detentori del potere ricorrono alla repressione e rendono insopportabili i
costi personali della partecipazione.
Le differenti modalità di partecipazione si presentano in tutti i sistemi politici, ma con diversa frequenza e
intensità.
Si possono catalogare in 1) attività orientate alla decisione; 2) attività orientate all’espressione.
Partecipazione elettorale
La partecipazione elettorale è la modalità più diffusa e universale; può essere il culmine di un’insieme di
attività di partecipazione o il momento iniziale (precondizione); dove non è tutelata, la partecipazione in altre
forme è precaria.
Esistono grandi differenze fra i regimi democratici riguardo la partecipazione elettorale e sono causate da
differenze sistemiche.
Il tasso di astensione dipende
1) dall’importanza che gli elettori attribuiscono all’esito;
2) dalla percezione che hanno della propria influenza su quell’esito
ciò dipende da come sono
strutturate le istituzioni.
Il voto nei diversi sistemi è agevolato o complicato dalle regole.
Traduce immediatamente le preferenze dei singoli elettori, ma non comunica informazioni specifiche; la
scelta del candidato, ad esempio, raramente è basata sulla conoscenza del programma.
A causa dei suoi limiti, il voto è spesso collegato al altre modalità di partecipazione.
L’inclinazione dell’individuo a esercitare il diritto di voto dipende da variabili personali:
1) orientamento psicologico;
2) componenti ambientali
i) se ha interese generalizzato per la politica; ii) se è bene informato; iii) se
ritiene di potere influenzare le scelte.
Come si formano le 3 componenti ambientali?
3 possibili risposte: 1) status socio-economico; 2)coscienza di classe; 3)senso civico.
I partecipanti
1) Lo status socio-economico è una variabile indipendente, per spiegare la presenza o l’assenza di certi
individui dalla partecipazione, perché le ricerche empiriche dimostrano che sono le persone collocate ai livelli
più alti della scala a votare.
Milbrath dice che: “le persone più vicine al centro della società sono più inclini a partecipare in politica delle
persone vicine alla periferia, perché ricevono più stimoli che le allettano a partecipare e ricevono maggior
appoggio dai loro pari quando partecipano”.
La loro partecipazione deriva dal desiderio di conservare la loro posizione privilegiata.
2) Coscienza di classe = capacità delle organizzazioni d’infondere solidarietà e di creare identità in settori
sociali che condividono esperienze socio-culturali simili.
Secondo Pizzorno “la partecipazione politica è maggiore quanto maggiore è la coscienza di classe”.
Grazie alle organizzazioni che colmano le disuguaglianze di status, anche le persone di condizione socioeconomica bassa accedono al potere politico.
Pizzorno dice che “la coscienza di classe promuove la partecipazione politica e la partecipazione politica
accresce la coscienza di classe”: si deduce che se la classe operaia si frammenta e s’imborghesisce, la loro
partecipazione non promuoverà una struttura di classe, ma interessi di gruppo particolari.
3) Senso civico
Modello nato dalla domanda “perché i cittadini non partecipano attivamente?” 3 risposte
plausibili:
1) non possono
denaro;
2) non vogliono
tempo;
3) nessuno glielo ha chiesto
conoscenze.
Si ricava che per partecipare ci vogliono denaro, tempo, conoscenze +
a) propensione all’impegno civico visto come dovere individuale (senso civico);
b) strutture di reclutamento dove l’impegno riesca a trovare uno sbocco gratificante.
I partecipanti abitualmente attivi sono maschi, di settori centrali e privilegiati, di età centrale (25/60),
pienamente inseriti nella vita sociale e lavorativa.
Aumentata la partecipazione dei settori femminili e giovanili sotto nuove forme. (vedi elenco)
Tipi di partecipanti:
inattivi
al massimo leggono di politica e sono disposti a fermare una petizione se richiesto;
conformisti
si impegnano soltanto con forme convenzionali di partecipazione;
riformisti
utilizzano le forme di partecipazioni convenzionali + forme di protesta, dimostrazioni,
boicottaggi;
attivisti
abbracciano anche forme non legali o illegali di aazione politica;
contestatori
simili a riformisti e attivisti, però non prendono parte alle forme convenzionali di attività
politica (non hanno contatti con i dirigenti e non vanno alle urne).
La razionalità della partecipazione politica
Nel comportamento elettorale, le possibilità di un singolo elettore di influenzare il risultato complessivo sono
nulle, perciò appare irrazionale che gli elettori dedichino parte del loro tempo a informarsi.
Il comportamento è razionale se la motivazione invece che strumentale è espressiva
senso di
appartenenza dell’elettore a una classe sociale/gruppo etnico.
Il voto allora diventa un’affermazione di appartenenza del gruppo.
I free riders sono non partecipanti che finiscono per godere dei benefici ottenuti dai partecipanti; possono
essere consapevoli o inconsapevoli; solo i consapevoli si rendono conto che la loro mancanza può rendere
impossibile il raggiungimento dell’obiettivo e potrebbero decidere di partecipare.
Olson dice che “l’individuo razionale nel gruppo numeroso non sarà disposto a compiere alcun sacrificio per
conseguire gli obiettivi che egli condivide con altri. Solo quando i gruppi sono piccoli, essi si organizzeranno
e agiranno per conseguire i loro obiettivi”.
Hirshman ribatte Olson dicendo che “il solo modo in cui un individuo può accrescere il vantaggio che egli
stesso trae dall’azione collettiva consiste nell’aumentare il proprio contributo... [egli va incontro] verso due
esperienze opposte, ma ugualmente deludenti: quelli in grado di partecipare attivamente rischiano di
sperimentare l’impegno eccessivo, mentre quelli che desiderano solo esprimere le loro opinioni vivono le
delusioni del sotto-coinvolgimento”.
La partecipazione nei partiti e nelle organizzazioni
Dalla ricerca sul Partito Comunista condotto da Mannheimer e Sebastiani, si estraggono 3 tipi di militante (=
partecipante molto attivo):
a) partito-ideale
concezione forte e totalizzante del partito incentivi di solidarietà/identità;
b) partito-progetto
concezione forte definita da obiettivi generali di trasformazione sociale incentivi
orientati allo scopo;
c) partito-strumento
concezione debole, definita da obiettivi particolari
incentivi materiali.
Si può valutate il cambiamento del Partito Comunista italiano osservando la trasformazione degli iscritti e la
propaganda usata per reclutare e mantenerli: si nota un’evidente crescita degli incentivi materiali e di quelli
orientati allo scopo rispetto a quelli di solidarietà.
Juan Linz riformula la tesi di Michels (legge ferrea dell’oligarchia), sottolineando i fenomeni che possono
creare tendenze oligarchiche all’interno delle organizzazioni:
1) formazione di una leadership;
2) formazione di una leadership professionale e sua stabilizzazione;
3) formazione di una burocrazia (impiegati con compiti specifici e regolarmente pagati);
4) centralizzazione dell’autorità;
5) sostituzione dei fini ultimi con fini strumentali (dalla realizzazione della società socialista a
organizzazione fine a sé stessa);
6) crescente rigidità ideologica;
7) crescente differenza tra interessi del leader su quelli dei membri;
8) la scelta dei nuovi leader è fatta dalla leadership in carica tramite cooptazione;
9) i membri non esercitano influenza sui processi decisionali;
10) spostamento I) da base di membri del partito a base elettorale; II)da base elettorale classista a base
elettorale più ampia.
Il punto che Michels e Linz vogliono sottolineare è che esistono processi interni alle organizzazioni che
vanificano la partecipazione politica e rendono le organizzazioni preda delle oligarchie.
Hirshman distingue tre modalità attraverso le quali gli iscritti possono influenzare le scelte
dell’organizzazione:
1) la protesta; 2) la defezione; 3) la lealtà.
La defezione è costosa per il membro (perdita di amici) ed è scelta quando la protesta è fallita e ci sono altre
orgaizzazioni attraenti da aderire.
La lealtà si esprime con la riaffermazione del sostegno in momenti difficili e scelte controverse.
CAP.4 - Gruppi e movimenti
L’analisi dei gruppi: pluralismo e rigidità sociali
Bentley, studioso capostipite dell’analisi dei gruppi, indirizza l’attenzione sui processi politici piuttosto che
sulle istituzioni giuridiche.
L’analisi empirica dei gruppi nell’ambiente anglosassone diventa un tutt’uno con la teoria del pluralismo ed è
stata posta come base dell’esistenza dei regimi democratici.
In democrazia sono importanti la
1) overlapping membership = individui appartenenti a più gruppi
si rendono conto della necessità
di conciliare i diversi interessi piuttostoo che cercare lo scontro;
2) cross-cutting membership = individui appartenenti ai gruppi nei quali interagiscono con altri di
diversa provenienza sociale, status, religione
tali rapporti eliminano le tensioni sociali distruttive.
Almond e Powell elaborano una classificazione dei gruppi basandosi sulle modalità di comunicare ai
detentori del potere le loro domande:
a) articolazione anomica;
b) articolazione non associativa;
c) articolazione istituzionale;
d) articolazione associativa.
Gruppi d’interesse anomico: sono gruppi nati fuori dalle regole/senza regole, perché i loro interessi sono
nuovi e non ci sono canali sperimentati per manifestare o i detentori del potere ignorano ripetutamente le
loro preferenze;
sono spinti a dramatizzare la loro situazione con tumulti, sommosse, saccheggi, assassinii.
Gruppi d’interesse non associativi: basati sull’etnia, la religione, la parentela.
Gruppi d’interesse istituzionali: sono gruppi che hanno interesse a tutelare delle prerogative in quanto
istituzioni durature; vi si appartiene solo entrando a far parte della istituzione.
Gruppi d’interesse associativi: sono gruppi che nascono per proteggere un particolare interesse
economico/sociale/culturale e autopromuoversi;
ci si può entrare e uscire senza problemi.
Caratteristiche particolari:
1) rappresentanza esplicita degli interessi;
2) impiego di personale a tempo pieno;
3) procedure ordinate x la formulazione di interessi.
4) Tendono a regolare lo sviluppo e l’influenza degli altri tipi di gruppo d’interesse.
Almond e Powell a differenza di Bentley non danno ai gruppi stesso status e potenzialità e non considerano
lo Stato un gruppo come gli altri.
Modalità di azione dei gruppi x influenzare le scelte politiche
pressione (lobby)
Non tutti i gruppi sono ugualmente riconosciuti, accettati, graditi, e dipende da quanto sono congruenti con le
norme culturali della società.
Rose individua 6 tipi di rapporti gruppi-cultura politica:
1) armonia fra le domande dei gruppi di pressione e le norme culturali generali;
2) crescita graduale nell’accettabilità dei valori politici a sostegno delle domande dei gruppi di
pressione;
3) negoziazzione con sostegno fluttuante da parte delle norme culturali;
4) promozione di fronte all’indifferenza culturale;
5) promozione di fronte al mutamento di tendenze culturali di lungo periodo;
6) conflitto fra i valori culturali e gli obiettivi dei gruppi di pressione.
Ogni gruppo cerca di massimizzare le opportunità di successo facendo leva
1) sulle risorse che possiede
2) utilizzando canali di comunicazione e di pressione sul potere politico più consoni
3) individuando il livello (esecutivo, legislativo, giudiziario) al quale vengono prese le decisioni che lo
riguardano.
(studiando l’attività dei gruppi di pressione si può individuare il locus del potere politico e ricostruire i processi
decisionali)
Le risorse dei gruppi sono:
a) la dimesione della membership
b) la rappresentatività
c) la risorse finanziarie disponibili
d) le conoscenze
e) la collocazione nel processo produttivo e nelle attività sociali.
Il successo è facilitato se la provenienza degli iscritti è la stessa di chi prende le decisioni (accordata
legittimità x affinità).
Dimensione: può influenzare direttamente, con il voto; indirettamente minacciando un dissenso delle delle
decisioni sgradite o fornendo denaro x attività a favore/contro i decision makers (org. Contadine, sindacati).
Rappresentatività: ossia quanta fetta del settore rappresenta; più è ampia , più sarà legittima l’attività di
negoziazzione e l’impatto sull’opinione pubblica.
Risosrse finanziarie: possono derivare dalla forza numerica o dal tipo di aderenti. L’utilizzazione può
essere diretta e trasparente (sovvenzione campagne elettorali e pubblicità) o indiretta (corruzione)
Conoscenze: premettendo che a) le decisioni devono essere giustificate; b) i decision makers hanno
bisogno di info; i gruppi di pressione mirano a disporre conoscenze in grado di influenzare la decisione.
L’informazione è perciò strutturata x influenzare le decisioni e spesso l’info data è minore dell’info nascosta.
Più piccolo e coeso è il gruppo, più info potrà controllare e nascondere. La trasparenza è garantita da tutti gli
interessi in gioco.
Collocazione strategica: nel processo produttivo. I destinatari più sensibili agli effetti della pressione sono i
cittadini, che poi faranno pressione sui decision-makers. L’uso di tale tattica non è esente di fallimenti.
Per i gruppi di pressione è sempre più difficile presentarsi come portatori d’interessi generali e la reazione è
diventata dura.
La reazione contro i gruppi di pressione si manifesta in 2 modi:
1) teorie neo-conservatrici = vedono i gruppi come ostacolo al conseguimento del bene comune e
come strumento per la soddisfazione di interessi particolari. Olson dice che “le coalizioni a fini
distributivi abbassano la capacità di una società di adottare nuove tecnologie e di riallocare risorse al
mutare delle condizioni e riducono il tasso di cresita economica”. In conclusione la competizione dei
gruppi non sono sempre funzionali alle democrazie.
2) neo-corporativismo = accordi fra grandi org. X tempi lunghi.
Il neo-corporativismo fra rappresentanza e partecipazione
Dalle posizioni neoprogressiste, Schmitter elabora un modello di rapporti fra org. e Stato detto neocorporativismo.
La teoria era rivolta a capire
1) lemodalità di policy-making in paesi governati dalla sinistra;
2) a spiegare i rapporti fra partito di governo, sindacati, associazioni imprenditoriali
3) quale tipo di sindacato sia più efficiente ad assorbire le tensioni interne derivanti dall’accordo neocorporativo: il sindacato monolitico accentrato o pluralista democratico? Risposta ambivalente:
sindacati accentrati sono facilitati ad accettare accordi neo-corporativi; i sindacati democratici
rappresentano meglio le domande degli iscritti e fanno fronte più facilmente alle conseguenze degli
accordi.
Per costruire un assetto neo-corporativo è necessario:
a) presenza del partito di sinistra al governo,
b) che i sindacati entrino nell’accordo perché hanno fiducia nel partito di sinistra;
c) che le associazioni imprenditoriali (che hanno poco spazio di negoziazzione) entrino
nell’accordo,perché il governo promette un basso livello di conflitto sociale e alta prevedibilità delle
politiche.
Il neo-corporativismo è un buon correttivo contro un pluralismo sfrenato e sregolato.
Il neo-corporativismo a causa di varie insoddisfazioni può subire:
1) rivolte alla base nelle org facenti parte dell’accordo;
2) mobilitazioni di masse;
3) nascita di nuovi interessi non inseribili nell’accordo;
4) nascita di movimenti monotematici non negoziabili (qui schmitter categorizza tutti i movimenti
collettivi)
La partecipazione politica attraverso i movimenti collettivi
Sui movimenti collettivi la teoria sociologica si suddivide in studiosi che la considerano 1) irrazionale o 2) le
danno un ruolo importante nelle modalità di azione sociale.
Per gli studiosi l’analisi dei movimenti presenta numerose domande:
1) qual’è il rapporto fra le componenti psicologiche e sociologiche?
2) Quandosono normali o eccezionali?
3) Quando i partecipanti sono integrati o emarginati?
4) Come si istituzionalizzano o si sciolgono?
Alberoni distingue fenomeni collettivi di gruppo e fenomeni collettivi di aggregato:
di gruppo = i partecipanti sperimentano variazioni in sé stessi e nel modo di rapportarsi agli altri;
di aggragato = sono le mode, i boom, le manifestazioni di panico, dopo i quali si riprende la vita normale.
Fra i sociologi contemporalei in tema di movimenti ci sono 4 posizioni generali, quelli di Smelser, Alberoni,
Touraine, tilly.
Smelser: il comportamento collettivo è il primo stadio di mutamento sociale e no è istituzionalizzato, poiché
si verifica quando i mezzi istituzionalizzati non sono capaci di dominare le tensioni. Al contrario, riesce ad
incanalare gli scoppi in più modesti tipi di comportamento. Le critiche fatte a Smelser sono
- dipinge i movimenti collettivi come solo prodotto di disfunzioni sociali e quindi negative da riassorbire
al più presto;
- interpreta la società come stabile e ordinata, turbata dai movimenti;
- i partecipanti devono essere sottoposti a un più rigido controllo sociale;
- il mutamento è esogeno, estraneo alla società stessa.
Alberoni: contrappone a) stato nascente
stato istituzionale della vita quotidiana; b) movimento
istituzione.
Stato nascente = modalità specifica di frasformazione sociale e di certa durata, è un momento di
discontinuità dell’istituzione e della vita quotidiana, perché il sistema sociale coinvolto perde le caratteristiche
del vecchio stato ed entra in quello nuovo, che ha proprietà particolari. Dopo la trasformazione lo stato
nascente cessa e ritorna lo stato istituzionale e della vita quotidiana.
Per Alberoni lo stato nascente non è l’unica modalità di trasformazione sociale. Chi fa parte del movimento
collettivo sono le classi sia minacciate di declassamento e sia quelle in ascesa, perché entrambe sono
deluse dall’ordine in cui credevano e x realizzarsi cercano strade alternative.
Alberoni distingue fra chi da inizio al movimento e chi si avvantaggia del risultato; fra chi mobilita (1° fase) e
chi si aggrega (2° fase).
Nasce l’interrogativo chi si mobilta x primo? La teoria prevalente indica gli emarginati (non hanno nulla da
perdere) e gli alienati dal sistema. Le ricerche di wilson e Melucci dimostrano che gli emarginati mancano
delle risorse necessarie x lanciare il movimento, e gli alienati, siccome rifiutano il sistema, si escludono dal
coinvolgimento. La leadership è fatta da individui collocati alla periferia del centro. Melucci dice che “i primi
ribelli sono coloro che reagiscono alla contraddizione tra una identità collettiva esistente e i nuovi rapporti
sociali imposti dal mutamento. Possono mobilitarsi perché 1) hanno già esperianza di partecipazione; 2)
hanno propri leader e risorse organizzative; 3) possono usare reti di comunicazione esistenti x fare circolare
nuvo messaggi; 4) riconoscono più facilmente interessi comuni. Pizzorno verifica la teoria con la
mobilitazione operaia dell’autunno caldo italiano.
Touraine: secondo lui i movimenti sociali sono processi attraverso i quali una società produce la sua
organizzazione. La teoria si basa su 3 principi
1) principio d’identità = l’attore definisce sé stesso rispetto agli altri nel mezzo di un conflitto;
2) principio di opposizione = nasce nel conflitto con la contrapposizione fra attori e rafforza l’identità;
3) principio di totalità = è il sistema d’azione storica in cui gli avversari, sottoforma di classi, si
disputano il dominio.
Più forte è l’identità, più forte è l’opposizione, più marcato sarà il principio di totalità. Al contrario di Smelser
Touraine dice che “il movimento sociale non è l’espressione di una contraddizione , ma fa scoppiare un
conflitto di classe: esso nasce dalla società e attraverso il conflitto produce la trasformazione”.
Tilly: concentrandosi sugli attori, spiega i movimenti collettivi con l’esistenza di uno squilibrio nella
distribuzione del potere; quando gli attori interagiscono, sviluppano interessi che rivelano chi perde e chi
guadagna nei rapporti. Si sviluppa allora l’identità comune e la consapevolezza di appartenere a un gruppo,
che si organizza. Con l’organizzazione inizia la mobilitazione delle risorse per passare all’azione collettiva,
cioé il perseguimento dei fini comuni. Il processo è influenzato da quanto gli altri gurppi
- sono vulnerabili;
- sono in grado di minacciare rivendicazioni, che se hanno successo diminuirebbero il successo del
gruppo sfidante.
Tutti gli autori menzionati si sono preoccupati di differenziare i vari movimenti sociali.
Melucci distingue in:
1) movimenti rivendicativi = ha l’obiettivo di imporre mutamenti nelle norme, nei ruoli e nelle procedure
di assegnamenti delle risorse socio-economiche;
2) movimento politico = ha l’obiettivo di incidere sulle modalità d’accesso ai canali di partecipazione
politica e spostare i rapporti di forza;
3) movimenti di classe = ha l’obiettivo di capovolgere l’assetto sociale.
Di recente è cambiato il teatro dell’azione collettiva, passata dal campo nazionale a quello internazionale
grazie al fenomeno della globalizzazione, e i movimenti si caratterizzano x essere “contro” (G8, guerra...);
presentano cmq molte caratteristiche distintive dei movimenti di Alberoni (stati nascenti).
Poca attenzione è stata dedicata ai risultati dell’azione dei movimenti.
Secondo Alberoni “il risultato storico di un movimento e le sue conseguenze dipendono da molti fattori
slegati al progetto”.
Alberoni individua i meccanismi x controllare i movimenti:
1) impedire allo stato nascente di sorgere;
2) ricondurre la sua interpretazione a una griglia precostituita, in modo che rientri in una delle figure
riconosciute esemplari o di trasgressione (cioé incanalarlo in una istituzione);
3) costringere il movimento a fare riferimento a un fondamento indiscutibile del passato;
4) impedire il riconoscimento e il generalizzarsi del movimento;
5) costringerlo a competere scegliendo le regole del gioco più favorevoli all’istituzione;
6) infiltrare il movimento;
7) neutralizzare il movimento incanalandolo in istituzioni sostitutive;
8) reprimerlo con la violenza.
La teoria di Tilly è la migliore x analizzare i risultati: essa permette di sollevare interrogativi adatti alla ricerca
empirica.
Tarrow studia la connessione fra protesta sociale e risposte sistemiche.
In conclusione tutti gli autori considerano i movimenti uno strumento di partecipazione politica spesso
eterodossa, anomala, influente, moderna.
Quasi tutti hanno ignorato i movimenti rivoluzionari,perché sono sparite le spinte rivoluzionarie e i detentori
del potere sono più attrezzati x farvi fronte.
Il confronto di 2 teorie spiega il successo dei movimenti rivoluzionari:
1) la generalizzazione di Toqueville secondo la quale il momento più difficile dei regimi conservatori è
quando cominciano a riformarsi, perché le riforme appaiono inadeguate a chi le ha richieste, e
spingono i conservatori contrari ad abbandonare il regime. I detentori si ritrovano schiacciati dalla
mobilitazione e la contromobilitazione, mentre la richiesta di altre riforme si trasforma in movimento
rivoluzionario.
2) La teoria delle aspettative crescenti di James Davies (teoria della curva J): nessuna riforma
soddisferà completamente i gruppi/movimenti organizzati contro il potere politico. La sola
insoddisfazione non basta a produrre un movimento rivoluzionario, ma questa nascerà quando
davanti alle aspettative crescenti appare un netto peggioramento della situazione, causando
frustrazioni crescenti.
Le conseguenze della partecipazione politica
L’analisi delle conseguenze della partecipazione politica è uno dei terreni negletti della scienza politica.
Tuttavia sappiamo qualcosa sugli individui: siccome partecipano x motivi espressivi, essi possono essere
delusi/insoddisfatti e ritirarsi nella vita privata; è una scelta temporanea superabile con un nuovo ciclo di
coinvolgimento.
Le conseguenze x il istema politico:
a) ricordando le differenze socio-economiche fra cittadini attivi e non attivi, le politiche attuate
rifletteranno le preferenze di un segmento solo della popolazione e i dirigenti chiamati ad attuarle
saranno tratti dallo specifico segmento. Verba e Nie dicono che un modo per ridurre le differenze è
la presenza di org. come partiti e sindacati che mobilitano gli individui di status economico inferiore.
Bisogna stare attenti, perché la partecipazione di tali settori può essere pilotata dai dirigenti delle
org. C’è sempre contraddizione fra eguaglianza e armonia politica.
b) Il livello di partecipazione influenza la ricettività dei leader: + alta partecipazione = massima
ricettività, anche verso le preferenze dei non attivi (beneficiano pure i free riders); + bassa
partecipazione = meno i leader si sforzano ad essere ricettivi.
CAP.5 - Elezioni e sistemi elettorali
Elezioni libere e competitive
Il voto può essere previsto sia in regimi democratici che non: nei regimi democratici esso è previsto
costituzionalmente, è libero, competitivo, tenuto a scadenze prestabilite; nei regimi non democratici esso
diventa uno strumento x legittimare il potere attraverso la manipolazione degli esiti.
Il voto per esssere democratico deve essere universale, libero, uguale, diretto, segreto, significativo (aveti
effeti sulla distribuzione del potere politico).
Problemi sulle elezioni;
1) anche nei regimi stabili l’attivazione di questi criteri è problematica;
2) le preoccupazioni degli studiosi si sono spostate dai criteri all’equità delle campagne elettorali: necessaria
regolamentazione su a) quantità di denaro usata x la ricerca di voti; b) accesso alla propaganda televisiva.
Nella maggior parte dei regimi democratici ci sono forme di finanziamento pubblico-statale x le campagne
elettorali e regolamentazione dei tempi d’accesso alla TV. Si conclude che le elezioni sono più democratiche
quanto più sarà conseguito l’equilibrio fra i concorrenti;
3) l’astensionismo: l’esclusione spontanea o imposta dei cittadini produce la scelta di rappresentanti poco
ricettivi e l’emarginazione di certe domande.
Elezione delle cariche monocratiche
Le modalità sono 2:
1) elezione indiretta, fatta da un’assemblea precostituita;
2) elezione popolare diretta; di norma si usa la maggioranza assoluta con possibile ballottaggio fra 2
candidati.
Negli USA vince la carica di presidente chi ottiene maggioranze relative in un numero di Stati sufficiente a
garantirgli la maggioranza assoluta in un collegio di “grandi elettori” (2 senatori e rappresentanti mandati al
congresso x ogni Stato).
Plurality, mayority e rappresentanza proporzionale
I sistemi elettorali si suddividono in 3 grandi categorie:
1) maggioritari a turno unico in collegi uninominali (plurality)
2) maggioritari a doppio turno in collegi uninominali (mayority)
3) di rappresentanza proporzionale
Maggioritario a turno unico: è sufficiente la maggioranza relativa.
maggioritario a doppio turno: il primo turno è sempre a maggioranza assoluta, il secondo turno può essere
fatto con varie modalità.
Proporzionale: si applica solo con collegi plurinominali e sono accomunate da una relazione di
proporzionalità fra voti ottenuti e seggi attribuiti.
Esistono anche sistemi misti.
L’analisi dei sistemi elettorali si domanda:
1) come si traducono i voti in seggi?
2) Quanto e come incide sull’esito le modalità di voto imposte?
3) Quali sono le conseguenze dell’applicaizone di un determinato meccanismo elettorale sul sistema
partitico? In relzione agli obiettivi posti?
4)
Sistemi maggioritari a turno unico
Teoricamente gli ostacoli alla presentazione della candidature sono scarse, ma in pratica sono ostacolate
dalla necessità di una buona organizzazione.
Il numero dei candidati nei collegi uninominali dipende dal numero dei partiti esistenti nel sistema e dal grado
di strutturazione del sistema. Di solito nei sistemi bipartitici il numero dei candidati è superiore a 2. non
bisogna dare per scontato che nei vari collegi i candidati siano sempre proposti dagli stessi 2 partiti.
All’inizio dell’introduzione del plurality,molti partiti e candidati vorranno partecipare. La riduzione dei candidati
avverrà naturalmente 1) con il consolidamento del sistema partitico; 2) con il voto degli elettori.
Duverger spiega la riduzione individuando 2 fattori:
1- fattore meccanico = causato dalla sistematica sottorappresentazione del terzo partito che rende
difficilissimo ai suoi candidati di conquistare i collegi;
2- fattore psicologico = la tendenza degli elettori, che capiscono che il loro candidato preferito non può
vincere, a votare il meno peggio degli avversari x evitare il successo del più sgradito.
L’effetto complessivo sarà lo sviluppo di una competizione bipolare, non necessariamente bipartitica, perché
i partiti possono essere diversi x ogni collegio, a causa della presenza di forti minoranze.
Una minoranza x impedire il bipartitismo non deve essere solo concentrata geograficamente, ma deve
conquistare un numero di seggi necessario x impedire la formazione del governo di un solo partito. Data
questa premessa Duverger dice che
“ la coincidenza fra plurality e bipartitismo è la regola, tranne eccezioni.
La legge di Duverger viene riformulata da sartori così: “per ottenere un sistema bipartitico da un sistema
elettorale a turno unico sono necessarie le seguenti condizioni:
a) la strutturazione del sistema partitico deve essere forte e i partiti maggiori devono essere consolidati;
b) la dispersione dei voti nei collegi deve essere limitata, cioè gli altri concorrenti non devono essere
concentrati in pochi collegi, ma agire su scala più ampia.
Nel sistema bipartitico, il voto del’elettore informalmente designa il governo. Il leader del partito con la
maggioranza assoluta dei seggi diventa primo ministro (modello Westminster).
I sostenitori del sistema plurality sottolineano gli effetti positivi della semplicità e dell’incisività della scelta
degli elettori; i critici la sottorappresentanza di partiti consistenti, o la maggioranza consistente di seggi di un
partito.
La “dis-rappresentatività” criticata è un’effeto voluto dal plurality.
Un particolare uso è il sistema elettorale australiano, che è mayority, ma a turno unico in collegi uninominali
(sistema del “voto alternativo”). L’elettore indica in ordine di preferenza tutti i candidati del collegio. Se al
primo turno nessuno ottiene la maggioranza assoluta, leschede del candidato con meno voti vengono
redistribuite.
Sistemi maggioritari a doppio turno
Al secondo turno il sistema può essere majority o plurality (ammessi più candidati).
Il problema del doppio turno èla scelta del criterio da usare per ammettere i candidati.
Doppio turno aperto: ammette tutti i candidati, anche nuovi
il sistema diventa plurality, con 2 differenze: 1)
l’elettore può fare scelte strategiche, basandosi sull’esito del 1° turno e sulle info dei partiti; 2) candidati e
partiti possono strategicamente ritirarsi x fare vincere il candidato meno sgradito e ottenere un reciproco ritiro
in altri collegi (favorisce alleanza di governo).
Doppio turno chiuso: ammette al 2° turno soltanto i primi 2 candidati (ballottaggio). Utilizzato x l’elezione
delle assemblee parlamentari obbliga i partiti a stringere alleanze preventive al 1° turno. Riduce la
frammentazione partitica, perché i partiti piccoli che non trovano alleanze sono penalizzati.
Il ballotaggio funziona ottimamente per l’elezione di cariche monocratiche, perché dà al candidato una forte
legittimità.
Le soglie percentuali predefinite sono utilizzate per le elezioni di assemblee legislative. Sono percentuali
elevate per 1) contenere la frammentazione partitica; 2) incentivare la formazione di coalizioni di partiti.
I doppi turni con sogli di accesso elevata incoraggiano al primo turno un voto sincero e utile x passare la
soglia; al secondo se manca il candidato preferito, un voto strategico.
Può avvenire il fenomeno della desistenza: i partiti coalizzati cercheranno di proporre agli elettori candidati
più attrenti e il secondo candidato si ritirerà x concentrare i voti sul candidato con più possibilità di vittoria.
Meriti del doppio turno:
1) consente ai partiti di valutare al 1° turno il loro radicamento territoriale, la popolarità e capacità del
loro candidato, di conoscere il loro consenso elettorale e farlo valere nella formazione di coalizioni;
2) forma una maggioranza parlamentare e di governo leale;
3) da solo, non ha effeti riduttivi nel sistema partitico, ma necessita delle soglie;
4) ha notevole efficacia dis-rappresentativa nei confronti di partiti estremi/estremisti;
5) dà vita a una competizione bipolare.
Critiche: 1) disrappresentatività; 2) un partito non riesce da solo a formare un governo; 3) gli squilibri del
maggioritario sono accentuati da errori di presunzione, alleanze, di calcolo.
Sistemi di rappresentanza proporzionale
Esistono molteplici formule proporzionali: l’unico principio comune è il tentativo di garantire una
corrispondenza percentuale, fra i voti ottenuti dai partiti e i seggi attribuiti. La principale preoccupazione dei
politici in questo caso è contenere la frammentazione del sistema partitico-parlamentare. Gli strumenti usati
sono 3:
1) la dimensione delle circoscrizioni;
2) 2) le clausole di sbarramento/accesso alla distribuzione dei seggi;
3) il numero dei parlamentari da eleggere.
Il premio di maggioranza è un incentivo alla stabilità dei governi, piuttosto che uno strumento per contenere
la frammentazione.
La dimensione della circoscrizione è il numero di seggi che sono distribuiti in una circoscrizione (percio il N di
eletti);
- non sono il numero degli elettori, che cmq è in rapporto con il numero dei seggi;
- non è l’ampiezza geografica.
Quanto più grande è una circoscrizione, tanto più grande è la proporzionalità del sistema elettorale, tanto più
facile sarà per i partiti piccoli conquistare dei seggi.
Sono grandi
15 – 20; piccole
<10.
Le circoscrizioni più grandi in assoluto sono quelle che coprono l’intera nazione: ciò è possibile solo in paesi
piccolo con parlamenti dai seggi ridotti.
Le soglie di esclusione sono clausole di sbarramento, fissate in termini percentuali.
Il sistema proporzionale tedesco (detto rappresentazione proporzionale personalizzata) ha 2 clausole:
1) soglia di esclusione del 5% su scala nazionale; 2) accesso alla distribuzione dei seggi se vengono eletti
almeno 3 deputati nei collegi uninominali.
La metà dei seggi è assegnata nei collegi uninominali, l’altra metà nelle circoscrizioni dei lander.
La distribuzione complessiva dei seggi è completamente proporzionale, perché i deputati otterranno i seggi
vinti proporzionalmente. Questo sistema permette la rappresentatività anche dei partiti piccoli di minoranza
concentrata.
Ogni elettore dispone di 2 voti da esprimere sulla stessa scheda: ilprimo voto sceglie il candidato nel collegio
uninominale; il secondo la lista di partito a livello land.
Il voto può essere spezzato, cioé votare un candidato che non è del partito preferito. In tale modo il partito in
coalizione può indicare all’elettore di votare per un altro partito in modo da fare superare all’alleato la soglia
del 5%. Qualora un partito vica più seggi uninominali di quelli cui avrebbe diritto in base alla percentuale dei
voti dilista, mantiene quei seggi in sovrappiù (mandati aggiuntivi).
Il voto singolo trasferibile (irlanda) garantisce un’eccellente proporzionalità dell’esito anche nelle
circoscrizioni piccole, e consente di valutare i singolo candidati in ordine di preferenza. La soglia da superare
x vincere è data dalla divisione dei voti validi x il numero di seggi +1.
Più piccolo è il numero dei parlamentari tanto minore è la proporzionalità e viceversa, poiché è necessario
un rapporto equilibrato tra numero elettori/numero eletti, e il parlamento troppo piccolo è poco
rappresentativo, e troppo grande funziona male. I numeri dei seggi giusti sarebbero 200-600. 4 pasi
superano i 500: GB, DE, FR, IT.
Le formule di traduzione dei voti in seggi sono diverse e con piccole variazioni del meccanismo producono
modifiche significative sulla rappresentanza.
Le 3 più diffuse sono:
1) f. Sanit Lague modificata
2) f d’Hondt
3) f. Hare
Saint Lague: divide i voti di ciascun partito successivamente per 1.4,3,5,7, attribuendo il seggio al partito con
il più alto numero di voti; riequilibra l’esito a favore dei partiti medi.
D’Hondt: come Saint Lague, ma con divisori 1,2,3,4; favorisce i partiti grandi;
Hare: calcola il quoziente dato dal rapporto fra N voti e N seggi e attribuisce tanti seggi quante volte il N dei
voti del partito contiene il quoziente.
Meriti e demeriti dei sistemi proporzionali
Dilemma dei critici: la proporzionale fotografa la deframmentazione già esistente oppure la facilita?
Entrambe asserzioni vere:
l proporzionale non scoraggia la frammentzione partitica prodotta da fattori politico-partitici socio-geografici,
ma senza adeguate misure ne facilita le scissioni.
La proporzionale è celebrata per la sua capacità di rappresentare le minoranze, ma se il parlamento diventa
troppo rappresentativo le fazioni non riusciranno a formare coalizioni di governo stabili, perché esposte ai
ricatti dei partiti.
In conclusione la proporzionale è associata a sistemi multipartitici, ma Sartori dice che si può ridurre la
frammentazione applicando piccoli collegi, soglia d’accesso alta, attribuendo un premio di maggioranza.
Sistemi misti
Prodotti dall’insoddisfazione per il sistema maggioritario e proporzionale, esiste in IT, Nuova Zelanda,
Ungheria, Giappone.
L’Italia era l’esempio di sistema misto squilibrato (non perfettamente misto): ¾ maggioritario e ¼
proporzionale.
Per la camera dei deputati si disponeva di 2 voti: 1 x il candidato del collegio uninominale e 1 x la lista di
partito. L’accesso al recupero proporzionale era garantito solo alle liste con almeno 4% di voti su scala
nazionale.
Per il senato il voto era unico e per il recupero proporzionale venivano usati solo i voti che non avevano già
portato all’elezione dei senatori.
Il sistema aveva incentivato la formazione di coalizioni, ma il N dei partiti non era diminuito perché nelle
coalizioni chiedevano collegi uninominali sicuri. La dinamica bipolare consentiva all’elettore di votare
indirettamente per la coalizione di governo e presidente del consiglio preferito.
Non esiste sistema elettorale migliore, ma si giudica uno da quanto gli obiettivi previsti sono stati raggiunti.
Cap.6 – Partiti e sistemi di partito
L’origine dei partiti
Si parla davvero di partiti solo quando la politica permette la partecipazione elettorale allargata e
competitiva, e le cariche sono distribuite con le elezioni.
Solo così i candidati sentono la necessità di organizzare la propria attività.
1) L’organizzazione inizia all’interno del parlamento, poi i gruppi parlamentari promuovono i partiti nei propri
collegi elettorali (partiti parlamentari);
2) sono gli oppositori in parlamento che si organizzano fuori usando reti sociali pre-esistenti (partiti extraparlamentari).
Come si distingue un partito dalle altre org?
A – la definizione classica di partito è di Max Weber: “i partiti sono org liberamente create e miranti a un
reclutamento libero... il loro fine è sempre la ricerca di voti per elezioni a cariche politiche”.
B – Sartori dice che “un partito è qualsiasi gruppo identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle
elezioni, ed è capace di collocare attraverso elezioni candidati alle cariche pubbliche”.
C – altre caratteristiche sono
1) strutture che consentono la partecipazione degli iscritti;
2) programma di politiche pubbliche;
3) dura più di una tornata elettorale.
Teoria sulla nascita dei partiti:
1) prospettiva genetica
2) prospettiva strutturale
Prospettiva genetica: spiega le modalità attraverso le quali nel corso del tempo sono nati i partiti. Rokkan
analizza la formazione degli Stati-nazione dell’Europa occidentale assieme ai processi di
democraticizzazione e individua 4 fratture (cleavages) che hanno dato origine a org politiche.
Durante la costruzione dello Stato-nazione si formano 2 fratture:
1) centro/periferia; 2) Stato/Chiesa;
con la nascita di 1 partito che rappresenta gli interessi del centro, 1 della periferia (come centro si intende le
risorse e il potere, con periferia peculiarità etniche/culturali), 1 dello Stato, 1 della Chiesa (i partiti Stato e
Chiesa possono unirsi al centro e alla periferia)
= partito liberale, confessionale, conservatore, di minoranza etnica.
Con la riv.industriale si creano altre 2 fratture:
campagna-agrari /città-industriali; imprenditori/lavoratori.
(se già esistono i partiti conservatore e liberale, riescono a rappresentare gli agrari e gli imprenditori).
Nascono il partito agrario e il partito operaio.
Da destra a sinistra ci sono: conservatore, agrario, liberale, confessionale, socialista.
Dopo la guerra avvennero 2 fratture politiche: a destra si ridefinirono gli interessi
movimenti fascisti;
a sinistra, la riv. bolscevica e l’adesione alle 21 tesi del partito comunista dell’URSS spaccò i partiti socialisti
e fece nascere i partiti comunisti.
Siccome sono fratture politiche non sono comparse in tutti i sistemi politici occidentali e non sono durate.
Prospettiva strutturale: Duverger spiega la nascita dei partiti analizzando i rapporti fra le org
protopartitiche, il parlamento e il suffragio.
1) quando il suffragio è limitato, nascono in parlamento org quasi partitiche con limitata proiezione
esterna;
2) quando il suffragio si amplia nascono strutture partitiche extraparlamentari che usano org
esterne per ottenere rappresentanza (partiti confessionali e socialisti);
3) quando il sistema parlamentare e partitico sono consolidati, il malcontento fa nascere oltre a
partiti extra-parlamentari anche partiti antiparlamentari (cercano di entrare nel parlamento per
distruggerlo); fascismo e comunismo.
Tipi di partiti
Dagli anni ’20 il sistema partitico era già consolidato e permetteva la classificazione dei tipi di partito.
Prima distinzione di Weber a seconda dell’obiettivo:
1) patronato degli uffici
2) attivazione di ideali di contenuto politico.
Distingue anche la trasformazione strutturale da partiti di notabili (= strutture attivate solo durante le
elezioni) a partiti di massa (= strutture permanenti in costante attività).
Duverger distingue partiti di massa (= fanno riferimento agli iscritti x il loro radicamento nel sistema
politico) e partiti di quadri (= riuniscono notabili x dirigere le elezioni e mantenere contatti con i candidati).
Neumann distingue il partito di rappresentanza individuale (= si attiva in occasione delle elezioni) dal
partito di integrazione sociale (= org estesa, permanente, influente, aperto alla partecipazione degli
iscritti).
Gli autori erano convinti che i partiti di massa dovessero e sarebbero diventati le org prevalenti.
L’ipotesi che in Europa occidentale tutti i partiti sarebbero diventati org burocratiche di massa si rivelò errato,
perché la loro struttura cominciò a mutare.
Kirchheimer individuò la trasformazione verso i partiti pigliatutti (catch all parties) = i dirigenti cercavano di
estendere il partito a tutti gli elettori possibili a scapito dell’identità.
Le caratteristiche del mutamento sono:
a) riduzione dell’ideologia,
b) rafforzamento dei gruppi dirigenti;
c) diminuzione del ruolo del singolo iscritto;
d) minore accentuazione di una specifica classe sociale;
e) apertura all’accesso di diversi gruppi di interesse.
Kirchheimer aveva ragione, i partiti si trasformarono in pigliatutti. Alcuni però cercarono di mantenere 2
caratteristiche intatte: 1) il radicamento di massa (alto numero di iscritti); 2) una rete organizzativa
diffusa sul territorio.
I pigliatutti non investono energie nel reclutamento di iscritti facendo affidamento sulla visibilità della
leadership.
Il partito di massa tende a trasformarsi anche in un partito professionale-elettorale.
Va ricordato che la partecipazione nei partiti è 1) sempre stata limitata; 2) può essere manipolata dai
dirigenti impedendo la democrazia interna (legge ferrea dell’oligarchia).
Secondo Downs “i partiti formulano proposte politiche per vincere le elezioni; non cercano di vincere le
elezioni per realizzare proposte politiche”.
Sono i partiti che cercano gli elettori e non viceversa.
Schumpeter perciò definisce i partiti “imprenditori politici” che collocano il loro prodotto in un mercato
della politica nel quale esistono elettori-consumatori insoddisfatti e disponibili.
Ricordando la tesi di Duverger (tutti i partiti diventeranno di massa) ci accorgiamo che oggi non è così: i
nuovi partiti cercano di esaltare le differenze rispetto ai concorrenti ed i punti di forza x espandere
l’elettorato.
Un nuovo tipo di partito individuato da Katz e Mair è il “partito cartello”: cartello è un termine economico
che significa accordo fra imprese x limitare la concorrenza. I partiti cartello x limitare la concorrenza
giungono a collusioni che cercano di rendere difficile l’ingresso nella competizione a org nuove. Grazie ai
vantaggi della collusione i partiti possono ignorare iscritti e organizzazione.
Teoria molto criticata: Kitschelt dice che
- i dirigenti oggi sono più attenti alle preferenze degli iscritti;
- è aumentata la competizione fra partiti.
Sistemi di partito
Il sistema di partito per essere tale, richiede
1) interazione orizzontale almeno fra 2 partiti,
2) l’interdipendenza verticale fra elettori, partiti, parlamentari, governo.
La competizione partitica perciò influenza il piano elettorale, parlamentare, governativo.
Duverger distingue i sistemi di partito attraverso il criterio numerico: monopartitici, bipartitici,
multipartitici.
Sartori aggiunge criteri di rilevanza:
1) il potenziale di coalizione
2) il potenziale di intimidazione/ricatto: anche se il partito non è nella coalizione può avere
abbastanza influenza da condizionare la coalizione di governo e il sistema politico.
3) Con riferimento ai sistemi multipartitici aggiunge il criterio di polarizzazione: quanta distanza
ideologica intercorre fra i partiti. I partiti distanti ideologicamente non potranno allearsi; esempi sono i
partiti fascisti e comunisti, oggi quelli dell’estrema destra. Questi partiti cmq contano perché
congelano perte dell’elettorato e influenzano le scelte governative.
Sartori con i 3 criteri classifica i sistemi di partito a seconda del formato (N partiti), logica di funzionamento
(potenziale di coalizione + polarizzazione). Dalla classificazione Sartori differenzia i sistemi competitivi da
quelli non competitivi.
Sistemi non competitivi = monopartitico, egemonico.
Sistemi competitivi = predominanti, bipartitici, multipartitici limitati, multipartitici estremi, atomizzati.
Monopartitici: esiste un solo partito, di tipo ideologico o pragmatico.
Egemonico: tollerata la presenza di altri partiti, ed hanno simbolicamente seggi in parlamento;
sanno che non potranno mai ottenere la maggioranza e sostituire il partito egemonico.
Predominante: il partito, in una lunga serie di elezioni competitive, ottiene regolarmente un alto numero di
seggi, che gli permette di governare da solo. Il formato può essere multipartitico.
Bipartitici: dal formato può essere multipartitico, ma analizzando la meccanica si nota che
1) solo i 2 medesimi partiti conquistano alternativamente la maggioranza assoluta
2) il partito vittorioso governa sempre da solo
3) l’alternanza è un’aspettativa credibile.
Queste condizioni devono sussistere contemporneamente, poiché è possibile che sistemi di formato
bipartitico funzionino con logica diversa.
Atomizzati: non sono sistemi partitici stabilizzati, non conquistano percentuali di voti necessari x poter
durare nel tempo. Spesso sono sistemi di partito “allo stato nascente” dopo una lunga fase di autoritarismototalitarismo. Il fenomeno è slegato dal sistema elettorale scelto.
E’ una situazione che non persiste più di 3-4 tornate elettorali.
Multipartitici limitati: hanno da 3 a 5 partiti rilevanti e funzionano con logica moderata e centripeta, cioé
producono alternanze di governo che permettono a tutti i partiti rilevanti di accedervi (x Sartori la logica di
funzionamento centripeta = pluralismo moderato).
Multipartitici estremi: l’alternanza è impraticabile e non praticata. Se vi fosse alternanza, che avrebbe
dovuto includere partiti “anti-sistema”, sarebbe cambiato il regime politico nell’accezione di Easton (regole).
La competizione è centrifuga (pluralismo polarizzato),poiché i partiti ai 2 poli estremi crescono svuotando il
centro dello schieramento.
Le opposizioni sono irresponsabili, perché formulano programmi inattuabili per i quali non dovranno
rispondere.
I governi praticano la politica dello “scaricabarile” (scaricare le responsabilità delle loro azioni ad alleati e
oppositori) e la politica dello scavalcamento (promettere più di quello che possono mantenere o mantenere
promesse allargando il debito pubblico).
Funzionano a bassi tassi di rendimento e a lungo andare collassano.
Le trasformazioni dei sistemi di partito
Secondo Duverger, i sistemi di partito si trasformano in 4 modi: alternanza, divisione stabile, predominio,
sinistrismo.
Alternanza: movimento pendolare periodico che procura pochi problemi. Difficile da instaurare, si afferma
più facilmente nei sistemi bipartitici o bipolari.
Divisione stabile: è l’assenza di variazioni importanti tra i partiti nel corso di un lungo periodo; è misurata
dalla
1) scarsa ampiezza degli scarti fra 2 elezioni (il seguito elettorale rimane invariato);
2) parità di movimenti duraturi.
Predominio: esistenza di un partito che si distanzia nettamente dai suoi rivali x un lungo periodo di tempo.
Sinistrismo: slittamento lento e regolare verso sinistra che avviene con
1) nascita di partiti nuovi alla sinistra dei vecchi partiti, che vengono spostati a detra e perciò
scompaiono o si fondono;
2) indebolimento dei partiti di destra a favore della sinistra;
3) mantenimento dell’equilibrio globale dei blocchi, ma con rafforzamento al loro interno dei partiti di
sinistra (liberali, comunisti);
4) sostituzione di un vecchio partito di sinistra con uno più dinamico;
5) ascesa del partito di estrema sinistra a detrimento di tutti gli altri.
Ci sono 2 ipotesi su quali condizioni portano alle trasformazioni dei sistemi di partito:
1) i sistemi di partito una volta formatisi si configurano in una divisione stabile e continuativa
(congelata), perché i partiti strutturano l’elettorato e godono di vantaggi di posizione.
2) I sistemi di partito possono cambiare sia negli attori che nella dinamica, specialmente quando
cambiano le regole elettorali.
Perché sopravvivono i partiti
Per capire se c’è una crisi di partito bisogna osservare gli indicatori del sistema e dei singoli partiti.
Indicatori nel sistema:
1) contare i partiti seguendo i criteri di sartori (si nota che partiti in europa, a parte eccezioni,
esistevano da almeno 30 anni).
2) La percentuale di elettori che vanno alle urne, che segnala il grado di interesse che i partiti
suscitano, la loro capacità di mobilitazione, la loro competizione politico-elettorale. (si nota un
declino alternato, che siccome non è continuativo non può tradursi come insoddisfazione nei
confronti dei partiti).
Indicatori nei partiti:
1) iscritti; 2) oscillazioni elettorali; 3)strutturazione del voto; 4) selezione del personale politico e
governativo; 5) scrittura dell’agenda politica.
Declino degli iscritti: avviene perché il reclutamento, in base al rapporto costi/benefici non è più
profittevole.
Oscillazioni percentuali di voto: dipendono da fattori slegati ad una crisi dei partiti, ma le grandi oscillazioni
possono derivare dall’incapacità dei partiti di mantenere un seguito stabile.
Strutturazione del voto: l’offerta di programmi è rimasta stabile, perché non sono apparsi partiti nuovi e
duraturi.
Selezione del personale: sono scelti con lunga esperienza partitica.
Agenda politica: la sua formazione dimostra se i partiti hanno parola decisiva in materia di politiche
pubbliche. Pareri discordanti, le politiche possono essere influenzate dall’UE, oppure da gruppi d’interesse.
I partiti continuano ad essere gli esclusivi attori dei regimi democratici perché:
A - la democrazia non è possibile senza partiti perchè il pluralismo si esprime in org stabili e durature.
B – assolvono molteplici compiti che nessun’altra org sa svolgere.
Secondo Pizzorno i partiti durano perché:
1) servono a mantenere il consenso;
2) garantiscono il coordinamento del personale politico;
3) sondano le opinioni dei cittadini e li rappresentano responsabilmente;
4) riducono l’eccesso di problemi che l’amministrazione dello Stato dovrebbe affrontare se tutte le
domande della società pervenissero direttamente.
Notare che singolarmente tali funzioni possono essere svolte da altre org. La ragione della durata è che i
partiti sono garanti, dopo la cessazione dello scontro ideologico di un’alta negoziabilità degli interessi
(a differenza dei gruppi d’interesse).
Cap. 7 – Parlamento e rappresentanza
Considerazioni introduttive
I parlamenti nascono per limitare e controllare il potere dell’esecutivo e del capo/re, nel tassare e nello
spendere per proteggere gli interessi di chi li subisce (nobili).
I parlamenti si distinguono in
1) monocamerali e bicamerali; 2) dall’esistenza o meno di commissioni parlamentari, che a loro volta si
distinguono dalla quantità e qualità dei loro poteri.
Nei parlamenti dei regimi democratici c’è sempre una camera elettiva che può essere accompagnata da
altre camere ereditarie di nomina regia/dall’esecutivo/elezione molto indiretta/composite.
Le camere basse sono composte esclusivamente da rappresentanti eletti;
Le camere alte hanno poteri politici inferiori rispetto le camere basse (ecc.USA).
Le strutture
I parlamenti bicamerali si distinguono in
1) bicameralismo simmetrico: ultimo esempio Italia, dove camera dei deputati e senato hanno gli stessi
poteri e svolgono le stesse funzioni, rimanendo differenziati soltanto per il sistema elettorale e per l’età
degli elettori e degli eletti. (18 e 21 per Camera, 25 e 40 per Senato).
2) le camere alte si differenziano dalle basse per
a - formazione tramite elezione diretta o indiretta o nomina;
b – hanno meno poteri;
c – sono più piccole di N rappresentanti (ecc.GB).
Le camere numericamente più piccole hanno maggiori probabilità di essere camere politicamente rilevanti e
viceversa. Le camere ipertrofiche operano male e avvantaggiano i poteri forti.
La discussione sul ruolo delle seconde camere rimane aperta. Le seconde camere, eccetto che nei
sistemi federali, sono poco influenti nel sistema politico.
Nei sistemi federali la 2° Camera è ben giustificata dalla necessità di rappresentanza delle componenti
territoriali.
I parlamenti possono dotarsi di commissioni specifiche, con compiti di controllo sull’applicazione e sulle
conseguenze di determinate leggi, di investigazione e raccolta delle info, ecc.
Alle volte le commissioni appositamente istituite sono una tecnica governativa x insabbiare un problema
allontanandolo dai dibattiti d’aula.
Le commissioni perciò funzionano bene solo quando il Parlamento ha poteri reali.
Le funzioni
I parlamenti non fanno solo le leggi e le leggi non sono fatte soltanto dai parlamenti.
Il parlamento inglese viene considerato il padre di tutti i parlamenti.
Bagehot (il primo ad analizzare approfonditamente) afferma che i compiti del parlamento sono
1) “eleggere bene un governo” (funzione d’indirizzo). Ciò è possibile grazie alla configurazione del sistema
partitico, che fa diventare il capo del partito con maggioranza assoluta di seggi primo ministro.
Tuttavia può essere sostituito nel corso del mandato dai parlamentari del suo partito.
Il primo ministro non necessita del voto esplicito di fiducia, e può sciogliere il parlamento A) quando
perde la maggioranza, B) quando pensa che le condizioni politico-elettorali siano favorevoli alla sua
riconferma (con il consenso della sua maggioranza).
Nel modello Westminster è davvero il parlamento a regolare nascita/trasformazione/scioglimento del
governo; non può farlo dimettere a causa del modello bipartitico.
Nei parlamenti continentali, siccome sono multipartitici, rimane la possibilità di dimettere il governo
conferendo la fiducia/non esprimendo sfiducia.
Con il conferimento della fiducia il parlamento non si espropria del proprio potere, ma mantiene un notevole
potere sul governo, perché può ritirarla.
Bagehot dice che il segreto dell’efficienza di Westminster è che vi è una fusione del potere esecutivo e
legislativo, dove la camera indirizza il premier che la conduce. L’organismo che li connette è il gabinetto:
commissione del corpo legislativo scelta per diventare organo esecutivo.
2) “esprimere l’opinione degli inglesi su tutti gli argomenti che le vengono presentati” (f. Rappresentativa)
3) “insegnare alla nazione ciò che non sa (f. Pedagogica)
4) “sottoporre all’attenzione della nazione idee/richieste/desideri di certe particolari classi” (f. Informativa).
Oggi agenzie alternative svolgono la funzione: prima erano solo i partiti, ora anche i mass media. Il
parlamento non sarà mai cmq sostituito del tutto, perché l’adempimento della funzione dipende sempre
dall’attività svolta in Parlamento.
5) funzione legislativa, e distingue fra legge come “disposizione generale applicabile a molti casi” e leggine
“raccolte di leggi che sfiancano le commissioni parlamentari e sono applicabili ad un caso soltanto”.
6) si domanda se aggiungere la funzione di controllo dell’economia, spese,risparmi; alla fine la concede
all’esecutivo.
Altre funzioni da aggiungere a quelle di Bagehot:
7) f. Negoziale = riconciliazione degli interessi e tentativo di trovare punti d’incontro fra i diversi gruppi
parlamentari;
8) f. di controllo sul governo attraverso le commissioni permanenti d’inchiesta e interpellanze dei ministri
sul loro operato.
Formazione delle leggi: i parlamenti ne prendono parte, ma l’iniziativa viene dal governo, perchè la legge
risponde alle promesse programmatiche del partito che ha vinto le elezioni. Per tale ragione esiste uno
stretto collegamento fra il governo e la sua maggioranza parlamentare. Il parlamento non fa le leggi, ma le
approva.
La rappresentanza
Il modo in cui i parlamenti sono eletti influenza la loro percezione sulla propria funzione di rappresentanza e
su come la esercitano.
Si fanno due principali distinzioni:
A – parlamento di parlamentari = gli eletti hanno grande autonomia di voto;
B – parlamento di partiti = gli eletti hanno poca autonomia e una rigida disciplina di voto.
La distinzione non è mai limpidissima; un parlamento di parlamentari si ha quando gli eletti hanno vinto
grazie a qualità personali, possono cmq essere richiamati alla disciplina di voto. (es. congresso USA)
Siccome tutti i regimi democratici hanno una rappresentanza parlamentare mediata da partiti, bisogna
osservare le differenze interne fra parlamenti e partiti.
Esempio utile: il voto multiplo di preferenza, cioé la possibilità per gli elettori di selezionare 3 o 4 candidati
preferiti (utilizzato in ITA fino 1991), consentiva ai parlamentari notevoli margini di contrattazione con il
partito e i ministri, indisciplina e frammentazione, perché formavano correnti all’interno dei partiti di governo.
Premevano sul governo minacciando di votare diversamente (erano protetti dal segreto di voto) per ottenere
provvedimenti che ricompensavano i gruppi di interesse particolaristici che avevano sostenuto l’elezione.
Rappresentanza politica: non si esaurisce nelle org partitiche e in parlamento, ma è un rapporto stratificato
e dinamico che si esprime in più sedi e più stadi, con diverse modalità, perciò la rappresentanza politica
parlamentare è una fra le tante forme.
Sartori individua 7 possibili concezioni di rappresentanza:
1) il popolo elegge liberamente e periodicamente un corpo di rappresentanti (teoria elettorale della
rappresentanza);
2) i governanti rispondono responsabilmente nei confronti dei governati (teoria della rappresentanza
come responsabilità);
3) i governanti sono agenti o delegati che seguono istruzioni (teoria della rappresentanza come
mandato);
4) il popolo è in sintonia con lo Stato (teoria della rappresentanza come idem sentire);
5) il popolo consente alle decisioni dei suoi governanti (teoria consensuale della rappresentanza);
6) il popolo partecipa in modo significativo alla formazione delle decisioni politiche fondamentali (teoria
partecipazionista della rappresentanza);
7) i governanti costituiscono un campione rappresentativo dei governati (teoria della rappresentanza
come somiglianza/specchio).
Le prime 2 teorie collegate vengono chiamate teoria elettorale: anche se è la più diffusa è criticata perché
considerata
A – parziale
riguarda solo i veri votanti;
B – preliminare
pone solo le basi alla rappresentanza;
C – insufficiente
comunica poca info agli eletti e li vincola poco.
La teoria partecipazionista e quella della somiglianza entrano spesso in contrasto con quella democraticoelettorale; la t. Partecipazionista mira a completarla (vedi referendum); mentre la t. della somiglianza è
impraticabile congiuntamente.
Teoria della rappresentanza come somiglianza: esige che i rappresentanti rappresentino un
microcosmo dei rappresentati, che siano lo specchio sociologico dei governati. La differenza dalla teoria
della rappresentanza è che oltre ad esigere assemblee politically correct, le vuole anche sociologically
correct. Non è conseguibile con modalità democratiche, perché le caratteristiche sociologiche della
cittadinanza sono in costante cambiamento e ci vorrebbe un parlamento troppo ampio; la perfetta
rappresentanza equilibrata dei sessi e delle minoranze etniche e cmq auspicabile.
Nel corso del tempo i parlamenti elettivi hanno finito x assomigliarsi nella composizione sociologica: la
maggioranza dei rappresentanti è di sesso maschile ed un massimo del 30% è femminile;
il ceto è medio, il reddito e il livello d’istruzione è superiore alla media; per la maggioranza la “politica” è
l’unica professione mai esercitata.
Stili di rappresentanza
Importante è individuare le modalità usate dai parlamentari x conciliare la loro indipendenza di giudizio con
la disciplina di partito. Quale sanzione è più temuta: quella dell’elettorato, del partito o dei gruppi di
sostegno?
In questo caso la rappresentanza politica è il rapporto tra elettori - rappresentante/partito + la volontà
del rappresentante/partito di tradurre in decisioni il programma presentato agli elettori + la capacità di
farlo = cocktail di ricettività e responsabilità.
Stili di rappresentanza:
1) Delegato = in origine si occupava degli interessi specifici del collegio; oggi il suo mandatario è il
partito che lo ha candidato e segue le sue indicazioni.
2) Fiduciario = ha gli strumenti tecnici e la forza politica x scegliere come votare; sono numerosi nei
sistemi dove i partiti sono deboli.
3) Politico = cercano un punto d’incontro fra le esigenze del partito e gli impegni presi con l’elettorato;
fra la propria autonomia di giudizio e le proprie conoscenze tecniche.
Dallo studio della rappresentanza come ricettività, Karps e Eulau hanno individuato 4 componenti della
ricettività di un rappresentante eletto:
1) politica
affronta le tematiche politiche in sintonia con le preferenze degli elettori;
2) di servizi
ottiene vantaggi particolaristici x gruppi di elettori della sua circoscrizione;
3) di assegnazione incanala risorse varie a beneficio dell’intera circoscrizione;
4) simbolica
tentativo di intessere un rapporto generle di fiducia fra elettorato e rappresentante
(sintonia).
Le degenerazioni dei parlamenti
Trasformismo: ciascun parlamentare si comporta in modo del tutto svincolato dal suo partito; gli
impegni assunti, coerenti al programma del partito, difficilmente vengono rispettati e perde contatto con
l’elettorato.
I parlamentari si fanno manovrare dal governo x ottenere risorse/cariche, e il rapporto maggioranza di
governo-opposizione si incrina, perché la debole opposizione non riesce a controllare l’operato del governo.
Gli spostamenti trasformistici rendono difficile all’elettorato di sanzionare con il voto.
Consociativismo: le coalizioni frammentate di governo e le opposizioni si scambiano sottobanco
risorse collettive, attraverso politiche pubbliche approvate a larghissime maggioranze, x ammorbidire
l’opposizione e rendere rapido il processo decisionale.
Ciò succede nei parlamenti in cui per varie ragioni, l’alternanza è impraticabile e governo e opposizione sono
fissi. Serve ad evitare la paralisi decisionale, ma allontana la possibilità dell’alternanza perché l’elettore
non riesce a sanzionare o individuare i responsabili.
Assemblearismo: I parlamentari fanno e disfanno i governi e non c’è disciplina né di partito, né di
tendenza politica. Il governo non ha controllo sull’attività parlamentare, a far leva su una maggioranza
compatta e solidale, a fissare l’agenda dei lavori, a usare l’arma dello scioglimento. Il parlamento
assembleare ha modalità operative costose e confuse, è lento e c’è clientelismo: pretende di governare,
svolgendo male tutte le sue funzioni e impedendo al governo di svolgere le proprie.
Declino o trasformazione dei parlamenti?
Le degenerazioni parlamentari pure sono rare; invece la varietà di comportamenti trasformistici, consociativi,
assembleari sono frequenti.
Il numero delle leggi prodotte da iniziativa parlamentare e approvate non indica la quantità di potere del
parlamento, anzi, più alto è il numero delle leggi prodotte, più limitato è il potere complessivo del
parlamento, poiché ha poco tempo per fare grandi dibattiti politici e per esercitare controllo sul governo.
Un parlamento declina quando
1) gli è affidato il sistema politico attraverso la produzione legislativa;
2) sono incapaci di strutturarsi in modo da offrire sostegno continuativo e disciplinato al governo;
3) non ha un’opposizione disciplinata e alternativa;
4) sia la maggioranza che l’opposizione è incapace di controllare l’attività di governo.
L’efficienza del parlamento si valuta osservando i tempi di approvazione delle leggi;
la disciplina della maggioranza e il grado di antagonismo dell’opposizione si misura dal ricorso al
voto di fiducia, che è più frequente quando la maggioranza governativa si sente divisa e teme defezioni e
l’opposizione è compatta.
L’attività di controllo si valuta dalla capacità di sfiduciare individualmente i singoli ministri, dalle
dimissioni dei ministri obbligate da indagini parlamentari, dal mutamento delle politiche governative,
dall’applicazione del voto di sfiducia costruttivo/capacità di rovesciare il governo.
Cap.8 – I governi
Il problema
E’ sempre una minoranza organizzata che governa: il problema democratico è impedire alla minoranza
di formare un’oligarchia e promuovere una alternanza.
Che cosa è governo
Il termine governo viene dal greco timone, dall’idea che esso guidi la nave del sistema politico.
La tradizione continentale europea è diversa dalla anglosassone.
Negli USA non si usa il termine ‘government’ ma administration, che indica la presidenza
(ruolo+apparato) e la burocrazia federale alle dipendenze dell’esecutivo.
In GB il termine government ha più versioni: Her Mayesty’s, cabinet, shadow, party.
Il governo cmq definito è il detentore del potere esecutivo,il cui significato e contenuto è però cambiato
nel tempo.
All’inizio il potere era monastico; gradualmente il conflitto fra nobili e monarca portò alla suddivisione dei
poteri, a favore del parlamento, in cui il re per poter governare doveva essere presente.
Il parlamento ottenne il compito di fare le leggi congiuntamente al sovrano, il quale con la sua burocrazia
doveva trasformarle in atti. Nel corso del tempo il potere esecutivo prese il sopravvento rispetto al potere
legislativo. Le differenze dell’esecutivo fra sistemi politici dipende 1) da variabili istituzionali (forma di
governo); 2) da variabili congiunturali (elementi politico-partitici).
La formazione degli esecutivi
Le forme di governo si distinguono in
FdG presidenziale
elezione diretta popolare del capo dell’esecutivo;
FdG parlamentare
elezione dai partiti e parlamento, indiretta dal popolo;
FdG semipresidenziale
duale con presidente eletto direttamente e primo ministro indirettamente.
L’elezione popolare diretta del capo dell’esecutivo comporta la formazione immediata dell’esecutivo.
Nel caso del capo USA: la selezione del candidato alla presidenza avviene attraverso elezioni primarie.
In USA si accede alla candidatura con la raccolta di un certo N di firme. Il presidente eletto gode di ampia
discrezionalità nella scelta dei ministri, ma deve sempre considerare eventuali riserve e opposizioni del
Congresso.
Altri casi: le candidature vengono lanciate direttamente nell’arena elettorale.
Entrambi i modi necessitano di sostegni partitici e di molteplici risorse per acquisire visibilità elettorale.
Qualche volta i candidati con cospicue risorse possono superare le soglie x la candidatura senza aiuti
partitici.
In generale più il sistema partitico è strutturato, più i candidati saranno espressione di partiti singoli.
Nelle coalizioni la scelta cade su un candidato condiviso; se c’è il sistema elettorale a doppio turno con
ballottaggio, la selezione e le modalità di esercizio del potere verranno influenzate.
La selezione del capo dell’esecutivo nei regimi parlamentari si differenzia fra sistemi bipartitici e sistemi
multipartitici.
Sistemi bipartitici: la selezione del candidato è interna ai partiti; il leader è automaticamente candidato;
Sistemi multipartitici: il collegamento leadership del partito – capo dell’esecutivo avviene solo quando
un partito ottiene da solo la maggioranza dei seggi, o una maggioranza relativa che consenta di governare.
Con coalizione è necessaria la ricerca del punto di equilibrio politico (rappresentanza e rapporti di forza).
La logica premia il leader del partito maggiore della coalizione.
In altri casi dipende da
1) dall’unitarietà del partito maggiore e dalla sua capacità di cambiare alleati o metterli gli uni contro gli
altri;
2) dal potere di interdizione degli alleati minori, dalla loro indispensabilità e capacità di azione
coordinata.
Perciò diventa capo del governo un rappresentante gradito agli alleati o il leader di un partito minore,
ma essenziale nella coalizione.
Può accadere che la funzionalità della coalizione sia ridotta dalla scelta di un leader poco autorevole perché
non sufficientemente rappresentativo del partito maggiore.
Spesso è un esito voluto dai patner alleati che mirano alla crescita elettorale a spese del partito di
maggioranza relativa.
La teoria delle coalizioni
1) i partiti cercano di massimizzare il loro potere che si traduce nel governo in cariche ministeriali: i
partiti si comporteranno da office seekers e faranno parte della coalizione più piccola possibile
coalizione
minima vincente = A – minore N di partiti con B –minor N di seggi, ma maggioranza assoluta.
2) la distanza ideologica impedisce la coalizione fra partiti troppo lontani per timore che l’elettore non
gradisca e voti altro.
3) siccome l’incarico di formare il governo è dato al capo del partito con più seggi, è possibile che il
partito non voglia coalizzarsi con l’altro che ha più seggi;
4) un partito di estrema con più seggi senza maggioranza assoluta, non riuscirà a coalizzarsi e dovrà
cedere l’incarico al secondo partito con più seggi coalizzato.
5) i partiti di estrema sono policy-seekers piuttosto che office-seekers.
6) coalizioni oversized: A- contengono più partiti di quelli necessari a dar vita ad una coalizione minima
vincente; B – contiene più seggi che le altre possibili coalizioni.
7) Nel multipartitismo moderato la competizione è moderata. Nel multipartitismo estremo le coalizioni
sono imperniate al centro se è impossibile la coalizione con partiti estremi ed antisistema, proprio per
difendere il regime.
8) il passato influenza: se certe coalizioni si sono già formate in passato, è possibile che continuino a
riformarsi, perché dirigenti e partiti si conoscono e si risparmia tempo decisionale. Il guadagno o la perdita di
seggi nel tempo, aiutano a capire la disponibilità/stato d’animo dei negoziatori.
9) alcuni partiti decidono di stare fuori dal governo per non assumersi responsabilità davanti
all’elettorato.
10) governi di minoranza
I governi di minoranza
Nascono quando un partito con il maggiore numero di seggi, ma senza maggioranza assoluta, forma il
governo da solo.
Ciò avviene quando
A – l’opposizione non riesce/vuole formare una coalizione;
B – i potenziali alleati non vogliono far parte del governo x vari motivi, come l’opinione dell’elettorato.
L’alternativa è il ritorno alle urne che può rafforzare il partito maggiore: gli altri partiti accettano il
governo di minoranza puntando sugli errori e i malumori prodotti dal governo x erodere il suo elettorato.
Un partito governa da solo perché
1) vuole le cariche
2) vuole attuare politiche
3) ha fiducia nelle proprie capacità
Gli altri partiti accettano per
I – stato di necessità: sanno che il governo durerà poco e aspettano che si creino le condizioni giuste x
formare coalizioni più stabili;
II – per impreparazione: i potenziali alleati non sfideranno l’esistenza del governo finché
- non sono disponibili ad entrare nella coalizione successiva e ad assumere le responsabilità governative;
- non precisano le loro richieste in cariche e risorse politiche.
I governi di minoranza non sono più instabili delle coalizioni minime vincenti e oversized:
1) durano tanto quanto le altre;
2) non hanno conflitti interni e non devono conciliare interessi diversificati;
3) sono maggiormente operativi, perché la loro durata dipende dalla loro efficacia.
Il governo di minoranza può servire da veicolo di alternanza nei sistemi bipartitici o bipolari imperfetti, sia
quando l’opposizione è leale o antisistemica: l’opposizione leale sarà obbligata a diventare limpidamente
propositiva; con l’antisistemica il governo di minoranza attirerà su di sé le altre forze pro-sistema per isolare il
pericolo.
I governi di partito
Le modalità di formazione delle coalizioni di governo influenzano le politiche governative.I governi sono
con rarissime eccezioni governi di partito, a prescindere dall’assetto istituzionale. L’unica eccezione
parziale sono gli USA.
La partiticità è definibile in base a 5 requisiti individuati da Katz:
1) le decisioni sono prese da personale di partito eletto;
2) le politiche pubbliche sono decise all’interno dei partiti che...
3) ...agiscono in maniera coesa per attuarle;
4) i detentori delle cariche sono reclutati e...
5) ...mantenuti responsabili attraverso il partito.
Il partito agisce
1) mostrando comportamenti di squadra;
2) nel tentativo di acquisire il controllo su tutto il potere politico;
3) fondando le sue pretese sulla legittimità derivante dal successo elettorale.
Il governo di partito può estendere il proprio ambito anche nel sociale e nell’economico, penetrando settori
non propriamente politici.
Le differenze fra governi di partito sono date da
1) N di partiti che formano la coalizione partitica;
2) La natura dei singoli attori partitici, cioé quanto sono uniti e disciplinati;
3) L’eventuale “particizzazione della società” = org di partito nel sistema sociale ed economico che
hanno il fine di mantenere controllo e consenso;
4) Lottizzazione = distribuzione delle cariche
Gli studiosi vedono la lottizzazione come legittima e funzionante nell’attività di governo, ma non la
estensione del party government nei settori sociali ed economici, poiché non è né democratico, né
efficiente.
La colonizzazione causa immobilismo, ovvero rapporti che finiscono per produrre una difesa delle posizioni
acquisite dai partiti.
La crescita del governo
I compiti del governo sono cambiati nel tempo, influenzati dal rapporto governo-società.
All’inizio il compito era
1) la creazione e il mantenimento della legge e dell’ordine pubblico all’interno dello Stato,
2) la protezione dei cittadini contro le interferenze dall’esterno
small/limited government
Per svolgere tali compiti ha bisogno della polizia + esercito (sicurezza interna ed eterna) , magistratura
(giustizia), burocrazia fiscale (raccolta tasse).
Per vari motivi lo Stato contemporaneo ha ampliato la sua sfera d’intervento nella società e
nell’economia: ciò apparve minaccioso negli anni ’70 quando la capacità di gestione del governo sembrava
diminuire e si parlava di crisi di governabilità, da risolvere A) con riduzione dei compiti (conservatori) o B)
aumento delle strutture partecipative (progressisti).
Rose sottopose l’asserzione a verifica generale e
a) le leggi approvate dai parlamenti non erano aumentate
b) l’aumento del drenaggio fiscale era causato dall’inflazione e non dall’espansione della quota del
prodotto nazionale destinata al settore pubblico;
c) i burocrati non erano irragiungibili,ma fornivano servizi in modo diretto ai nuclei familiari;
d) il N di istituzioni e org, non si era moltiplicato, ma diminuito;
e) i programmi pubblici si erano espansi a politiche pubbliche ben consolidate e accettate, non a nuove
e controverse.
La richiesta del ridimensionamento del governo si spiega con il successo dello stato e dei governi:
alcuni settori sono convinti di potere fare meglio da soli.
Quanto e quale governo? Dibattito aperto:è pericoloso x la democrazia che certi settori diventino autonomi,
perché la partecipazione potrebbe scivolare in mano a pochi.
Le forme di governo
1) presidenziali
2) semipresidenziali
3) parlamentari
4) direttoriali con esecutivo collegiale (Svizzera)
Presidenziale: esecutivo eletto direttamente con legittimazione autonoma da quella del parlamento
(congresso).
Il presidente non ha il potere di sciogliere il congresso e il congresso non può sfiduciare il presidente, ma
può solo metterlo in stato d’accusa per attentato alla Costituzione (impeachement).
Presidente e congresso sono istituzioni separate, ma condividono il potere (es.legislativo). Se il presidente
introduce disegni di legge non graditi al congresso, esso può cambiarli o respingerli; se il congresso approva
leggi sgradite al presidente, il presidente può ricorrere al potere di veto: il congresso può sormontarlo con
maggioranza qualificata dei 2/3.
Problema del presidenzialismo nasce
1) con presidente in carica del partito opposto alla maggioranza del congresso
governo diviso;
2) presidente con maggioranza solida che schiaccia l’opposizione: rafforzata se i rappresentanti
seguono una rigida disciplina di partito.
Il presidente supera la crisi del governo diviso
A – con clientelismo, scambiando risorse per voti;
B – con retorica, convincendo gli elettori a fare pressioni sui rappresentanti affinché lo sostengano;
C – con modi autoritari, usando minacce e facendo pressioni sugli organismi di sicurezza e militari.
Il governo diviso non funziona o funziona a livelli bassi se i rappresentanti sono autonomi.
Persiste perché
1) le istituzioni in tal modo evitano la concentrazione di potere in una sola istituzione;
2) ascolta le preferenze degli elettori: essi possono spezzare il voto.
La critica più forte al governo diviso è l’incapacità dell’elettore di individuare il responsabile del
buon/malgoverno.
Semipresidenziale: non è presidenzialismo temperato né parlamentarismo potenziato; FdG costruita per
ottenere pregi del presidenzialismo ed evitare dei difetti del parlamentarismo.
Il PdR non può essere rovesciato o sostituito dal parlamento, perché è eletto direttamente dai cittadini,
tranne se messo in stato d’accusa. Condivide il potere esecutivo con il primo ministro.
I Primo Ministro è nominato dal PdR, ma non deve essere sfiduciato dal parlamento; ha doppia
responsabilità nei confronti del PdR e del parlamento. Può chiedere lo scioglimento del parlamento al PdR.
Se il PdR rifiuta deve sostituirlo con un nuovo ministro. Se il nuovo ministro non ottiene la fiducia
parlamentare e d’obbligo lo scioglimento.
Il fenomeno detto coabitazione avviene quando il PdR ha in parlamento una maggioranza
d’opposizione; ciò può succedere a causa delle elezioni disgiunte.
2 fattori temperano le tensioni:
1 – personale
l’ambizione del PdR e del primo ministro, che vogliono (ri)candidarsi alla presidenza; il
PdR non si scontrerà con il primo ministro per rispettare la decisione dell’elettorato e viceversa.
2 – politico-partitico
il primo ministro ha l’appoggio della maggioranza in parlamento e quindi può
scavalcare il PdR: ciò evita la paralisi decisionale tipica del governo diviso.
Parlamentari: hanno il problema della stabilità e dell’efficacia decisionale, che si misurano dalla durata
dei governi, più precisamente dalla durata della carica del primo ministro. Si ha instabilità governativa ogni
volta che si dissolve il governo x formarne uno nuovo.
Le FdG parlamentari sono più esposte all’instabilità governativa a causa dei loro pregi (più
rappresentative e più flessibili), e hanno bisogno di meccanismi di stabilizzazione:
1) un sistema partitico moderato + una competizione bipolare centripeta, che si può introdurre con
apposite leggi elettorali;
2) il voto di sfiducia costruttivo, applicato in Germania e Spagna
la sfiducia al capo dell’esecutivo
deve essere votata palesemente con maggioranza assoluta e deve conferire la carica ad un’altra
persona, pena lo scioglimento del parlamento o una fase transitoria in cui il capo dell’esecutivo
ottiene poteri eccezionali. Ciò è un efficace deterrente contro i partiti che producevano crisi di
governo x ottenere vantaggi particolaristici.
Le FdG parlamentari possono degenerare in
A – eccesso decisionistico
esagerato controllo del governo sulla maggioranza parlamentare;
B – governo x decreto
i governi parlamentari deboli sono costretti a decretare per tenere insieme la
propria maggioranza e obbligarla ad essere disciplinata.
Cap.10 – Regimi non democratici
Autoritario
1) pluralismo politico limitato e irresponsabile = impressione di immobilità e persistenza delle
stesse org nel tempo senza concorrenza visibile. Il pluralismo c’è, poiché esistono org politicamente
rilevanti, ma non è competitivo, poiché le org si suddividono il potere senza sovrapposizioni. Non è
responsabile, perché non devono rispondere alla “base”. I dirigenti sono scelti fra coloro che hanno
dimostrato fedeltà al regime e al leader. Il potere gerarchico è attribuito in modo burocratico e in
base all’anzianità di ruolo e di cooptazione. In questo modo le org interiorizzano i criteri del regime. Il
pluralismo limitato permette permette le transizione non cruenta dalla democrazia al regime
autoritario.
2) basso grado di democratizzazione = mobilitazione
a) instaurazione: mobilitazione
estesa/intensa, mai mirata nel produrre una “rivoluzione permanente”; b) insediamento: rinuncia
alla mobilitazione per cause ideologiche e incapacità organizzativa.
3) “mentalità caratteristiche” e valori astratti a legittimazione del regime = mentalità: insieme di
credenze meno codificate e meno rigide dell’ideologia, con margini di ambiguità interpretativa. E’
l’insieme di credenze che i capi del regime utilizzano per ottenere obbedienza.
4) limiti mal definiti, ma prevedibili all’esercizio del potere = il leader esercita il potere politico entro
limiti non definiti, ma prevedibili. Il leader è il punto di equilibrio per tutte le org. Forte componente
personalistica/carismatica nell’esercizio del potere. Alla scomparsa del leader fondatore avviene la
crisi della successione, perché il leader non è identificato specificamente a un’org, ma a situazioni
che ha sfruttato abilmente.
Totalitario
1) assenza di pluralismo = esiste una sola org rilevante politicamente, il partito unico. Non è
responsabile. Monopolio statale dei mezzi di comunicazione, che impedisce la nascita di qualsiasi
opposizione.
2) mobilitazione intensa ed estesa = imposta dall’alto, in modo frequente e continuo, per promuovere
i valori del partito e cambiare la società o formare l’uomo nuovo.
3) ideologia ben strutturata (utopica ed escatologica) = sistema di pensiero rigido con una logica
stringente ed ufficiale (esistenza di interpreti e lettura vincolante). Elementi escatologici: società
nuova e uomo nuovo.
4) limiti non prevedibili del potere con (a) sradicamento del nemico “assoluto”; b) ruolo della
polizia segreta; c) universo concentrazionario = il leader è l’espressione specifica del partito
unico, che è l’unico strumento per l’acquisizione e l’esercizio del potere politico. Il leader può
esercitare il potere finchè il partito lo segue. Il terrore psicologico persiste sempre, anche in assenza
di esercizio del terrore politico e influenza la vita quotidiana. Sradicano i nemici
assoluti/immaginari/potenziali/costruiti e la società civile diventa un campo di concentramento.
Costruzione di un universo concentrazionario, cioé una istituzione penale che cancella dalla società
interi settori. Confusione fra partito e Stato: alla morte del leader il regime sopravvive, perché è la
struttura partitica che regge il regime.
Democratico
1) competizione aperta e responsabile = il pluralismo democratico è sempre
illimitato/aperto/competitivo/responsabile. Lo Stato risponde delle sue azioni alla società, è visibile
politicamente e misurata con elezioni.
2) partecipazione (libera espressione del voto + dissenso) = partecipazione politica spontanea dei
cittadini incoraggiandola e favorendola.
3) assenza ideologica di Stato (democrazia come procedura) = la legittimazione del regime è vuota
in parte di contenuti “mentali” o ideologici. L’ideologia democratica non è imposta dall’alto, ma è
soggetta alle variazioni dei propri cittadini.
4) limiti ben definiti all’esercizio del potere = la legge vincola la forza e l’arbitrio dello Stato.
Classificazione dei regimi non democratici di Linz e Stepan
Regimi autoritari, totalitari, post-totalitari, sultanistici.
Sultanismo
1) patrimonialismo = (Weber) quando l’apparato amministrativo e militare è proprietà personale del
leader. Ogni potere tradizionale tende a diventare patrimonialismo che poi degenera nel sultanismo.
Sultanismo = sviluppo del libero arbitrio e della grazia.
2) Nessuna ideologia.
3) Nessuna mobilitazione.
4) Nessun pluralismo, che viene distrutto prima della conquista del potere da parte del “sultano”.
5) Cancellate la differenza fra privato e pubblico nelle attività del leader.
6) Libero arbitrio personale del leader, con la pretesa che esista legalità.
Post-Totalitarismi (vedi tabella)
Solo il totalitarimo può dare vita a regimi post-totalitari. Ci sono 3 sottocategorie di regimi in base allo stadio
di post-totalitarismo:
1) Iniziale = ha appena intrapreso il processo di cambiamento. Dal totalitarismo, solo la leadership si è
evoluta in burocratica perchè non può più essere carismatica.
2) Congelato = nasce la tolleranza per alcune attività, anche se mantiene intatti i meccanismi di
controllo.
3) Maturo = solo il ruolo del partito non viene messo in discussione. Tutte le altre componenti sono
cambiate. Nel momento in cui il partito, nel timore di essere spezzato, si misura con le altre forze
politico-sociali, la transizione verso la democrazia diventa possibile.
Motivi per cui il pluralismo emerge nei regimi totalitari
A – prodotto di una scelta consapevole della leadership, che cerca di mantenere il potere controllando il
grado di apertura del regime.
B – decadenza delle componenti totalitarie, dove ideologia e mobilitazione diventano un rituale
burocratico.
C – prodotto di una conquista sociale da gruppi che si sono visti riconoscere qualche spazio di
organizzazione nella sfera sociale/economica/culturale.
Origine dei regimi autoritari
Storicamente, la tensione dei gruppi sociali viene prodotta dall’allargamento del suffragio e dall’espansione
della partecipazione politica. Lo scontro fra i detentori del potere e i gruppi sfidanti può portare a:
A - una democrazia
se i detentori sono forti e intelligenti da controllare tempo e ritiro delle concessioni;
B – un autoritarismo
se i detentori del potere si oppongono alla democratizzazione sui gruppi che la
desiderano.
Benché essi siano più forti dei gruppi sfidanti, devono ricorrere alla forza, perché sentono la tutela dei loro
interessi minacciata.
I detentori del potere collaborano con tutte le org che si sentono minacciate dalla democratizzazione.
L’autoritarismo è frutto di una democratizzazione fatta troppo rapidamente, rimasta incompiuta e
ripiegatasi su se stessa (panico di status), o dei casi in cui il potere delle classi dirigenti appariva declinante
e quello delle classi ascendente, senza che entrambi i gruppi avessero interiorizzato i processi
democratici (vedi URSS).
Il caso del fascismo italiano
Cause: dislocazioni socio-politiche provocate dalla 1° guerra mondiale + reazione delle classi dirigenti
alla sfida delle classi popolari.
Evoluzione da movimento a regime: finché era movimento il fascismo aveva possibilità di diventare
totalitario; si trasformo in regime autoritario quando si accorse di non potere assogettare tutte le
istituzioni (monarchia + Chiesa + forze armate + organizzazioni padronali).
Mobilitazioni sempre più limitate con la presa del potere.
Rinuncia a plasmare la società e si limita a reprimerla.
Regimi militari
Pretorianesimo = intervento dei militari in politica; avviene quando sono l’unico gruppo forte e organizzato
rimasto in società, e può essere
1) oligarchico: quando la
- partecipazione è limitata a cricche/classi
- violenza è contenuta perché i civili detronizzati e l’opposizione non sono organizzati
= governi prodotti sono civili/militari
presenza militare è breve e condividono il potere con i civili per un
tempo limitato
= avviene in disordini sociali
= obiettivo militare è l’acquisizione di vantaggi personali e status
2) radicale: quando la
- partecipazione estesa alle classi medie
- violenza media quando la classe media spodestata si oppone al golpe e mobilita i suoi sostenitori
= governi prodotti sono civili/militari
presenza militare di un anno, il tempo necessario per raffreddare
la tensione politica e indurre nuove elezioni ecludendo le forze politiche sgradite
= avviene in disordini sociali dove 2 fazioni della classe media si affrontano e una vuole estendere la
partecipazione
= obiettivo militare ottenere gli obiettivi della classe media di cui fanno parte
3) di massa: quando la
- partecipazione estesa anche ai settori popolari
- violenza elevata, perché il partito delle classi popolari è organizzato e oppone il numero alle armi
= produce regimi militari
presenza militare per molti anni, con la scusa che i partiti popolari sono la
causa delle tensioni sociali
= avviene durante disordini sociali dove le masse popolari sono organizzate in partiti di sinistra
= obiettivo militare escludere ai partiti delle masse popolari l’accesso al governo
I colpi di stato diventano regimi militari solo se
A- l’organizzazione militare ha fiducia nelle sue capacità di governo
B- se la maggioranza delle forze armate condivide il Colpo di Stato e sa giustificarlo
C- se gli ufficiali golpisti convincono la maggioranza degli ufficiali apolitici ad appoggiare il golpe o a non
opporsi.
Essi continuano ad appoggiarsi ad altre istituzioni come la Chiesa, ecc.
Cause della caduta dei regimi militari/abbandono del governo:
A- sconfitta politica
per sconfitta militare o per delegittimazione elettorale (referendum)
B- disimpegno volontario
per l’ostilità della società
C- golpe nel golpe
con sostituzione degli ufficiali interventisti ad opera di ufficiali “costituzionalisti”
che si impegnano a restituire il potere ai politici negoziando l’impunità e ottenendo qualche privilegio.
Lista di regimi
Autoritari
Spagna – franchismo; Portogallo – salzarismo.
Totalitari
Germania – nazionalsocialismo; Russia – stalinismo sovietico; Cina di Mao; Corea del Nord di
Kim Il Sim.
Post-totalitari
Corea del Nord; Repubbliche ex-sovietiche; Cina popolare.
Sultanismo
Haiti di Duvalier, Filippine di Marcos, Repubblica centro-africana di Bokassa; Iraq di Saddam
Hussein.
Attori nei regimi non democratici
militari, partiti, personalità.
Note di completamento
- Il numero dei regimi non democratici è superiore a quelli democratici e sono concentrati in Africa,
Medio-Oriente e Asia.
- Nessun regime non-democratico dura a lungo, perché è fondato su costruzioni fragili e precarie.
- Il potere del leader nei regimi autoritari non sarà mai illimitato finché ci saranno org di potere.
Quando cercherà di formare un totalitarismo verrà osteggiato dalle stesse org che lo sostenevano.
- Il termine ‘totalitarismo’ fu coniato dai liberali italiani per criticare la tendenza del fascismo a
-
essere totalitario. L’uso del termine viene adottato dai regimi per vantarsi della loro capacità di
esercitare un controllo capillare.
Benché i regimi totalitari fra loro si distinguano per la proprietà dei mezzi di produzione e la
nazionalizzazione dell’economia, essi hanno sempre in comune a) sviluppo tecnologico; b)
controllo terroristico; c) partito unico ben strutturato/gerarchizzato.
La riattivazione del pluralismo è diversa fra i regimi autoritari e totalitari. Negli autoritari c’è
sempre del pluralismo, nei totalitari deve rinasce nella fase post-totalitaria.
Se un totalitarismo cade non può rivivere.
La Cina può essere considerata un post-totalitarismo maturo.
Cap.11 I regimi democratici
Democrazie reali
Varie distinzioni di democrazia:
democrazia ideale = costruzione utopica che può aiutare nella costruzione delle democrazie reali;
democrazia formale = basata sul rispetto delle regole e delle procedure (teoria);
democrazia sostanziale = è il risultato dei procedimenti formali (applicazione della teoria);
democrazia liberale = democrazia caratterizzata da
- diritti civili e politici riconosciuti e tutelati;
- rispetto del governo della legge;
- magistratura indipendente;
- società pluralista;
- mezzi di comunicazione non controllati dal governo;
democrazia elettorale = si vota, ma non si rispettano alcune caratteristiche della democrazia liberale.
La definizione
La definizione procedurale di Schumpeter è:
“il metodo democratico è quell’assetto istituzionale per arrivare a decisioni politiche nel quale alcune persone
acquistano il potere di decidere mediante una lotta competitiva per il voto popolare”.
Per una definizione completa si integra il principio delle reazioni previste di Friedrich:
il detentore del potere, per ragioni diverse, si sforzerà di interpretare le preferenze del maggior numero di
elettori; dunque terrà costantemente conto delle preferenze e renderà conto del suo operato quando tenterà
di essere rieletto (responsabilizzazione).
Le condizioni politiche
Il requisito fondamentale per l’esistenza della democrazia è l’estensione del suffragio senza
discriminazioni, ad entrambi i sessi a partire dai 18/20/21 anni di età.
Oggi, quando inizia il processo di democratizzazione, non è più necessario combattere per il riconoscimento
del diritto di voto, e ciò comporta minore mobilitazione/coinvolgimento attivo dei cittadini. Questo spiega in
parte l’elevato tasso di astensionismo nelle democrazie recenti.
Per gli altri requisiti vedi l’elenco di Dahl.
L’elenco di Dahl si può usare per valutare i processi storici di democratizzazione, che è formata dalla
congiunzione del
1) processo di liberalizzazione (= allargamento delle opportunità di contestazione delle autorità);
trasforma i regimi chiusi in oligarchie competitive;
2) allargamento della partecipazione (non è detto che produca un regime competitivo).
L’esito della democratizzazione è la poliarchia, regime in cui nessun gruppo riesce ad egemonizzre il potere
politico.
La democrazia in entrata si ottiene con la liberalizzazione e la partecipazione + garantendo il rispetto
dei diritti dei cittadini.
La democrazia in uscita (= controllo delle decisioni dei governanti) si ottiene con il meccanismo di
rielezione che scatena il “principio delle reazioni previste” di Friedrich + una opposizione attenta, critica,
propositiva e alternativa.
Le fasi della democratizzazione
Rustow individua le pre-condizioni della democratizzazione, che sono
1) un regime non democratico legittimato dalla tradizione, più che dalla repressione;
2) i partecipanti sono perfettamente d’accordo sulla loro appartenenza ad una comunità politica.
1° fase (preparatoria): è la lotta fra gruppi di élite, senza vittorie e con il compromesso.
2° fase (di decisione): è la scelta di riconoscere su un piano paritario le proprie diversità e creare strutture
che le preservino l’accettare l’esistenza dell’opposizione porta alla competizione democratica.
3° fase (habituation): è il conflitto sulla scelta delle procedure decisionali, fino all’assuefazione ai processi.
Importante per la fase è che i processi vengano accettati da tutti gli attori politici.
Il processo di democratizzazione può essere facilitato o indebolito da vari fattori, come ad esempio il sistema
internazionale.
La contaminazione positiva pare essere più forte di quella negativa (il crollo di un regime democratico che
trascina co sé i paesi vicini).
Huntington individua 3 ondate di democratizzazione (e 2 di riflusso):
1) dal 1828 al 1926
29 Stati democratici
facilitata da fattori socio-economici = industrializzazione,
urbanizzazione, nascita della borghesia, della classe media e operaia, la riduzione delle
diseguaglianze economiche);
2) dal 1943 al 1962
36 Stati
facilitata da fattori politico-militari = vittoria degli Alleati e
decolonizzazione;
3) dal 1974 in poi
58 Stati
facilitata dalle esperienze precedenti di democrazia + 5 mutamenti:
- crisi di legittimazione dei regimi autoritari;
- crescita economica senza precedenti;
- il nuovo ruolo della Chiesa dopo il Concilio Vaticano Secondo;
- l’impatto della comunità europea sui regimi autoritari dell’Europa meridionale, la tutela dei diritti
umani e il tentativo di Gorbaciov;
- l’effetto di contagio positivo.
Le condizioni socio-economiche
Quanto influenzano le condizioni socio-economiche sulla creazione/mantenimento della democrazia?
Varie e diverse ipotesi:
1) Lipset individua un nesso forte fra democrazia e sistemi socio-economici sviluppati (= alti
reddito pro capite, istruzione, urbanizzazione, industrializzazione, esposizione ai mezzi di
ccomunicazione) e la possibile esistenza di una relazione causa-effetto. Se i sistemi socio-economici
superano certe soglie di sviluppo, daranno vita a regimi democratici.
2) Non è tanto lo sviluppo socio-economico, ma l’assenza di squilibri e disseguaglianze fra i vari
gruppi sociali che mantenono la democrazia.
3) Non è tanto lo sviluppo socio-economico, ma le modalità con le quali è stato conseguito. Lo
sviluppo socio-economico accelerato richiede metodi autoritari e dunque anti-democratici.
Per di più, gli autocrati diventeranno in fretta predoni di risorse, causando l’impoverimento della
società.
4) Przeworski nota che le condizioni socio-economiche non influiscono sulla nascita dei regimi
democratici, ma ne influenzano la durata. Cattive prestazioni economiche, soprattutto nei paesi
poveri che non hanno risorse per affrontare la crisi, rendono vulnerabili le democrazie. L’incapacità
di fronteggiare la crisi viene addebitata alla procedura democratica e legittima il passaggio
all’autoritarismo.
Tipi di democrazie
I regimi democratici si distinguono dalla forma di governo, dai sistemi partitici, dal funzionamento/rendimento
dei regimi.
Almond analizza il (1) funzionamento/rendimento dei regimi, individuando la variabile indipendente nella
cultura politica e la variabile dipendente nella stabilità/instabilità politica:
cultura politica omogenea e secolarizzata = regimi democratici stabili
democrazia anglosassone;
cultura eterogenea e frammentata = regimi democratici instabili
democrazia europea continentale.
Siccome la classificazione non conteneva i paesi scandinavi (cultura politica eterogenea ma regime stabile),
Lijphart aggiunge la (2) variabile del comportamento delle élite (vedi tabella), individuando 4 regimi
democratici (centripeta, centrifuga, consociativa, spoliticizzata); sottolinea che il cambio del
comportamento delle élite può far cambiare la cultura politica.
Lijphart riclassifica ancora i regimi democratici analizzando i (3) comportamenti delle élite in rapporto alla
logica di funzionamento delle istituzioni:
- principio maggioritario, che valorizza il conflitto (= democrazia maggioritaria);
- ricerca degli accordi, che teme il conflitto (= democrazia consensuale/consociativa).
(La democrazia consociativa come rimedio per le società difficili a struttura segmentata)
La democrazia maggioritaria, il cui esempio è il modello Westminster (con eccezione al punto 10) è
caratterizzata da:
1) potere esecutivo concentrato in governi monopartitici a maggioranza risicata;
2) predominio dell’esecutivo;
3) sistema bipartitico;
4) sistema elettorale maggioritario;
5) pluralismo dei gruppi di interesse;
6) sistema di governo unitario e accentrato;
7) potere legislativo concentrato in una assemblea monocamerale;
8) Costituzione flessibile;
9) Judicial review assente;
10) Banca centrale controllata dall’esecutivo.
La democrazia consensuale è l’opposto:
1) potere esecutivo condiviso in grandi coalizioni;
2) equilibrio di potere fra esecutivo e legislativo;
3) sistema multipartitico;
4) sistema elettorale proporzionale;
5) corporativismo dei gruppi di interesse;
6) federalismo e governo decentrato;
7) bicameralismo forte;
8) Costituzione rigida;
9) Judicial review;
10) Banca centrale indipendente.
Globalmente individua democrazie maggioritarie, federali maggioritarie, consensuali unitarie e consensuali.
Tali classificazioni hanno attirato molte critiche, per la presenza di molti casi anomali o non inquadrabili.
La qualità delle democrazie
Valutare la qualità (cioè rendimento e funzionalità) delle democrazie è difficile e molti studiosi evitano il tema.
Di recente si è aperto il dibattito sulla migliore forma di governo che ha riportato alla rivalutazione delle FdG
parlamentari e presidenziali.
Lijphart utilizza 2 criteri per valutare le democrazie: durata dei governi e qualità; per gli indicatori di
qualità rimanda a Dahl e al suo elenco sulle opportunità di partecipazione.
Schmitter individua gli indicatori di qualità nel rapporto fra cittadini e autorità pubbliche (vedi tabella).
Premettendo che la democrazia è sempre governo dal popolo (= fondata dal libero voto dei cittadini)
se è governo del popolo
si pretende che i cittadini partecipino e che le autorità siano accessibili;
se è governo per il popolo
si pretende che ci siano meccanismi con cui i cittadini possano valutare i
governanti e che le autorità rispondano alle loro preferenze.
Questi rapporti dipendono dalla competitività, assicurata dalle procedure elettorali.
L’indicatore della partecipazione più sicuro è l’affluenza alle urne.
L’indicatore sulla rispondenza dei governanti è dato da sondaggi sulla soddisfazione dei cittadini come
l’Eurobarometro.
Norris nota che i cittadini possono sostenere i principi della democrazia, ma al tempo stesso essere critici
sul rendimento e funzionamento del regime democratico e delle istituzioni; proprio perché la democrazia ha
vinto i cittadini sentono raccomandabile la critica.
Il futuro della democrazia
La democrazia ha due gruppi di critici:
a) coloro che la ritengono migliorabile e formulano critiche costruttive (vedi sotto Bobbio);
b) coloro che vogliono delegittimarla e distruggerla per sostituirla con presunti regimi più
democratici o egualitari. Con il crollo dei regimi comunisti, tale alternativa è venuta meno.
Bobbio critica il fatto che la democrazia non ha saputo mantenere queste promesse:
1) una società egualitaria, senza corpi intermedi;
2) l’eliminazione degli interessi particolaristici;
3) la fine delle oligarchie;
4) la diffusione della democrazia anche negli apparati burocratici, militari, amministrativi, nelle imprese;
5) la distruzione dei poteri invisibili;
6) l’elevazione del livello di educazione politica dei cittadini.
Secondo Bobbio, ciò è successo perché il progetto democratico fu ideato per una società meno
complessa di quella odierna.
Dahl individua 3 possibili trasformazioni future nelle democrazie:
1 – aumento del loro numero;
2 – trasformazione dei limiti e delle potenzialità del processo democratico (riferito a organismi sovranazionali
poco controllabili dai cittadini);
3 – più equa distribuzione delle risorse e delle possibilità politiche tra i cittadini + allargamento del processo
democratico a istituzioni governate da processi non democratici.