Copioni organizzativi: riflessioni ed esempi ifl i i Copioni o i d i

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Copioni organizzativi:
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di Marina Farin
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I copioni organi
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organizzazione come a un organismo
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zazione stessa.
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il consulente accede attraverso un lavoro complesso rispetto a ciò
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Se è vero che le organizzazioni sono assimilabili a organismi viventi e se ne può dunque ipotizzare l’aspetto culturale sotto la
forma di struttura di personalità, è altrettanto vero che esse, proprio come le persone, hanno un copione , che viene loro trasmesso dai fondatori e “perpetuato” dai leader successivi attraverso
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hanno a che fare con il “come” delle organizzazioni, cioè con le
loro dinamiche di processo.
Prendendo in esame le ideologie del lavoro, delle persone, del
tempo e del denaro Rosa Krausz si addentra all’interno dei copioni organizzativi, offrendoci una griglia di lettura approfondita delle loro posizioni esistenziali.
1 Euhemero era un filosofo cirenaico il quale sosteneva che tutti gli dei fossero
uomini deificati. Berne, in
“Struttura e dinamiche dei
gruppi e delle organizzazioni” usa il suo nome per
indicare quei leader, ormai
defunti, che hanno lasciato
un’impronta significativa o
comunque ispirato un’organizzazione o un gruppo. Ad
esempio, furono euhemeri
per lo stesso Berne, medico
e psichiatra, sia Ippocrate
che Freud. Lo stesso Berne
è diventato un ehuemero
per la Comunità Analitico
Transazionale.
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DSSDUH HYLGHQWH FRPH OH RUJDQL]]D]LRQL GHÀQLWH ´YLQFHQWLµ DEbiano costruito una cultura del lavoro con una forte connotazione
etica, basata sul rispetto dell’altro, sia cliente interno che esterno,
sulla qualità della produzione e sulla professionalità.
Grande è quindi l’investimento sul benessere e sulla formazione
dei collaboratori e buona parte del denaro è investita altresì nel
rinnovamento delle attrezzature e della tecnologia.
Le pratiche commerciali sono anch’esse gestite eticamente.
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riescono a garantire che il lavoro sia portato avanti senza eccessivo stress. Le persone sono motivate, collaborative e creative ed
è molto facile che si sentano appartenere e costruiscano legami
sicuri.
La leadership è partecipativa e orientata alla delega e allo sviluppo dei collaboratori.
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Potremmo dire che in queste organizzazioni si realizzi ampiamente l’approccio intersoggettivo dell’Analisi Transazionale, inteso come doppio okness: io sono ok-tu sei ok.
Tale presupposto etico implica che per l’organizzazione sia ok
includere la persona con la sua unicità, fatta di comportamenti,
pensieri, sentimenti e valori propri e contemporaneamente che
per l’individuo sia ok esserci, con la sua diversità e le sue potenzialità.
In questo orientamento bidirezionale rimane viva la motivazione
GHOO·LQGLYLGXRDGHÀQLUHPDQWHQHUHSRWHQ]LDUHLOSURSULRVHQVR
di sé e insieme la necessità di “incontrare lo sguardo degli altri
per formarsi come individui e mantenersi tali” (Stern. D., 2005).
Si tratta di un movimento di reciprocità rispettosa, per cui è importante dare spazio a ciò che ognuno pensa, dice e agisce, nella
consapevolezza che in un mondo “liquido”, come quello in cui
ci troviamo a vivere oggi, non esistono certezze cui attenersi, ma
soltanto pensieri, valori e agiti in connessione.
Usando il linguaggio analitico transazionale possiamo affermare
che il copione di queste organizzazioni sia capace di accogliere la
GLYHUVLWjGHLFRSLRQLLQGLYLGXDOLHGLLQWHJUDUOLQHOODORURVSHFLÀcità, cogliendo la potenzialità di ognuno.
Nel mio ruolo di consulente aziendale lavorare in queste organizzazioni è particolarmente piacevole e stimolante, soprattutto perFKpPLDSSDUHFRQHVWUHPDHYLGHQ]DLOVLJQLÀFDWRHWLFRGHLPLHL
interventi, in perfetto allineamento con l’“ideologia” dell’organizzazione.
La consulenza non sostitutiva, ad esempio, così come la diagnosi
condivisa delle dinamiche aziendali, costituiscono due modalità
di lavoro assolutamente congruenti con il modello di funzionamento dell’organizzazione ++.
La bilateralità del rapporto consulente-azienda permette infatti
la co-costruzione di esperienze e soluzioni condivise, nel rispetto
delle competenze di ognuno e nella convinzione che “insieme” si
possano individuare e valorizzare le potenzialità presenti in vista
del raggiungimento degli obiettivi.
Un esempio
Tempo fa fui chiamata da un’azienda che aveva appena effettuato un’acquisizione, per progettare un percorso di integrazione
all’interno del board.
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per me innanzitutto costruire l’esperienza insieme alla committenza, a partire dalla diagnosi organizzativa.
2 Berne (1972) definisce
il copione “un piano di vita,
che si basa su una decisione
presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi,
e che culmina in una scelta
decisiva”.
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Attraverso interviste strutturate ai membri del board (costruite
sulla griglia delle ideologie dei copioni organizzativi) e focus
group con la prima linea, è stato possibile individuare i copioni
delle due organizzazioni, che apparvero subito profondamente
differenti.
La prima, l’azienda acquisitrice, era assimilabile a un’organizzazione vincente (++), con una grande componente valoriale e una
prassi altrettanto etica.
Grande spazio era lasciato all’autonomia personale, il che non
escludeva una buona capacità di lavorare in gruppo creando
partnership collaborative.
La seconda si riconosceva attraverso molti aspetti dell’organizzazione non perdente (+-), soprattutto per il forte orientamento
al compito, a discapito della relazione e per una leadership fortemente accentratrice e centralizzata al vertice.
In termini di Stati dell’Io, cioè di cultura organizzativa, si può
dire che in entrambe le organizzazioni un A ben energizzato garantiva buona professionalità e competenza tecnica. Ma mentre
nella prima organizzazione la cultura profonda presentava una
buona integrazione tra la parte normativa e valoriale (GN) e gli
aspetti di accoglienza ed ascolto del GA, nella seconda prevaleva
un GN controllante e giudicante. Il clima (B) risultava piacevole,
intimo e anche un po’ ludico nella prima, greve e competitivo
nella seconda.
Il momento della condivisione della diagnosi con il board fu parWLFRODUPHQWHVLJQLÀFDWLYR
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da raggiungere.
La collaborazione diagnostica è dunque il momento fondante
GHOODFRQVXOHQ]DJHQHUDWLYD6KHLQ(+HFRPHWDOHVLSURpone da un lato di aiutare il cliente ad approfondire la conoscenza della situazione, dall’altro vuol essere modellamento rispetto
alle variabili di una leadership partecipata.
In questo esempio, l’aver costruito insieme, attraverso le interviste e i focus group, l’immagine delle due culture in maniera totalmente neutrale, senza giudizio alcuno, ha fatto sì che la diagnosi
fosse condivisa davvero e fosse possibile, anche se con qualche
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dell’integrazione.
Anche in quest’occasione, apparve chiaramente la diversità dei
copioni organizzativi.
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I membri del board appartenenti all’azienda acquisitrice mostrarono immediatamente grande motivazione e proattività nell’azione, ma anche una buona parte di illusione da parte del B che
l’integrazione potesse attuarsi presto e bene.
Anche le organizzazioni vincenti non sono perfette!
Dall’altra parte, oltre l’inevitabile momento depressivo dovuto
alla perdita, si evidenziarono subito molti pregiudizi, sia nei confronti delle prassi manageriali dell’azienda acquisitrice, sia nelle
possibilità che l’integrazione potesse avvenire con successo.
Il copione vincente della prima organizzazione lasciava intendere buona volontà a collaborare, ma anche le spinte “sii forte” e
“sforzati”, che in questo momento portavano i membri a svalutare alcuni aspetti della situazione, come per esempio la necessità
di un tempo necessario per l’elaborazione del lutto da parte di
entrambe le organizzazioni.
Il modello di funzionamento della seconda organizzazione era
fondato su uno stile di management molto accentratore e sulla
consapevolezza che quel modello avesse comunque portato a
raggiungere buoni risultati.
Perché solo pensare di cambiarlo?
La credenza di essere nel giusto, espressa nel motto “mai fermarsi, i risultati ci attendono” evidenziava la presenza della spinta
“sbrigati”, che nella storia dell’organizzazione aveva dato effettivamente vita a pattern ricorrenti di iperattivismo, ma anche di
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“Siamo i migliori, il nostro è lo stile giusto!”, portava invece alla
luce la spinta “sii perfetto”, che si esprimeva in atteggiamenti
genitoriali di intolleranza agli errori, ipercriticità e a privilegiare
O·HIÀFLHQ]DSLXWWRVWRFKHO·HIÀFDFLD
Ancora una volta la lettura condivisa della struttura organizzativa e delle sue aree di contaminazione mi ha consentito da un
lato di non colludere con i copioni aziendali, dall’altro di attuare
interventi di decontaminazione per attivare il pensiero adulto dei
membri di entrambe le aziende.
Senza addentrarmi nell’ambito dell’esperienza, mi piace sottolineare che il percorso formativo ha messo in luce l’importanza
della differenza come risorsa e ciò è stato possibile proprio grazie
al processo di co-costruzione dell’esperienza stessa.
Nel “momento presente” della consulenza è stato per me importante attivare proprio quelle differenze, per poi connetterle in un
insieme armonico.
Connettere e non integrare per forza: in nome di un pensiero sistemico che includa, un pensiero “noicentrico”.
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Copione organizzativo e copione professionale
3 Per attribuzioni intendiamo quei messaggi genitoriali
che dicono al bambino chi
deve essere. Nella cultura
organizzativa le attribuzioni
hanno a che fare con l’etichetta e spiegano come
si deve essere e agire in
quell’organizzazione.
Spesso, soprattutto lavorando in situazioni di Coaching indiviGXDOHRGLJUXSSRPLVRQRWURYDWDGLIURQWHDGXQDGLIÀFROWjGL
allineamento tra i bisogni dell’individuo e quelli dell’organizzazione che portavano la persona ad una situazione di profonda
sofferenza e di grande demotivazione.
Approfondendo nel percorso di coaching queste tematiche, mi
sono spesso trovata a interrogarmi su quanto e in che modo quei
copioni organizzativi “corrispondessero” ai copioni professionali di quelle persone.
Facciamo un passo indietro.
Le persone si sono costruite “là e allora” la propria identità copionale “che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata
GDLJHQLWRULJLXVWLÀFDWDGDJOLDYYHQLPHQWLVXFFHVVLYLHFKHFXOPLQDLQ
una scelta decisiva”%HUQH(
Le decisioni di copione sono perciò “antiche”, hanno origine da
PHVVDJJLYHUEDOLHQRQYHUEDOLSURYHQLHQWLGDOOHQRVWUHÀJXUHGL
riferimento e sono il risultato di un processo di adattamento che
media tra i nostri bisogni e le richieste dell’ambiente.
Sappiamo anche che alla base delle decisioni copionali c’è il nostro bisogno di riconoscimento e che quando non ci sentiamo ok,
ma desideriamo riconoscimento e stima, mettiamo in atto quei
comportamenti, adattati alle pretese del mondo esterno, che coprono sentimenti copionali di non okness e che ci fanno sentir
bene, adeguati, di successo: mettiamo in atto il nostro controcopione, all’interno del quale si delinea la nostra identità sociale e
professionale.
Sii perfetto, sii forte, sforzati, compiaci, sbrigati, ma anche proverbi familiari e modellamento sono all’origine della decisione di
come si deve essere e cosa occorre fare per avere successo.
Accade spesso che le persone confermino le loro scelte copionali
andando a cercare proprio quelle organizzazioni con le quali si
sentono fortemente allineate.
Rosa Krausz fa una disanima attenta delle principali attribuzioni
presenti nelle diverse organizzazioni.
Se un’organizzazione ad esempio attribuisce alle persone il ruolo
dell’EroeVDUDQQRORURDIÀGDWLUHVSRQVDELOLWjFRPSLWLULVFKLRVLH
un orario di lavoro duro.
Un’organizzazione non perdente potrebbe prediligere invece per
i suoi collaboratori il ruolo del Viaggiatore, trasferendoli frequentemente da un posto all’altro; l’organizzazione dei Duri chiederà
ai suoi di non esprimere emozioni, mentre un’organizzazione -+
SRWUHEEHDIÀGDUHDLVXRLi conformisti - lavori mediocri, routinari,
monotoni, senza possibilità di carriera … ed altri esempi ancora.
Quando il copione dell’organizzazione risponde ai bisogni del
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copione individuale, la persona si sente allineata con il contesto
lavorativo.
Un esempio per tutti è il caso di Alex, un manager con una brillante carriera professionale, il cui copione lavorativo era fortemente connotato dalle spinte sii forte e sforzati.
/H D]LHQGH SHU OH TXDOL DYHYD ODYRUDWR ÀQR DOORUD FRQ VXFFHVVR
erano caratterizzate da un copione non perdente, la cui cultura
SURIRQGDVLLGHQWLÀFDYDFRQOHLQJLXQ]LRQLnon esistere, non appartenere, non sentire.
Ad Alex era stato facilissimo accettare di volta in volta le attribuzioni dell’Eroe, del Duro e del Solitario: corrispondevano perfettamente alla soddisfazione dei suoi bisogni di controcopione.
0D«OHGLIÀFROWjLQFRPLQFLDURQRFRQODFULVLTXDQGRO·D]LHQGD
in cui lavorava fu costretta a ricorrere ad una riorganizzazione ed
Alex subì un ridimensionamento all’interno dell’organico.
Privato delle sue sicurezze, legate al sentirsi forte e alla cultura dell’impegno, il suo sentirsi ok, condizionato dalle spinte sii
forte e sforzati, si era trasformato rapidamente in un sentimento
di inadeguatezza, di vuoto, di impotenza e di grande rabbia nei
confronti della sua azienda.
Nel corso dei nostri incontri di coaching, Alex entrò in contatto
con i suoi bisogni più profondi, con la sua rabbia, ma anche con
la paura e la tristezza della perdita.
Scoprì che in fondo le strategie organizzative della sua azienda
non soddisfacevano affatto i suoi bisogni profondi e ciò lo portò
ad interrogarsi sulla sua identità lavorativa.
Questo è un momento molto delicato della pratica professionale
del coaching, in quanto non è sempre possibile per l’individuo
allineare il suo copione professionale con quello dell’organizzazione di cui fa parte. Sono questi i passaggi in cui mi sorregge
l’approccio etico della mia formazione analitico transazionale,
nella convinzione profonda di agire innanzitutto per il benessere
della persona. Aiutando il cliente a trovare dentro e fuori di sé le
informazioni necessarie per decidere in maniera autonoma percorsi di vita professionale più soddisfacenti, sento di contribuire
al suo potenziamento e alla sua centratura consapevole di individuo. In questa prospettiva etica ed ecologica di valorizzazione
individuale, riconosco la possibilità del “noi”.
Marina Farina
Consulente Mida
([email protected])