Le differenze di sviluppo nel mondo globalizzato - Blog-ER

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Le differenze di sviluppo nel mondo
globalizzato
1. GLOBALIZZAZIONE E POVERTÀ
Gli indicatori della povertà e della ricchezza
Questi ultimi anni sono stati caratterizzati da un processo di crescita economica a livello mondiale. Centinaia di milioni di persone, tuttavia, soffrono la fame o
sono malnutriti, non possono accedere ai farmaci e
combattere malattie infettive mortali, sono vittime del
degrado ambientale che colpisce il loro paesi (come la
desertificazione e l’inquinamento delle acque). Nei
paesi in via di sviluppo, un bambino su dodici non supera i cinque anni di vita, uno su tre non completa l’istruzione primaria. Su dieci persone che hanno contratto il virus dell’AIDS nel 2004, nove vivono in questi paesi. La povertà colpisce in modo particolare le
donne: il 70% dei poveri del mondo sono donne. Povertà non è dunque solo mancanza di reddito, ma anche di nutrizione e di salute, di istruzione e di partecipazione alla vita sociale.
Secondo la Banca mondiale, si definisce povero
chi vive con meno di due dollari al giorno ed
estremamente povero chi deve cavarsela con meno di un dollaro. […] Circa il 40 per cento dei
6,5 miliardi di persone che popolano il mondo
vive in povertà, mentre un sesto – vale a dire 877
milioni – vive in estrema povertà. La situazione
più grave si registra in Africa, dove la percentuale
di popolazione che vive in estrema povertà è aumentata dal 41,6 % del 1981 al 46,9 % del 2001.
Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione che funziona,
Einaudi, Torino, 2006, pag. 10
Un primo parametro per valutare la ricchezza di un
paese è il Pil pro capite, ottenuto dividendo il Pil,
cioè il valore di beni e servizi prodotti in un anno da
quel paese, per il numero dei suoi abitanti. Tuttavia
questo parametro non è in grado, preso isolatamente,
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di rappresentare tutte quelle caratteristiche che costituiscono la ricchezza di una certa popolazione.
Molti aspetti del benessere di una popolazione, come
il livello di istruzione, lo stato di salute e la previdenza, sono sicuramente collegati al reddito: una società
con reddito più alto è in grado di investire nella scuola e nell’università, in ospedali e in tecnologie mediche, nel sistema pensionistico e via dicendo, cioè in
tutti quelli che vengono considerati indicatori di ricchezza. Però non tutti i paesi ricchi lo fanno, o non lo
fanno allo stesso modo: per esempio, molti beni e servizi possono essere forniti dallo stato, attraverso le imposte, ma anche mediante il mercato, pagando il prezzo della prestazione.
Per questo motivo è utile considerare indicatori della
ricchezza che tengano conto anche di aspetti diversi
dal semplice reddito pro capite.
Il Rapporto sullo sviluppo umano del 2005
Uno degli indici che sono stati creati per misurare la
ricchezza di un paese è l’Indice di sviluppo umano
(Isu, o, nell’acronimo inglese, HDI, Human Development Index). Esso utilizza tre dimensioni:
1. l’aspettativa di vita alla nascita;
2. il livello medio di istruzione, misurato sulle capacità
di base (leggere e scrivere) e sulla scolarità nei suoi vari gradi (istruzione primaria, secondaria, universitaria);
3. lo standard di vita misurato dal Pil pro capite.
L’Isu viene utilizzato dal 1993 dal Programma di Sviluppo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per il
suo annuale Rapporto sullo sviluppo umano. Il Rapporto del 2005 mostra che in quasi tutti i paesi del
mondo l’Isu sta aumentando, con due importanti eccezioni: gli stati ex sovietici e quelli dell’Africa subsahariana (eccetto la Repubblica sudafricana). Nel caso della Russia, dall’inizio della transizione dal comunismo all’economia di mercato, il reddito pro capite è
sceso del 15%, per poi rimettersi in moto negli ultimi
cinque anni. Nel caso dell’Africa subsahariana la principale emergenza è l’AIDS e la mortalità che provoca:
nel 2004 si contavano 25 milioni di africani affetti dall’AIDS (oltre il 60% del totale mondiale) e oltre due
milioni di morti per la malattia.
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Paesi ricchi e paesi poveri
Trenta dei trentadue paesi che rientrano nella categoria Isu inferiore a 0,5 (che rappresenta un basso sviluppo) appartengono all’Africa, gli altri due sono Haiti e lo Yemen. Tra i paesi che invece hanno un valore
Isu pari o superiore allo 0,8 (elevato livello di sviluppo) vi sono quelli dell’Europa occidentale, del Nord
America, del Sud America, le “tigri asiatiche”
(Taiwan, Sud Corea, Hong Kong e Singapore), il
Giappone, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Kuwait e
gli Emirati Arabi.
Paragoniamo le classifiche ottenute sulla base del Pil
pro capite e in base all’Isu. Nel primo caso, i primi
dieci posti sono occupati da Lussemburgo, Norvegia,
Islanda, Svizzera, Irlanda, Danimarca, Qatar, Usa,
Svezia e Olanda; l’Italia è al 20° posto. In base all’Isu,
invece, la classifica è la seguente: Norvegia, Islanda,
Australia, Lussemburgo, Canada, Svezia, Svizzera, Irlanda, Belgio e Usa; l’Italia occupa il 18° posto.
Agli ultimi dieci posti per Pil pro capite vi sono Ruanda, Sierra Leone, Myanmar (Birmania), Eritrea, Guinea-Bissau, Liberia, Malawi, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Burundi. Solo il Myanmar non
appartiene all’Africa subsahariana, la quale occupa
per intero i gradini più bassi della scala se consideriamo l’Isu: Mozambico, Burundi, Etiopia, Repubblica
Centro-Africana, Buinea-Bissau, Ciad, Mali, Burkina
Faso, Sierra Leone, Niger.
Povertà e ricchezza, risorse e democrazia
Se consideriamo i paesi sviluppati, vediamo che le
due classifiche presentano somiglianze, ma anche interessanti differenze. I paesi europei occidentali occupano i primi posti di entrambe le classifiche. Questo
significa che si tratta di società ricche le quali, inoltre,
attuano un certo livello di redistribuzione della ricchezza, permettendo alla maggior parte dei cittadini
di beneficiare della ricchezza complessiva in termini
di qualità della vita. Gli Usa occupano una posizione
inferiore per Isu rispetto a quella per Pil pro capite:
negli Usa c’è infatti una forte disuguaglianza dei redditi e molti servizi sono privati e a pagamento, per cui
ampi segmenti della popolazione non hanno, o hanno
un accesso limitato a sanità, previdenza, istruzione suEdizioni Scolastiche Bruno Mondadori
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periore. Nel vicino Canada la situazione è diversa, più
simile a quella dei paesi europei.
Il Qatar ha invece un altissimo livello di Pil pro capite, perché è un paese esportatore di petrolio, e un basso livello Isu. Qui, dunque, l’enorme ricchezza a disposizione del paese non si trasferisce ai suoi abitanti
e non si traduce in benessere per tutti. Il Quatar e altri paesi dotati di ricchissime risorse naturali costituiscono casi emblematici, perché la presenza di quelle
risorse concentra la ricchezza nelle mani di pochi e
contribuisce a ostacolare sviluppi sociali e politici.
Finché [paesi come il Venezuela, la Nigeria, l’Arabia Saudita, l’Iran e altri] potranno arricchirsi
sfruttando le proprie risorse naturali, anziché il
talento e l’energia del popolo, i sovrani e i dittatori di questi stati petroliferi riusciranno a mantenere il potere senza essere costretti a introdurre
una vera trasparenza e una giusta condivisione
delle responsabilità. Tutto ciò che devono fare è
impadronirsi del rubinetto del petrolio e monopolizzarlo. Non hanno bisogno di tassare il proprio popolo, perciò il rapporto tra governanti e
governati risulta completamente distorto. [...] È
per questo che gli stati che dispongono di un rubinetto del petrolio hanno sempre istituzioni deboli o praticamente inesistenti. I paesi impegnati
a sfruttare le risorse del proprio popolo, invece,
devono concentrarsi sullo sviluppo di autentiche
istituzioni, dei diritti di proprietà, dello stato di
diritto, del sistema di istruzione, del commercio
estero, degli investimenti stranieri, della libertà di
pensiero e della ricerca scientifica, proprio per
riuscire a ottenere il meglio dai cittadini.
Thomas L. Friedman, Il mondo è piatto,
Mondadori, Milano, 2006, pag. 568
2. IL DIVARIO DELLE CONOSCENZE
Istruzione e sviluppo, due termini collegati
Ciò che distingue i paesi sviluppati da quelli meno sviluppati non è soltanto il divario in termini di risorse,
ma anche di conoscenze. Lo scarto di conoscenza
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(knowledge gap) è sempre più un fattore fondamentale per lo sviluppo: l’apertura di un’economia di scambi con l’estero favorisce la crescita, ma questo accade
per i paesi dotati di un certo livello di risorse umane
adeguatamente formate e di conoscenze tecnologiche.
Per questo motivo gli investimenti nell’istruzione e
nella formazione sono così importanti: per offrire a
tutti la possibilità di imparare, di acquisire le competenze necessarie a lavorare e a vivere in un mondo del
lavoro, in una economia e in un contesto sociale in
continuo mutamento, un mondo e un contesto in cui
la formazione e l’apprendimento devono durare per
tutta la vita di un individuo.
Il mondo delle comunicazioni e degli interscambi
moderni richiede un’istruzione e un addestramento di base; e mentre alcuni paesi poveri hanno fatto grandi progressi in questo campo (l’Asia
orientale e sudorientale ci fornisce degli ottimi
esempi), altri (penso all’Asia meridionale e all’Africa) tendono a restare indietro. L’equità non solo delle opportunità economiche, ma anche di
quelle culturali può avere un’importanza profondissima in un pianeta globalizzato; e questa è una
sfida tanto per il mondo economico quanto per
quello culturale.
Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, Mondadori,
Milano, 2000, pag. 242
Oggi 130 milioni di bambini e di bambine non frequentano alcun tipo di scuola primaria, nemmeno per
un breve periodo o saltuariamente. I paesi in via di
sviluppo non sono in grado di sostenere i costi dell’istruzione e dell’educazione, ma proprio l’istruzione e
l’educazione costituiscono i primi strumenti per uscire dalla povertà.
Circa due terzi della popolazione analfabeta mondiale
è composta da donne e in molti paesi il numero delle
bambine che vanno a scuola è molto inferiore rispetto
al numero dei maschi: è una delle perduranti discriminazioni nei confronti del genere femminile. L’analfabetismo, la scarsa emancipazione delle donne e la
mancata istruzione delle bambine sono fra le princiEdizioni Scolastiche Bruno Mondadori
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pali cause del sottosviluppo di intere aree del mondo.
Garantire l’istruzione alle donne è dunque una condizione necessaria non soltanto in termini di diritti umani, ma anche per uscire dalla condizione di povertà e
per promuovere concretamente lo sviluppo.
L’“arretratezza digitale”
Naturalmente, oltre al livello di istruzione, è poi l’accesso alle nuove tecnologie della “società dell’informazione” e della comunicazione a costituire un prerequisito e una condizione necessaria per lo sviluppo
economico e sociale. Alcuni anni fa, negli Stati Uniti,
venne coniata l’espressione digital divide, ovvero “divario digitale”, per indicare la disomogenea fruizione
dei servizi telematici fra i cittadini. L’espressione è poi
entrata nell’uso comune, per descrivere le disparità di
accesso alle nuove tecnologie sia all’interno dei singoli
paesi, sia tra paesi ricchi e paesi poveri, tra Nord e
Sud del mondo. Nei paesi avanzati dell’Occidente si
trovano svantaggiate nell’accesso alle nuove tecnologie alcune fasce sociali, in linea di massima quelle economicamente più deboli e/o meno istruite. Nel continente asiatico si possono identificare casi più differenziati: alcuni paesi (quelli a maggiore industrializzazione) hanno vissuto negli ultimi anni un rapido accesso
alle tecnologie dell’informazione, altri rimangono ancora molto indietro. In America latina le nuove tecnologie sono mediamente ancora poco diffuse, ma la situazione disastrosa è, anche in questo caso, quella dell’Africa, che ha accumulato un ritardo enorme. La popolazione africana rappresenta il 12% di quella mondiale, ma soltanto l’1% degli abitanti utilizza le nuove
tecnologie informatiche.
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dei miei problemi. Queste considerazioni, però, non
devono far dimenticare che l’esclusione dall’accesso
alle nuove tecnologie aggrava l’emarginazione di un
paese, ne riduce ulteriormente le possibilità di sviluppo. Perciò il divario digitale tra Nord e Sud del mondo resta, a fianco degli altri che devono essere affrontati, un problema molto importante.
Nel 2000 le Nazioni Unite si sono mobilitate lanciando un programma di “inclusione digitale”, per ampliare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a tutta l’umanità, almeno in prospettiva. Un gruppo di esperti incaricato dell’Onu ha
formulato un “piano di azione globale”, che prevede
il coinvolgimento di organismi internazionali, delle
autorità nazionali e di organizzazioni non governative,
di università e di privati, con due scopi prioritari: realizzare una Rete sanitaria per i paesi in via di sviluppo, istituire il Servizio delle Nazioni Unite per la tecnologia e l’informazione (in sigla: UNITeS). La Rete
sanitaria, affidata al coordinamento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si è posta l’obiettivo di creare in pochi anni diecimila siti on line a disposizione delle strutture sanitarie di questi paesi, per
favorire l’accesso a informazioni mediche aggiornate e
per sviluppare programmi sanitari specifici. L’UNITeS ha istituito un corpo di esperti volontari, che nei
paesi in via di sviluppo formano persone all’uso della
tecnologia dell’informazione e addestrano gruppi di
formatori locali.
a cura di Angelica Guidi
L’impegno dell’Onu
La scarsa diffusione delle tecnologie informatiche in
alcune regioni del mondo dipende da vari fattori di
natura tecnica, dalla carenza delle infrastrutture agli
alti costi di utilizzo delle linee telefoniche. Spesso – lo
abbiamo ricordato – mancano condizioni ben più elementari, minime, specie a livello dei singoli individui:
se sono analfabeta, o se la mia preoccupazione è di
procurarmi giorno per giorno l’indispensabile per sopravvivere, saper utilizzare il computer sarà l’ultimo
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