tanto di cappello ai rugbisti

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tanto di cappello ai rugbisti
LA STORIA/In testa ai giganti
La tradizione del cap
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tanto di cappello
ai rugbisti
non è solo un copricapo con lo stemma della nazionale, ma un
simbolo dalla storia ultrasecolare che è diventato sinonimo
di PRESENZE nei test internazionali. ora ce l’hanno anche gli azzurri.
che prima di fare sul serio in campo, ci hanno scherzato un po’ su
92
caps
due senatori
Martin Castrogiovanni e, sopra, Mauro
Bergamasco (il cappellino spetta pure
a suo padre Arturo e al fratello Mirco).
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E
rano rugbisti, eppure in partita vestivano lunghi pantaloni di flanella e una
maglia con le maniche lunghe. Entrambi i capi erano rigorosamente bianchi,
per un total white che neanche a Wimbledon. E in testa, a completare l’uniform
kit, indossavano un cappellino di panno
per distinguersi dalle riserve, sistemate a bordo campo. Tutto questo accadeva poco meno di due secoli fa nella cittadina inglese di Rugby, diventata
culla dello sport ovale – potevano esserci dubbi? – dopo che proprio lì, nel 1823,
sul campo The Close della Rugby School
e mentre stava giocando una partita di
calcio, lo studente William Webb Ellis
inventò lo sport dell’ovale: prima raccolse il pallone da terra con le mani, poi
s’involò per realizzare la prima, storica
(simil) meta.
Di quella divisa da gentiluomini, nel
rugby di oggi, resta soltanto il cappellino, il cap, che ovviamente i giocatori non
devono più indossare in partita bensì
di Luca Castaldini
foto di Sabrina Conforti
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e il capitano
Il “sonno ovale” di Sergio Parisse,
diventato capitano degli azzurri
a partire dal Sei Nazioni 2008.
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la storia/La tradizione del cap
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tra il serio
e il faceto
Foto di gruppo in
due versioni. Da
sinistra, in piedi:
Parisse, Masi,
Castrogiovanni
e Mauro
Bergamasco.
Seduti: Rizzo,
McLean, Canale
e Ghiraldini.
Nei cerchi rossi
i rispettivi caps.
77
5
45
38
custodire gelosamente sulla mensola dei
loro cimeli. Il fatidico copricapo spetta
in sorte a chi debutta nelle nazionali più
importanti del pianeta (le britanniche,
l’Irlanda e le tre superpotenze australi).
La sera stessa dell’esordio, durante la
cena del terzo tempo, la matricola di turno riceve – quasi sempre dalle mani del
presidente federale – il cap di panno con
tanto di pendenti, pon pon, bordi dorati
e di colore diverso da Paese a Paese.
Quello destinato agli azzurri, realizzato
nel Pratese (a Poggio a Caiano), è di color
azzurro royal, riporta il simbolo della
Federazione e la scritta Italia. Su ciascun
pezzo, da noi come all’estero, viene ricamato il numero progressivo relativo al
debutto in nazionale: per esempio, in
Italia l’1 è stato assegnato a Enrico Allevi, seconda linea dell’Ambrosiana e primo in ordine alfabetico tra i titolari di
Spagna-Italia 9-0 del 20 maggio 1929,
partita d’esordio della Nazionale. In tutto, gli azzurri con almeno una presenza
sono 625, ma già oggi, nel match di Brescia contro Tonga (cui seguiranno quelli contro gli All Blacks a Roma il 17 e
l’Australia a Firenze il 24) il numero è
destinato ad aumentare.
I CAPS AZZURRI
Alla carica dei 101
(di Troncon)
Alessandro Troncon
101
Andrea Lo Cicero*
95
Marco Bortolami*
94
Mauro Bergamasco*
92
Martin Castrogiovanni*
88
Sergio Parisse*
88
Mirco Bergamasco*
87
Carlo Checchinato*
83
Salvatore Perugini*
83
Fabio Ongaro
81
* ancora in attività
“
Nel mondo anglosassone
se tantissimi ex diventano
importanti manager
il 50% lo “devono” al cap
marzio zanato, ex c.t. italia “a”
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Da decenni il termine stesso cap è diventato il sinonimo di presenze nei test internazionali, quindi – solo scorrendo i
recordmen azzurri – Troncon ha raggiunto i 101 caps, Lo Cicero 95, Bortolami 94... La storia riporta peraltro casi
di atleti che hanno raggiunto un numero di caps diverso rispetto a quelli delle
partite effettivamente disputate. La leggenda neozelandese Colin Meads, per
esempio, pur avendo giocato 133 gare
con i Tuttineri, ha solo 55 “cappellini”
(virtuali, un giocatore ne riceve solo
uno in carriera) e questo perché fino agli
Anni 80 non a tutte le gare veniva assegnato il rango di test ufficiale. Al francese Guy Pardies, invece, nel 1971, il
cappellino venne dato ugualmente pur
non avendo lui mai giocato durante il
tour dei Bleus in Sudafrica.
Da noi la tradizione del cap è stata introdotta dalla Fir solo quest’anno ed è sbarcata in Italia dopo un viaggio iniziato nel
2009 ben 18.400 chilometri a sud-est,
cioè da Christchurch, in Nuova Zelanda,
dove una delegazione federale, durante
il tour estivo, partecipò a una cerimonia
di consegna ad alcuni ex All Blacks. Sarà stata la sala completamente tappezza-
tivo è di consegnare tutti e 625 i cappelta di maglie e foto “ovali”, sarà perché
lini a chi ne ha titolo: sia ai rugbisti che
uno degli anziani premiati arrivò sotto
hanno smesso (forse nel corso di una feil palco in carrozzina o perché in Nuova
sta durante i weekend romani del Sei
Zelanda il rugby è una religione: sta di
Nazioni 2013), sia a chi purtroppo non
fatto che i nostri uscirono da quel tempio
c’è più, consegnandolo simbolicamente
laico pensando a quante gratificanti ed
ai rispettivi parenti. Come nel caso di
emozionanti cerimonie aveva rinunciato
Piero Dotto, portato via a 42 anni da un
il rugby italiano. «Fino all’anno scorso
infarto solo due settimane fa.
la nostra tradizione prevedeva la conseAttenzione, però: nel rugby, come nella
gna della cravatta a chi debuttava in
vita, le tradizioni per rimanere tali non
azzurro», ricorda Giancarlo Dondi, oggi
basta importarle. Il mondo anglosassone
presidente onorario della Federugby doè la patria dei cerimoniali (si pensi solo
po averla guidata dal 1996 al settembre
al cambio della Guardia a Buckingham
scorso. «Però, durante le cerimonia di
Palace o all’inchino ai Reali eseguito dai
consegna ai nostri avversari, notavo neltennisti sul Centre Court di Wimbledon),
lo sguardo dei miei giocatori un po’ d’innoi invece… «Noi invece non credo che
vidia, come se quell’emozione fosse per
sentiremo queste cerimonie di consegna
loro un qualcosa di irraggiungibile».
come succede a loro, ma è normale che
Non a caso, quando lo scorso giugno i
sia così», spiega Alessandro Moscardi,
convocati per il tour australe hanno ri44 caps di cui 19 da capitano tra il 2000
cevuto proprio da Dondi il copricapo,
e il 2002. «Se devo scegliere un ricordo
l’emozione è stata forte: «Io stesso mi solegato a questa tradizione, penso a un
no commosso e anche ai giocatori, Mauterzo tempo in Scozia dopo una partita
ro Bergamasco in primis, ho visto scencon l’Italia A. Quella sera
dere qualche lacrima di
toccò a una loro seconda
gioia. Da loro ho ricevuto
Visita la fotogallery
linea. Un armadio di rapiù “grazie” quel giorno
e il backstage
gazzo che, appena ricevuche non in 16 anni da predel servizio su:
www.gazzetta.it
to il suo agognato premio,
sidente…». Adesso l’obiet-
I TEST
Il 17 c’è la sfida
agli All Blacks
La sfida di oggi contro Tonga (si
gioca alle 15 al “Rigamonti” di
Brescia; diretta tv su La7) vale per
gli azzurri sia come apertura del
trittico dei test autunnali, sia come
“derby” per l’undicesimo posto del
ranking, oggi occupato dall’Italia
tallonata però dagli isolani. Le due
squadre si sono affrontate tre
volte. La prima risale al Mondiale
1999, quando la Nazionale perse
28-25 per un drop a tempo
scaduto. Poi due vittorie: 36-12 alla
Coppa del Mondo 2003 e 48-0 a
Prato, nel 2005. Sabato prossimo,
all’“Olimpico” di Roma, arriveranno
invece gli All Blacks (l’unica sfida
trasmessa anche da Sky), mentre
sabato 24 il XV di Jacques Brunel
sfiderà l’Australia a Firenze.
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la storia/La tradizione del cap
iniziò a piangere come un bambino. La
cosa mi colpì molto e mi fece riflettere sul
vissuto di quella tradizione. E sull’importanza che in quei Paesi riveste ricevere il cap».
In Gran Bretagna, così come in Australia, Sudafrica o Nuova Zelanda, sul curriculum degli ex rugbisti la voce “International caps” vale almeno quanto un
Master di prestigio. Non a caso, secondo
un adagio inglese, il modo migliore per
bloccare l’economia della City è chiudere
all’interno di Twickenham il pubblico
nel giorno del Varsity Match, la sfida tra
le squadre di rugby di Oxford e Cambridge. Molti, moltissimi sono infatti i
manager che, soprattutto ai tempi del
rugby non professionistico, arrivarono
a vestire le maglie più ambite del rugby
inglese sul petto e, contemporaneamente, si laurearono in una delle università
più prestigiose. E, una volta smesso di
placcare o schiacciare l’ovale in meta,
iniziarono una seconda, brillantissima
carriera. «Se giochi in nazionale entri a
far parte di un’élite», conferma Marzio
Zanato, ex c.t. dell’Italia A oggi manager
giramondo e, in quanto liaision officer di
Springboks, Wallabies e All Blacks durante le loro trasferte in Italia, uno dei
più profondi conoscitori dei principali
Paesi rugbistici. «Quel cappellino, in
pratica, vale il 50 per cento delle fortune extrasportive di chi ne è entrato in
possesso. Per le aziende vuol dire garanzia di affidabilità, capacità di leadership e profonda comprensione del concetto di squadra. Da noi in Italia, invece,
arriva castro
Castro spaccatutto
per “rubare” il cap a
Canale. Il cappellino
degli azzurri è in
panno, color azzurro
royal ed è stato
realizzato a Poggio
a Caiano (Po).
I CAPS ASSOLUTI
Sta per cadere
il regno di Gregan
George Gregan (Aus)
139
Brian O’Driscoll* (Irl/Lions) 126
Ronan O’Gara* (Irl/Lions)
126
Jason Leonard (ing/Lions)
119
Fabien Pelous (Fra)
118
Richie McCaw* (N.zel)
113
Philippe Sella (Fra)
111
John Smit (Saf)
111
Stephen Jones* (gal+Lions)
110
Nathan Sharpe* (Aus)
109
* ancora in attività
Per britannici e irlandesi valgono anche
le gare giocate con la selezione dei Lions.
ho provato sulla mia pelle che inserire
nei propri titoli quello di ex commissario tecnico del rugby è quasi solo deleterio. “Ma come?”, mi sono sentito rispondere, “nel calcio chi allena non ha
bisogno di lavorare…”».
Quanto ai cerimoniali, le differenze da
una nazione all’altra rispecchiano spesso le caratteristiche dei rispettivi popoli.
«Gli inglesi sono più sobri, i gallesi e i
neozelandesi più autentici e gli australiani più easy. Che non vuol dire faciloni
ma meno cerimoniosi, anche se a Padova, quattro anni fa, dopo la partita contro
l’Italia, poiché il loro presidente federale
era indisponibile, a premiare con il cap
il debuttante Quade Cooper mandarono
nientemeno che un pluridecorato generale come Sir Peter Cosgrove, ex rugbista
ed ex capo delle forze Onu durante la
crisi di Timor Est del 1999».
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