Seminario della CGIL e del SUNIA sulla nuova legge sugli affitti

Transcript

Seminario della CGIL e del SUNIA sulla nuova legge sugli affitti
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
______________________________________________________________________________
_
Seminario della CGIL e del SUNIA sulla nuova legge sugli affitti (Legge
n.431/1998)
Con la nuova legge sugli affitti, la casa diventa, finalmente, materia di concertazione, a livello
nazionale e locale, ed entra da protagonista nel dibattito e nelle decisioni riguardanti la riforma del
Welfare.
La politica della casa riacquista visibilità politica e sociale, dopo un periodo di appannamento, e
rientra nella politica dei redditi attraverso un aggancio forte con alcune misure fiscali da un lato, e,
dall’altro, attraverso l’istituzione di un Fondo nazionale. La casa, dunque, si ripresenta come tema
del Welfare, come problema sociale, come opportunità di riqualificazione urbana e di sviluppo
economico ed occupazionale.
E’ questo il dato politico da sottolineare con forza. E’ un risultato che premia una battaglia di anni,
della CGIL e del SUNIA innanzitutto, per affermare un’impostazione innovativa della politica della
casa in Italia.
Con il quadro normativo determinato dalla legge sulle locazioni e dall’ultima Finanziaria è passato
sostanzialmente il nostro impianto e siamo entrati concretamente in una fase nuova i cui sviluppi e
i cui esiti dipenderanno in grande misura dall’iniziativa e dallo sforzo organizzativo e politico del
sindacato confederale e del Sunia.
Occorre, prima di tutto, una verifica in tempi rapidi (prima, cioè, che la concertazione a livello
territoriale entri nel merito) dello stato delle cose in tutte le CdL sedi di provincia, per prendere
eventualmente le misure necessarie a rafforzare la nostra capacità contrattuale e di proposta.
A livello nazionale, la concertazione tra sindacati inquilini e quelli dei proprietari ha già prodotto un
primo significativo accordo sul contratto-tipo per il canale libero. Sunia, Sicet ed Uniat, inoltre,
hanno firmato un protocollo d’intesa con Confedilizia sui contratti-tipo per il canale concordato,
cosa che ha permesso di dare un colpo d’acceleratore alla trattativa tra Ministero dei LLPP,
organizzazioni rappresentative degli inquilini e quelle della proprietà, e di chiudere positivamente la
prima Convenzione nazionale.
La concertazione, dunque, inizia ad entrare nel vivo e noi dobbiamo riempirla di contenuti, sia
utilizzando gli strumenti che la legge mette a disposizione per governare il mercato delle abitazioni
in affitto, sia, più in generale, impegnandoci a delineare una prospettiva di sviluppo del mercato
immobiliare in grado di coniugare processo di liberalizzazione, solidarietà e riqualificazione urbana.
Nella fase che si apre, Cgil, Cisl e Uil sbaglierebbero se avessero un ruolo defilato o di semplici
spettatori. Come pure va sottolineato il ruolo fondamentale delle amministrazioni locali. Da esse
dipende, in grande misura, l’uso della leva fiscale, l’attivazione degli interventi di sostegno al
reddito, la valorizzazione del patrimonio pubblico, la definizione del nuovo catasto, la promozione
di una vasta opera di manutenzione e di recupero in campo edilizio attingendo anche alle risorse
comunitarie. Le regioni e gli enti locali, in questo senso, possono essere interlocutori privilegiati per
la nostra azione, come possono, in taluni casi, diventare controparti. Le nostre strutture territoriali,
comunque, insieme a quelle del Sunia, devono valutare con attenzione le situazioni specifiche, le
proposte, le iniziative da assumere.
Quali sono i problemi che si pongono nella gestione del passaggio da un sistema amministrato,
caratterizzato dall’equo canone e, per converso, dagli affitti in nero, ad un sistema libero, ma
contrattato e regolato da un meccanismo di incentivi e disincentivi di carattere fiscale?
www.cgil.it
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
______________________________________________________________________________
_
Prima vediamo i problemi dal lato dell’offerta abitativa.
Il passaggio non sarà né semplice né privo di rischi. Il rischio più grave è che al doppio canale del
mercato delle locazioni -quello libero e quello concordato- corrisponda un mercato "sdoppiato" fra
abitazioni di qualità elevata e abitazioni di qualità scarsa. Questo della "qualità" dell’offerta
abitativa è un problema reale, che ci deve preoccupare e verso cui dobbiamo prestare grande
attenzione. Non è una preoccupazione eccessiva. Si tratta, invece, di una considerazione
oggettiva. Infatti, con la crisi del mercato immobiliare, con la stagnazione e il calo dei prezzi a
partire dal 1992, con il sensibile aumento della fiscalità sulla casa con l’istituzione dell’ICI nel 1993,
si sono prodotti importanti effetti sul mercato delle abitazioni e, di riflesso, su quello delle locazioni.
Uno di questi è che i possessori di abitazioni come bene-risparmio (che, si sa, in Italia sono
tantissimi) hanno teso, nelle maggior parte dei casi, a controbilanciare le perdite in conto capitale
minimizzando le spese di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria.
La fine del capital gain sulla casa, quindi, e la caduta del grado di "liquidità" del bene immobile
-anche per l’allungamento dei tempi di vendita-, a partire dal 1992 fino al 1996-97 (nel ‘98, invece,
ci sono stati segni di ripresa), ha causato effetti di disimpegno nella manutenzione da parte dei
proprietari, con la conseguente crescita delle situazioni di degrado di abitazioni e di interi edifici.
Se la situazione descritta corrisponde, almeno in parte, al vero, è possibile fin da ora fare qualche
considerazione su alcuni aspetti rilevanti della nuova legge sulle locazioni. In primo luogo occorre
osservare che il tipo di incentivi fiscali introdotti, basati sulla riduzione del 30% della quota del
canone che entra nell’imponibile Irpef, favorisce di più gli alti redditi e i canoni elevati a causa della
progressività dell’imposta. Ciò significa che il beneficio netto è maggiore per gli alti scaglioni di
reddito e minimo per quelli più bassi. Ergo, i piccoli proprietari di immobili sono penalizzati.
Rispetto a questa situazione si può intervenire potenziando il ruolo dell’ICI nell’incentivare i
proprietari delle fasce medio-basse ad entrare nel canale concordato ed a evitare il disimpegno
nella manutenzione. L’ICI, non è un opzional da lasciare alla discrezionalità dei comuni. Al
contrario, in questa situazione, rappresenta la conditio sine qua non per il successo del canale
concordato e i comuni, pertanto, rivestono il ruolo di arbitri del nuovo mercato degli affitti. La
concertazione deve servire a spingere gli enti locali ad un uso più coraggioso e dinamico dell’ICI.
E’ importante che l’ICI si caratterizzi sempre più come imposta flessibile da modulare in base a
due obiettivi fondamentali: quello di aumentare l’offerta di abitazioni in affitto e quello di
aumentarne la qualità. Allargando, infatti, la forbice tra ICI maggiorata per le case sfitte e ICI
agevolata per le abitazioni che entrano nel canale degli affitti concordati, si possono evitare sia i
fenomeni di razionamento dell’offerta che lo scoraggiamento degli interventi di manutenzione.
L’esempio di Firenze, che ha portato al 9 per mille l’ICI sulle case sfitte, riducendola al contrario
sulle case affittate, deve essere seguito da altri.
Dobbiamo chiederci, inoltre, se le detrazione d’imposta del 41% per la manutenzione
straordinaria non debba essere allargata anche alla manutenzione ordinaria, in modo da
sussidiare il mantenimento degli standard di qualità delle abitazioni ed eliminare così gli effetti dello
spiazzamento finanziario.
Anche l’adozione del "libretto casa", per impostare in modo organico una politica di interventi
manutentivi e di recupero strutturale di complessi edilizi particolarmente degradati, se vogliamo
che abbia successo, richiede un collegamento con strumenti finanziari efficaci tanto sul piano
fiscale quanto su quello creditizio. Penso, anche in questo caso, alla riduzione dell’aliquota ICI;
penso all’abbassamento dell’IVA al 10% o ad un aumento della detrazione dal 41 al 51%; penso
www.cgil.it
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
______________________________________________________________________________
_
all’apertura di linee di credito a tasso agevolato e all’allungamento dei tempi di restituzione dei
mutui.
I problemi che emergono dal punto di vista dell’offerta di abitazioni in affitto mostrano, però, la
complessità dello scenario che abbiamo di fronte. Siamo ad una fase di passaggio che vede venir
meno la figura del risparmiatore singolo che investe direttamente nel bene casa ( anche perché
oggi il mercato finanziario è ricco di strumenti sempre più sofisticati in grado di unire rendimenti
interessanti con margini di rischio contenuti) e stanno entrando massicciamente in campo grandi
investitori come i fondi pensione e i fondi immobiliari chiusi. In Italia si sta delineando ormai
chiaramente una tendenza all’allineamento con i comportamenti dei paesi europei più evoluti. E’ il
passaggio da una gestione del bene casa, per così dire "elementare", basato sulla "conduzione",
ad una gestione/valorizzazione del portafoglio immobiliare in grado di elevare il rendimento
contenendo, allo stesso tempo, il livello dei canoni. A tale proposito, però, vorrei notare come la
legge sulle locazioni all’articolo 9 preveda che le agevolazioni fiscali per il canale concordato
agiscano soltanto per i fondi di previdenza complementare mentre non sono citati altri investitori
come i fondi immobiliari chiusi. E’ un’incongruenza da chiarire al più presto, anche perché in Italia i
fondi immobiliari stanno diventando una realtà (è partito quello della Deutche Bank, è in via di
costituzione quello dell’INPDAP, ed altre banche, a livello nazionale o regionale, si stanno
preparando), ma incontrano ancora difficoltà a causa di una normativa fiscale, a detta degli esperti,
penalizzante.
Vediamo ora i problemi dal lato della domanda di abitazioni in affitto.
L’incidenza media dell’affitto in Italia è del 12%, ma al suo interno è molto sperequata. Si passa,
per ciò che riguarda l’affitto sociale (ERP), da un’incidenza del 6-7% per la famiglie sotto i 20
milioni e del 4% per quelle sotto i 40 milioni (in tutto circa 900 mila famiglie) ad un’incidenza del
35% per le famiglie con reddito sotto i 20 milioni (con punte del 40% per i redditi di 15 milioni) che
pagano un affitto nel settore profit delle abitazioni ( circa 700mila famiglie). Sopra i 40 milioni
l’incidenza dell’affitto nel settore abitativo privato è del 12% e scende man mano che sale il reddito.
Come si vede, vi sono situazioni di sovratutela che si accompagnano a situazioni di
sottotutela. La legge, con l’istituzione del Fondo (600 miliardi all’anno) e con l’adozione di incentivi
fiscali (300 miliardi nel ’99), si pone l’obiettivo di sanare le iniquità garantendo un sostegno diretto
al reddito per le famiglie meno abbienti. Sono, innanzitutto, le 700 mila famiglie sotto i 20 milioni in
affitto nel settore privato. E’ del tutto evidente che si tratti dello zoccolo duro da tutelare e a cui,
prioritariamente, indirizzare le risorse del Fondo.
L’accesso al Fondo, previsto dall’art.11 non è, però, cumulabile con la detrazione d’imposta
prevista dall’art. 10. Appare singolare il fatto che si prevedano due differenti tipologie di sussidio
per uno stesso obiettivo: quello di tutelare gli inquilini a basso reddito, portando a livelli accettabili
l’incidenza del canone sul reddito. La cosa si spiega col fatto che lo strumento della detrazione
fiscale appare inefficace nella tutela dei redditi più bassi perché l’entità delle imposte pagate non
risulta sufficiente a contenere le detrazioni fiscali. La detrazione fiscale, essendo regressiva,
costituisce un vantaggio essenzialmente per i redditi medio-alti.
Per tutelare le fasce più basse di reddito sarebbe più incisivo ed efficace lo strumento del credito
d’imposta, che agisce come detrazione per i redditi medio-alti, ma si trasforma in imposta
negativa per i redditi più bassi. In questo caso, una volta fissato l’ammontare dell’integrazione di
reddito necessaria, il credito d’imposta si trasforma in trasferimento o bonus. Per esempio,
secondo un calcolo di Monitor lavoro, una famiglia con un reddito di 20 milioni, al fine di portare
l’incidenza dell’affitto sul reddito dal 35% al 12%, avrebbe diritto ad un’integrazione annua di 4,6
www.cgil.it
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
______________________________________________________________________________
_
milioni, che otterrebbe per il 60% (2,8 milioni di lire) da imposte non pagate e per il 40% (1,8
milioni) da trasferimento netto. Ma questa è una modifica che eventualmente potrà essere
proposta dopo una prima fase di applicazione della legge sui canoni.
Quello che mi preme sottolineare è, invece, l’insufficienza del Fondo nazionale (1800 miliardi
in tre anni, una dotazione di 600 miliardi all’anno).
Con le risorse scarse del Fondo non si riesce a coprire adeguatamente nemmeno tutto il bisogno
di integrazione del reddito delle famiglie sotto i 20 milioni. Secondo le nostre stime, che
sostanzialmente coincidono con i dati di uno studio del CNEL sugli affitti sociali, a regime il fondo
dovrebbe avere una dotazione di circa 3000 miliardi. D’altra parte, in Europa i sussidi erogati alle
famiglie in affitto sono dell’ordine di 6500 miliardi in Germania, 2000 miliardi in Olanda e di ben
22000 miliardi in Gran Bretagna. C’è da dire, però, al fine di non fare paragoni automatici, che in
questi paesi la percentuale delle famiglie in affitto è sensibilmente più alta che in Italia, e
comunque bisogna considerare sempre la distribuzione complessiva della spesa sociale, nel
senso che in Europa, tra le voci del Welfare, viene sussidiata di più la casa, mentre in Italia ne
vengono sussidiate più altre. Ovviamente, la cifra di 3000 miliardi all’anno per il fondo è puramente
indicativa. Lo stesso CNEL parla di una possibile oscillazione tra i 1500 e i 3000 miliardi, a
seconda di quale sia la soglia scelta. Una incidenza del canone del 12% su un reddito sotto i 20-25
milioni porta a circa 3000 miliardi. Ma se si calcola un’incidenza del 20% il fabbisogno scende a
circa 2000 miliardi. Si tratta, in ogni caso, di una cifra maggiore di quella prevista in finanziaria, e si
porrà presto, quindi, il problema di integrare i 600 miliardi con altre risorse che dovranno
stanziare le regioni in base a un calcolo del fabbisogno locale.
Bisogna, dunque, già in sede di concertazione nazionale e, poi, nelle trattative a livello locale
avanzare la richiesta di risorse aggiuntive a carico dei bilanci regionali, a copertura della soglia di
tutela che sarà decisa nella concertazione.
Questi interventi, per essere efficaci, devono andare di pari passo con una riforma complessiva
che superi l’identificazione tra edilizia sociale ed edilizia pubblica.
Con la fine della Gescal, l’edilizia sociale deve essere alimentata principalmente con investimenti
privati. Senza trascurare, però, un’opera di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.
Intanto, nell’ambito della ristrutturazione dell’ERP, con il decentramento regionale previsto dal
decreto legislativo 112/’98, occorre che si creino le condizioni sia per un’adeguata manutenzione
del settore pubblico sia per definire criteri nuovi e obiettivi per l’accesso e, anche, per il rilascio
degli alloggi, superando forme di ereditarietà del tutto improprie che, tra l’altro prescindono dal
cambiamento delle condizioni di reddito dei nuclei familiari intervenuti nel corso degli anni.
Decidere il graduale allineamento dei canoni degli alloggi pubblici ai valori del mercato delle
locazioni per le famiglie con reddito superiore ai 40 milioni che abitano nell’ERP potrebbe
rappresentare un fatto di trasparenza ed un fattore di ricambio perché, in molti casi, vi sarebbe la
convenienza a lasciare.
L’attuale offerta di edilizia sociale non è comunque sufficiente a soddisfare i bisogni nuovi
emergenti: immigrati, giovani coppie, anziani, lavoratori precari o in mobilità territoriale.
I comuni possono sollecitare l’iniziativa privata o cooperativa nel settore attraverso la promozione
di convenzioni che assicurino vantaggi fiscali e opportunità di investimenti in opere ad alta
redditività a breve termine in modo da compensare la redditività bassa e differita delle abitazioni in
affitto. Bisogna, dunque, che si creino le condizioni perché nella gestione di questo settore entrino
cooperative e società ed enti non profit.
www.cgil.it
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
______________________________________________________________________________
_
Le possibilità nuove, infine, sono legate alla finanziarizzazione del settore immobiliare tramite i
fondi pensione e i fondi immobiliari chiusi, ma anche con meccanismi di cartolarizzazione dei
mutui come previsto dal DDL del governo, a firma Ciampi e Visco, in avanzata fase di discussione
in parlamento e, auspichiamo, di prossima approvazione.
Attraverso questi strumenti, sui quali ritorneremo con gli approfondimenti necessari, sarà possibile,
almeno in parte, eliminare il gap che ci separa dal resto d’Europa nell’offerta di edilizia sociale.
www.cgil.it