Scarica - Comune di Paese

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Scarica - Comune di Paese
Mariano Berti
P a e s e Im p re s a
M e s tie r i e a z ie n d e d i ie r i e d i o g g i
A mio padre
lavoratore dipendente.
In ricordo di tutte le persone
che hanno contribuito
allo sviluppo di Paese.
EDITO DA
COMUNE DI PAESE (TREVISO)
ASSESSORATO ATTIVITÀ PRODUTTIVE
APRILE 2008
© Diritti riservati all’autore
Saluto del Sindaco
Prefazione di ……………………………………
Prologo
La caduta dell’Impero Romano aveva generato in Europa la Società Organica. Un
tipo di umanità immobile, normalmente statica, divisa in tre classi principali dalle
quali non si poteva prescindere. I tre ordini che la caratterizzavano erano formati
da Orantes, Bellatores, Laboratores. Era questo l’ordine precostituito al quale fino
al tardo Medioevo nessuno poteva sottrarsi.
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Al primo appartenevano i chiercuti, ossia gli esponenti ecclesiastici che avevano il
maggior peso e credito, erano dei carismatici sotto l’ala della Chiesa. Al secondo
appartenevano i guerrieri i quali, essendo portatori delle armi difensori del
popolo, costituivano la classe dirigente con diritto di parola; in tardo Medioevo
venivano considerati le “bocche utili”. Tutti gli altri erano inglobati nei
laboratores, ossia erano i lavoratori, ma meglio sarebbe chiamarli servi degli altri
due, essendo adibiti ai più umili servizi. Chi nasceva in questa condizione non
aveva speranza di avanzare nella scala sociale. Certo questo “status” non era
sentito come condizione umiliante giacché era concepito come scontato e
inalterabile, a parte i pochi fortunati che venivano accolti tra gli Orantes, ma sia
pure con una certa difficoltà.
Era una società che si riferiva al modello di mondo fisico di allora, tolemaico e
aristotelico che concepiva la terra immobile al centro dell’universo, contornata da
tanti pianeti che le giravano intorno.
Tutto ciò per far capire quanto sia difficile il cambiamento in una società che ha
la sua mentalità consolidata da secoli. Il mutamento avviene sempre molto
lentamente con il modificarsi delle percezioni, ossia quando comincia ad
infiltrarsi l’idea che ciò che si ha acquisito possa essere modificato.
Il tramonto della società organica coincise infatti con il cambiamento della visione
geocentrica del mondo. Determinante fu la rivoluzione copernicana con la
scoperta del movimento della terra e dei pianeti. Cambiava la prospettiva
dell’universo e Galileo svelò il metodo per affermare questa verità, provando e
riprovando, giacché non succede mai nulla improvvisamente nel mondo umano
dato che per comprendere le cose occorre affrontarle, analizzarle, confrontarle.
Accade così anche ai giorni nostri in cui assistiamo ad una rivoluzione negli
assetti economici e politici, generata dalla globalizzazione e dal prepotente
irrompere sulla scena mondiale di Cindia.
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Avevo accolto con un po’ di scetticismo la proposta di dedicarmi ad un libro sul
mondo imprenditoriale di Paese, poi ho capito che potevo attribuirgli un
significato che va al di là del semplice aspetto economico, trattandosi in
maggioranza di aziende a conduzione familiare.
Ho scoperto così un mondo di “laboratores” che non guarda soltanto all’aspetto
utilitaristico, ma che ha anche un cuore e un impegno sociale, ed ora mi sento
fortunato di averlo potuto esplorare. Un cosmo fatto di imprenditoria familiare, di
sacrifici e speranze, che si tramanda di generazione in generazione, per impegno,
per orgoglio, per il gusto di mettersi in gioco. Ho scoperto la voglia di emergere e
crescere, ma anche la sofferenza dei momenti difficili, congiunturali. Ho
conosciuto gente di grande temperie, forgiata alla scuola della vita da prove
incredibili, tale da non riuscire a staccarsi dalla propria creatura per concedersi
un po’ di pace. C’è chi, in forma distorsiva, ha fatto del lavoro la propria ragione
di vita: sua gioia e condanna.
Le aziende - e a Paese ce ne sono molte che possono essere annoverate tra
l’eccellenza nel proprio settore - si trovano a destreggiarsi loro malgrado tra
montagne di pratiche burocratiche e leggi che non sempre ne agevolano il
percorso, che rischiano talvolta di comprometterne la sopravvivenza, ma devono
anche difendersi dalla concorrenza sleale, troppo a lungo tollerata da un sistema
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eccessivamente permissivo e garantista con i fuorilegge e troppo esigente con chi
invece contribuisce alla crescita nazionale. Molti di questi aspetti meriterebbero
una più approfondita riflessione.
Nonostante gli impetuosi venti contrari, molti imprenditori locali, soprattutto
artigiani, hanno saputo affrontare le tempeste e vincerle in casa, senza bisogno di
delocalizzare. Per molti di loro, ad esempio, la Cina e l’India non solo non fanno
più paura, ma sono diventate uno stimolo per mettere in atto fantasia, ricerca e
caparbietà, tali da farli uscire dal tunnel. Non si sono lasciati travolgere dalle
sfide globali, sapendo al contrario trovare in se stessi le risorse e l’incentivo per
andare oltre, concentrandosi sulla qualità e sulla creatività. Del resto, il mondo
ha tante altre sfide all’orizzonte con le quali si dovrà confrontare. L’Occidente non
può rimanere il solo a godersi le risorse globali e dovrà quindi condividerle – in
modo pacifico, si spera – con popoli e nazioni che hanno un uguale diritto di
esistenza e di progresso.
Un altro aspetto mi porta a chiedermi a chi giovi la proliferazione delle aree
produttive che ogni singolo comune adotta, artigianali o industriali che siano e se
sia giusto che queste zone si trovino adiacenti agli insediamenti urbani. Ad
esempio, che vantaggio può trarre un comune da una grossa industria che mette
in crisi la viabilità e provoca il depauperamento delle risorse vitali o lo scempio
del territorio - patrimonio comune ed inalienabile - in cambio di pochi posti di
lavoro?
Personalmente penso che per gli insediamenti produttivi si dovrebbero
individuare grandi aree consorziali, a livello sovracomunale, collegate ad efficienti
infrastrutture: autostrade, ferrovie, aeroporti, centrali energetiche, con strutturali
risparmi economici, togliendo gran parte del traffico e soprattutto l’inquinamento
ambientale e acustico ai villaggi residenziali, rendendoli più vivibili e salutari.
Un ultimo aspetto riguarda la più grossa industria italiana: il turismo. Non c’è
persona al mondo che non punti a visitare il nostro Paese, ma talvolta si dimostra
una nazione con poco amore per se stessa. Non bastano il sole e il mare per fare
turismo. Il paesaggio veneto, così variegato e complesso, sta scomparendo tra
capannoni e poster pubblicitari, mentre le città, ma anche tanti centri minori,
soffocano sotto una cappa di smog. Ci vorrebbe un grande sforzo mentale per
cambiare e ripensare gli orientamenti, e ciò vale anche per Paese, ma può essere
applicato seriamente soltanto con una politica forte e condivisa che metta al
centro il bene comune. Ci sono ancora questa sensibilità e questa
consapevolezza?
In conclusione…
Quale sarà il futuro di Paese e della sua imprenditoria? Sarà un avvenire sempre
più specializzato e forte se saprà e potrà evolversi destinando risorse alla ricerca e
all’inserimento dei giovani, ma pur sempre salvaguardando l’ambiente. In fondo
Paese si trova racchiuso in quel Veneto che, se anche perde qualche colpo, è
tuttora additato a modello di operosità e creatività, anche se probabilmente non
gode della stessa stima in ambito culturale. Grazie quindi agli stacanovisti
portabandiera del Made in Paese, ai quali viene dedicata questa vetrina, ma
anche ai tanti che qui non appaiono.
Confrontandolo con il sistema economico attuale, l’ordine costituito dell’antica
Società Organica dovrebbe essere ora invertito, anche se rimangono delle sacche
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di sfruttamento, ossia imprenditori che non riconoscono dignità al lavoro
dipendente e diritto alla “giusta mercede” e investendo per la sicurezza delle
maestranze. Il lavoro dovrebbe avere una propria moralità e non essere finalizzato
soltanto al capitalismo. La fortuna di un’impresa non avviene mai per i meriti di
una sola persona, sia pur essa il titolare, ma è il frutto del sacrificio e della
passione di tanti lavoratori che compiono bene il proprio lavoro. Ciò dovrebbe
essere tenuto sempre in considerazione. Infatti, molti imprenditori lo fanno
quando affermano coscienziosamente che il miglior investimento aziendale è il
personale.
Infine, del libero mercato mondiale potranno trarre vantaggio le persone di tutti i
continenti se la ricchezza sarà più equamente distribuita. Con un’incognita: le
risorse della terra. Lo sviluppo dovrà essere sostenibile. Non c’è alternativa a ciò.
“Tutte le nostre conquiste nel campo della conoscenza e del potere risulteranno
fatali per noi se non le controlleremo attraverso un corrispondente progresso della
nostra umanità” (Albert Schweitzer). È la grande sfida in cui il genere umano
gioca il proprio futuro.
L’Autore
Un colpo di scena
Il 15 Marzo 1996 un evento drammatico venne a scuotere la normalità quotidiana
dei cittadini di Paese, proiettandoli improvvisamente in una realtà in cui forse
non pensavano di vivere. La Butangas, con sede in Via Senatore Pellegrini, fu
protagonista di un drammatico incidente di lavoro nel quale persero la vita due
eroici dipendenti, Claudio Mardegan e Gottardo Parisotto, sacrificatisi per
contenere i danni, così come fecero poi i Vigili del Fuoco di Treviso prontamente
accorsi, alcuni dei quali rimasero segnati per sempre dal dramma.
Quell’incidente, che avrebbe potuto avere conseguenze ben più terribili, sancì
definitivamente il passaggio di Paese dalla civiltà contadina a quella artigianale e
industriale. La gente si accorse improvvisamente di trovarsi a coesistere con
realtà economico-produttive potenzialmente molto pericolose. L’Amministrazione
Comunale individuò presto un’area per il loro trasferimento.
Già nel passato c’erano stati dei contrattempi simili, quando la Marnati & Larizza,
fabbrica di ordigni in Castagnole, era stata bombardata o aveva comunque subito
degli incidenti di lavoro, ma di quei sinistri avvenimenti, con gli avvicendamenti
generazionali, si era ormai affievolita la memoria.
La civiltà contadina
C’era una volta anche a Paese la civiltà contadina, con i suoi valori, le sue
conquiste, le sue peculiarità, la cui sintesi è riscontrabile in parte nella attuale
comunità. Solo in parte, appunto, perché, a partire dagli anni Sessanta, Paese ha
avuto uno straordinario sviluppo urbano e produttivo, con conseguente
irrefrenabile immigrazione da fuori, soprattutto dalla Città e da altri comuni. La
gente sceglieva questo territorio perché si poneva all’avanguardia nei servizi, in
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sostanza per la qualità della vita. In contrasto con tutto ciò, l’ambiente veniva
depauperato della sua originaria fisionomia, vittima sacrificale di una crescita che
ancor oggi risulta incontenibile.
L’attuale tessuto sociale di Paese è dunque lo specchio di un miscuglio di cittadini
provenienti da realtà diverse, anche da altre nazioni, tanto che si può ormai
parlare di società multietnica e multiculturale.
Che Paese abbia avuto un irripetibile sviluppo urbano lo testimoniano in parte
anche i ventinove enormi buchi del territorio, serviti ad estrarre gli inerti per le
costruzioni, con i quali si trova ora a coesistere, con tutte le problematiche che ne
derivano, tali che la popolazione ha dovuto prendere posizione giacché vi
confluivano anche materiali nocivi per la salute. Viene allora da chiedersi se sia
stato sempre un vero e sostenibile sviluppo. L’escavazione non trova eguali in
altri comuni, aggravata dalla mancanza di un ritorno di qualche genere se non
per l’esigua occupazione. Certo non si può puntare il dito contro le ditte che
hanno operato – esse cercano il materiale là dove esiste - ma piuttosto alla
mancanza di regole certe e valutazioni d’impatto ecologico da parte degli Enti
sovracomunali che nel passato hanno concesso lo sfruttamento del territorio.
Un’attenzione dal punto di vista ambientale s’impone tuttavia ancor oggi, e più di
ieri giacché esistono forze che sembrano avere una visione unilaterale, ossia la
bramosia del profitto a qualsiasi costo. Il P.A.T. adottato dal Comune nel 2007
può incidere positivamente, salvo soverchianti leggi extracomunali.
Che la società paesana trovi la sua radice nell’agricoltura è testimoniato pure dai
simboli decorati nello stemma comunale: i covoni. Il lavoro agreste è quindi
l’elemento fondativo della comunità, peculiarità rimasta immutata sino alla fine
degli anni Sessanta: la maggioranza delle famiglie di Paese si era sostenuta grazie
al campetto di terra e alla mucca nella stalla oltre ai pochi ruspanti che
razzolavano nell’aia. Era questo il patrimonio dal quale dipendeva il
sostentamento familiare e quando si ammalava una bestia o un cristiano si
doveva spesso scegliere chi dei due salvare, come successe in casa dei Boldrin
(“Bravi”), giunti a Padernello nel 1897 provenendo da Fanzolo di Vedelago, con un
paio di buoi, una vacca e una cavalla nera.
Nel 1931, uno dei Boldrin di San Gottardo si ammalò e la famiglia dovette privarsi
di due buoi per ricoverarlo all'ospedale di Padova, dato che non esistevano ancora
le mutue. Per la circostanza fu affidato a S. Antonio e vestito con il saio
francescano. Tuttavia, tornato a casa, dopo soli sei mesi si aggravò e lasciò questo
mondo. In famiglia si era discusso a lungo se fosse il caso di privarsi di un simile
patrimonio per curare il congiunto e non fu una decisione presa a cuor leggero.
In altre circostanze, come ampiamente descritto nei volumi “Famiglie d’altri
tempi” dello stesso autore, accadde che fosse ammalata una bestia e
contemporanemante un anziano, fu scelto di curare l’animale dal quale dipendeva
la sopravvivenza dell’intero nucleo familiare.
Durante la guerra e fino agli anni Sessanta c’era ancora tanta miseria e fame. Il
26 novembre 1959, il Gazzettino di Treviso riportava una notizia di furti di
galline, titolando “Razzia nei pollai di Paese – Una quarantina di galline rubate in
una sola notte”, seguiva il commento “Le indagini dei Carabinieri per scoprire i
lestofanti”. Farà certamente sorridere ora rileggere questo testo, che fa però ben
comprendere quali fossero le condizioni economiche cinquant’anni fa.
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Scriveva dunque il quotidiano: “Quando si approssimano le feste natalizie si
verifica, alla periferia della nostra Città e nelle nostre campagne, una
recrudescenza di furti di pollame e di conigli da parte dei soliti ignoti.
L’altra notte sono stati visitati i pollai di tre famiglie del Comune di Paese e i ladri si
sono impossessati complessivamente di 44 galline. Le denunce sono piovute sul
tavolo del comandante la Stazione dei Carabinieri di Paese e i militi dell’Arma
hanno subito effettuato le indagini del caso.
La casalinga Eufemia Gasparini fu Giovanni di 32 anni, abitante in Via Montello di
Paese, ha lamentato la sparizione di dodici grasse galline che aveva in animo di
raddoppiare nella prossima primavera per avere un discreto numero di uova. Il
danno subito dalla Gasparini ammonta a 7 mila lire.
All’operaio Angelo Severin fu Luigi di 46 anni, pure di Paese, sono state portate via
12 galline livornesi (ovaiole) e olandesi (con grande ciuffo in testa) e i ladri sono
penetrati nel pollaio dopo avere tagliato la rete metallica che lo circonda. Il danno si
aggira sulle 8 mila lire.
Anche l’operaio Attilio De Rossi fu Giacomo di 46 anni del luogo (loc. Sovernigo) ha
denunciato di avere subito il furto delle sue galline: venti, per l’esattezza, e tutte
pronte o per entrare in pentola o per essere arrostite nelle prossime festività. Il
danno è di 15 mila lire”.
Dopo le elezioni del 1948 ci fu la ricostruzione economica con le forze moderate al
governo del Paese. Rientrarono i capitali esportati e la lira recuperò lentamente il
potere d’acquisto. Ciò diede fiducia ai ceti medi risparmiatori e gli stessi lavoratori
dipendenti poterono beneficiare del calo dei prezzi. Certo la disoccupazione era
ancora notevole, fortunatamente c’erano i fondi del piano Marshall a contribuire
all’importazione di derrate alimentari e materie prime. Iniziò così, lentamente,
l’avvio di un nuovo processo di sviluppo economico ed industriale.
Poi ci fu il cosiddetto Miracolo Economico – che da solo meriterebbe una
pubblicazione -, sentito in modo particolare nella nostra realtà territoriale,
probabilmente dovuto anche alle centinaia di emigrati, partiti negli anni
Cinquanta, che mandavano a casa parte dei propri risparmi per sostenere la
famiglia di origine, ma quando al primo rientro si guardarono intorno, capirono
che, in verità, la “Merica” era arrivata anche qui.
I furti di galline comunque non terminarono con gli anni Cinquanta, ma
continuarono anche nel decennio successivo. Chi scrive può darne una
testimonianza diretta. Infatti, la sua famiglia, lasciata Sovernigo nel 1965 andò ad
abitare nella nuova casa in Via Treforni, portandosi una decina di galline e
altrettanti conigli. Una notte successiva fu visitata dai ladri che svuotarono
pollaio e conigliere.
Nei primi anni Sessanta si poteva trovare occupazione sempre più agevolmente e
qualcuno, infatti, iniziò a costruirsi la nuova casa nei fine settimana con l’aiuto di
amici e parenti. Questa prassi fu presto imitata da tanti altri e così avvenne
presto una inusitata trasformazione urbana che diventò un modello da imitare. Il
concetto delle reciproche relazioni umane era molto forte e sentito.
L’intraprendenza di Paese fece scuola e da traino anche per altri comuni.
Cominciarono a svilupparsi piccole imprese edili, con l’indotto che ne derivava, e
sorsero anche alcune piccole attività artigianali e commerciali, soprattutto in
relazione alla corsa a farsi la macchina: officine meccaniche, distributori di
carburanti, autolavaggi, bar e negozi vari iniziarono ad aprire o a rinnovarsi. A
catalizzare la maggior parte della manodopera era tuttavia ancora la città di
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Treviso. La situazione che venne a crearsi smentì in parte gli indirizzi degli
amministratori del tempo che nel frattempo avevano pensato di trasformare Paese
in una zona di coltivazioni frutticole, ma anche di tipo turistico. Sono infatti di
quel periodo le costruzioni della Cooperativa Agricola, trasformata poi in
frigorifero, dell’Industria Conserviera (1961), dell’Albergo all’Oasi e del Ristorante
“Zanatta” che soppiantava “Il Bersagliere”. Tuttavia, nonostante le buone
intenzioni, la Cooperativa, inaugurata nel 1960 dall’onorevole Amintore Fanfani,
si dimostrò quasi del tutto inutile perché la società paesana si evolse in modo del
tutto diverso ed inatteso. Era la Nazione intera che andava in tutt’altra direzione.
Sorse una miriade di piccole attività imprenditoriali, poiché era questa la vera
vocazione della gente di Paese prima ancora del lavoro dipendente, probabilmente
dettata dall’innata voglia di vivere autonomamente in quella libertà acquisita
lavorando in campagna e che si evidenziava nella auotocostruzione della casa
nuova.
La popolazione si era lasciata alle spalle la condizione di subalternità ai vari
signorotti locali, che aveva a lungo subito e desiderava prendere il volo in proprio.
Già negli anni Venti aveva combattuto le sue battaglie, promosse dalle Leghe
Bianche ispirate da Giuseppe Corazzin. A Paese c’era stato chi aveva rischiato in
proprio contrapponendosi all’ordine costituito per la corresponsione di un salario
dignitoso ai lavoratori della terra e per la difesa della piccola proprietà, in epoca
in cui ribellarsi poteva costare caro. Uno dei più impegnati in questa lotta sociale,
la cosiddetta “Questione agraria”, era Alfonso Favero (“Scalabrio”), il quale viene
ancora ricordato con in mano la bandiera bianca, che sventolava di fronte al
molino Bordignon, a Villa, dove passava allora la statale Postumia, perorando la
causa dei contadini e incitandoli alla ribellione. I Perotto, signorotti che abitavano
in Via Roma, di fronte a Villa Quaglia, che rappresentavano il sentire della
borghesia locale, lo avrebbero impallinato volentieri per tale ostentazione, poi
desistettero perché si trattava di un temerario, un ribelle capace di catalizzare
ampi consensi.
Annunziata Emma Marchetto (Castagnole 1903 – Paese 2006) vedova di Mosè
Bertelli, nel 2003 - alla bell’età d’anni cento - ricordava ancora la “Poesia del
contadino” che aveva imparato in terza elementare, e che recitava più o meno
così:
Un contadino si presentò davanti a un signore
e gli dava la mano,
ma il signore la rifiutò
dicendo al contadino:
Non ti do la mano
perché l’hai sporca e callosa.
Vergognatevi, signore, rispose il contadino
se non l’avete sporca.
Se Dio vi abbonda del pane e del vino
queste mie mani dovete ringraziare
son cotte dal sole, nere e callose
ma son mani laboriose.
Lavorano sempre e mai son stanche
valgon più di dieci mani bianche.
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Questi versi non hanno bisogno di commenti, e testimoniano di una vita di
sfruttamento, di subalternità, d’ingiustizia e d’ingratitudine. Le mani bianche
erano ovviamente quelle degli sfruttatori, padroni terrieri. Non è comunque il caso
di generalizzare perché anche tra di loro ci sono state delle brave persone.
Ci vorranno ancora alcuni decenni – la fine degli anni Cinquanta - per arrivare a
leggi governative favorevoli ai lavoratori della terra, quando finalmente da
subalterni poterono diventare, con la “buona uscita”, padroni di parte di quei
beni per i quali avevano donato per generazioni il proprio sangue.
L’Industria Conserviera di Paese impegnava i contadini e sviluppava
ulteriormente in modo evoluto l’orticoltura, fu perciò la prima vera industria
paesana del dopoguerra strettamente legata all’agricoltura; ma il paese andava in
senso opposto, ossia verso un altro tipo di sviluppo, girando le spalle
all’agricoltura intesa come unico lavoro. L’Industria Conserviera nacque per
volontà dell’allora sindaco, Vincenzo-“Vittorio” Zanatta.
La fabbrica di conserve assorbiva la coltivazione locale di ortaggi, che non era
comunque sufficiente, perciò ci si doveva rivolgere ai mercati all’ingrosso o
direttamente alle coltivazioni intensive della Pianura Padana, Ferrarese e Polesine
in particolare. Tutti i prodotti erano poi inscatolati a mano. Otto anni dopo,
l’attività fu ceduta ai soci Lora e Grosso, che coniarono il marchio derivante dalle
loro iniziali: “Logrò”.
Emanazione naturale fu poi la Cooperativa Agricola, in Via Postumia, ma gli sforzi
del fondatore non furono corrisposti, si dovette quindi trasformarla in magazzino
frigorifero. Maggior fortuna ebbe il suo ristorante (attuale sede di una banca),
costruito secondo canoni d’avanguardia di fronte al vecchio “Bersagliere” (ora
Pasticceria Vendramin), tanto da essere rinomato a livello nazionale. Per ultimo
Zanatta eresse quello che è ancora l’unico albergo di Paese, “All’Oasi”, ma pure la
vocazione turistica di Paese rimase nei suoi sogni.
Il lavoro agreste nel Comune di Paese
Il lavoro di contadino, quello di allevatore sono antichi quanto la specie umana,
secondi solo a quello di cacciatore. Paese ha tracce di questa lunga tradizione
risalenti alla centuriazione romana, quando la coltivazione agricola fu sviluppata
in modo organico, ma è presumibile che ancor prima, fosse praticata dai
paleoveneti.
Nell’era contemporanea si hanno testimonianze del mondo agreste dagli atti di
morte dei locali, cioè da quando, con il Concilio di Trento, fu imposto ai parroci
l’obbligo di residenza con il compito di registrare il movimento demografico
(nascite, matrimoni, decessi) della popolazione. A parlare di un lavoro duro ma
povero sono soprattutto le registrazioni dei defunti, con le cause di morte:
scorbuto, pellagra, dissenteria, febbre verminosa, febbre pagana, spasimo,
cholera, tifo, ecc.
Quella del contadino, soprattutto nei secoli passati, era una dieta povera di
vitamine e di proteine, talvolta si trattava perennemente dello stesso cibo (la
polenta). Non mancavano le persone che andavano fuori di senno proprio per la
carenza di basilari componenti nutritivi, mentre il lavoro si svolgeva tutto a forza
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di braccia con immani fatiche, supportato in seguito e soltanto in parte dalla
trazione animale.
Dagli archivi parrocchiali emergono in proposito parecchie testimonianze, come
quella che segue, proveniente da Postioma: “Addì 29 Giugno 1782. Angela, moglie
di Santo Amadio, morì in questa mattina, d’anni 40 circa, di male scorbutico,
munita del solo sacramento dell’Olio Santo per non essere capace degli altri attesa
la pazzia dallo scorbuto stesso prodotta”. La situazione era abbastanza
generalizzata. Pure da Postioma deriva l’atto che segue: “18 Maggio 1887.
Bortolamio figlio del fu Gasparo Zanatta, sartor di Soriva, della Pieve di Cervo,
Diocesi di Feltre, d’anni 62 circa, morì ieri di passaggio all’osteria di febbre putrido
verminosa, così giudicata dal Medico chiamato alla cura, ch’era di Treviso. Era
assalito da febbre fin dai primi giorni del corrente mese. Era con la sua famiglia in
sosta da Pittusso ed essendo il tempo di partire per la montagna, volle anch’egli
partire con la famiglia, trasportato sopra un carretto. Quando fu qui per ristorarlo
gli fu apprestata una scodella di brodo, e bevuta che l’ebbe restò soffocato...”. E per
quanto riguarda la pellagra: “15 luglio 1815. Giacomo Berlese del fu Agostino e
della fu Maria Missiato, assalito dalla pellagra in terzo stadio, dopo il decubito di
mesi sette, morì ieri all’ore otto antimeridiane…”.
In epoca più recente, all’inizio del XX secolo, con l’avanzare dell’era tecnologica
parte del lavoro manuale fu soppiantato dalle macchine. Mentre tramontava
lentamente l’era dei cosiddetti padroni, prese piede la pratica di lavorare
meccanicamente per conto terzi, giacché per il singolo contadino, che possedeva
solo un piccolo appezzamento, non era conveniente l’acquisto di costosi
macchinari, ammesso che potesse permetterseli.
Tra coloro che svolgevano i mestieri di aratura, semina e trebbiatura, a Sovernigo
c’era la famiglia dell’onorevole Luigi Zanoni. Fu questa una delle prime ad
acquistare, ancora negli anni Cinquanta, una motoaratrice Ford, modello “Orsi”,
una macchina possente e scura proprio come un gigantesco orso, che avanzava a
passo di lumaca, ma con una potenza che non aveva pari. Non meno
impressionante era il rombo del motore, distinguibile da molto lontano. Mentre
qualcuno si meccanizzava, i più, possedendo modesti rettangoli di terra, usavano
ancora carri, buoi e asini per i lavori e il trasferimento dalla casa alla campagna e
quindi inversamente con il carico di prodotti della terra.
Altri che svolgevano lavori per conto terzi erano i Visentin (“Momi”) di Postioma, i
Miotto (“Campaneri”) e i Miglioranza (“Majèri”) di Padernello. Questi nel 1908
avviarono per conto dei fratelli Marcantonio e Alberto Mandruzzato di Treviso
l’attività molitoria, che dopo un secolo continua ancora. Il primo molino “da
grano” era sorto a fianco di un “majo” (fucina per forgiare il ferro) azionato
dall’acqua del canale Brentella. Ne fa fede il “Contratto di concessione d’uso
dell’acqua Brentella per forza motrice, per animare un opificio in Padernello”,
riportato di seguito: “Regnante Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio
e volontà della Nazione Re d’Italia. L’anno millenovecentotto addì trenta del mese di
Giugno, avanti a me Battistello Guglielmo di Giovanni Segretario Comunale di
Paese, si sono presentati: Lucatello Giovanni di fu Francesco, Sindaco del Comune
di Paese, nella rappresentanza per conto ed interesse del Comune stesso e
Mandruzzato Dr. Cav. Marcantonio fu Giuseppe, il quale dichiara di agire per conto
suo e per conto nome ed interesse anche del fratello Avv. C. Alberto, domiciliato il
primo in Treviso, il secondo in Ferrara quale Procuratore del Re.
Si premette che, colle deliberazioni del Consiglio Comunale di Paese 27 dicembre
1907 e 12 Marzo 1908, veniva accordata la concessione dell’uso dell’acqua Bretella
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scorrente nel canale principale in Frazione di Padernello, per forza motrice per dar
moto ad un molino da grano a due macine, un battiferro, sgranatoio e molla da
arrotini, e tutto sito al mappale N. 32 del foglio 1°. Sez. C. Padernello, di comune
proprietà dei Signori Mandruzzato Avv. Cav. Marcantonio e Avv. C. Alberto fratelli
fu Giuseppe.
Per tale concessione dovrà essere versato nella Cassa Comunale di Paese l’annuo
canone di Lire Cento, pagabili in una sola rata scadente il 20 ottobre di ogni anno,
pagamento da effettuarsi dal diretto esercente dell’opificio. La concessione fu poi
ratificata il 2 Aprile 1909 dal Convocato del Consorzio Irriguo Brentella di
Pederobba.
Il Brentella, quindi, fu silenzioso testimone di un'epoca che ha visto tante bocche
sfamarsi grazie alla generosità del suo prezioso indispensabile apporto: l'acqua.
Sembra tuttavia che i Miglioranza, già prima di servirsi della forza dell’acqua,
svolgessero questo lavoro facendo girare le macine da un cavallo.
Dall'estro di Giuseppe ed Ernesto Miglioranza, grazie al maglio ad acqua che
gestivano, uscivano anche attrezzi agricoli e arnesi per ogni mestiere: pale,
picconi, falci, aratri, forche, zappe, cerchioni per carri e per botti, mozzi,
catenacci, ferri di cavallo, chiodi, erpici, aratri, ecc.; per questo i parenti omonimi
di Sala d'Istrana erano soprannominati "Armentèri". Una vera passione di
famiglia, che continuò per decenni e venne esportata anche a Vedelago.
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A Postioma, negli anni Cinquanta era sorta una specie di cooperativa per la
vendita di generi alimentari il cui ricavato andava alla Parrocchia per finanziare la
costruzione della nuova chiesa, voluta dal parroco don Giovanni Capoia. E c’era
pure il Club 3P, il cui responsabile era Luciano Visentin. Non si può inoltre
dimenticare che proprio da un postiomese, il compianto On. Angelo Visentin,
nacque la Coldiretti di Treviso.
Un mestiere molto richiesto era quello di norcino, ossia salumiere. Era questa
una figura specialistica che prestava tipicamente la sua opera in cambio di generi
in natura, quali frattaglie delle bestie macellate, un cotechino, due piccole
luganeghe, e qualche fiasco di vino. A Paese c’erano famiglie in cui questo
mestiere era tramandato di padre in figlio, ad esempio quella dei Berti, i quali
prestarono a lungo la loro opera anche alla rinomata salumeria Frezza di Treviso.
La trebbiatura in comune era una prassi. La trebbiatrice, inizialmente a vapore,
veniva collocata per tempo sull’aia accanto alle biche già predisposte e qui
arrivavano a turno anche i piccoli agricoltori con i loro carichi. Era un’attività che
continuava per giorni e notti ininterrottamente e gli specialisti e i braccianti
lavoravano in mezzo a nuvole di polvere. Ogni utente lasciava una parte di cereale
in cambio del servizio. Il grano veniva poi portato ai molini, trasformato in farina
e da qui prendeva la strada per il panificio che la rendeva al coltivatore in chili di
pane segnati su un apposito libretto. Naturalmente ogni lavorazione comportava
una retribuzione in natura, così alla fine al povero contadino restava soltanto
quel poco. Quello della trebbiatura era un lavoro ma anche una festa alla quale
partecipavano tutti e si finiva in bellezza seduti al desco tra canti e balli.
Il mulino era la “piazza” dei contadini dove la molitoria era soltanto una delle
attività che vi si svolgevano: mentre si attendeva la macinazione dei cereali si
mettevano in moto le relazioni fra persone, compresi mediatori e prestatori
d’opera vari. I principali mulini del territorio comunale di Paese erano quelli di
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Sante Bordignon con i figli Vincenzo e Pierantonio a Paese, di Valentino Giovanni
Favotto (“Smanioti”) e il figlio Fiorino a Porcellengo, avviato nel 1923, dei fratelli
Carlo, Marcello e Lucio, figli di Giovanni Favotto a Castagnole, di Giovanni
Marconato e di Luigi Miglioranza a Postioma, di Giovanni Miglioranza (“Majèr”) a
Padernello.
Nel territorio comunale di Paese c’era pure chi praticava la transumanza. Ad
esempio, i Gallina di Padernello facevano i mandriani nei tempi estivi
dell’immediato secondo dopoguerra, portandosi con le loro bestie a Malga Mariech
(m. 1502), sopra Valdobbiadene. Partivano a metà maggio e ritornavano a metà
settembre. All’alpeggio si andava per risparmiare il foraggio di casa che era
riservato ai mesi invernali. Alla malga si praticava la caseificazione, spesso
immersi nel fumo e nel vapore emesso dal pentolone di rame. Era una vita di
grande sacrificio ma salutevole.
Un capitolo a parte meriterebbe la coltura del baco da seta, un lepidottero
alimentato con le foglie del gelso, il quale, alla fine del ciclo di metamorfosi,
costituiva una vera boccata d’ossigeno per tante famiglie. La bachicoltura era
particolarmente gradita perché arrivava a primavera, ben prima dei raccolti,
quando i contadini erano a corto di risorse finanziarie.
Il mondo rurale si esprimeva sostanzialmente nella famiglia patriarcale, fino agli
anni Settanta simbolo e custode dei valori fondativi della società, in circolarità
con la Chiesa, la scuola e lo Stato. La famiglia contadina era sostanzialmente una
piccola azienda nella quale ognuno metteva a disposizione le braccia, secondo le
proprie possibilità e il proprio ruolo, governata da un capo. Non si può quindi
parlare di imprenditorialità senza questa premessa.
Gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, con il Boom Economico videro lo
spopolamento delle campagne in favore delle grandi fabbriche del Triangolo
Industriale (Lombardia, Piemonte, Liguria), ma anche di quelle sorte a Porto
Marghera. L’agricoltura subì un grosso scossone, così mentre i più lasciavano la
campagna in favore di un’industrializzazione sempre più pingue, i pochi rimasti si
specializzavano e si attrezzavano sempre meglio per far fronte con le macchine
alla cronica carenza di braccia. I contadini, diventati bravi imprenditori grazie ai
corsi di specializzazione predisposti dalle associazioni di categoria, riuscirono così
a svolgere in proprio tutti quei servizi per i quali erano dovuti ricorrere alla
prestazione di terzi, compreso il lavoro dei mulini, che ad uno ad uno, salvo rare
eccezioni, scomparvero. Resta però da capire se questa inarrestabile evoluzione
abbia sempre rispettato i canoni ambientali, ossia se sia stato uno sviluppo
sostenibile in ambito ecologico e salutistico. Ci fu un periodo di grave
inquinamento ambientale e acquifero dovuto all’indiscriminato uso di pesticidi e
diserbanti e il legislatore dovette correre ai ripari.
Una certa imprenditoria agricola iniziò con i lattai e i caseifici, per arrivare infine
agli agriturismo, ristoranti casalinghi aggregati in Provincia di Treviso
all’Associazione “Terra Nostra” della Coldiretti, nei quali si possono assaggiare i
prodotti della terra in parte coltivati in proprio. Sono diffusi da qualche decennio
anche nel territorio comunale di Paese e pure con alloggi.
Un importante caseificio aveva sede in Porcellengo. Si trattava della Latteria
Turnaria di Giovanni Lazzari, che sorgeva nelle adiacenze della piazza. Ogni
giorno passava un furgoncino per le famiglie contadine a raccogliere il latte che
usciva dalle stalle, trasformato poi in prodotti caseari.
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In Porcellengo funzionava pure il pastificio Vettorello & Pistrelli che può essere
considerato un’emanazione dell’agricoltura, dato che la materia prima era il grano
duro proveniente dal Sud Italia. Dava lavoro a parecchie maestranze locali (cfr.
capitolo a parte).
Attualmente ci sono delle aziende agricole ben attrezzate, ad esempio quella di
Danilo Tonon, in Via Trieste, con allevamento bovino, vendita latte e coltivazione
florovivaistica. Un’altra presente da alcuni decenni, dedita all’allevamento bovino,
è quella di Marcello Sartor (“Barchesso”).
Un’importante attività affine all’agricoltura è l’apicoltura, che a Paese conta vari
piccoli addetti, ad esempio Antonio De Rossi di Sovernigo (foto), ma anche
semplici appassionati che la praticano per hobby a stretto uso e consumo
familiare.
Un aspetto dell’evoluzione agricola paesana può essere individuato nelle
coltivazioni di prodotti micologici e ortofrutticoli, ma anche in quella che è la più
grande industria florovivaistica della Marca Trevigiana: la multinazionale
“Padana” dei fratelli Gazzola.
Il Foro Boario di Treviso e i mercati rionali, come quello di Montebelluna e di
Oderzo, un tempo brulicavano di bestiame. Ogni settimana, nei giorni di mercato,
i contadini si ritrovavano per acquistare o vendere le loro bestie da soma e da
latte, ma si commercializzavano anche il foraggio, i cereali e gli altri prodotti
agricoli. Era poi prassi recarsi in dicembre a Santa Lucia di Piave in occasione
dell’annuale fiera agricola ultramillenaria.
La fungicoltura a Porcellengo esiste fin dal 1969, grazie ai fratelli Billio, Lorenzo e
Tarcisio, che avevano acquisito il mestiere in Canada dove erano emigrati. Fu
messo così a dimora il germe che li farà diventare, in Patria, degli affermati
imprenditori agricoli.
A Toronto, Tarcisio aveva svolto vari lavori prima di approdare in una coltivazione
di funghi dove emerse la sua anima contadina che gli procurò la stima dei datori
di lavoro e un posto di responsabilità. Fu questa la molla che lo farà ritornare in
Porcellengo dove, con i Borsato, zii di sua moglie, si dedicò alla fungicoltura in
Via Gasparini, e dal 1969 in proprio con una fungaia in Via Madonnetta. Nel
1980 ampliò la coltivazione in società con il fratello Pietro e due nipoti, lasciando
quindi il timone dell’azienda nelle mani dei figli dopo aver trasformato l’attività in
produzione di humus, un composto utile per la coltivazione della specie prataiola,
prodotto che viene esportato prevalentemente nei mercati dell’Est Europa.
LA COOPERATIVA AGRICOLA COMUNALE
La Cooperativa Agricola comunale aveva messo in moto una serie di aspettative
per l’indotto che doveva generare, sollevando l’economia di Paese. Era sovente
ripresa anche dai giornali, in particolare dal Gazzettino, giacché era spesso meta
di parlamentari che avevano in Paese un sicuro bacino di voti.
Emerge nel quotidiano trevigiano del 10 aprile 1959 in “Cronaca di Paese”, il
resoconto dell’assemblea costitutiva. Titolava il giornale: “Nominate le cariche
sociali della Cooperativa agricola”. L’articolo, su due colonne, si presentava
dettagliato come un verbale:
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“Ha avuto luogo nel nuovo Cinema “Manzoni” di Paese l’annunciata prima
assemblea dei capi azienda fondatori della Cooperativa Agricola che come è noto è
dovuta all’iniziativa dell’Amministrazione comunale.
Aprendo i lavori il Sindaco cav. Zanatta ha presentato il dott. Ugo Pandolfi, esperto
commercialista trevigiano, incaricato della stesura dello statuto. Il documento che
consta di 32 articoli regolanti il funzionamento della Società a responsabilità
limitata, è stato ampiamente illustrato dall’estensore anche alla luce delle vigenti
disposizioni legislative in materia.
Il dott. Pandolfi ha pure esaurientemente chiarito i quesiti posti da alcuni soci.
Prendeva quindi la parola il Sindaco per ribadiere gli scopi sociali della
Cooperativa, richiamandosi alle esigenze della zona nel settoreagricolo a cui
dovranno essere riservate le cure più attente per l’auspicato miglioramento
economico delle categorie rurali; con questa prospettiva dovranno essere affrontati i
problemi per una produzione quantitativamente e qualitativamente superiore
attraverso colture razionali e specifiche. Le dichiarazioni del cav. Zanatta che a
questa iniziativa sta offrendo il contributo della sua esperienza e del suo fattivo
dinamismo, sono state sottolineate dai vivi consensi e applausi dei soci.
Costituito il seggio elettorale, si è proceduto alla votazione, a scrutinio segreto, per
la nomina delle cariche sociali. Il consiglio di amministrazione è risultato così
composto: Zanatta cav. Vincenzo, Urio Rino (Postioma), Visentin Luigi (Porcellengo),
Pozzebon cav. Giovanni (Paese), Zanoni Emilio(Paese – figlio del defunto on. L.
Zanoni), Contò Luigi (Castagnole), Francescato Gino (Padernello), Trentin Riccardo
(Postioma), Gazzola Eugenio (Postioma).
Sindaci effettivi: on. Prof. Dott. Mario Ferrari Aggradi, Ministro delle Partecipazioni
Statali: Pietrobon Vettore, Bresolin Angelo. Sindaci supplenti: Barbisan per. agr.
Fridiliano, Visentin Fioravante. Probiviri: prof. Italo Cosmo, capo dell’Ispettorato
Agrario Provinciale; dott. Luigi Chiereghin, Sindaco di Treviso; comm. Geom. Mario
Ferracin, Presidente Consorzio Agrario provinciale”.
L’assemblea deliberava poi all’unanimità di affidare la presidenza della
Cooperativa al Sindaco cav. Zanatta e la vice presidenza a Rino Urio, consigliere
comunale, “giovane ed appassionato cultore agricolo”. Segretario fu nominato Aldo
Badesso, collocatore comunale. Prima di chiudere la riunione i convenuti furno
informati che il 1° Maggio sarrebbe stata organizzata una visita ad una azienda
modello.
L’uscita a scopo formativo si rivelò in sostanza una gita di particolare interesse.
La comitiva dei novanta partecipanti, guidata dal Vice Presidente Rino Urio
raggiunse Verona, per visitare i Magazzini Generali della Città scaligera,
portandosi poi in periferia per visitare le aziende modello “Milani”. Gli impianti e
le produzioni furono illustrati da funzionari degli Ispettorati agrari di Treviso e
Verona. Il Gazzettino riportava questa notizia il 20 maggio 1959 in “Cronaca di
Paese”.
Precedentemente, l’8 marzo 1959, si era tenuta sempre al Cinema Manzoni
un’assemblea informativa, alla quale erano intervenuti, su invito, oltre 300
agricoltori del Comune di Paese, cui era stato proposto di inserirsi come soci nella
costituenda Cooperativa. Il termine delle iscrizioni scadeva il 19 marzo.
Ad illustrare l’importante iniziativa ci aveva pensato lo stesso Sindaco,
delineandone sinteticamente gli scopi, sottolineando il fatto che gli agricoltori che
si fossero associati avrebbero beneficiato di un sicuro miglioramento economico.
L’agricoltura, vale la pena ribadirlo, era ancora l’attività generalmente più diffusa.
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A dargli man forte nell’opera di convincimento era intervenuto il prof. Annibale
Cosmo, capo dell’Ispettorato dell’Agricoltura, che aveva catturato l’assemblea
tenendo una conversazione sul valore cooperativistico, destando l’entusiasmo dei
presenti.
Nel 1957 si era costituita la Comunità Economica Europea, che allargava
notevolmente i mercati. La prima assemblea si era tenuta l’anno dopo a
Strasburgo, ma di fatto cominciò a operare nel 1959. Nacque da questo
presupposto l’idea di fondare la Cooperativa Agricola di Paese.
La Giunta capeggiata da Zanatta, infatti, aveva rivolto l’invito ad associarsi
motivandolo con il pretesto della nascente C.E.E., fornendo quindi degli indirizzi:
“L’apertura dei Mercati Comuni Europei, avvenuta con il corrente anno, ha portato
una rivoluzione sui mercati nazionali imponendo una speciale organizzazione per il
regime di concorrenza che si prevede nella sua fase di rivoluzione. L’agricoltura in
genere, per il fatto che non può tempestivamente adattarsi come l’industria a
sostanziali mutamenti e forme di produzione, è quella che che richiederà un
maggior spazio di tempo per orientamenti nuovi e risentirà, soprattutto nel primo
periodo che certamente non sarà breve, delle deficienze nelle quali si trova rispetto
a ciò che è l’idea fondamentale del Mercato Comune Europeo.
L’agricoltura come viene praticata attualmente nella nostra zona riveste piuttosto
un carattere familiare e di piccola azienda, mettendo sul mercato in prevalenza
grano e granoturco, generi che in altri paesi facenti part del Mercato Comune
Europeo vengono prodotti in larga scala con danno della nostra economia. Ora,
occorre in tempo prevedere quello che sarà il futuro commercio e sviluppo della
nostra agricoltura evitando di restare soffocati per non aver saputo prendere subito
e in tempo una iniziativa radicale. Le culture che si posson o praticare con facilità
nel nostro Comune e che incontrerebbero richiesta in un mercato vasto quanto
quello europeo, senza eccessiva concorrenza, sarebbero quelle specializzatecome la
frutta selezionata o poco comune: peschetti e fragole o vino di una data specialità,
ad esempio il «merlot» che viene ottimo nei nostri terreni. Per arrivare però ad una
produzione estensiva e intensiva allo stesso tempo, occorre un’organizzazione
cooperativistica nella quale tutti si lavori per uguale fine con un indirizzo unico. Per
fare questo occorre la buona volontà e la comprensione che i tempi si evolvono e che
restando indietro si rischia di far naufragare la nostra economia agricola. Il
Comune si fa promotore di questa iniziativa ed invita gli agricoltori, quale parte
interessata, ad un Convegno dove persone competenti specificheranno i nuovi
concetti e dove si discuterà con la speranza di porre le basi di un futuro benessere
agricolo e della popolazione del nostro paese. La riunione avrà luogo domenica 8
marzo, alle ore 10, presso il Cinema di Paese”.
Si era convinti che Paese non avesse altri sbocchi che quello del lavoro della terra.
In realtà, a far fallire questo ambizioso progetto sarà il Miracolo Economico che di
lì a poco si scatenerà, catalizzando manodopera nelle grandi industrie, ma anche
sviluppando ampiamente l’artigianato, il commercio e quindi il terziario. Paese in
particolare, trovandosi nell’immediata periferia di una città capoluogo di
provincia, risentì immediatamente del nuovo vento che iniziava a spirare sempre
più impetuoso, e la gente ben presto cominciò ad abbandonare i campi per altre
attività più redditizie, riversandosi nei più disparati mestieri che assicuravano
uno stipendio sufficientemente dignitoso ogni fine mese. E fu questa nuova
situazione a mettere in moto un altro tipo di economia. La gente pensò per prima
cosa a costruirsi la casa nuova, quindi fu la corsa a farsi la macchina e poi a
pensare al tempo libero e via via a tanti altri benefici. L’agricoltura rimaneva pur
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sempre sinonimo di povertà e di sfruttamento trascinatosi fin troppo a lungo,
anche se era servita a far sopravvivere le famiglie, ma soprattutto i padroni della
terra. In questo contesto il progetto cooperativistico era ormai segnato, ossia
destinato a fallire. In sostanza Zanatta rimase il solo a credere fino all’ultimo a
questo bel progetto, che era una sua creatura. Egli era una fucina di idee – tra
l’altro era presidente dell’U.S. Paese - e nonostante altre iniziative imprenditoriali
– diventò ristoratore e albergatore – la sua innata propensione rimase sempre e
comunque quella di coltivatore.
Una testimonianza in proposito si ricava ancora una volta da “Il Gazzettino”, che,
in un servizio del 17 agosto 1959, lo ritraeva con in mano dei carpofori coltivati in
serra. Il titolo era a quattro colonne, e diceva: “I funghi nascono a cinque
chilometri da Treviso. Hanno coltivato i funghi nel Canada prima di iniziare al
vivaio di Paese”. E proseguiva puntualizzando: “Su cassettine di terriccio speciale,
in cui è presente la spora, si sviluppano in breve i funghi di Paese”. L’articolo così
si esprimeva:
“Molti li hanno gustati ed apprezzati, ma pochi sanno che quei funghi bianchi, sul
tipo dei nostri «boleti», che si vendono a Treviso e in molte città dell’Alta Italia,
nascono e crescono a soli cinque chilometri dalla nostra città. Il cav. Vittorio Zanatta
ha avuto l’idea di avviare un allevamento di funghi, qualche anno fa. Ha sempre
avuto la passione per le cose più strane, il cav. Zanatta. Dopo l’allevamento di polli,
la grande vasca per le trote e altre cose del genere, s’è piantato in testa il chiodo
dei funghi e non è riuscito più a cavarselo. L’idea è stata accarezzata per molti anni
quando inaspettatamente, in un giorno del febbraio 1957, avvenne un fatto
determinante. Dal Canada giunsero a Porcellengo di Paese i fratelli Tino e Bruno
Borsato, i quali erano rimasti per nove anni a Toronto, presso uno zio, a curare un
vivaio di funghi. Quando la notizia giunse a Paese, il cav. Zanatta innestò la quarta
(a quel tempo ancora non c’era la quinta marcia nelle automobili – nda) e
raggiunse i fratelli Borsato. Pochi giorni dopo veniva posata la simbolica pietra e, in
men che non si dica, il grande capannone dell’allevamento con la scritta
«Coltivazione funghi», fu cosa fatta. Abbiamo voluto visitarlo e siamo rimasti
veramente sorpresi della particolare lavorazione che richiedono i saporiti e polposi
prodotti di Paese. In un reparto a vapore, che raggiunge i 70 gradi, viene disposto il
materiale di concimazione. Il calore serve ad annullare certi micro organismi capaci
di attaccare seriamente la spora e cioè la materia di semina. Dopo il trattamento, il
concime, frammisto a terriccio, in numerosi strati, viene deposto su cassettine. Nel
terriccio è presernte la spora. Le cassettine vengono deposte in appositi sostegni,
nell’interno del capannone e dopo qualche giorno cominciano ad offrire i primi frutti.
Nel capannone esiste perenne l’umidità e una temperatura costante di 18-20 gradi.
Le cassettine devono essere attentamente controllate, affinché non si verifichi
qualche incidente inatteso, come una malattia del fungo che, in pochi giorni
annienterebbe il lavoro di anni. Ecco press’a poco come si coltivano i funghi di
Paese. Il «vivaio» è ora in piena attività e non riesce a far fronte alle continue
richieste della vasta clientela. Probabilmente verrà ampliato in un prossimo futuro”.
Era il periodo in cui Zanatta appariva frequentemente nelle cronache locali.
Qualche giorno prima di questo servizio, una foto lo ritraeva con in mano due
bottiglie di vino, su cui c’era scritto: “I vini della Marca”. La didascalia così
recitava: “Anche il noto albergatore cav. Vittorio Zanatta, proprietario del
ristorante «Al Bersagliere» e dell’albergo «All’Oasi», partecipa al Concorso per il
«bicchiere d’oro» indetto dall’Ente Provinciale per il Turismo”.
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Si svolgeva proprio in quei giorni all’Istituto Turazza di Treviso un importante
convegno dei Coltivatori Diretti al quale intervenne il Ministro Ferrari Aggradi.
Nell’occasione veniva commemorato il senatore don Luigi Sturzo, fondatore del
PPI, scomparso da qualche giorno (8 Agosto).
La cronaca dell’avvenimento emerge dai fogli del Gazzettino di Treviso di Martedì
11 Agosto 1959, che titolava a cinque colonne “Presente il Ministro Ferrari
Aggradi al Convegno dei Coltivatori Diretti”:
“All’Istituto Turazza si è svolto un Convegno di studio dei presidenti comunali e
frazionali delle Sezioni Coltivatori Diretti e dei Club 3P. La finalità dell’incontro era
quella di studiare i mezzi tecnici di riconversione, sviluppo e potenziamento
economico-sociale dell’impresa agricola familiare nel contesto dell’economia rurale
della nostra Provincia.
Al mattino i convegnisti hanno assistito alla S. Messa celebrata nella Chiesa di S.
Stefano dal Consigliere Ecclesiastico Provinciale prof. Don Giovanni Brotto. Il quale
al Vangelo ha tenuto un ispirato discorso. Erano presenti al convegno 290
Presidenti sezionali. È stato chiamato a presiedere i lavori il Presidente della
Federazione on. Primo Schiavon. Al tavolo della Presidenza abbiamo notato: S.E. il
Ministro alle Partecipazioni Ferrari Aggradi, il comm. geom. Mario Ferracin, l’avv.
Amedeo Gallina, in qualità di Presidente della Federazione Provinciale Cooperative
e Mutue, il dott. Luciano Pasqualetto, tutti i membri della Giunta Esecutiva della
Federazione unitamente al Presidente del Sindacato Provinciale Autonomo
Mezzadri cav. Amedeo Sperandio e il Direttore della Federazione dott. Osti.
Aveva inviato la calorosa adesione S. E. il sen. Dott. Giuseppe Caron. Alle ore 9
l’on. Primo Schiavon ha dichiarato aperti i lavori del Convegno che si sono protratti
poi fino al tardo pomeriggio. Dopo aver porto un affettuoso saluto al Ministro Ferrari
Aggradi e a tutti i convenuti e di aver brevemente illustrato gli scopi del Convegno,
ha preso la parola il Consigliere Ecclesiastico Provinciale prof. Don Giovanni Brotto
che inquadrati brevemente i temi della giornata nella luce dei principi cristiani, ha
commemorato nel silenzio devoto dell’Assemblea, con commosse parole la figura del
sen. Don Luigi Sturzo…”.
Era quindi seguito l’intervento del dott. Pasqualetto che, mettendo in risalto
alcuni problemi tecnico-economici dell’agricoltura trevigiana, poneva l’accento
sulla necessità di promuovere l’istruzione professionale agricola, con particolare
riguardo alla piccola proprietà contadina, facendo risaltare due dati significativi:
lo scarso reddito annuo pro capite, Lire 134.000, e la modesta diffusione dei
trattori, uno ogni 47 ettari di terreno agricolo.
Aveva poi preso la parola il Ministro Ferrari Aggradi evidenziando egli pure i
problemi che gravavano sul mondo agricolo, dando ampie assicurazioni
sull’impegno del Governo per il loro superamento.
In un trafiletto a parte della stessa pagina del giornale (11 agosto 1959) figurava
un necrologio di poche righe, pubblicato in occasione della morte di don Luigi
Sturzo, senatore, fondatore del Partito Popolare Italiano: “Il Segretario della
Democrazia Cristiana di Treviso, avv. Gino Sartor, nella triste circostanza della
morte del Sen. Don Luigi Sturzo, ha inviato il seguente telegramma alla Famiglia
Sturzo, Roma: «Democratici Cristiani della provincia di Treviso, esprimono il più
profondo dolore per la scomparsa del grande italiano, onore della Chiesa, della
Patria, esempio a tutti i democratici che indicò ai Cattolici la via del risveglio politico
sociale»”.
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La Coltivatori Diretti di Treviso era un’organizzazione politicamente molto potente,
giacché rappresentava il mondo rurale provinciale, ossia la maggioranza del
mondo lavorativo di quel tempo, anche se iniziavano a sorgere nuove imprese
artigiane e piccole industrie che usufruivano, al pari della conduzione agricola, di
agevolazioni tributarie e prestiti a basso tasso d’interesse. In particolare i prestiti
agrari erano particolarmente agevolati. Venivano erogati attraverso la Cassa di
Risparmio della Marca Trivigiana, quale Direzione Compartimentale dell’Istituto
Federale delle Casse di Risparmio delle Venezie. Dal 1° marzo 1959 il tasso era
stabilito al 6,5 % su tutte le nuove operazioni di credito agrario di esercizio (per
spese di conduzione, acquisto di macchine agricole, bestiame, attrezzatura, ecc.),
quanto sui mutui di miglioramento agrario, compresi quelli per il miglioramento
della piccola proprietà contadina.
Il tasso potrà ora sembrare particolarmente oneroso, ma si deve considerare che
detti mutui, che duravano un trentennio, beneficiavano del contributo statale del
3,5% e pertanto l’onere effettivo a carico degli agricoltori si riduceva a circa
2,65%. Nel 1958, nel Veneto, si immatricolarono 2.942 trattori nuovi di fabbrica,
in Lombardia 3.814, in Piemonte 3.805; la parte del leone la faceva l’Emilia con
4.163 immatricolazioni; solo 75 in Liguria; a livello nazionale nel 1958 furono in
totale 22.080. Erano state 25.139 nel 1954, 24.425 nel 1955, 23.526 nel 1956,
22.820 nel 1957.
Che la società evolvesse in altra direzione è confermato anche dalla deliberazione
comunale adottata ai primi di Settembre 1959 per l’istituzione di una scuola di
avviamento industriale. È quanto emerge dalla cronaca del Gazzettino dell’8
Settembre di quell’anno, che spiega eloquentemente quale fosse il sentire e verso
quale orientamento ponesse lo sguardo la popolazione: “Tra le più urgenti
necessità a Paese, l’istituzione di una scuola d’avviamento industriale.Il problema è
ora avviato sul piano della concretezza avendo costituito oggetto di un particolare
esame all’ultima seduta del Consiglio Comunale, trovando unanimi maggioranza e
minoranza.
La creazione di detta Scuola, oltre ad essere caldeggiata dalla popolazione,
risponde ad una impellente necessità per il continuo incremento industriale della
zona, per l’aumento demografico naturale e migratorio che si va registrando, per
l’elevato numero di licenziati dalla Scuola Elementare i quali, nella maggior parte,
causa particolari condizioni finanziarie non possono accedere alle Scuole
Professionali di altri centri; inoltre avendo tale Scuola anche delle Sezioni femminili,
offrirebbe la possibilità alle ragazze di continuare gli studi; verrebbe insomma
curata la preparazione dei giovani secondo le esigenze della tecnica produttiva.
L’opera importerebbe una spesa di 60 milioni di lire. Il Consiglio ha dato piena
facoltà al Sindaco di provvedere all’espletamento di tutte le relative pratiche, tanto
per il contributo statale quanto per l’assunzione del mutuo.”
L’AZIENDA AGRICOLA TONON
Una moderna azienda agricola dei nostri tempi è quella di Danilo Tonon, in Via
Trieste, tra Paese e Porcellengo. La famiglia Tonon si è insediata a Paese nel 1963
provenendo da Sala d’Istrana. Si trattava allora di una compagine molto
numerosa che dovette intraprendere la sua diaspora migratoria in Svizzera,
Australia e altre terre per migliorare la propria condizione. Pure Alberto era
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emigrato in Svizzera all’età di dodici anni per fare l’operaio, rimettendoci la salute.
Dopo questa esperienza comprese l’importanza di una vita salutare. Scelse quindi
di fare il contadino, stabilendosi in un vecchio cascinale nella campagna di Paese,
con 15 ettari di terra circostanti.
Alberto aveva iniziato con dieci capi di bestiame, che integrò via via che la
tecnologia gli permetteva di agevolare un lavoro che non conosceva soste. Nel
cortile c’era ancora il pozzo e occorreva attingere acqua a forza di braccia. Fu uno
dei primi ad attrezzare la stalla con un nastro trasportatore per asporto letame,
quindi con le macchine da mungitura che si evolvevano costantemente. Quelle
dieci mucche sono diventate ora un centinaio, grazie al figlio Danilo che ha
saputo sviluppare i talenti ereditati dal genitore, coadiuvato dalla moglie Ivana
Gemin, che si occupa prevalentemente della parte burocratica e contabile, e dalla
mamma Bertilla. La terra coltivata è ora di ben 22 ettari.
La passione è ancora il motore di questa azienda paesana. Non è così frequente
incontrare giovani che scelgono una vita di sacrificio estremo per dedicarsi
all’agricoltura. Non si possono infatti contare le ore di lavoro di un imprenditore
agricolo di questo calibro, come non si fa distinzione tra giorni feriali e festività
perché gli animali vanno nutriti e curati tutti i giorni. Certo le attrezzature sono
di prim’ordine ma da sole non bastano: indispensabile è ancora la mano
dell’uomo. Ci sono poi molte norme da osservare e i controlli dell’Uls sono
frequenti, non preannunciati e severi, a garanzia del consumatore.
Nell’azienda Tonon il ciclo nutrizionale degli animali si sviluppa unicamente con
prodotti propri: dal foraggio al mais ai cereali tutto è prodotto in casa e la
massima qualità è garantita. Ciò le ha permesso nel maggio 2007 di aggiudicarsi
il premio per il miglior prodotto lattiero trevigiano. Concorso promosso
dall’Associazione Provinciale Allevatori e sponsorizzato dalla Fondazione
Cassamarca.
Danilo Tonon ha in sé l’innata passione per gli animali, una propensione
trasmessagli dai genitori, Alberto e Bertilla Berlese, ma che ha radici ben più
profonde, essendo germogliata con il nonno Agostino. Una genuinità che ha
portato all’acquisizione del prestigioso riconoscimento per il miglior latte crudo
della provincia, che premia contemporanemente qualità e sacrificio. Il latte della
fattoria Tonon è il classico prodotto genuino che arriva direttamente “dal
produttore al consumatore” per mezzo di un gettonatissimo distributore posto
sotto un secolare gelso sull’aia dell’azienda. Quello in sovrappiù viene conferito
alla Cooperativa di Sant’Andrà. La carica batterica è sostanzialmente inesistente
grazie ad una stalla modello e a una sala mungitura d’avanguardia.
In prospettiva potrebbe realizzarsi il sogno di un negozio con prodotti propri
(latte, formaggi, salumi, ecc.). All’orizzonte però non si scorge ancora un erede
maschio che potrebbe in futuro dare continuità all’azienda. Danilo e Ivana sono
genitori di Elena e Francesca, due femminucce che già amano molto gli animali e
il lavoro dei genitori. E sarà probabilmente grazie a costoro che la straordinaria
azienda potrebbe conoscere un giorno una conduzione al femminile.
Il commercio
Commerciare è un’attività impressa nella biologia umana, va a braccetto con i
contatti e le relazioni sociali. Lo scambio di prodotti, detto anche baratto, o
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comunque di generi vari è vecchio quanto il mondo umano. In senso allargato si
può affermare che non si commerciano solo prodotti fisici, ma anche idee, valori,
cultura, ecc. Simbolo per eccellenza del commercio è il denaro, assolutizzato pure
esso come merce da comprare e da scambiare.
“10 Feb.ro 1827. Stefano di Gasparo fu Pietro Jaufner e di Anna Maria di
Sebastiano Nraten, in età d’anni 45, nato e domiciliato nel comune di Stilfs (Stelvio)
distretto di Glurns (Glorenza) provincia di Imst nei confini della parrocchia caduto
accidentalmente sotto la ruota del carrettone riportò una mortale ferita ieri alle ore
undeci antimeridiane, per cui franse (ruppe) le due manticole (polmoni) e ricevuta
l’assoluzione e l’oglio Santo dal Cooperatore Don Bortolo Fabris; morì nel locale
dell’osteria al n. 78 alle ore due pomeridiane”. È un atto, rinvenuto nell’archivio
parrocchiale di Paese, che testimonia di un certo nomadismo commerciale. Il
carrettiere Stefano Jaufner, deceduto per sfondamento toracico, era giunto dalla
Val Venosta presumibilmente per trasportare delle merci, forse legnami. I
commerci quindi avvenivano già a quel tempo, coprendo anche distanze notevoli
pur essendo i mezzi di trasporto a trazione animale alquanto lenti e rischiosi.
Nel dopoguerra scendevano dalla montagna tanti montanari a vendere mele, pere,
funghi, scambiandoli con cereali, frumento e pannocchie di granoturco in
particolare. Era la scorta di polenta per l’inverno, così ci si metteva al riparo dalla
fame. Arrivavano soprattutto dal Feltrino - Fonzaso, Lamon, Sovramonte - allora
zona depressa, e dai paesi circostanti. Emergono dagli archivi parrocchiali vari
documenti che testimoniano come queste popolazioni, già in epoche più remote,
scendessero a valle per procurarsi da vivere. Andavano a lavorare a Venezia come
manovali; imparavano un mestiere che poi applicavano nei loro paesi. Basta
recarsi a Canal San Bovo (Trento) e relative frazioni per averne un chiaro
esempio. Molte abitazioni, infatti, hanno grandi fori-finestra realizzati a sesto
acuto, proprio come quelli delle case patrizie veneziane.
A Paese, nella seconda metà dell’Ottocento, i De Marchi detti Oston, erano sì
contadini, ma anche venditori ambulanti. Ad occuparsi per primo di questo
esercizio fu Antonio (1857), dal quale deriva il soprannome “Ostón”. Ancor prima
di sposarsi con Costanza Bresolin (1858), Antonio andava a piedi di casa in casa,
soprattuto la sera quando le famiglie si ritiravano nella stalla a filò, spingendo
una carriola, offrendo frutta secca (noci, bagigi, castagne secche, semi di zucca
tostati e carrube). In seguito, diventato fruttivendolo e pescivendolo, andava nei
mercati di Montebelluna, Castelfranco, Noale e Treviso, portando la merce sul
portapacchi della bicicletta a gomme piene. Questo suo lavoro diventò una
tradizione familiare con i figli Giovanna (1894), Stefano (1899) e Maria Anna
chiamata Amabile (1902).
In particolare Giovanna vendeva corredi matrimoniali per le spose, andando di
casa in casa dove c’erano ragazze da maritarre. Si serviva di una “timonèa”
(calesse) trainata da una cavallina. Amabile, che tutti conoscevano come
“Ostóna”, rivendeva generi alimentari e animali da cortile, macinando chilometri
con la sua bicicletta. Stefano fu quello che diede una grossa spinta evolutiva alla
prassi commerciale della famiglia mettendosi a trafficare terreni e bestiame, ma
anche mediando in compravendite e successioni. Il pallino per gli affari era nel
suo dna. Acquistava cavalli da corsa un po’ malconci che faceva curare per
rivenderli come autentici purosangue. Ben presto la sua fama di esperto in
bestiame si diffuse fra le gente rurale, e gli affari aumentarono a tal punto che la
sua famiglia diventò una delle più benestanti di Paese.
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Nell’immediato ultimo dopoguerra, di domenica, sul cortile di casa, Stefano
esponeva del bestiame (vacche, tori, vitelli, puledri, asini, ecc.) come in un
mercato. Arrivavano compratori da varie località: Morgano, S. Alberto, Istrana,
Villanova e perfino da Sanbughè. Acquistavano spesso a rate anticipando
solamente la caparra, perché si trattava pur sempre di poveri contadini.
A Paese, negli anni Cinquanta/Sessanta, girava per le strade la fruttivendola
Assunta Sartori in Severin, con il suo carretto trainato da un’asina. Era una
donna affabile, bassa di statura, vestita di nero ma con un cuore d’oro: ai
bambini delle famiglie povere regalava sempre qualcosa.
Un commerciante di tipo casalingo era il lattaio, una persona che andava a
raccogliere il latte con il suo carettino attaccato alla bicicletta per rivenderlo a
famiglie cittadine. Uno di questi era Vito Bettio (1898) dei “Çerlìni” di Sovernigo;
un altro era Zefferino Barbisan, marito di Ermida Pian, pure loro abitanti in
Sovernigo. A Padernello nel primo dopoguerra si era assunto questo compito
Domenico Rizzato (1902). Lo stesso faceva Silvio Arturo Zaratin (1901).
Tra i mestieri di eccellenza alimentare spiccava quello di fornaio. C’è ancora oggi,
ovviamente, ma ha perso la poesia di un tempo perché si svolge in modo del tutto
diverso. Una volta l’impasto si praticava a mano, magari aiutandosi con la
gramola. Spesso si faceva in casa e molte famiglie avevano il forno in pietra
adiacente l’abitazione come i De Lazzari (“Fortuna”) di Paese. Qualche vecchio
forno resiste tuttora, ad esempio quello dei Girotto (“Rossi”) di Postioma.
Il pane è da sempre l'alimento principale che accompagna il companatico, ma si
mangia volentieri anche senza. Fin dai tempi antichi veniva prodotto macinando
diversi tipi di cereali e tuttora viene impastato e manipolato secondo le tradizioni
locali. Inizialmente i cereali venivano pestati nei mortai per tradurli in farina che
veniva poi impastata a mano unendovi l'acqua. Con le prime macine di pietra,
azionate dall’acqua o dalla trazione animale, il mortaio fu messo da parte,
tuttavia in certi paesi sviluppati è ancora una pratica attuale. Al molino si
lasciava una percentuale di cereale in cambio della macinazione. Lo stesso si
faceva poi con il fornaio. Alla fine al contadino restava una parte esigua, dovendo
pagare decime e quartese.
Al tempo dei Romani il pane era fatto in casa impastandolo – come si fa da
sempre - con acqua e farina, ma senza lievito, allora sconosciuto. Sembra che a
scoprire per caso la lievitazione siano stati gli Egizi, una invenzione avvenuta
casualmente lasciando l’impasto all’aria per cuocerlo il dì seguente. In seguito i
greci aggiunsero latte e spezie, più o meno come si fa tuttora. Nel periodo feudale
invece il pane era divenuto esclusivo appannaggio dei signori, ma anche nei secoli
seguenti e durante le ultime guerre fu così, mentre la gente ricorreva alla polenta
per sfamarsi, con le note conseguenze derivanti da un mononutrimento carente di
proteine, tanto che molta gente morì di pellagra. L'introduzione del lievito nella
panificazione avvenne durante il Rinascimento. Ora il pane è alimento alla
portata di tutti, soprattutto nei Paesi opulenti. Anche il palato si è notevolmente
affinato e talvolta facciamo gli schizzinosi perché si vorrebbero sperimentare gusti
sempre nuovi, mentre i prezzi vanno alle stelle. Siamo giunti così a riscoprire
cereali un tempo considerati poveri dai quali si riesce a sfornare prodotti di
ottima qualità, davvero fragranti e gustosi.
A Paese i forni pubblici più antichi erano, in ordine cronologico, quelli dei Porato
(“Forneri”) in Via San Luca, Vendramin (“Bomba”) a Sovernigo, Gino Nasato
(“Moretón”) in Via Roma, e Vendramin a Villa.
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Il forno dei Porato era stato avviato in Via San Luca, alla fine del XIX secolo, da
Ermenegildo (1857), che aveva aperto a fianco anche un’osteria. L’occasione
arrivò con un’eredità della moglie, Maria Righetto. Fu così che, messo da parte il
mestiere di falegname, Ermenegildo si gettò a capofitto nella nuova avventura.
L’abilità di impastatore panettiere non gli mancava e nemmeno l’aiuto della sua
consorte che si prodigava quanto lui. Era lei che faceva quotidianamente un
lungo giro con il carretto trainato da un cavallo per recapitare l’alimento alle
famiglie che si erano prenotate.
A raccogliere il testimone di panettieri furono in seguito i figli Ettore e Luigi
Pasquale, poi il solo Ettore con i figli e la moglie Gemma Filomena Pozzebon. Con
questi il forno andava a pieno ritmo parallelamente al consumo di pane, divenuto
ormai appannaggio anche dei ceti meno abbienti, mentre l’Italia si avviava a
conoscere le brutture della seconda guerra mondiale. Anche qui si ripeteva il
solito rito: i contadini portavano al forno il loro raccolto in periodo di trebbiatura
stivato nel granaio al terzo piano, ricevendone in cambio un certo quantitativo di
pane, detratte le spese per la trasformazione in farina e poi per la cottura. Il
forno, alimentato a legna, veniva acceso alle due di notte e occorrevano circa due
ore per portarlo alla temperatura adatta.
Ettore e Filomena erano gente dal grande cuore. Quante volte avevano tirato una
croce sul debito di qualche famiglia povera. E come dimenticare il loro altruismo
verso le famiglie di sfollati dall’Istria, quando finita la guerra, questa regione era
passata definitivamente alla Jugoslavia? Per questi sfortunati quanto pane uscì
gratuitamente dal loro forno!
Nel 1970 il forno dei Porato fu spostato a fianco dell’osteria dei Grespan
“Vaintinéti” in Via Pravato e pochi anni più tardi in Piazza Andreatti dove si trova
attualmente, condotto da una nuova generazione della stessa famiglia.
Il primo forno Vendramin si deve ad Antonio (1914), che lo costruì a Sovernigo
dopo un periodo di emigrazione in Argentina. Ad aiutarlo era papà Emilio, il quale
da buon stacanovista faceva il doppio lavoro di panettiere e muratore. Si alzava
alle tre del mattino per impastare il pane e alle otto era già a cavallo della sua
bicicletta per l’altro lavoro. Morì per superlavoro all’età di soli cinquantatrè anni.
A condurre il forno, mentre i figli maschi erano partiti per la guerra, ci pensò poi
mamma Emma con le figlie. Erano davvero tempi di gran fame, ma un pezzo di
pane non si negava mai a nessuno. E Emma talvolta lo toglieva dalla tavola per
condividerlo con chi le chiedeva aiuto.
Il cortile dei Vendramin e quelli di alcuni confinanti, ospitavano le cataste di
legna fatta arrivare dal Montello. Il pane acquistato veniva annotato su un
libretto, che si onorava, grandine permettendo, al momento del raccolto. Spesso,
di fronte all’indigenza di alcune famiglie, i fornai vi tiravano sopra una bella croce.
A fabbricare il pane talvolta prestavano la loro opera anche dei giovani di
Sovernigo, ad esempio i Becevello (“Rasmi”) e i Pozzebon “(Majèri”), che si
sentivano dei privilegiati. Ci si alzava dal letto a mezzanotte, impastando quindi la
farina con acqua, lievito, un po’ di sale, e tanta passione. Da notare che la crusca
un tempo si trovava naturalmente nel pane, ora si compra al supermercato o
addirittura in farmacia. Alle cinque del mattino già passavano per il forno i primi
contadini che si recavano nei campi. Alle sei iniziava il giro per le strade. Allo
strillo del panettiere tutti accorrevano allungando il collo sulla capiente cesta, a
corroborarsi con quel piacevole aroma, che destava un certo languorino.
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Da tempo il forno dei Vendramin di Sovernigo, Via 24 Maggio, è stato dimesso,
ma continua ora in Via Trieste attraverso la discendenza. Dei sette figli di Emilio
Vendramin è rimasto Italo, il più giovane, fondatore della nota pasticceria in Via
Postumia, a Paese, che prosegue ora con la sua discendenza.
Gino “Moretton” chi non lo conosceva? Figlio di Celeste Nasato, Antonio Gino
(1913), oltre che marito di Antonia Vanin, era panettiere con forno a legna in Via
Roma, di fronte alla ex scuola materna di Paese. Questi coniugi svolgevano la loro
professione come fosse una missione. Erano coscienti di vendere un genere di
prima necessità, che per il passato era stato appannaggio soltanto dei pochi
benestanti che se lo potevano permettere. Per questo motivo si sentivano al centro
dell’attenzione della gente. Oltre a fabbricare il pane facevano servizio di cottura
per chi portava l’impasto da casa, ad esempio durante la settimana santa quando
le famiglie andavano a cuocere le focacce pasquali. Pur svolgendo un’attività
primaria, sembra che nessuno dei panettieri di allora si sia arricchito.
In Padernello c’è il panificio avviato da Antonio Baratto ed ora condotto dai suoi
eredi. Antonio era un artista del pane. Figlio di Luigi, che faceva il calzolaio in Via
Trieste a Sovernigo, mestiere ereditato dai suoi precursori vicentini. Antonio
invece preferì fare il panettiere, per lui non era soltanto un mestiere ma
soprattutto una passione. Aveva iniziato da garzone, ancora tredicenne, presso il
panificio di Gisberto Vendramin a Villa. Andava a vendere il fragrante alimento
con una capiente cesta di vimini tenuta in equilibrio sul manubrio della bicicletta,
gridando “paneeee…”. Si era poi messo in proprio rilevando nel 1980 il panificio
di Gino Nasato (“Moretton”), in Via Roma. Cambiando di sede, si spostò nel 1984
a Padernello, conservando la tradizionale cottura a legna.
In Postioma c’è da oltre mezzo secolo il Panificio Marconato, gestito dalla
discendenza dei Marconato di Fanzolo di Vedelago, dove possedevano il “Molino di
Ferro”. Il capostipite di Postioma era Virginio, il quale vi arrivò nel 1910 con
alcuni fratelli per riproporre il lavoro familiare, ossia rilevando un molino nei
pressi di Villa Tassoni, con annesso panificio. Dopo Virginio, nel 1959, prese in
consegna l’attività il figlio Amedeo Antonio (1917), e dal 1978 è condotto dalla
figlia di questi, Paola Marconato con il marito.
Non si ha notizia che in Porcellengo ci fosse un forno da pane, tuttavia qualche
famiglia lo gestiva in privato. Ad esempio i Billio che lo mettevano a disposizione
anche dei compaesani, soprattutto nel periodo pasquale.
Pizzicagnoli erano Biagio Rossi e il figlio Angelo, ma pure Carlo Desidera e la
moglie. Questi gestirono il negozio fino agli anni Novanta
Certo quello di panettiere era - e lo è ancora - un lavoro di grande sacrificio, con il
fuso orario invertito: lavorare di notte e dormire di giorno, e così tutti i giorni della
settimana, domenica compresa. All’inizio degli anni Settanta i panettieri
ottennero finalmente l’esonero dall’obbligo di produrre e vendere il pane di
domenica. Ciò fu da essi considerato una grande conquista, si concretava così il
sogno di riposarsi e godersi la famiglia almeno un giorno alla settimana.
Purtroppo ora è la grande distribuzione a premere per un ritorno alle origini.
Nel tempo il pane è diventato un alimento per palati sempre più raffinati. Se ne
produce di tutti i tipi e di tanti gusti e farciture. Talvolta i Governi sono dovuti
intervenire per imporre il calmiere dei prezzi, assicurando a tutte le tasche la
possibilità di consumare almeno il pane cosiddetto comune o calmierato. Oltre a
quello tradizionale, una volta se ne produceva un tipo con lo strutto. Ora si può
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scegliere tra tante varietà, forme e costi, costringendo i panettieri a preparare
tanti piccoli impasti. Il pane è davvero un alimento che non conosce crisi.
I NEGOZI DI ALIMENTARI
Come si può intuire da quanto raccontato finora, non è facile risalire alle attività
commerciali dei tempi andati, anche perché occorre distinguere le varie epoche.
Intorno alla metà del secolo scorso i negozi di alimentari di Paese facevano capo
ai Desidera in Via Roma, Dalla Riva a Villa, Balzera e poi Grespan (“Vaintinéti”) e
Fantin (“Nanevaca”) nei pressi della piazza di Paese, Lucchese (“Canèo”) e
Barbisan (“Binéti”) a Sovernigo, D’Alessi a Castagnole, Desidera a Porcellengo,
Speronello a Postioma, Dino Miotto a San Gottardo di Padernello, ma in questa
frazione precedentemente c’era stata la bottega di una certa “Isa Bona” e di
“Archìe” Dalla Riva.
A Padernello, in Via Ortigara, nel 1959, alimentarista e tabaccaio era Achille
Nardi. Lo si rileva dal Gazzettino del Giugno 1959 che, in cronaca di Paese,
riportava un articolo riguardante un tentativo di furto all’esercizio pubblico.
Titolava infatti il quotidiano: “Tentativo ladresco sventato da una signorina”. Vi si
leggeva: “«Aiuto, aiuto! Iladri! I ladri!» L’altra notte, verso l’una e trenta, queste grida
hanno destato bruscamente i tranquilli sonni di parecchi padernellesi residenti in
Via Ortigara. La voce concitata e spaurita era della signorina Lorenza Nardi, la
quale, attraverso una cosiddetta «spia» del pavimento della stanza da letto, aveva
potuto chiaramente vedere lo spostarsi del fascio di luce emesso da una lampadina
a pila azionata da «ignoti» malintenzionati. In precedenza si era udito un lieve
scalpiccio nel cortile. I ladri sono potuti entrare nel magazzino posto sul retro del
negozio alimentari e tabacchi (proprietà del signor Achille Nardi) che guarda la
strada comunale, attraverso una finestra dello stesso, dopo aver facilmente rotto
una delle imposte. La visita deve essere durata brevissimo tempo. L’allarme della
signorina, che dorme sopra il magazzino, ha mandato all’aria il tentativo di furto. Ci
è stato riferito che il guardiano notturno dello stabilimento cav. Arnaldo Montini,
verso le due, ha visto transitare per la strada, a piedi, tre giovani che sembravano
avere abbastanza fretta. Del fatto si occupano i Carabinieri di Paese.” È una
descrizione che può far sorridere, ma che manifesta come i tempi e le abitudini
siano ora notevolmente cambiati.
Nella stessa cronaca di Paese di quello stesso giorno seguiva una “Nota mesta”
che dava notizia della repentina scomparsa del commerciante di Castagnole, sig.
Luigi D’Alessi (1891-1959), fratello di S.E. Mons. Vittorio D’Alessi, compianto
Vescovo di Concordia. Il D’Alessi era marito di Livia “Norma” Visentin e padre di
otto figli (cfr. “Famiglie d’altri tempi”, vol. II, pag. 168). Nella cronaca del funerale
emerge che esisteva ancora la Società di Mutuo Soccorso dell’Associazione
Commercianti. Era una specie di assicurazione che risarciva i soci di eventuali
improvvise perdite di bestiame e raccolto.
Il negozio del casoìn Giovanni Barbisan (1879-1956) si trovava dal 1927 al bivio
tra Via Trieste e Via Montello, dirimpetto alla Casa Alloggio, a fianco della
Trattoria dove i suoi eredi gestirono in seguito anche un distributore di
carburanti. In precedenza l’osteria si trovava a circa trecento metri più avanti
verso Porcellengo, nella vecchia casa patriarcale dei “Binéti”, in sostanza a
sinistra dell’imbocco dell’attuale Via Asiago. Vi si accedeva superando due
gradini. Sul cortile della casa colonica era stato ricavato anche un campo per il
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gioco delle bocce e della “borella” (birilli). Morto Giovanni, la gestione passò ai figli
Galliano e Silvio, ma deceduti anche questi senza eredi, l’attività cessò
definitivamente negli anni Novanta.
In Paese sono ancora gli Zonta a commerciare prodotti caseari, attività che dopo
oltre sessant’anni è ancora loro appannaggio con un negozio in centro a Paese
(“Casa del formaggio”) e attraverso la vendita ambulante. Erano giunti in Via
Roma nel 1934, provenienti dal Vicentino con Pietro che ha passato il testimone
ai figli Giovanni e Ippolito. Alcuni anni fa la CCIAA di Treviso ha insignito la ditta
di medaglia d’oro.
A parte i panifici, erano questi i soli ad esercitare il servizio di
approvvigionamento dei generi di prima necessità fino all’ultimo dopoguerra. Pur
essendo pochi i punti vendita, non è che ci fosse la fila alla cassa come ora,
perché di soldi proprio non ne giravano e talvolta si esercitava il baratto. Spesso
si scambiavano uova e pannocchie con altri generi, magari in cambio di zucchero
e qualche oncia di olio, oppure di un po’ di sale e tabacco. Era comunque in voga
il libretto dove si annotavano gli acquisti, che veniva poi saldato in tempi
indicativi, solitamente a San Martino quando si vendevano i raccolti, ma c’era
anche chi poteva permettersi di onorarlo mensilmente. Il libretto era un retaggio
delle tessere annonarie dei tempi del Fascismo. Succedeva qualche volta che il
droghiere tirasse una croce sopra, quando si trattava di persone molto indigenti,
impossibilitate ad assolvere al debito, come faceva spesso Giovanni Lucchese a
Sovernigo o Emma Mardegan del panificio Vendramin (“Bomba”).
Nulla si gettava e c’era chi si prenotava i vasi vuoti dello sgombro sott’olio per
gustarsi finalmente una cenetta con il liquido rimasto, talvolta irrancidito. Il
barattolo, opportunamente asciugato con la mollica di pane o la solita polenta,
serviva poi come bacinella di abbeveraggio nel pollaio di casa.
La carne poi era davvero un lusso. Le prime macellerie di Paese furono quelle di
Bresolin e Dalla Riva poi rilevata dai Modesto (“Carnio”), ma solo i “signori”
potevano permettersi di mangiare carne di manzo abbastanza spesso. Le famiglie
dovevano accontentarsi di ciò che offrivano il pollaio e il porcile. Un affermato
commerciante di bestiame era Giuseppe Novello Lorenzetto (1912) e poi il figlio
Abramo. Macellai in Porcellengo e in Postioma erano i Martini, a Castagnole
c’erano un tempo i Bresolin e a Padernello i Rossi, in località San Gottardo. A
Postioma la storica macelleria già avviata da Mario Martini è ora condotta dai
suoi figli.
Come accennato, i principali commerci si tenevano nei mercati, soprattutto quelli
di bestiame. Da Paese ci si recava normalmente al Foro Boario di Treviso o a
Montebelluna, ma a Padernello si teneva ai primi di maggio la tradizionale e
antica Fiera di San Gottardo. Si commercializzavano bovini, cavalli e altre merci
di tipo rurale. Nei mercati si vendevano soprattutto prodotti agricoli, ma
s’incontravano anche tanti mediatori che gli affari li facevano fare agli altri pur
avendone un tornaconto per sé. Talvolta s’incontravano anche degli imbroglioni e
non era poi così raro che qualcuno ci rimettesse anche delle piccole fortune. Gli
imbroglioni, come le persone oneste, non sono mai mancati in ogni epoca.
Nei mercati si offrivano anche delle ottime pietanze calde, soprattutto nei mesi
invernali, con adeguate libagioni. Non mancavano i fotografi, e nemmeno gli
artisti girovaghi che davano spettacoli per poche palanche. Al mercato
generalmente andava il capo della famiglia patriarcale con il calesse. Era
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l’occasione per permettersi qualche capriccio e spesso tornava piuttosto brillo e
con i ricavi decurtati di un bel po’.
I NEGOZI COMMERCIALI
Attualmente il commercio è assunto a livelli merceologici universali, nel senso che
pure a Paese si può acquistare di tutto. I commercianti si sono costituiti in
associazione per difendersi meglio dallo strapotere della grande distribuzione che
rende loro la vita assai difficile. Essi mantengono ancora la caratteristica
insostituibile di offrire un servizio personale e a misura del cliente. Non poco, in
tempi in cui si tende a dare importanza solamente ai numeri, intesi come
quantità e profitto ad ogni costo. A ciò i Commercianti di Paese contrappongono
la garanzia di qualità e il buon servizio.
Tra i primi negozi apparsi nel territorio comunale, oltre a quelli di generi
alimentari già citati, giova ricordare l’Orologeria Visentin, che aveva sede in Via
Roma, in sostanza quasi di fronte all’imbocco della strada del Cimitero, poi
spostatasi a Villa e quindi a fianco del cinema “Manzoni”. Pure la Fioreria Severin
è aperta dal 1959 in Via Roma, accanto a quella che era un tempo la bottega di
barbiere di Alessandro D’Alessi-“Marcioro”, poi divenuta cartoleria e negozio di
giornalaio.
Negli anni Sessanta apparvero in Paese i primi fotografi con proprio laboratorio di
sviluppo e stampa fotografica, un lavoro prima inesistente, che era praticato
soltanto da fotografi domenicali di passaggio.
Fu una grande scoperta la macchina fotografica. Vale la pena ricordare che i
primi studi sulla fotografia, parola che significa scrivere (grafia) con la luce (fotos),
iniziarono nel 1813 con Joseph Nicéphore Niepce, a Gras, presso Chálon-surSaóne (Francia). Niepce è ritenuto il padre dell’invenzione, anche se in realtà la
fotografia fu il risultato della convergenza degli esperimenti di numerosi
ricercatori in vari campi: ottica, sviluppo della camera oscura, chimica, sostanze
fotosensibili. Il primo succcesso si ebbe nel 1822 con la riproduzione su vetro di
un’incisione di Papa Pio VII, che andò distrutta. La più antica immagine tuttora
conservata risale al 1824.
La fotografia diverrà tuttavia molto popolare, ossia di dominio pubblico, negli
ultimi decenni dello stesso secolo quando gli studi fotografici iniziarono a
proliferare anche in Italia, di pari passo con i fotografi ambulanti.
Di domenica passava per le case di Paese un giovane fotografo della Foto Cine
Ottica di Treviso, tale Egidio Conrad detto Nenni, nato in Svizzera, che la gente
aveva soprannominato “Pinceti” per la sua esile corporatura. La domenica
successiva ripassava per consegnare le stampe.
A Paese il primo laboratorio fotografico fu quello di Zefferino Durigon, aperto
verso alla metà degli anni Sessanta vicino alla cartoleria “Marcioro” in Via Roma,
ma già pochi mesi più tardi apriva il secondo, dirimpetto al primo; era di Marcello
Scattolin da Santa Bona, già titolare di uno studio fotografico in Zero Branco. Non
durò a lungo questo esercizio perché già un anno dopo, il 9 febbraio 1966, veniva
ceduta la licenza a Ruggero De Martin (1940), il quale nel 1973 lo trasferì
definitivamente al fratello Marcello (1942). Ma anche il negozio del Durigon
cambiò presto di mano per morte del suo titolare venendo rilevato da Alcide
Barbisan, attuale titolare dell’omonimo negozio.
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A quel tempo lo sviluppo e la stampa erano del tutto manuali. Per operare era
sufficiente un buio sgabuzzino con una lampadina rossa o blu e tre bacinelle
contenenti l’acido di sviluppo, il fissaggio e l’acqua: era la cosiddetta camera
oscura. Più tardi arrivò il colore e ci si appoggiava a studi professionali sorti allo
scopo dato che era un procedimento molto costoso. Una vera innovazione al
sistema fotografico fu impressa dalla Polaroid, con la fotocamera a sviluppo
istantaneo, che dava la possibilità di vedere in pochi istanti la realizzazione dei
propri scatti. Sembrava una magia ed invece fu un’innovativa scoperta nel campo
della chimica.
Con un certo benessere arrivò anche il tempo in cui la gente iniziò ad acquistare
la propria macchina fotografica. Una delle più richieste ed economiche era la
Comet-Bencini che nel 1962 costava 3.500 lire. I più però ancora la prendevano a
noleggio, giacché si trattava di un bene voluttuario. Da allora la fotografia ha
registrato un balzo stratosferico in campo tecnologico, tale che è impossibile
prevederne il futuro. Tuttavia una cosa è certa: una foto ha il potere di fermare il
tempo.
Le storie dei negozi fotografici Barbisan e De Martin sono riportate più avanti,
rispettivamente nelle sezioni “aziende commerciali” e “aziende artigianali”.
Parallelamente allo sviluppo urbano ed economico, a Paese, in Via Roma,
aprirono altri negozi, ad esempio quelli di abbigliamento dei sarti Giuseppe
Francescutti e Raffaele Feltrin, ma anche quello di Foffani in Via Curtatone,
vicino al Ristorante Zanatta. I Francescutti si spostarono poi in un nuovo edificio
in Viale Panizza. Bravi sarti ce n’erano anche altri che operavano in casa propria
per sbarcare il lunario, alternandosi magari al lavoro di contadino. Uno di questi
era Domenico Miglioranza (1887-1973), detto “Menèi Pittèr”, marito di Teresa
Maddalena De Rossi (1895-1965).
Una fruttivendola d’altri tempi era Leonilde D’Ambrosi, che gestiva un piccolo
negozio nella casa dei “Cadrèri” in Via Piave. In seguito spostò l’attività in un
piccolo locale della vecchia casa padronale dei Perotto, di fronte a Villa Quaglia.
Oltre a mercerie vendeva zoccoli, galosse e sandali. Riguardo ai negozi di
mercerie, forse il più gettonato era quello della signora Giannina, di fronte
all’osteria “Osto Novo” in Via Roma. Un negozio simile è ancora quello di Bruna
Severin (“Còte”), moglie di Giovanni Vendramin (“Bulgari”), in Via Battisti.
Da non dimenticare poi il negozio di cicli e motocicli di Bortolo Giovanni
Lazzaron, detto “Lino Pipa”, con annessa officina di riparazioni. Altre officine di
riparazione biciclette e moto erano di Luigi Pozzobon (“Gaudìn”) in Via San Luca e
di Eugenio Gamma in Via Postumia, a Villa. Tra le officine automobilistiche il
precursore fu probabilmente Sergio Carraro, in Via Postumia, ora condotta dal
figlio Bruno. A Castagnole invece si insediò la Cicli G. Tosatto, proveniente da
Zero Branco, con commercio di biciclette e motociclette ma anche di
elettrodomestici.
Nel settore vanno annoverate pure le carrozzerie, che aprirono i battenti negli
anni Sessanta. La più famosa in quei tempi era gestita dai Fratelli Brolli, in Via
Postumia, di fronte al ristorante “Valentino”.
Uno dei primi negozi di ferramenta e accessori elettrici di Paese del dopoguerra fu
quello di Alberto Vanin, in Via Roma, che poi allargò l’attività ai casalinghi con
servizio di bombole di gas butano, che venivano consegnate a domicilio previa
cauzione per il serbatoio. Dopo di lui hanno continuato i figli.
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Altri negozi di ferramenta del capoluogo comunale, che si possono definire
“storici”, sono quelli di Colusso e Sottana e quello dei fratelli Pavan a Castagnole.
A Padernello c’era il negozio cosiddetto storico, di casalinghi e ferramenta di
Umberto Brunetta (1910-68), marito di Anna “Neta” Gabbin (1922), genitori di
Adriano, titolare dell’attuale Vetreria Brunetta.
A Castagnole a dominare la scena dell’intraprendenza commerciale fin dal primo
dopoguerra erano i “Pavanoni”, i quali iniziarono l’asporto di liquami per conto
terzi, dato che si era ancora immersi nella civiltà contadina. Nel 1919, fino alla
vigilia della seconda guerra mondiale, commerciavano vini, gestendo con
Ferdinando (“Nano”) l’osteria “Al Morer” a Monigo e un’altra a Musano condotta
dal fratello Domenico. Negli anni Venti del secolo scorso acquistarono l’osteria di
Pezzin, con distributore di carburanti a manovella, all’angolo tra la Via Cal
Morganella e Via Generale Piazza, rimanendovi fino al 1941.
In quel tempo Luigi Pavan, fratello di Ferdinando, diede origine ad una famiglia di
panettieri acquistando il forno a legna già di Battiston.
A dare notevole impulso all’attività furono poi i figli di Ferdinando, in particolare
Angelo al quale non mancava il fiuto per gli affari. Ritiratisi i soci, Angelo ne rilevò
le quote allargando notevolmente la gamma di prodotti commercializzati: per
l’agricoltura, per l’edilizia, la casa, il giardino, e poi ferramenta e combustibile
gassoso. A continuarne l’opera sono ora i suoi figli Giuseppe e Luciano, la terza
generazione di commercianti dei Pavan-Pavanoni.
Un negozio che nel 1959 costituì una vera novità fu la fioreria Severin con servizio
di onoranze funebri, aperto dalla signora Pierina in Via Roma, adiacente alla
chiesa parrocchiale di Paese. Inizialmente Pierina Severin aveva raccolto il
testimone dalla madre Assunta, venditrice ambulante di frutta e verdura, ma poi
preferì cambiare attività. Attualmente il negozio è gestito dalle figlie.
OSTERIE E LOCANDE
Riguardo ai locali pubblici, ce n’erano di caratteristici, ma anche di chiacchierati
per il loro modo di condurre. Tutti svolgevano una funzione sociale, giacché non
esistevano altri luoghi di ritrovo, salvo gli oratori parrocchiali. Qualche oste
aggiungeva acqua al vino per arrotondare gli introiti.
A metà dell’Ottocento in Paese c’erano tre rivendite di liquori: la più antica
sembra essere stata quella di Mario Bruttocao, che gestiva anche un alberghetto.
C’era poi la “bettola” di Domenico Condotta e la rivendita di liquori di Luigi
Pinarello.
I liquori giravano liberamente già in tempi di vacche magre, come quelli dominati
dalle truppe napoleoniche. Lo testimonia l’atto che segue redatto dal parrocorettore, della Parrocchia di Paese, don Costanzo Bozza (1769-1804). Il 10
novembre 1796 così riportava nel registro dei morti: “Faccio giuramento io
sottoscritto che stamattina all’ore dieci circa fuori della porta del cortile di Giorgio
Mattiazzi di questa Parrocchia fu ritrovata morta una donna di fresca età, cioè
d’anni 25 circa colla testa appoggiata al suo fagotto, abbandonata, e forse anche
uccisa da quattro soldati coi quali era la sera avanti in compagnia. Dal vestito
dimostra d’essere ungara e pare da altri segni che vendette aquavite. Nel mezzo
giorno fu sepolta in questo cimiterio alla presenza del M.to Rev.do Sig. D. Giacomo
Rossetti Cappellano Curato, così avendo ordinato il Magistrato della Sanità di
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Treviso che fù a fare la revisione, unitamente all’Officio del Maleficio della Città di
Treviso. In fede”.
Fino a non molti anni fa in Via Trieste si trovava l’osteria di Vendramin-“Scolo”.
Era la più emarginata rispetto al capoluogo, dato che era l’ultimo locale pubblico
prima della frazione di Porcellengo. Nella stessa strada si apriva quella dei fratelli
Barbisan (“Binéti”), al bivio con Via Montello, dove arrivavano le giostre in
occasione della “Sagreta” di Sovernigo. Di fronte alla chiesetta della borgata c’era
l’osteria di Giovanni Lucchese (“Canèo”), la quale negli anni Cinquanta era l’unica
ad avere un televisore. Il giovedì sera si riempiva all’inverosimile per la
trasmissione di Mike Bongiorno “Lascia o raddoppia?”. Nei pressi del municipio,
allora al bivio tra le vie Roma, Pravato e San Luca, l’osteria dei Grespan
(“Valentinéti”), la cui licenza nel dopoguerra era intestata ad Amelia, ospitava
spesso degli occasionali artisti girovaghi che si esibivano in cambio di qualche
spicciolo. A fianco c’era il gioco delle bocce e della borrella.
La trattoria Fantin (“Nanevaca”) era nello stesso posto di adesso, in Via Battisti e
fungeva anche da sede del Moto Club “Dino Grespan”, con i suoi cinquecento
soci. Da solo questo pubblico esercizio è stato testimone di gran parte della vita
pubblica di Paese capoluogo, soprattutto negli anni che vanno dalla Ricostruzione
a quelli post Boom Economico. A contribuire allo sviluppo commerciale della
famiglia furono i nipoti di Giovanni e Camilla Lepes, figli di Arturo e di Ida
Milanese, Augusto, Giobatta, Gianni, Bruno e Antonietta, i quali allargarono
l’attività del primordiale locale, aprendo altri negozi nel settore alimentare e
tabaccheria. A parte la trattoria, dove si svolgevano negli anni Sessanta/Settanta
frequenti banchetti nuziali, fu aperto il negozio di alimentari, frutta e verdura,
quindi la pescheria, e il bar con tabaccheria. Tutti questi locali dominano ancora
il centro del capoluogo comunale.
A Villa, di fronte al molino c’era l’osteria “Al Pedrocchi”. Questo esercizio pubblico
durante la prima guerra mondiale era gestito da Angela Amabile Fantin (18921982), moglie di Luigi Condotta (1892). Luigi era fabbro ferraio e maniscalco.
Costruiva recinzioni e cancelli e ferrava i cavalli in una casetta a fianco
dell’abitazione in Via San Luca, mestiere ereditato dal padre Giovanni (1851), ma
lavorava anche un pezzo di terra. Un giorno d’estate, durante la trebbiatura, si
prese una broncopolmonite finendo all’altro mondo. La moglie Amabile Fantin,
rimasta senza l’unico reddito, con due figlioletti da sfamare, gestì l’osteria “Al
Pedrocchi” di Villa per alcuni anni. Per questo motivo da allora la famiglia
Condotta è soprannominata “Osti”.
Sulla statale Postumia (ora strada regionale), di fronte all’imbocco della Strada del
Cimitero, c’era anche allora la trattoria Severin (“Còte”) e, un chilometro più
avanti, verso Istrana, si incontrava l’osteria “Ai tre fucili” dei Deoni (“Màdaro”).
Certamente una delle più conosciute era quella con cucina “Al Bersagliere” di
Vincenzo Zanatta (ora Pasticceria Vendramin). In Piazza Quaglia si trovava la
trattoria di “Piero dea Ida” (ora Club degli Spaghetti), dove negli anni
Cinquanta/Sessanta spesso si riunivano gli eminenti di Paese; era anche sede
dell’U.C. Paese. Lo si rileva dal Gazzettino del 20 Maggio 1959 in un trafiletto
apparso in Cronaca di Paese, dal titolo “Una gara di velocità riservata agli allievi”.
Vi si legge tra l’altro: “L’Unione ciclistica Paese affiliata al CSI organizza per
domenica una gara di velocità in circuito chiuso riservata agli allievi. Essa si
svolgerà su un percorso di m. 650 da ripetersi 15 volte I primi cinque di ogni
batteria disputeranno la finale. Le iscrizioni vanno dirette all’U.C. Paese presso la
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Trattoria Bellio in Via Piave, entro le ore 24 di sabato…”. Tra i premi in palio c’era
anche la Coppa Comune di Paese.
Di fronte a questo locale pubblico fu poi aperto anche il bar “da Bóte” (di Luigi
D’Ambrosi). Proseguendo verso la chiesa, prima della vecchia scuola materna,
sulla sinistra, s’incontra ancora quella che era chiamata osteria “All’Osto Novo”,
dirimpetto alla quale c’era il negozio di mercerie e abbigliamento della signora
Giannina. Un po’ più indietro era aperto il bar-gelateria Polin, gestito da Dino
“Frédo”, figlio di Guido, il quale, fino alla fine degli anni Settanta, gestiva anche
un distributore di carburanti.
A Castagnole, a metà del XIX secolo si conoscevano due venditori di liquori:
Angelo Pavan, con licenza di “bettoliere” e Fiorino Bresolin. Nel secolo seguente i
locali pubblici erano tre: l’osteria “Santi Angeli” di Giuseppe-“Gildo” Mazzobel, in
Via D’Alessi; l’osteria con pesa pubblica e distributore “Esso” dei Pavan
(“Pavanoni”), già di Pezzin, all’incrocio tra la Cal Morganella e la Cal Trevigiana;
c’era inoltre l’osteria dei D’Alessi all’ombra del campanile della chiesa. Al lato di
questo locale, nell’Ottocento, arrivava il corriere postale, carrozza trainata da
robusti destrieri che faceva servizio di collegamento con altre località. I viaggiatori
potevano fermarsi per mangiare e pernottare, giacchè la locanda disponeva anche
di stanze attrezzate ad albergo per la sosta notturna. Oltre all’osteria, già
nell’Ottocento, Luigi D’Alessi gestiva anche il negozio di generi alimentari.
A parte i pochi rivenditori autorizzati, al tempo della dominazione francese e
austriaca erano diffusissimi il furto e il contrabbando, e non solo di liquori,
giacché ognuno cercava di arrabattarsi come meglio poteva pur di sopravvivere.
All’inizio del Novecento a Porcellengo, di fronte alla Latteria Lazzari c’era l’osteria
“Alla Gloria”, ma prima era gestita dai Polo. Fu poi ceduta a Modesto Rossetto, il
quale era stato emigrante negli U.S.A. ritornando con le figlie italo-americane
Mary e Jenny. I Rossetto gestirono il pubblico locale fino al 1948, poi continuò
Mary con il marito Decimo Favotto. Verso la fine degli anni Sessanta subentrò il
nipote di Decimo, Angelo Favotto, che lo gestì con la moglie Vittorina Toffolon. Fu
poi ristrutturato, ricavandone un bar e un negozio di giornalaio e tabaccaio. Sulla
strada per Castagnole, fino agli anni Ottanta, c’era anche l’osteria di Italia
Barbisan.
Altre osterie erano quelle di Fodato in piazza centrale a Padernello, “Carolina” in
Via Ortigara, “Fiorin” (Marconato) a San Luca, e quella al “Majo” dei Miglioranza,
gestita da Antonio Miglioranza (1903-97) con la sua sposa Emilia Severin detta
Cornelia (1913), con gioco delle bocce, tutte nella stessa frazione di Paese.
A Postioma l’osteria più antica sembra essere quella ora denominata “da Davide”,
al bivio tra la regionale Feltrina e la vecchia Postumia Romana, di fronte alla
chiesa.
Probabilmetne è la stessa che si nomina in un atto di morte del 1787: “Addì 18
Maggio. Bortolamio figlio del fu Gasparo Zanata di Soriva della Pieve di Cervo,
Diocesi di Feltre, d’anni 62 circa, morì jeri di passaggio all’Osteria di febbre putridoverminosa, così giudicata dal medico chiamato alla cura, ch’era di Treviso…”.
Un’altra era quella da “Merlo”, poi ristorante “Al Cacciatore”, adiacente alle scuole
elementari e ora dismessa. Da ricordare poi la trattoria “Parisotto” verso
Signoressa, ripresa più sotto.
Queste erano, a grandi linee, le attività commerciali del territorio di Paese. Un
ripasso certamente incompleto, tuttavia sufficiente a fornirne un quadro
abbastanza realistico.
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Il commercio di cui nei tempi moderni si sente maggiore necessità è tuttavia
quello della trasmissione dei valori fondativi della società, che stanno andando in
caduta libera. E’ la grande sfida che coinvolge tutte le categorie della comunità
paesana.
La Trattoria Parisotto di Postioma
Interessante ed emblematica appare la storia di questo esercizio pubblico, che si
trova in Via Fermi (S.R. Feltrina) a Postioma, che vanta oltre un secolo di storia,
termine non azzardato giacché durante la seconda guerra mondiale fu teatro di
incresciosi avvenimenti ad opera delle squadracce fasciste.
Ad avviare l’attività era stato Angelo Parisotto, classe 1863, marito di Maria
Simonetto (1868-1927) da S. Pietro di Barbozza, località “Fagher” dove
possedevano una malga. I coniugi Parisotto, contadini con una ventina di campi
di terra, abitavano in una casa colonica, in una laterale di quella che era allora la
Via Cal Trevisana, sotto il comune di Trevignano. L’Amministrazione non volle
rilasciar loro la licenza, decisero perciò di costruire un nuovo edificio poco
lontano, a circa 150 metri dall’abitazione, ma in Comune di Paese, il quale subito
gli rilasciò il documento per esercitare la vendita di vini. Era il 1907 quando
nacque l’osteria in una modesta stanzetta al pianterreno di una casa di due piani,
in seguito rialzata di un ulteriore livello che fu adibito a granaio. Nel sotterraneo
invece c’era la cantina.
Trovandosi lungo un’importante arteria, ben presto gli affari presero un’ottima
piega, tale che progressivamente il locale fu ampliato mentre all’esterno venne
costruita una tettoia per il ricovero degli animali, che venivano legati agli anelli
ancorati al muro e potevano nutrirsi nelle “bessole” (mangiatoie). A fermarsi di
buon mattino erano i fruttivendoli che scendevano dalla Pedemontana (Maser,
Cornuda, Nogarè), diretti al mercato di Treviso per vendere i loro prodotti.
Facevano impastoiare le bestie consumando qualcosa pure loro prima di
proseguire il viaggio. Ogni tanto qualcuno chiedeva da bere “in cardensa” (a
credito), allora Angelo Parisotto, che era un furbacchione, versato del vino in una
caraffa lo poneva all’interno della credenza, dicendo: “Ecco qui, il vino è in
cardensa, in attesa che prima mi paghi…”.
Ai due anziani coniugi subentrò il figlio Romano Vittorio (1897-1946), che intestò
la licenza alla moglie Giovanna Callegari detta Ester ma conosciuta anche come
Bianca. Fu durante la loro gestione che l’osteria venne ampliata e, dato che vi si
trovavano sempre delle uova sode da mettere sotto i denti, fu battezzata dagli
avventori “Osteria dei vovi”. Oltre alle uova si faceva anche servizio di ristorante.
Toccò a Romano vivere una drammatica avventura che avrebbe potuto
concludersi in modo assai tragico. Era la Settimana Santa del 1944 quando nel
locale irruppe una squadraccia fascista guidata dal comandante “Lince”, il quale,
rivolgendosi a Romano, gli chiese brutalmente di fare i nomi di alcuni partigiani
che secondo lui frequentavano il locale, accusandolo anche di nascondere un
mitragliatore. Con loro c’era infatti un giovane partigiano che avevano catturato e
costretto a dire il falso per salvare la pelle. Romano si schernì dicendo che nessun
partigiano frequentava la sua trattoria e che tantomeno nascondeva armi, ma
quelli lo afferrarono traendolo con la forza nella stalla della casa vecchia con una
corda attorno al collo, che legarono ad una trave del soffitto. Minacciavano di
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impiccarlo se non avesse spifferato i nominativi. Per meglio convincerlo portarono
ad assistere alla minacciata impiccagione il diciottenne figlio Danilo, che poi si
misero a bastonare sotto la tettoia perché almeno questi parlasse.
Nei piani superiori della casa erano ospitate delle famiglie sfollate di Treviso,
reduci del bombardamento del 7 Aprile. Due giovani donne corsero a chiamare il
parroco di Postioma, don Giovanni Capoia, e questi si precipitò trafelato nella
stalla dei Parisotto dove Romano veniva seviziato. Il prelato, che conosceva i
giovani fascisti, li chiamò uno ad uno per nome, prendendo subito le difese di
Romano, affermando che questi al pomeriggio della domenica delle Palme si
trovava in chiesa alla funzione dell’esposizione del SS. Sacramento per l’inizio
delle 40 Ore. Il testimone, infatti, un certo Sartor di un paese vicino, era stato
obbligato a suon di busse ad accusarlo falsamnente, dicendo che in quel giorno e
a quell’ora aveva visto Romano prendere in consegna il mitragliatore.
Fatto è che don Capoia riuscì a convincerli a rilasciare il Parisotto, non senza aver
prima consumato pane e salame a sazietà a spese dell’osteria. Intanto il giovane
prigioniero implorava il parroco di perorare la sua salvezza: “Piovan, piovan, mi
salvi ché mi fucilano!”, diceva. Don Giovanni lo rassicurò che avrebbe fatto il
possibile, quindi gli diede l’assoluzione prima che i malfattori se lo trascinassero
via. Si seppe in seguito che lo avevano fucilato il giorno seguente.
Da quell’episodio Romano non si rimise più e in soli sei mesi la famiglia Parisotto
perse sia il vecchio Angelo (Dicembre 1945) sia Romano (Giugno 1946). L’osteria
proseguì con la moglie “Bianca”, coadiuvata dai figli Danilo (1925) e Angelo Pietro
(1943), rispettivamente sposati a Bertilla Sartoretto (1926) e ad Amalia Tonellato
(1944). In particolare i quattro gestirono l’osteria dal 1951 al 1965, ma avevano
anche la campagna da lavorare e si alternavano ora qua ora là di comune
accordo.
Alla morte di mamma “Bianca” la licenza passò ad Amalia Tonellato, moglie di
Angelo. Il piatto titpico era di “polenta e osèi”, tanto che ci fu un periodo in cui
era rinomata per questo. Nel 1965 intanto i quattro più la mamma si erano
risistemati nel “Canton dea Casa Frata”, ossia nella vecchia casa dei Parisotto,
così chiamata perché un tempo era stata un convento di frati.
Nel 1975 la trattoria fu ampliata e modernizzata, pure alla tettoia esterna fu
rifatto il look. Registrò subito un rinnovato impulso grazie soprattutto alla cucina
particolarmente saporita e genuina, in cui si servivano succulenti piatti di animali
allevati nel cortile dei Parisotto: oche, polli, faraone, anatre, il tutto accompagnato
dalle verdure del proprio orto.
L’ultimo passaggio della licenza avvenne da Amalia al figlio Francesco (1976),
attuale gestore dell’ultracentenaria trattoria-ristorante, che rappresenta la quarta
generazione di gestori, tutti ininterrottamente Parisotto.
Pure la vecchia “Casa Frata” sta per essere ristrutturata. Rimane in mezzo alla
campagna, possente come un baluardo, a testimoniare il tempo che se n’è andato
portandosi via tanti eventi gioiosi e drammatici.
L’artigianato e le attività professionali
Dalla sua comparsa sulla terra l’uomo ha sempre fabbricato qualcosa con le
proprie mani: immaginiamo i nostri antenati intenti a fabbricarsi archi e lance,
oltre che a scolpire le selci per ricavarne frecce per cacciare, ma anche mortai per
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pestare i cereali che servivano per nutrirsi, coltelli per scuoiare e sezionare le
carni o dediti a plasmare la creta per farne contenitori. Si può ben affermare che
fu questo il primo artigianato.
Negli atti dei defunti di Paese, si trova la notizia di un artigiano deceduto mentre
faceva manutenzione al tetto della Villa Loredan che si trovava a Villa di Villa,
della quale è ancora visibile, ben ristrutturata, la barchessa, ora proprietà
Severin: “11 Giugno 1767. Zammaria figlio di Domenico Ciscato di questa mia
Parrocchia jerimattina alle ore 13 ca. precipitò dalla cima del Palazzo di Ca’
Loredan, ove stava lavorando, e restò istantemente morto in età d’anni 25 ca., fu
sepolto in questo cimitero alla presenza di me Don Giuseppe Bozza Rettore”.
Con l’avvento dell’era tecnocratica, gli artigiani erano chiamati “artisti”. In pratica
erano persone che si ingegnavano in qualcosa di diverso che non fosse il lavoro
bracciantile, di contadino. Dal loro estro uscivano gli utensili che si usavano
quotidianamente in famiglia. Costruire arnesi con le proprie mani è quindi
un’arte antica, che deriva dalla trasmissione di esperienze praticate da mani
sapienti e da menti fantasiose, tramandate con continuità di padre in figlio nei
secoli e giunte fino alle moderne generazioni. Di questa ricchezza, sapienza e
tradizione è fatto l’artigianato di oggi, il quale con l’aggiunta delle moderne
tecnologie ha sviluppato un enorme patrimonio di conoscenze e di esperienze
incalcolabile, volano della vita produttiva di oggi.
Non c’è stata persona o famiglia nell’andar dei secoli che non abbia contribuito ad
accumulare questa ricchezza. Fino a pochi decenni or sono in molte famiglie si
filava la lana con la cornetta che poi serviva alle donne per sferruzzare e
confezionare indumenti. Ma pure tanti uomini avevano in casa, il più delle volte
sotto il portico, un proprio laboratorio per la produzione degli attrezzi agricoli, che
costruivano quando l’attività era ferma per la rigida stagione. Rastrelli, pale,
forche, falci, carriole, carri, aratri, capponaie, setacci, ceste, crivole, sedie
impagliate e tanti altri arnesi, lavorati a mano, uscivano dalla maestria dei
contadini più intraprendenti.
A metà dell’Ottocento in Paese dal calzolaio Pietro Basso si potevano trovare
zoccoli e “galosse in legno e curame”, ma anche sandali.
Nei primi decenni del Novecento c’era pure chi si divertiva ad applicare il proprio
talento artistico nella costruzione di miniature agresti. Uno di questi era Umberto
Severin (“Rossato”), classe 1914, il quale già a quattordici anni esprimeva la bella
vena artistica nella costruzione di trebbiatrici in miniatura, perfettamente
funzionanti, utilizzando pezzi di latta ricavati da barattoli di conserva. Erano delle
straordinarie meraviglie che uscivano da una mente vulcanica. Del resto i
macchinari agricoli erano gli unici a godere di popolarità. E cosa mai avrebbe
potuto inventarsi uno che aveva conosciuto solo la campagna? In seguito ne
costruì altre, sempre più piccole e perfettamente operative, seguendo l’evoluzione
e i modelli di quelle industriali. Con questi “giocattoli” vinse anche vari premi in
mostre professionali promosse dalla Federazione San Liberale di Treviso.
Un bravo artista del legno era Giuseppe Rossetto (“Buséto”, 1910-2000) di
Sovernigo. Aveva fatto il falegname fin da giovanissimo, sulle orme del padre
Valentino (1878). Lasciata l’attività in proprio ben avviata nelle mani dei figli, da
pensionato si dedicò a riprodurre scene di vita agreste in miniatura. Si rivelò un
vero artista, tanto da partecipare a mostre e mercatini. Peccato che molte delle
sue opere siano poi andate perdute.
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Si svolgevano un tempo mestieri che nell’era moderna sono ormai passati di
moda: il maniscalco forgiava i ferri per gli zoccoli dei cavalli; lo straccivendolo
raccoglieva indumenti usati, ferrovecchio, ossi e setole di maiale per rivenderli
alle fabriche di abbigliamento, spazzolifici, ferriere; il carradore applicava i
cerchioni di ferro alle ruote lignee dei carri agricoli; il bottaio, la cui funzione era
quella di costruire tini e botti per la pigiatura e la onservazione del vino;
l’impagliatore di sedie, detto anche “pajéta”, ma con lo stesso nomignolo fu poi
chiamato anche colui che inseriva i mannelli di frumento nella trebbiatrice; lo
stagnino invece si era assunto il compito di tappare i buchi a pentole, casseruole,
secchi e paioli utilizzati in cucina; il calzolaio, comunemente detto ciabattino ma
anche “scarpèr” e “caleghèr” riparava le calzature, con la variante di “zocolèr”,
ossia intagliatore di zoccoli e galosse; il campanaro addetto al suono delle
campane che si svolgeva tirando più volte il giorno le lunghe corde che arrivavano
fino alla cella campanaria; il materassaio confezionava materassi con le brattee
delle pannocchie o con la lana; lo stradino aveva il compito di curare le strade,
tappando le buche e segando l’erba dei cigli con la falce; il “moléta”, così detto
perché affilava coltelli e forbici con una mola azionata dai pedali della bicicletta;
l’ombrellaio riparava gli ombrelli. C’era anche la guardia campestre, come c’è ora
la guardia forestale demaniale. Sono solo alcune delle professioni di un tempo che
si svolgevano in modo del tutto manuale.
La Pro Loco Comunale di Paese nel 1966 traduceva questa rassegna in una
pubblica mostra dal tema: “Vecchi mestieri e botteghe di Paese”. Chi li praticava
era un misto tra l’artigiano e il prestatore di servizi. Anche in quest’ultimo settore
si distinguevano un tempo alcune figure: medico, insegnante, impiegato
comunale, postino, sacrestano, custode cimiteriale, ma anche fotografo itinerante,
venditore ambulante e soprattutto bracciante agricolo. Questo era un mestiere
che molti sapevano fare, ma spesso si trattava semplicemente di scambio di
manodopera, soprattutto tra piccoli proprietari terrieri e vicini di casa. Il
compenso era il pranzo o la cena, in reciprocità, secondo le usanze del tempo,
quando darsi una mano non era solo una prassi ma anche un valore di
solidarietà consolidato.
Riguardo al maniscalco, mitico rimane Giulio Biscaro, che verso la metà del
secolo scorso aveva una casupola attrezzata allo scopo in Via Trieste a Sovernigo,
proprio alla cancellata d’ingresso dell’attuale Casa Alloggio di Paese, già casa
della famiglia Biscaro (“Biscari”), allora proprietà dell’Ospedale di Treviso.
C’era una volta e c’è ancora il “bandéta”, ossia il costruttore di grondaie, un
mestiere che si è pure notevolmente evoluto sia nelle forme sia nell’impiego dei
materiali (dal legno, allo zinco, all’acciaio, al rame). Lattonieri erano allora Dino
Piva a Padernello, Gianni Vendramin (“Giacomèl”) a Paese capoluogo, e i fratelli
Marconato a Sovernigo, figli del fabbro Giovanni detto Joanìn.
Artigiani in Padernello fin da tempi remoti erano gli antenati degli attuali Gabbin.
Luigi Gabbin (1830), fu il precursore di una famiglia di calzolai, tanto da essere
soprannominati Scarpèri. Un mestiere tramandato di padre in figlio per quattro
generazioni, risalente agli albori dell’Ottocento. Per il suo lavoro Luigi si serviva di
scalpello, raspa, sguba, tenaglia, martello, bròche (chiodini) e stringhe di curàme
(pelle grezza), oltre naturalmente alla materia prima che ricavava dai morèri (gelsi)
e dai talpóni (pioppi padani), talvolta dai roveri. La sagomatura avveniva su una
mussa da socolèr, un banchetto attrezzato per sagomare zoccoli, appunto.
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Luigi divideva questo mestiere con quello di contadino in località San Luca di
Padernello. Al crepuscolo della sua esistenza, ne raccolse il testimone il figlio
Giovanni Battista (1866-1938), che seppe imprimere una decisiva evoluzione
all’attività di ciabattino tale che per i compaesani, Scarpèri divenne più usato di
Gabbin.
In Padernello emerge però un altro calzolaio come riportato dall’atto che segue
rinvenuto nell’archivio parrocchiale, abitante a Sala d’Istrana e morto in
circostanze misteriose, forse proprio mentre recapitava delle calzature da lui
riparate: “1675 lì 17 Agosto. Zuanne da Padua scarper fù sepolto in codesto
cemiterio essendo confessato et comunicato il 16 detto à Treviso in tempo
dell’indulgenza. Habitava nella villa di Sala”.
Ci fu un tempo in cui Luigi, Giobatta e Angelo Gabbin lavoravano insieme come
calzolai: nonno, padre e figlio, tre generazioni insieme. Riparavano ma anche
costruivano calzature su misura. Nei primi tempi si trattava di galosse e zoccoli,
ma poi con la specializzazione eseguirono lavori che erano delle vere opere d’arte
per i piedi più difficili o delicati. Sotto le suole delle galosse si mettevano delle
brocche perché non si consumassero troppo in fretta e delle strisce di gomma per
attutire il rumore.
I Gabbin “Scarpèri” servivano gli abitanti di Padernello, ma anche quelli d’Istrana,
di Pezzan e di Sala, ma molta gente arrivava anche da Paese e perfino dalla città
di Treviso. Soprattutto Angelo era ben conosciuto e stimato per le sue qualità
professionali. Frequentava dei corsi di taglio a Montebelluna, capitale mondiale
della calzatura: la “Scuola Allievi Tagliatori Calzolai”. Nel 1954 ricevette l’attestato
di maestro di taglio, diploma che gli fu utile per insegnare il mestiere a tanti
giovani allievi. Dopo di lui il mestiere passò ai figli Ido e Giovanni Battista, cioè
alla quarta generazione dei Gabbin-“Scarperi”.
A Castagnole, nella prima metà dell’Ottocento, emergono i Genovese detti
Zoccoler. Si trattava evidentemente di una famiglia che costruiva calzature di
legno.
Si lavorava tutta la settimana, e la domenica, dopo la messa, appese le sporte di
paglia alla bicicletta, una per parte, si recapitava la merce a domicilio.
A Paese capoluogo, nel secondo dopoguerra, calzolai erano Carlo Santin “Mòlo”
(1903-63) e il figlio Giuseppe (1935-91), e Cesare Condotta (“Osti”). Ma ancor
prima, nell’Ottocento, questo mestiere era prerogativa pure di Luigi Vendramin
(1853-1930), dei Bulgari. Il soprannome Bulgari trae origine dall’importazione del
pellame dalla Bulgaria. Luigi Vendramin faceva sì il calzolaio, ma anche il
muratore.
Una famiglia di geniali intraprendenti, con la tradizione di muratori, falegnami e
fabbri, è quella dei Mattarollo (“Mataròi”) e Mattarollo (“Beji”) di Paese (cfr.
“Famiglie d’altri tempi” - vol. II, dello stesso autore). Il loro passato è costellato di
personaggi che hanno lasciato una notevole impronta nel tessuto sociale e in
alcuni edifici pubblici. Spicca fra tutti Luigi Mattarollo (1862), chiamato “Jijo
Grando”, marito di Luigia Severin, il quale ufficialmente di mestiere faceva il
fabbro, ma era un tipo davvero versatile e pieno di idee. Sapeva riparare
macchine per cucire, orologi da taschino, trebbiatrici e macchinari di vario genere
e perfino costruire meridiane. Era anche un bravo contabile, aveva un talento
innato per la matematica e l’astronomia, sapeva suonare il pianoforte e l’organo
leggendo gli spartiti pur essendo autodidatta. Possedeva una stanza piena di libri
nella quale si ritirava appena gli restava un po’ di tempo libero. Un giorno fu
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chiamato presso la stazione di Paese a riparare una locomotiva che non voleva
ripartire, riuscendoci brillantemente mettendo in imbarazzo gli ingegneri
ferroviari.
Riguardo poi ai “Beji”, rimane indimenticabile Elia Mattarollo (1889), fabbro pure
lui, che esercitava con grande competenza il mestiere imparato dal padre Eugenio
quand’era emigrato in Argentina all’età di quattordici anni. Costruiva attrezzi
agricoli per i contadini delle pampas. A ventitrè anni, emigrato in Canada, a
Toronto, faceva il meccanico per una compagnia ferroviaria e lì si era costruito un
idrociclo, una bicicletta che andava sull’acqua come un moderno pedalò con la
quale si recava al lavoro evitando il caos del traffico. Della straordinaria
invenzione parlarono anche i media locali, ma non ebbe l’accortezza di brevettare
l’invenzione. In Italia se ne occupò pure il Gazzettino Illustrato del 21 Ottobre
1923: “Gli Italiani bravi all’estero”, era questo il titolo introduttivo al servizio
giornalistico che lo vedeva ritratto sul suo veicolo acquatico.
Elia, tornato dal Canada con il pingue bagaglio di eperienze, eresse dietro la casa,
in Via Breda, un piccolo laboratorio di meccanico, dove riparava e costruiva
biciclette, saldava il telaio con le sue mani e acquistava le ruote e gli altri
componenti in un emporio trevigiano. In questo lavoro era spesso coadiuvato
dalla moglie Annunziata Zanatta (“Maiuna”). Dal soffitto della piccola bottega
scendevano due catene con il terminale a gancio, alle quali venivano appese le
biciclette per il manubrio e la sella.
Con i risparmi della sua emigrazione americana, nel 1923 Elia acquistò la casa,
la bottega da fabbro e il terreno che i Beji già tenevano da fittavoli. Elia,
incoraggiato dal padre, diventò un artista del ferro battuto costruendo cancelli e
ringhiere. Molte ville lungo il Terraglio si sono arricchite della sua arte. A lui si
deve anche la croce sulla punta del campanile di Paese, così come è opera sua
quella della chiesetta di Villa Onesti, che ha sostituito la statua di S. Giovanni
Battista abbattuta da un fulmine.
Fece anche da maestro a tanti giovani che venivano nella sua officina fabbrile per
imparare il mestiere. Per un certo periodo fu il fontaniere comunale di Paese e
Istrana, essendo anche un bravo idraulico.
Un’altra famiglia di bravi artigiani era quella dei Fanton. Giuseppe Fanton (1886)
prima della Grande Guerra aveva lavorato nel palazzo reale rumeno come scultore
marmoreo e decoratore. Attribuirgli quindi il titolo di marmista equivarrebbe a
sminuirne le qualità artistiche. A lui si devono i monumenti ai caduti della prima
guerra mondiale eretti a Sant’Antonino e a Dosson di Casier. La sua bottega di
scalpellino era in Via Calmorgana a Paese, ora via mons. Breda. Sbarcava il
lunario soprattutto scolpendo lapidi funerarie, acquistando la materia prima
presso le famose cave di Carrara.
A raccoglierne il testimone fu poi il figlio Giovanni, che esportò il notevole talento
artistico in Canada, onorando il nome della sua famiglia e dell’Italia. Ora le sue
opere, in particolare monumenti, abbelliscono le più belle piazze di molte città
canadesi. Deceduto recentemente anche Giovanni, a continuare la stessa
professione, in Canada, è ora il figlio Giuseppe chiamato Denis.
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A Postioma e a Castagnole ci sono i Bertuola detti Favari. Si tratta di una famiglia
che, come dice il soprannome, lavorava il ferro, ma anche il legno, tradizioni che
si tramandano dal XIX secolo. Luigi Bertuola (1862-1923) fu il precursore di una
lunga discendenza di falegnami che continua tuttora. Il fratello Giovanni (18581935) invece faceva il fabbro. Dopo di lui pure il figlio Giorgio (1903-75) fece il
fabbro, ma in modo evolutivo secondo i tempi: costruiva macchinari per la
lavorazione della terra, attività raccolta poi dal figlio Agostino (1962). Pure Sante
(1860-42) ebbe una discendenza di fabbri con il figlio Antonio (1890-1970) che,
emigrato a Castagnole nel 1922, si mise a fabbricare rimorchi e altri macchinari
agricoli, una specialità che continua tuttora attraverso i nipoti, figli di Sante e
Giulio, mentre i figli di Ferruccio e Giuseppe tennero la falegnameria.
Un altro figlio di Sante, Giovanni (1905-85), marito di Antonia Giacomel, faceva il
fabbro-carpentiere, mestiere poi raccolto dal figlio Giuliano. Un altro figlio di
questi, Mario (1941) emigrò in Australia per fare il fabbro, fabbricatore di
macchinari agricoli, esportando così la consolidata tradizione di famiglia. Lavoro a
cui dopo qualche tempo, con una geniale intuizione volse le spalle per fare il
pasticcere, produttore di “pies”, la pizza australiana, e fu la sua fortuna. Fondò
infatti la “Sam’s Pies”, una ditta di catering per mense aziendali e istituti
scolastici, dando lavoro a diverse maestranze. Recentemente l’ha ceduta per
godersi la meritata quiescenza.
Sul fronte dei Bertuola “marangoni”, troviamo Antonio (1859-1969) figlio di Luigi,
il falegname. Antonio costruiva serramenti e mobilia in arte povera, ma anche
casse da morto. Gli bastavano due cavalletti e poche assi per costruire un letto
matrimoniale. Era soprannominato “Toni Tacon” perché eseguiva riparazioni
mettendoci delle toppe di legno. Per un lungo periodo, nei primi decenni del
secolo scorso, fu l’unico falegname in Postioma. Ad Antonio succedettero in
qualità di falegnami i figli Carlo (1923), Luigi (1926) e Mario (1932), tutti Bertuola
soprannominati comunque “Favari”. A parte i primi due, che continuarono il
mestiere tradizionale, a distinguersi diversificando l’attività pensò Mario, che si
mise a costruire lussuose caravan per giostrai. A Carlo, subentrò il figlio Sergio,
fino al 1998. L’altro figlio, Livio, è titolare in Postioma della Quadreria “Palladio”,
nel segno della tradizione familiare, ma soprattutto dell’evoluzione, che
continuano comunque anche con i cugini Graziano e Lino, figli di Alberto,
costruttori di serramenti basculanti.
Tra il XIX e il XX secolo, in Porcellengo svolgeva la professione di falegname
Amedeo De Cesaro. Lo si rileva da una nota spese relativa alla costruzione dei
banchi per la chiesa, commissionati dalla locale fabbriceria.
Sarti in Porcellengo, intorno alla metà del XX secolo, erano Nello Barbisan,
Celinda Mazzobel, Luigina Favotto e le sorelle Flavia e Teodora Rossi.
Falegnami in Padernello erano, e lo sono ancora dopo un secolo, i Piovesan. Ad
iniziare l’attività fu nonno Domenico a cavallo delle due guerre mondiali, per poi
cedere il testimone al figlio Guido, che lo lasciò prematuramente nelle mani di
Adriano, attuale titolare della falegnameria in Via Giusti. Tre generazioni di bravi
marangoni, che lavoravano anche per conto delle Industrie Montini, ma la
sequenza sembra destinata ad esaurirsi giacché non si intravedono eredi
all’orizzonte che possano dare continuità all’azienda per discendenza maschile.
Un’altra falegnameria era quella di Renzo Bordignon, detto “Pino”, in Via Trento,
la cui continuità è ora nelle mani del figlio.
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Lo stesso si può dire del falegname Giosuè Boldrin, residente pure in Via Trento a
Padernello.
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Un lavoro del tutto manuale è quello di barbiere. Nel capoluogo comunale, in Via
Roma vicino alla chiesa esercitava Alessandro Melchiorre D’Alessi detto
“Marcioro” (da Melchiorre, appunto), ma prima di lui facevano i barbieri anche i
fratelli Pietro e Lino in uno stanzino all’angolo di nord-est della casa dei
“Campanèri”. Ad Alessandro subentrò il figlio Gianfranco dopo aver appreso il
mestiere dal padre.
Garzone di bottega di Alessandro “Marcioro” era Angelo Busato, che poi coadiuvò
Gianfranco nella bottega di Villa, in sostanza si trattava di una casupola di fronte
al “campetto” di Villa, presa in affitto dal mediatore Evaristo Bresolin. Al
pensionamento del padre, Gianfranco D’Alessi si spostò nel “salone” del genitore
in centro a Paese, lasciando il locale di Villa nelle mani del compaesano Giovanni
D’Ambrosi (“Bote”), finché nel 1970, dopo un’esperienza di apprendista a Treviso,
questo fu rilevato dall’ex garzone Angelo Busato, che vi rimase fino al 1980
quando decise di trasferirsi nello stabile di Via Postumia, dove si trova
attualmente il salone “Angelo Moda”, acconciatore maschile.
Altri barbieri in Paese erano Carlo e il figlio Luciano Bressan, in una sezione di
quello che era stato il vecchio ristorante “Bersagliere”. Talvolta li coadiuvava
anche Luigino, l’altro figlio di Carlo, ma soltanto nel dopolavoro.
Al Centro Commerciale, in Via Fratelli Cervi, c’è il barbiere Guido Galatone, che
ha rilevato la licenza da suo padre Rocco, marito di Assunta Becevello.
A Padernello il primo barbiere fu Domenico Rizzato (1902-32), che aveva imparato
il mestiere dai D’Alessi di Paese, con i quali era imparentato sposando Angela
Anna D’Alessi (1905-99). Dopo di lui esercitarono i nipoti Sisto, Giovanni e
Arnaldo. Ed è ancora attivo in Via Ortigara, nonostante la veneranda età: è della
classe 1923. La moglie Elisa Zaratin (1930) faceva la parrucchiera.
In Castagnole, fin dal dopoguerra era barbiere Giuseppe Pavan detto Pino, prima
di passare il testimone al figlio Massimo.
Nessun barbiere professionista c’era in Porcellengo, al contrario di Postioma dove
esercitava già subito dopo la seconda guerra mondiale Livino Casarin, che ha
ceduto la licenza alla fine degli anni Novanta alle figlie Barbara e Alex, attuali
parrucchiere in Via Fermi.
Paese: le attività negli anni Venti
Nella guida di Treviso e Provincia del 1925 emergono le attività produttive del
territorio comunale di Paese i cui principali prodotti locali erano cereali, vini e
gelsi. La coltivazione di gelsi era correlata all’allevamento dei bachi da seta che
apriva la stagione dei lavori a primavera e che per la famiglia contadina era una
vera ricchezza.
Commercianti di bozzoli in Paese erano Carlo, Giuseppe e Antonio Dalla Riva, nel
cui negozio-magazzino si praticava l’ammasso, quindi Domenico D’Alessi a
castagnole e Angelo De Marchi. I cereali si consegnavano nei depositi dei F.lli
Garbujo, Giuseppe Dalla Riva, Angelo De Marchi, Luigi D’Alessi, Antonio Dalla
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Riva. I coloniali (tabacchi, saponi e profumi) si vendevano presso il Magazzino
Cooperativo. C’era perfino un cappellaio: Isaia Spirito, ma non è saputo dove
esercitasse.
I materiali per l’edilizia si potevano acquistare da Francesco Desiderà. Svolgevano
l’attività di fabbri: Anselmo Biscaro fu Carlo, Luigi Mattarollo, Mosè Mattarollo,
Elia Mattarollo, Giovanni Bertuola. Falegnami: Valentino Callegari, Abramo
Condotta, Pietro Mattarollo, Arturo Mattarollo, Luigi Mattarollo, Abramo
Mattarollo, Antonio Bertuola. I due magli mossi ad acqua erano dei Miglioranza
Fratelli fu Osvaldo e di Antonio Bertuola. Molini: Billio (molino in affitto in
Porcellengo), Miglioranza Fratelli fu Osvaldo, Luigi Marconato, Antonio Bertuola,
Giovanni Favotto. Panettieri: Adriano Bresolin, Ermenegildo Poratto, Ernesto
battifore, Luigi Pezzin, Fausto Dalla Riva, Giulio Tolomino, Ferdinando Nasato.
Fruttivendolo era Arturo Fantin, e c’era la latteria dei Fratelli Visentin.
Riguardo ai servizi sanitari si annotano due levatrici (ostetriche): Natalina Matara
e Angela Martinato. Medici-chirurghi erano il dott. Riccardo Dalla Zorza e il dott.
Leone Gingheusian. C’era un’unica farmacia a Castagnole, quella del dr. Franco
Candiani. Negli anni Cinquanta aprì a Paese, in Via Roma, la Farmacia del dr.
Sante Burlini, ora condotta dal figlio Antonio in Via Pravato.
La pasta si produceva nella citata fabbrica Vettorello & Pistrelli di Porcellengo, ma
anche nel laboratorio di Erminio Billio e Fratelli, probabilmente nella stessa
località.
Nella guida del 1925 si segnala anche la fabbrica di pesi e misure della Ditta
Montini Policarpo & Figli.
Proseguendo con i commercianti, troviamo i pizzicagnoli (salumieri): Casimiro
Bresolin, Giovanni Barbisan, Giuseppe Pietrobon, Giulio Tolomio, Luigi D’Alessi &
Figli, Lucchese Fratelli, Ferdinando Nasato, Giuseppe Dalla Riva, Antonio Dalla
Riva, Arturo Fantin, Emma Miotto, Giuseppe Barbisan, Gio.Batta Santi. Come si
può constatare, emergono più o meno gli stessi nominativi di cui sopra, ciò
significa che erano titolari di più licenze.
Molto pingue si prospetta l’elenco che segue relativo ai commercianti di vini, sia
da esportazione che da consumo (osterie): Ferdinando Cavasin (negozio di
grossista), Ida Bellio, Giuseppe Pietrobon, Antonio D’Alessi, Giuseppe Garbuio (a
S. Gottardo di Padernello), Paolina Righetto, Luigi Lucchese, Giuseppe Dalla Riva,
Giovanni D’Alessi, Giovanni Miotto, Angelo Parisotto, Domenico Bresolin, Matilde
Vanin, Luigi Visentin, Giovanni Bertolin, Pasqua Munari, Giordano Badesso,
Angela Signori, Giuseppe Barbisan, Arturo Fantin. Si trattava in sostanza delle
osterie sparse nel Comune e forse qualcuna era poco più che una semplice
“frasca” (osteria campestre).
Tra gli artigiani troviamo pure i sarti e le sarte: Ernesto Vendramin, Giovanni
Miotto, Luigi D’Ambrosi, Giovanni D’Alessi, Luigi Lucchese, Pierina De Marchi,
Rosina Milanese, Giuseppe Francescutti.
Per ultimo venivano le trebbiatrici ad acqua così come lo erano tanti molini mossi
dalla spinta impressa dalle rapide dei canali Brentella e Piavesella
opportunamente deviate. Svolgevano questo servizio per conto terzi nel territorio
comunale Giovanni Miglioranza a Padernello, E. Marconato a Postioma, i Fratelli
Billio fu Vincenzo a Porcellengo, la Ditta Montini Policarpo a Padernello, e
Ferdinando Pavan a Castagnole.
Per la cronaca si può aggiungere che nel 1925 era sindaco Domenico D’Alessi,
segretario il cav. Lio Canaider, conciliatore il cav. Giovanni Lucatello. Esisteva la
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Cassa Rurale di Prestiti, mentre il servizio di esattoria era svolto dalla Cassa di
Risparmio della Marca Trivigiana, fondata quattordici anni prima.
Interessante appare la storia dei Callegari (“Rissi”), falegnami in Via Roma a
Paese. L’attività si svolgeva nella vecchia casa a tre piani ancora visibile di fronte
al Club degli Spaghetti, al civico 114. Inizialmente la licenza apparteneva a
Valentino Contò (1801), che l’aveva ceduta, anziano, a Melchiorre Callegari
(1850), al quale era poi subentrato il figlio Valentino (1878) e poi il figlio di questi
Melchiorre (1907), che nel 1935 trasferì la falegnameria nella nuova casa al bivio
con la Strada del Cimitero. Il testimone di falegname fu raccolto quindi dal figlio
Valentino detto “Tino”, che lo mantenne fino nel 2005, quando l’ultimo marangon
dei “Rissi” con la quiescenza mise la parola fine alla secolare attività familiare.
Testimone di questi passaggi generazionali è un ultrasecolare metro di legno,
ancora ben conservato, che ogni anno veniva vidimato dall’Ufficio Metrico
Provinciale corrispondendo la relativa tassa. Porta ancora ben impressa la prima
punzonatura risalente all’anno 1872, mentre l’ultima fu apposta nel 1987. (foto
metro)
Melchiorre Callegari era soprannominato “Cèo Risso”, fu fondatore dell’AVIS di
Paese e primo presidente dal 1959. Era anche consigliere in seno all’Associazione
Artigiani della Marca, la quale, il 26 settembre 1982 lo premiò con medaglia d’oro
“per il costante e generoso impegno a favore dell’Associazione”.
Il mestiere di cariòto, ossia trasportatore, è vecchio quanto l’invenzione della
ruota. A Paese si ha testimonianza di un certo Stefano di Gasparo fu Pietro
Jaufner, che morì a Padernello il 10 febbraio 1827 cadendo accidentalmente sotto
la ruota del carrettone. Proveniva dalla Val Venosta. Nella prima metà del secolo
scorso svolgeva questo mestiere Luigi Bosco (1880), il quale trasportava inerti per
l’edilizia con un carretto trainato da un cavallo. Nel periodo tra il 1926 e il 1939,
lo praticava pure Silvio Pinarello (1902) per conto della ditta costruttrice della
variante alla statale Postumia, che prima passava sul percorso dell’attuale Via dei
Mille. Pur di guadagnare qualcosa in più aveva sbancato perfino parte del suo
cortile di casa, vendendone il materiale.
Lo stesso mestiere era appannaggio anche dei figli di Giovanni Nasato (1880,
“Moretoni”) e di Maria De Marchi, la cosiddetta generazione dei “cariòti”, per il
servizio di trasporto ghiaia e sabbia da costruzione che effettuavano con gli stessi
mezzi. Fu questo un lavoro svoltosi a lungo in casa dei Moretoni. In sostanza era
attivo ventiquattrore al giorno perché si andava in tutta la provincia e anche più
lontano. Non era raro che quando all’alba partiva il primo “cariòto”, qualcuno
fosse appena andato a riposare, di ritorno magari dal Polesine o giù di lì.
Contemporaneamente a Padernello il carioto Callisto Mussato (1899), si serviva
ugualmente di carretto e cavallo facendo servizio di trasporto per le sparute
attività produttive e commerciali della zona. Andava ovunque gli fosse richiesto,
dislocando qualsiasi tipo di merce: a Valdobbiadene e Conegliano a ritirare il vino
per le osterie della zona; a prelevare il ferro alla stazione ferroviaria d’Istrana per
conto della ditta Montini Policarpo; al Montello a caricare legna da ardere e per il
laboratorio di zoccoli dei Borsato d’Istrana.
Una citazione a parte merita la famiglia Pozzebon (“Pagoin”), che vanta una antica
tradizione di mastri ferrai, ossia di fabbro. Una tradizione trasmessa di
generazione in generazione fin dall’inizio del secolo scorso. Giovanni, Eugenio,
Antonio e Luigi, figli di Domenico (1867-1951) furono precursori di una
discendenza di imprenditori titolari di officine meccaniche che punteggiarono il
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territorio comunale di Paese, una consuetudine che si tramanda ancora oggi e
che continua con figli e nipoti (cfr. “Famiglie d’altri tempi”, vol. I, pag. 329).
Una figura professionale ormai scomparsa è quella del tecnico referente
dell’energia elettrica pubblica. Nel dopoguerra a Paese svolgeva questo servizio
Pietro Vanin (1915), figlio di Carlo e Angela Bon, che in precedenza aveva militato
nei Carabinieri Reali, dopo aver svolto il mestiere di bracciante dai Pavan
(“Pavanéti”) di Castagnole per un sacco di cereali al mese, oltre al vitto e alloggio.
Lasciata la Benemerita fu assunto all’Anonima Elettrica di Treviso, poi assorbita
dall’ENEL, di cui il Vanin diventò responsabile di zona, con ufficio in Istrana.
Quando a causa di un temporale saltava la corrente elettrica – cosa che accadeva
assai frequentemente negli anni Cinquanta/Sessanta - occorreva recarsi nel suo
ufficio per farla ripristinare. Con il diffondersi del telefono il disagio fu limitato,
ma ciò avvenne soprattutto grazie alle migliorate tecnologie.
Porcellengo: le attività nella prima metà del XX secolo
Nella più piccola frazione del Comune di Paese già nel 1896, su iniziativa del
parroco don Luigi Libralesso che aveva coalizzato una ventina di soci era sorta la
Cassa Rurale che finanziava le attività economiche del paese concedendo prestiti
a chi ne aveva bisogno.
Riguardo alle attività c’è da dire che rispetto alle poche centinaia di abitanti si
notava un certo fermento. A parte il Pastificio Vettorello e la latteria turnaria,
negli anni Trenta c’era anche una fabbrica di gassogeni a legna e a carbone, la
Frigonubex S.p.A. degli Olivotti in cui si costruivano apparati di carburazione ad
olio pesante per automobili, motori marini e industriali con tanto di brevetto.
Tra le imprese edili emergeva quella dei Barbisan, che negli anni Venti edificò il
nuovo asilo infantile. Il titolare morì durante questi lavori, portati a termine da
Alfonso Barbisan (“Binéti”) di Sovernigo. Al titolare dell’impresa subentrò il figlio
Giobatta, quindi i figli di questo, Giovanni e Luigi. Luigi era il padre di Gabriele,
titolare con i figli dell’attuale impresa edile Barbisan di Porcellengo, che, come si
può evidenziare, hanno alle spalle una lunga storia.
Negli anni Quaranta-Cinquanta esisteva in Porcellengo la falegnameria dei Fratelli
Paulon, Antonio e Guerrino. Ma c’era anche quella di Giuseppe Schiavon, in Via
Baldrocco, che nel 1948 si trasferì nel caseggiato visibile di fronte alla
biforcazione per Postioma, in Via Turati.
Schiavon costruiva essicatoi per la lavorazione dei bozzoli, ma era anche un
esperto carpentiere, un vero maestro nella costruzione di tetti in legno. Rimase in
quell’ambiente fino alla fine degli anni Sessanta, quando subentrarono le Officine
Colla.
Tra gli artigiani che fabbricavano arnesi agricoli c’era Dionisio Benedetti, abitante
lungo la strada che da Porcellengo conduce a Castagnole. Costruiva attrezzi da
lavoro e riparava veicoli agricoli, soprattutto ruote di carri. In un bugigattolo
teneva anche una piccola officina per la forgiatura delle parti metalliche. Era un
lavoro sudato, come del resto era quello del contadino prima dell’avvento della
meccanizzazione.
Un calzolaio che si chiamava Andrea Visentin dei “Momi” - ma tutti lo
conoscevano per Attilio - lavorava in uno stanzino in Via Baldrocco, poi in Via
Baracca. Era figlio d’arte giacché aveva ereditato il mestiere dal padre ed aveva
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per allievo Attilio Trevisan, che operò da scarpèr in casa propria per qualche
tempo, prima di abbandonare la professione e mettersi a fare il trasportatore di
cereali con il suo trattore.
Tra coloro che svolgevano lavori agricoli per conto terzi c’era Albino Favotto detto
Giusto, che possedeva anche una trebbiatrice. Dopo di lui continuò Angelo. Lo
stesso facevano i Barbisan, Mario e poi Renato. Possedevano motoaratrici e poi
più moderni trattori, seminatrici, falciatrici, e altri macchinari che sopperivano
all’impiego di tante braccia. Qualcuno lo chiamava il “cavallo di ferro”. Quand’era
al lavoro aveva sempre qualche spettatore, giacché era una meraviglia vederlo in
attività senza sudore, sbuffando e sussultando al comando di un uomo
comodamente sedutogli sopra, trascinandosi dietro due aratri, un’erpice, un
“rabio”, oppure soltanto un rimorchio. Il suo rombo sostituiva quelle che erano
state le grida d’incitamento delle bestie che arrancavano tra i solchi.
Tra i mestieri più richiesti, anche se stagionali, c’era quello di norcino, giacché
molte famiglie allevavano il maiale e nei mesi invernali gli si faceva la festa. In
Porcellengo i più richiesti erano Eliodoro Barbisan e Santo Baldassin, poi i loro
figli, tra i quali Guerrino Baldassin considerato al pari di un veterinario che
veniva spesso chiamato nelle stalle, soprattutto in caso di parto di qualche bestia.
Tra il 1985 e il 1994 a Paese era stata avviata anche un’interessante esposizione
artigianale, che si teneva in maggio sul piazzale dell’attuale mercato. Era una
vetrina di prodotti fatti dagli artigiani del luogo che venivano portati a conoscenza
del largo pubblico. Era soprattutto motivo di aggregazione e conoscenza reciproca
fra artigiani, di stima e di scambio di esperienze, tali che se ne sente ancora la
nostalgia.
All’inaugurazione presenziava sempre qualche personaggio politico. La Mostra
dell’Artigianato di Paese – così si chiamava – era promossa dalla locale
Associazione Artigiani, che aveva come trascinatori gli artigiani stessi del posto
capeggiati da Mario Biondo di Postioma e poi da Corrado Vendramin che si
avvicendarono come presidenti. Erano sostenuti dalla Giunta di Angelo Pavan.
Proseguì per una decina di edizioni, poi scemò.
Un artigiano d’altri tempi: Guerrino Callegari
Fra i mestieri artigianali che hanno nel tempo hanno subìto una straordinaria
evoluzione ci sono quelli di fumista e idraulico. Ad impersonarli ambedue con
grande maestria e straordinario ingegno, a Paese, era Guerrino Callegari (191699), figlio di Angelo “Caldato” e Teresa Pegoraro. Guerrino sapeva costruire cucine
economiche a legna e stufe ricavate da fusti di carburante funzionanti a segatura
e a legna, mestiere che aveva acquisito quando ancora adolescente frequentava
l’officina di Elia Mattarollo (“Bejo”), all’inizio come meccanico di biciclette e poi
fumista. Nel tempo queste attività, pur importanti e redditizie, lasciarono il posto
a quella di idraulico. Guerrino in questo mestiere era un po’ figlio d’arte, giacché
suo suocero Angelo Girotto, fin dal 1927, ossia da quando era entrato in servizio
il Canale della Vittoria, era responsabile della zona nord di Treviso, ossia dei
Comuni di Paese, Trevignano e Ponzano.
Il racconto della dinamica vita lavorativa di Guerrino Callegari ci viene raccontata
direttamente dal figlio Giuliano, medico, che prima di laurearsi, durante le
vacanze scolastiche estive seguiva il genitore coadiuvandolo nella sua attività.
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Non si può iniziare questa storia senza prima fare una considerazione su un bene
primario: l’acqua. Da sempre il contadino è stato fedele amico dell’acqua, senza la
quale non sarebbe possibile la vita e la terra sarebbe un immenso deserto.
Talvolta assai ridotte erano le coltivazioni quando, nei secoli andati, dipendevano
unicamente dalla piovosità del cielo, in particolare nel territorio di Paese, non
esistendo sorgenti o corsi d’acqua naturali. Nei periodi di siccità ai contadini non
restava che affidarsi al buon Dio, dal quale certo non prescindevano. Fu quindi
salutata come una benedizione la costruzione del Canale Brentella, la grande
opera idraulica realizzata dalla Serenissima catturando l’acqua del Piave a
Pederobba. Il progetto era stato affidato a Fra’ Giocondo da Verona, un frate
letterato, architetto e ingegnere idraulico, che iniziò la progettazione nel 1507
seguendone i lavori fino al completamento. La canalizzazione interessò 59 comuni
del Trevigiano, compreso quello di Paese. L’acqua non serviva solo per i raccolti,
ma soprattutto per gli usi domestici compreso l’abbeveraggio di persone e
animali.
Emerge in proposito un documento del Podestà di Treviso del 30 Aprile 1814,
inviato al parroco di Paese perché lo portasse a conoscenza della popolazione
diffondendolo dall’altare: “È introdotto un abuso in cotesta Parrocchia, che le donne
vanno a lavare all’acqua della Brentella i pannolini immondi, e tutto ciò che vien
loro fatto d’avere tra mani, e che abbisogni di essere mondato. Altri si fanno lecito
di gittare in quel Canale ogni bruttura corrompendo la purezza di quella sola acqua
che serve a dissetare gli uomini e gli animali. L’oggetto riguarda troppo d’appresso
le discipline sanitarie. Io la prego di pubblicare dall’Altare che debbono tutti
astenersi da tal abuso, mentre in diffetto chi mancherà sarà sottoposto alle penalità
portate dai regolamenti sanitari”.
L’opera fu in gran parte agevolata dal recupero della preesistente rete di canali
realizzata nel XIII secolo. Passarono tuttavia oltre quattrocento anni prima che
questa rete venisse potenziata con la costruzione nel primo dopoguerra del
Canale della Vittoria, catturando le acque del Piave a Nervesa della Battaglia.
L’atto di costituzione del Consorzio Canale della Vittoria fu firmato il 15 Agosto
1921 e l’inaugurazione avvenne l’8 Novembre 1925. Fu una specie di premio per
le famiglie del territorio che erano state penalizzate da tre anni di guerra, in
sostanza dal 1917 (ritirata di Caporetto) al 1919-20, ossia dopo la bonifica delle
campagne dai residuati bellici. In quel periodo il grosso dei raccolti andò perduto
e molte famiglie dovettero tirare la cinghia. Con quest’ultima imponente impresa
idraulica si metteva definitivamente la parola fine alla grande sete della pianura
trevigiana.
Me se ciò riguardava i raccolti, per gli usi domestici si dovevano scavare a mano
dei pozzi fino ad intercettare le falde freatiche del sottosuolo, profonde anche una
cinquantina di metri come succedeva a Postioma.
Nel 1932 finalmente si pensò di costruire una rete idraulica per usi civili,
catturando le acque del Tegorzo a Schievenin incanalandole in tubi di ghisa o di
eternit. Arrivava così anche nel comune di Paese l’acqua potabile distribuita
inizialmente dai rubinetti a getto continuo delle fontanelle pubbliche, che si
trovavano lungo le strade in prossimità dei borghi urbani, qualcuna ancora
esistente. In seguito entrò in ogni casa, nelle cucine e poi nei bagni e perfino nelle
stalle man mano che, a partire dagli anni Sessanta, la gente si costruiva la nuova
abitazione.
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A Paese l’acquedotto proveniente da Schievenin si dimostrò tuttavia insufficiente
già prima del boom edilizio, verso la metà degli anni Cinquanta, e per far fronte al
crescente bisogno di acqua si pensò di integrarlo costruendo dei pozzi pubblici
dove maggiore era la richiesta. La prima traforazione interessò l’attuale Piazza
Andreatti a Paese, la seconda il luogo di fronte alla chiesa di Padernello. Nel 1960
si rese necessario il traforo di un terzo pozzo a Castagnole, seguito quindi da
molti altri sparsi in tutto il territorio comunale, mentre le nuove case crescevano
come funghi.
Per costruire questi pozzi occorrevano tubi del diametro di nove pollici, usando
una sonda che richiedeva un traliccio alto dodici metri, nonché un argano molto
grosso a due tamburi, azionato da un motore di adeguata potenza. In un secondo
tempo fu sostituito da un trattore Fiat, serie “Diamante”. Il traliccio uscì
dall’officina di Guerrino Callegari, progettato in scala 1:1 sul cortile di casa,
usando spaghi e paletti di legno. Collaborò alla costruzione dell’argano Giovanni
Gasparini, noto metalmeccanico artigiano di Paese. I due, che erano dei bravi
professionisti, si capivano al volo: bastava tracciare con del gesso sul pavimento
dell’officina il pezzo da costruire.
Data comunque la continua richiesta e il crescente consumo di acqua, si pensò
bene di aumentare la sezione delle tubazioni permettendone un afflusso più
consistente, tale da sopperire ai pozzi, che furono eliminati tutti, tranne due. Per
il nuovo percorso idrico furono utilizzati tubi in pvc e in lega metallica, mandando
in pensione quelli di ghisa e eternit.
Elia Mattarollo fu il primo idraulico comunale di Paese e i suoi primi impianti
furono realizzati nelle ville dei signorotti locali. Guerrino Callegari lo seguiva
ovunque imparando il mestiere, essendo suo dipendente fino al 1946, salvo il
periodo di combattente. S’innamorò subito di questa nuova professione e, dopo
un grave infortunio, si mise a fare l’idraulico in proprio. In particolare scelse di
costruire pozzi nelle zone non ancora servite dalla rete idrica. Era l’unico a
svolgere questo mestiere per un territorio di vasto raggio, ma si trattava anche di
una scommessa con se stesso: era particolarmente attratto dall’acqua, che
considerava un bene unico e prezioso da quando, durante la seconda guerra
mondiale, aveva patito a lungo la sete nel Deserto Libico.
Cominciò la sua attività di fabbro lavorando sotto il portico di casa, costruendo
cucine economiche e stufe, senza perdere d’occhio quella di idraulico, fino a
diventare idraulico comunale, cioè autorizzato ad eseguire gli allacciamenti dei
residenti alla rete idrica pubblica.
Guerrino costruì il suo primo pozzo a Morgano, zona risaputamente di risorgive,
coadiuvato dai due fratelli più giovani, da un cugino e da alcuni amici. Tante
braccia servivano per sollevare un peso di ottanta chilogrammi, fatto scorrere tra
due guide, che si lasciava poi cadere sopra l’estremità di un tubo come un grosso
maglio. Il tubo penetrava gradatamente nel terreno fino ad intercettare la falda.
Sulla stessa tubazione veniva quindi avvitata una pompa a mano, pure costruita
dal Callegari.
Nel 1947, finita la guerra, l’attività andava a gonfie vele e Guerrino da solo non ce
la faceva a star dietro alle pressanti richieste che gli arrivavano. Decise pertanto
di assumere il primo dipendente e negli anni seguenti si aggiunsero anche altri
giovani desiderosi di imparare il mestiere.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta comparvero le prime elettropompe ad
uso domestico, che, collegate al pozzo, permettevano di portare l’acqua in casa e
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nelle stalle dove furono montati degli abbeveratoi, sgravando i contadini di una
parte di fatica quotidiana e migliorando il benessere degli animali.
Cambiarono quindi anche le tecniche di costruzione dei pozzi e Guerrino subito le
fece sue, costruendosi argani e adottando pompe a motore. Talvolta, per
permettere il corretto funzionamento del pozzo, occorreva costruire un avampozzo
del diametro di circa un metro, sul fondo del quale veniva posizionata una pompa
elettrica o manuale raccordandola al tubo metallico già piantato nel sottosuolo.
Sia la pompa elettrica sia quella manuale potevano essere collegate entrambe, ed
anzi fu questa la soluzione più adottata. Era una tecnica usata quando la falda si
trovava ad una profondità superiore ai sette metri dal piano campagna.
La costruzione dell’avampozzo in cemento avveniva scavando i primi quattro o
cinque metri con uno scavatore, che serviva anche a posizionare gli anelli di
cemento. Per andare più in pofondità era quindi necessario calarsi sul fondo e
scavare a mano con pala e piccone facendo scendere progressivamente nel
sottosuolo i manufatti di cemento. In questo modo si raggiungeva una profondità
di oltre una ventina di metri. Da qui, con una particolare procedura, si
raggiungeva la falda piantando un tubo metallico (v. schema allegato).
Queste erano le tecniche utilizzate nei sottosuoli ghiaiosi come quello di Paese, al
contrario trattandosi di sottosuoli creosi che opponevano maggior resistenza,
quali, ad esempio, i comuni del Parco del Sile, si usavano dei metodi adeguati per
raggiungere lo strato ghiaioso, che poteva trovarsi anche ad oltre un centinaio di
metri. È infatti risaputo che il terreno creoso non lascia filtrare l’acqua.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta, pur essendo serviti dal Canale della
Vittoria, molti contadini si fecero costruire un proprio pozzo per avere acqua in
autonomia. Venivano quindi piantati, con il sistema a percussione, tubi del
diametro di quattro/sei pollici, profondi una ventina di metri. Raggiunto la quota
di sottosuolo prestabilita, si mandava al loro interno dell’aria compressa finché
l’acqua usciva limpida. Il tubo veniva poi collegato ad una grossa pompa azionata
da un trattore e i campi venivano così irrigati con un sistema detto “a pioggia”. È
questo un modo tuttora largamente in uso.
Guerrino Callegari ebbe al seguito per un breve periodo un allievo straordinario, il
quale s’interessò del suo lavoro per esportarlo non a scopo di guadagno
personale, ma per altruismo. Si trattava di suo cugino, P. Giovanni Agnoletto,
missionario dell’Ordine della Consolata in Equador. Il sacerdote, nel 1958 era
rientrato temporaneamente a Paese dopo un decennio di missione e rimase
entusiasta del lavoro di Guerrino. Decise perciò di farlo proprio dato che nella sua
missione non c’era acqua potabile, ma solo un torrente inquinato da escrementi
umani e animali. Per alcuni giorni seguì il cugino e le sue maestranze per
imparare il mestiere.
P. Giovanni ripartì per l’Equador con tre pompe in ottone, e quando ritornò a
Paese dopo un lustro, esibì orgogliosamente le fotografie della prima pompa che
era riuscito a mettere in funzione, mentre tutt’intorno gli indigeni facevano festa.
Anche in seguito documentò le applicazioni idrauliche nelle scuole, nei dispensari
e perfino nell’università di agraria che era riuscito a costruire in quel mondo
benedetto dalla sua presenza.
Nel frattempo Guerrino Callegari, lasciate le attività di fabbro e fumista, decideva
di dedicarsi esclusivamente all’idraulica, soprattutto in qualità di tecnico
comunale, costruendo o sostituendo tratti di acquedotto lunghi anche alcuni
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chilometri. Tra questi si ricorda la sostituzione – nel 1972 – del tratto di Via
Roma.
Nei decenni seguenti continuò nella traforazione di pozzi di piccole e medie
dimensioni mentre sopravvanzavano le nuove tecniche che agevolarono
notevolmente anche questa pratica. Giunta l’età della pensione, questo
straordinario artigiano, precursore dei moderni idraulici, si dedicò
prevalentemente all’orto di casa, ma talvolta, per mantenersi in forma eseguiva
anche piccole riparazioni per amici e conoscenti. Smise del tutto a ottantadue
anni suonati, tre mesi prima di passare all’altra vita, lasciandosi alle spalle la
costruzione di circa ventimila pozzi.
Nella foto del 1967: Gita degli Artigiani trevigiani al Lago Bohinj a Bled (Slovenia). Accosciato,
secondo da sinistra, è Guerrino Callegari. Si notano anche Guglielmo Berlese (al suo fianco destro) e
Luigi Callegari (sesto da sinistra). In piedi, alle spalle di Guerrino si nota Melchiorre Callegari e
dietro a questi Gioachino Agnoletto. Accosciato in primo piano, con gli occhiali, un certo Ferrarese,
titolare del negozio “Campana” di Treviso.
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*
*
Pure la trasformazione di alcuni prodotti alimentari è correlata all’attività
artigianale, come abbiamo visto riguardo all’Industria Conserviera. Parliamo delle
gelaterie, e a Paese erano numerosi i titolari di bar-gelaterie che provvedevano in
proprio coi mestieri imparati spostandosi in grosse città, come fecero i Polin
andando a Milano. Chi non ricorda i tipici carrettini che giravano per le strade
con il fresco alimento? Vicino alla chiesa parrocchiale si piazzava ogni domenica
Luigi D’Ambrosi (“Bóte”), il quale, oltre ai gelati offriva anche dolciumi e palle di
castagnaccio, un altro in concorrenza era Guido Polin, ma pure i suoi fratelli a
turno vi si dedicarono. Altre specializzazioni appartenevano e appartengono
tuttora all’estro e alla fantasia dei singoli: imbianchino, idraulico, sarto,
elettricista, carpentiere, giardiniere, orologiaio, panettiere e pasticcere, fabbro,
falegname, senza dimenticare manovale e muratore.
Da quanto sopra si può concludere che, in fatto di mestieri, Paese ha sempre
marciato in ordine sparso, o meglio in un panorama lavorativo e produttivo
variegato, non individuandosi una caratteristica produttiva tipica della zona,
come ad esempio è la calzatura sportiva a Caerano e Montebelluna, la sedia a
Manzano, l’acconciatura delle pelli ad Arzignano, il prosciutto a San Daniele del
Friuli, il peperone a Zero Branco, il radicchio spadone di Treviso a Preganziol e
dintorni, o quello variegato di Castelfranco. Ciò può essere attribuito al fatto che
la Città ha sempre fatto sentire la sua influenza, catalizzando manodopera dalla
periferia. Paese, per la particolare vicinanza, ha sempre dato un ampio contributo
di maestranze in tutti i settori, ma pure in quello che fu poi chiamato terziario,
cioè lo sviluppo e la prestazione dei servizi alle persone.
Negli anni Ottanta si sono sviluppate notevolmente le lavorazioni decentrate, in
particolare i laboratori di confezioni che operavano per importanti industrie, quali
la Benetton e la Stefanel, ma sembra che anche questa forma sinergica sia ormai
tramontata. Attualmente si produce un po’ di tutto. Artigiani in senso stretto
possono essere considerati anche alcuni specialisti nella cura della persona, quali
barbieri, parrucchiere, estetiste, ecc.
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Donne e imprese
Il 1983 fu dichiarato dalla Comunità Economica Europea “Anno dell’Artigianato”.
Fu l’occasione per approfondire nel territorio trevigiano la funzione di questo
importante settore, visto al femminile. Nella circostanza, da uno studio promosso
dal Soroptmist International, Club di Treviso, in collaborazione con l’Associazione
Artigiani della Marca Trevigiana, emerse che si stava allargando velocemente il
gruppo delle donne imprenditrici le quali, con notevole fantasia ed operosità,
contribuivano a vivacizzare il mondo produttivo mettendoci tutto l’intuito e la
creatività tipica femminile. Per affermarsi stavano tuttavia ancora percorrendo un
percorso in salita, assai difficile, ma già facevano registrare una notevole
influenza in ambito imprenditoriale.
Nel 1983, su 21.758 imprese artigiane della Provincia di Treviso, quelle a
titolarità femminile erano soltanto 2.707, oltre a 209 contitolari. Primeggiavano le
parrucchiere, seguite dalle produttrici di manufatti a maglia e dalle sarte, quindi
dalle calzaturiere, ma figuravano anche 27 donne titolari di officine di serramenti
e minuterie metalliche e 32 fabbricanti di mobili e arredamenti in legno. Una voce
importante era costituita dalle imprese di lavatura e stiratura, oltre che dalle
estetiste.
Il Mandamento di Treviso, comprendente ventidue comuni, tra i quali quello di
Paese, registrava nel 1983 ben 854 donne titolari di imprese artigianali e 66
contitolari. La parte del leone la facevano ancora una volta 260 parrucchiere in
proprio, seguite da sarte e magliaie, quindi da titolari di imprese di lavatura,
tintoria e stiratura.
Certo i rapporti tra donne e imprese erano ancora molto complessi e si stentava a
riconoscere in loro delle managers professionali. Era ancora un certo maschilismo
a mettere i paletti, ossia i pregiudizi. Oggettivamente si nota che la grande
maggioranza di imprenditrici aveva soltanto la licenza elementare e solo il 22%
aveva assolto la media dell’obbligo, mentre il numero di coloro che avevano
frequentato un corso professionale scendeva addirittura all’8%. Dato rimpinguato
soprattutto dalle parrucchiere e dovuto alla specifica legislazione del settore.
Tuttavia erano le stesse imprenditrici a non ritenere fondamentale l’istruzione e la
formazione, indicando piuttosto molto determinante l’esperienza acquisita da
dipendenti in realtà produttive. Solo il 10% aveva acquisito conoscenze dirette
nell’impresa familiare. Le prime esperienze erano iniziate, per la maggior parte, in
età tra 14 e 15 anni. Significativa anche la dimensione aziendale a conduzione
femminile, che nei primi anni Ottanta registrava un massimo di tre dipendenti su
circa il 75% delle imprese; l’87% erano donne.
Le donne imprenditrici dimostrarono comunque di essere ottime organizzatrici del
lavoro aziendale, distinguendosi in particolare nelle relazioni con l’esterno
(banche, associazioni di categoria, rapporti con i fornitori e la clientela). Molte
comunque lavoravano ancora in rapporto di subfornitura. Un altro problema, che
si trascina in parte ancora oggi, è riuscire a conciliare la conduzione dell’impresa
con la presenza in famiglia. Emblematica la frase di un’imprenditrice che
giustifica così questo dilemma: “Per realizzare se stesse è necessario il lavoro; per
realizzare la famiglia bisognerebbe non lavorare”. Si può condividere o dissentire
da queste espressioni, ma sembrano tuttavia nascere dalla consapevolezza che è
difficile conciliare i due aspetti. Alcune donne rinunciano a formare una famiglia
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preferendo una brillante carriera, ma ce ne sono molte altre che sanno
rinunciarvi per realizzarsi come mogli e mamme.
Nel mondo del lavoro, nonostante leggi, agevolazioni e incentivi, esiste ancora uno
zoccolo duro di imprenditori che penalizzano la maternità, con vessazioni e
minacce nei confronti della donna, azioni malevole che andrebbero denunciate
senza esitazione.
Certo oggi la donna è ben inserita in ogni attività, dimostrando spesso di
possedere una marcia in più, soprattutto nei settori ad essa più attinenti. La
donna imprenditrice emerge e si distingue per la grande determinazione,
competenza e fantasia nei ruoli più variegati: manager, insegnante, ricercatrice,
artista, semplice lavoratrice. Più indietro, rispetto al maschio, rimane invece
ancora nella rappresentatività politica.
Imprese e ambiente
Oggi non è più pensabile di continuare a produrre senza tener conto
dell’ambiente. La ricerca tecnologica sta facendo un grande sforzo in tutti i settori
avendo come obiettivo lo sviluppo sostenibile. Soprattutto nel settore edilizio si
sta affermando la consapevolezza che confort e ambiente non sono un optional
ma un preciso e inderogabile dovere da ricercare. Lo impone la trasformazione
repentina delle condizioni climatiche del pianeta, vittima della concentrazione di
Co2 che viene prodotto per creare energia. Già si fanno strada le tecniche
ecobiologiche e soluzioni tipo come “Casa Clima” e “Casa Passiva”, sviluppato
secondo concetti nordici per l’efficienza energetica, limitando notevolmente le
emissioni inquinamenti.
Generalmente la casa è detta passiva quando viene realizzata in legno strutturale,
che è un isolante naturale in grado di sfruttare il calore derivante
dall'irraggiamento solare trasmesso attraverso le finestre, nonché il calore
generato dagli elettrodomestici e dagli abitanti dell’edificio, il quale è quasi
sufficiente a compensare le perdite dell'involucro durante la stagione fredda.
Gli edifici passivi, sviluppatisi nei paesi nordici, sono attualmente quelli più
efficienti dal punto di vista energetico, tali da rendere superfluo l'impianto di
riscaldamento convenzionale, consentendo la perfetta climatizzazione tramite un
sistema di ventilazione. In Svezia si è arrivati ad azzerare i consumi energetici
delle abitazioni con le case cosiddette appunto “ad energia zero". C’è da dire però
che, mentre le nazioni dell’Europa Settentrionale, spinte da condizioni climatiche
piuttosto rigide, incominciavano ad aguzzare l’ingegno in questo campo di ricerca,
l'Italia è sostanzialmente rimasta a guardare e oggi il patrimonio edilizio nazionale
è ancora un esempio di inefficenza energetica, salvo qualche sacca positiva.
Qualcosa sta cambierà sicuramente con l'entrata in vigore della certificazione
energetica obbligatoria degli edifici.
“Casa Clima” invece è un modello sperimentato positivamente in Provincia di
Bolzano, divenuto da Gennaio 2005 lo standard di costruzione edilizia di quel
territorio.
Il modello “Casa Clima” prevede tre classi energetiche: Classe Oro, quando
l'indice termico dell'edificio non supera i 10 KWh/mq annui e per riscaldare un
metro quadro di superficie abitabile è necessario un litro di gasolio, o un metro
cubo di gas; Classe A, con un indice termico inferiore ai 30KWh/mq all'anno e un
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consumo di tre litri di gasolio per riscaldare un metro quadro di superficie
abitabile; infine la Classe B, con un indice termico inferiore ai 50 KWh/mq
all'anno e una domanda di combustibile pari a 5 litri di gasolio. La casa di Classe
A è considerata una costruzione in perfetto equilibrio "economico-energetico".
A “Casa Clima” è associato un certificato che riporta in modo chiaro le
caratteristiche energetiche della casa. Si tratta di un documento in linea con la
direttiva europea 2002/91/CE e che esprime due tipologie di classificazione
energetica: una si riferisce al livello di isolamento termico dell'edificio, mentre
l'altra fornisce un indice dell'efficienza energetica della parte impiantistica, la cui
certificazione ora è diventata obbligatoria in tutto il paese, ma l'obiettivo è quello
di diffondere un nuovo modello costruttivo e forse il miglior punto di partenza
resta sempre l'esempio di “Casa Clima”.
La costante attenzione alle nuove tecnologie, ai sistemi sempre più evoluti e
rispettosi dell’ambiente, alle nuove scoperte per il contenimento dei consumi e
alternative energetiche oltretutto più salutari come quelle solare, geotermica,
idrica e fotovoltaica è diventata un obiettivo etico, ma anche motivo di business;
lo stesso dicasi per il campo delle nuove combustioni.
I cambiamenti in queste branchie sono veramente repentini, e occorre non farsi
trovare impreparati, pena l’uscita di scena. Ecco allora il ruolo della formazione in
tutti i campi per stare al passo. Il Trattato di Kyoto è stato una pietra miliare, ma
occorre creare cultura e radicare la sensibilità ecologica-ambientale che deve
andare di pari passo con le specializzazioni settoriali. A questo riguardo c’è
grande fermento e consapevolezza anche in molte aziende di Paese.
Gli stessi criterii dovrebbero valere anche per il territorio – a Paese così disastrato
-, che non si può continuare a violentare in nome del cosiddetto progresso, ma
abbisogna di un grande sforzo comune per ricercare modi nuovi e materiali
alternativi per la costruzione di edifici ed infrastrutture.
L’INDUSTRIA
A Paese le prime industrie fecero l’apparizione nel XX secolo. La prima in assoluto
fu l’industria bellica di Marnati & Larizza, che dava lavoro a tante persone del
territorio, perché non conosceva crisi date le continue guerre che hanno sempre
interessato il globo, seguita dalle Montini, che facevano capo all’omonima
famiglia. A Porcellengo sorse il Pastificio Vettorello, che ebbe un’importanza
enorme per l’economia delle famiglie del luogo. Gravava sul teritorio comunale la
Puppinato, industria meccanica, anche se si trovava in Comune di Quinto.
C’erano poi alcune fabbriche minori quali la Facchinello e la fonderia Pozzebon,
un’azienda tuttora insediata nella strada di Treforni, ai confini con il Comune di
Treviso.
A partire dagli anni Sessanta, a incidere nell’occupazione della gente di Paese fu
soprattutto la Osram, insediata con un proprio stabilimento a Monigo per la
produzione di lampade per automobili. L’azienda era allora particolarmente
ricercata giacché dimostrava di essere all’avanguardia in fatto di organizzazione e
modernizzazione degli impianti, ma anche per i contratti di lavoro mediamente
più interessanti delle altre industrie del territorio. Vi trovarono occupazione molte
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persone di Paese, uomini e soprattutto donne. Molte famiglie locali hanno tratto
vantaggio dalla presenza della multinazionale tedesca e alcuni suoi dirigenti sono
diventati stabilmente cittadini di Paese.
Tra le industrie cosiddette storiche, troviamo la Arredamenti Mario Moretti &
Figli, presente a Paese dagli anni Cinquanta proveniente da Treviso dove operava
fin dal 1938.
Un’altra azienda degli ultimi decenni, cresciuta fino a diventare piccola industria
è la Tintoria Industriale Lunazzi S.p.A. il cui presidente è Ado Montana, socio
anche della Stamperia Nardi s.r.l.
Il Comune di Paese non può comunque definirsi un territorio altamente
industrializzato essendo stato piuttosto interessato da un forte sviluppo
artigianale, risentendo ora del “post-industriale”, vale a dire della contrazione
degli investimenti a scopo produttivo preferendo invece quelli finanziari. Altrove,
nelle grandi aree economiche, si sta già andando oltre, verso la “Innovation”, la
Conoscenza, ossia si fa strada il concetto di condivisione di idee e tecnologie come
patrimonio comune.
Nel 1988-89 il Comune di Paese aveva destinato a Postioma un’area ad
insediamento industriale e commerciale denominata “Archimede”, con il
coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e della Regione, ma non fu mai
realizzata. Una nota esaurientemente esplicativa si ricava dal quotidiano “Il
Gazzettino” del 27 gennaio 1989, che titolava il servizio “Insediamenti a Postioma
con il progetto Archimede”:
“Piace all’assessore regionale al Lavoro, Aldo Bottin, il progetto «Archimede» che
prevede l’attuazione a Postioma di Paese di un’area per insediamenti industriali,
commerciali e di servizio per l’autogestione. Il progetto è stato illustrato durante una
visita dell’assessore regionale alla Teknoup officine meccaniche, l’azienda di
Postioma che insieme ad altre cooperative della zona si è fatta promotrice
dell’iniziativa.
Secondo il progetto Archimede, in un’area di circa 60 mila metri quadri di proprietà
pubblica, dislocata ai confini dell’attuale sede della Teknoup in Via Gemelli,
dovrebbero sorgere insediamenti industriali e capannoni per un totale di 25 mila
mq. Nei rimanenti spazi troverebbero posto uffici e servizi comuni e in convenzione
(sala riunioni, sala rappresentanza e servizi tecnici). È prevista inoltre un’area
commerciale comprendente una zona di esposizione per i prodotti, punti di
ristorazione, servizi tecnici e finanziari e un’agenzia per la formazione
professionale.
All’incontro con l’assessore regionale erano presenti il presidente regionale del
Cenasca Cisl (Centro Nazionale Associazionismo Sociale Cooperazione
Autogestione) Luigi Buratto e il direttore della Cenasca, Bruno Pozzobon, oltre al
presidente della Teknoup e del Consorzio cooperativo autogestite di Villorba,
Giovanni Callegari.
L’Assessore ha rilevato come il fatto che il progetto sia previsto in una zona in cui è
bassa la disoccupazione possa creare qualche difficoltà per la sua immediata
realizzazione. Ha però annotato l’importanza di un consolidamento delle attuali
attività produttive, impegnandosi perciò a valutare possibilità concrete di accedere
a finanziamenti che consentano di avviare il progetto Archimede.”
La Teknoup era nata dalla dismissione delle Officine Puppinato. Le maestranze
che vi lavoravano decisero di mettersi in proprio, o meglio in cooperativa per
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continuare l’attività. Attività che proseguì per un certo periodo finché dopo
qualche anno cessò.
LA “MARNATI & LARIZZA” (SIMMEL)
È stata questa la più importante industria del Comune di Paese nel XX secolo.
Pericolosa e spesso osteggiata, era tuttavia il motore economico di tante famiglie
che si sono sfamate grazie alla produzione di ordigni bellici, attività che non ha
mai conosciuto momenti di crisi.
Sorta come deposito strategico durante la Grande Guerra, la “Marnati e Larizza”
si è sviluppata gradatamente soprattutto a cavallo delle due guerre mondiali
quando la produzione andava a pieno ritmo. Non furono pochi gli incidenti e, data
la qualità della produzione, si può ben intuire che non si trattò di infortuni leggeri
che purtroppo riempirono le pagine di cronaca dei quotidiani locali: ci furono
infatti anche parecchi morti e feriti. Una rassegna in tal senso può essere ricavata
dalla pubblicazione, edita a cura della Emerald S.p.A. nel 2004, “Dove ieri si
fabbricavano bombe”, ma varie testimonianze dirette si possono dedurre dalla
raccolta di volumi “Famiglie d’altri tempi”.
Da semplice deposito il sito diventò una fabbrica attiva grazie ai due ex
combattenti della Guerra 1915-18 Attilio Marnati e Filippo Larizza, che si misero
in società nel 1927, fondando l’omonima ditta con sede in Bassano, dove loro
stessi risiedevano. L’azienda si sviluppò gradatamente man mano che si
acquistavano i terreni circostanti. Per convincere i proprietari veniva loro
garantito un posto di lavoro all’interno della fabbrica.
Molte sono le testimonianze che si potrebbero qui riportare di paesani che hanno
lavorato all’interno della fabrica, tuttavia si riporta, come esempio, soltanto quella
di Pietro Mosè De Lazzari di Castagnole, classe 1914, la cui abitazione distava a
un tiro di schioppo dalla fabbrica.
Molte sono le vicende, talvolta drammatiche, legate a quest’industria che - si dice
- arrivò a dare lavoro in tempo di guerra a oltre duemila persone. Due volte,
durante il secondo conflitto mondiale, alla casa degli «’Adari» volò via il primo
piano per lo scoppio della polveriera bombardata dagli Alleati.
Diverse persone perirono in queste circostanze, ma altri anche a causa dei
frequenti incidenti provocati dalla maldestra lavorazione del tritolo, che veniva
immesso nelle ogive. Successe anche il 4 ottobre 1934 quando rimasero uccise
ventidue maestranze. Eppure, nonostante il grave rischio di perdere la vita,
questa fabbrica bellica era assai ricercata dato che era una delle poche a dare
lavoro stabile. E che altro si poteva fare in alternativa se non continuare a
rompersi le ossa lavorando di zappa sotto il sole? Lo stabilimento era attivo
ventiquattr’ore al giorno; la produzione media giornaliera era allora di un
centinaio di bombe per addetto. Quotidianamente gli ordigni, confezionati in
robuste casse di legno, partivano su strada ferrata verso destinazioni ignote, ma
quel che è certo è che non si trattava di fronti pacifici.
Durante il regime fascista la lavorazione registrò un notevole incremento, date le
mire espansionistiche dell’Italia e le conseguenti guerre intraprese. Nello
stabilimento si lavorava in due turni giornalieri e non bastavano gli uomini per
star dietro alla crescente richiesta. Fu così che si offrì la possibilità di lavoro
anche alle donne.
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Ritiratosi Marnati, lo stabilimento passò interamente al socio Filippo Larizza.
Questi lasciò in Castagnole la sua benefica impronta, soprattutto in favore della
parrocchia, giacché sapeva di fabbricare strumenti di morte. La scuola materna
fu dedicata alla sua memoria. Le sue ceneri riposano dal 1969 nel cimitero di
Felette con quelle della moglie Marta Pocaterra, attrice romana grande
appassionata di cavalli. Ogni anno, i parroci che si avvicendarono a Castagnole,
don Aristide Prior, don Egidio Capoia e don Emilio Lazzaro, si recavano a
celebrare la Messa nella fabbrica, in occasione della ricorrenza di Santa Barbara.
Si faceva una gran festa, con pranzo e intrattenimenti vari.
Nel tempo, mentre il territorio si sviluppava urbanisticamente e
demograficamente, si prese coscienza che una simile industria non poteva
coesistere con la popolazione sempre più esposta a rischi vitali, in virtù
dell’evoluzione degli ordigni, divenuti progressivamente sempre più potenti e
micidiali. Si arrivò così finalmente a disinnescare la fabbrica. La chiusura
ufficiale, definitiva, porta la data del 15 giugno 1996, ma non fu un avvenimento
traumatico sul piano dell’occupazione locale perché le maestranze avevano già in
gran parte trovato un lavoro meno rischioso altrove, grazie anche
all’interessamento dell’Amministrazione Comunale.
Ora, dove un tempo si fabbricavano strumenti di morte, a cura della Emerald sta
celermente sorgendo una moderna cittadella, con i suoi spazi verdi e i servizi
essenziali, costruita a dimensione umana. Dal 2007 l’area ospita quello che ha
tutte le caratteristiche per diventare annualmente il più importante evento
culturale di Paese e dintorni: il Filòfest.
LE INDUSTRIE MONTINI
L’invenzione delle macchine, sviluppatasi nell’Ottocento, portò benessere anche
nel territorio comunale di Paese con conseguente avvio delle prime lavorazioni
industriali. Probabilmete la prima fabbrica in assoluto fu la Montini a Padernello,
che cominciò l’attività nel lontano 1870, con lavorazioni in ferro battuto in genere.
Il fondatore fu Policarpo Montini, padre di Arnaldo, Ido e Giuseppe, che ne
raccolsero in seguito il testimone.
Assai interessante appare la storia di quest’azienda, raccolta dalla viva voce
dell’ing. Policarpo Montini, nipote e omonimo del fondatore.
Il nonno era nato il 18 Maggio 1847 a Pezzan d’Istrana, in una famiglia di maestri
elementari. A svolgere questa nobile professione erano i suoi genitori e forse
addirittura i nonni di Policarpo. Una cosa straordinaria dato che l’istruzione era
delegata esclusivamente agli ordini religiosi e considerato che ancora nel 1892 nel
veneto l’analfabetismo toccava punte dell’85%. La scuola dell’obbligo, introdotta
dalla Legge Casati fin dal 1859 era di sole due classi, ma pochi la frequentavano,
quasi nessuno nelle campagne. Fu poi elevata a tre classi nell’ultimo decennio del
secolo e a cinque nel 1940. Non fu facile tuttavia convincere i genitori che era
importante istruire i figli. Pensavano infatti che fosse tempo perso avendo al
contrario bisogno della collaborazione della figliolanza per il lavoro nei campi,
dovendo assolvere all’obbligo di versare il dovuto ai legittimi padroni della terra.
Policarpo Montini, rompendo quella che era una tradizione familiare, non seguì le
orme dei suoi congiunti preferendo piuttosto dedicarsi ad un mestiere dove non
occorreva meno ingegnosità, ma sicuramente foriero di progresso e dal quale era
particolarmente attratto: il fabbro-meccanico.
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Era un periodo di grandi trasformazioni, di rivoluzione scientifica e tecnologica,
conseguenza dell’Illuminismo. Con le grandi invenzioni, soprattutto quella
dell’utilizzo del vapore, anche i modi di pensare si modificarono. Fiorirono
invenzioni di carattere pratico, che costituirono la radice delle grandi
trasformazioni concretizzatesi nel secolo XX, con l’invenzione del telefono, della
radio, della lampadina, dell’automobile, ma anche del fonografo, grammofono,
cinema, fotografia che portarono un’autentica rivoluzione nei costumi delle
persone, ossia una serie di comportamenti che prima non c’erano.
Da questo vento progressista fu investito anche Policarpo, il quale trovò
occupazione in qualità di apprendista in una ben avviata azienda meccanica di
Treviso e, data la sua bravura, ottenne presto la responsabilità di capo operaio.
Nel 1870, quando si completava l’Unità d’Italia, Policarpo si mise in proprio,
aprendo una piccola officina meccanica in Padernello in cui si svolgeva vari lavori
per conto terzi. Da poco il Regio Governo Italiano, seppur in ritardo rispetto ad
altri stati europei, aveva emanato una normativa che imponeva il sistema metrico
decimale (Legge sui pesi e sulle misure, 28 luglio 1861, n. 132 e R.D. che approva
il Regolamento pel servizio dei pesi e delle misure, 28 luglio 1861, n. 163)
affidando alle giunte municipali il compito di redigere ed aggiornare annualmente
– e più tardi con cadenza biennale - l'elenco delle persone residenti nel territorio
comunale che utilizzassero pesi e misure nell'esercizio di un'attività economica.
Conseguentemente pure in Treviso fu aperto un ufficio governativo di controllo
dei pesi e delle misure. Entravano in uso comune le bilance. Policarpo, intuendo
la novità, s’interessò di questa nuova istituzione, diventando assistente
dell’Ufficiale Metrico Provinciale e contemporaneamente si mise a fabbricare
questi nuovi arnesi ai quali lo Stato dava tanta importanza.
Aprì pertanto la sua prima bottega per la costruzione di bilance ad uso degli
esercizi commerciali e di misurini per i generi liquidi, non prima di aver ottenuto
la licenza dall’Intendenza di Finanza di Treviso, documento che porta la data del
23 gennaio 1870. Quel lavoro, anche se svolto in maniera piuttosto modesta e
artigianale, gli consentì di mettere il germe per il futuro sviluppo delle Indsutrie
Montini.
Sposata Ildegonda Lorenzon, Policarpo divenne padre di Francesco, Arnaldo
(1886), Ido, Giuseppe e di tre figlie. Furono Arnaldo, Ido e Giuseppe a raccoglierne
il testimone fin da giovanissimi, sviluppando su scala industriale il mestiere del
genitore, soprattutto nel settore ferroviario e idraulico, mentre Francesco
emigrava in Lombardia fin da giovane.
Arnaldo, essendo il maggiore dei figli, era il braccio destro del padre, il quale
riponeva in lui le speranze di crescita dell’azienda. Ciò si concretò nel 1906,
quando i Montini diventarono fornitori delle Ferrovie Statali, che iniziavano a
diffondersi in tutto il Paese, con conseguente impulso commerciale, data la
facilità con cui erano ora possibili i trasporti. La ditta conseguì con la fornitura
anche l’appalto della manutenzione delle stadere per la pesatura dei vagoni e
delle merci nelle tratte Mestre-Padova-Vicenza e altre.
L’attività andava benino e tutto faceva presagire un brillante avvenire quando
subì un brusco contraccolpo con lo scoppio della Grande Guerra. Padernello, che
si trovava nelle immediate retrovie del fronte sul Piave, vide sconvolta la
tranquillità della sua esistenza, con il meglio delle sue forze chiamate a
fronteggiare il nemico che minacciava di tracimare dopo la sconfitta a Caporetto.
Ne fu interessata anche la famiglia di Policarpo Montini. Partirono per il fronte
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anche Arnaldo e Ido, lasciando il padre e il giovane Giuseppe a condurre da soli
l’attività, che si fermò.
Al ritorno, sani e salvi, dei due combattenti l’azienda ebbe un sussulto
progressista. Così, mentre il padre era ormai sulla via del tramonto, toccò ad
Arnaldo assumere la guida della piccola azienda. Egli divenne procuratore
generale ed unico firmatario, incarico che mantenne ininterrottamente fino al
1950.
Il lavoro s’incrementò tanto che fu necessario aumentare la manodopera, dato
che tutto veniva fatto a mano e contemporaneamente sviluppare gli spazi
produttivi. Fu in quel periodo che ad Arnaldo si affiancarono i fratelli più giovani,
Ido e Giuseppe.
Lo stabilimento sorgeva in Via Ortigara, adiacente alla chiesa parrocchiale ed era
costituito da cinque capannoni costruiti in mattoni di terracotta.
Deceduto Policarpo nel 1924, l’anno seguente l’azienda fu registrata alla Camera
di Commercio di Treviso con la denominazione “Ditta Industriale Montini
Policarpo”, marchio attribuito per onorare la memoria del fondatore.
La fabbrica conobbe da allora uno straordinario sviluppo, tale da poter affermare
che non ci sia famiglia del piccolo centro di Padernello, ma anche altre dei
dintorni, che non ne abbia beneficiato. Tra il 1930 e il 1950 lo stabilimento dava
lavoro mediamente a circa duecento maestranze.
Furono ampliati i reparti di produzione, aggiungendo alla primordiale officina
meccanica un reparto di fonderia di ghisa e forgeria di acciaio. Pure la gamma dei
prodotti fabbricati si ampliò. Alle stadere a ponte, costruite per conto delle FF.S.,
furono aggiunte le bilance per la pesatura degli autocarri con portata fino a 40
tonnellate, quindi gru per sollevamento pesi anche di grande portata, tubi in
ghisa e chiusini per acquedotti, valvole e saracinesche per l’idraulica, colonne per
il pompaggio dell’acqua nelle locomotive a vapore, barriere per passaggi a livello e
altri vari tipi di manufatti meccanici ad uso di macchinari per fabbricazioni di
vario genere.
Grazie alla sua collocazione l’azienda ebbe un ruolo determinante nello sviluppo
sociale di Padernello, considerato, grazie a questa presenza, un paese fortunato.
Molta gente potè così avvalersi di un doppio reddito, dato che tutte le famiglie si
sostenevano anche grazie al campetto di terra, in tempi in cui lo sviluppo
industriale era ancora ai primordi: otterrà una determinante affermazione solo
con il Boom Economico degli anni Sessanta.
Nel 1935 Ido aveva deciso di uscire dall’azienda paterna per fondarne una
propria.
Nel 1950 anche l’azienda madre fu divisa tra i due fratelli Arnaldo e Giuseppe,
così nacquero due aziende: la vecchia ditta Montini Policarpo continuò l’attività
con Giuseppe, mentre Arnaldo fondò una nuova azienda con il figlio Policarpo
denominata “Arnaldo Montini & Figlio”, il cui presidente era lo stesso Arnaldo.
Questa continuò il tradizionale lavoro per conto delle Ferrovie dello Stato, con
proprio personale, circa centocinquanta dipendenti.
La “Arnaldo Montini & Figlio”, divenuta in seguito “Arnaldo Montini S.p.A., iniziò
un’attività totalmente nuova: la produzione di vasche da bagno in ghisa
porcellanata. L’azienda, pur mantenendo la fonderia a Padernello, aveva la
smalteria e tutti gli altri reparti di lavoro, compresi i magazzini e gli uffici, in Via
Postumia a Paese. Sorgeva su una vasta area nei pressi della stazione ferroviaria
ed era perciò agevolata nelle spedizioni. La particolare lavorazione, che non
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conosceva precedenti nelle fabbriche dei Montini, incontrò inizialmente non poche
difficoltà, ma queste furono superate brillantemente grazie all’esperienza e alle
capacità tecniche di Arnaldo.
La vasca da bagno era un articolo assai richiesto in un periodo in cui le case
crescevano come funghi, in particolar modo nel Comune di Paese, durante il
cosiddetto Miracolo Economico di cui si è parlato poc’anzi. La Arnaldo Montini
s.p.a. era uno dei pochi stabilimenti italiani di produzione di vasche da bagno in
ghisa porcellanata.
I manufatti che ne uscivano erano di altissima qualità, tanto da essere
particolarmente ambiti ed apprezzati. Quotidianamente, grazie alla particolare
vicinanza con la ferrovia, prendevano la direzione dei mercati nazionali ed esteri,
non solo europei ma anche mediorientali. Era un’azienda leader nel suo campo,
in buona salute, con un’ottima organizzazione di vendita. Arrivò a dare lavoro
stabilmente a circa 250 lavoratori, regolati da un management di tutto rispetto.
Si arrivò così agli anni Settanta, quelli che più risentirono della contestazione
giovanile del Sessantotto e che coinvolsero nella protesta anche le fabbriche. Da
questo vento fu investita anche la Arnaldo Montini S.p.A., che nel frattempo, alla
morte di Arnaldo, era passata nelle mani del figlio Policarpo in qualità di
presidente della società.
Dai suoi ricordi emerge un periodo di grave conflittualità ed esasperante
accanimento sindacale. “Preso dallo sconforto – le affermazioni sono dello stesso
Policarpo – pur essendo un’azienda in ottima salute, con un notevole mercato,
ben capitalizzata, senza alcun debito e con accantonata l’intera quota finanziaria
per l’indennità di licenziamento di tutto il personale, cedetti a malincuore il
pacchetto azionario ad un grande gruppo industriale nazionale”.
Il resto è storia più recente. La Montini Arnaldo, con marchio “Poppea”, non ebbe
molta fortuna e chiuse definitivamente dopo circa un decennio, lasciando sulla
strada un centinaio di maestranze, tra cui molti capifamiglia di Paese. Si
chiudeva così un’epoca che aveva caratterizzato la comunità di Paese-Padernello e
sollevato dalla miseria tante famiglie in tempi di notevole ristrettezza economica.
Le fabbriche Montini da tempo sono state consegnate alla storia locale. Rimane
tuttavia il ricordo di una famiglia particolarmente generosa, che ha lasciato la sua
benefica impronta nel territorio comunale di Paese, in particolare attraverso
Arnaldo e la moglie Luisa Rossetto, i quali, nei primi anni Sessanta, fecero
costruire a proprie spese la nuova scuola materna parrocchiale nelle vicinanze
della chiesa di Padernello, in memoria della sfortunata ventisettenne figlia
Ildegonda, chiamata Ilde, deceduta nel fiore della gioventù il 24 aprile 1960 per
incidente stradale, mentre tornava dalla Puglia con il marito Antonio Gatto.
* * *
In appendice a quanto sopra, si riportano delle notizie prese dai media locali, che
fanno capire come fossero percepite all’esterno dell’azienda le vicende della ditta.
Una testimonianza sui disagi e sulle potenzialità dell’azienda, è tratta dal
quotidiano “Il Gazzettino” del 19 Gennaio 1989, che titolava “Firmato l’accordo
alla Montini Arnaldo”:
“Un accordo aziendale particolare che parla di integrativo con un aumento salariale
di 85 mila lire mensili, ma anche di ecologia e di inquinamento ambientale. È stato
firmato mercoledì mattina dalla Cisl e dalla direzione della Montini Arnaldo, ditta di
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Paese che occupa 160 dipendenti nella produzione di vasche da bagno in ghisa. Nel
contratto un ampio capitolo è dedicato al rinnovo delle strutture aziendali. Strutture
sospette di inquinare l’ambiente tanto che il sindaco aveva proposto lo spostamento
dell’azienda minacciandone addirittura la chiusura. Il sindacato ha preso la palla
al balzo e Luigi Gallinaro, segretario della Federazione Metalmeccanici-Cisl ha
ribadito: «Gli impianti devono essere efficienti e competitivi senza che questo
comporti pregiudizi per l’ambiente circostante».
L’azienda ha risposto positivamente alle sollecitazioni di parte. E ha previsto una
serie di investimenti con scadenza triennale per rinnovare gli impianti di
lavorazione e soprattuttoil reparto fonderia. Il badget di intervento è di un miliardo.
I proprietari della ditta, comunque, non escludono la possibilità di trasferire lo
stabilimento, seguendo il consiglio dell’amministrazione comunale.
L’accordo aziendale prevede inoltre: il potenziamento dell’assetto direzionale; una
grande attenzione ai contratti di formazione e lavoro, che saranno seguiti con
costanti incontri tra sindacati e direzione; l’istituzione di una commissione
ambiente, composta dalla direzione e dal consiglio di fabbrica e l’individuazione
dello smaltimento dei residui di lavorazione.”
Le cose tuttavia precipitarono nel 1993 quando gran parte delle maestranze
furono poste in mobilità per l’aggravarsi della situazione. Il fatto emerge dal
settimanale diocesano “La Vita del Popolo” del 7 Novembre dello stesso anno, che
titolava “Allarme occupazione a Paese - Per la Montini una via d’uscita”. A firma
dell’autore di questa pubblicazione, tra le righe si ha conferma di quanto riferito
più sopra dall’ing. Policarpo Montini, evidenziando la situazione produttiva del
territorio comunale di quel tempo:
“Preoccupazione a Paese per il calo occupazionale dopo la chiusura nel luglio scorso
della Montini S.p.A., che ha posto in mobilità i 152 lavoratori, quasi tutti residenti
nel comune. Un autentico shock per una comunità dove le fabbriche sono davvero
poche,
essendo
l’economia
locale
basata
principalmente
sulla
microimprenditorialità. Il fatto turba particolarmente giacché fa seguito alle note
vicende della Simmel di Castagnole che lo scorso anno sfociarono nel licenziamento
di 90 addetti. Un autentico dramma per le famiglie, oltre che una mortificante
situazione per gente tradizionalmente abituata a vivere del proprio onesto lavoro.
Riesce davvero difficile comprendere come la Montini, che vantava un mito
ultracentenario di produttività ed efficienza, unica produttrice in Italia di vasche da
bagno (in ghisa porcellanata - nda), quindi con largo mercato, sia stata trascinata
in pochi anni nel baratro del fallimento. Sembra, infatti, che più che la congiuntura,
le cause di debbano ricercare in intrighi amministrativi, puntualmente coincisi con il
cambio di gestione nel 1984.
Tutta la vicenda è stata particolarmente seguita dall’Amministrazione che, d’intesa
con i capigruppo consiliari, si è fatta carico di attivare i canali necessari per
giungere ad uno sbocco positivo, vigilando, nei limiti delle proprie competenze
istituzionali su eventuali soluzioni speculative.
Mercoledì 27 ottobre è stata firmata, alla presenza del curatore fallimentare, dott.
Talamini, un’intesa con l’Arcadia di Catania, disponibile a rilevare da subito lo
stabilimento, assicurandone la continuità e riassumendo 142 lavoratori, stanziando
anche un miliardo per il risanamento ambientale della fabbrica. Qualche intoppo
era sorto in merito alle garanzie prestate dai nuovi titolari per il risanamento dei
debiti – 7 miliardi su 15 – reclamati dai creditori, ma anche questo è ormai in via di
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soluzione. La notizia è stata accolta con grande sollievo dalle famiglie dei lavoratori,
mentre si profila una benefica boccata di ossigeno per l’economia locale.”
Difficoltà attraversava anche lo stabilimento di Padernello prima che ne fosse
decretata la chiusura. Eloquente è l’articolo che segue, tratto dal settimanale
diocesano “La Vita del Popolo” del 16 luglio 1989, con il titolo “Cassa integrazione
alla Montini di Padernello”:
“È scattata per la terza volta consecutiva la cassa integrazione per 35 dipendenti
della Montini di Padernello, che potranno perciò tornare a lavorare, se tutto va
bene, in settembre, dopo le ferie.
Una situazione di preoccupante stallo che ormai regna da marzo e che non lascia
spiragli di speranza agli operai. Tanto che in questo periodo almeno una ventina di
loro ha cambiato lavoro. A complicare l’attività dell’azienda è stata la svolta
operata nelle Ferrovie dello Stato, per le quali la Montini lavorava, con la
sospensione di tutte le commesse.
Da parte dell’azienda vengono alcune rassicurazioni: dopo le ferie le ordinazioni di
materiale dovrebbero riprendere. Da parte dei sindacati invece la perplessità va
oltre la situazione contingente: nel settore, come sostengono i rappresentanti dei
lavoratori, è in atto una concentrazione delle aziende, con accordi di vario tipo,
soprattutto per avere competitività in vista del ’92. Insomma la cassa integrazione,
che non era mai arrivata prima alla Montini di Padernello, è il campanello
d’allarme: o si cambia o l’azienda è destinata a chiudere. E per i 73 dipendenti
quest’ultima prospettiva non è certo rosea”.
L’azienda, infatti, chiuse definitivamente i battenti non molto tempo dopo.
IL PASTIFICIO VETTORELLO DI PORCELLENGO
Era una delle rare industrie di un certo rilievo del Comune di Paese in epoca di
esclusivo bracciantato. Se a Castagnole c’era la Simmel e a Padernello la Montini,
pure la frazione di Porcellengo era baciata da una fonte di reddito diversa dalla
mera agricoltura.
Il Pastificio di Porcellengo era stato fondato da Angelo Vettorello (1852-1908) alla
fine del XIX secolo. Purtroppo non è stato possibile risalire con precisione alla
data poiché molti documenti andarono bruciati nell’incendio del 1963.
I Vettorello s’insediarono in Porcellengo, nell’attuale Via Baldrocco, sulla destra in
direzione Treviso, provenendo da Roncade, terra di vaste coltivazioni di cereali nota la tenuta di Ca’ Tron - imparentandosi con alcune tra le migliori casate della
borghesia locale e veneziana, quali Busida, Desideri, Varutti.
Angelo era sposato a Giovanna Cecconi (1850-1909) che gli diede Giovanni
“Gildo” (1885-1950) marito della veneziana Elena Desideri (1889-1978), quindi
Angelo che, coniugatosi con Eugenia (il cognome non è saputo), si spostò a
Treviso, Emma che si unì in Porcellengo a Giovanni Battista Polo. Sembra che
ancor prima del pastificio i Vettorello conducessero un molino, ceduto il quale, si
misero a fabbricare la pasta alimentare.
Tutta la lavorazione si svolgeva, com’è intuibile, a mano ma, con l’avvento
tecnologico, cominciarono a farsi avanti anche le prime macchine e ancora prima
della Grande Guerra, quando i Vettorello si trasferirono di fronte, nella grande
casa padronale dei Varutti di Venezia, installarono una gramola per impastare.
L’impasto usciva in grossi filoni malleabili che venivano caricati sulle spalle
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protette da un cannovaccio e passati nei torchi attraverso i quali si tramutavano
in spessi fogli di pasta. Più o meno come si fa ancora con la pasta fatta in casa,
ma a livello industriale. Da qui, passandoli attraverso due rulli mossi da
manovelle venivano sfinati e tagliati con le taglierine matrici. Ne uscivano
tagliatelle più o meno larghe, che poi con abile manualità si trasformavano in
matassine - o nidi come dir si voglia - ma anche in spaghetti che erano posti ad
essiccare su dei bastoni di bambù appesi orizzontalmente, quindi maccheroni e
altri prodotti che venivano stesi su dei telai. Si fabbricava anche un tipo di pasta
con “nutralia”, ossia con sostanze particolarmente nutrienti che veniva smerciata
negli asili infantili a sostegno della crescita dei bambini.
Un apposito stanzone riscaldato da una caldaia a carbone era adibito a
essicatoio. La caldaia che stava accesa ininterrottamente dalla mattina alla sera,
ma in seguito anche di notte, serviva per scaldare l’ambiente, per far bollire
l’acqua e creare la giusta umidità. La pasta veniva poi adagiata in apposite casse
di legno e così veniva commercalizzata. I vari bottegai alimentaristi, di Paese, di
Treviso, di Montebelluna e di tante altre località venivano a ritirarla con i carretti
e la rivendevano al dettaglio nei propri negozi, deponendola sciolta nei cassettoni
delle credenze. In seguito, con l’evoluzione, la Vettorello si munì di automezzi per
le consegne nei mercati veneziani, triestini e istriani, dove la pasta Vettorello era
particolarmente richiesta e apprezzata.
Pur essendosi trasferiti nella grande dimora rurale dei Varutti – dove erano
insediati anche i Francescato e i Paulon – i Vettorello mantennero lo spaccio nella
prima abitazione. In seguito fu loro ceduta tutta la grande casa che diventò
pastificio e abitazione, mentre le famiglie Francescato e Paulon si spostavano in
altri immobili dei Varutti.
In quel periodo, primo dopoguerra, chi si recava al mercato di Treviso, doveva
fermarsi nella stazione doganale di Monigo, all’incrocio che da Via Castagnole
conduce verso la chiesa. Qui si dovevano denunciare le merci e pagare il dazio.
Talvolta, d’inverno, passando con il calesse, con il pretesto del freddo, ci si
metteva una coperta sulle ginocchia, nascondendo qualche prodotto, cercando
così di eluderne il balzello.
All’inizio degli Anni Trenta, dato il successo che i prodotti Vettorello ottenevano, ci
fu la necessità di espandersi investendo notevoli capitali in macchinari più
tenologici. Giovanni Gildo Vettorello, subentrato nel frattempo al padre Angelo,
pensò di mettersi in società e fu così che nacque il “Pastificio Vettorello &
Pistrelli”. Il socio Cav. Giuseppe Pistrelli era allora podestà del Comune di Paese e
colse la palla al balzo subdorando l’ottimo affare.
In realtà sembra che la scelta di Giovanni fosse stata dettata dalla congiuntura
dovuta ad un problema di eredità con i congiunti già nel 1913 alla morte del
genitore e conseguente liquidazione dei beni. Fu questa l’occasione per cambiare
residenza. Giovanni andò infatti ad abitare in Via Turati, nella signorile villa stile
liberty di proprietà Vettorello.
Con i nuovi freschi capitali del Pistrelli il pastificio spiccò il volo. Grazie alle
moderne tecnologie la produzione s’incrementò parallelamente all’allargamento
dei mercati che conquistava e gli affari andavano a vele spiegate.
Conseguentemente pure le famiglie di Porcellengo ne beneficiarono. Gran parte
delle forze attive della più piccola frazione di Paese si alternavano nel pastificio
che andava notte e giorno ininterrottamente.
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Si arrivò così al 1950 quando, con la scomparsa di Giovanni Vettorello, il
pastificio passò nelle mani di Giancarlo (1921-85), il più giovane di quattro eredi.
Questi aveva conosciuto la futura sposa, Eleonora Martini da Parenzo, recandosi
in Istria per ragioni commerciali.
Quella che era l’unica realtà imprenditoriale che dava, oltre che da mangiare a
tante famiglie, anche un certo lustro a Porcellengo, s’interruppe bruscamente una
notte del 1963, tra domenica e lunedì, in cui l’attività era in pausa per il precetto
festivo. Un indomabile incendio mandò in fumo, con il pastificio, le certezze di
tanta gente e mise definitivamente fine all’attività del rinomato Pastificio
“Vettorello & Pistrelli”.
Attualmente, sull’area in cui si consumarono tante fatiche e si spensero
temporaneamente le speranze di tante famiglie, sorgono dei moderni palazzi
residenziali a dimostrazione che il progresso non si è comunque fermato nella più
piccola frazione di Paese.
I SERVIZI
Oltre all’artigianato, all’industria, al commercio, negli ultimi decenni del XX
secolo l’Italia ha scoperto il terziario, ossia il settore dei servizi, un insieme di
azioni e mestieri a supporto della quotidianità della persona e della società ai
quali si possono ora aggiungere l’assistenza, la consulenza e la sicurezza.
Fra i lavori di questa sezione presenti anche una volta, ricordiamo quello di
postino, stradino, acquariol (idraulico ma anche gestore delle irrigazioni
campestri), sacrestano e campanaro, fattorino (“cursor”) comunale, perpetua,
becchino, serva (collaboratrice domestica). Molte delle prestazioni di un tempo a
servizio della persona, come si può evidenziare, ci sono ancora anche se in modo
molto più evoluto. Fra le principali sono da annoverare quelle mediche e
infermieristiche di cui si ha notizia nel territorio di Paese già nel 1767, quando in
casa degli Zanatta successe una disgrazia: “Pietro figlio di Antonio Zanata, nello
sbarro che fece d’una pistola che si squarciò in due pezzi, restò gravemente offeso e
lacerato una mano, onde soffrì per lo spazio di giorni quindici dolori atrocissimi,
rese nel decimosettimo giorno lo spirito al Signore in età d’anni 35; fu assistito dal
Sig. Dr. Nicola Giuliani...”.
Memorabile ancora nel cuore della gente rimane il dott. Luigi Spilimbergo, medico
condotto e ufficiale sanitario a Paese dal 1950 al 1973, ma contemporaneamente,
per un certo periodo, anche di Castagnole. Prima di lui c’era stato il dott. Delaito
e poi Michele Pensato. Nello stesso periodo, medico di Postioma, Padernello e
Porcellengo era Angelo De Marchi. Negli anni Cinquanta a Porcellengo e
Castagnole era medico condotto Mario Marsoni. L’unica farmacia negli anni
Cinquanta si trovava a Castagnole, gestita dal dott. Candiani. Passò poi a Paese
con Dante Burlini.
A Castagnole a metà del XIX secolo era medico Domenico D’Alessi, il quale nel
1855 versò alla parrocchia la somma di lire mille per la costruzione della
canonica. Certo la medicina era di tipo empirico: spesso si praticavano dei salassi
per far scendere la febbre, ma non era raro che il paziente con questo tipo di cura
ricevesse il colpo di grazia.
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Un’altra figura professionale era quella dell’ostetrica, che un tempo di diceva
“mammana”, poi comadre, quindi levatrice, poi nobilmente ostetrica, ma c’erano
donne che s’improvvisavano tali per esperienza personale, cioè avendo avuto tanti
figli.
Negli anni Venti ostetrica a Paese era Natalina Mattara, seguì Maria Piccoli,
quindi Emma Follador, ma la più popolare fu sicuramente Maria Bianchin
chiamata Luisa, che operò dagli anni Cinquanta finché diventò una prassi
partorire in ospedale. Nel 2005 il Comune di Paese l’ha insignita dell’onorificenza
“San Martino” insieme con la sua alter ego di Postioma, Adriana Callegari.
Sacristi e campanari deella parrocchia di Paese erano fin dal 1840 i D’Alessi
(“Campanèri”), che abitavano di fronte al campanile, in Via Roma, nella casa
concessa in affitto dai Balzera di Zero Branco. Fra i loro compiti, oltre a suonar le
campane manualmente con grande dispendio di energie, c’era anche quello
dell’apertura, chiusura e pulizia della chiesa. Era un vero lavoro dato che, oltre
alle frequenti cerimonie, si suonava l’Ave Maria tre volte al giorno ed anche in
caso di incendio (“campana a martèl”). A Postioma il più longevo sacrestano,
tuttora in attività (2008) , è Luigi Mattarollo (1929), che vanta oltre mezzo secolo
di professione.
Una delle professionalità ormai scomparse è quella di fattore, detto in vernacolo
“castaldo”. Era l’amministratore dei beni agricoli e delle campagne dei signorotti
locali. A Paese, nel dopoguerra, aveva l’incarico per conto dei Panizza Luigi
Zanoni, futuro deputato, che lasciò il posto ad Alessandro Schiavinato. Luigi
Gallina era invece fattore in Villa Quaglia. Alla fine dell’Ottocento fattore in Villa
Olivotti a Porcellengo era Luigi Francescato, quasi contemporaneo ad Antero
Gamma, fattore dei Pellegrini in Villa “La Quiete”, attuale sede del municipio di
Paese.
Pure la funzione di stradino era una professione pubblica. Uno stradino d’altri
tempi era Giobatta Lorenzetto (1845) detto “Schiesèr”, il quale aveva in carico la
manutenzione del lungo tratto di Postumia, allora strada provinciale, assunta in
seguito a statale ed ora retrocessa a regionale, che interessava il territorio
comunale di Paese. A quel tempo l’arteria non era ancora asfaltata ed era
piuttosto tortuosa. Ai margini c’erano due larghi fossati e occorreva tappare le
buche, tagliare l’erba, innaffiare le piante e rettificare i cigli con il vanghetto
affinché la carreggiata non venisse invasa dalle erbacce. C’era inoltre
l’incombenza di liberarla dagli escrementi lasciati dagli animali da traino.
Stradini è tuttora il soprannome degli Zanatta di Porcellengo, che si
tramandarono questo servizio fin dal capostipite Antonio Zanatta (1903-45) detto
Rino Stradìn, figlio secondogenito di Gaetano e marito di Angela Borsato
soprannominata Polacca per il suo ferreo carattere. Con il suo lavoro Rino
riusciva a mantenere una famiglia di nove figli, purtroppo morì a soli 42 anni,
lasciando la famiglia in grave difficoltà.
I NUOVI SERVIZI
È un dato di fatto che i mestieri e le professioni cambino con il trascorrere del
tempo e conseguente evoluzione. Ma lo sviluppo che si è avuto in questo contesto
negli ultimi sessant’anni non trova pari in epoche precedenti.
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Oltre a quelle tradizionali, nuove professioni a servizio della persona si sono
sviluppate negli ultimi decenni. Esse comprendono attenzioni alle varie categorie
di persone, alle famiglie, ma anche alle attività produttive. Assistenza sanitaria,
trasporti, cultura (eventi), biblioteche, istruzione scolastica, formazione, turismo,
parchi e giardini, sicurezza, servizio civile, consulenze di vario genere,
comunicazioni, credito (banche e finanziarie), assicurazioni, oltre alle Associazioni
di volontariato in tutte le sue forme, ad iniziare dall’A.V.I.S. e ai gruppi ricreativi e
di mutuo sostegno, sono alcuni esempi.
Tra i lavori individuabili del terziario possiamo annoverare gli uffici comunali e
poi anche l’informatica, i centri bellezza e benessere, gli acconciatori di ambo i
sessi, le palestre, lo sport in generale, ma anche tante attività professionali come
quelle di commercialista, avvocato, consulente, progettista, baby sitter, tagemutter, asili nido, scuole dell’infanzia, assistente domiciliare, badante, centri per
l’impiego, uffici marketing, studi e sviluppo, ricerca, e tanti altri. Pure i media
(radio, televisioni, giornali) svolgono servizio di informazione e comunicazione; lo
stesso si può dire degli uffici turistici. Le agenzie immobiliari vanno anche oltre,
facendo da mediatrici.
Un grande ruolo nel campo dei servizi lo hanno pure le farmacie, che non
consegnano soltanto medicinali, ma che effettuano analisi, prenotano visite
specialistiche, misurano la pressione arteriosa, danno tanti utili consigli agli
utenti. Nel Comune di Paese ce ne sono attualmente cinque: nel capoluogo, oltre
alla Burlini, c’è dal 9 Giugno 2007 la Farmacia Comunale, in Via della
Resistenza; a Castagnole la farmacia Alessi, in Via mons. D’Alessi; a Padernello
quella della dott.ssa Rita Rosa Patricelli; a Postioma, in Via Fermi, la farmacia del
dr. Gino Silvestri, che in precedenza si trovava in Piazza Baldrocco a Porcellengo.
LE AZIENDE COMMERCIALI DI PAESE
ARTURO ROSSETTO ARREDAMENTI
Nata nel 1950, questa azienda commerciale ha oltre mezzo secolo di storia ed è
conosciuta per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Si trova in Via Udine 19, nel
cuore di Sovernigo, borgo storico di Paese (Treviso), dove spiccano le lussuose
vetrine della fornitissima mostra espositiva.
Non si può tuttavia parlare della Arturo Rossetto Arredamenti a prescindere dal
suo fondatore. Arturo Rossetto, classe 1922, è figlio d’arte, essendo stato
falegname già suo padre Valentino, che in epoca remota alternava questa
professione con il lavoro dei campi. “Giustar ‘na bóte, ‘na tina, un caréto era il
lavoro di Pin Buséto”: è ancora questo il detto che si tramanda in famiglia. Pino
era il diminutivo di Valentino, mentre “Buséto” è il soprannome dei Rossetto che
risale ai primi anni dell’Ottocento, quando abitavano in Castagnole e prima
ancora a Camalò di Povegliano. Valentino ebbe la saggezza e l’intuito di
coinvolgere i figli nella passione della lavorazione del legno, tale da farne degli
affermati imprenditori del mobile, compreso Arturo che fin da giovane ne ha fatto
la sua ragione di vita.
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Dopo le scuole dell’obbligo, in tempo di guerra, Arturo trova il modo di accrescere
le esperienze lavorando come apprendista in una nota ditta artigiana della Città.
Terminato il conflitto si mette in proprio costruendo mobili in generale, ma la sua
propensione è rivolta ai mobili da cucina e già nel 1950 fonda il Mobilificio Arturo
Rossetto, incontrando subito gli apprezzamenti della gente. Il lavoro aumenta
progressivamente, a tal punto che si devono assumere anche i primi operai. Certo
i macchinari sono ancora modesti, ma lavorano a pieno ritmo, mentre i mobili
vengono consegnati a destinazione con un carrettino a due ruote, condotto a
mano. Soltanto alla fine degli anni Cinquanta arriva il primo camioncino Fiat.
Grazie anche a questo mezzo di trasporto, il mercato si allarga. Un’ulteriore
spinta progressista avviene quando i mobili Rossetto sono richiesti da importanti
fabbriche industriali del Trevigiano e del Padovano, come Bornello e De Toni. Da
queste sinergie nascono nuove idee, che inducono il titolare a ricavare presso
l’abitazione la prima mostra di mobili usciti dalla sua falegnameria.
Erano gli anni Sessanta, quelli del boom economico, che videro Paese diventare
un immenso cantiere edilizio. La gente si costruiva la nuova casa che doveva
quindi essere arredata. Ne beneficiò anche questa azienda, la cui evoluzione
sembrava inarrestabile.
Si decide quindi l’ampliamento della mostra di Via Montello, ma ciò comporta
anche dei sacrifici perché pure le domeniche occorre tenere aperto, dato che la
gente lavora tutta la settimana e attende il giorno festivo per muoversi e visitare i
negozi. Ad affiancare Arturo è la moglie Lina Brunello, la quale più che una
venditrice sembra una mamma che distribuisce buoni consigli, soprattutto ai
giovani in procinto di sposarsi. Questo modo familiare di servire, unito alla
disponibilità ai pagamenti rateali, ha il potere di attirare molta clientela, e agli
inizi degli anni Settanta si deve ulteriormente allargare lo show-room al bivio tra
Via Montello e Via Udine, alzando di un livello il fabbricato che diventa rinomato
“Centro Cucine Arturo Rossetto”.
Con il passare del tempo anche i figli vengono surrogati nell’impresa familiare.
Entra per primo Claudio, sviluppando nuove idee e interpretando le tendenze
modaiole di cui anche il settore mobili è interessato. La ditta individuale subisce
contestualmente una trasformazione societaria diventando S.n.c.
Sembra non conoscere soste l’espansione di questa ditta, agevolata dal rinnovo
costante dell’appeal commerciale. Vengono trasformate le facciate esterne con un
look sempre più accattivante, supportato da indovinate azioni di marketing e
contemporaneamente si partecipa a fiere di grande richiamo. Ma è soprattutto il
passaparola il miglior veicolo promozionale, segno evidente della qualità
dell’azienda e dei suoi prodotti.
Nel tempo la Arturo Rossetto si modifica integrando alla produzione la
commercializzazione, pur conservando l’affidabilità di azienda integrata e quindi
in grado di assistere la clientela in ogni aspetto arredamentale e complementare.
Una nuova ragione sociale interessa la ditta intorno alla metà degli anni Novanta,
quando viene trasformata in s.a.s. L’occasione è data dall’ingresso nella società di
Augusta, sorella di Claudio, e della cognata Giuliana Renosto nel ruolo di
“interior design”.
Queste persone, infatti, si perfezionano costantemente presso la Scuola di
Arredatori di Interni, partecipando ai corsi periodici che si tengono in
collaborazione con le aziende del settore per stare al passo con l’evoluzione degli
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stili e delle forme. Qualità, serietà e affidabilità, abbinate all’esperienza e al giusto
prezzo, sono i motivi che avvicinano la clientela a questa azienda.
Arredare è diventato la peculiarità della Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s., che
può quindi avvalersi di professionisti qualificati, in grado di dare con competenza
il consiglio più appropriato, e ciò non riguarda soltanto la mobilia, ma l’ambiente
abitativo nel suo complesso. Tutto ciò avviene in modo naturale nell’azienda, la
quale ha scelto di fabbricare e commercializzare prodotti affidabili e garantiti
sotto tutti gli aspetti, grazie anche alle sinergie con esperti del settore, una
collaborazione che permette di soddisfare i clienti più esigenti, assistendoli anche
nel periodo post vendita.
Dato l’interessante passato e il tesoro di esperienze accumulato, la Arturo
Rossetto Arredamenti può offrire un servizio aggiuntivo, adattando l’arredamento
a personalizzazioni e finiture particolari, con impiego di legni esclusivi anche di
grande pregio. Questo modo flessibile di operare, le ha giovato una notevole
evoluzione e la fidelizzazione della clientela, ma anche la rappresentatività di
griffes prestigiose nel settore del mobile. Tuttavia essa stessa rappresenta ora un
sicuro marchio di garanzia e stabilità, e ciò è confermato anche dalle maestranze
che sono particolarmente affezionate alla famiglia Rossetto. Un esempio è Adelino
Vendramin di Paese, collaboratore da oltre quarant’anni, ossia dalla fine della
scuola elementare.
La Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s. si sviluppa su una superficie di 1.500 mq.,
comprendente la mostra e gli uffici. A far la parte del leone è la vasta gamma di
cucine componibili. Ce ne sono da sogno e per tutti i gusti: tradizionali, classiche
e moderne, in arte povera e laccate; composizioni che si sposano con ogni
qualsivoglia esigenza, ambiente e stile, in grado di soddisfare chi cerca la praticità
e la funzionalità e chi invece predilige l’estetica.
Oltre le cucine, il percorso del vasto show room si snoda attraverso camere e
camerette, mobili bagno e strutture per ragazzi, poltrone e divani per salotti
classici e moderni, arredamenti vari per la zona giorno. La cosa migliore è tuttavia
affidarsi ai consigli dell’azienda, che è disponibile con il suo staff di tecnici per
sopralluoghi e progetti su misura.
La Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s. è sul mercato da oltre 50 anni, apprezzata
anche oltre provincia. Dalla sede di Paese raggiunge ovunque la clientela con
propri capienti automezzi e qualificati montatori, anche all’estero. Con i mobili
fornisce un servizio a 360 gradi, a partire dalla fase di consulenza e progettazione
fino al montaggio dei componenti e complementi d’arredo.
L’attuale generazione Rossetto ha tesaurizzato gli insegnamenti dei precursori,
nel segno della continuità. Per continuare a crescere è indispensabile anzitutto
un grande affiatamento interno: credere in se stessi, senso di appartenenza,
armonia e spirito di sacrificio sono i fattori vincenti che i nuovi Rossetto hanno
capitalizzato nella loro azienda. Il notevole livello raggiunto non sarebbe stato
possibile se questi valori non venissero da lontano. Su queste basi, affidarsi alla
Arturo Rossetto Arredamenti è quindi la scelta ideale per fare della propria
abitazione un luogo in cui vivere confortevolmente.
Per informazioni: [email protected] – www.arturossetto.com – tel.
0422.451402, fax 0422.452794.
(mandare bozza all’azienda)
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BACCHION MARIA
Maria Bacchion (1943) è titolare di un negozio di calzature e articoli in pelle a
Postioma. La sua è una tradizione familiare che risale al papà Michele (19142000), già artigiano calzolaio in Istrana, produttore di ciabatte di tela, pantofole di
panno e zoccoli che, con qualche altro articolo, vendeva al mercato di Treviso
ancor prima dell’ultima guerra.
Maria iniziò a seguire suo padre nel 1955, quand’era appena dodicenne e aveva
da poco terminato la quinta elementare. Contemporaneamente i Bacchion
avevano aperto un negozio di calzature in Istrana, ma al giovedì, che era giorno di
mercato, allestivano all’esterno delle scaffalature componibili esponendo i loro
articoli.
Maria però non era soddisfatta di quel lavoro perché covava in sé l’irresistibile
desiderio di studiare, ma la sua famiglia aveva bisogno di lei, dato che era la
maggiore di dieci fratelli, sei maschi e quattro femmine.
Negli anni Sessanta avvenne il Miracolo Economico e le famiglie cominciarono a
disporre gradatamente del denaro per comprarsi il necessario, comprese le
scarpe. Della favorevole situazione beneficiarono anche i Bacchion, la cui attività
conobbe un notevole incremento. Confezionare ciabatte e zoccoli non bastava più
a papà Michele, che volle estendere il lavoro alla produzione di sedie in cuoio,
articoli tuttora fabbricati da due dei suoi figli - Igino e Carlo - nella zona
artigianale di Padernello (la Sillc).
Maria non si arrese e restò fedele al desiderio di continuare a studiare. Frequentò
le scuole serali con una quindicina di volonterosi come lei conseguendo il diploma
di 3a Media con insegnanti dell’Istituto Professionale di Castelfranco Veneto. Ora
che aveva raggiunto il bramato obiettivo, anche il servizio nel negozio di Istrana le
sembrava più accettabile e soddisfacente. Infatti, per la Bacchion il rapporto con
le persone è fondamentale oltreché gratificante. Soprattutto una volta la stima, la
fiducia e l’onestà erano sentimenti di grande valore ed ella ricorda tuttora quando
la famiglia faceva credito e i contadini saldavano i conti a San Martino.
Nel frattempo sono sorti ovunque centri commerciali che hanno messo in
difficoltà le piccole distribuzioni. Ciò ha segnato uno spartiacque nei rapporti con
la gente ma anche tra la gente, che ha perso in questo modo tanti riferimenti
umani a tutto vantaggio dell’individualismo e di un tipo di commercio senz’anima.
Se da un lato possono averne beneficiato i portafogli, dall’altro c’è da dire che la
società ci ha rimesso nei rapporti interpersonali. È venuto meno il senso di
comunità e il paese, che un tempo con le sue piazze e i suoi esercizi pubblici
costituiva il motivo e l’occasione per ritrovarsi, rischia di morire: questo è il
pensiero di Maria Bacchion. La gente fa la spesa nei grandi centri in modo
anonimo, spesso senza sapere cosa acquista, oppure compera ciò di cui non ha
bisogno semplicemente perché è attratta dal basso costo e dal martellante
marketing consumistico. Non si guarda più al servizio personalizzato e al calore
dei rapporti bilaterali, che rimangono pur sempre dei preziosi valori aggiunti.
La figlia di Michele Bacchion lo dice con una punta d’amarezza. Già fu difficile
ricominciare a Postioma dopo aver lasciato Istrana, poiché, risaputamente, ogni
volta si deve ripartire da capo. I suoi figli sono consapevoli di ciò e già hanno
imboccato strade diverse dalla sua: Damiano (1978) è diplomato geometra e opera
nel settore edilizio; Carlo (1982) invece è specialista meccanico. Nessuno dei due
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pensa di rilevare dalla mamma un’attività che non offre abbastanza sicurezza per
il futuro.
All’arrivo, nel 1992, del Centro Commerciale “La Castellana” i negozianti del
comune di Paese riuscirono a farvi fronte associandosi. Ora questi agglomerati
proliferano ovunque, conseguentemente la maggior parte delle piccole realtà si
trova in grosse difficoltà e già molti hanno chiuso. In effetti, per chi resiste non si
registrano più l’affluenza e la gratificazione di un tempo anche se il motto
dell’Associazione Commercianti di Paese offre “professionalità e qualità”. Maria
Bacchion dall’alto della sua esperienza vuole rimanere fedele al suo lavoro e il
negozio di 90 mq. – in Postioma, Viale Europa Unita 4 - è sempre ben fornito di
merce delle migliori marche e, grazie alla professionalità di chi lo gestisce, riesce a
procurare anche calzature particolari e su misura, secondo la tradizione
familiare, che già da sola è un’ottima garanzia, difficilmente riscontrabile in altre
realtà.
CENTRO COMMERCIALE “LA CASTELLANA”
I centri commerciali, che normalmente incorporano oggi al loro interno un
ipermercato, denominato in gergo anche grande distribuzione organizzata, hanno
rivoluzionato il modo di vendere e fare acquisti. In genere raggruppano una serie
di negozi merceologicamente diversi tra loro, in alcuni dei quali, soprattutto
nell’ipermercato, si possono fare acquisti anche autoservendosi.
Relativamente alla grande distribuzione organizzata, in Italia questo modo
autonomo e personalizzato di fare shopping iniziò nel lontano 1957 quando a
Roma apriva il primo negozio “self-service”, ma senza grande successo poiché
bisognava pagare subito alla cassa e ciò non apparteneva ancora alla cultura
nazionale. Gli italiani erano abituati a fare la spesa annotando il corrispettivo in
un libretto, che veniva saldato alla fine del mese. Il primo vero supermercato con
carrelli e self-service aprirà a Bolzano nel 1960, ma qui la cosa era agevolata dalla
mentalità tedesca. In Germania e Austria, infatti, da tempo questo modo di
acquistare era una consuetudine.
Ai supermercati, che richiamavano tanta gente, iniziarono ad aggregarsi altri
negozi con reciproca attrazione e, dato che la cosa funzionava, nacquero i centri
commerciali, sempre più grandi. Questi conglomerati si diffusero come funghi
negli anni Ottanta, a partire dalle città più importanti, fino ad interessare anche i
centri minori. Da allora si è assistito ad una inarrestabile evoluzione,
parallelamente alla competitività tra diversi promotori e costruttori per la
realizzazione del centro più imponente e attraente.
Nel 1992 pure Paese fu interessato da questo fenomeno. Il 7 maggio, al motto “Il
paese degli acquisti”, fu inaugurato il primo grande consorzio di negozi della
periferia di Treviso: il Centro Commerciale “La Castellana”, così chiamato perché
si trovava lungo la Statale Castellana (Via Postumia) che conduce a Castelfranco
Veneto. Sorse per iniziativa di Giuseppe Severin, un imprenditore locale che aveva
già edificato il complesso abitativo-commerciale a semicerchio di Via della
Resistenza e che per il nuovo insediamento si avvalse di una società specializzata
in progettazione di centri commerciali, lo Studio Conte.
Il complesso, che per il suo concepimento e i materiali impiegati si collocava tra i
migliori standard europei del settore, comprendeva 32 negozi di varie metrature,
distribuiti su una superficie complessiva di 14.000 mq., compresi ampi luminosi
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percorsi attrezzati di panchine e fioriere, con tre piazzette, di cui due in
prossimità degli ingressi, sovrastate da lucernari a piramide, una di queste
adibita a spazio ludico per i bambini.
Severin per la nuova entità riuscì a coinvolgere, oltre alla tedesca Interspar per
l’apertura dell’ipermercato, anche Meggetto Calzature, noto imprenditore del
trevigiano, formando una società appositamente costituita: la Dipor S.p.a. Il
Centro Commerciale “La Castellana”, rispetto agli standard odierni, si può ora
annoverare tra quelli di medie dimensioni e associa una trentina di negozi di
merceologie e superfici differenti. A parte le citate Interspar e Meggetto, alle quali
si è recentemente aggiunto Echos-Expert, media superficie di elettronica e hi-fi,
tutte le altre ditte occupano vari spazi di diverse dimensioni in veste di esercenti
commerciali.
L’arrivo del nuovo centro inizialmente provocò preoccupazione fra i duecento
negozianti dei dintorni. Ci furono anche delle proteste energiche ed interrogazioni
in Consiglio Comunale. I commercianti cosiddetti storici di Paese, adagiati da
sempre nel loro tranquillo status, vedevano nel nuovo insediamento un pericolo
per la propria sopravvivenza, ma il progresso, come la Storia insegna, è
inarrestabile, inoltre la gente dimostrava di apprezzarlo dato che poteva
beneficiare dell’abbassamento dei prezzi e di una scelta più vasta.
Ai commercianti di Paese fu offerta la possibilità di aggregarsi nelle forme più
congenite. Qualcuno accettò, ma i più declinarono l’invito per poi coalizzarsi.
Nacque così, con una sessantina di aderenti, l’Associazione Commercianti di
Paese, che ha come marchio distintivo una grande stella.
Inizialmente il progetto del Centro Commerciale “La Castellana”, che comprende
anche una palazzina direzionale, prevedeva dei giardini pensili con percorsi
pedonali, ma non furono mai realizzati. La struttura è servita da ampi parcheggi
di cui uno interrato.
Gli anni migliori furono quelli che seguirono l’apertura, giacché per Paese e
territori limitrofi il complesso rappresentava una novità assoluta. Il richiamo ebbe
un impatto positivo con conseguente arrivo di tanta gente anche da fuori. In
seguito ci fu un calo fisiologico e non mancarono i momenti di congiuntura dovuti
alla concorrenza sempre più agguerrita, al proliferare di centri analoghi e
probabilmente anche all’aumento dei costi di gestione, e ciò si tradusse in una
naturale selezione degli esercenti.
“La Castellana” non è comunque mai venuta meno alla sua peculiarità: il
richiamo sociale. Memorabili rimangono le manifestazioni organizzate in
collaborazione con il Moto Club “Dino Grespan” di Paese, in particolare quello del
1994 in occasione della “Alpe Adria Cup”, gara internazionale di motocross, che
vide l’esposizione e la dimostrazione di mini moto sul tracciato del grande
parcheggio con i più grandi campioni della disciplina del momento. Quel 30
Aprile, giorno antecedente le gare ufficiali, rimane ancora nella memoria degli
organizzatori e appassionati di questo sport motoristico. Nel pomeriggio le
delegazioni delle nazioni partecipanti – Italia, Austria, Croazia, Slovenia,
Slovacchia, Germania e Ungheria – furono ufficialmente presentate alla stampa
proprio nel centro commerciale “La Castellana”; la cerimonia fu ripresa dai media
locali, tra cui l’emittente trevigiana Antenna 3.
Nel tempo la disposizione interna dell’edificio fu parzialmente modificata per
agevolare l’espansione dell’ipermercato. Sempre inalterate rimasero tuttavia le
aree dei tre ingressi, che permettono l’agevole accesso della clientela alle gallerie e
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che ospitano spesso promozioni di attività commerciali esterne al grande centro.
Di queste vetrine espositive approfittano tuttora concessionarie, mobilieri,
venditori di moto-cicli, librai, e altri.
Il Centro Commerciale è attualmente diretto dalla società Unicenter S.r.l. di
Padova, azienda del Gruppo Agorà-Aedes, grazie alla quale La Castellana sta
vivendo un graduale processo di aggiustamento e restyling. Il direttore
attualmente è il dott. Bortolami, un professionista del settore e soprattutto un
grande appassionato del proprio lavoro. Grazie alla sua carica giovanile lo
shopping center non appare più come un’entità isolata, dove la gente si reca per
gli acquisti quotidiani e poi fuggirsene via, al contrario si propone come luogo di
richiamo e di aggregazione, in particolare per le famiglie, clientela naturale della
struttura
In virtù di questa connotazione sono state instaurate relazioni sinergiche con
associazioni culturali e sportive di Paese, quali la Pro Loco Comunale, il Progetto
Giovani e il G.S. Dinamis. Lo si constata a maggio, in occasione dell’annuale
manifestazione “Paese tra fiori e sapori”, durante la quale “la Castellana” mette a
disposizione i suoi grandi spazi esterni per il parcheggio di scambio con il centro,
servito da un simpatico trenino turistico.
In tempi recenti sono state ospitate varie mostre, ad esempio quella per il 50° del
Moto Club Paese (2007) e delle “Arti e Mestieri de ‘na volta”. Ma sono stati
organizzati, con un occhio di riguardo, pure incontri sportivi per i giovani e
concerti di musica leggera. Lo scopo è quello di attribuire alla “Castellana” un
ruolo centrale, facendola diventare sempre più luogo d’incontro e di
socializzazione. Un nobile e lusinghiero progetto certo, alla sua portata data la
possibilità di discreti spazi interni e grandi superfici esterne. In fondo si tratta di
una prestigiosa vetrina visibile dalla trafficatissima arteria stradale che la
lambisce.
Il futuro potrebbe riservare alla clientela ed ai frequentatori abituali della
struttura un’ulteriore rivisitazione in termini di sviluppo edilizio e commerciale,
ferma restando l’attuale presenza in essere già dal 2005, nella palazzina
direzionale che sovrasta il centro commerciale, della sede provinciale della
Coldiretti di Treviso.
Gli obiettivi più immediati rimangono un sempre maggior coinvolgimento e una
più stretta integrazione con il territorio.
Per informazioni: Tel e fax, 0422-451032, Indirizzo Mail [email protected] o
[email protected].
CERAMICHE “IRIS” di Giordano Nasato
È questa un’azienda commerciale, nata in Paese nel 1973 per iniziativa di
Giordano Nasato (1931), già cameriere e poi per quattordici anni muratore con lo
zio Egidio-“Memo” Barbisan (“Binéti”), quindi piastrellista in un’azienda edile
negli anni Sessanta, mestiere quest’ultimo che lo teneva spesso lontano da casa,
condizione che gli costò parecchi sacrifici. L’insostenibile distacco dalla famiglia
fu infatti la goccia che fece traboccare il vaso, la molla che lo indusse a mettersi
in proprio aprendo un negozio-magazzino di pavimenti e rivestimenti in ceramica,
in linoleum e moquette, oltre alla vendita di articoli sanitari e rubinetteria. Allora
Giordano era un giovane trentenne, voglioso di affermarsi per sistemare
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dignitosamente la famiglia. Il primo dei desideri era quello di costruirsi una casa
nuova, dato che veniva da una famiglia patriarcale, semplice, particolarmente
numerosa: i “Moretèi” di Sovernigo. Il sogno si realizzò in Via 16 Giugno e in quel
nido vennero al mondo i suoi figli. Erano gli anni del boom economico, durante i
quali molti si costruirono una nuova abitazione aiutandosi tra amici in
vicendevole solidarietà nei fine settimana, con pochi arnesi e tanta buona volontà.
Per Giordano il primo passo da intraprendere per avviare la nuova attività
consisteva nell’assicurarsi la rappresentanza di buoni prodotti. Contattò perciò
varie industrie di piastrelle in ceramica trovando rispondenza nella Iris di
Sassuolo-Fiorano, che gli affidò il suo marchio ed aprì bottega coadiuvato dalla
moglie Angela Beccevello (“Rasmi”), che accoglieva la clientela, offrendo nel
contempo la posa in opera da parte del marito. Il primo decennio fu
particolarmente duro, anche se fu quello che gli diede maggior soddisfazione.
Certo il lavoro di piastrellista costringeva Giordano a immani sacrifici, lavorando
inginocchiato dalla mattina alla sera.
Lo aiutò il coinvolgimento del figlio Lorenzo (1965), che si buttò a capofitto con
grande passione nell’attività del padre appena terminata la scuola dell’obbligo.
Grazie alla nuova spinta il progresso fu presto evidente e per Giordano fu un
salutare sollievo. L’azienda si munì pertanto di nuove attrezzature che
agevolarono notevolmente l’attività, compreso un camioncino da trasporto
materiali. Ai due si affiancò poi Roberta, che si dedicò alla contabilità e lavoro
d’ufficio. Si completava così il coinvolgimento di tutta la famiglia nell’impresa
casalinga.
Giordano è un imprenditore che non ha guardato soltanto al commercio e al
profitto, ma ha dimostrando che si può godere delle gioie che la vita offre. Col suo
animo particolarmente sensibile ha saputo coniugare l’attività lavorativa con la
passione artistica. Da sempre attratto dal bel canto ha coltivato questo suo hobby
parallelamente all’attività imprenditoriale, fino a diventare un apprezzato
cantante lirico. Dalla corale parrocchiale di Paese, nella quale era entrato nel
1952, si aggregò al coro “Costanzo Porta” di Treviso e poi al coro “Stella Alpina”.
Conscio del suo talento, ammaestrò la sua voce sotto la guida del M° Osvaldo
Alemanno, che lo portò ad affinare il repertorio classico, in particolare quello
verdiano. Da allora non si contano le esibizioni e i successi raccolti in teatri,
auditorium e chiese. Non si possono enumerare i concerti né le cerimonie
matrimoniali per le quali era richiesto. Con la sua profonda voce di basso, vinse
nel 1982 il Concorso Internazionale “Aureliano Pertile” di Budrio (Bologna). Da
allora fu una strada in discesa in fatto di apprezzamenti e notorietà. Entrò come
corista in teatri famosi, quali la Fenice di Venezia, l’Arena di Verona e il
Comunale di Treviso. Incise nel 1986 il suo primo LP, “Una voce amica” che gli
aprì le porte dei teatri e rassegne di paesi esteri: Memorabili le sue affermazioni a
Zurigo e al Concerto Nazionale Sloveno del 1998 con l’Orchestra di Lubiana, nel
ruolo di Don Basilio, nell’opera “Il Barbiere di Siviglia”. Ancora recentemente marzo 2007 - nonostante l’avanzamento dell’età, si è esibito al Festival della
Canzone Napoletana con il motivo “Core ingrato”, sponsorizzato dall’Ascom di
Treviso, raccogliendo una strepitosa affermazione.
Giordano ha dimostrato frequentemente di essere un personaggio dal cuore
grande, prestandosi a numerosi concerti di beneficenza. Memorabili a Paese quelli
a sostegno dell’Associazione “Amici di P. Pio Callegari”, sfatatndo il detto che
“nessuno è profeta in patria”. Giustamente gli sono piovuti anche numerosi
riconoscimenti per questa sua disponibilità e per la sua carriera artistica. Un
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artista casalingo, un imprenditore che ha saputo coniugare il fattore economicocommerciale con il giusto tempo libero e la solidarietà, che ne fanno un
personaggio ideale. Un esempio raro viene da quest’uomo, primogenito di Giulio
Nasato e Ester Severin (“Searìni”), soprattutto nei confronti dei suoi figli, per
saper dare il giusto valore alla vita.
Pure Lorenzo sta dimostrando di aver preso dal padre, dato che si divide tra il
lavoro di posatore e l’hobby della musica e pittura onirica, come la chiama egli
stesso. Ha già esposto le sue opere in una personale di pittura, con buon
successo. Davvero un bell’esempio di continuità ed evoluzione familiare a
testimonianza che gli affari e la cultura possono fondersi in ideale simbiosi.
Il cuore del padre imprenditore-artista può guardare ora con compiaciuta serenità
al futuro e al coronamento degli investimenti di una vita ben spesa. Ma come
dimenticare quei tempi di povertà quando nel 1947, subito dopo la guerra, aveva
iniziato a lavorare nell’impresa di “Toni Scolo” (Antonio Vendramin)? Come non
ricordare quegli anni di fatica per guadagnare il necessario per vivere? Fra i suoi
ricordi emerge l’ampliamento della Trattoria Fantin-“Nanevaca”. Erano gli anni
Cinquanta, anni di indigenza ma pieni di speranza.
Giordano coltiva ora un pensiero di grande riconoscenza per la sua clientela, che
ha cercato di servire sempre al meglio e dalla quale ha ottenuto anche tante
soddisfazioni con la possibilità di mantenere la famiglia e far crescere l’azienda.
Non dimentica neppure quella volta che un imprenditore gli aveva fatto nascere il
desiderio di mettersi in proprio. Subito non ci aveva pensato, perché gli sembrava
un’impresa ardita, ma poi si era convinto che anch’egli avrebbe potuto farcela. E
fu davvero una felice intuizione. Nacque così il primo negozio di ceramiche per
pavimenti, rivestimenti e affini di Paese. Che si ha sede a Paese, in Via
Marzabotto 19.
CITTÁ INFORMATICA TREVISO s.n.c.
È una giovane e dinamica azienda commerciale di Castagnole, che operando nel
campo dell’informatica, ben rappresenta i nuovi mestieri apparsi sulla scena negli
ultimi decenni. Porta il marchio di una catena di negozi omonimi, sparsi nel
Triveneto, anche se ora quella di Castagnole è diventata una ditta autonoma, una
s.n.c. che fa capo a Paolo Martini (1966) e a sua moglie Luigina Pontello.
La sua attività, oltre che al commercio di computer e sistemi informatici, si
sviluppa principalmente nella progettazione, assemblaggio e installazione di
soluzioni hardware e software su misura, per aziende e privati, assicurando nel
contempo un prezioso servizio di formazione, consulenza e assistenza.
Città Informatica di Castagnole è sorta nel 1999 da un’idea di Paolo Martini, già
geometra comunale a Paese, il quale, in collaborazione con il centro studi
amministrativi della Marca Trevigiana ha collaborato all’elaborazione di un
programma per la gestione elettronica dei procedimenti amministrativi attraverso
varie procedure, lavoro che prima si svolgeva del tutto manualmente con grande
dispendio. Fu il suo trampolino di lancio, un successo, tale da essere adottato
dall’Associazione Comuni della Marca e conseguentemente da un centinaio di
aderenti, fino a travalicare poi i confini provinciali.
Ciò gli diede modo di venire in contatto con aziende del settore informatico. Una
di queste, la Comitec di San Donà di Piave, gli propose di entrare in società, dato
che il Martini già possedeva un immobile adatto a negozio, edificato in
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Castagnole. Fu così che, grazie a questi contatti nacque la nuova filiale Comitec a
Castagnole, al motto di “Il computer sotto casa”. Erano, infatti, gli anni in cui
questo strumento diventava appannaggio universale: tutti correvano a
comprarselo, come già era successo negli anni Sessanta per farsi la macchina.
Paolo Martini, tuttavia, pur essendo socio della ditta continuava ad essere
dipendente comunale a part-time, tenendo anche famiglia: moglie e tre figlie.
Nel 2001, dato che gli affari andavano bene, si licenziò dal Comune di Paese,
cambiando società e ragione sociale alla ditta. Fu così che, surrogando la moglie,
nacque “Città Informatica Treviso s.n.c. di Martini Paolo & C.”.
Il negozio conobbe subito un’impennata nelle vendite, grazie alle nuove leggi che
agevolavano l’acquisto di tecnologia informatica, che si poteva scaricare dalle
imposizioni fiscali, e non solo a favore delle aziende ma anche dei privati. Già
negli anni Novanta si era registrata una notevole apertura di mercato, favorita
dalla continua evoluzione dei prodotti che inducevano a frequenti aggiornamenti
tecnologici.
Nel 2002, con la nuova moneta unica europea, il mercato esplose. Fu quello
l’anno che la Windows lanciò il Sistema "Xp-professional" e fu una corsa ad
accaparrarselo, dato che sembrava promettere miracoli. Delle continue scoperte
ed evoluzioni informatiche, con l’invenzione di macchine sempre più veloci, si
avvantaggiarono i venditori. Non fu da meno la ditta di Paolo Martini.
L’Euro tuttavia portò presto anche gli aumenti indiscriminati dei prezzi e la gente
si accorse che il computer aveva raggiunto un tale livello di affidabilità e
operatività che non era più il caso di sostituirlo ogni sei mesi/un anno. Di
conseguenza calarono anche le vendite, soprattutto nei piccoli negozi, mentre
resistevano nella grande distribuzione. Si verificò pertanto una diversificazione
nel modo di operare. La grande distribuzione, infatti, può sembrare imbattibile
nel costo dei computers ed affini, ma non assicura l’assistenza quando succede –
e capita spesso! – che emergano delle difficoltà, incompatibilità e black-out del
sistema.
È qui che s’inserisce la piccola distribuzione, che può assicurare assistenza e
formazione, funzioni indispensabili per poter destreggiarsi agevolmente
nell’intricato e sempre più complesso mondo dell’informatica. La consulenza e il
supporto di un buon tecnico del settore è una polizza assicurativa che vale
quanto e forse più della macchina, o si rischia di buttare al vento tempo e denaro,
trattandosi anche di difendersi da virus, malware e spyware, che viaggiando in
internet si diffondono in modo globalizzato con la velocità della luce.
Ed è questa la strada imboccata ora da Città Informatica di Castagnole. Mentre la
moglie gestisce il negozio, il titolare costruisce sistemi a misura del cliente, sia
esso un’azienda o un privato, assicurando la formazione - anche mediante corsi
serali - e l’assistenza tecnica, in sede o a domicilio, operando collegamenti in rete,
studiando e progettando soluzioni informatizzate adeguate al richiedente,
soprattutto puntando sulla fornitura di prodotti affidabili. Tutto ciò si trova
naturalmente presso Città Informatica di Castagnole, in Via F. Parri 1/b, che si è
attrezzata per offrire anche il servizio di teleassistenza, ossia soluzioni per via
telematica, evitando i costi di trasferta.
Certo questo è un settore del quale è impossibile interpretare il futuro, essendo in
costante evoluzione. L’importante per chi ha scelto questo mestiere rimanere al
passo con continue specializzazioni. Ed è proprio questa la garanzia che offre
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Città Informatica Treviso s.n.c. di Castagnole. Info: [email protected] –
tel. 0422.452177 – fax 0422.452570.
COLUSSO FERRAMENTA DI PAESE
Fin da piccolo, frequentando le elementari, Danilo Colusso (1946) coltivava l’idea
di aprire un negozio di ferramenta, dato che gli piaceva destreggiarsi con fantasia
e creatività usando martello, chiodi, tenaglie e altri arnesi. Erano gli anni
dell’immediato dopoguerra quando le macchine erano ancora esclusivamente di
tipo meccanico e quei pochi che potevano permettersele, adoperavano comunque
più la propria manualità che le attrezzature.
Di fatto Danilo Colusso aprì il primo negozio di ferramenta il 19 maggio 1968, alla
verde età di ventidue anni. Si trattava di un locale di metri 4x4, in Via Roma 135.
Fin da subito il giovane fondatore si era fissato di svolgere un servizio indirizzato
prevalentemente alle aziende artigiane, che nel periodo del Boom Economico
andavano sempre più diffondendosi.
Gli articoli in vendita erano quelli classici della piccola ferramenta di quei tempi,
quando non esisteva ancora la moderna tecnologia informatica. Per costruire una
finestra si usavano quattro cerniere e un “cremonese” (maniglia girevole); per una
porta erano sufficienti due cerniere e una maniglia con serratura. Per fare un
paragone basti considerare che ora le finestre hanno generalmente l'apertura
cosiddetta ad alta e ribalta, vetrocamera, zanzariera, alzanti scorrevoli, tendine
oscuranti o frangisole, e si tratta spesso di componenti monoblocco,
comprendenti il telaio e tutti gli accessori.
Un tempo la materia prima prevalente era il legno di conifera, opportunamente
trattato e dipinto. Ora, oltre ai legni pregiati e costosi, si usano l’alluminio, il pvc,
il ferro, ecc. Un balzo tecnologico enorme è stato fatto dagli anni Sessanta in poi
grazie ad una continua ricerca e alla globalizzazione, pertanto nei negozi di
ferramenta oggi si può trovare tutto ciò che serve per la produzione, dal piccolo
semplice oggetto agli strumenti più evoluti e impensabili, i quali agevolano
enormemente il lavoro artigianale. Ciò ha interessato anche la sicurezza, un
tempo assai carente.
Qualche tempo dopo l’avvio del primo negozio, a Danilo si unì il fratello Valeriano
(1946), dato che da solo Danilo non ce la faceva più. Oltre a servire la clientela in
negozio, infatti, svolgeva lavori fabbrili per conto terzi nel retrobottega. Mestiere,
quello di fabbro, che aveva acquisito in una ditta di Treviso. Valeriano invece era
stato in precedenza operaio del calzaturificio “Miss Pitti” che si trovava in Via
Risorgimento a Paese. Ditta che in seguito si trasferì a Treviso.
Con un nuovo impulso evolutivo, ai due fratelli si unì qualche anno dopo il terzo,
Bruno (1943), già pulitore galvanico a cottimo - ossia con una retribuzione
commisurata al quantitativo dei pezzi lavorati - presso una ditta di Treviso.
Nel negozio di ferramenta si vendevano fin dalla fondazione anche vernici e colori
per tinteggiature murali, articoli poi affiancati ed integrati da prodotti affini, quali
antimuffe, solventi, aggrappanti, isolanti, decappanti, ecc.
Nel 1985 apparve chiara l’inadeguatezza di quel primo locale, dato il progresso
raggiunto, quindi ci si dovette spostare in una nuova sede più ampia poco
lontano, in quella che un tempo era stata l’abitazione della famiglia Perotto, di
fronte a Villa Quaglia. L’immobile fu ristrutturato progressivamente dai Colusso 70
che lo avevano acquisito da un certo Merlo di Montebelluna, erede dei Perotto –
aggiungendovi nuove sezioni. Diventò a poco a poco un negozio specializzato e
ben fornito. Ma parlare di negozio può sembrare fuorviante e riduttivo, giacché
aveva ormai assunto le dimensioni di una grande distribuzione sviluppata su più
piani.
Ai tre fratelli Colusso, con il trascorrere del tempo, iniziò ad affiancarsi la nuova
generazione, ossia i figli con le spose. Il primo della nuova generazione a mettervi
piede da collaboratore, appena terminati gli studi superiori, è stato Luigi (1969),
figlio di Bruno, al quale si aggiunse qualche anno dopo il fratello Michele (1971).
Con l’evoluzione dell’attività si aggregò Verena (1977), figlia di Danilo, con la
funzione di addetta alla revisione e controllo prezzi. Un nuovo apporto si concretò
con l’arrivo di Silvia (1977), figlia di Valeriano, in qualità di impiegata
commerciale e commessa alle vendite. Per ultima si aggiunse Karen (1981), la più
giovane delle figlie del fondatore, che si associò al settore vendite. Furono quindi
assunte anche delle maestranze a supporto del personale familiare.
Come si può intuire dalle varie risorse umane che progressivamente si
aggregarono, l’attività conobbe una straordinaria evoluzione, tale che anche
quella sede diventò insufficiente. Se ne cercò pertanto una ancora più ampia, che
fu trovata acquisendo lo satbile dell’ex industria conserviera Logrò, in Via Verdi.
L’ampia area commerciale, che ha aperto i battenti nel Giugno 2007, si sviluppa
su ben duemila mq. di superficie coperta. Un salto enorme dal primo negozio che
di metri quadrati ne sviluppava soltanto sedici.
Sembra perfino superfluo aggiungere che nel nuovo insediamento si può trovare
tutto quello che serve per qualsiasi attività artigianale e molto anche per quella
industriale. Oltre a ciò la Colusso Ferramenta si distingue per la qualità e il
servizio alla clientela. È inoltre considerata un modello nel suo settore per
l’attenzione allo sviluppo sostenibile del territorio. Fra i suoi obiettivi più
pregnanti, infatti, c’è quello di arrivare a commercializzare solo prodotti naturali e
non tossici, nel rispetto della salute dei lavoratori e dell’ambiente.
La Colusso Ferramenta è anche sinonimo di impegno sociale, soprattutto a
sostegno dello sport, del rugby in particolare, nel quale i soci fratelli sono sempre
stati di persona in prima linea.
La conduzione della quarantennale azienda si è ora spostata nelle mani della
giovane generazione. Rimangono tuttavia ancora la supervisione e la consulenza
di quella più anziana, la quale ha voluto dare credito e un futuro agli eredi nel
segno della continuità. L’azienda Colusso può essere additata quale esempio dello
straordinario sviluppo economico di Paese, con in più la trasmissione dei valori
cardinali della famiglia.
CONSORZIO AGRARIO DI TREVISO E BELLUNO
La legge n. 410 del 1999, specifica che i consorzi agrari sono società cooperative a
responsabilità limitata che hanno lo scopo di contribuire all'innovazione ed al
miglioramento della produzione agricola, nonchè alla predisposizione e gestione di
servizi utili all'agricoltura.
A Castagnole, dal febbraio 2006, è insediata la sede centrale del Consorzio
Agrario di Treviso e Belluno, una presenza che ha fatto da volano all’economia
agricola trevigiana e bellunese. Forte dei suoi 6175 soci e ben 28.500 clienti, è il
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sicuro punto di riferimento per l’imprenditoria agricola, ma anche per i piccoli
coltivatori e famiglie che hanno modesti lembi di terra da coltivare. Qui si trova
tutto ciò che serve allo scopo.
Una succursale del Consorzio è insediata nel territorio comunale di Paese fin
dagli anni Sessanta, quando si trovava adiacente la dismessa Cooperativa
Agricola, in Via Postumia, da dove si è trasferita intorno al 1980 per insediarsi in
Porcellengo, ossia in zona prettamente agricola, dopo l’evolutiva trasformazione
urbana del capoluogo comunale.
Nel tempo queste strutture, sorte sul finire dell’Ottocento, furono adeguate
parallelamente alla trasformazione dell’attività e del mondo rurale, passando dalla
funzione di gruppo di acquisto a favore degli agricoltori a consorzi veri e propri su
base provinciale, con compiti di ammasso dei cereali in epoca fascista, a quello di
società cooperative a sostegno principalmente dei prezzi agricoli e soprattutto
organismi per la commercializzazione dei prodotti agricoli. Con il decreto legge del
2006 hanno subito un netto cambiamento di indirizzo per diventare delle normali
cooperative agricole. Si è in sostanza ritornati alla funzione primordiale.
La filiale di Porcellengo, in Via Baldrocco 100, funge da centro di raccolta, ossia
accoglie in un silos i cereali prodotti dagli agricoltori della zona, in attesa che
vengano trasferiti nei centri di essicazione. Ma ogni filiale ha una sua specifica
funzione in base alla connotazione e alle produzioni tipiche del territorio in cui
opera. A S. Biagio di Callalta e a Motta di Livenza si trovano gli essicatoi dove
confluiscono i raccolti ritirati dai centri di stoccaggio. A Motta si trovano anche
tutti i mezzi tecnici per la coltivazione dei terreni, il centro carburanti, e
l’enopolio, tanto per fare un esempio. La filiale di Porcellengo invece si
caratterizza oltre che come magazzino e negozio agricolo anche come centro
vendita di macchinari usati.
In totale sono 41 i punti vendita sparsi nelle provincie di Treviso e Belluno, che
commercializzano una varietà di prodotti: dalle sementi ai concimi, dai fitofarmaci
ai prodotti per la casa e il florovivaismo, dai carburanti per autotrazione e
riscaldamento ai lubrificanti, dai mangimi e cereali ai nutrimenti biologici, dalle
macchine e attrezzature agricole ai ricambi per macchinari industriali, dagli
impianti di vigneto e oliveto ai prodotti finali, dal centro dell’usato ai servizi di
consulenza, finanziari e assicurativi.
La presenza di otto officine permette un’adeguata assistenza in caso di guasti
meccanici ai mezzi motorizzati sia agricoli sia di movimento terra. Si avvalgono di
tecnici specializzati, in parte dipendenti del Consorzio e in parte liberi
professionisti convenzionati. A ciò si deve aggiungere la settantina di maestranze
altamente qualificate presenti nella sede centrale e nelle filiali delle due Province.
Il Consorzio Agrario di Treviso e Belluno s.c.a.r.l., grazie all’eccellente
organizzazione, si presenta in sostanza come struttura tesa a dare un
insostituibile supporto al mondo agricolo in un’epoca in cui la filiera alimentare è
giustamente normata da rigorose leggi e regolamenti a tutela sia della salute dei
produttori sia dei consumatori finali, umani e animali. Per questi ultimi a Bibano
(Belluno) il Consorzio conduce un mangimificio in grado di produrre annualmente
oltre 700 quintali di trasformati.
Dalla sede centrale di Castagnole, in Via Feltrina 56 - km. 5, dipende tutto il
servizio di assistenza alla rete di vendita. Non si tratta soltanto di vendere, ma
anche di fornire finanziamenti e agevolazioni economiche, senza trascurare il
comparto assicurativo e previdenziale attraverso personale specifico altamente
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preparato, in grado di offrire consulenza a 360 gradi in maniera corretta e
affidabile. Ciò si evidenzia pure in occasione delle più importanti fiere agricole alle
quali il Consorzio partecipa. Ad esempio a quella di Longarone, S. Lucia di Piave e
Godega S.U.
Talvolta si tratta di operare sinergicamente con le Associazioni di categoria per
reciproci orientamenti che permettono di stare al passo con la progressiva
evoluzione, non mancano inoltre anche i contatti con l’Estero a dimostrazione di
una presenza che si amplifica pur senza rinunciare alla valenza territoriale. Sono
migliaia i soci del Consorzio, tutti strettamente agricoltori, ossia lavoratori della
terra a qualunque titolo: un vero esercito che si avvale di una lusinghiera rete
commerciale. A distanza di oltre un secolo, quindi, i Consorzi, come quello di
Treviso e Belluno, hanno il merito di mantenere vivo l’amore per la terra,
rivelandosi una fidejussione a favore della produzione di prodotti genuini, nel
segno della migliore tradizione.
Per informazioni e contatti: [email protected]. - Tel. 0422/4561 - fax
0422/451957 - www.consorzioagrariotreviso.it
COOPERATIVA AGRICOLA MONTELLO Soc. Coop. r.l.
Offrire prodotti garantiti senza intermediazione, fornendo al consumatore la
qualità assoluta. Si è costituita con questo obiettivo nel 1990, con oculata
preveggenza, la Cooperativa Agricola del Montello, una società nata già nel 1974
come semplice associazione di agricoltori. L’obiettivo dei suoi membri è la
produzione di carni da macello, provenienti da animali allevati in una delle più
ridenti oasi verdi del Veneto, dove godono di assoluta pace e salubrità crescendo
senza particolari condizioni stressanti. Quelle distribuite dalla Cooperativa del
Montello nel suo spaccio di Paese - aperto nel 1984 - sono quindi carni che si
possono consumare in assoluta sicurezza, ossia garantite dal produttore al
consumatore.
Avviata da una dozzina di soci la Cooperativa, che è presieduta da Nadio
Zamattia, è cresciuta negli anni fino ad aggregarne una trentina, non solo
allevatori ma anche produttori di ortofrutta, formaggi, salumi e vini. Nel negozio
di Paese si possono trovare anche altri generi alimentari di prima necessità, ma la
carne rimane il punto forte: bovina, equina, suina, ovina e animali da cortile,
carni bianche queste provenienti pure da allevatori associati.
Con l’inserimento di soci particolarmente qualificati la Società ha allargato i
propri orizzonti ed ora fornisce i suoi prodotti a macellerie sparse in tutta la
Penisola. Ma mentre le carni bovine sono vendute esclusivamente a Paese, quelle
equine raggiungono pure la Puglia e la Sicilia.
Gli animali vengono trattati nel macello “Pellizzari Carni” di Loria (Treviso) e
marchiati con il bollo CE “M 2159 Italia”. Il pollame invece è fornito dalla
Cooperativa Avimont di Volpago, mentre maiali e vitelli provengono dalla
Cooperativa Agricola di Volpago del Montello.
Da notare che i bovini d’estate soggiornano in alcune malghe recuperate nelle
Prealpi, nutrendosi di erba e fiori dei prati, dove l’aria è salutare non solo per gli
animali ma anche per chi vi opera al seguito.
Non meno garantita è la qualità dell’ortofrutta coltivata nella Cooperativa O.P.O.
di Sant’Alberto di Zero Branco, zona di grandi tradizioni orticole lungo le
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lussureggianti rive del Sile. Lo stesso dicasi per i formaggi che provengono dai
migliori caseifici veneti. I vini escono dalla Cantina Montelliana e Colli Asolani,
oltre che dall’Agriturismo “Generale Fiorone”, presa XVIII del Montello.
Si tratta in sostanza esclusivamente di soci che si sono dati un codice di
autoregolamentazione al fine di offrire al cliente prodotti costantemente
controllati e di altissima qualità. Quando si dice “dal produttore al consumatore”
non si tratta quindi di un semplice spot pubblicitario o di parole vuote di
significato, ma di una garanzia che per gli associati è un imperativo. I loro
prodotti hanno già ottenuto la fiducia di una vasta clientela, ed è ciò che si
riscontra quotidianamente entrando nello spaccio di Paese.
I soci stanno ora modernizzando tutti gli impianti, quali le sale di mungitura con
sofisticate apparecchiature per la pulizia, quindi le aree di stabulazione e
alimentazione, l’asporto delle deiezioni, gli abbeveratoi, tutti interventi per il
maggior benessere degli animali che si traducono in miglior qualità dei prodotti.
Basterebbe visitare l’Azienda Agricola dei Fratelli Zamattia per farsene un’idea. In
questa fattoria montelliana si allevano 500 capi di bestiame: cavalli, puledri,
vacche nutrici e un gregge di pecore. I puledri, che arrivano dall’Austria e dalla
Francia in età di soli sei mesi, vengono quindi allevati nell’Azienda nel cuore del
Montello per dodici mesi prima di raggiungere il macello e proseguire per la
catena alimentare umana. Le cavalle fattrici d’estate vanno all’alpeggio a Malga
Doch, sul Monte Zovo, a quota 1400 mt. s.l.m. assieme alle vacche nutrici, al
gregge e agli altri animali più giovani.
L’alpeggio, come la pastorizia, anche se va diminuendo con il progressivo
avanzamento di tecniche di allevamento intensive che garantiscono maggior
produttività con minore sforzo, è sinonimo di prodotti genuini e particolarmente
gustosi. Certo ci vuole spirito di sacrificio e tanta passione per esercitarlo. Ed è
ciò che fanno ancora i fratelli Zamattia, che possono vantare una lunga
qualificata esperienza nel settore, i cui prodotti vengono poi distribuiti attraverso
la Cooperativa.
La carne è uno degli alimenti più importanti per il nutrimento umano. Occorre
tuttavia essere oculati, ossia acquistare prodotti garantiti e certificati, di sicura
derivazione e qualità come sono quelli della Cooperativa del Montello, il cui
negozio si trova a Paese (Treviso), in Via della Resistenza, 8 (rotonda del centro
commerciale), tel. 0422 950033.
FOTO ALCIDE BARBISAN
A Paese il primo fotografo professionista con proprio negozio fu Zefferino Durigon,
che iniziò l’attività all’inizio degli anni Sessanta. Questi si faceva aiutare da un
ragazzo in età scolare, desideroso di scoprire cosa si nascondesse nel buio
stanzino in cui il Durigon si ritirava per ore. Quel giovane apprendista era Alcide
Barbisan, attuale titolare dell’omonimo negozio di fotografia in Via Roma a Paese.
A quel tempo i negozi fotografici aprivano anche di domenica mattina, soprattutto
per coloro che desideravano la foto-tessera, dato che indossavano il vestito della
festa. La foto-tessera era il ritratto ufficiale per i documenti, ma anche da esibire
e scambiare con la fidanzata o da inviare ai parenti lontani. La ripresa avveniva
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con una reprocamera a soffietto, dietro la quale il fotografo agiva infilando la testa
sotto un telo nero.
Allora il fotografo era una specie di alchimista che operava tra bacinelle di acidi e
gelatine sensibili, oltre che un abile ritoccatore manuale. Tutte operazioni che
sono oramai passate di moda, ma anche oggi che si opera con moderne tecnologie
occorre una certa manualità. Il fotografo professionista, infatti, si distingue dal
dilettante per le capacità di composizione e il gusto estetico. In sostanza usa tutta
l’esperienza acquisita per tradurla in arte fotografica. Ed è ciò che si può dire di
Alcide Barbisan, un fotografo particolarmente ricercato per cerimonie religiose e
civili, oltre che per servizi promozionali.
Durigon era stato il suo primo maestro, ma Barbisan raffinò la sua preparazione
presso lo Studio Sartori e Ceolin di Treviso, che a quel tempo era considerato il
top nel settore. Nei sei anni passati da dipendente, Alcide ebbe l’opportunità di
fotografare personaggi di fama mondiale, nell’ambito dello spettacolo, della
politica, dello sport. Fu un periodo di grande esperienza, intervallato dal servizio
di leva nel 3° Rgt. Artiglieria da Montagna in Friuli. Con l’incarico di fotografo
ufficiale, andava con la Campagnola di caserma in caserma, armato
dell’inseparabile Rolleifex biottica 6x6, ad immortalare le cerimonie di
giuramento, ma anche le marce e le manovre militari in montagna. Al momento
dell’arruolamento, dovendo fotografare le reclute per il tesserino di
riconoscimento, ne riprendeva due per scatto, ponendole in posa distanziate tra
loro per risparmiare tempo e pellicola. Le stampe venivano poi tagliate a metà ed
ognuno se ne andava quindi con la foto personale. Ricorda ancora quando dovette
appellarsi a tutta la sua bravura per assecondare il comandante di reggimento
che gli chiese di aggiungere ad una vecchia foto, di quando era capitano, i gradi di
maggiore, meritandosi una licenza premio.
Lasciato lo studio di Treviso il 31 marzo 1976, Alcide Barbisan subentrò allo
sfortunato Zefferino Durigon aprendo l’attività in proprio nel negozio avuto in
affitto da tale Pasqualetto di Zero Branco, accattivandosi subito una buona
clientela.
Certo Barbisan, non dando nulla per scontato, continuò ad aggiornarsi
professionalmente scoprendo a fondo le tecniche del digitale e dell’elaborazione
delle immagini attraverso i software più sofisticati. Questa sua specializzazione è
ora particolarmente richiesta dal mondo imprenditoriale per la produzione di layout di comunicazione e marketing, cataloghi e servizi documentaristici anche con
riprese aeree.
Da apprezzato professionista Alcide Barbisan è stato per diversi anni docente
professionale presso il laboratorio fotografico della Scuola Media “C. Casteller” di
Paese, facendo scoprire ai ragazzi, come per gioco, i segreti della fotografia: dal
foro stenopeico ai trucchi della camera oscura, fino alle tecniche più moderne,
seguito sempre con grande interesse dagli studenti. La sua quarantennale attività
è costellata di innumerevoli avvenimenti che ha impresso con i suoi inseparabili
strumenti, divenuti nel tempo sempre più evoluti. È stato fotografo ufficiale di
varie associazioni sportive di Paese, cineoperatore fin da quando si usavano le
cineprese 8 mm.
Con questo lusinghiero bagaglio di esperienze ha introdotto nello studio di Paese
le nuove tecnologie informatiche ed ora si può operare con la Foto Alcide
Barbisan in collegamento telematico ([email protected]), e non solo per le
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tradizionali stampe, ma pure per la realizzazione di particolari servizi, quali libri
fotografici e gadgettistica varia.
Questo professionista dell’immagine fatica a veder proiettato nell’avvenire un
mestiere che è stato lo scopo della sua vita. I due figli, infatti, pur essendo
appassionati di fotografia, non sembrano intenzionati a ricalcare le sue orme. Per
quanto concerne questo settore, infine, chissà cosa riserverà il futuro, data la
continua evoluzione. È la grande scommessa che riguarda i 14.000 fotografi
professionisti italiani.
GAIVI s.r.l.
L’Azienda si distingue nel campo delle forniture all’ingrosso e al dettaglio di
materiale idro-termo-sanitario, condizionamento, arredo bagno, pavimentazione,
rivestimenti e molto altro distinguendosi per la capacità di stare al passo con le
continue innovazioni e trasformazioni del settore.
GAIVI – Gruppo Acquisto Installatori Veneti Idrotermosanitari – è emanazione di
un gruppo di artigiani che si sono consorziati per mettere insieme e capitalizzare
esperienze e risorse per tradurle in competitività. Ha alle spalle oltre un
trentennio di storia, caratterizzato da una costante irrefrenabile crescita.
Nata a Ponzano, lungo la provinciale Postumia nel 1974 in una sede assai
modesta, in rappresentanza di nove soci, l’azienda ha conosciuto un’inarrestabile
crescita sia negli spazi sia nei volumi commercializzati al pari dell’aumento della
clientela tale da dover spesso cambiare ubicazione per ampliarsi. Il periodo tra il
1978 e il 1980 fu per l’azienda particolarmente prolifico dato che si registrò uno
straordinario sviluppo urbano e conseguente richiesta di forniture del settore
termo-idraulico. Gli associati, nel frattempo cresciuti in numero e dimensione, si
trovarono di fronte all’esigenza di dover cercare un’area idonea allo sviluppo della
loro creatura e la scelta cadde su Paese, dato che in questo comune l’attività
edilizia non ha mai conosciuto indugi.
Individuata un’ampia area lungo la regionale Feltrina, nel 1990 la Gaivi si trasferì
pertanto a Castagnole dove tuttora si trova.
Da questa sede partì la prima grande avventura di questa importante azienda
commerciale, che sembra proiettata nel futuro giacché le è universalmente
riconosciuta la capacità di precorrere i tempi, dimostrando di occupare nel settore
posizioni verticistiche. Per farsene un’idea basta visitare il prestigioso show-room
o il sito internet.
Nonostante la grande capacità innovativa e l’ottimo management, la struttura a
fine degli anni Novanta conobbe il suo primo periodo di crisi, dovuto però
all’inusitato sviluppo. Si dovette perciò ripensare una nuova politica commerciale
e destinare parecchie risorse per concretizzare obiettivi a lungo termine. Acquisita
una nuova area di grandi dimensioni a fianco della sede, nel 2001 si ripartì per
una nuova avventura, allargando il fabbricato e contemporaneamente i settori
logistico ed espositivo. Da questo intervento la Gaivi si presenta con tutte le
credenziali in regola in un servizio di eccellenza tanto per il privato quanto per il
professionista, essendo leader nel mercato della distribuzione di componenti idrotermo-sanitari e relativo indotto. Il Consorzio è ora il numero uno in Italia nel
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settore. La lunga esperienza acquisita ha fatto scuola e sulla sua scia sono sorte
numerose altre “Gaivi” in regione e oltre.
La posizione di leadership viene mantenuta ed anzi rinforzata con la costante
attenzione alle nuove tecnologie, a sistemi sempre più evoluti e rispettosi
dell’ambiente, a nuove scoperte per il contenimento dei consumi e alternative
energetiche oltretutto più salutari come quelle solare, geotermica, idrica e
fotovoltaica; lo stesso dicasi per il campo delle nuove combustioni.
I cambiamenti in questa branchia sono veramente repentini, ma la Gaivi non si fa
mai trovare impreparata, dimostrando con i suoi tecnici professionisti di saper
stare comunque al passo e anzi con la capacità di essere punto di riferimento,
destreggiandosi egregiamente tra leggi e imposizioni governative e provvedimenti
internazionali quali il Trattato di Kyoto e seguenti. È certamente uno degli
obiettivi cercare di diffondere il nuovo modo di interpretare il lavoro di migliaia di
addetti, creando cultura e una nuova sensibilità ecologica che deve andare di pari
passo con le specializzazioni nel settore. Nell’azienda vengono formati pure i figli
dei numerosi associati, che costuiscono quindi la speranza per un futuro
migliore.
La Gaivi si è attribuita a questo scopo un importante incarico tecnico e culturale:
due percorsi paralleli. Sta perciò allargando ulteriormente la sua vasta superficie
operativa, erigendo ed attrezzando al meglio il settore tecnico-specialistico
assumendo ingegneri e professionisti esperti allo scopo di fare formazione tra gli
artigiani e anche tra i privati sull’impiego delle nuove scoperte tecnologiche, per
mettere a disposizione e diffondere le conoscenze atte a salvaguardare la salute e
migliorare la qualità della vita, scegliendo prodotti che portino ad economizzare le
risorse comuni che in fondo non sono inesauribili.
In questo particolare ambiente verranno allestiti anche degli stand dimostrativi
sull’impiego delle tecnologie alternative. La Gaivi è profondamente convinta che il
futuro non possa prescindere da questa presa di coscienza e che occorre
diffondere velocemente una nuova cultura di rispetto dell’ecologica e
dell’ambiente.
Il concetto di “Casa Clima”, un sistema di applicazione e di certificazione
energetica va in questa direzione e si sta facendo rapidamente strada in tutti i
settori dell’edilizia e sua componentistica. Tali provvedimenti di sostenibilità
ambientale non possono più essere elusi e si vanno facendo strada tra gli addetti
ai lavori. Qua e là vengono avviati anche dei corsi universitari ad hoc. La Gaivi
tuttavia non si fa trovare impreparata, ma si pone in posizione propositiva nei
confronti dell’utenza, ed ecco lo scopo di questo nuovo padiglione tecnologico che
sta sorgendo, una struttura che la dice lunga e che qualifica particolarmente
l’azienda, che dimostra di meritare la posizione verticistica acquisita ormai da
lunghi anni. Attualmente occupa una quarantina di maestranze ed è una delle
rare aziende di distribuzione certificate nel proprio settore, a garanzia del rispetto
delle regole e soprattutto di un modo di operare trasparente dal quale non si può
prescindere. Quello del rispetto ambientale e delle energie alternative è divenuto
un percorso obbligato, che non può essere eluso e non ammette improvvisazione;
è soprattutto un obiettivo che il Gruppo di soci si è dato nominando perfino una
commissione di vigilanza e controllo.
La GAIVI opera prevalentemente nell’area trevigiana, veneziana e bellunese anche
attraverso alcune filiali. Nel Bellunese, in particolare, risente dell’influenza di un
modo di costruire avanzato tecnologicamente, che fa riferimento al Nord Europa,
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dove il concetto di “Casa Clima” è stato inventato e soprattutto largamente
applicato. Sono stati i paesi nordici i pionieri in questo campo per ovvi motivi. Il
consorzio Gaivi pertanto si è attribuito il compito di diffondere questa cultura tra
gli associati in primis, ma anche nelle aree di sua influenza. La grandezza di
questa azienda si vede proprio in tale obiettivo. Si rivolge soprattutto ai giovani
artigiani, che non hanno ancora una lunga esperienza, ma che tuttavia vogliono
prepararsi e affermarsi con questo indirizzo, supportati da tecnologie sempre più
avanzate e avveniristiche, che emergono dalle sinergie con i più importanti
marchi europei del settore.
La società Gaivi a r.l., che è gestita da un team di persone altamente professionali
e qualificate, si sviluppa su una superficie coperta di circa 8.000 mq., in gran
parte adibita a mostra permanente, occupando un’area esterna di 30.000 mq. a
ridosso dell’insediamento urbano della ex Simmel a Castagnole di Paese, in Via
Feltrina 70. (www.gaivi.it)
LA STORIA s.r.l. – Club degli Spaghetti
Il Club degli Spaghetti, già trattoria di “Piero dea Ida”, che fa capo a La Storia
s.r.l., racconta, attraverso la sua evoluzione, di una famiglia - i Bellio
soprannominati Berlese - che, oltre a gestire il pubblico esercizio, ha
caratterizzato la vita civile di Paese attraverso l’impegno di alcuni suoi membri.
Un’epopea che si trascina da oltre un secolo: una lunga storia, appunto.
Tutto iniziò quando Abramo Bellio (1872-1912), fattore dei Quaglia, nel 1908
s’infortunò irrimediabilmente rimanendo immobilizzato a letto per oltre quattro
anni prima di finire i suoi giorni. Si era spezzato la spina dorsale cadendo da una
scala che aveva appoggiato ad un tino per far scendere le vinacce che
minacciavano di tracimare durante la fermentazione. Lasciava alla disperata
moglie Ida Venturin l’incombenza di sfamare quattro figli, giacché non esistevano
assicurazioni, né mutue. Ma i Bellio, constatata la gravità delle condizioni del
congiunto, si organizzarono per assicurare alla moglie un minimo di vitalizio,
aprendo una modesta osteria. Inizialmente si trattò di un ristretto locale nel quale
si vendeva il poco vino donato dai Quaglia, che si andava a ritirare in villa una
damigiana alla volta.
Sarà stata la cordialità della donna oppure la bontà della gente, probabilmente
tutte e due le qualità assieme, fatto è che a poco a poco quel locale catalizzò un
crescendo di avventori, tanto da registrare una straordinaria evoluzione. Qualche
anno dopo, infatti, spostatosi l’esercizio nell’attuale sede, divenne una trattoria
ricercata per la bontà della sua cucina, di cui Ida era la magistrale artefice.
Furono in particolare gli sposi a privilegiare questo locale per il pranzo di nozze.
Alla morte della mamma, avvenuta nel 1942, la licenza passò al figlio Pietro
(1903). Da quel giorno la locanda fu denominata dalla gente “Osteria di Piero dea
Ida”.
Nella nuova sede, in Via Vittorio Emanuele, attuale Piazza Evelina Quaglia 3,
c’erano anche il gioco della borela (birilli) e quello delle bocce, ma oltre che per
sedersi al desco, ci si trovava soprattutto per giocare a carte e passare qualche
ora in lieta compagnia.
A dare fama all’ambiente fu soprattutto Pietro, il gestore, che lo animava grazie al
suo carisma e al coinvolgimento pubblico, in epoca in cui lo sviluppo del paese
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era in pieno fermento. La moglie Teresa De Lazzari (“Matonél”), lo rendeva
appetibile con la sua straordinaria bravura di cuoca, e fu grazie a lei che l’osteria
divenne famosa soprattutto per alcuni piatti tipici, semplici ma particolaremente
gustosi. Piatto fisso della domenica era il baccalà, innaffiato con dell’ottimo vino
fatto in casa, ma si vendevano anche bogoli e polipi. Ad aiutare i due coniugi nella
conduzione erano i loro otto figli prima che ognuno imboccasse la propria strada.
L’osteria, nel periodo della Ricostruzione, era il ritrovo degli eminenti di Paese.
Quei muri impregnati di mille sapori videro accendersi grandi discussioni e non
di rado proprio qui ebbero origine importanti scelte amministrative. C’era allora
una gran passione per la politica.
Nel 1976 morì anche Pietro e l’osteria fu ereditata dal figlio Sergio che le impresse
una svolta trasformandola in “Club degli Spaghetti”. Fu un’avventura, quasi una
scommessa tra amici e loro mogli, che Sergio coinvolse per condividere lavoro e
utili. Il lavoro, infatti, si rivelò non da poco, dato che si trattava sì di cuocere
pasta, spaghetti in particolare, conditi con vari ingredienti secondo la forma della
ristorazione veloce, ma ognuno aveva anche un altro lavoro, e dopo qualche
tempo di tour-de-force la collaborazione si sciolse.
Fu tuttavia una felice e fruttuosa intuizione che riscosse subito i favori della
gente, così che, cavalcando l’onda del successo, fu aperto un secondo locale a
Vittorio Veneto, Piazza Giovanni Paolo I 10, tel. 043857474, con la denominazione
Club degli Spaghetti “La Loggia”, di fronte all’antico duomo di Ceneda.
Sciolta l’amichevole società, al Club degli Spaghetti di Paese furono assunte delle
maestranze qualificate e l’attività proseguì con un trend positivo per circa un
decennio sotto la direzione di Sergio con la stretta collaborazione della moglie
Carla. Fu pertanto necessario ristrutturare e ampliare la zona pranzo e le cucine
per adeguarle alle nuove norme sulla ristorazione, aumentandone la capienza.
Scemata in parte la novità degli spaghetti, l’esercizio si trasformò in vero e proprio
ristorante pur conservando la stessa tipicità e ragione sociale.
È cambiato molto da quel 1976, anno d’inizio della nuova avventura, ma non la
sua fama, ed ora il Club degli Spaghetti, rinomato in tutto il Veneto e oltre, offre il
meglio della cucina italiana, servendo quotidianamente centinaia di coperti ad un
prezzo conveniente. Qui vengono a pranzare persone di ogni ceto e professione,
soprattutto lavoratori durante la pausa meridiana. Vi si può trovare un po’ di
tutto, anche se la specialità tipica rimane il piatto di spaghetti, diventati qui una
griffe, un marchio, e in generale tutti i tipi di pasta, preparata al momento e
condita con innumerevoli varietà di sughi che variano ogni giorno. Ma ci sono
anche i secondi di carne o pesce, insalatone, panini e dolci fatti in casa. Da
provare le spaghettate (per 2 persone) allo scoglio, che vengono servite su una
terrina a forma di conchiglia, all’astice, alle cozze e vongole. A mezzogiorno viene
offerto il menù del giorno sempre diverso, ad un prezzo speciale; su prenotazione
la paella di pesce. Per gli amanti dei dolci non c’è che l’imbarazzo della scelta, e
per i palati più raffinati degli ottimi vini.
Stupisce la continuità che si riscontra dopo un secolo dalla prima apertura. La
conduzione e la proprietà sono tuttora dei discendenti di Abramo Bellio e Ida
Venturin.
Nel 2006 la licenza è passata ancora una volta di mano, ma sempre all’interno
della stessa famiglia, assumendo la ragione sociale di “La Storia s.r.l.”. Titolari del
Club degli Spaghetti di Paese sono ora le figlie dei fondatori, Martina e Manuela,
mentre Marco, l’altro figlio, è titolare del locale di Vittorio Veneto. Proprio una
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bella storia, anzi un’affascinante epopea, che continua con la quarta generazione
Bellio.
Ma chi pensa che i genitori di questi giovani ristoratori si siano ritirati rimane
stupito, giacché la loro supervisione non è ancora venuta meno, anche se
condotta con discrezione. Sergio e la sua signora possono ora godere dei frutti di
una felice intuizione legata agli spaghetti, e di una vita imprenditoriale ben
onorata. (infoline 0422 959021)
MACELLERIA MODESTO
È una delle macellerie storiche di Paese, già esistente prima dello scoppio della
seconda guerra mondiale. Era stata avviata da Silvio Dalla Riva, con annesso
macello, nella borgata di Villa, all’imbocco tra Via Battisti e Via Marconi, di fronte
al cosiddetto “campetto”, dove il Venerdì Santo si teneva la rappresentazione della
Crocifissione.
Alla morte del Dalla Riva, avvenuta nel 1947, la licenza e la macelleria furono
rilevate da Silvio Martino Modesto (“Carnio”), detto Ciro, il quale del mestiere di
macellaio aveva fatto la sua ragione di vita. Fin da ragazzo, infatti, quando ancora
frequentava la terza elementare, Silvio marinava frequentemente la scuola
preferendo seguire nei mercati rionali il compaesano Giuseppe Novello Lorenzetto,
noto commerciante di bestiame, dal quale imparò tutti i trucchi del mestiere.
Grazie all’estrosità e fantasia, ma soprattutto alla sua professionalità, il negozio
diventò un punto di riferimento ma anche di curiosità, dato che Silvio sapeva
esporre le sue merci in modo da renderle appetibili sia ai palati che agli occhi
della gente, anche se a quel tempo poche erano le famiglie che potevano
permettersi di entrare in una macelleria per acquistare un genere considerato “da
signori”.
Di fatto “Ciro-Carnio” sapeva catturare l’attenzione esponendo le carni macellate
non solo all’interno, ma anche all’esterno del negozio infarcendole talvolta di
ramoscelli e di fiori. Quarti di bovini, tacchini, polli, oche, conigli erano esposti in
bella mostra, e durante la Settimana Santa comparivano anche agnelli e capretti.
L’ammirazione era generale soprattutto al passaggio della processione del Venerdì
Santo che si concludeva proprio di fronte alla macelleria.
A quei tempi quasi tutte le macellerie possedevano anche il macello. In seguito,
entrate in vigore norme più restrittive in fatto di igiene e sicurezza, e nuovi
balzelli, le due mansioni furono separate. Pure Ciro preferì tenere separate le due
cose, tanto che il macello lo teneva presso l’abitazione in Via Oston. Spesso
partiva da casa in bicicletta con sulle spalle i quarti di bue da trasferire nel
negozio.
Silvio-“Ciro” aveva acquistato il negozio con macello proprio nell’anno del suo
matrimonio con Armida Biasetto, dalla quale ebbe la gioia di quattro figli, tra cui
Giampaolo e Michele, che, alla morte del genitore, porteranno avanti l’attività nel
segno della tradizione.
Nel 1963 Silvio, dato che gli affari s’incrementavano e recependo l’esigenza di
svilupparsi, si spostò poco lontano, in Via Postumia 62, in un nuovo e più
funzionale negozio appositamente costruito lungo una statale con il vantaggio di
aumentare la sua visibilità e il conseguente incremento delle vendite. Fu
un’ottima intuizione, agevolata dal fatto che si era in piena crescita economica.
Contemporaneamente iniziavano a proliferare anche le sagre e le manifestazioni
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paesane, delle quali la macelleria Modesto diventò una ricercata fornitrice. Tra
l’altro Silvio era conosciuto anche come ottimo norcino. Confezionava profumati
salumi che facevano venire l’acquolina al solo guardarli. Diventò in seguito pure
fornitore di varie scuole materne e asili nido della zona.
La macelleria, data la grande esperienza del suo titolare, è sempre stata sinonimo
di garanzia di qualità. Le carni vendute vengono tuttora acquistate presso
contadini della campagna di Paese e dintorni.
Come accennato, con l’andar del tempo, due dei quattro figli di Silvio intrapresero
il mestiere del padre, mettendoci la stessa passione. E quale miglior garanzia di
continuità? Ne raccolsero, infatti, il testimone Giampaolo e Michele, incuranti
della spietata concorrenza della grande distribuzione e dei sondaggi che davano il
consumo di carne in declino, ma consapevoli che una larga frangia della
popolazione tiene ancora alla qualità e al servizio su misura dell’utente. Lo
conferma ancor oggi la crescente richiesta di tagli pregiati e anche questo è un
segno dei tempi che cambiano. Un tempo le famiglie chiedevano soprattutto carne
da brodo, il petto della bestia in particolare, ossia il “tasto”, la meno costosa. Ora
sono di moda le carni bianche, ma resistono anche quelle suina ed equina. Fino a
qualche anno fa quest’ultima era venduta solamente in macellerie specializzate e
tenuta separata dalla possibile contaminazione da altre carni, in base ad una
legge del 1928. Ora è caduta anche questa limitazione e, oltre alla carne, nelle
macellerie può essere commercializzato pure il pesce.
Sono cambiati i tempi, ma la garanzia di qualità rispetto al nutrimento e alla
provenienza degli animali da macello non può essere affidata esclusivamente alla
legge, perché, come già è accaduto, questa può essere elusa da una caduta di
coscienza e di stile da parte di chi pensa che tutto sia lecito pur di far soldi, tanti
e in fretta.
I Modesto sono apprezzati e stimati per la loro serietà e per i consigli che sanno
donare. Tuttora hanno clienti accreditati fin dai primi tempi, quando il loro padre
era egli stesso una garanzia. Giampaolo e Michele non sono comunque da meno.
A parte la dichiarazione di provenienza obbligatoria, esposta nel negozio, ne
hanno aggiunto un’altra che attesta che gli animali da loro acquistati sono stati
nutriti con prodotti naturali, coltivati personalmente da piccoli allevatori nella
campagna trevigiana. Essi stessi periodicamente, e senza preavviso, fanno dei
sopralluoghi nelle fattorie per accertarsi del rispetto delle regole.
Nella società odierna gli usi e i costumi nutrizionali sono radicalmente cambiati
rispetto a qualche decennio fa. In famiglia tutti lavorano e le casalinghe sono una
categoria in costante declino. Le donne non detengono più l’esclusiva del tempo ai
fornelli. È notevolmente aumentata la tendenza all’acquisto di cibi precotti, pronti
per la consumazione, venduti anche nelle macellerie: cotolette, polpette, spiedini,
insaccati e arrotolati, surgelati, ecc. Sembrano lontani, se non proprio esauriti, i
tempi in cui ci si radunava con gli amici nelle taverne tra generose grigliate e
libagioni. Il consumo di carnagione non è più un lussuoso appannaggio di pochi.
Talvolta la carne viene criminalizzata come causa di gravi patologie, ma come
tutti i cibi, basta farne un uso corretto e diversificato.
La macelleria Modesto è passata finora indenne attraverso la trasformazione
nutrizionista della società, avendo saputo intercettare i cambiamenti senza
subirli, vivendoli piuttosto da protagonista. Cosa le riserverà il futuro?
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MACELLERIA “POSTUMIA” di Martini Mario e Rino & C. s.a.s.
È questa una delle aziende nate dal vento progressista che si scatenò
nell’Ottocento, che aguzzò l’ingegno a tanta gente: un’azienda familiare quella dei
Martini che tiene fede alla tradizione degli antenati allevatori e macellatori.
Titolari della macelleria di Postioma sono i fratelli Mario e Rino con i loro figli,
un’impresa che trova le sue radici in Signoressa e prima ancora in Montebelluna
quando il loro precursore, Giovanni (1915-80), pur facendo il contadino
commerciava ovini, che macellava in casa e rivendeva alle varie macellerie di
Treviso e provincia, ma anche di Mestre e dintorni.
La Macelleria, sorta nel 1953, nel tempo ha subito vari ampliamenti e
trasformazioni fino a conquistarsi quel buon nome che onora la famiglia e il
mondo imprenditoriale di Paese. A fondarla fu lo stesso Giovanni Martini,
lasciando il fratello Giuseppe a Signoressa, per insediarsi a Postioma, in Via
Toniolo 21, con la moglie Amabile Bordignon e i figli Mario (1943), Renzo (1945),
Albertina (1948), e Rino (1952). In seguito Giuseppe rileverà la Macelleria Cavallin
di Signoressa.
Nel fatiscente caseggiato colonico di Postioma, Giovanni aprì il suo primo negozio
di carni, con annesso macello, avvalendosi di un professionista del settore. Gli
affari presero subito una buona piega, dato che si era in prossimità delle festività
pasquali. Intanto Mario, ancora ragazzino, s’impratichiva presso una macelleria
del centro citttadino, ma dopo un anno dovette rientrare per aiutare il padre
rimasto solo. Aveva soltanto dodici anni e tanta buona volontà quando si
rimboccò le maniche nell’attività casalinga. Lo seguirono a ruota, man mano che
crescevano, anche gli altri fratelli, compreso Giuliano (1955), l’unico nato in
Postioma.
Nel 1963 ci fu il primo ampliamento della macelleria e nel 1990 il secondo.
Furono in sostanza queste trasformazioni a scandire il tempo e l’evoluzione
aziendale. Nel 1965 fu aperta una macelleria anche in Porcellengo e i quattro
fratelli si spartirono i compiti. Così, mentre Rino e Giuliano continuavano l’opera
in Postioma, Renzo e Rino si accollarono la conduzione del negozio di Porcellengo.
Nel 1980, alla morte del padre, gli eredi assunsero in carico la società da bravi
soci, che continuò fino al 1992 quando, con l’inserimento dei figli di Renzo, la
ragione sociale cambiò e Rino ritornò a Postioma per continuare l’impegno in
società con Mario e Giuliano. Ma anche Giuliano nel 2007 decise di mettersi in
proprio lasciando Postioma per un altro comune.
La Macelleria “Postumia” s.a.s., di Martini Mario e Rino & C., è ora una società
con quattro soci. Ai due fratelli si sono uniti i figli di Mario, Michele e Nicola,
ambedue laureati, il primo in economia, l’altro in ingegneria. E sono questi ora i
capisaldi dei Martini, storici macellai in Postioma. Non è facile trovare due
“dottori” dietro il banco di una macelleria, ma per la clientela è un vantaggio: è
meglio essere serviti da persone istruite e ben preparate, e ciò costituisce una
garanzia e un valore aggiunto che pochi esercizi alimentari possono permettersi.
Ai quattro congiunti si deve aggiungere anche un bravo collaboratore.
La carne che viene smerciata nel negozio di Postioma è di assoluta qualità. Viene
acquistata da lungo tempo presso piccoli allevatori della zona, che ne
garantiscono la genuinità crescendo gli animali in stretto accordo con i
rivenditori. È questa, con la lunga esperienza, la massima tutela che viene offerta
al consumatore. E i frutti sono ben visibili dall’ottimo giro di affari della
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macelleria: la clientela non è soltanto locale, ma in buona parte arriva anche dai
paesi limitrofi e pure da molto lontano.
Certo i tempi e le abitudini dei consumatori sono notevolmente cambiati sotto la
spinta della grande distribuzione ma anche di eventi non proprio favorevoli.
Occorre perciò inventarsi ogni giorno qualcosa di nuovo, mettendo in atto nuove
idee e la professionalità acquisita in tanti anni di lavoro. Oltre le carni, nella
Macelleria “Postumia” si possono trovare ottimi insaccati confezionati con il
sistema tradizionale, ma anche cibi precotti e farciti, pronti da mettere al fuoco.
Lo impone il frenetico trand della vita, ma anche una clientela sempre più oculata
ed esigente.
Nel 2006 Mario Martini è stato premiato dall’Ascom (Associazione Commercianti)
di Treviso per i suoi oltre cinquant’anni di esperienza e competenza di macellaio.
Recentemente pure la Camera di Commercio gli ha conferito la medaglia d’oro. Il
fratello Rino invece ha tagliato il traguardo di quarant’anni di professione. La
Macelleria Martini di Postioma ha alle spalle oltre 55 anni di attività, ma la
professione di macellaio dei titolari è ben più longeva. Ed è già questa una
garanzia di serietà, genuinità e tradizione, nel momento in cui il futuro viene
affidato alla nuova promettente generazione. (Tel. 0422.99016)
MINELLO ANGELO s.a.s. di Minello Sergio, Minello Antonio & C.
È questa una nota azienda commerciale, leader nel settore delle autoriparazioni e
demolizioni di autoveicoli, che ha sede in Via Postumia, 48/A di Paese, lungo la
regionale Treviso-Castelfranco. Attualmente è guidata dalla terza generazione di
meccanici, autoriparatori e commercianti d’auto e moto, compresi ricambi, della
famiglia Minello, nipoti del fondatore Angelo Minello (1905-90).
Angelo, la passione di meccanico l’aveva acquisita fin da giovane, nell’immediato
primo dopoguerra quando abitava in Sant’Alberto di Zero Branco, in Via Cornara.
Era lì che aveva aperto la sua prima autofficina, che nel tempo allargò in altre
attività grazie all’intraprendenza e al suo intuito. Riuscì nell’intento di coinvolgere
anche i figli che si appassionarono a quel lavoro.
Il primo a seguire le orme del padre fu Sergio (1930-2004), mentre Antonio (1936)
emigrava temporaneamente in Canada prima di rimpatriare, immergendosi
anch’egli nell’azienda familiare.
Oltre all’officina meccanica l’attività si sviluppò nel commercio di automobili,
demolizioni, recupero e rivendita componenti per veicoli motorizzati.
Nel 1960, constatate le scarse possibilità di sviluppo che offriva il piccolo centro
di Sant’Alberto, i Minello decisero di aprire la nuova sede di Paese, pur
mantenendo quella del Comune di Zero Branco. Nel 1968, dato che gli affari
andavano bene, questa fu chiusa in favore di quella di Paese, dove nel frattempo
erano stati acquistati degli appezzamenti di terreno sufficienti a dare sviluppo
all’azienda. Furono quindi costruiti ex-novo dei capannoni, delle abitazioni e una
palazzina per mostra e uffici.
Gli anni Sessanta, quelli del Boom Economico, spinsero la gente a “farsi” la
macchina, soprattutto i giovani, divenuta uno status-symbol anche se si trattava
soltanto di una piccola Cinquecento o Seicento multipla. Fu un positivo fatto
sociale, ma parallelamente s’impennò anche il numero dei mezzi incidentati,
talvolta irrecuperabili, dato che la tecnologia per ciò che riguarda la sicurezza era
ancora tutta da evolversi. Erano gli anni della crescita della Formula 1, che
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affonda le sue radici nelle corse automobilistiche di fine Ottocento, ma che
ottenne visibilità con l’arrivo della televisione. I giovani, in quei mitici anni
Sessanta, si entusiasmarono dei successi delle Ferrari e Lotus che dominavano le
scene, e molti si lasciarono coinvolgere nel bene e nel male, con le note
conseguenze.
A trarne vantaggio furono gli sfasciacarrozze che videro aumentare
esponenzialmente i loro affari. La ditta Minello fu una di queste e la sua attività è
ora quanto di più evoluto offra il settore. Lo sviluppo dell’era informatica ha
faciltato lo scambio tra aziende consimili che mettono in circolarità, via internet, i
propri prodotti. L’attività commerciale della Minello si svolge attualmente su una
superficie di circa seimila metri quadrati, oltre a un deposito che si trova nel
Comune di Trevignano, lungo la Vecchia Postumia Romana. I materiali metallici
smontati vengono recuperati, divisi per genere e qualità e avviati alle ditte
specializzate per la fusione e commercializzazione come materie prime. Tutto è
destinato ad essere riciclato in difesa dell’ambiente e grazie a ciò, è raro rinvenire
materiali abbandonati nei fossi o lungo le strade come avveniva un tempo. Pure
gli olii e liquidi vari sono avviati ai centri di depurazione. Il tutto è accompagnato
da documentazione certificativa, a norme di legge, lo stesso dicasi per le materie
plastiche. Ma più che i controlli è cresciuta la coscienza ecologica, in favore della
salute e della salvaguardia dell’ambiente. La ditta Minello si colloca in questo in
posizione verticistica sotto la direzione di Valter, figlio di Sergio, classe 1951,
attuale proprietario e anima dell’azienda con lo zio Antonio. Alle sue dipendenze
ha una decina di maestranze, che operano in un clima di amichevole
collaborazione. E’ questa l’aria che si respira in azienda nella consapevolezza che
la maggior ricchezza sono le risorse umane.
La Minello è un’azienda che può guardare ad un futuro dato che anche i figli di
Valter e di Luciana Gagno, Alessandro, Andrea ed Elisabetta, diplomati ragionieri,
sono impegnati nell’azienda nel segno della migliore continuità e tradizione
familiare.
I veicoli motorizzati devono comunque essere impiegati con saggezza, nella
consapevolezza che si tratta di strumenti che agevolano il lavoro e la qualità di
vita delle persone, ma che possono diventare strumenti di morte se non condotti
con le dovute responsabilità e prudenza. ([email protected])
OROLOGERIA-OREFICERIA VISENTIN
Il primo orologio apparso in Paese fu quello costruito per il campanile della chiesa
parrocchiale nel San Martino del 1781 da Domenico Boranga, “Rollogier della
Villa di Nervesa”, che l’anno precedente si era impegnato “con li Capi Deputati
della Villa di Paese, di fare un orologlio da Campanille, che debba servire per tutta
la villa suddetta e posto nel detto Campanile stesso”.
Si trattava di uno strumento munito di corde e pesi che veniva caricato dal
campanaro ogni ventiquattro ore. Sul prospetto della torre campanaria era
disegnata una sfera dorata, con la figura del sole nel mezzo. Era costato
complessivamente centocinquanta ducati, che furono versati in due rate. Questo
era presumibilmente l’unico meccanismo per segnare il trascorrere del tempo a
servizio dell’intera popolazione.
Occorrerà attendere ancora quasi centosettant’anni per veder nascere il primo
laboratorio di orologiaio nel Comune di Paese. Nel capoluogo sorse intorno agli
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anni Cinquanta l’Orologeria Visentin. È questa una delle botteghe cosiddette
storiche, non solo per il genere di attività quanto perché è legata ad uno sviluppo
che è andato di pari passo con la società paesana, di cui il fondatore e titolare,
Virginio Visentin (1924-95), era un rappresentativo personaggio.
Ancor nel 1945, con l’Italia appena liberata, il ventenne Virginio si recava a
Postioma dal cugino Ernesto ad apprendere l’emergente professione di orologiaio,
pratica che esercitava con passione portandosi il lavoro dentro le mura
domestiche, in Via Sen. Pellegrini. Operava su un banchetto di legno fatto
appositamente costruire dalla falegnameria Polin (“Fredi”). A dire il vero Virginio
avrebbe voluto fare il ferroviere, ma era stato discriminato per un trascurabile
difetto fisico che si portava dalla nascita. Di conseguenza pensò di ripiegare su
questo mestiere.
Virginio, primogenito di sei fratelli e sorelle, era figlio di Antonio Erminio dei
“Momi” e di Pasqua Girotto, dei “Buzioi” di Porcellengo. Pasqua era sorella di
mons. Cesare Girotto, già segretario dei vescovi di Treviso, Mantiero e Negrin e poi
parroco della parrocchia di San Leonardo.
Divenuto un esperto riparatore, Virginio pensò ben presto di aprire un laboratorio
di orologiaio tutto suo in Via Roma, in un locale costruito sul cortile della casa dei
fratelli Luigi e Geremia Boffo. Era il 1° agosto 1950, periodo della ricostruzione
postbellica, quando Paese stava lentamente uscendo dalla miseria lasciata dalla
disastrosa guerra. Luigi Boffo stesso era da poco tornato dalla prigionia in
Germania e con lui anche tanti altri giovani paesani.
Aveva da poco avviato l’attività quando, un grigio giorno novembrino, Virginio
venne a sapere che c’erano in giro degli sconosciuti che sembravano ispettori
delle imposte. Colto dal timore di una probabile ispezione tributaria e scorgendoli
arrivare lungo Via Roma, chiuse repentinamente i battenti immergendosi nel
corteo di un funerale che proprio in quel momento passava lì davanti diretto al
cimitero. Riuscì così a sottrarsi all’accertamento.
Di fronte al laboratorio, oltre la strada, all’angolo con la strada del cimitero c’era
la falegnameria di Melchiorre Callegari (“Rissi”). Tra Virginio e il Callegari era nata
una stretta collaborazione. Era usanza di quei tempi donare alle coppie di sposi
una sveglia da comò per la stanza matrimoniale. Melchiorre costruiva la
carrozzeria in legno intonata alla mobilia, nella quale Virginio inseriva il
meccanismo. Era diventata una moda assai ricercata che influì positivamente
sull’attività.
Qualche anno dopo l’avvio dell’attività, a Virginio si affiancò come socio il fratello
Giuseppe (1934), di dieci anni più giovane. Questi inizialmente si occupava
prevalentemente dell’approvvigionamento dei materiali e disbrigo delle
incombenze burocratiche.
Dato che gli affari avevano preso una buona piega, nel 1954 l’attività fu ampliata
anche al settore gioielleria e oreficeria, mantenendo la vendita di orologi.
L’orologio era uno degli oggetti più ambiti, un vero status symbol destinato spesso
a rimanere nei sogni perché di soldi negli anni Cinquanta ne giravano davvero
pochi. Virginio tuttavia, all’occorrenza, faceva credito. Nel giorno della Cresima
era prassi donare ai bambini un orologio che realizzava il massimo dei desideri.
Usanza ora affiancata dai telefoni cellulari e altri oggetti.
Quel primo negozio di Via Roma divenne ben presto insufficente, si decise perciò
di affittarne uno nel borgo di Villa, in Via Mazzini, all’angolo tra le Vie Postumia e
dei Mille, imprimendo un notevole salto di qualità. Si iniziò infatti a
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commercializzare le più prestigiose marche di orologeria, quali Bulova, Omega,
Wonder Watch, Longines, e di oreficeria, come “Uno A Erre”, e tante altre.
Contemporaneamente ai due fratelli Visentin fu offerta la vendita di macchine da
cucire Singer e poi le prime radioline a batteria che trovarono subito un forte
appeal nel pubblico più giovane.
Pure la macchina per cucire era un mezzo ricercato. Le ragazze solitamente se la
portavano in dote o la chiedevano come regalo di nozze. Le Radio invece a quel
tempo erano ricercate per l’ascolto dei messaggi degli emigrati che ogni domenica
mattina salutavano i propri congiunti da oltre oceano. Si vedevano allora mamme,
spose, ma anche padri, piangere per la commozione di sentire la voce registrata
dei loro figli e mariti.
In Via Mazzini l’orologeria Visentin era meta di tanti curiosi che si recavano a
sognare ad occhi aperti di fronte alle sue vetrine. Le possibilità di spendere –
come si diceva – erano davvero scarse. Il negozio tuttavia era fornitissimo di
merce, tanto che Giuseppe vi passava dentro anche delle notti per timore dei
ladri. Più che concentrarsi nella vendita, i due fratelli tendevano a svolgere un
buon servizio alla gente di Paese. In particolare Virginio, con il suo innato
carisma, era una calamita sociale, personalmente impegnato in varie
associazioni. Era soprattutto un tipo gioviale e tutti lo cercavano per la saggezza e
l’allegria. Spesso il suo rapporto umano prendeva il sopravvento sugli affari.
Nei primi anni Sessanta i Visentin costruirono la nuova abitazione in Via Battisti,
con vetrina espositiva. Da considerare che erano i soli in Paese a praticare questo
servizio merceologico e perciò gli affari crescevano vistosamente. In casa fecero
costruire una cassaforte di ferro che fu racchiusa in un blocco di cemento
costruito appositamente dall’amico Guglielmo Berlese, soprannominato Memi
Marcioro. Se l’orologio di qualcuno si guastava, era come se si fosse fermato il
tempo e, dato che non c’erano particolari orari di apertura, la gente suonava il
campanello anche di domenica. Era spesso la signora Lidia Silvello, moglie di
Virginio, tra una faccenda casalinga e l’altra, ad accogliere la clientela nella sede
abitativa.
Nel 1968, periodo in cui il negozio si trovava ancora in Via Mazzini, un fatto
doloroso venne a segnare la tranquilla esistenza di Virginio: mentre attraversava
la Castellana, mons. Mario Ceccato, arciprete di Paese, fu investito da
un’automobile e perse la vita. Virginio Visentin, che si trovava a pochi passi dal
sinistro, fu il primo a soccorrerlo fermando immediatamente una delle poche auto
di passaggio. Il conducente accondiscese a trasportare l’investito sanguinante
non senza la preoccupazione che la tappezzeria si sporcasse. Il parroco fu quindi
trasportato al pronto soccorso della Casa di Cura “La Madonnina”, nei pressi
delle Stiore, ma vi arrivò che era già morto tra le braccia di Virginio.
Ogni tanto, quando transitava per la statale, i fratelli Visentin ricevevano la visita
dello zio prelato, mons. Cesare Girotto, che accompagnava il Vescovo di Treviso
mons. Mantiero essendone il segretario. Il presule in una circostanza chiese a
Virginio: “Perché quando transito da queste parti ti scorgo sempre sulla porta del
negozio?”. “Eccellenza – gli rispose Virginio con il suo proverbiale buonumore –
per salutarla!”. Il rapporto fra i due era davvero cordiale. Fu così che quando il
Vescovo cambiò l’automobile, questa finì nelle mani di Virginio, che la tenne come
una reliquia.
Nuovo trasferimento del negozio avvenne nel 1970 in un edificio di nuova
costruzione in Via Marconi, civico 10, adiacente il bar Pedrocchi, di proprietà
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degli amici Bruno e Maria Florian. Il canone di affitto fu stabilito in lire 12.000
mensili. Si approfittò della circostanza per aggiungere la vendita di strumenti
ottici e scientifici (microscopi e occhiali da sole), coppe, targhe e trofei sportivi. Fu
l’imput che indusse a catapultarsi nella sponsorizzazione di varie associazioni di
volontariato, sportive e culturali, che in quel periodo si moltiplicarono
notevolmente a Paese: l’A.V.I.S., l’U.S. Calcio, il G.S. Olanda, il G.S. Dinamis in
particolare, oltre alle gare podistiche parrocchiali che a quei tempi erano in auge.
Negli anni Settanta i due fratelli facevano da cronometristi nelle gare ciclistiche
che si svolgevano sul circuito di Paese Centro ed erano anche soci del Moto Club
Dino Grespan. Non era poi raro che svolgessero il servizio di pesa pubblica per
conto dell’amico Florian quando questi si doveva assentare.
“L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che
viene. Così è il tempo presente”. Leonardo da Vinci descriveva in questo modo
filosofico il trascorrere del tempo. E venne anche per Virginio Visentin il momento
della quiescenza, lasciando spazio alla sua discendenza.
Il passaggio del testimone, com’è intuibile, si trasmise gradualmente dal padre al
figlio Silvio a cominciare dal 1990. Uscito dall’attività papà Virginio, rimanevano
tuttavia ben saldi gli altri due capisaldi: lo zio Giuseppe e la mamma Lidia.
La gioventù porta spesso con sé una ventata di rinnovamento se le si dà fiducia e
il giusto spazio, ed è ciò che accadde in questa azienda familiare. Silvio infatti
seppe dimostrarsi un ottimo imprenditore, imprimendo un nuovo slancio
all’attività nella consapevolezza che i tempi erano cambiati e ci si doveva
confrontare ora con la concorrenza. A Paese da qualche tempo era arrivato anche
un altro negozio simile. Silvio pertanto, a scopo promozionale, promosse delle
sfilate di moda nell’ambito della locale mostra di artigianato manifatturiero,
presentando propri articoli esclusivi, aumentando conseguentemente l’offerta dei
prodotti, comunque senza perdere di vista l’ottimo servizio di assistenza.
Le nuove iniziative trovarono poi sfogo nella neonata Associazione Commercianti
di Paese, di cui Silvio si fece promotore, assumendo la carica di segretario e
presidente, compiti che portò avanti per un decennio, impegnandosi
contemporaneamente nel sociale in qualità di presidente della Consulta e
membro della Commissione Attività Produttive del Comune di Paese, ed inoltre
come rappresentante comunale in seno alla Confartigianato della Marca
Trevigiana.
Il mestiere Silvio lo aveva imparato, assieme al fratello Pier Luigi, direttamente
dalle mani dei suoi congiunti quando ancora frequentava le elementari,
esercitandosi a rimontrare le sveglie riparate dal papà e dallo zio.
Virginio Visentin se ne andava da questo mondo il 1° Novembre 1995, lasciando
un notevole vuoto non solo nei famigliari ma anche in tanti amici e conoscenti.
“Un uomo fedelissimo ai suoi doveri religiosi, che ha onorato il suo mestiere, la
sua famiglia, le sue amicizie, la sua comunità cristiana e civile – disse tra l’altro
nell’omelia di commiato il parroco di Paese, mons. Giovanni Brotto – A
innumerevoli clienti ha fornito l’orologio, alle famiglie la sveglia per ricordarci che
il tempo è dono di Dio…”. L’infausto evento fu ripreso dal settimanale diocesano
“La Vita del Popolo” domenica 12 maggio 1996, in un articolo dal titolo: “Virginio
Visentin, il suo orologio si è fermato per sempre”. Vi si leggeva tra l’altro: “Un volto
che ispirava mitezza e bontà quello di Virginio Visentin (el “reojèr”). Conosciutissimo
a Paese e dintorni per la sua lunga professione di orologiaio, un’attività divenuta
con il tempo vera e propria arte artigiana. In ogni famiglia di Paese c’era una
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sveglia uscita dall’abilità delle sue mani. Entrando nel suo negozio, tra l’incessante
ticchettio di pendole e bilancieri, ti accoglieva sempre con un caldo amabile sorriso,
quasi a suggerirti: “Ascolta il tempo che passa…”. Con lui se n’è andato un pezzo di
storia di Paese. Si è congedato improvvisamente a settantuno anni, lasciando un
grande vuoto. Da qualche tempo aveva passato il testimone nelle mani del figlio
Silvio, ma il negozio era sempre la “sua” bottega e non passava giorno che non ci
andasse. Progettava di festeggiare con la moglie il 40° di matrimonio, ma data la
sua grande abilità professionale ben sapeva che il tempo e la vita non gli
appartenevano”.
Nel 1999 la Confartigianato della Marca Trevigiana premiava l’OrologeriaOreficeria Visentin per cinquant’anni di fedeltà al lavoro, ricevendo anche un
attestato di antica bottega artigianale. Meglio sarebbe dire di fedeltà in un lavoro
vissuto come servizio alla popolazione, praticato con tanti risvolti umani che
venivano ancor prima del giusto guadagno, valori di cui oggi si è persa la
memoria.
Il resto è storia recente. Il 2003 in particolare segnò un’ulteriore ascesa
qualitativa, quando il negozio fu spostato nell’attuale prestigiosa sede di Via
Battisti, a fianco del Cinema Teatro Manzoni, sede signorilmente arredata come si
addice al genere di prodotti commercializzati. Ne ha guadagnato in particolare
l’esposizione di gioielli e preziosi delle migliori marche che sono oggi sul mercato
mondiale, ma si possono trovare pure articoli da regalo per le ricorrenze più
importanti della vita, quali nascite, prime comunioni, cresime, matrimoni,
anniversari, lauree, ecc. Il tutto unito alla competenza, alla serietà e all’assistenza
alla clientela, peculiarità che non si esercitano nel mare della grande
distribuzione.
L’azienda Visentin si sta avviando ormai a festeggiare il 60° anniversario di
attività, consolidando la sua storica appartenenza al territorio comunale di Paese.
Ancor oggi nel negozio, che pure Giuseppe ha lasciato per quiescenza, si respira
l’atmosfera di un tempo grazie ad una generazione che non ha sciupato le
sostanze morali e umane dei predecessori. Lo testimoniano i numerosi attestati e
riconoscimenti esibiti come blasoni. Entrando nel negozio si può tuttora
sperimentare la cordialità della signora Lidia Silvello, mamma di Silvio, a
conferma che, almeno in questo caso, la storia non è cambiata.
P SERVICE s.r.l. di Postioma
È questa una delle 42 società - 24 in Italia e 18 sparse nei cinque continenti –
commerciali e produttive controllate dalla capogruppo Metal Work S.p.a. di
Concesio (Brescia), industria specializzata nella produzione di componenti
pneumatici per l’automazione industriale. In Italia le società commerciali sono 18
e sono chiamate tutte “P Service”.
Nata nel 1967 come ditta individuale per volontà di Erminio Bonatti, il quale è
tuttora il presidente del Gruppo, la Metal Work ha festeggiato nel 2007 i primi
quarant’anni di vita. Le P Service, che operano autonomamente, ne sono
l’emanazione commerciale, in sostanza sono la rete di vendita di una realtà
industriale che dà lavoro complessivamente ad oltre ottocento persone.
La P Service Treviso, con sede in Postioma, è il punto di vendita e assistenza che
presidia il territorio della Marca Trevigiana, ma anche la provincia di Venezia e di
Pordenone. Socio e amministratore è Antonio Marcante, che si avvale dell’apporto
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di cinque collaboratori molto motivati - tre venditori e due interni
che
quotidianamente a stretto contatto con la clientela garantiscono il servizio
capillare che è uno dei punti di forza del gruppo..
La P Service Treviso s.r.l. apre i battenti nel 1997 in Via Postumia a Paese, ma
considerando la percentuale di crescita annua – si parla anche del 100%, - è
costretta a spostarsi da quella sede dopo appena quattro anni nell’attuale
moderno fabbricato di Postioma, in Via P.A. Gemelli 34 (zona industriale).
Come si diceva, tutte le filiali, pur facendo capo alla Metal Work, operano in
perfetta autonomia, anche se in modo sinergico. E’ la strategia del fondatore e del
suo management a dettare le regole, indicando gli obiettivi, ma ampio spazio
viene lasciato ai responsabili locali, nel segno della migliore valorizzazione delle
risorse umane che sono il patrimonio vero dell’azienda. Una formula vincente visti
i risultati. Il team di Postioma ne è la riprova.
Dal 1992 Metal Work è certificata secondo la Iso 9001. Alla certificazione del
sistema di qualità si è aggiunta nel 2000 quella del sistema di gestione
ambientale secondo la norma Iso 14001. A dicembre 2006 Metal Work ha inoltre
ottenuto la certificazione del sistema "Sicurezza" secondo lo standard
OHSAS18001. Il passo successivo sarà l'integrazione dei tre sistemi.
I prodotti sono quanto di meglio offre il mercato in questo settore.
La già vasta gamma di prodotti è in continua espansione grazie ai cospicui
investimenti per la ricerca di sempre più moderni sistemi, nuove tecnologie e
nuovi componenti. Basta scorrere - anche in Internet - lo straordinariamente
ricco catalogo per rendersene conto.
Tutto ciò non sarebbe ancora abbastanza significativo senza la continua
qualificazione del personale, di tutti i settori.
Di tutto rispetto il fatturato consolidato del Gruppo 115 milioni di Euro nel 2006.
Se la rete distributiva agisce in perfetta autonomia, la gestione è del tutto
accentrata nella sede bresciana, sgravando così le associate dagli oneri
amministrativi e burocratici .
Le filiali P Service, costantemente monitorate e supportate, possono concentrarsi
sulla celerità e la qualità del servizio, con l’obiettivo di garantire la maggior
soddisfazione dei clienti.
Con tali premesse, la “P Service” di Postioma, vede prospettarsi un futuro sempre
più roseo (www.pservice.it).
PAVAN ANGELO & FIGLI s.r.l.
L’Azienda che fa capo a Giuseppe e Luciano, figli di Angelo Pavan, la quarta
generazione dei “Pavanoni” commercianti di Castagnole, si contraddistingue per
essere l’unica in Comune di Paese a commercializzare manufatti per l’edilizia.
Detto così può tuttavia sembrare riduttivo, dato che vi si può trovare proprio tutto
ciò che serve per le costruzioni edili, dai prodotti tradizionali agli ultimi ritrovati
della tecnica del settore.
Ha alle spalle oltre novant’anni di storia e il suo percorso è costellato da una serie
di avvenimenti ed evoluzioni. Trova le sue origini nell’immediato primo
dopoguerra, quando nel 1919 i figli di Ferdinando Pavan, bisnonno degli attuali
titolari, pur essendo contadini, fittavoli dell’Ospedale di Treviso, iniziarono in
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Castagnole un piccolo commercio di vini, gestendo anche il panificio e tre osterie:
a Musano, “Al Morer” di Monigo, e quella in Castagnole all’angolo tra Via Cal
Morganella e Via Generale Piazza, con distributore di carburanti e poi con pesa
pubblica.
Ma l’attuale azienda Pavan ha conosciuto la sua evoluzione grazie ad Angelo
(1923-2006), già autotrasportatore, figlio di Giuseppe e nipote di Ferdinando il
quale, dapprima con il fratello Egidio e poi con la moglie Tiziana Bellù e i due figli,
l’ha portata all’attuale dimensione, ma sempre con la caratteristica della
conduzione familiare anche se non è mai mancato qualche collaboratore esterno.
La crescita della ditta avvenne per gradi ma costantemente aggiungendo
periodicamente nuove licenze merceologiche: prodotti per l’agricoltura, casalinghi,
manufatti edili di ogni tipo, pavimentazioni per esterno, guaine e teli traspiranti,
isolanti termici ed acustici, camini inox e rame, colle e colori, articoli per
giardinaggio, ferramenta, elettroforniture, utensileria, abbigliamento per il mondo
del lavoro e per la sicurezza degli addetti. Alla Pavan Angelo e Figli si può trovare
tutto, ma proprio tutto ciò che serve per costruire un edificio urbano con
tecnologie biologiche o tradizionali. Nel suo negozio annesso poi ci si può rifornire
di ciò che serve per il funzionamento interno della casa.
La ditta è conosciuta in particolare per la grande attenzione alle nuove scoperte
del settore edilizio, consapevole che la difesa della salute e dell’ambiente non può
più essere un optional ma un preciso e inderogabile dovere, considerato il
degrado delle condizioni climatiche del pianeta dovuto alla concentrazione di Co2
che viene prodotto per creare energia. Una tendenza che si va velocemente
affermando nel settore è adottare le soluzioni del cosiddetto sistema “Casa
Clima”, sviluppato secondo concetti nordici per l’efficienza energetica, limitando i
consumi e le emissioni inquinamenti.
Dal 2007 la Angelo Pavan & Figli è affiliata alla U.C.E. – Unione Commercianti
Edili, un gruppo interprovinciale di acquisto con sede in Bassano del Grappa
(Vicenza) che, con il proposito di divulgare i nuovi sistemi, costituisce una
garanzia per gli addetti ai lavori e per il consumatore finale, promuovendo
formazione nel campo delle ecobiotecnologie costruttive. In sostanza si tratta di
edificare o trasformare edifici con un occhio alla salvaguardia dell’ambiente,
oltretutto con un vantaggio economico a medio termine e difendendo la salute.
A questo proposito, da una costola della Angelo Pavan e Figli s.r.l. è nata in
Castagnole l’Immobiliare San Mauro, società facente capo agli stessi titolari, che
dal 2000 costruisce e vende direttamente al privato alloggi certificati “Casa
Clima”, ossia con la garanzia cartacea che l’immobile ha subìto la verifica da
parte di un ente accertatore indipendente della sua efficienza energetica,
dichiarando il consumo della casa in termini di energia per il riscaldamentoraffreddamento.
Le aziende Pavan collaborano e interloquiscono con le migliori case produttrici del
settore, quali Eclisse, Panto, Velux, Acustica Sistemi, Röfix, e poi Biocalce,
Laterlite, Riwega, Granulati Zandobbio, Celenit, Tassullo e molte altre, che si
trovano in posizione di leadership nel settore edilizio. E sono già queste sinergie
una notevole garanzia di qualità, efficienza e confort. Per farsene un’idea basta
visitare il sito internet: www.ediliziapavan.it.
I Pavan, con la professionalità acquisita in tanti anni di esperienza familiare, si
muovono sul mercato immobiliare con queste attenzioni, promuovendo anche
informazione e formazione tra gli addetti ai lavori e la clientela, organizzando
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serate a tema con il supporto di tecnici specialisti nelle specifiche discipline.
Affidarsi quindi alla Angelo Pavan & Figli o all’Immobiliare San Mauro è sinonimo
e garanzia di sicurezza, trasparenza, affidabilità.
La sede si trova a Castagnole di Paese (TV), Piazza S. Mauro 2 – tel. 0422.450950.
[email protected].
TRADIZIONE MODA s.r.l.
Si tratta di un’azienda familiare che ha alle spalle una tradizione commerciale
ultracentenaria, tramandatasi di padre in figlio, che può quindi essere additata a
simbolo della crescita economica dell’italico Nord Est.
A fondare la Tradizione Moda è stato Giuseppe Nadaletto, classe 1934, il quale,
provenendo da Morgano, si fermò a Paese nei primi anni Cinquanta del secolo
scorso per aprire un negozio sotto casa di casalinghi, mercerie, abbigliamento e
articoli di altro genere che già offriva da venditore ambulante. Mestiere questo che
era stato prima del nonno Antonio e poi di suo padre Eugenio.
Vantano quindi longeve solide basi i Centri Moda Tubia che fanno capo alla
Tradizione Moda s.r.l. Giuseppe, infatti, ha coltivato questa sua creatura come si
alleva un figlio, fornendole linfa ed energie vitali per farla crescere, fino ad
imprimerle quella svolta importante che, da azienda individuale, la fece diventare
un’importante e dinamica realtà commerciale, collocabile tra la media-grande
distribuzione.
Certo un bel salto da quando girava con piccoli veicoli spinti a braccia o a gambe.
Era passato dal carrettino a mano al triciclo, poi al carretto tirato da un asino,
quindi ai mezzi motorizzati, dai più semplici motoscooter con cassone ai
furgonati. Non conosceva orari, come non teneva conto dei chilometri macinati
quotidianamente andando di paese in paese, di casa in casa per offrire le sue
merci. Giuseppe è il classico commerciante che si è fatto da sé partendo dalla
gavetta. Ha attraversato oltre mezzo secolo di trasformazioni sociali da vero
protagonista ed ora è il capo carismatico di una famiglia di affermati imprenditori
commerciali.
Un progresso così straordinario non sarebbe stato possibile se Giuseppe non
avesse avuto accanto una brava moglie come Graziella Zanatta, che con
un’eccezionale volontà si prodigava quanto lui dividendosi tra lavoro, casa e
famiglia. E poi i figli Eugenio, Stefania, Patrizia e Federico, che ne hanno
condiviso la passione e raccolto il testimone impegnandosi a fianco dei genitori in
ruoli diversi.
La famiglia è stata ed è tuttora lo scopo primario di Giuseppe Nadaletto, un uomo
che, partendo dal nulla, ha costruito il suo piccolo impero. Pur essendo per molte
ore (12-15 giornaliere) lontano da casa, ha saputo far sentire costantemente la
sua presenza e soprattutto la finalità del suo lavoro, la famiglia appunto, ed ora
ne raccoglie i benefit.
La compattezza familiare è la peculiarità che ha favorito l’evoluzione aziendale.
L’esperienza si è fusa con nuove fresche energie e idee innovative, un fermento
che si è tradotto in successo. Certo, come un tempo, c’è sempre da confrontarsi
con una agguerrita concorrenza, da lottare e inventarsi ogni giorno qualcosa di
nuovo per stare al passo, per migliorare e raggiungere sempre più ambiti
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traguardi, ma questa azienda sa dare essa stessa del filo da torcere. L’impegno è
notevole. Si deve correre da una città all’altra, talvolta prendere l’aereo per
acquistare bene e vendere meglio, giacché oggi, ancor più di ieri, per la clientela
conta sì il prezzo, ma soprattutto la qualità, con in più il servizio personalizzato,
che nei negozi Tradizione Moda Tubia fa la differenza, un’attenzione che non si
trova ovunque e che anzi sta diventando sempre più rara.
Così dalla prima costola - il negozio di Paese - è nata negli anni una serie di
moderni e vasti empori, studiati per il confort e la funzionalità, agevoli da
raggiungere e di notevole appeal: ad Istrana, Montebelluna, San Biagio di
Callalta, San Martino di Lupari, Noale, Oderzo, Conegliano, quindi ancora a
Montebelluna e a San Stino di Livenza. Strutture che operano in stretta sinergia
tra loro e che sono frequentemente oggetto di ampliamenti e rinnovamenti per
rimanere al top della funzione.
All’orizzonte s’intravede un ulteriore allungamento della catena, ma sempre con la
particolare impronta di azienda a misura d’uomo. Sì perché, come insegnano il
fondatore e i suoi figli, si può essere commercianti con un cuore, ossia attenti alle
esigenze di una società che è pur sempre composta da donne, uomini e loro
bimbi, in sostanza da famiglie che devono far quadrare il proprio bilancio. Una
sensibilità che si trova in modo naturale in questa ditta, la cui conduzione è in
mano a persone che sanno interpretare non solo le tendenze modaiole, ma anche,
con grande competenza, anticipare le esigenze della loro clientela. Ciò traspare
pure dal coinvolgimento del personale dipendente, considerato dai titolari il
principale investimento della Tradizione Moda. Il successo passa indubbiamente
per la professionalità, senza trascurare i rapporti umani che si sviluppano
all’interno del gruppo in anni di fruttuosa collaborazione.
Grazie a questi indirizzi, la Tradizione Moda s.r.l. si colloca in posizione
verticistica, una delle aziende più solide e ricercate del settore abbigliamento della
Marca Trevigiana e dintorni. Innovazione, gestione del cambiamento,
organizzazione interna, qualità, attenzione al cliente, sono alcuni degli ingredienti
essenziali che l’hanno fatta diventare un’azienda leader nel commercio
dell’abbigliamento. Ma pur sempre a dimensione umana.
LE AZIENDE ARTIGIANALI DI PAESE
ARTE ORGANARIA di Alessandro Girotto
La ditta opera dal 1975, anno di iscrizione alla camera di Commercio di Treviso e
si occupa di costruzione, recupero e restauro di organi musicali a canne, antichi e
moderni. È questa una delle attività assai rare operanti nel Comune di Paese, ma
che per la famiglia Girotto è già una tradizione, dato che a precorrerla fu Silvano
Girotto (1927), dei “Rossi” di Postioma, padre di Alessandro (1956) e di Saverio
(1965) che ne hanno raccolto il testimone.
In particolare Alessandro, essendo il maggiore dei due figli, ha potuto operare a
fianco del genitore. Fin da bambino si mostrava portato a questa passione, infatti,
già all'età di 8 anni, costruì un piccolo pianoforte (che conserva ancora dopo che
ci hanno giocato i suoi figli) usando materiali di recupero scartati dal padre con
cui ha collaborato fino al 1989. A seguito dell'invito del famosissimo M°
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Concertista Arturo Sacchetti, direttore Artistico della radio Vaticana, Alessandro
Girotto termina definitivamente la collaborazione con il padre per iniziare l'attività
in proprio. Diventa quindi per anni l'organaro accordatore personale del M°
Sacchetti che lo porta a svolgere lavori di grandissimo livello in varie località,
come la riparazione del più grande organo d'Italia nel Duomo di Messina, con più
di 16.000 canne e 160 registri sonori. Proprio in occasione dell'inaugurazione
dello strumento, il Maestro Sacchetti, con ripresa televisiva, eseguiva l'opera
omnia di “Cesar Franc” con incisione di 3 compact disc. Iniziava inoltre la
collaborazione con altre aziende come tecnico rifinitore e accordatore, facendosi
apprezzare ovunque e sviluppando l’attività con nuove ricerche in proprio. In
particolare nel campo dell'elettronica applicata all'organaria collaborando con la
“Intercontinental Electronics” (Viscount) per gli organi liturgici elettronici e
progettando con la “Mabel”, azienda all'avanguardia per l'applicazione della
tecnologia digitale, un'apparecchiatura elettronica: la ”Consolle 2000”, in grado di
gestire tutte le funzioni dell'organo con trasmissione seriale e a onde radio, per
eliminare i marchingegni elettromeccanici, causa spesso dell'inaffidabilità e
malfunzionamento degli strumenti. Ha frequentato per quattro anni il corso di
specializzazione di Organbauer (maestro costruttore d'organi) presso la scuola
Weishaupt di Westendorf (Ausburg) Germania, ed ora può vantare oltre un
trentennio di esperienza in questo lavoro. Grazie alla costanza e agli
aggiornamenti continui, il maestro organaro Girotto è entrato a far parte delle
ditte accreditate dalle Sopraintendenze delle varie regioni d'Italia per il patrimonio
storico, artistico e culturale, in particolare quella di Venezia, per il recupero degli
strumenti storici tutelati dalle normative sui beni culturali.
A parte la collaborazione con suo padre, il maestro Alessandro Girotto ha potuto
mettere in atto la sua arte in diverse chiese e santuari italiani, quali: Incoronata
di Foggia, Chiesa parrocchiale di Paese, di Casacorba di Vedelago (TV), di Villorba
(TV), Madonna del Buon Consiglio in Frigento (AV), Madonna della Neve di Bonito
(AV). Ha poi costruito alcuni strumenti a tre tastiere, con più di 2000 canne
presso diverse Chiese: Santuario della Madonna dello Splendore di Giulianova
(TE), Chiesa del Sacro Cuore di Pesaro, S. Benedetto a Cattolica (RN), S. Antonio
di Teramo, l'organo meccanico presso la Madonna della Luce di Cassino
(Frosinone), di Maltignano (AP),di Sant'Egidio alla Vibrata (TE), Grottaccia di
Cingoli (MC), Santuario di Santa Maria in Civitella del Tronto (AP), Appingnano
del Tronto (AP), Ripaberarda (AP), Cristo Re in Alba (CN), Madonna della Neve di
Merate Brianza, di Tosi (FI) di Faella (AR), Sacra Famiglia di Porto San Giorgio,
Parrocchia di San Luigi Gonzaga Pesaro, Santa Lucia (PG), Cappella dell'Ospizio
di Bozzolo (MN), Santandrà (TV), Sant'Andrea Vittorio Veneto (TV), Sant'Agostino
(FE), Riva Azzurra (RN), Città di Castello (PG). Alla lunga lista si aggiungono gli
strumenti costruiti per i Duomi di Urbino, Recanati, Macerata, senza tralasciare
quelli per la Chiesa della Collegiata di S. Stefano di Castelfidardo (AN), patria
delle fisarmoniche, per l'Istituto Musicale Giuseppe Verdi di Asti, l'organo di
Volturara Irpina (AV), ed infine l'organo della Chiesa Parrocchiale di Belfiore (VR).
Nel suo curriculum emergono collaborazioni con altre importanti ditte, sia
nazionali che estere, quali la “Arte Organaria di Bovellacci” di Ragusa, la
“Tamburini” di Crema, la ditta “Bevilacqua” di Sulmona (AQ) e la “Giustozzi” - già
“Fedeli” - di Foligno, della quale ha rilevato i materiali alla morte del titolare.
Anche in questo settore è necessario aggiornarsi costantemente per stare al passo
con i tempi, dato che gli strumenti subiscono frequentemente - come in effetti
hanno subito - delle trasformazioni. La trasmissione degli organi un tempo era
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meccanica, poi pneumatica, quindi elettrica ed ora è arrivata l’elettronica. Il
Maestro Alessandro Girotto si presenta in questo campo da vero pioniere.
L’elettronica è divenuta appannaggio anche di questi complessi macchinari (gli
organi) e rende possibile farli suonare senza l’ausilio delle mani e dei piedi, con
l’inserimento di un semplice supporto elettronico (Floppy disc), avendo
un'organista seppur digitale sempre a disposizione per lo svolgimento della
liturgia. Questa tecnica è già utilizzata da molti parroci.
La fama del Girotto ha da tempo valicato i confini nazionali e la sua attività non
conosce crisi. Arrivano commesse perfino dagli U.S.A. perché egli è in grado di
riprodurre magistralmente, oltre al mobile, qualsiasi pezzo dello strumento che
sia stato logorato dall’uso e dal tempo.
In fatto di restauri portati a termine – pratica che richiede, oltre all’abilitazione
certificata, una delicata manualità – sono da segnalare gli organi della chiesa di
S. Margherita in Massignano (AN) e di S. Gaudenzio in Morro d’Alba (CN), quindi
lo storico organo “De Lorenzi” in Venas (BL) con ricostruzione della parte
meccanica dei registri, intervento del 1984. L’anno seguente ne beneficiò l’antico
organo della chiesa di San Giorgio in Morbio Inferiore (Canton Ticino), al quale
seguì nel 1986 la ristrutturazione del settecentesco “Domenico Gasparini”, organo
situato nella chiesa di S. Pietro di Felletto, e nel 1987 fu restaurato quello di
Lorenzago di Cadore, organo del 1746, costruito da Nicolò Moscatelli. Il concerto
inaugurale post restauro fu eseguito il 18 luglio 1987 dal M° Arturo Sacchetti
della RAI alla presenza straordinaria del Papa, Giovanni Paolo II. Inoltre per la
visita del Santo Padre a Riese Pio X e a Treviso fu richiesto dal Vescovo di Treviso
uno strumento che accompagnasse il coro nelle due tappe del Pontefice. Per
l'occasione, restaurato un pregevole organino settecentesco di Domenico
Gasperini (1746), da sopra la piattaforma di un camion utilizzato per il trasporto,
il maestro Don Bruno Serena organista del Duomo di Treviso, ha animato la
liturgia. L'organo in questione fu acquistato da Don Osvaldo Bortolot, parroco di
Borca di Cadore, che ne fece dono al suo paese natale, la parrocchia di Zoppè di
Cadore. Negli anni seguenti attuò numerosi restauri. Ne vengono qui citate
alcune ubicazioni: chiesa parrocchiale di Povegliano; chiesa di S. Girolamo in
Venezia; chiesa di S. Antonio in Montà d’Alba (CN), anche questo collaudato da
Arturo Sacchetti; chiesa parrocchiale di Vico Morcote in Canton Ticino (CH);
Santuario mariano del Nevegal (BL); chiesa parrocchiale di Novillara (PS); chiese
Parrocchiali di San Bono (CH) e chiesa parrocchiale di Cellino Attanasio (TE),
antichi strumenti dei Fratelli D’Onofrio, e dell'organo storico di Vitale De Luca
presso la cappella della Parrocchia di sant'Antonio in Teramo, recuperati per
conto della Soprintendenza dell’Aquila; Parrocchia Santa Maria a Sco in Pian di
Sco (AR) chiesa di S. Maria Maggiore di Alatri Commissionato dal Consiglio dei
Ministri per il Giubileo del 2000, abbazia di Montesanto di Civitella di Tronto (TE);
chiesa dell’Immacolata di Lugano (CH); chiesa di Farra d’Isonzo (GO); nuovo
organo a Palazzo san Gervasio chiesa di S. Giovanni Battista in Sannicandro
Garganico (FG); chiesa di Sant’Andrea in Chioggia (VE), organo “Callido”, restauro
finanziato dalla Regione Veneto.
Oltre a quelli degli edifici di culto citati sopra, si devono aggiungere altri recuperi
di straordinaria importanza, quale il grandioso organo “Balbiani-Vegezzi-Bossi”
della basilica di Loreto, che fu trasferito e installato nella cattedrale di S.
Benedetto del Tronto (AP) e poi quello altrettanto imponente, a tre tastiere, del
salone “Pedrotti” presso il Conservatorio Musicale “Rossini” di Pesaro, al quale si
aggiunse il restauro dell’organo tedesco “G. Rittenfels” in Figline Valdarno, opera
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settecentesca che era stata alluvionata dallo straripamento dell’Arno nel 1966, la
commissione per il “Pacifico Inzoli”, domiciliato presso l’Arciconfraternita del S.
Rosario in Gesualdo (AV).da parte della soprintendenza ai B.B. Culturali di
Avellino e la commissione dalla Soprintendenza di Venezia del restauro
dell'organo storico esistente a Monfumo (TV)., E della Chiesa Parrocchiale di
Poggiana di Riese Pio X° (TV) Della Cattedrale di San Catervo in Tolentino (MC).
L'ultima commissione in ordine di tempo si riferisce al nuovo organo per la chiesa
del convento delle Suore Immacolatine di Pietra dei fusi (AV).
Tra i virtuosi organisti che hanno collaudato i lavori di Girotto, oltre al M°
Sacchetti, sono da citare i Maestri Giuseppe De Donà, Severino Tonon, Sergio De
Pieri, Giancarlo Parodi, Roberto Marini, Silvio Celeghin, Giovanna Franzoni,
Andrea Freddini, Giuliana Mccaroni, Mauro Papagallo, Gianluca Libertucci e
J.E.Goetsche organisti di San Pietro in Vaticano, Wijnand Van De Pol, Robert
Michaels, Giuseppe Sirolli, Donato Cuzzato, Sandro Carnelos, Domenico Severin,
Giovanni Feltrin, Luigi Scopel. Oltre a questi, numerosi altri musicisti stranieri
hanno espresso il meglio di sé sulle tastiere restituite all’originale timbro
musicale.
Tutto ciò testimonia del livello professionale raggiunto dalla “Arte Organaria” di
Postioma, ditta individuale di Alessandro Girotto, che opera con il supporto della
signora Maria Horzov, la compagna di vita e di lavoro, appassionata fin da subito
a questa antica professione, che gli ha dato Davide un bellissimo e vivace
maschietto nato nel 2006; Alessandro Girotto è già padre di Silvia Emanuela e
Martina.
Girotto è membro dell'“A.I.O.- Associazione Italiana Organari”, di cui fanno parte i
maggiori restauratori di organi d'Italia, nata grazie alla passione di persone come
lui, che amano il loro lavoro e ne hanno massimo rispetto, e su cui nell'arco
dell'anno si ritrovano per scambiare e mettere a confronto le proprie esperienze,
con il fine di raggiungere i migliori risultati. Per il maestro Girotto non si tratta
solo di un mestiere, anzi vengono prima la passione e la voglia di scoprire sempre
nuove tecniche in un naturale confronto con i maggiori restauratori europei e non
senza uno spiccato senso di responsabilità, trattandosi frequentemente di mettere
mano ad autentici pezzi museali, tutelati da norme vigenti in materia del
patrimonio artistico.
Data la delicatezza dei materiali da restaurare, Girotto è stato il primo ad
applicare ed utilizzare una particolare tecnica di disinfestazione dei parassiti del
legno ottenendo il migliore dei risultati senza fare ricorso ad impregnanti e veleni
dannosi per la salute dell'uomo e dell'ambiente e che oltretutto distruggono
soltanto le larve che si trovano in superficie, ma sono quasi del tutto innocui in
profondità. Pensò cosi di utilizzare il forno a microonde, constatando che con
questa semplice operazione si risolveva ogni problema in modo definitivo. La
perseveranza e la passione per questo lavoro, unite a scoperte e innovazioni, lo
hanno fatto diventare nel suo campo un abile maestro organaro, tale da ricevere
riconoscimenti da più parti, come quella volta, nel 1990, che fu premiato dalla
regione Abruzzo al centro congressi dell'EUR a Roma ricevendo dalle mani di
Mariolina Cannuli, nota presentatrice televisiva, il Premio “Italia che lavora”,
istituito dalla locale Camera di Commercio. In questo trentennio il maestro
Alessandro Girotto ha disseminato ottimi lavori strumentali con la propria
personale abilità e conoscenza in molte località d'Italia e all'estero, portando in
alto il nome e la laboriosità del Nord Est, orgoglioso delle sue origini di cittadino
di Paese.
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La ditta ha sede in Postioma, frazione di Paese (TV), Via Enrico Fermi n. 24/A.
Tel.0422.484436
fax
0422.483308:
[email protected];
www.paginegialle.it/arteorganariagirotto.
BIONDO MARIO s.n.c. di Mario Biondo & C.
Questa ditta di impianti elettrici vanta oltre un quarantennio di attività e per la
sua storia rappresenta un tipico esempio della laboriosità della gente del Comune
di Paese.
A fondarla, nel 1967, è stato Mario Biondo di Postioma, dopo una lunga
esperienza acquisita in Piemonte a fianco dello zio Umberto Girotto con l’aiuto del
quale, appena diciassettenne, aveva avviato una propra azienda nel Triangolo
Industriale. A Torino era arrivato nel 1960, in pieno boom economico e la neonata
impresa partì subito con il vento in poppa. Contemporaneamente Mario
frequentava l’Istituto Professionale serale. Rientrato dopo poco tempo a Postioma,
frequentò sempre di sera una scuola per elettricisti mentre di giorno imparava
nuove tecniche al seguito di Valter Lepes di Paese, lavorando per le FF.SS. e per i
privati.
Ritornato a Torino con l’abilitazione in tasca, vi rimase fino al momento della leva,
trovando così l’opportunità di rendersi utile da elettricista specializzato anche
durante il servizio militare, a favore dell’Esercito.
Nel 1967, data la grande esperienza acquisita, arrivò il momento di mettersi in
proprio, formando una società con il fratello Giovanni (1941). Nacque così la
“Biondo Mario & C”. Erano gli anni migliori, quelli che registrarono un irripetibile
sviluppo economico e produttivo, e i due fratelli seppero cogliere questa
opportunità lavorando di giorno e studiando di sera. Acquisirono così
l’abilitazione di tecnici radio-televisivi e, contemporanemente, Mario prese anche
la licenza media.
Con questo pingue bagaglio di conoscenze, nel 1970 aprirono un negozio di
apparecchi radio-tv in Piazza Montello a Postioma, alternandosi ora dentro ora
fuori secondo le esigenze. Nel 1980 arrivò il tempo di separarsi e formare due
ditte diverse ma affini tra loro, pur rimanendo ambedue nel settore elettrico. Così,
mentre Giovanni sceglieva la conduzione del negozio, Mario preferì i lavori
impiantistici, operando per le più importanti imprese edili e per privati.
In quegli anni la “Biondo Mario s.n.c.” registrò una crescente evoluzione e il suo
giovane titolare era occupatissimo non solo da imprenditore ma anche da persona
impegnata nel sociale. Certo aveva anche l’aiuto di bravi collaboratori che aveva
assunto ad iniziare dal 1973, aumentando progressivamente gli ingaggi fino ad
avvalersi di dodici maestranze. Potè quindi dedicarsi anche alle sue passioni: fu
corista nel Coro “Stella Alpina” e poi nel “Voci Amiche” di Treviso, sostenitore e
presidente dell’U.S. Calcio Postioma, alla quale non ha mai fatto mancare il suo
prezioso sostegno, ed inoltre di dirigente dell’Associazione Artigiani della Marca
Trevigiana.
Nel 1985, da presidente del Circolo Artigiani del Comune di Paese, carica che
mantenne per sette anni, avviò con altri amici la straordinaria serie di Mostre
dell’Artigianato locale, che proseguì per una decina di edizioni. Fu pure
consigliere comunale dal 1990 al 1994 nell’Amministrazione del sindaco
Giuseppe Mardegan.
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L’Azienda di Mario Biondo ha rinsaldato nel tempo la sua affermazione
conseguendo la certificazione che le permette di partecipare agli appalti pubblici.
Ciò le ha giovato l’acquisizione di importanti commesse da vari Enti locali, per i
quali ha eseguito lavori degni di menzione, tra cui l’impiantistica della Scuola
Media di Postioma, della Casa Alloggio di Paese, del Municipio di Cison di
Valmarino, delle case gestite dall’Ater di Treviso.
Certo pure il mestiere di elettricista nel tempo si è notevolmente evoluto, così
come si sono affinate le richieste di una clientela sempre più informata ed
esigente. Un tempo si trattava quasi esclusivamente di illuminazione, ora le
richieste di servizi attinenti sono notevolmente aumentate: telefonia, informatica,
allarmi, prevenzione incendi, video-citofonia, videosorveglianza, impianti
idustriali, ecc., che agevolano, ma che talvolta complicano la vita delle persone.
Per stare al passo occorre pertanto aggiornarsi costantemente. Se un tempo
bastavano le scuole professionali e i convegni delle associazioni di categoria, ora è
d’obbligo partecipare ai corsi di formazione specifici presso le aziende produttrici
di tecnologie sempre più sofisticate, a Milano e altrove. Con questa attenzione, la
ditta di Postioma può offrire le massime garanzie di qualificazione.
Dopo oltre quarant’anni la Mario Biondo di Postioma si configura, infatti, ancora
come azienda all’avanguardia nel settore, in grado di offrire un futuro alla nuova
generazione che potrebbe subentrare un giorno alla guida, nel segno della
continuità e tradizione.
BIONDO PIETRO dei F.lli Biondo s.n.c.
È la ditta di Castagnole di produzione e vendita manufatti in cemento per l’edilizia
fondata legalmente nel 1962 da Pietro Biondo (1929), padre di Claudio, Mauro,
Stefania e Fabio che conducono ora in società l’azienda di famiglia, tra le Vie
Pirandello e Ongarine a Castagnole, avvalendosi di alcuni collaboratori.
Il 1950 fu uno di quegli anni che più registrarono le partenze dei trevigiani verso
terre più generose. Il dopoguerra, infatti, non lasciava intravvedere nulla di buono
a breve scadenza e molti tentarono l’avventura migratoria. Ci provò anche Pietro
Biondo, che partì per il Canada con in tasca un contratto da bracciante agricolo.
Dopo quella prima esperienza, Pietro aveva trovato lavoro in una grande fabbrica
di cemento: la “Canadian Cement Company”. Vi rimase per sette anni, periodo
sufficiente a fargli germogliare la voglia di mettersi in proprio, lavorando la
materia cementizia che aveva visto trasformare dalle rocce frantumate in enormi
macchinari.
Ritornò quindi definitivamente dopo sette anni, sposandosi e mettendo in atto le
esperienze acquisite in terra americana avviando, con l’incoraggiamento del padre
Emilio, la produzione di manufatti in cemento sul terreno chiamato “Striconi”,
adiacente l’abitazione. Fu un inizio modesto (1961) anche se impegnativo. Si
trattava di costruire blocchi per l’edilizia versando il calcestruzzo negli stampi di
legno fatti a mano. I blocchi di cemento erano molto richiesti negli anni del
Miracolo Economico ed erano utilizzati, al posto dei laterizi, per la costruzione di
scantinati e case che sorgevano in regime di economia. Così, mentre la moglie
Giuditta Bado partoriva il primo figlio, Claudio (1961), egli avvalendosi di stampi
sempre più perfetti e sofisticati, nonché della collaborazione di Giuseppe
Pietrobon e Carlo de Lazzari, compaesani di Castagnole, aumentava
progressivamente la produzione.
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Durante questo periodo Pietro si alzava di buon mattino, caricava a braccia due
rimorchi agricoli di blocchi prodotti nei giorni precedenti e li consegnava a
domicilio, quindi rientrava per produrne altri, e il ciclo continuava. In seguito, per
le consegne fu assunto Giorgio Polin, di Paese.
Negli anni a seguire Pietro incrementò l’attività aggiungendo sempre nuovi
prodotti, quali palizzate per vigneti, pali e lastre per recinzioni, vasche per
fognature tradizionali e biologiche tipo "Imhoff", pozzetti, chiusini, caditoie, anelli
per fosse perdenti, cordonate, quadroni per pavimentazioni, ecc., impastando con
una betoniera il cemento con il pietrisco e la sabbia, che venivano caricati a
mano, unendo contemporaneamente l’armatura di ferro. Ed è ciò che
sostanzialmente si fa ancora oggi. Le materie prime impiegate, pur dopo tanto
tempo, sono sempre le stesse, solo il ferro che un tempo era legato ora è
elettrosaldato. Ciò che invece è radicalmente mutato è il lavoro umano, che si
avvale di tecnologia meccanica e informatica d’avanguardia. Il progresso ha
investito anche questo settore ed è così notevolmente diminuita la fatica fisica,
mentre è aumentata nel contempo la sicurezza. Pure gli stampi di legno per i
blocchi che si usavano un tempo sono ora diventati moderne blocchiere
metalliche che permettono una produzione altissima, impensabile per i primi
tempi.
Contemporaneamente allo sviluppo dell’azienda, Pietro vide aumentare i
componenti della famiglia, con l’arrivo di Mauro, Stefania e Fabio. E sono questi
che unendosi al primogenito Claudio, hanno raccolto il testimone mettendosi in
società nel 1995, quando, conseguito il diploma di scuola superiore, il loro padre
decise che era giunto il momento di farsi da parte. È stata una fiducia ben riposta
perché da allora la fabbrica di manufatti in cemento – che, da ditta individuale,
ha cambiato ragione sociale in “Biondo Pietro dei F.lli Biondo s.n.c.” - ha ottenuto
un ulteriore impulso, nonostante qualche alternante contrazione del settore
edilizio e il continuo aumento delle materie prime. Ciò ha permesso di tenere
unita la famiglia, che si è rigenerata attorno all’edificio storico. Ed è questo il
valore aggiunto di un’azienda che, dopo quasi mezzo secolo di vita, continua a
produrre sviluppo e ricchezza nel territorio comunale di Paese mantenendo solide
le storiche radici.
Pietro, da pensionato, può ora guardare con soddisfazione alla sua creatura che
marcia con gambe proprie. Unico rammarico è l’impossibilità di ampliare il
capannone di 400 mq. per adeguarlo alle esigenze della crescente produzione.
L’area cosiddetta “Striconi” su cui sorge, infatti, è tuttora classificata agricola.
CASA ORGANARIA SAVERIO GIROTTO
L’organo è uno strumento aerofono antichissimo costituito essenzialmente da un
sistema di canne metalliche e lignee. La prima testimonianza risale al III secolo a.
C., quando un certo Ctesibio, ad Alessandria d’Egitto, realizzò uno strumento
detto Hydraulos per il principio di funzionamento ad acqua, che produceva il
vento e successivamente descritto da Vitruvio. Solamente nel X secolo d.C. prese
piede l’uso di questo strumento per accompagnare le funzioni religiose,
trasformandosi nel tempo, adeguandosi ai cambiamenti tecnologici e agli stili
musicali. L'Italia vanta una solida tradizione organaria con diverse botteghe che
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hanno caratterizzato varie epoche. Conseguentemente un’innumerevole quantità
e varietà di strumenti hanno riempito le nostre chiese e allo stesso tempo
delineato la peculiarità dell’organo italiano. Si tratta molto spesso di vere opere
d’arte che per la complessità della costruzione assumono la caratteristica di
autentici cimeli museali. Nel secolo scorso molte ditte hanno assunto dimensioni
industriali, ma altre mantengono la caratteristica di bottega artigiana. Certo tra le
prime e le ultime cambia il valore intrinseco.
Non sono poi così numerosi gli organari, trattandosi di un mestiere che si
affranca dopo una lunga esperienza a fianco di altri maestri, che a loro volta
abbiano appreso dai predecessori. Occorrono passione, ingegno, orecchio e buona
manualità, oltre che conoscenze tecniche e attitudine per la buona musica per
fare questa professione.
Nel Comune di Paese sono addirittura due le aziende artigianali di questo settore,
avviate da due fratelli che hanno appreso il mestiere dal padre Silvano.
Uno di loro è Saverio Girotto, titolare dell’omonima Casa Organaria, con sede in
Paese capoluogo, ditta individuale, in Via San Daniele, dove tiene un
attrezzatissimo laboratorio di 400 mq.
Costruire un organo non è cosa semplice, solitamente si contempla la parte
esterna, che già da sola crea ammirazione e stupore, ma è il meccanismo interno,
impenetrabile ai profani, il cuore dello strumento.
Costruire o restaurare un organo è attività di alta esecuzione, richiede spesso
anni di paziente lavoro, trattandosi di uno strumento di concezione arcaica,
simbolo della più alta elevazione mistica dell’uomo. Meraviglia che a costruire
artigianalmente o a metterci le mani con grande abilità a questi strumenti sia un
giovane artigiano come Saverio Girotto, classe 1965, diplomato tecnico elettronico
a Treviso. Eppure a scorrere la sua esperienza si rimane stupefatti. Già gli studi
di tecnica elettronica rivelano una predisposizione alla creatività e all’originalità,
ma Saverio è anche un bravo progettista, quindi un falegname, un artista del
legno e dei metalli, attitudini che rivelano una mentalità aperta e spugnosa. Sì
perché ogni strumento è qualcosa di originale, di inedito e per la sua
composizione occorre tenere presente una varietà di fattori, studiando la
morfologia e l’acustica ambientale, i ritorni di suono, le correnti d'aria, i problemi
architettonici e statici. In caso di recupero e ristrutturazione, importante è la
fedeltà alle tecniche originali. Non basta quindi attuare una corretta esecuzione,
bisogna anche tener conto di tanti altri aspetti, che creino armoniosamente un
amalgama con l’opera. In tutto ciò Saverio Girotto è un vero maestro, ricercato e
richiesto in tutto il Veneto, con qualche puntatina anche fuori regione. Quella di
rimanere in ambito locale è una sua scelta, giacché tiene a non allontanarsi
troppo dalla sua giovane famiglia. Un valore che gli fa onore e che parla della sua
semplicità: una persona che non si esalta, ma che dialoga con l’arte delle mani.
Quasi nessuno immagina quanto lavoro e ingegno comportino la costruzione di
un organo a canne, così come in caso di restauro. “Quando uno di questi
strumenti è montato, è allora che inizia il lavoro più delicato, ma anche più
gratificante”, dice l’artista. È un passaggio importante, quello in cui si deve dare
funzionalità e intonazione. Chi costruisce questi strumenti sa già in partenza
come suoneranno una volta completati.
Saverio Girotto progetta e costruisce organi a canne prevalentemente per chiese e
cattedrali, e per privati, portativi e positivi. Fabbrica artigianalmente tastiere,
pedaliere, registri, mantici, somieri, consolle e il mobile di supporto, canne in
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legno, mentre per quelle in lega metallica si affida all’opera di valenti artigiani
cannifonisti.
Risaputamente l’organo è lo strumento più completo, concepito principalmente
per suonare la musica sacra che accompagna la liturgia. Se ne costruiscono di
imponenti, ma anche piccoli da accompagnamento, cosiddetti “da basso
continuo”. Tuttavia la grande dimensione non sempre equivale alla più
impegnativa. Certo, come dice il dépliant d’inaugurazione di un grande strumento
costruito da questa ditta, “l’organo accoglie, avvolge, parla, scuote, ti accarezza, ti
interroga, ti rende armonioso, ti mette in pace con te stesso”.
La Casa Organaria di Saverio Girotto, pur essendo un’azienda di non grandi
dimensioni, è in grado di sviluppare strumenti importanti per ingombro e
complessità giacché escono dalle mani di maestranze altamente preparate e
quindi non teme la concorrenza. Qualità e arte sono le sue principali
caratteristiche, che Saverio Girotto ha acquisito fin da quando, ancora ragazzino,
seguiva suo padre nei maggiori santuari e cattedrali fino alle più sperdute pievi.
Proprio come fanno ora i suoi figlioletti, Nicola e Irene, sotto lo sguardo della
mamma Patrizia, che pure sostiene il marito nell’attività. Sono piccole piantine
messe a dimora in attesa che il tempo faccia la sua parte. E potrebbero essere
proprio questi acerbi figli d’arte a dare un giorno continuità all’azienda familiare.
(info: [email protected])
COMET BILIBIO
Nata a Morgano nel 1973 come torneria e carpenteria metallica, questa azienda
ha saputo trasformarsi e consolidare la sua presenza nel mercato regionale ed
extraregionale, diventando una delle più conosciute e apprezzate aziende del
territorio del settore.
Tutto iniziò per iniziativa di due amici che si misero in società con la voglia di fare
qualcosa in proprio, liberi da dipendenze. Si trattava di Eugenio Zuccato e
Giuseppe Bilibio che, utilizzando un magazzino con tettoia a fianco dell’abitazione
del primo, iniziarono i primi lavori per conto terzi, muniti di attrezzature leggere
quali torni, trapani e saldatrici.
Grazie alla loro bravura ben presto riuscirono a farsi conoscere e ampliare
l’attività, tanto che nel 1981 trasformarono la ditta in S.n.c. (Società nome
collettivo) e, per fronteggiare le crescenti richieste dovettero assumere delle
maestranze, più che altro giovani apprendisti. L’area lavorativa intanto si
ampliava a poco a poco fino a misurare circa cento metri quadrati. Troppo pochi
per operare agevolmente e soprattutto per continuare ad espandersi. Constatata
perciò l’insostenibilità della situazione, nel 1986 entrarono a far parte del
Consorzio San Gottardo, attraverso il quale acquisirono un’area nella zona
artigianale di Padernello, in Via Piemonte 7, costruendovi un capannone, con
uffici e magazzini, di circa 1.500 mq. dove si trasferirono e dove la ditta si trova
tuttora.
Fu una scelta indovinata ancora una volta perché si poté ampliare la gamma di
prodotti offerti e di riflesso anche gli affari presero un’ottima piega.
Conseguentemente pure il personale fu incrementato fino a raggiungere una
quindicina di persone.
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Nel 2001, dopo quasi un trentennio, Eugenio Zuccato, ritenendo giunto il
momento della quiescenza, si ritirò dalla Società, lasciando spazio all’ingresso di
altri due soci: Claudio Zaratin e Fabio Bilibio, figlio di Giuseppe. La ditta assunse
perciò una nuova ragione sociale diventando “Comet Bilibio s.n.c.”.
L’azienda si avvale ora di tecnologia avanzata, tra cui una macchina per la
lavorazione e decorazione al plasma delle lamiere, con controllo numerico,
macchina computerizzata di alta precisione. Dalla produzione escono pertanto
recinzioni e ringhiere, cancellate, strutture metalliche pesanti e leggere, pensiline
e tettoie varie, soppalchi, solai in ferro e in acciaio inossidabile, ed anche
macchinari su misura per particolari lavorazioni industriali. Sul piano della
carpenteria pesante la ditta sforna longheroni e profili stampati, oltre che cassoni
per camion. Fiore all’occhiello rimane tuttavia lo stampaggio delle lamiere per
ringhiere e altri usi industriali, con possibilità di incidere artistiche decorazioni al
plasma.
Un altro settore importante dell’azienda riguarda i serramenti di profilati in
alluminio per abitazioni civili e strutture industriali. Ne produce di varie tipologie.
Tutti articoli che, all’altissima qualità dei materiali impiegati, aggiungono un
notevole valore estetico per l’eccellenza delle rifiniture. Nel 2003 il reparto
produzione dei serramenti in alluminio, per carenza di spazio, è stato spostato in
un altro capannone di circa 600 mq. che si trova in Via Veneto, poco lontano
dalla sede principale.
Sembra superfluo aggiungere che l’azienda si avvale di ottimi professionisti per
calcoli e progettazioni e di personale proprio per montaggio e assistenza.
Il mercato aziendale è in continua espansione grazie al buon nome acquisito e alle
garanzie che la Comet Bilibio offre. E a tale proposito c’è da aggiungere che le
cancellate e i serramenti vengono forniti a marcatura “C.E.”, come previsto dalle
vigenti normative europee. La clientela è eterogenea; interessa infatti sia il settore
privato sia quello industriale e va costantemente espandendosi anche fuori
regione. Per informazioni: [email protected].
FOTO DE MARTIN di De Martin Giuliano
La Foto De Martin deve la sua origine a Ruggero De Martin (1940) di S. Giuseppe,
zio di Giuliano, attuale titolare del negozio in Via Roma 17 a Paese, che acquisì la
licenza il 9 febbraio 1966. Già due mesi dopo, aperto un nuovo negozio sulla
Statale Feltrina, Ruggero ne cedette la conduzione al fratello Marcello (1942)
diventato proprietario nel 1973 il quale, abbandonato il suo vecchio mestiere,
aveva dimostrato subito un’ottima attitudine per questo lavoro, oltre che intuito
commerciale.
La sua attività si svolgeva prevalentemente in studio dove eseguiva ritratti e
fotografie in formato tessera per i documenti, in bianco e nero, sviluppate e
stampate a mano nel proprio studio, cosa normale in quel tempo.
A ciò si aggiungevano i servizi per matrimoni, prime comunioni e cresime, ma
erano frequentemente richiesto pure per servizi a domicilio nelle feste di
compleanno, o semplicemente per fotografare i bimbi e per ricorrenze particolari.
Non era poi raro che Marcello si recasse di domenica nelle famiglie con il
cineproiettore “Super8” a proiettare i filmini che gli emigrati spedivano ai
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famigliari con le riprese dei luoghi in cui vivevano. Spesso Marcello doveva
documentare con la macchina fotografica anche i funerali; i parenti del defunto
spedivano poi le foto ai congiunti lontani.
Il fotografo aveva quindi una valenza sociale e documentale. Lo stesso valeva
anche in ambito pubblico, quando allo Studio De Martin venivano commissionati
servizi riguardanti l’inaugurazione di opere pubbliche o di importanti
manifestazioni sportive.
Lentamente, con l’evoluzione economica, la gente di Paese iniziò ad acquistare la
macchina fotografica in proprio, anche se una grossa frangia continuò a rivolgersi
alla Foto De Martin, che la prestava gratuitamente per viaggi di nozze, anniversari
e gite domenicali. Con l’avvento del colore fu necessario appoggiarsi ad un
laboratorio esterno, dato che si trattava di macchinari assai costosi e sofisticati;
la Foto De Martin tuttavia continuò la sua crescita dato che aumentava il suo
raggio d’azione anche nei paesi del circondario.
Nel 1971 il negozio De Martin si spostò dal civico 7 all’11 di Via Roma. Nel 1986
fu acquistata la storica abitazione del Cappellano. Il fabbricato, opportunamente
ristrutturato, il 7 dicembre 1988 accolse il nuovo studio fotografico al civico 17,
dove si trova attualmente, per la prima volta in un immobile di proprietà.
Con il trascorrere degli anni e l’aiuto dei figli, la Foto De Martin si caratterizzò
sempre più come impresa familiare. Ad appassionarsi maggiormente della
professione del padre fu il figlio Giuliano (1975), che già da studente delle scuole
superiori seguiva il genitore per carpirne i segreti del mestiere.
Conseguito il diploma di ragioniere, Giuliano frequentò numerosi corsi inerenti la
professione di fotografo, gettandosi nell’attività del padre e dimostrando di
possedere l’innato talento di fotografo. Fu allora che Marcello comprese che era
arrivato il tempo di dare fiducia al figlio, svincolandosi progressivamente fino a
cedergli l’attività nel marzo 1999.
Il cambio di ragione sociale non modificò il modo di operare perché l’azienda si
mantenne sempre di tipo artigianale, ossia dedita più ai servizi che al commercio
fotografico. Già nel 1996, dati i nuovi orientamenti del settore, era stato
acquistato dai De Martin il primo computer per eleborazioni grafiche e restauro di
foto d’epoca. Successivamente fu introdotto un “Minilab” (laboratorio di sviluppo
e stampa automatizzato) per la consegna delle foto in giornata.
Un nuovo determinante balzo evolutivo avvenne nel 2005, quando Giuliano,
mettendo da parte il medio formato (fotocamera Hasselblad 6x6) decise di passare
alla tecnologia digitale.
Il digitale ha radicalmente trasformato il mondo della fotografia e pure il mestiere
di fotografo, che per rimanere al passo con i tempi deve costantemente
aggiornarsi non solo nelle attrezzature ma anche con corsi di formazione.
Professionalità e cortesia sono ancora una costante della “Foto De Martin”, di
Giuliano De Martin, perché, al di là della competenza, si dà molta importanza
all’instaurazione di ottimi rapporti umani. È questa la fidelizzazione della
clientela, e ciò si evidenzia nella constatazione che a frequentare il negozio sono
ora i figli o addirittura i nipoti dei primi clienti di Marcello.
Certo l’Azienda ha conosciuto nel tempo varie trasformazioni, nelle attrezzature e
nei processi di stampa, ma rimarrà sempre fedele a queste sue caratteristiche,
convinta inoltre che una fotografia ha il potere di fermare per sempre l’attimo
fuggente.
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Didascalie alle foto:
La Famiglia De Martin al completo all’interno del negozio in Via Roma 11, negli anni
Ottanta. Da sinistra: a fianco di Marcello la moglie Luciana Schiavinato, quindi i figli
Giuliano, Elena e Anna. Manca Sara, la più giovane, nata nel 1991.
Marcello De Martin al lavoro nel suo studio, nel 1978. Gli tiene compagnia il figlio Giuliano.
La sede attuale della “Foto De Martin”, in Via Roma 17, a Paese.
Marcello e Giuliano De Martin in una foto recente (2008).
G.P. di GIAMPAOLO POZZEBON - Mobili, scale, restauri, arredamenti
su misura
Questa ditta individuale compie un trentennio all’uscita di questo libro (2008),
essendo stata fondata nel 1978 da Giuseppe Pozzebon (1940-1999), conosciuto a
Paese con il confidenziale nomignolo “Bepi Cassèa”, intagliatore e scultore del
legno con un’innata vena artistica acquisita in botteghe artigianali di TrevisoCittà fin da giovanissimo. Sviluppava, come si suol dire, l’arte dalle mani, dalle
quali uscivano pregevoli opere, tanto da essere spesso invitato ad esporre in
mostre e rassegne artistiche. Tra queste merita una citazione il fonte battesimale,
intagliato su legno di noce, donato nel 1973 alla Parrocchia di Paese.
Innumerevoli furono poi le occasioni di coinvolgimento nelle quali si cimentava ed
ognuna costituiva un test e un motivo di formazione e crescita artistica. Tra i
riconoscimenti ottenuti si deve segnalare un primo premio ottenuto nel 1979 al
Concorso Internazionale di Venezia, presso la Scuola Grande S. Giovanni
Evangelista.
Dal 1999 Giuseppe Pozzebon non c’è più, rivive però in tante opere, distribuite
oltre che in Italia anche all’estero in collezioni private. Della sua straordinaria
arte scultorea hanno parlato spesso i mass-media, ma figura anche in cataloghi
di artisti italiani.
Nato artisticamente come pittore paesaggista, Giuseppe sviluppò in seguito
l’attività scultorea parallelamente a quella di intagliatore, specialista in figure a
disegno e bassorilievo.
Nel 1964 aveva iniziato una breve attività artigianale in proprio, aprendo un
modesto laboratorio nel centro di Paese, dove restaurava e intagliava con tanta
passione e maestria.
Quella di maestro artigiano, capace di sfornare pezzi unici e particolari è tuttora
una pratica assai ricercata dagli amanti del bello e del classico, pur in tempi in
cui si tende a prediligere la quantità a scapito della qualità. Giuseppe con la sua
particolare sensibilità e vena artistica queste cose le percepiva bene e le coltivava
nel quotidiano. Dopo quella breve pausa in proprio aveva arricchito le sue
esperienze presso un noto mobilificio d’arte di Treviso. Con questo ricco bagaglio
sulle spalle nel 1989, quando il figlio terminò gli studi di mobiliere, riuscì a
coinvolgerlo aprendo un laboratorio artigianale presso la propria abitazione, in
Via della Libertà 16 (Strada delle “Canòpe”). Giampaolo, classe 1972, dimostrò
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subito di possedere, oltre ad una buona manualità, la stessa propensione
artistica del padre, che ora lo aveva come collaboratore e socio nell’impresa
familiare.
Inizialmente il lavoro predominante dei due consisteva nell’intagliare, attività che
prevalse per circa un decennio per poi trovare sfogo anche nella costruzione di
ringhiere, scale e corrimano artistici.
Come accennato, nel 1989, conseguita la qualifica di mobiliere presso il Centro di
Formazione Professionale di Lancenigo, Giampaolo venne ad affiancare il padre,
rivelandosi subito non da meno del genitore. Dopo circa un decennio di
collaborazione gomito a gomito, improvvisamente Giampaolo si trovò solo.
Rimboccatesi le maniche, senza perdersi d’animo, riuscì ad imprimere un nuovo
impulso all’azienda.
Dalle sue mani escono ora pregiati mobili su misura, che sono una vera chicca
per case e ville di un certo pregio, ma ne progetta e costruisce per tutte le tasche,
dal mobile in stile neoclassico alla cucina ultramoderna, senza tralasciare il
recupero di mobili antichi e complementi d’arredo, compreso l’intaglio e la
costruzione di capitelli di sostegno, appliques, consolles, specchiere, cornici, letti,
per fare qualche esempio. Il tutto è visibile consultando il ricco catalogo posto
nella sala di accoglienza, ma le sue opere sono spesso commissionate da
professionisti del settore, architetti che ricercano quel qualcosa di particolare che
non si trova altrimenti e che invece, su loro progetto, vengono eseguite da
Giampaolo con ricercata maestria, tale da tramutarle in articoli di valore. Alcune
sue esecuzioni hanno così varcato la soglia di prestigiosi alberghi veneziani e
londinesi.
Pure le cucine da lui realizzate, siano esse in stile o moderne, si distinguono per
la ricercatezza delle finiture, e per i materiali impiegati che ne fanno dei pezzi
unici, eseguiti a misura del cliente, ossia personalizzati trasformando le idee del
committente in opere concrete, e il risultato è assicurato.
Una ditta in buona salute la GP di Paese, nel segno della continuità e della
tradizione, valori che non tramontano quando sono sviluppati con la passione per
il proprio lavoro che da sola fa dimenticare tante incombenze di cui il mondo
artigianale è gravato. I prodotti ben rifiniti non temono la concorrenza e nemmeno
il trascorrere del tempo. Mantengono inoltre un proprio mercato tra coloro che
sanno apprezzare la buona arte che esce dalle mani dei maestri artigiani, come lo
sono quelle di Giampaolo Pozzebon. Tel. 0422 958563 - [email protected]
LATTONERIE PIVA s.r.l.
La ditta si occupa da oltre trent’anni di progettazione, costruzione, installazione e
montaggio di lamierati per l’edilizia civile e industriale. Ha sede a Padernello, in
Via Castellana 41 (Borgo di San Gottardo). L’attività che l’azienda esprime è
riassumibile come lattoneria ed è la stessa conosciuta un tempo in vernacolo
come “bandéta”.
Fondatore dell’azienda è Dino Piva, classe 1940, che si mise in proprio nel 1974
dopo una lunga esperienza in una ditta di Treviso, che oltre a grondaie costruiva
casse da morto in zinco. Nel 1966, dopo la prematura scomparsa del titolare, i
due giovani dipendenti, uno dei quali era Dino Piva, rilevarono l’attività in qualità
di soci proseguendo così fino al 1974.
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Il lavoro era del tutto manuale, compresa la sagomatura delle lamiere. Per lo
stampaggio delle grondaie, che a quel tempo erano esclusivamente di tipo
arrotondato, ci si avvaleva di una piccola calandra a mano. La lunghezza
massima prodotta con quel sistema era di due metri e il materiale impiegato era
quasi esclusivamente lo zinco. I manufatti così prodotti venivano consegnati al
cantiere su un carrettino a due ruote condotto a mano. Per il montaggio e le
giunzioni si usavano dei ribattini acquistati presso la Ferramenta Colle, in Piazza
San Vito. In seguito con macchinari più evoluti si potevano sagomare lamiere
lunghe fino a sei metri, delle quali si munirono anche i due soci. Acquistarono
quindi una Fiat 600 con bagagliera sopra il tettuccio.
Nel 1974, in pieno boom edilizio, Dino si sganciò dalla società, fondando
un’azienda individuale con sede nel garage della propria abitazione dove teneva le
scarse attrezzature, portando a sagomare le lamiere in un’azienda di Monigo. Due
anni dopo, poiché gli affari avevano preso una buona piega, fece costruire un
capannone e acquistò una pressa e una calandra. Agevolato dalla nuova
tecnologia il fatturato s’incrementò notevolmente e Dino Piva raddoppiò il
capannone assumendo anche delle maestranze.
Intanto la moglie Antonietta Girotto dava alla luce tre figli maschi - Emanuele
(1971), Fabio (1976), Matteo (1982) - ed ora c’era più di un buon motivo per far
crescere l’azienda. Un notevole impulso si ebbe infatti con l’ingresso nell’attività di
Emanuele, appena ebbe terminate le scuole professionali. Collaborazione che non
s’interruppe nemmeno durante la leva militare, dato che era di stanza in una
caserma di Treviso. Da allora fu un crescendo continuo. Entrò quindi Fabio che
subito s’innamorò del lavoro familiare portando nuove idee e nuovo slancio.
Parallelamente, nel capannone di quasi 500 mq. entravano sempre nuovi e più
sofisticati macchinari e automezzi, tra cui uno con piattaforma volante. Infine
pure Matteo, il più giovane, si aggregò ai congiunti ed ora tutti insieme, con
l’apporto di quattro dipendenti, formano un’importante realtà produttiva.
Ognuno della famiglia Piva ha i propri compiti specifici, pur mantenendo una
certa versatilità perché sono tutti intercambiabili grazie alle esperienze acquisite e
soprattutto alla fiducia che ha riposto in loro il fondatore. Emanuele e Fabio si
occupano prevalentemente dei rapporti con la clientela, acquisendo i lavori e
andando in sopralluogo nei cantieri. Fabio, che è diplomato geometra, si occupa
dell’aspetto commerciale e amministrativo. Matteo invece è responsabile delle
consegne e della posa in opera. Il coordinamento è tuttavia ancora saldamente in
mano al padre, pur lasciando ai figli la giusta autonomia operativa.
Certo ora le grondaie non sono prodotte solo in forma arrotondata come un
tempo, ma anche a spigolo e in varie sagomature, oltre che in metalli diversi,
quali rame, acciaio, zinco e zincotitanio, alluminio, piombo, di vari spessori e
verniciature. Il progresso e la ricerca hanno sviluppato notevolmente anche
questo settore, imprimendogli un notevole sviluppo tecnologico mediante
l’applicazione dell’elettronica. Ma come dimenticare quei primi tempi, quando le
grondaie erano fatte salire sui tetti tirandole con una corda che girava su una
carrucola?
Come si diceva, il progresso ha permesso un largo sviluppo, ma anche i ritmi
sono notevolmente aumentati. Si deve ora operare in un’epoca che brucia i tempi
a scapito della tranquillità, dei rapporti interpersonali e spesso anche della
salute.
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Fra le tecnologie emergenti in questo settore vale la pena ricordare i tetti modello
“Lares” della ditta Mazzonetto S.p.A. di Loreggia (Padova). “Lares” è un sistema
che racchiude in un unico prodotto copertura, ventilazione e isolamento termico
ed acustico degli edifici. Una soluzione che può essere integrata da pannelli
fotovoltaici e collettori solari, con ottimi vantaggi economici ed estetici,
contribuendo alla diffusione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Una
formula nuova per l’edilizia, sviluppata recependo le direttive nazionali ed
europee, di cui i Piva sono dei veri esperti. Da ricordare in proposito il rifacimento
della copertura della Casa di Riposo di Roncade nel 2006.
Può essere considerata questa la nuova frontiera dei moderni lattonieri, ed è
probabilmente anche il futuro dell’azienda Piva, una realtà in buona salute, in cui
sono impiegate complessivamente nove persone. Un’impresa societaria familiare
modello, aperta alle nuove tecnologie, come ce ne sono tante altre nel panorama
economico e produttivo del territorio di Paese.
MESTRINER & PICCOLI s.n.c.
È la storia di due amici, nella vita e nel lavoro, che hanno messo insieme
esperienze e potenzialità per fondare un’azienda metalmeccanica in società
riuscendo ad imporsi nel mercato da leaders nella costruzione di scale a
chiocciola, elicoidali e lineari per uso civile e industriale.
La scintilla scoccò allorché Mario Mestriner di Monigo (1954) e Aristide Piccoli di
Paese (1951) lavoravano in una nota azienda di Quinto costruttrice di accessori
per automezzi industriali. Era la metà degli anni Settanta, un periodo in cui a
Paese iniziavano a svilupparsi in ogni settore produttivo tante piccole aziende
artigianali, e anche essi, con l’entusiasmo dei loro anni più verdi, sentirono il
desiderio di realizzarsi in proprio.
Iniziarono pertanto ad eseguire qualche lavoretto per conto terzi operando nel
dopolavoro all’interno di uno scantinato, con una saldatrice e pochi utensili.
Nell’ottobre del 1976 fecero il grande passo: si licenziarono iscrivendosi come
società artigianale presso la Camera di Commercio di Treviso, data la stima di cui
godevano, il loro ex datore di lavoro volle continuare il rapporto di collaborazione
anche se in forma diversa. I primi lavori da imprenditori infatti furono quelli
eseguiti per conto della ditta da cui si erano separati, costruendo cassettoni e
serbatoi per autocarri.
Conclusasi questa esperienza, lavorarono per la Montini Arnaldo & Figlio di
Paese, industria di vasche da bagno in ceramica smaltata, che li monopolizzò per
la costruzione della fonderia interna alla fabbrica. In seguito si dedicarono anche
ad altri lavori fabbrili, quali la costruzione di ringhiere, passerelle, recinzioni,
cancelli, soppalchi, coperture di vario genere, strutture portanti per l’edilizia, il
tutto prodotto rigorosamente in acciaio.
L’evoluzione dell’attività comportò il trasferimento in luogo più idoneo,
individuato nella vecchia officina di Elia Mattarollo, in una laterale di Via Breda a
Paese. Pure questo ambiente si rivelò presto inadatto. I tempi erano ormai maturi
per costruire una sede idonea non solo per una regolare operatività, ma anche
per un potenziale sviluppo futuro. L’occasione capitò quando fu lottizzata l’area
artigianale di Padernello e qui i soci acquistarono un terreno in Via Lombardia 8,
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sul quale fecero costruire un capannone di 700 mq. comprendente la zona
produttiva e gli uffici amministrativi, trasferendovisi nel 1989.
Fu particolarmente da questo momento che l’azienda conobbe un’importante
evoluzione tale che già nel 1997 fu raddoppiata la fabbrica. Di pari passo si
assunsero anche delle maestranze fino ad arrivare a quattordici unità, compreso
il personale amministrativo e i due soci; non poche per una azienda artigianale di
questo tipo.
La Mestriner & Piccoli si colloca ora ai vertici della categoria per la
specializzazione raggiunta, in particolare nella produzione di scale di varie forme,
settore in cui occupa una posizione di leadership. Da quelle tradizionali in accaio
verniciato o zincato alle moderne e avveniristiche, a chiocciola, elicoidali o lineari,
per interni ed esterni, corredate di rifiniture semplici o di pregio, abbinate a vari
materiali, perfino al vetro di Murano come nel caso del parapetto della scalinata
dell’Università di Treviso. Scale che sono delle vere opere d’arte destinate ad
alberghi, condomini, centri commerciali, edifici pubblici, scuole, centri sportivi,
ville private.
Non c’è quindi da meravigliarsi se l’azienda è accreditata e opera in stretta
sinergia con le primarie imprese edili del Veneto. Una collaborazione che l’ha
portata a realizzare opere per la Osram, il palazzetto dello sport di Longarone, la
sede dell’Associazione Artigiani di Mestre e la TrevisoDue finanziata dalla
Fondazione Cassamarca, il Linta Park Hotel di Asiago, tanto per citarne alcune
tra le più prestigiose. Ha inoltre operato nella ristrutturazione di antichi palazzi di
Venezia, ad esempio il Centro Herion nell’Isola della Giudecca, il Palazzo Civran, e
l’Ospedale. Ci fu un tempo in cui costruiva silos, macchine utensili e catene di
montaggio industriali. Sono queste le sue credenziali che parlano di un livello
qualitativo di eccellenza e di un’esperienza a tutto campo. Con questo vissuto, nel
2004 si dovette raddoppiare la fabbrica fino a saturare l’area disponibile ed ora lo
stabilimento occupa una superficie di oltre 2.500 mq.
Il metallo è oggi largamente impiegato soprattutto nel campo edilizio in seguito
all’emanazione delle normative antisismiche europee che interessano l’intera
penisola italiana. La Mestriner & Piccoli non si è fatta trovare impreparata,
potendo esibire personale tecnico altamente qualificato, in grado di supportare il
cliente sin dalle fasi progettuali, mettendo a sua disposizione il proprio know how,
fornendogli consulenze con relativa analisi di fattibilità, eventuali prototipi e costi
e consegnare infine prodotti di elevata complessità e precisione con la clausola
“chiavi in mano”.
L’azienda grazie ai suoi sistemi informatici d’avanguardia si propone come
partner globale di studi di progettazione e di professionisti per il supporto e la
ricerca di nuove soluzioni, collaborando in stretta sinergia anche per via
telematica.
Con un trascorso così lusinghiero, la Mestriner & Piccoli guarda serenamente al
futuro, anche se c’è sempre da confrontarsi e da lottare per stare al passo. Ne ha
fatta di strada in oltre trent’anni di onorata presenza sul mercato. All’orizzonte
intanto si affacciano gli eredi dei due soci, e saranno loro un giorno i condottieri
di questa rinomata realtà produttiva paesana. ([email protected] – www.mp-snc.it).
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MOBILI MARCONATO SILVANO
Un’azienda di falegnameria sorta dal “fai-da-te”, di cui è costellato gran parte del
territorio veneto, ed è risaputo che mobilieri e falegnami in genere sono
particolarmente apprezzati.
Silvano Marconato, classe 1950, fin da giovanissimo amava cimentarsi nella
costruzione di gabbie per uccellini, di piccoli carretti e altri modellini costruiti per
gioco impiegando assicelle di recupero e chiodi storti che pazientemente
raddrizzava. Tutti oggetti questi che spesso regalava agli amici o cedeva a
conoscenti in cambio di una simbolica mancia. Fu posto così a dimora il seme di
falegname mobiliere che ha fatto germogliare una prolifica pianta nella famiglia
Marconato di Via Treforni a Paese.
In età da lavoro, infatti, Silvano trovò impiego in falegnamerie e mobilifici
artigianali della zona dove potè imparare un mestiere e farsi tante esperienze: dal
carpentiere al mobiliere per abitazioni civili e per bar, ristoranti e alberghi,
serramenti e altro. Dimostrò subito di possedere un’innata attitudine da
sviluppare.
L’idea di mettersi in proprio gli balzò appena terminato il servizio di leva, durante
il quale poté esercitarsi e farsi ulteriori esperienze quale addetto alla
manutenzione della caserma di Tolmezzo, che ospitava il Corpo Artiglieria Alpina
nel quale militava.
Era il febbraio 1974 quando, ritornato in famiglia, avviò l’attività in Via Treforni.
Sottocasa, in garage, installò le prime macchine, acquistate di seconda mano,
adattandole alle proprie esigenze produttive. Pur avendo passato dieci anni come
arredatore di locali pubblici presso una nota azienda locale, Silvano preferì
mettersi a produrre serramenti e scale. La scelta non era casuale giacché si era in
pieno boom edilizio e questi articoli erano particolarmente richiesti. Dopo cinque
anni in questo settore pensò di cambiare, gettandosi a capofitto nella costruzione
di mobili su misura, in particolare arredamenti di taverne, che tra gli anni
Settanta/Ottanta andavano molto di moda.
Il 1980 segnò una tappa fondamentale per la ditta Marconato. Fu costruito a
fianco dell’abitazione un immobile di 600 mq. per la falegnameria, oltre ad uno
spazio espositivo di mq. 300 della propria produzione. Fu una scelta azzeccata
perché, di pari passo con l’ampliamento dell’area lavorativa/espositiva anche gli
affari conobbero un certo incremento, tale che la gamma dei prodotti fu ampliata
con la costruzione di cucine, camere, librerie, mobili bagno, gazebi e casette per
giardini.
Il 1997, dopo oltre un trentennio di onorata attività, la ditta conobbe uno “shock”
benefico. A Silvano Marconato venne ad aggiungersi il figlio Alberto, neodiplomato
specialista arredatore presso il C.F.P. (Centro di Formazione Professionale) di
Lancenigo. La falegnameria Marconato conobbe quindi da allora un ulteriore
significativo sviluppo commerciale, ma soprattutto nel servizio alla clientela
potendo offrire anche lo studio e la progettazione su misura: un servizio sempre
più richiesto e al passo con i tempi.
Il 2007 ha segnato una tappa fondamentale per l’azienda: è stato l’anno del
ricambio generazionale. Silvano Marconato, raggiunto il momento della
quiescenza, ha ceduto la proprietà nelle mani del figlio Alberto che ne è ora il
legittimo proprietario.
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Certo ora anche questa attività ha ben poco di ciò che era un tempo: nuove
tecniche evolutive e nuove mode hanno sostanzialmente trasformato anche il
mestiere di falegname. Nell’esposizione della ditta Marconato si possono infatti
trovare mobili di vario genere e diverse lavorazioni: dai laccati a quelli in stile
country, dai moderni a quelli in arte povera, seggioloni a dondolo e bellissime
sedie in acacia impagliate a mano. Ciò di cui i Marconato vanno particolarmente
fieri sono i mobiletti porta televisore, costruiti a forma di “vanduia”, la madia
dentro cui in epoca remota si conservava la farina da polenta; ogni famiglia ne
possedeva almeno un esemplare.
Oltre ai mobili artigianali, fatti su misura, l’azienda Marconato commercia anche
particolari oggetti d’arredamento. Ma se la gamma di articoli si è notevolmente
ampliata, c’è da dire che il cuore del falegname di Via Treforni a Paese è rimasto
fedele alla mobilia per taverne e alle cucine di ammirevole fattura, confezionate
con legnami europei ed esotici.
La ditta Marconato, che è munita di ampio parcheggio, ha sede a Paese in Via
Treforni 65/a, ed è raggiungibile percorrendo il Viale Biasuzzi e svoltando poi a
destra in direzione Treviso.
PAESANA SERRAMENTI di De Marchi & Murer s.n.c.
Il legno è stato il primo materiale utilizzato dall’uomo per dotarsi di utensili atti a
procurarsi il cibo e costruirsi una dimora. Il legno è ancora una materia prima
innocua per la salute, materia facile da lavorare e per questo largamente
impiegata. Ogni utilizzo ha il suo tipo di legname, dal più economico e leggero al
più pregiato e resistente.
A Paese due amici falegnami, Stefano De Marchi e Elio Murer, lo hanno scelto fin
da giovanissimi ipotecando un brillante futuro. Nel tempo, infatti, unite le forze,
hanno dato vita ad una rinomata fabbrica di infissi, la Paesana Serramenti.
De Marchi vantava un’esperienza da mobiliere, Murer da costruttore di
serramenti. Avevano rispettivamente 18 e 20 anni quando decisero di dar vita ad
una società, acquistando una piccola macchina combinata con la quale mossero i
primi passi insieme, di sera, nel dopolavoro e nei week-end.
Dopo due anni di “rodaggio”, nel 1977, gli affari presero una piega decisamente
favorevole e costante, tanto da indurre i due ad aprire ufficialmente una propria
azienda. Adibito a falegnameria un vecchio fienile, si misero a fabbricare qualsiasi
manufatto di legno che venisse loro commissionato: dai serramenti ai mobili, dai
porticati alle tettoie, e grazie alla loro manualità e all’esperienza acquisite
uscivano prodotti davvero di pregio.
Nel 1986 decisero di spostarsi nella zona artigianale di Padernello, costruendo un
capannone di 1.200 mq. coperti, dove fecero confluire nuove e più moderne
attrezzature per la produzione di serramenti in legno, abbandonando quindi altri
tipi di lavorazione. Da allora fu una continua evoluzione e già nel 1996 si dovette
più che raddoppiare il capannone, portandolo a 2.750 mq. Fu questa l’occasione
per acquistare macchinari di ultima generazione, pensati per la particolare
lavorazione di serramenti totalmente rispettosi delle certificazioni e normative
europee in materia di sicurezza.
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Il legname impiegato per la produzione dei serramenti proviene prevalentemente
dall’estero: Austria, Svezia, Africa, Americhe, Indonesia, Russia. I prodotti finiti
vengono corredati da una componentistica di altissimo livello (serrature, maniglie,
vetri, guarnizioni, vernici protettive ed estetiche), per ogni esigenza, anche la più
sofisticata.
L’azienda produce serramenti interni ed esterni su misura per tutti i settori
edilizi, portoncini blindati, porte scorrevoli e pieghevoli, si occupa inoltre del
restauro e recupero di vecchi balconi, porte e finestre, con inserimento di
vetrocamera ai fini del confort ambientale e del risparmio energetico. Pure la posa
in opera è assicurata dall’azienda e ciò è un’ulteriore garanzia.
Il mercato in cui opera la Paesana Serramenti è prevalentemente nazionale,
regionale in particolare. L’azienda, che si pone tra le ditte di alto livello
specialistico, si avvale della collaborazione di maestranze qualificate, oltre al
personale amministrativo. Ha sede in Via Lombardia 7, nella zona artigianale di
Padernello e costituisce una realtà proiettata verso il futuro grazie alla sua
continua innovazione e l’attenzione alle più evolute normative, in grado di
competere con i principali mercati del settore. In particolare guarda con interesse
e sviluppa prodotti in sintonia con le nuove ricerche cosiddette “Casa Clima” e
“Casa Passiva”, ossia l’attenzione al risparmio e all’autoproduzione del fabbisogno
energetico.
Certo le tecnologie e i macchinari impiegati non sono più quelli esclusivamente
meccanici di un tempo poiché anche qui la ricerca e la competitività hanno
introdotto l’era tecnologica/informatica, che da sola sopperisce a gran parte del
fabbisogno di manodopera umana. ([email protected])
(mandare bozza all’azienda)
POZZEBON-MINOTTI & C. s.n.c.
La Pozzebon-Minotti & C. è un’azienda di lavorazioni e rivestimenti in acciaio
inox, ottone e rame, apprezzata per l’alta qualità e creatività, fondata nell’ormai
lontano 1962, ma che ha radici molto più profonde nel tessuto produttivo di
Paese.
Trova la sua origine a Padernello di Paese (Treviso), nella casa dei Pozzebon detti
“Pagoin” (da Paolin, diminutivo di Paolo), una famiglia che, da sempre, ha nel
sangue il gene della lavorazione dei metalli. La prima officina meccanica sorse nei
primi anni del secolo scorso in un piccolo immobile di sassi e calce che sorgeva
lungo la statale Postumia, adiacente alla casa colonica dei Quaglia, signorotti
locali, che la famiglia di Domenico Pozzebon occupava da fittavola. Parallelamente
all’attività agricola, si sviluppò quella per la lavorazione del ferro, finché fu questa
a prendere il sopravvento, generando a poco a poco una vera proliferazione di
attività connesse.
I figli di Domenico e Veneranda Paulon, Antonio, Giovanni e Luigi operavano di
comune accordo, coadiuvati saltuariamente dal fratello Eugenio, il quale si
occupava prevalentemente della terra. Inizialmente costruivano arnesi agricoli,
poi cucine economiche e serbatoi di ottone.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’officina andava a pieno ritmo per
produrre gasogeni per i tedeschi,mentre alcuni partigiani erano nascosti in casa
loro, considerata al di sopra di ogni sospetto.
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Finito il conflitto, l’attività riprese con la produzione di serbatoi per motociclette
per conto della ditta Mattarollo di Treviso e per commercianti milanesi del settore,
recuperando la materia prima da vecchi fusti di benzina, cassette di tritolo,
lamiere di camion dismessi dai Tedeschi in fuga, ma anche dagli Alleati. Fungeva
da intermediario l’amico e pluricampione di motociclismo, Omobono Tenni, che
dai “Pagoin” era di casa. Si passò poi a forgiare carrozzerie per trattori e cicloni
per molini.
Tutta la lavorazione si svolgeva manualmente fra un rumore assordante. Per
rifinire un serbatoio ci volevano oltre seimila martellate sui bossoli di granata da
240 mm. che fungevano da incudine, mentre per saldare si usava carburo ed
ossigeno. Più avanti nel tempo fu acquistato a Campalto un motore di una
vecchia imbarcazione, introducendo così il primo macchinario, al quale se ne
aggiunsero presto altri.
Nel 1952 Antonio, Luigi e Eugenio si dissociarono, fondando ognuno una propria
ditta. Antonio era marito di Carmela Miglioranza (“Majèri”) di Padernello, una
famiglia che lavorava il ferro avvalendosi del maglio azionato dalla forza dell’acqua
di un ramo del Brentella, in Via Roncalli a Padernello. Pioveva sul bagnato. Fu,
infatti, un connubio d’amore, ma anche tra gente con la stessa propensione: la
passione per la forgiatura del ferro. Quando l’acqua scarseggiava, i Miglioranza
azionavano il maglio nelle ore notturne, giacché di giorno dovevano far funzionare
il molino che pure gestivano.
Antonio era un maestro del mestiere, aveva a servizio anche alcuni bravi
collaboratori e il lavoro non gli mancava. In periodi di congiuntura chiedeva
denaro in prestito a qualche amico danaroso piuttosto che ritardare le
retribuzioni alle sue maestranze.
In seguito si trasferì con la famiglia a Paese, in Via Postumia, continuando la sua
attività di carpentiere con il figlio Giuseppe (1934), costruendo soprattutto
serbatoi per motocicli per conto della Carnielli di Vittorio Veneto. Ad Antonio
subentrò successivamente il proprio figlio Giuseppe, il quale, nel 1962 si mise in
società con il cognato Franco Minotti (1932), marito della sorella Veneranda, che
gia’ era un esperto nella lavorazione dei metalli e si rivelò presto un vero artista
dell’acciaio inox, capace, anche ,di costruire pregevoli miniature. Nacque così la
“Pozzebon-Minotti & C. s.n.c., ditta molto ricercata nel settore delle lavorazioni in
acciaio inox e altri metalli pregiati, quali il rame e l’ottone. È soprattutto il settore
dell’arredamento di lusso a beneficiare dei suoi prodotti, soprattutto locali
pubblici (bar, ristoranti), ma anche quello delle abitazioni civili: lavelli, piani
cottura, ringhiere di scalinate, ecc., eseguiti in collaborazione con architetti e
arredatori professionisti. I due fondatori, che possono vantare una lunga
esperienza acquisita fin da quando erano adolescenti, possono quindi essere
considerati dei veri maestri, giacché non c’è segreto per loro in questo mestiere e
anzi sono capaci essi stessi di fare tendenza apportando nuove idee creative, in
tempi in cui si registra un largo impiego dell’acciaio inox in tutti i campi, di
altissima qualità e tecnologia, resistenza e di vario aspetto soprattutto nel campo
ornamentale. Certamente ora ci si può avvalere anche di macchinari
informatizzati, ma il più rimane appannaggio di lavorazioni artigianali, manuali e
meccaniche che donano al prodotto un alto valore aggiunto.
Nel 2001, la Pozzebon-Minotti & C. s.n.c., per mancanza di spazio si è trasferita
in una nuova ampia sede, in Via Veneto 9, nella zona artigianale di Padernello,
dove opera all’interno di un capannone di 700 mq. Sembra superfluo aggiungere
che, dato il lusinghiero passato, la ditta gode della massima stima. Tuttavia
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occorre sempre tenere alto il livello di formazione e di ricerca per stare
costantemente al passo. Con questa consapevolezza, i lungimiranti titolari sono
riusciti a surrogare nell’azienda, e a far loro spazio, i figli: la terza generazione di
artisti dell’acciaio inossidabile. Ed ora sono proprio questi – Alberto e Enrico, figli
di Giuseppe Pozzebon, e Stefano di Franco Minotti –, tecnici specializzati, a dare
continuità all’azienda e a una tradizione che è tuttora in costante evoluzione,
grazie anche ad un mercato interessato da una buona spinta nel settore
dell’impiego di metalli con elevata complessità ed estetica.
Grazie a queste giovani risorse, la Pozzebon-Minotti & C. può guardare ad un
futuro sempre più roseo. Ma come dimenticare il periodo in cui occorreva
spaccarsi le braccia martellando sull’incudine per strutturare un piccolo
serbatoio?
[email protected] - www.pozzebonminotti.com - tel. 0422 452255, fax
0422 452254.
S.I.L.L.C. s.n.c.
È un’azienda di semilavorati e componenti in cuoio per l’arredamento, sorta nella
zona industriale di Padernello nel 1984, ma i titolari, Igino (1948) e Carlo (1956)
Bacchion, possono essere considerati figli d’arte, giacché ad intraprendere questo
percorso era stato il loro padre Michele (1914-2001).
Michele Bacchion aveva iniziato l’attività in Istrana nell’immediato dopoguerra,
costruendo con le proprie mani ciabatte, zoccoli, sandali da lavoro e scarpe,
anche su misura, che portava a vendere nei mercati popolari. Alle suole di legno
inchiodava una suoletta di gomma ricavata da pneumatici riciclati perché non si
consumassero troppo in fretta. Grazie al suo lavoro riusciva a mantenere una
famiglia di dieci figli di cui otto studenti, mentre la moglie, Evelina Vedelago,
aveva il suo bel daffare dividendosi tra la casa e il negozio di calzature aperto in
Istrana.
Notevole incremento conobbe l’azienda casalinga negli anni Sessanta e per star
dietro alle crescenti richieste Michele acquistò la prima macchina per cucire. Nel
1967 estese la produzione alla costruzione di sedie in cuoio, dato che ora aveva
l’apporto dei figli Igino (1948) e Giovanni che scelse di continuare gli studi e
laurearsi, preferendo fare l’insegnante. Il suo posto fu preso dal fratello Carlo
(1956) che andò ad affiancare il genitore e il fratello, mentre la lavorazione volgeva
verso arredamenti e rivestimenti in cuoio e pelle, escludendo quindi le calzature.
Nel 1984 l’azienda dei due fratelli si spostò nella zona artigianale di Padernello in
un primo capannone al quale se ne aggiunse poi un secondo fino ad arrivare ad
una superficie coperta di 2.000 mq. Nel tempo la SILLC, grazie alla sua
specializzazione, è diventata sempre più ricercata, e pure dai mercati esteri verso
i quali se ne va tuttora il 65% della produzione, soprattutto di sedie,
prevalentemente verso vari Stati europei, ma talvolta i semilavorati e i componenti
in cuoio dell’azienda varcano il Vecchio Continente per dirigersi verso quello
asiatico (Giappone e India), e americano (U.S.A.).
Il 35% dei prodotti che escono dalla fabbrica percorre invece le strade nazionali.
Si tratta prevalentemente di sedie prive di imbottito, ossia a cosiddetta selleria,
ma si eseguono anche lavorazioni particolari di arredo, pure di particolare pregio,
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quali l’allestimento della sala congressi di Casa dei Carraresi a Treviso, del Museo
diocesano di Vicenza, di alcuni negozi Di Varese e poi ville e abitazioni private.
Tra le esecuzioni in cuoio e pelle, oltre a pannellature e rivestimenti per negozi,
eseguiti spesso su progetto di architetti e professionisti del settore, emergono altri
prodotti, quali rivestimenti di testiere di letti e di specchiere, sedie a puff, piani di
tavoli, sgabelli per bar, tavolini per salotto, maniglie per mobilia, cestini
portacarte per uffici, sottomano, contenitori per legna da caminetto, corrimano
per scalinate e lampadari, tuttavia i fiori all’occhiello rimangono le sedie, di vario
tipo e misura, marchiate manualmente a caldo.
Quattordici sono le maestranze occupate nell’azienda, parte delle quali a part
time, trattandosi di madri di famiglia. Per agevolare le donne sposate si applica
l’orario flessibile ed è questo uno dei valori aggiunti, di tipo sociale, di questa
realtà artigianale di Padernello.
Le pelli vengono acquistate direttamente da Igino Bacchion che le sceglie
personalmente nelle concerie a maggior garanzia di qualità. Provengono da
Arzignano e da Chiampo (Vicenza), ma anche da S. Croce sull’Arno (Toscana)
dove la conciatura avviene utilizzando tannini di origine vegetale. Oltre a quelle
nazionali, le pelli arrivano da varie nazioni europee, comprese quelle con la
pelliccia originale. Ci sono poi materiali provenienti da pelli riciclate rese
riutilizzabili mediante un particolare processo lavorativo. Siano queste o quelle,
vanno tutte a ricoprire le strutture metalliche o lignee che arrivano da officine
fabbrili e falegnamerie esterne locali per essere trasformate in lussuose sedie e
poltrone.
Tutta la lavorazione avviene in modo manuale, artigianale, anche se per tagliare e
confezionare i prodotti si utilizzano trance a ponte e moderne cucitrici. Per la
finitura si utilizzano ancora le mani delle maestranze più esperte ed è per questo
motivo che i prodotti della SILLC possono essere considerati dei pezzi unici,
numerati e marchiati. La manualità e l’esperienza sono ancora il patrimonio
dell’azienda, nonostante l’incedere delle moderne tecnologie.
Un tempo questa azienda non aveva concorrenti in zona e i Bacchion lavoravano
a pieno ritmo anche per le aziende produttrici di sedie del Friuli. Ora è apprezzata
e ricercata soprattutto per l’alta qualità dei prodotti e delle finiture.
All’orizzonte si prospetta un ulteriore ampliamento della sede con altri mille metri
quadrati di superficie coperta, ma potrebbero arrivare anche dei macchinari
informatizzati se la produzione confermerà l’attuale trend positivo. Con i figli di
Carlo, attualmente studenti, l’azienda potrebbe passare sotto la guida della terza
generazione dei Bacchion fabbricanti di semilavorati e componenti in cuoio per
l’arredamento. Con questa prospettiva il futuro appare già più roseo.
([email protected])
TOP GRES di Gino Dalle Crode & Figli
Azienda di Postioma che si colloca come fiore all’occhiello del migliore e
tradizionale artigianato artistico veneto, emblema del Made in Italy osannato in
tutto il mondo e spesso copiato ma senza garanzia di qualità. La Top Gres è la
naturale continuazione della “CerAmica” fondata nel 1972 da Gino Dalle Crode,
un innamorato del proprio lavoro, il quale dopo varie esperienze in fabbriche del
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Trevigiano, con la carica dei suoi ventisei anni pensò bene di mettersi in proprio
con grande passione e sviluppando il suo talento come ceramista artistico.
Partita con dieci maestranze, la ditta aveva sede in Castagnole nei pressi
dell’incrocio semaforico della Feltrina ed aveva incontrato subito i consensi del
mercato per l’alta classe degli articoli che sfornava, tale da doversi presto
spostare nel 1975 in una sede più ampia e prestigiosa, costruita ad hoc in Via
Pastore dove tuttora si trova. È stata questa una delle prime aziende artigiane di
Postioma che ha fatto da battistrada a tante altre della zona.
L’azienda si caratterizzò subito per qualità e design, soprattutto nelle ceramiche
da tavola, ponendosi ai vertici del settore per innovazione e fantasia. Il migliore
riscontro lo ottenne nel costante incremento di produzione tale da arrivare ben
presto a dare lavoro a diciotto persone.
Una certa sofferenza per la contrazione del mercato delle ceramiche si ebbe negli
anni Ottanta, ma l’azienda di Dalle Crode seppe intuire il cambiamento e
interpretarlo in senso positivo nonostante l’invasione dei prodotti cinesi che
sovvertirono i mercati. Dalle terraglie si passò al gres, un materiale considerato
piuttosto grezzo, usato fino allora quasi esclusivamente per pavimentazioni, che
diventò materia prima per oggetti da tavola e d’arredamento di classe medio-alta,
grazie alla fantasiosa maestria artigianale che la ditta sapeva esprimere, tale da
conquistare immediatamente sempre più larghe fette di mercato. Nel 2000 la
“CerAmica” cambiò pertanto la ragione sociale diventando “Top Gres” inserendosi
come azienda italiana leader nel settore.
Il gres, difficile da reperire, viene tuttora importato dalla Germania. Si tratta di
un’argilla a bassa porosità che viene lavorata ad alta temperatura (ca. 1150 °C)
raggiungendo un’altissima resistenza agli shock termici. Questo materiale,
lavorato e decorato nell’azienda di Postioma, si tramuta in prodotti di eccellente
qualità e rara bellezza, creando un alto valore aggiunto agli ambienti in cui viene
collocato. Un emblematico esempio si ha visitando lo show room presso l’azienda
stessa o il sito internet: www.topgres.it.
Nel tempo l’azienda, che copre una superficie di 1800 mq. produttivi oltre a uffici,
sale di rappresentanza ed espositive, pur mantenendo il suo carattere artigianale
si è ampliata ed arricchita della migliore tecnologia e ciò ha permesso di ridurre
notevolmente i costi per il personale – ora di sole otto unità - aumentando nel
contempo la produzione. Oltre 500 sono i grossi clienti italiani che la corteggiano,
ma c’è stato un periodo, prima della globalizzazione cinese, che i manufatti
prendevano la strada verso l’estero: Germania, Norvegia, Canada in particolare.
È da dire tuttavia che l’invasione dei prodotti asiatici, frutto molto spesso di una
concorrenza scorretta, non è stata del tutto negativa perché ha fatto da stimolo e
indotto la Top Gres ad aguzzare l’ingegno, riorganizzando la rete commerciale e
aumentando la già vasta gamma di articoli con oggetti innovativi di eccellente
fattura.
Ciò è coinciso con l’ingresso in azienda dei figli del titolare: Emanuele nel 2000 e
Daniele nel 2005 che hanno portato una ventata di rinnovamento e nuova
propulsione. Il primo è ora amministratore unico e responsabile produttivo e
l’altro, laureatosi in economia aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, è
responsabile dell’ufficio amministrativo. Ora i soci sono tre: padre e figli. Grazie a
queste nuove forze e fresche idee, l’attività ha avuto un benefico sussulto e anche
le prospettive sono più rosee. Sedici agenti girano l’Italia diretti da un direttore
commerciale. Il riscontro si è subito visto. Il fatturato ha avuto un’impennata:
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+40% nel 2007 rispetto all’anno precedente. Unico rammarico l’impossibilità di
ampliare l’area produttiva per la carenza di terreno circostante la fabbrica.
La Top Gres però non si smentisce, e rimane in posizione verticistica nella sua
categoria. Recentemente ha aggiunto al lusinghiero catalogo altri prodotti
artistici, idee regalo e decorazioni per la casa con il nuovo marchio “Lapis Casa
Collection”. Ma la collezione è alquanto ampia, soprattutto nei servizi da tavola e
nelle liste nozze. Si va dalla Linea Primavera alle collezioni Fantasy, Girasole,
Uva, Artefrutta, Moka, Mirò, Incas, Olimpia Arancio, Olimpia Celeste, Dublino,
Stella, Margherita (decorata a mano), Mat e Cuoio, Savana e tante altre.
La TUN - azienda produttrice di articoli da regalo in ceramica e porcellana,
nonché di stufe in maiolica, apprezzata ovunque per gli oggetti da collezione, veri
capolavori di originalità rifiniti secondo l’antica tradizione altoatesina - dopo
accurata selezione ha scelto proprio la Top Gres quale fornitrice di rivestimenti
maiolicati per le sue stufe a pellets. È anche questo un indice di garanzia dell’alto
livello raggiunto dall’Azienda.
Il futuro prevede il consolidamento del mercato italiano anche con l’apertura di
punti vendita esclusivi, ossia con il marchio Top Gres, e la riconquista dei mercati
esteri. Un’azienda che per i prodotti di eccellente manifattura onora il suo Paese
quale ambasciatrice del miglior “Made in Italy”. ([email protected])
TREVIGIANA SCAVI di Porcellengo
Azienda di movimento terra e lottizzazioni urbanistiche, nata nel 1974 dall’unione
di tre soci, anzi di tre amici di Porcellengo: Mario Favotto (1943, “Smaniòti”),
Remo Moro (1948), Gildo Visentin (1941, “Momi”), che unirono le personali
competenze per intraprendere la strada di imprenditori.
Venivano ognuno da esperienze diverse come lavoratori dipendenti e fu questa la
loro ricchezza: Mario Favotto lavorava in un’importante impresa padovana di
costruzioni e manutenzioni stradali; Remo Moro invece era dipendente delle
Officine Colla di Porcellengo, produttrici di escavatori, di cui Remo era un bravo
manutentore dato che la ditta costruiva pure pezzi di ricambio; Gildo Visentin
manovrava escavatori e altri mezzi pesanti nelle cave di Granello. Nacque così da
queste sinergie la società Trevigiana Scavi. A dire il vero, inizialmente era stata
per pochi mesi ditta individuale di Mario Favotto, che poi surrogò gli altri due
soci.
Con la voglia di affermarsi si gettarono a capofitto e senza risparmio nell’attività,
con la carica dei loro anni migliori. Acquistarono una pala meccanica, un
escavatore e due camion di seconda mano, tutti mezzi di prima generazione e si
misero alacremente al lavoro in subappalto, operando per le più importanti
imprese di costruzioni del territorio, che avevano vinto concorsi pubblici,
acquisendo costruzioni stradali e edilizi, e ancora, lavori commissionati da privati,
in particolare scavi di fondazioni, sbancamenti e movimento terra in generale. I
tre, con la voglia di affermarsi che li stimolava, davano il meglio di sé, per questo
si fecero presto conoscere e apprezzare dagli impresari del settore.
La sede della ditta era presso l’abitazione del Visentin, in Via Francesco Baracca a
Porcellengo e fu subito amministrata dall’amico rag. Valter Baldassin (1949), che
i tre convinsero a passare anche al loro servizio. Fu una scelta oculata e
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indovinata perché il Baldassin fu sempre un ottimo collaboratore, degno
rappresentante dell’azienda dei tre soci. I quattro già si conoscevano giacché
erano impegnati nell’U.S. Porcellengo negli anni migliori del calcio locale. In
particolare, Visentin ne era il presidente, Baldassin il cassiere e gli altri
appassionati sostenitori.
Il lavoro della società intanto non solo non conosceva soste, ma aumentava
vistosamente, dato che oltre tutto era l’unica azienda di sbancamenti del Comune
di Paese. Dopo qualche anno dalla sua costituzione fu subito chiaro che, per far
fronte alle crescenti commesse, si dovettero assumere anche delle maestranze: fu
ingaggiato per primo un escavatorista di Porcellengo, al quale seguì un autista e
in seguito altri operai per lavori a terra, dopo che iniziarono a dedicarsi alle
lottizzazioni. I titolari, sgravati dall’operatività di manovalanza, poterono
suddividersi i compiti di responsabilità: chi nei cantieri e chi nell’evasione delle
richieste di preventivi e impegni burocratici. I benefici furono presto evidenti.
Nel 1989 la sede legale fu trasferita in Piazza Matteotti a Porcellengo mentre gli
automezzi e gli escavatori erano già dislocati in Via Turati presso l’abitazione di
Mario Favotto, dove era stato eretto un capannone prefabbricato.
Con il tempo e il buon nome acquisito si impegnarono in lavori sempre più
importanti e onerosi, coadiuvati da mezzi sempre più efficienti e capienti. Ora non
si contano più le lottizzazioni e nemmeno gli scavi di vario genere da loro eseguiti,
tra i quali emerge il sottopasso di fronte alla stazione ferroviaria di Treviso,
l’ampliamento dell’Ospedale di Noale, il nuovo aeroporto di Venezia-Tessera, gli
stabilimenti della Luxottica, le lottizzazioni per le zone artigianali dei Comuni di
Paese, Istrana, Trevignano, tanto per citarne alcuni. Ma per rimanere in casa,
ossia a Porcellengo, pure il campo di calcio è stato da loro realizzato in
abbassamento, cioè movimentando 80.000 mc di terreno. Oltre naturalmente ai
lavori svolti per le principali imprese e alcuni cavatori della zona.
La Trevigiana Scavi, nel 1996 ha conosciuto la prima defezione con la quiescenza
di Gildo Visentin. Rimasti due dei tre soci, ha continuato così fino al 2005,
quando anche Remo Moro ha deciso di smettere. Conseguentemente, ed è
davvero singolare costatare come la Storia a volte si ripeta, è tornata all’iniziale
status, ossia al primo proprietario, che però ha surrogato i figli Andrea (1977) e
Eleonora (1981). Il primo sta nell’azienda come direttore tecnico dopo un periodo
di gavetta e il periodo di leva, essendo stato assunto nel 1995; la seconda svolge
lavoro amministrativo e contabile affiancando il Rag. Baldassin, dato che sono
particolarmente aumentate anche le pratiche di pari passo con le normative e gli
obblighi fiscali.
L’azienda, che attualmente annovera complessivamente dieci persone, grazie
all’esperienza e alla stima acquisite, è accreditata presso la S.O.A. e può quindi
partecipare a gare d’appalto pubbliche, in particolare per lavori stradali. È il
riconoscimento di un lungo percorso effettuato con impegno e senso di
responsabilità, la Trevigiana Scavi può quindi competere con i più grossi
concorrenti anche di altre province.
Con l’ingresso dei figli di Mario, l’azienda ha cambiato ragione sociale diventando
Trevigiana Scavi di Favotto Mario & C. s.a.s., sancendo quindi di avere un futuro
assicurato nella nuova generazione dei Favotto (“Smanioti”). Nel 2003 la sede è
stata trasferita in Via Einaudi 12, sempre in Porcellengo, zona artigianale, in un
moderno capannone. Ma chi cercasse i numerosi mezzi per movimento terra
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dell’azienda rimarrebbe deluso, perché per fortuna sono costantemente dislocati
nei vari cantieri. Senza sosta. ([email protected])
VENDRAMIN CORRADO – FERRO D’ELITE
Domenico Vendramin, Memi per gli amici, faceva il bigliettaio e poi il controllore
alla S.I.A.M.I.C. di Treviso, ditta di collegamenti extraurbani, sviluppatasi nel
dopoguerra soprattutto con il Boom Economico, quando tutti trovavano lavoro ma
non possedevano ancora la macchina per spostarsi. L’Azienda di autotrasporti
assunse in seguito il nome di F.A.P. e poi A.C.T.T. Fatto è che a Domenico quel
lavoro andava troppo stretto e non solo perché era un tipo intraprendente, ma
anche e soprattutto perché la famiglia cresceva e bisognava darsi da fare.
Fin da piccolo, pur essendo figlio di Edoardo - un bravo muratore, specialista in
archi di pietra, tale da svolgere il suo lavoro principalmente in una città d’arte
come Venezia – Memi era attratto dal mestiere di fabbro ferraio. Più volte gli era
capitato di vedere all’opera l’artista del ferro battuto Toni Benetton e gli era
venuta la voglia di provare egli stesso a cimentarsi con la mazza e l’incudine,
scoprendo di possedere un talento inusitato.
Domenico, avvalendosi dell’officina di maniscalco di Giulio Biscaro, che abitava
nella stessa Via Trieste, a Paese, in cambio di qualche aiuto iniziò a comporre con
il ferro dei rami di vite, con foglie tralci e grappoli d’uva verniciati a mano, che
vendeva alle trattorie del Montello, e questi manufatti gli riuscivano così bene che
incontrarono i favori della critica popolare tanto da fargli piovere addosso tante
commesse.
A Domenico si affiancò ben presto il figlio Corrado (1949) al quale, al pari del
genitore, non mancavano l’estro, la fantasia e la voglia di affermarsi. Quello di
Corrado fu, infatti, un amore a prima vista con il ferro, un materiale che, una
volta scaldato, si lasciava docilmente modellare dalle sue mani, tanto che dopo
pochi anni il padre, conscio che l’allievo aveva superato il maestro, si ritirò. Il
primo approccio di Corrado con questa attività avvenne quando era appena
quindicenne, ma poi lo coltivò nel dopolavoro da dipendente di una nota azienda
locale che lasciò ventisettenne per mettersi in proprio. Da allora fu un continuo
crescendo, anche perché integrava il lavoro con continue specializzazioni, ma
confrontandosi con i suoi colleghi in competizioni utili ad acquisire nuovi stimoli
e nuove tecniche.
Nel 1976, sacrificando parte dell’orto a fianco dell’abitazione, Corrado si era
costruito una modesta officina dove si cimentava con mazza, maglio e incudine. Il
suo argentino batti e ribatti si spandeva per la borgata di Sovernigo destando non
poche proteste, tanto che dovette arrivare ad un compromesso con il Comune,
stabilendo degli orari di lavoro, meglio sarebbe a dire di pausa. Era un rumore,
anzi un suono nuovo quello che produceva, si sviluppava un’attività artistica di
cui non c’era grande cognizione, incompresa quindi anche dai vicini di casa.
Grazie alla veloce evoluzione del suo lavoro, fu ben presto evidente che doveva
cercare una sede più idonea. Acquistato un terreno in zona artigianale, Corrado
fece costruire un capannone in Via Casanova a Castagnole dove trasferì l’attività,
lasciando quindi Sovernigo. La sua arte di arredare con il ferro da allora non ha
conosciuto congiunture, come non si contano le partecipazioni a mostre e
concorsi, nazionali ed internazionali, ai quali viene continuamente invitato come
artista del ferro. A lui si deve l’avvio, nel 1985, della “Biennale d’arte del ferro” di
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Vittorio Veneto, una rassegna che continua tuttora con successo. Ma la sua
bravura, ben affermata e riconosciuta in tutto il Veneto, lo ha portato ad esibirsi
spesso in altre regioni italiane, in Toscana, in Emilia Romagna, in Valle d’Aosta, e
pure all’estero.
L’azienda, individuale, porta tuttora la denominazione “Corrado Vendramin”, ma
è destinata ad assumere il blasone “Ferro d’élite”, dato che si sta ulteriormente
evolvendo dopo l’ingresso del figlio Paolo (1982), la terza generazione familiare di
mastri ferrai.
Paolo è perito industriale, diplomato all’I.T.I.S. di Treviso con una specializzazione
in ferro battuto moderno in contesto antico, qualifica acquisita presso il Centro
Europeo per i Mestieri della Conservazione del Patrimonio Architettonico di
Venezia. Ed è grazie a lui che l’azienda ha ora visibilità mondiale attraverso il
proprio sito internet. Un balzo enorme, soprattutto una bella soddisfazione per
nonno Memi che ha visto la sua vena artistica esponenzialmente valorizzata dalla
sua posterità. Ma come dimenticare quando nei primi tempi andava in bicicletta a
Treviso ad acquistare da Colle un po’ di ferro, o quella volta che Corrado aveva
caricato sul motoscooter “Vespa” un’incudine di 50 chili trasportandola da Mestre
a Paese con il timore che il mezzo si spaccasse in due?
Corrado Vendramin tuttavia non si è dedicato solo al proprio lavoro, ma ha
donato con generosità e passione molte delle sue energie anche nel sociale. Da
presidente della locale Associazione Artigiani è stato uno dei promotori della
Mostra dell’Artigianato di Paese, che si teneva negli anni Ottanta/Novanta. Già
membro della Protezione Civile di Paese vanta pure una lunga militanza da
amministratore comunale.
Nella sua azienda di ferro battuto e carpenteria molti giovani si sono avvicendati
per imparare il mestiere per poi mettersi in proprio. Ed è questo il valore aggiunto
della Corrado Vendramin - Ferro d’élite, un’impresa artigiana che ha puntato
sull’innovazione e la qualità, ed è ciò che ancora oggi la caratterizza e la pone
all’avanguardia nel suo settore. www.ferrodelite.com
Le aziende industriali di Paese
ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO S.p.A.
L’acqua, con l’aria e la terra, è il bene più prezioso e vitale. La Acqua Minerale
San Benedetto S.p.A., azienda multinazionale di Scorzè, ne ha fatto una ragione
della sua esistenza, ma soprattutto di benessere pubblico al motto “Risorse per la
vita”. Ma chi pensasse che questa primaria azienda del Nord Est sfrutti l’acqua
per solo business sarebbe fuori strada, perché con la commercializzazione del
vitale prodotto la San Benedetto assicura un costante controllo sulla qualità e
quindi sulla salute del consumatore.
L’acqua, a Scorzè, ha sviluppato un ciclo virtuoso per tante famiglie che hanno
trovato il loro benessere sviluppandosi attorno all’Azienda cresciuta con loro.
Da impresa artigianale a Gruppo di aziende che operano in osmosi tra loro: si
potrebbe sintetizzare così il primo mezzo secolo di attività della San Benedetto,
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ma sarebbe assai riduttivo. Dietro a questa grande realtà industriale ci stanno
idee, progetti, investimenti, soprattutto persone che sanno fare squadra e che,
coscienziosamente, sanno di produrre in funzione di persone che consumano. La
persona quindi, al pari della materia prima, è al centro come risorsa preziosa per
l’azienda, fatto abbastanza raro per grandi realtà imprenditoriali, ma che qui
esprime un alto valore aggiunto. Ciò si evidenzia nella capacità di creare senso di
appartenenza curando relazioni interpersonali, che vanno oltre gli interessi di
produzione e che si trascinano all’esterno anche quando le maestranze, raggiunta
la quiescenza, lasciano il posto di lavoro.
Le origini
Originariamente si trattava della “Fonte della salute”, ricercata ancora nel
Settecento, ai tempi della Serenissima, per le sue proprietà curative. Senza
tuttavia sconfinare nella leggenda, è nel XX secolo che la fonte “San Benedetto”
viene scoperta ed utilizzata a scopo industriale. Anzi, a metà degli anni
Cinquanta, esattamente quando aprì i battenti nel 1956, era un’azienda casalinga
di proprietà della famiglia Scattolin, che imbottigliava l’acqua minerale in modo
artigianale, bevanda che veniva in parte smerciata nel bar di fronte al modesto
capannone. Le analisi effettuate presso l’Università di Pavia e di Milano parlavano
allora di acqua che “possiede una azione diuretica e un’azione favorevole su
importanti enzimi da cui dipende la digestione intestinale degli alimenti ed in
particolare sulla amilasi e lipasi pancreatica”.
Per qualche decennio l’azienda ebbe un andamento che si può definire lineare,
incentrato a capitalizzare le posizioni acquisite, con una crescita fisiologica, pur
allargando la gamma di prodotti, quali spume e gassose, aranciate e ginger, e
altre bibite analcoliche che si diffondevano progressivamente con il Miracolo
Economico e conseguente mobilità della gente. Ma fu la nuova proprietà Zoppas,
subentrata nel 1972, ad imprimerle quel determinante salto di qualità che la
porterà a conquistare posizioni verticistiche mondiali nel settore. Fautrice di tutto
ciò è stata la Famiglia di Enrico Zoppas, che tuttora controlla il Gruppo
attraverso la Zoppas Finanziaria S.p.A., indicandone le strategie operative.
L’evoluzione
Straordinario lo sviluppo del Gruppo “Acqua Minerale San Benedetto S.p.A.”, che
opera a livello mondiale con propri stabilimenti, ma anche attraverso joint
venture, franchising e partnership con altri famosi gruppi alimentari del settore,
sempre per la produzione di acqua minerale e bibite analcoliche. Tra i quali
emerge le spagnole Agua Mineral San Benedetto s.a. e Parque La Presa S.A., la
francese L’Européenne d’Embouteillage S.a.S., joint venture con Orangina
Schweppes Group, la polacca Polska Woda Sp. Z o.o. e l’ungherese Magyarviz
Kft., ambedue in joint venture con Danone. Varcando l’Oceano Atlantico si
approda nella Repubblica Dominicana dove si trova lo stabilimento Santa Clara
C.p.A. in regime di partnership con Compagnie Financiere de St. Pierre S.r.l.,
quindi in Messico dove l’acqua minerale San Benedetto esce dall’Industria
Embotelladora de Bebidas Mexicanas S.A. de C.V., joint venture con Cadbury
Shweppes.
Da modesto capannone di poche decine di metri quadrati degli anni Cinquanta, lo
stabilimento di Scorzè si è progressivamente ampliato fino a coprire ora una
superficie di 118.000 mq. su un’area complessiva di 200.000 mq. Oltre a questo
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che è il principale, ne sono stati costruiti altri sparsi per la Penisola: a Donato
(Biella), a Popoli (Pescara), a Nepti (Viterbo). Complessivamente la capacità
produttiva italiana del Gruppo si attesta ora a circa 1.000.000 di pezzi giornalieri.
Il grande balzo avvenne nei primi anni del nuovo millennio ed ora la San
Benedetto, con il suo 47% è la griffe più conosciuta nel suo settore, leader in
Italia nella produzione di acque minerali. Oltre che con il proprio, anche con il
marchio “Guizza” e “Acqua di Nepi”, senza contare la grande varietà di bevande
gassate e non, imbottigliate in vari formati e commercializzate con marche
divenute famose, quali “Energade”, “Oasis”, “Schweppes”, “Orangina”, “Batik”, a
base di thé, sali minerali e frutta, e quelle in franchising, quali “Pepsi-Co” e
“Seven Up”. Ma, dal 2002, dalla fabbrica escono marche di prestigio universale
come la Coca-Cola, prodotta e confezionata per il mercato europeo.
La catena di produzione è assolutamente autonoma perché il Gruppo San
Benedetto fabbrica tutto ciò che gli serve per il prodotto finale. L’acqua, che è
costantemente monitorata a garanzia della massima qualità, viene emunta
assolutamente pura ad una profondità di 300 metri, ma si costruiscono pure i
contenitori e i tappi. Il settore ricerca va a pieno ritmo e sforna brevetti innovativi
anche per applicazioni esterne all’azienda, in particolare per le consociate. Basti
pensare che nel 1980 fu la prima del settore a lanciare i contenitori in PET,
dapprima nel formato da 1,5 litri, poi da mezzo litro, quindi da uno e due litri.
Così si può dire del settore comunicazione e marketing che cura il lancio di nuovi
prodotti e diffonde il buon nome del Gruppo ovunque. Memorabile la
sponsorizzazione alla fine degli anni Novanta del Festival di Sanremo, si
potrebbero tuttavia citare tanti eventi sportivi di risonanza internazionale.
L’occupazione
“Conoscenza, innovazione, dinamismo”, non è soltanto un motto ma una
costante per questa azienda d’avanguardia industriale. La Acqua Minerale San
Benedetto S.p.A. ha una rondine come simbolo identificativo, che rievoca la più
bella stagione dell’anno, segno che nonostante una storia lunga oltre mezzo
secolo, mantiene inalterate le sue potenzialità, trovandosi ancora agli albori di un
promettente avvenire. La rondine ispira dinamismo e gaiezza, ben si adatta ad
una realtà giovane. L’età media dei due terzi del personale si attesta sotto la
quarantina, dimostrando che c’è un continuo ricambio generazionale, ma con
passaggio naturale di esperienze, che sono il vero patrimonio.
Attualmente gli occupati sono circa 1150, che stagionalmente aumentano
vertiginosamente. Si può quindi affermare che il paese di Scorzé si è sviluppato
grazie a quel rigagnolo che la San Benedetto ha trasformato in un fiume, dando
lavoro ma soprattutto benessere a tante famiglie. Nel periodo cosiddetto “del
vetro” – dall’avvio ai primi anni Settanta - gli occupati erano soltanto una
cinquantina, aumentati velocemente ed esponenzialmente con il subentro della
famiglia Zoppas, che ha raccolto le grandi sfide delle marche più prestigiose del
tempo (S. Pellegrino, Recoaro, Fiuggi, Sangemini…), arrivando a surclassarle.
Erano i tempi della cauzione per il vuoto. Fu quindi proprio la Acqua Minerale
San Benedetto a studiare e inventare il sistema innovativo del vuoto a perdere.
Ma anche questo metodo, pur essendo competitivo, si dimostrò dispendioso. Fu
così che si arrivò al contenitore di plastica. In virtù di queste invenzioni il marchio
Acqua Minerale San Benedetto uscì dall’anonimato, provocando un autentico
boom commerciale.
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Gli anni Ottanta furono quelli del grande salto nel PET, un periodo di spinta
determinante per l’azienda, tale che furono assunte in breve tempo circa 350
maestranze. Ormai la fabbrica era lanciatissima evidenziando una carica
irreversibile. Nella seconda metà degli anni Novanta, da una nuova sensibilità
sulla conservazione dei generi alimentari, fu sperimentato con successo il sistema
d’imbottigliamento in camera asettica. Ciò permise di eliminare i conservanti
chimici dai prodotti a base di frutta, e l’azienda fu interessata da un’ulteriore
propulsione. Fu questa un’era particolarmente proficua, che provocò l’assunzione
di altre 300 persone. Ma non ne beneficiò soltanto lo stabilimento veneziano
perché la San Benedetto pensò bene di esportare i livelli tecnologici raggiunti
realizzando impianti e stabilimenti in giro per il mondo, in regime di partnership e
stretta simbiosi con le maggiori case produttrici di bevande alimentari. Nacquero
così le sinergie con le marche delle nazioni citate più sopra, compresa quella con
la Coca-Cola dell’americana Atlantic Beverage Limited. In virtù di ciò la San
Benedetto è ora leader mondiale nella tecnica d’imbottigliamento in ambiente
asettico.
A Scorzè il Gruppo dispone di personale altamente qualificato: ricercatori,
progettisti, disegnatori che operano per lo sviluppo tecnologico. Grazie a queste
eccellenti risorse, nei primi anni del terzo millennio ci si accorse che le
potenzialità di sviluppo erano enormi, ma che Scorzé non poteva permettere
un’ulteriore espansione. Fu così che si cercò un nuovo sito che fosse
logisticamente vicino alla sede centrale. La scelta cadde su Paese.
Lo stabilimento di Paese
Questa garrula “Rondine”, che desta con il suo stridìo tante emozioni, nel 2004
ha infatti costruito il suo nido anche a Paese dove la Acqua Minerale San
Benedetto S.p.A. ha eretto un grande stabilimento di 175.000 mq., denominato
appunto “Fonte della Rondine”. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma la sua
mission sarebbe diventare un grande polo mondiale di produzione di acque
minerali, dopo la constatazione dell’impossibilità di espandersi ulteriormente a
Scorzè. Una scelta dettata anche dalla possibilità di raggiungere il vasto mercato
europeo attraverso la rete ferroviaria.
Il condizionale tuttavia è d’obbligo perché nel frattempo si sono verificati dei fatti
congiunturali, che hanno indotto la proprietà e il management a dirottare la
primaria destinazione verso altri obiettivi. In virtù di ciò lo stabilimento di Paese
sembra destinato a diventare polo tecnologico per il Gruppo, ossia area di studio,
ricerca, sviluppo e produzione di impiantistica sia per gli stabilimenti San
Benedetto S.p.A. sia per i partners sparsi nelle varie aree geografiche mondiali
che operano in perfetta autonomia anche se in stretta osmosi.
Oggi, nello stabilimento di Paese già si producono i tappi per i vari formati di
contenitori, ma tutto fa pensare che ci sarà una grande evoluzione tecnologica in
tutta la componentistica che viene fornita alla catena di produzione. La ricerca
avviene in collaborazione con il CIVEN – Coordinamento Interuniversitario Veneto
per lo sviluppo delle Nanotecnologie. Tutto ciò è pensato in funzione di offrire le
migliori garanzie al consumatore finale.
La Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. a Paese occupa un’area che altrimenti
sarebbe stata destinata a zona di insediamento di aziende cosiddette “pericolose”.
Almeno da questo punto di vista il pericolo è scongiurato e potrebbe diventare
anzi un sito di innovazione e hi-tec a beneficio anche di altre categorie produttive.
121
L’Azienda è una realtà industriale d’assoluta avanguardia, guidata da un
eccellente management, che dimostra di saper conciliare il business con il
rispetto ecologico-ambientale e il benessere della gente, sapendo di trattare un
bene primario come l’acqua. Non si spiegherebbe altrimenti l’eccezionale
evoluzione.
Il Gruppo San Benedetto parla una lingua universale, commercializzando in oltre
40 nazioni dei cinque continenti, ma è una galassia che si espande
continuamente. Con questa consapevolezza pure Paese potrebbe cogliere degli
ottimi vantaggi.
(mandare bozza a: [email protected])
ARREDAMENTI MARIO MORETTI & FIGLI s.r.l.
E’ questa una delle più rinomate aziende di Paese, che oltre ad incrementare
l’economia del territorio ha fatto scuola ed è stata trampolino di lancio per tante
persone che, dopo un periodo di esperienza al suo interno, si sono messe in
proprio.
Arredamenti Mario Moretti & Figli, che prende il nome dal suo fondatore, si trova
a Paese, Via Postumia 151/D dagli anni Cinquanta, quando venne ad insediarsi
provenendo da Treviso, ma le sue radici sono ancorate in Crocetta del Montello
dove risiedevano i progenitori degli attuali titolari. La lavorazione del legno è parte
genetica di questa famiglia di origine boscaiola, che si destreggiava con il legno
già nell’Ottocento. Da allora è stato un crescendo evolutivo, tale che nel 1939,
Mario Moretti (1913), un geniale ebanista, marito di Edera Dalla Torre (1916),
pensò di fondare a Treviso un’azienda che esprimesse a livello industriale l’arte
delle sue mani, dimostrando ben presto di staccarsi, per qualità e ricercatezza
delle lavorazioni, dalla media delle aziende del settore con una distanza che nel
tempo, anche dopo la scomparsa del fondatore, si dimostrò incolmabile.
Quelli che escono dalla produzione sono prodotti di elevato pregio nel settore
dell’arredamento su misura, classico o moderno che sia. I manufatti che escono
dalla fabbrica sono destinati ad alberghi, ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie,
pasticcerie, discoteche, negozi ed anche interni navali e di abitazioni civili. La
ditta produce inoltre celle frigorifere fisse e mobili.
Lunghi anni di esperienza e tradizione le hanno procurato commesse da varie
parti del mondo, ed ora alcuni prestigiosi locali di New York e Londra portano il
suo marchio, sue composizioni si trovano anche a Mosca e Hong Kong, oltre che
in Karzan, Cina, Giappone e America Latina. Sono soltanto alcuni esempi, ma che
testimoniano del buon nome e dell’alto livello conseguito. Per farsene un quadro
complessivo basta visitare il sito internet: www.arredamentimoretti.it.
Arredamenti Mario Moretti & Figli, pur essendo una grande e prestigiosa
industria - 7500 mq. di superficie - si caratterizza ancora per la qualità e
l’attenzione artigianale in tutti i settori di lavorazione particolarmente curati ed
apprezzati, frutto di un modo di operare che si è costantemente evoluto nel tempo
anche grazie all’impiego delle nuove tecnologie. Per la sua versatilità e le
maestranze particolarmente qualificate, fornisce prodotti “tutto incluso”, ossia
l’arredamento dei locali a 360 gradi, dal legno al metallo, dal pavimento al soffitto,
dall’impianto idraulico a quello elettrico, dalla decorazione all’intaglio, dalle
122
ceramiche ai marmi, dai metalli pregiati a quelli tradizionali, dai cristalli alle
resine, in tutte le forme e dimensioni, compresi i complementi d’arredo, e si
potrebbe continuare a lungo.
La Arredamenti Moretti di Paese rappresenta quindi il top nel suo settore in cui si
contraddistingue per la cura dei dettagli, ma tutto ciò non sarebbe possibile
senza un ottimo management. Si tratta, infatti, di un’azienda a guida familiare,
che si avvale di una trentina di tecnici artigiani, più giusto è definirli artisti. Oltre
a questi, l’industria sviluppa anche un certo indotto, affidando lavoro di supporto
ad una quindicina di addetti esterni, specializzati in vari mestieri.
Titolare e direttore aziendale è Roberto Moretti, figlio del fondatore, che si avvale
dell’apporto della moglie Flora Visentin e in particolare dei figli Stefano e
Valentina, che sono responsabili rispettivamente dell’ufficio tecnico-progettazione
e dei rapporti con la clientela. Due generazioni di una stessa famiglia nel segno
della continuità, che in questa struttura è indice di solidità e affidabilità: una
famiglia che ha sempre avuto grande apprezzamento per i collaboratori,
considerati il suo massimo punto di forza. Grazie a questa consapevolezza
l’azienda non ha mai conosciuto particolari periodi di conflittualità ed è già questo
un grande valore aggiunto oltre che un’ottima garanzia.
Tutto sommato si tratta di una realtà in ottima salute che guarda al futuro con la
terza generazione dei Moretti, nipoti di Mario, industriali dell’arredamento di
qualità. Azienda leader, il cui marchio è diventato una griffe nel suo genere, che
onora Paese ed è simbolo del miglior Made in Italy. Ma come dimenticare il
geniale nonno che sapeva lavorare di fino, divertendosi tra incastri ed intagli, o
quando, a Torino, costruiva le carrozzerie per le radio Magnadine? Possedeva una
mente davvero vulcanica e creativa, e pure i suoi discendenti non sono da meno.
([email protected])
BASSO Cav. ANGELO SpA COSTRUZIONI GENERALI
E’ questa una delle più importanti realtà industriali del territorio comunale di
Paese, operante nel campo dell’edilizia, in particolare nella produzione di
strutture in calcestruzzo armato di tipo precompresso per grandi edifici
industriali, artigianali, commerciali e direzionali.
La Costruzioni Generali Basso Cav. Angelo SpA opera dal 1930 e può vantare
quindi una lunga appassionante storia. Tutto iniziò con una cazzuola in mano,
che Angelo Basso, dei “Mori” di Postioma, usava per piccoli lavori edili in tempi in
cui di soldi ne giravano davvero pochi. Lentamente, con la sua maestria e
propensione manageriale, fece crescere l’impresa dando lavoro a tanta gente
locale.
Angelo era nato in Postioma nel 1909 da Pellegrino ed Ester Pontello, una coppia
inserita in una grande famiglia patriarcale, contadina, proveniente da Padernello
e prima ancora da Istrana, in cui coesistevano altre coppie con i loro figli e
insieme si aiutavano a vivere. Pellegrino era emigrato a New York a fine secolo
XIX. Ritornò nel 1900 con un mestiere in mano, quello di muratore, che gli servì
per costruire la nuova casa in Via Castagnera a Postioma e che riuscì in seguito a
trasmetterlo al figlio Angelo.
123
Il capostipite dei “Mori” era Francesco, nato a Istrana nel 1823. Il 19 febbraio
1844 aveva sposato in Padernello Pellegrina Perretti (1824). Da questi coniugi
nacquero quattro figli tra i quali Pietro (1850-1944), che si congiunse alla
postiomese Margherita Biondo, e furono i genitori di Pellegrino (1879-1975),
padre di Angelo, che nel 1930 fondò la sua impresa ed oggi portata avanti dai figli
Mario e Paola.
A darle una notevole notorietà fu la costruzione - negli anni Cinquanta - della
nuova imponente chiesa parrocchiale di Postioma, lavori affidati dall’allora
parroco don Giovanni Capoia.
Fu probabilmente il primo vero grande impegno che la ditta si assunse, vantando
già una ventennale esperienza. Da allora fu un crescendo continuo, un’evoluzione
inarrestabile. L’impresa diede così inizio a quello che successivamente divenne un
grande gruppo industriale, attivo nel settore delle costruzioni e in quello
immobiliare.
Con il passare degli anni l’azienda scoprì nuove tecniche costruttive e, grazie ad
una felice intuizione, diventò presto leader nazionale nella produzione di grandi
strutture in calcestruzzo armato. I vari componenti vengono prodotti nello
stabilimento di Postioma, su un’area di oltre 100.000 mq.; gli edifici di
produzione e stoccaggio occupano una superficie di circa 25.000 mq. È una
produzione che non conosce crisi, grazie anche alla ricerca di nuovi moduli
progettati nei propri studi tecnici da specialisti che operano in stretta sinergia con
professionisti esterni.
In virtù di ciò la Basso Costruzioni è diventata un’azienda ricercata nella
fornitura e montaggio di strutture prefabbricate, nella realizzazione di opere di
completamento (manti di copertura, serramenti); nella realizzazione di opere edili
(fondazioni, pavimentazioni, opere in elevazione); ma anche nella realizzazione di
complessi di urbanizzazione primaria e costruzione di grandi edifici “chiavi in
mano”.
La Basso Costruzioni Generali è quindi una grande società di costruzioni con
produzione interna dei manufatti che vengono impiegati nella costruzione delle
opere affidatele. In sostanza escono dal proprio stabilimento elementi di grande
flessibilità e versatilità, quali pilastri, tegoli a “TT”, pannelli di tamponamento,
travi, solai e elementi di copertura “Linea Fly”. Tutti subiscono rigorosamente il
test di prova e qualità mediante sofisticati strumenti d’avanguardia tecnologica,
offrendo quindi una garanzia totale sulle fabbricazioni.
La lunga esperienza e qualificazione raggiunte consentono di soddisfare qualsiasi
esigenza, oltreché ricercare, individuare e proporre soluzioni progettuali
personalizzate secondo le esigenze della committenza. L’appartenenza ad un
gruppo imprenditoriale le permette di essere presente con proprie sedi operative
nelle aree del Nord e Centro Italia dove c’è maggiore richiesta. Ciò vale pure per le
unità tecnico-commerciali che presidiano la Toscana, l’Emilia Romagna, la
Lombardia, il Friuli Venezia Giulia. Grazie ad una rete commerciale così estesa, la
Costruzioni Generali Basso Cav. Angelo SpA è conosciuta ed apprezzata per
l’elevata garanzia di qualità, che si evidenzia concretamente nell’inalterabilità,
funzionalità, sicurezza e finitura delle realizzazioni. In virtù di ciò l’Azienda ha
ottenuto la certificazione da parte dell’I.C.M.Q. con il n. 99235 ISO 9001:2000, ed
è accreditata “Eurosoa” per la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche
europee.
124
Straordinaria l’evoluzione di questa rinomata impresa di costruzioni edili.
Innumerevoli sono le grandi opere realizzate. Solo per citarne alcune si riportano:
Centro Meccanografico delle Poste Italiane di Peschiera Borromeo (MI); il Centro
Direzionale Regionale “Metropolis” di Mestre (Gruppo Ferrovie dello Stato); La
Rotonda di Mestre; il Parco Tecnologico Archimede di Nervesa della Battaglia; il
Centro Polifunzionale Tecnouno di Prato; i Centri Commerciali “Palladio” di
Vicenza, “Le Brentelle” di Sarmeola di Rubano (PD); “Acquazzurra” di S. Giorgio di
Nogaro (UD); “Le Rondini” di Adria (RO), riqualificando un fabbricato preesistente;
“Tiziano” di S. Biagio di Callalta (TV); gli stabilimenti industriali della Barilla,
deposito di Carmignano (FI), della Bauli a Castel D’Azzano (VR), del Conad
Romagna Marche ad Annone V.to (VE), dell’Aspiag Service a Mestrino (PD), della
Doc Mobili (Gruppo Doimo) a Follina (TV), della Benetton a Castrette di Villorba
(TV), della Rolling Center a Falzé di Trevignano (TV). E poi Bieffe Medital a
Bomporto (MO), Smurfit a Massalombarda (BO); Luise SpA a Saonara (PD), Texa
a Monastier (TV), IRIS Ceramiche a Sassuolo, San Benedetto a Scorzé, tanto per
citarne alcune, ma l’elenco è particolarmente lungo.
Oltre alla Basso Cav. Angelo Costruzioni Generali, fanno parte del gruppo anche
Lefim spa, promotrice diretta di iniziative immobiliari in ambito industriale,
logistico, direzionale, retail e nella riqualificazione di compendi immobiliari
dismessi, quindi So.ge.i.com, società che garantisce al gruppo, e al suo core
business, la disponibilità costante e puntuale di un supporto tecnico qualificato,
offrendo servizi amministrativo-finanziari di property, di project, engineering,
marketing e facility management ed inoltre la Basso Hotels & Resorts S.p.A., che
si occupa di gestioni alberghiere “first class” su tutto il panorama nazionale. Si
rivolge in particolare alla clientela business e leisure. La prima realizzazione è
stata l’Hotel di Treviso a quattro stelle, ubicato all’uscita della tangenziale alle
porte di Paese, e sono già in programma altre nuove aperture.
La Basso Costruzioni Generali ha sede in Postioma di Paese (TV), Via Pastore
12/b. Info: [email protected] – www.gruppobasso.it.
BIASUZZI GROUP
Questa realtà industriale ha fortemente caratterizzato con la sua presenza il
territorio di Paese fin dagli anni Cinquanta, anche se l’inizio dell’attività
escavativa risale agli albori del secolo scorso.
Il fondatore si chiamava Sante Biasuzzi, figlio di Giuseppe, che si guadagnava da
vivere con il trasporto di ghiaia a mezzo di pesanti carri trainati da cavalli.
Naturalmente, a quei tempi, si scavava tutto a mano non esistendo ancora le
macchine per dragare i terreni. Allora la manodopera costava davvero poco ed era
già una fortuna trovare un lavoro che non fosse quello di contadino. Le cave di
inerti nei primi decenni del XX secolo erano particolarmente rispettose del
territorio. Si trattava innanzitutto di togliere lo strato di terreno fertile, che si
accantonava, poi si procedeva con lo scavo del materiale ghiaioso e sabbioso per
uno strato di circa due metri, infine si ricollocava la terra precedentemente
accantonata, così quel sito era restituito alla natura, seppur abbassato. Di questi
siti se ne possono scorgere tuttora in Via Levade, a Paese, a Morgano, a Quinto e
in altri luoghi.
125
Sarà l’ultimo dopoguerra ad imprimere un radicale impulso anche in questo
settore con l’uso indiscriminato del territorio, data la mancanza di norme che
regolamentavano la materia. Del resto lo sviluppo urbano e industriale
precedentemente al Boom Economico era stato poco significativo e trovò
impreparato il legislatore. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo della
ricostruzione, ci fu quindi un notevole incremento escavativo, accelerato da
moderne macchine draganti, tanto da far emergere le prime falde acquifere.
La Biasuzzi, che nel frattempo era passata nelle mani di Giuseppe, figlio di Sante,
fu fortemente agevolata da questa condizione. Si dragava il Sile, a Quinto, con
barconi appositamente attrezzati di gru e pompe aspiranti. Per il trasporto ci si
serviva di autocarri “Lodge” lasciati dagli Alleati. Si aprironoo poi le prime cave a
falda a cielo aperto, come quella denominata ora “Laghetto di Monigo”. Il 4
novembre 1959, alla presenza del sindaco di Paese Vincenzo-“Vittorio” Zanatta e
con la benedizione del parroco mons. Mario Ceccato, si apriva il nuovo cantiere di
Treforni. Ci fu una corsa da parte dei contadini a vendere la terra, dato che era
ben retribuita e qualcuno chiedeva contemporaneamente di essere assunto come
operaio, qualche altro colse l’occasione per fare il “cariòto” con mezzi propri.
Negli anni Sessanta, come accennato, il Miracolo Economico vedeva crescere le
case come funghi e conseguentemente la richiesta di materiale inerte andò alle
stelle. Si scavava ininterrottamente di giorno e di notte. Aprì quindi anche la cava
di Padernello su terreno ceduto dai Dametto. Nel frattempo tra Castagnole e
Porcellengo si scavava su altri siti, ad uso del nuovo aeroporto di Tessera, ma non
si trattava della Biasuzzi. Della Biasuzzi invece era l’asfalto che servì a
pavimentare le piste di decollo e atterraggio, perché pure la produzione di
conglomerati bituminosi conobbe un notevole impulso fin dal 1958.
Gli anni Sessanta non registrarono soltanto l’irrefrenabile sviluppo urbanistico,
inteso come abitazioni, ma anche di infrastrutture che si resero indispensabili
dopo la corsa a farsi la macchina. Nel 1965, all’estrazione di aggregati lapidei, la
Biasuzzi aggiunse la produzione di conglomerati cementizi. Nacque così la Veneta
Calcestruzzi, ora Biasuzzi Concrete S.p.A. con le sue undici unità produttive
sparse in tutto il Veneto, e in Friuli. Da allora non si contano le grandi opere
costruite con le sue forniture. Fra le ultime, l’Ospedale e il Passante di Mestre,
l’Università e la Cittadella Treviso 2 di Fondazione Cassamarca e l’Immobiliare La
Madonnina pure di Treviso, l’Ikea di Padova e il Piruea di Conegliano (ex area
Zanussi) portano la sua impronta. Appartengono al Gruppo Biasuzzi anche la
Latercementi s.p.a. di Resana e la Bipav s.r.l. – ultima nata – società altamente
specializzata nel campo delle pavimentazioni industriali.
Una nota a parte merita la Geo Nova, una società di progettazione, realizzazione e
gestione di impianti avanzati per il trattamento ecologico dei rifiuti. E’ la risposta
ad uno sviluppo sostenibile che va, anche se non senza difficoltà, lentamente
affermandosi in ogni settore.
In conclusione il Gruppo Biasuzzi ha alle spalle oltre un secolo di storia. Con le
sue dodici centrali distribuite nel Nord Est, circa duecento dipendenti e un parco
di oltre un centinaio di automezzi da trasporto, oltre a una nave mercantile da
12.000 mc. e 22 persone di equipaggio, rappresenta per le imprese edili la
migliore soluzione per le loro esigenze costruttive. Tutte le lavorazioni si svolgono
in modo altamente tecnologicizzato, con controllo costante della qualità e nel
rispetto dei parametri ambientali che ne fanno una realtà pluricertificata. La sede
centrale del Gruppo si trova in territorio di Ponzano Veneto, Via Morganella Ovest
(www.gruppobiasuzzi.com).
126
Il Gruppo è anche sinonimo di cavalli purosangue e di villaggi turistici. Quella per
i cavalli è sempre stata una passione del comm. Giuseppe Biasuzzi, classe 1924,
che l’ha trasmesso poi ai figli Fabio e Maurizio. L’Azienda Agricola familiare di
Quarto d’Altino, ampia ben 65 ettari, ospita un allevamento - con monta - di
purosangue Tossout, con le sue 120 fattrici, 5 stalloni e 90 puledri ogni anno. E’
certamente una delle più blasonate e conosciute al mondo. Qui sono nati
campioni quali Barbablu, Thimoty T, Dosson, Carosio, Pecos Bi, Equinox Bi e
Ruth Bi, la cavalla italiana più veloce, nata nel 1991, che hanno fatto sognare gli
appassionati degli sport equestri. Un altro allevamento – 76 ettari e un centinaio
di cavalli - si trova a Montalbano (Udine), mentre Mirano (Venezia) ospita la
Scuderia Gina Biasuzzi, che si estende su una superficie di 25 ettari, con una
sessantina di equini in allenamento. Ad occuparsene in prima persona è
Maurizio, un driver che gareggia tuttora nei migliori Grand Prix. Il fratello Fabio si
occupa invece della gestione degli ippodromi di Montebello (Trieste) e di S.
Artemio (Treviso).
La famiglia Biasuzzi è pure sinonimo di sviluppo turistico. Noto il Villaggio San
Francesco di Caorle, ampio ca. 320.000 mq., ma il più prestigioso e ricercato è
sicuramente il Bi-Village di Dragonja (Croazia), di fronte alle Isole Brijuni (Istria),
esteso su una superficie di 50 ettari, al quale si affianca il Village Kazela di
Medulin, vasto ben 110 ettari, per circa la metà adibito a camp naturista.
COSTRUZIONI BONAZZA di Bonazza Antonio & C. s.n.c.
L’azienda, che ha sede in Paese (Treviso), Via Vittorio Veneto 1, si distingue per il
recupero e restauro di immobili classici, storici e architettonici, senza trascurare
le moderne costruzioni civili e industriali. È divenuta nell’arco degli oltre 65 anni
di attività, sinonimo di affidabilità e ricercatezza qualitativa.
Fondata dal comm. Giacomo Bonazza, un uomo tutto d’un pezzo, originario di
Zero Branco, che era simbolo ed espressione di temperie e solidità, ha mantenuto
negli anni le peculiarità impresse dal fondatore, sviluppandosi e affermandosi
ulteriormente sotto la guida del figlio Antonio, che le ha dato ulteriore visibilità e
rinomanza tali da annoverarla tra le migliori imprese dell’italico Nord Est.
A Paese, il suo miglior biglietto di presentazione rimane il recente restauro della
chiesa arcipretale, commissionato dal parroco don Livio Buso, un lavoro
imponente realizzato con i migliori ritrovati della tecnica, ma soprattutto con cura
e ricercatezza che sono le sue migliori credenziali. Vanta inoltre una gamma
molto vasta di raffinati recuperi di ville e palazzi, riportati all’antico splendore in
collaborazione con la Soprintendenza ai BB.AA. di Venezia, con competenza ed
affidabilità, riconosciute come caratteristica e forza trainante della Bonazza
Costruzioni stessa.
Pur rimanendo sua peculiarità la qualità del restauro, la ditta si distingue anche
nelle moderne costruzioni, e non solo di abitazioni civili, ma particolarmente nei
complessi commerciali e industriali oltre che nei fabbricati pubblici, a tal punto
da essere accreditata nelle categorie SOA e da meritarsi la certificazione Uni En
Iso 9001:2000.
Come si diceva, colonna portante dell’Impresa è il sig. Antonio Bonazza, che si
avvale di un ottimo management e d’oltre una quarantina di maestranze
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altamente qualificate, affezionate all’azienda a tal punto da avvicendarsi di padre
in figlio, a testimonianza di una conduzione di tipo familiare, prova che l’azienda
ha un cuore pulsante, come miglior garanzia di affidabilità oltre che di senso di
appartenenza, valori che si traducono in esecuzioni di eccellente qualità e
prestigio.
In fatto di recuperi architettonici in antichi edifici, basti ricordare il tratto delle
mura cinquecentesche di Treviso, con i suoi leoni alati riportati al fascino
primordiale, oppure la zona del sottoportico dei Buranelli, simbolo della Treviso
più classicheggiante, e ancora il palazzo dei Da Camino a Portobuffolè,
l’allestimento dei ponteggi con progettazione e studio per il recupero della Loggia
dei Cavalieri, l’edificio sacro del XVI secolo in località “Borghetto” a S. Martino di
Lupari, la sede municipale di Maserada, il palazzetto gotico in Piazza dei Signori a
Treviso, la barchessa di Villa Cornaro ad Este, il risanamento della copertura
della chiesa di S. Liberale e quello delle coperture e del fusto del campanile del
Duomo e il restauro conservativo delle facciate e risanamento della copertura di
Palazzo Marini, sempre in Treviso. A Paese, invece, oltre alla chiesa parrocchiale,
è stata recuperata l’antica casa dei Polin-“Fredi”, dietro Casa Quaglia. Tra i lavori
cosiddetti moderni e prestigiosi invece può essere additata la concessionaria Audi
a Conegliano, la nuova sede del Consorzio Agrario di Treviso e Belluno a
Castagnole, il Consorzio Agrario di Conegliano, l’ Ospice “Casa dei Gelsi” per
assistenza ai malati terminali promosso dall’Advar di Treviso.
Sono solo alcuni esempi tra i più delicati e importanti, che qualificano e
distinguono l’impresa di Antonio Bonazza, ditta che dal 1991 porta il suo nome,
ma che già si avvale dell’apporto dei figli, ossia della terza generazione di
imprenditori edili Bonazza e che si propone come azienda solida ed affidabile per
la grande esperienza acquisita in 65 anni di attività. Basta scorrere il sito internet
(www.bonazzacostruzioni.it) per farsene sufficientemente un’idea, o visitare una
delle tante opere realizzate, che stanno a perenne testimonianza del suo buon
nome.
COSTRUZIONI EDILI GIROTTO
L’Impresa, che si avvicina ormai al mezzo secolo di attività, si caratterizza per il
restauro di edifici storici di particolare pregio e per la costruzione di fabbricati
residenziali e produttivi anche di grandi dimensioni, distinguendosi per la
particolare cura ed elevata qualità estetica e architettonica. È stata fondata nel
lontano 1960 da Giuseppe Girotto (1939), dei “Buzioi” di Porcellengo, una famiglia
con radici rurali profonde, che ha saputo trasformarsi ed evolversi in modo tale
da annoverare tra i suoi membri grossi imprenditori edili che si sono fatti onore in
Italia e all’Estero.
A soli dodici anni Giuseppe iniziò a lavorare come apprendista al seguito di un
noto muratore di Porcellengo, frequentando contemporaneamente il triennio di
disegnatore tecnico presso la scuola professionale di Paese, per passare poi a
quindici anni a quella serale “San Francesco” di Treviso. Pur essendo una mente
promettente non poté tuttavia continuare gli studi per esigenze familiari. Gli studi
in ogni modo lo rinfrancarono e già a sedici anni ebbe modo di dimostrare la sua
valentia erigendo il primo edificio. Si trattava della nuova casa costruita al grezzo
con poche modeste attrezzature per conto di una famiglia di Postioma.
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L’anno seguente fu assunto nell’Impresa Basso cav. Angelo di Postioma, la stessa
che eresse la nuova chiesa parrocchiale commissionata dal parroco don Giovanni
Capoia.
Gli anni Cinquanta tuttavia, pur essendo quelli della lenta ricostruzione dai
disastri lasciati dalla guerra, non lasciavano intravvedere un grande avvenire per
un giovane pieno di risorse vitali che volesse sistemarsi. Giuseppe perciò, nel
1957, sulle orme del fratello Gino, prese il treno per la Svizzera per fare il
muratore nel Canton Berna, a Swingen, rimanendovi fino al 1960, quando decise
di ritornare in patria per mettersi in proprio.
Il 1960 fu quindi l’anno magico che vide nascere e svilupparsi la Costruzioni Edili
Girotto. Inizialmente si trattò di lavorare sodo senza tener conto delle ore
giornaliere, ma i sacrifici furono gratificati da successo.
Avviata l’attività, nel 1964 Giuseppe concretizzò il progetto di formarsi una
famiglia unendosi alla compaesana Giuliana Urio. Lo stesso giorno convolò a
nozze pure il fratello Gino, che diventò il suo braccio destro nella conduzione
dell’impresa, con i fratelli Tarcisio, Bruno e Mario. Gino svolse sempre con tanto
impegno e passione il suo lavoro come fosse impegnato in prima persona nella
responsabilità della conduzione dell’azienda, finchè non venne stroncato da una
grave patologia nell’anno 2006. Fu un evento assai traumatico per Giuseppe la
scomparsa del congiunto con il quale aveva condiviso tanto sudore e affrontato
innumerevoli battaglie, un dolore alleviato dai figli Roberto, Michele e Paolo,
surrogati dal padre nell’Impresa ed ora ognuno con un proprio specifico ruolo. Un
altro punto fermo è il rapporto di collaborazione con Ferruccio, altro fratello di
Giuseppe, architetto titolare dell’omonimo studio tecnico in Postioma con il quale
si è formata una stretta sinergia.
Grazie a queste preziose risorse, alla lunga esperienza e ad una quindicina di
maestranze, l’Impresa Costruzioni Edili Girotto di Girotto Giuseppe & C. s.n.c.,
che ha sede in Postioma di Paese (Treviso), in Via Europa Unita 3/b, può esibire
ora un curriculum assai lusinghiero. Già nel 1964 costruiva a Martellago
(Venezia) un grosso agglomerato di 52 appartamenti, un blocco di nove e un altro
di undici, quindi la canonica di Sant’Antonio in Mogliano. I mezzi erano ancora
piuttosto modesti, basti pensare che il primo escavatore fu ricavato trasformando
un trattore che il padre di Giuseppe, Ottavio, usava per lavorare nei campi. Nel
tempo diventarono sempre più evoluti e l’impresa si accaparrò sempre le migliori
tecnologie.
Impossibile enumerare tutte le opere erette in quasi mezzo secolo. Vale tuttavia la
pena di menzionare il condominio commissionato dal parroco don Giovanni
Capoia per conto della Parrocchia di Postioma in Via Fratelli Bianchin, quindi la
Casa del Giovane, la ristrutturazione di Villa Labia, quella del campanile e la
pavimentazione del piazzale della nuova chiesa, tanto per rimanere nell’ambito
parrocchiale. A ben guardare, si può tuttavia constatare che in Postioma
l’Azienda Girotto ha cambiato la fisionomia del centro, erigendo i più importanti
edifici.
Ma la Girotto è sinonimo di successo anche nel campo delle costruzioni
pubbliche: la caserma dei carabinieri, l’asilo nido, la scuola elementare di
Treforni, il palazzetto dello sport a Padernello, tanto per restare nel comune di
Paese, sono opere sue. A ciò va aggiunto l’asilo nido di Ponzano Veneto. Altri
edifici di pregio stanno nell’album dei ricordi, tra questi spicca Villa Brilli, ora
Busatto, a Treviso.
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Nonostante il notevole impegno nell’azienda Giuseppe ha saputo conservare
l’amore per il suo paese, offrendo il suo prezioso contributo quale membro di
commissioni amministrative comunali e del Consiglio Parrocchiale di Postioma.
La sua Impresa ha buona visibilità non solo nel settore edilizio, ma si distingue
anche in quello sportivo, essendo da sempre sponsor generoso dell’U.S. Postioma
Calcio e del locale Gruppo Ciclistico. Girotto ha fatto grande la sua azienda, ma
egli stesso sa che ciò non sarebbe stato possibile senza il prezioso aiuto di tante
maestranze che hanno lavorato nella sua impresa come si opera in un’affiatata
famiglia, in primis i fratelli Gino e Ferruccio. Ed è ancora ciò che caratterizza e
galvanizza questa straordinaria realtà produttiva, che intravvede un brillante
futuro nella nuova generazione dei Girotto (“Buzioi”), figli di Giuseppe e di
Giuliana Urio.
GENERAL FILTER ITALIA S.p.A.
“Tecnologia per la pulizia dell’aria” (Tecnology for clean air), uno slogan che è il
programma aziendale. Si tratta, infatti, di un’industria di filtri per la depurazione
dell’aria, conosciuta ben oltre i confini nazionali, sorta in epoca in cui il bisogno
di depurare l’aria non era ancora molto sentito, mentre oggi è argomento di vitale
importanza. Titolari sono i fratelli Giovanni e Roberta Polin.
Tutto ebbe inizio quando il loro padre, Odone Giovanni Maria (1926), dodicesimo
dei tredici figli di Mosè Polin e Pierina Deoni, sulle orme di alcuni fratelli pensò di
emigrare in Canada nel 1955, l’anno dopo il suo matrimonio con Silvana
Zanlorenzi, approdando a Niagara Falls. Poiché “la necessità aguzza l’ingegno” la
fantasia certo non gli mancava. Si era spacciato per cuoco pur di emigrare, ma,
per sua stessa ammissione, non sapeva fare nemmeno un caffé. Fu assunto
invece in un’industria meccanica mentre nel tempo libero faceva il falegname,
mestiere appreso dal fratello Pio a Paese. Due anni dopo fu raggiunto in Canada
dalla moglie e nacquero lì due dei quattro figli.
Ritornarono in patria nel 1963. Odone con l’idea fissa di dedicarsi al filtraggio
dell’aria, un’attività che in America stava prendendo piede ma ancora del tutto
sconosciuta in Italia. Fu da questa intuizione che nel 1965 nacque la ditta
individuale per la produzione di celle filtranti che trovavano applicazione nei
primordiali impianti di condizionamento. Nel 1982, con l’ingresso dei figli Rosa
Giovanna, Giovanni, Maria e Roberta, l’azienda cambiò ragione sociale in General
Filter, e nel 1986, conquistati i mercati europei, trovò l’attuale assetto industriale
tramutandosi in “General Filter Italia S.p.A.”.
Giunto il momento della quiescenza e ritiratesi Rosa Giovanna e Maria, il
fondatore lasciava quindi la conduzione della fabbrica nelle buone mani di
Giovanni (1958) e Roberta (1968).
La fabbrica, che ha domicilio legale e amministrativo a Paese, in Via San Luca 51,
occupa complessivamente una settantina di maestranze dislocate in vari luoghi.
La produzione si trova a Treviso, i magazzini a Quinto di Treviso, la sede
commerciale a Barbaiana di Lainate (Milano). Le merci si spostano quasi
esclusivamente su gomma, dato che si tratta di materiali ingombranti ma poco
pesanti.
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Molta importanza viene attribuita dai titolari al modo di operare. Nelle varie sedi,
infatti, si lavora in un clima di particolare serenità, giacché molta importanza
viene attribuita ai rapporti umani, nella consapevolezza che la vera ricchezza è il
personale dipendente.
La crescente industrializzazione, spesso non sostenibile dal punto di vista
salutistico, ha largamente favorito la richiesta di filtri per l’aria, e di conseguenza
la produzione, imboccando quindi anche la strada dei mercati esteri. Nel 1992 fu
aperta a Madrid la consociata “General Filter Iberica s.a.”, per servire in modo
puntuale e capillare - inizialmente come produzione e poi come sede commerciale
- il mercato spagnolo e quello portoghese.
La società per azioni registrò così una vistosa crescita esponenziale, tale da
conquistare non solo mercati europei, ma anche mediorientali e asiatici, aprendo
nuove sedi commerciali in Francia, Svezia, Russia, Turchia, stringendo accordi di
partnership a Kuala Lumpur (Malaysia), aggregando agenti commerciali un po’
ovunque, compreso il Nord Africa (Egitto, Marocco), siglando infine delle joint
venture in Argentina e Brasile. Ma la struttura portante del settore vendite è la
rete di agenti nazionali dislocati nelle zone di competenza e integrati da venditori
interni all’azienda che operano alle dirette dipendenze del titolare, Giovanni Polin.
Dalla General Filter Italia escono filtri di vario genere - basta consultare il sito
internet dell’azienda (www.generalfilter.com) per farsene un’idea – finalizzati
esclusivamente alla depurazione dell’aria. In particolare trovano applicazione in
impianti di aspirazione, ventilazione, riscaldamento, condizionamento e
climatizzazione, di tipo domestico o industriale e nei servizi. A beneficiarne sono
sale ospedaliere, comprese quelle operatorie, aziende farmaceutiche, industrie
alimentari, centri commerciali e impianti industriali di ogni tipo e forma, vale a
dire che i filtri possono essere costruiti pure su misura. L’impiego dei materiali
varia secondo la destinazione finale e spazia dal poliestere alla fibra di vetro, dalla
microfibra plissettata al carbone attivo, dalla maglia metallica alla calza
d’alluminio, tanto per fare alcuni esempi. Gli articoli prodotti abbracciano tutta la
vasta gamma di filtrazione. Si contrappongono alle polveri più grossolane (pm 10),
ma anche alle micro particelle (pm 01), con un grado di efficienza pari al 99,99%.
Sono il frutto della ricerca, dell’esperienza e dello sviluppo tecnologico impresso
dall’azienda in oltre quarant’anni di attività. In particolare il settore R&D Ricerca e Sviluppo opera ininterrottamente per mettere a punto sempre nuove
qualitative soluzioni. Lo impone un mercato sempre più specializzato ed esigente.
C’è stato un periodo di collaborazione anche con alcune università europee –
svedese e portoghese -per la creazione di prodotti sempre più efficienti ed
ecologici, dato che si tratta spesso di smaltire rifiuti considerati speciali. La
fabbrica, grazie a questo suo impegno e assunzione di responsabilità, si è
meritata la certificazione per la qualità dei filtri secondo la vigente normativa UNI
EN ISO 9001:2000. Un riconoscimento che assume un nobile valore sociale, non
meno utile di quello economico
A distanza di tanto tempo dalla sua costituzione, la General Filter Italia, società
per azioni, è ancora a conduzione strettamente familiare. Presidente e
amministratore è Giovanni Polin, coadiuvato dalla sorella Roberta che è
vicepresidente, mentre la moglie di Giovanni, Luigina Cocchetto, si occupa
prevalentemente dell’ufficio acquisti, alla ricerca di nuove fonti di
approvvigionamento soprattutto per quanto riguarda i prodotti strategici.
Nell’azienda è entrata e opera ora anche la terza generazione dei Polin costruttori
di filtri per l’aria. Sono le figlie di Giovanni: Alessandra e Jessica, due rampolli
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poco più che ventenni, ma già delle ottime managers. La prima tiene l’ufficio
comunicazione e marketing, la seconda l’ufficio programmazione alla produzione,
ma, trattandosi di persone versatili, all’occorrenza avviene lo scambio di
competenze.
L’azienda trae notevole vantaggio dal management familiare, anche se ciò
comporta la difficoltà di staccare la mente dal lavoro e trovare spazi per se stessi.
Il vantaggio c’è, ed è lo scambio di esperienze, soprattutto per le più giovani. In
fondo sono loro, Alessandra e Jessica, il futuro del Gruppo. Ancora due Polin
quindi guideranno questa importante realtà imprenditoriale, che si trova tuttora
in piena evoluzione. Per informazioni: [email protected]
LUNAZZI TINTORIA INDUSTRIALE S.p.A.
L’Azienda, guidata da Ado Montana, ha un trascorso davvero interessante. A
Paese è presente dal 1960 quando venne ad insediarsi in Via Risorgimento
provenendo da Montebelluna. La Tintoria Lunazzi vanta tuttavia una ben più
lunga tradizione nel settore, tale da intrecciarsi con la Storia Contemporanea.
Fondata a Spalato, in Dalmazia, dal nonno Adalgerico Lunazzi, conobbe subito
un fiorente progresso. Sembra tuttavia che ancor nell’Ottocento i Lunazzi
svolgessero questa professione, in modo del tutto empirico e artigianale, nella loro
terra di origine: il Friuli.
Fu il periodo della Rivoluzione Industriale che traeva origine dall’Illuminismo ad
ispirare la famiglia, dato che la lavorazione più diffusa era la tessile, che
inizialmente distribuiva il lavoro nelle famiglie. I Lunazzi ebbero l’intuito di
sviluppare a loro favore l’aspetto della tintura dei tessuti. Inizialmente si trattava
di tingere abiti in grandi pentoloni, con coloranti offerti dalla natura. Ad
imprimerle l’impulso industriale fu poi Arturo Lunazzi, figlio di Adalgerico,
avviando a Spalato anche il primo lavaggio a secco, con tecnologia sviluppata in
proprio.
L’azienda, a quei tempi già molto rinomata, portava il marchio “Premiata tintoria a
vapore Lunazzi”, con “impianto speciale per la pulitura dei vestiti con trielina”,
ossia “a secco”. Proprio in quegli anni, 1928, nasce da Maria, sorella di Arturo,
coniugata con Giovanni Montana, giovane calciatore titolare della squadra
Hajduk di Spalato, l’attuale Ado, che resterà orfano del papà alla tenera età di
due anni.
Nel 1944, in piena guerra mondiale, la famiglia lasciò la Dalmazia per rifugiarsi in
Italia, sistemandosi in Montebelluna con la speranza di farvi presto ritorno. Le
vicende però si evolsero in modo inaspettatamente negativo e nel 1946 Ado, con
l’aiuto dello zio Arturo, fratello della mamma, ricominciò dal basso l’attività,
avviando una piccola tintoria “Lunazzi” in Montebelluna. Quella di far ritingere il
vestiario era allora una prassi consolidata dalla diffusa indigenza. Lo zio si
ammalò quasi subito e Ado si trovò assieme alla mamma a condurre l’attività fino
al 1960, anno in cui si trasferì a Paese.
La lunga esperienza familiare e la passione per l’innovazione diedero presto buoni
frutti anche nella nuova terra, e il buon nome della Lunazzi continuò ad
espandersi e a conquistare nuovi mercati: oltre che in provincia di Treviso,
Padova e Belluno, anche in quella di Venezia e nella stessa città lagunare. Non si
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badava ai mezzi di trasporto pur di raggiungere la clientela e ci si doveva spostare
spesso anche in barca.
Un importante impulso evolutivo Ado Montana lo impresse tingendo matasse di
lana grezza. Ciò gli permise, nel 1960, di conoscere Luciano Benetton con il quale
s’instaurò una stretta sinergia, e fu anzi lo stesso titolare della Lunazzi a trovare,
con perspicacia e professionalità, alcune soluzioni a beneficio del noto Gruppo
veneto, arrivando a tingere i maglioni già confezionati per adeguarli alle cromie
modaliole. Nacque così il cosiddetto “tinto in capo”: un’autentica rivoluzione
tecnologica che mise solide basi per il futuro della Lunazzi, facendola assurgere a
piccola industria. Nel 1973, dato lo sviluppo raggiunto, ci si dovette perciò
spostare in una nuova sede di Paese, in Via Curtatone 9, dove la Lunazzi tuttora
si trova.
Nuove ricerche, nel 1977, portarono l’Azienda a specializzarsi per prima nella
tintura della lana con il trattamento “lavabile in lavatrice”, e successivamente
nella tintura del “casual in capo”, nella calzetteria in fibra acrilica e non ultima la
microfibra su capi di intimo.
Attualmente, per ragioni di opportunità commerciale, l’Azienda è suddivisa in due
società operanti in stretta osmosi: la Tintoria Lunazzi s.r.l. e la Lavanderia
Lunazzi S.p.A., che occupano complessivamente una cinquantina di maestranze
altamente qualificate, generando anche un cospicuo indotto. Pur essendo un
piccolo gruppo industriale, le lavorazioni delle Lunazzi hanno mantenuto la
caratteristica artigianale ed è ciò che rende l’Azienda affidabile e ricercata nel
particolare settore del tessile e abbigliamento. Ciò che la contraddistingue è la
continua ricerca, talvolta applicata in sinergia con i più noti stilisti.
Collaborazioni che si traducono in lavorazioni personalizzate e di pregio.
Le due società Lunazzi, per l’alto livello raggiunto, hanno conseguito la
certificazione Oeko tex Standard 100. Si tratta essenzialmente della garanzia che
i capi in esse trattati non rilasciano sostanze nocive per la salute. Per Ado
Montana ciò costituisce il riconoscimento di una vita d’impegno, di un’eccellenza
conquistata sul campo, affrontando le sfide quotidiane imposte da mercati
sempre più agguerriti e globalizzati, ma sempre con quella sensibilità ecologicaambientale che gli fa onore. A queste la Lunazzi non si è mai sottratta, facendosi
anzi trovare in posizione d’avanguardia, a maggior garanzia dell’usufruitore
finale.
La Lunazzi è una realtà che fa scuola e non teme la concorrenza nel campo della
tintura di maglieria di lana, cotone e fibre sintetiche, dei capi casual, ma anche
della calzetteria e dell’intimo, grazie anche all’alto livello tecnologico progettato nei
propri studi tecnici.
Un’industria con solide basi quindi, dinamica e affidabile, protagonista nel
prestigioso settore dell’abbellimento cromatico dei capi di vestiario, anche di alta
moda, tuttora saldamente in mano al suo fondatore il quale, dopo sessant’anni di
onorato lavoro, l’ha proiettata verso un futuro sempre più brillante. Con il
desiderio, che è anche un progetto, di consegnare alla storia un’opera museale:
una vecchia tintoria, com’era allestita un tempo. (Info: [email protected][email protected] - www.lunazzi.it)
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MASTELLA s.r.l.
Fondata nel 1984 da Antonio Mastella, tutt’ora suo amministratore, l’Azienda di
Castagnole opera con successo nei principali mercati nazionali ed esteri, dove è
riuscita ad imporsi nel settore Arredobagno grazie alla costante tensione al
miglioramento qualitativo.
L’esperienza sul campo, acquisita quando negli anni Settanta operava da Agente
di Commercio, ha permesso all’imprenditore Mastella di conoscere a fondo le
dinamiche aziendali e del mercato in cui si stava cimentando: queste le premesse
per la nascita della Mastella con sede in Via Liguria nella frazione di Padernello.
Si trattava evidentemente di un’azienda artigianale, costituita da pochi fidati
giovani collaboratori, tutt’ora presenti, che con colo spirito di squadra affiatata
hanno contribuito a percorrere le vie tracciate.
L’evoluzione dell’ambiente bagno e dei suoi complementi, che da essenziali e
spartani sono diventati ricchi e ricercati, ha permesso lo sviluppo del mercato
dell’arredobagno e di conseguenza delle aziende ad esso legato: ecco che la
Mastella ha trovato humus fertile per la sua repentina crescita, testimoniata
anche nella necessità di trasferirsi nei primi anni Novanta nell’attuale sede in Via
Azzi a Castagnole su una superficie totale di 5.000 mq., comprendenti lo
stabilimento produttivo, gli uffici e lo show-room.
Gli ultimi anni hanno visto accendere i riflettori sul bagno, soprattutto per l’ideale
espressione della personalità di chi lo arreda: ciò ha fatto irrompere in maniera
esaltante il design in questo ambiente della casa, tutto sommato decisamente
recente e pur tuttavia particolarmente dinamico.
Mastella interpreta questa ulteriore evoluzione con lo stile che l’ha sempre
caratterizzata, cioè con eleganza e sobrietà aprendosi alle opportunità di
collaborazione con professionisti e designers affermati, i quali hanno contribuito a
creare l’immagine d’avanguardia che l’azienda si è conquistata e che si può
apprezzare visitando il sito www.mastella.it o sfogliando le migliori riviste
specializzate nazionali ed estere.
Il design è un ulteriore tassello nella molteplice sfaccettatura della qualità
aziendale globale Mastella, non più semplicemente conseguente all’ottimo livello
di materiali scelti o delle professionalità nate e cresciute in azienda: oggi Mastella
cresce nei mercati più difficili, quello italiano e quello internazionale dove
concentra il 70% del proprio lavoro, grazie ad un competitivo pacchetto completo
che comprende stile e personalità italiane, affidabilità e serietà invidiabili,
naturale e spontanea predisposizione alle esigenze della clientela, servizio
ineccepibile ed apertura alle sfide dei mercati più esigenti.
Mastella, quindi non solo non teme la concorrenza, ma sta anzi vivendo una
stagione espansionistica, testimoniata anche dalla recentissima costruzione di
una nuova struttura adiacente alla precedente, di fatto raddoppiandola.
Un’industria solida, quella condotta in collaborazione con la moglie Daniela
Lucchetta e le figlie Cristina e Meggi, che attualmente impiega una quarantina di
persone altamente motivate.
(Attenzione!!! Mandare bozza all’azienda, c.a. sig. Antonio Mastella)
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SEVERIN COSTRUZIONI GENERALI s.r.l.
La Severin Costruzioni Generali è un’azienda edile caratterizzata da una
straordinaria dinamicità tali che è oggetto costante di un’eccezionale evoluzione,
pur avendo avuto umili origini. Non è facile descrivere adeguatamente questa
realtà imprenditoriale, la quale per le capacità tecniche e le sinergie che riesce a
sviluppare si colloca tra le più importanti aziende del settore edilizio del Nordest
italico.
Ad accendere la miccia dell’attuale Gruppo Severin è stato Pietro Severin, che
ancor giovanissimo, dopo alcuni anni di esperienza come muratore dipendente,
fondò una sua impresa: la “Pier.Gio Costruzioni”. Erano gli anni Sessanta,
caratterizzati da un’irripetibile crescita economica che trovò la sua massima
visibilità proprio nello straordinario sviluppo urbano. Soprattutto a Paese era una
corsa a farsi la casa nuova, in economia, cioè cercando di arrangiarsi per quanto
possibile, magari aiutandosi tra amici nei fine settimana e avvalendosi di
muratori occasionali o di piccole imprese che in quegli anni nascevano come
funghi. Una di queste fu appunto quella di Pietro Severin, la quale aveva una
caratteristica propria: pur con pochi e poveri mezzi: si distingueva per l’estrosità e
soprattutto per la qualità delle opere. Aveva insomma una marcia in più, un
vantaggio sulle imprese di allora che nel tempo si dimostrò incolmabile.
Alcuni anni più tardi l’azienda cambiò ragione sociale diventando “S.P.
Costruzioni”. Ma il vero balzo in avanti avvenne con l’ingresso dei figli, ancor
giovanissimi, nell’azienda del padre, dimostrando di possedere grinta e interesse
per questo mestiere non meno del loro genitore. I tre fratelli – Abramo,
Giambattista e Stefano – con la carica dei loro anni più verdi seppero nel tempo
imporre nuove idee fino ad imprimere uno straordinario sviluppo all’azienda,
dimostrando di avere capacità tecniche, fantasia, fiuto per gli affari e di saper
stare nel mercato edilizio non da semplici spettatori ma da protagonisti.
Facendo tesoro delle esperienze e degli insegnamenti del padre, hanno stretto tra
loro una solida collaborazione, visibile anche dalla ripartizione di compiti e
responsabilità che si sono attribuiti. Spirito di collaborazione che si affranca della
consapevolezza che soltanto con la reciproca stima e rispetto dei ruoli alla fine si
esce vincitori. Naturalmente il passaggio di conoscenze non è venuto solo per
trasmissione dal padre ai figli, ma anche in progressione successoria tra fratelli.
Così mentre Abramo e Giambattista seguono nei cantieri l’organizzazione dei
lavori, Stefano cura le relazioni commerciali con i fornitori e le ditte di
partnership.
Grazie all’intuito dei tre, la Severin è cresciuta fino a diventare un Gruppo di
aziende che operano in stretta sinergia. Oltre alla S.P. Costruzioni s.n.c., perno
principale della produzione edilizia è ora la Severin Costruzioni Generali s.r.l.,
nata nel 2001, che erige i fabbricati “al grezzo”, lasciando quindi alle consociate
“Libec Due” e “Sevico Costruzioni s.r.l. il compito di renderli ben usufruibili. Ogni
società del Gruppo ha la sua mission da portare a termine. Così ad esempio per
l’immobiliare Libec Due è quella di realizzare opere residenziali di pregio con
particolare attenzione ai dettagli ed alle finiture, garantendo standard di qualità
elevati e duraturi. La consorella Sevico Costruzioni invece è nata per operare
principalmente nella Pedemontana, realizzando edifici residenzali di notevole
appeal in quel particolare territorio.
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La perfetta simbiosi insita in queste aziende - ma non solo tra queste perché dalla
stretta collaborazione si genera anche un virtuoso indotto – ha fruttato prestigiosi
agglomerati residenziali, direzionali e commerciali che si distinguono per le
eccellenti finiture interne ed esterne, realizzati con materiali di pregio, curatissimi
nel design, che li rendono appetibili non solo per la bellezza estetica e per i
pregevoli materiali utilizzati, ma anche per il favorevole rapporto qualità-prezzo.
Naturalmente chi si avvicina a questa azienda è avvantaggiato dal fatto che può
acquistare direttamente dal costruttore, senza costi di intermediazione.
Figlia di questo modo sinergico di operare è anche la “Vittoria Investimenti”,
società nata recentemente in collaborazione con il gruppo Superbeton-Grigolin,
per la realizzazione di un villaggio di trecento unità immobiliari di tipo
residenziale e direzionale nel centro di Giavera del Montello, includente un
progetto di riqualificazione urbana e il rifacimento della piazza centrale del paese.
Caratteristica del Gruppo Severin, che si avvale complessivamente di oltre una
trentina di maestranze qualificate, è l’attenzione costante ai nuovi ritrovati della
tecnologia edilizia e può quindi vantare una notevole esperienza, collocandosi in
posizione verticistica. Fra le principali realizzazioni spiccano sicuramente quelle
di Treviso: il Parco Ducale, il Residence al Maglio, il Giorgia Residence, ma sono
soltanto alcune tra le più importanti e seducenti sparse ovunque nella provincia e
oltre.
Il Gruppo Severin, essendo un’azienda certificata ISO 9001:2000 e SOA categoria
OG 1, classifica VI , è accreditato anche per gare d’appalto pubbliche. Note alcune
recenti realizzazioni di grande impatto sociale, quali la Scuola dell’Infanzia “San
Giuseppe” di Paese, considerata non a torto la migliore scuola del Veneto della
categoria, e poi quelle di Silvelle di Trebaseleghe e di Porcellengo. A queste si deve
aggiungere l’ampliamento della Scuola Media “Claudio Casteller” di Paese, ma
l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Severin sta diffondendo il suo buon nome anche fuori dei confini provinciali
avendo realizzato imponenti opere anche in varie località della provincia di
Venezia, spingendosi fino in Sardegna, a Olbia, sulla Costa Smeralda dove sta
sorgendo un imponente quartiere turistico e residenziale.
La spinta di questa importante realtà produttiva è ancora ben lungi dall’esaurirsi,
si può anzi affermare che si trova ancora in piena evoluzione. Nonostante quasi
mezzo secolo di vita (2008) - ed è già questa è un’ottima garanzia - si tratta tutto
sommato di una società ancora giovane. Un’azienda che per il management e la
sua capacità di rigenerarsi costantemente è proiettata verso un futuro sempre più
luminoso e interessante. Mantiene, infatti, intatte tutte le sue potenzialità
potendosi avvalere di un team giovane e altamente specializzato, capace di
soddisfare le richieste della clientela più esigente.
La sede legale si trova in Via Trieste, 79 - 31038 Paese (Treviso). Quella
amministrativa in Via Roma, 64, tel. 0422/959084, fax 0422/454020. Per
informazioni: [email protected] - www.grupposeverin.it.
STAMPERIA NARDI S.R.L. – Screenprinting on textile since 1967
L’Azienda, che si trova in Via Friuli 10 a Padernello (zona artigianale e
industriale), ha alle spalle oltre quarant’anni di attività e si caratterizza per la
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stampa serigrafica su tessuto oltre che per la produzione di articoli promozionali
personalizzati.
Nata nel 1967 da un’idea di Adalgerico Montana, già titolare della Tintoria
Lunazzi, ha trovato il suo input dapprima in Clara Nardi che iniziò a darle corpo
con alcune ragazze al seguito e poi con il fratello Giancarlo che l’ha fatta crescere
fino a farla diventare una ricercata industria.
Ad accendere la miccia era stata una certa clientela della Lunazzi che esprimeva
il desiderio di personalizzare i propri prodotti con decorazioni esclusive.
La prima sede si trovava in Via Postumia a Paese, nell’immobile colonico a tre
piani adiacente Villa Onesti, che ospita ora “Il Granaio”, vendita di mobili antichi.
Fu subito un successo anche perché Giancarlo Nardi, specializzatosi presso la
Bayer di Milano, pur operando artigianalmente poteva offrire lavorazioni di ottima
qualità e fantasia, rivelandosi un apripista del settore, destando l’interesse delle
migliori industrie del tessile e abbigliamento. Benetton, Replay, Diesel, Golden
Lady, Altana, Marzotto, Monti, ma anche Valentino, Versace, C. Dior, Moschino,
Krizia, Ferré sono soltanto alcune tra le marche prestigiose che riuscì ad attrarre.
Nel 1972 la Stamperia fu trasferita in una sede più ampia, in Via Piave, nel
capannone di una falegnameria dismessa, dove l’attività andava con il vento in
poppa e dove nel 1974 furono introdotte le prime stampanti automatiche, in parte
progettate e costruite dalla stessa azienda. Fu perfino adattata una vecchia
rotativa, poi arrivarono attrezzature sempre più moderne e sofisticate, le famose
“giostre” con oltre una decina di stazioni di stampa.
Non conosceva crisi la Stamperia Nardi che nel frattempo si era fatta un buon
nome e conquistata sul campo la stima delle migliori realtà industriali del settore
tessile, che si tradusse in collaborazioni e sinergie. Ma le nuove macchine
esigevano spazi sempre più grandi anche perché il lavoro aumentava
esponenzialmente, a tal punto che nel 1987 la ditta dovette trasferirsi nell’attuale
ampia sede di Padernello, in un’area coperta di duemila mq. dove finalmente potè
sviluppare tutte le sue potenzialità, raggiungendo una cinquantina di maestranze
altamente qualificate.
Tutto il ciclo produttivo si svolge in seno all’azienda, dalla progettazione grafica
allo sviluppo e stampa delle pellicole, dalla preparazione della pasta sensibile
all’incisione dei telai, dalla fornitura dei prototipi alla stampa finale.
In anni recenti, dato il crescente sviluppo, la Stamperia Nardi aveva avviato una
succursale a Vukovar (Croazia), fu un’esperienza che non durò a lungo per la
mancanza di personale specializzato. Si è in sostanza constatato che non è
sufficiente assumere personale per fare qualità e produzione, ma occorre una
formazione che si acquisisce con una lunga esperienza, valori non assimilabili in
tempi brevi. Si preferì pertanto rientrare e aprire un’ulteriore sede in Via Liguria,
nella stessa zona industriale di Padernello, dove si producono articoli
d’abbigliamento promozionali e commerciali: t-shirt, pantaloncini, cappellini, ecc.,
personalizzati con stampa serigrafica.
Una caratteristica della Stamperia Nardi è l’uso di coloranti con pigmenti
all’acqua, privi di tossicità e rispettosi quindi della salute di chi vi lavora e
dell’ambiente, ma soprattutto del consumatore finale, trattandosi spesso di
asciugamani o di maglieria intima e lingerie fornite di griffe e decorazioni
stampate, che poi vengono a contatto con la pelle. Tutto ciò non è frutto del caso,
ma la positiva conseguenza della ricerca interna e dei test effettuati già una
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decina d’anni fa in collaborazione con la Bayer, ponendo così la ditta in posizione
verticistica nella sua categoria.
Riguardo poi al rispetto dell’ambiente, la Stamperia di Giancarlo Nardi è fornita di
depuratore interno per la filtrazione dell’acqua, che viene pertanto riutilizzata,
mentre i fanghi, peraltro assai modesti, vengono smaltiti da ditte specializzate e
certificate.
Riguardo alla qualità dell’aria c’è da dire che basta entrare nello stabilimento per
rendersi conto dell’assenza di odori piccanti e anche questo è sicuramente un
punto a favore della salute degli operatori. Attualmente sono 35 le maestranze di
questa piccola industria. Erano molte di più, ma si sono ridotte con l’evoluzione
tecnologica, pur aumentando la produzione.
Guardando al futuro s’intravvede l’avanzare di una nuova generazione dei Nardi,
e potrebbe essere questa un domani a prendere in mano la conduzione di
un’eccellente azienda, che crea ricchezza nel territorio e fa onore a Paese.
(www.nardist.it)
LE AZIENDE SERVIZI DI PAESE
LIDIA PIETROBON ACCONCIATURE
Aveva soltanto 17 anni Lidia Pietrobon ed era davvero un’avvenente ragazza con
tanta voglia di emergere quando pensò di mettersi in proprio dopo un’esperienza
di cinque anni come apprendista parrucchiera presso la bottega di una signora di
Paese, e in altre realtà. Furono cinque anni di dinamismo per la voglia di
emergere, durante i quali poté sviluppare a fondo il suo talento: sembrava non
fosse nata che per questo mestiere. Con queste premesse non poteva che ottenere
subito un ottimo successo perché, a quell’età, pur minorenne, era già un’ottima
professionista, tanto che non ci mise molto ad accreditarsi un’affezionata clientela
che, a distanza di oltre un trentennio, ancora mantiene in gran parte.
Il primo salone, anzi negozio, aperto grazie all’assunzione di responsabilità di sua
madre, Lidia lo aprì in Sovernigo, nel caseggiato che ospitava il Bar-Trattoria dei
Barbisan (“Binéti”), in Via Trieste, poco oltre l’odierna Casa Alloggio. Si trattava di
un locale talmente modesto che le clienti in attesa, non trovando posto per fare
salotto, talvolta si spostavano nell’esercizio pubblico accanto.
Cinque anni dopo, giacché gli affari si erano notevolmente incrementati, spostò
l’attività in Via Cesare Battisti, in sostanza di fronte al Cinema Manzoni, sede che
mantenne fino al 1994, quando, data la carenza di parcheggi, decise di affittare
un locale a fianco del Cinema-Teatro “Manzoni”, dove tuttora si trova.
Ma la parrucchiera Lidia, nonostante il successo, non si è mai adagiata sugli
allori, consapevole che per consolidare l’affermazione ottenuta occorre mantenersi
aggiornati e scoprire sempre nuove tecniche partecipando a corsi, concorsi e
confrontandosi con i migliori stilisti. Ed è ciò che ha sempre fatto fin da
giovanissima. Già a quindici anni, con le mance messe da parte, si finanziò un
corso di taglio a Londra, ma tuttora, a distanza di qualche decennio prende
ancora il volo verso la capitale inglese per aggiornamenti e approfondimenti. Lo
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stesso fanno le sue undici collaboratrici, che vengono inviate a specializzarsi,
oltre che nel taglio e piega, anche nel colore, trucco e acconciature alla moda.
Ci sono stati tempi in cui Lidia era invitata come acconciatrice in sfilate di moda
a Milano, Roma e in altre località prestigiose. Spesso andava per insegnamento e
dimostrazioni in varie parti d’Italia, nelle Venezie in particolare, imprimendo alla
sua attività quella rinomanza e quel tocco di classe che le è universalmente
riconosciuto con l’assegnazione di innumerevoli premi e riconoscimenti. Basti
ricordare che già nel 1978, ai primordi della carriera, era arrivata undicesima al
Campionato Europeo di Vienna per acconciatori, e l’anno seguente terza in quello
Italiano svoltosi a Verona.
Questa la sua “gavetta”, ma furono esperienze che abbandonò dopo il
matrimonio, preferendo piuttosto, d’accordo con il marito, concentrarsi
esclusivamente sul suo sempre più frequentato salone, trovando però il tempo di
mettere al mondo due figli e realizzarsi quindi anche come mamma.
Attualmente il salone di Paese, in Via Cesare Battisti 17, è aperto ad ambo i sessi,
avvalendosi di ben ventidue postazioni di lavoro. Pratica l’orario giornaliero
continuato grazie alle undici signorine che si alternano nei vari turni. Ciò
permette di agevolare ogni tipo di clientela divenuta sempre più sofisticata ed
esigente. Il negozio, di tipo artigianale, per le specializzazioni acquisite e i prodotti
impiegati, si colloca nella fascia d’alta classe, tuttavia vengono praticate
agevolazioni particolari per nonne e studenti. È il valore aggiunto di questa
prestigiosa realtà produttiva paesana: affari sì, ma con un cuore.
PAESE SERVIZI s.r.l.
“Paese Servizi Srl” è la società costituita nel 2006 dall’Amministrazione
Comunale, di cui è unico proprietario, come versatile strumento per “la gestione
delle attività e delle strutture rivolte allo sviluppo sociale e culturale del Comune
di Paese”, al fine di “favorire lo sviluppo economico-sociale culturale” con la
possibilità di svolgere, nel rispetto delle leggi, “tutte le operazioni commerciali,
mobiliari, immobiliari e finanziarie necessarie e vantaggiose per il conseguimento
dell’oggetto sociale”. Lo scopo è ottimizzare al massimo le potenzialità tipiche di
un’impresa non pubblica, ovvero la maggior capacità di azione, di assumere
personale, di avviare e promuovere nuovi servizi e attività utili a migliorare il
benessere dei cittadini. È stata avviata con un capitale sociale di € 100.000,00
interamente costituito dal Comune di Paese.
La società è nata da una necessità ed è diventata un’opportunità, stante l’obbligo
per tutti gli Enti Locali di contenere le spese nel rispetto dei vincoli imposti dalle
Leggi Finanziarie per il rispetto del Patto di stabilità.
La nuova azienda è guidata da un Consiglio di Amministrazione nominato dal
Sindaco e si avvale di un presidente (Vito Guccione) e due consiglieri, uno facente
capo alla maggioranza, Delia Severin, e uno alle minoranze, Giorgio Carraro. Per
dovere di cronaca v’è da dire che inizialmente i membri erano quattro, con
Sabrina Bianco, poi ridimensionati per legge.
Il primo servizio di cui è stata affidata la gestione alla Paese Servizi s.r.l. è stata,
dall’ottobre 2006, proprio la Casa Alloggio con annesso Centro Diurno per
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anziani, alla quale è seguita la nuova Farmacia Comunale, inaugurata il 9 giugno
2007.
Il primo passo della nuova azienda è stato quello di assicurare la continuità
contrattuale in atto a tutti gli operatori già dipendenti del Comune e passati alla
Società, con l’obiettivo di provvedere successivamente ad internalizzare anche
altro personale dell’area assistenziale, operante nella struttura in qualità di soci
di cooperative aggiudicatarie di contratti di integrazione dei servizi. Obiettivo che
si è concretizzato già a fine 2007 mediante l’assunzione di due infermieri
professionali e due Operatori Socio Sanitari.
Con l’avvio della Farmacia Comunale in via Della Resistenza sono stati assunti
anche un farmacista Direttore e due farmacisti collaboratori.
La Casa Alloggio
Questa ricercata struttura, sorta in parte recuperando il vecchio cascinale dei
“Biscari”, e in parte di nuova costruzione, fu inaugurata il 23 Gennaio 1993 dal
Ministro per gli Affari Sociali Adriano Bompiani. Fu pensata per ospitare
soprattutto persone autosufficienti, ma poi, per evidenti necessità, ne fu
modificata la mission in favore di persone non autosufficienti. Si trattava già
allora di una delle più moderne strutture pensate per una dignitosa quiescenza
dei 44 anziani ultrasessantacinquenni ospitati nei ventidue minialloggi, ben
arredati e concepiti per favorire il confort delle pareti domestiche, per una vita
serena agevolata anche dall’accogliente e animato centro diurno, inserita
nell’ambiente naturale del ridente parco di Villa Panizza, nel cui fabbricato si
trovavano gli uffici del Distretto Socio-sanitario dell’Ulss.
La cerimonia era stata preceduta da un’interessante tavola rotonda, indetta nel
salone del primo piano della Casa Alloggio, avente per tema: “Quale struttura e
quali servizi per gli anziani”. Intervennero, oltre al ministro, il sindaco di Paese
Giuseppe Mardegan, il sociologo Vittorio Filippi, il referente dell’Ulls 10 Giorgio
Munari, il presidente di “Casa Marani” di Villorba Romano Perazzetta, e Rina Biz,
vicepresidente della Federazione Provinciale Cooperative.
“In strutture come questa – aveva detto il ministro Bompiani – occorre tenere
conto dei sentimenti e dei desideri della persona, in una collaborazione articolata
fra pubblico e privato”. Ed è l’attenzione che la direzione della Casa Alloggio ha
sempre avuto. Una vasta rete di professionalità, ma anche la collaborazione del
volontariato hanno dato un volto umano a questa casa, diventata una delle opere
di cui compiacersi e che fanno onore a Paese. A toccare la centralità
dell’argomento fu poi il sociologo Filippi, rilevando come tutti gli indici
demografici pendessero verso l’invecchiamento della popolazione, dato che l’Italia
aveva già l’indice di natalità più basso a livello europeo e che quindi occorreva
prepararsi ad erigere tante altre di queste opere. Opere da riempire con “amore,
carità, solidarietà, condivisione, che non sono merci da barattare con il profitto,
ma valori da maturare e consolidare, soprattutto da donare gratuitamente”,
diceva quindi Rina Biz ponendo l’accento sul dilagante disservizio statale.
I primi trenta anziani inquilini entrarono nella Casa Alloggio il primo di ottobre
dello stesso anno. Tutte le domande pervenute dai residenti furono accolte. Ma se
la struttura era già funzionante occorreva tuttavia riempirla di contenuti umani.
Si aprivano nuovi orizzonti e nuovi campi di impegno sociale per le associazioni di
volontariato del territorio, in primis per il Gruppo Sociale Donne e per il Circolo
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Ricreativo Anziani che avevano già la loro sede nell’ex barchessa di Villa Panizza,
a pochi passi dalla residenza.
Attualmente (anno 2008) la Casa per anziani di Paese ha 53 ospiti fissi, dei quali
48 non autosufficienti. Una quindicina sono invece quelli che frequentano il
Centro diurno, ossia che arrivano il mattino e tornano alle loro abitazioni la sera.
Il personale occupato è quantitativamente, ma soprattutto qualitativamente
secondo i migliori standard organizzativi del settore: 24 operatori socio sanitari, di
cui 12 di cooperative esterne; 8 infermiere, di cui 3 esterne. L’organico dell’ufficio
amministrativo è di tre addetti, compreso il direttore Alberto De Lazzari.
A questi si sommano gli addetti alle pulizie, alla ristorazione, una guardarobiera.
L’organico si avvale anche di altre figure importanti quali: un educatoreanimatore, una logopedista, la psicologa, un’assistente sociale e un fisioterapista,
oltre ad un medico di medicina generale che opera in convenzione con l’Azienda
ULSS n. 9 e del medico coordinatore referente per tutta l’attività sanitaria nei
confronti della stessa ULSS. Da aggiungere che dalla struttura partono anche i
pasti confezionati per una dozzina di persone del territorio, che vengono
consegnati a domicilio in appositi contenitori termici.
Il volontariato locale è una risorsa di supporto importante, si potrebbe dire
indispensabile. Basti pensare ai servizi svolti dagli obiettori di coscienza fin dal
suo nascere, ma anche adesso dall’Associazione Volontari San Martino, che
svolge servizio di trasporto e accompagnamento, di collaborazione nelle attività di
animazione, di sorveglianza e di aiuto per particolari situazioni ed eventi. Sono
presenze estremamente preziose, utili a far mantenere efficienti le funzioni vitali
degli anziani ospiti.
Ma da sole queste non basterebbero comunque senza il coinvolgimento
relazionale ed affettivo dei familiari. In funzione di supporto è costituito anche un
Comitato consultivo, composto da un rappresentante dei familiari degli ospiti
della Casa Alloggio e da un rappresentante dei familiari degli utenti del Centro
Diurno, da un rappresentante delle Organizzazioni Sindacali dei pensionati,
dall’assessore ai Servizi Sociali, da un rappresentante dei gruppi anziani esistenti
in Comune, da un membro della Commissione Comunale per le Problematiche
Sociali, da un rappresentante delle associazioni di Volontariato che collaborano
nei servizi erogati dalla struttura e dal Direttore della struttura.
La Casa Alloggio, la cui lista di richieste è piuttosto lunga, nel 2008 è in corso di
ampliamento per 22 nuovi posti letto, nuovo centro diurno e altri locali logistici,
ma tutti gli spazi interni verranno riadattati in funzione di un’utenza non
autosufficiente, destinata ad aumentare progressivamente. Il tutto secondo
quanto previsto dalla legge regionale n. 22/2002, che regola la materia.
Tel: 0422 451118, fax 0422 454154, [email protected]
La Farmacia Comunale
Come accennato, in carico alla Paese Servizi è anche la nuova Farmacia
Comunale, aperta in Via della Resistenza 10, nella rotonda del Centro
Commerciale di Paese.
Ad imporre la nuova presenza è stata la straordinaria crescita demografica
registrata negli ultimi anni a Paese. La Farmacia garantisce un vasto
assortimento di prodotti parafarmaceutici e specialità medicinali, disposti in
scaffalature e spazi di facile consultazione; è fornita di attrezzature per una
141
gestione informatizzata per le procedure degli ordini, le consegne, il magazzino e
le vendite.
La cronaca dell’inaugurazione si legge nel settimanale diocesano “La Vita del
Popolo” di domenica 24 giugno 2007, che titolava: “Inaugurata la nuova farmacia
comunale - Un servizio ai cittadini”. Seguiva il servizio a firma dell’autore di
questo libro, dal quale si evincono le finalità di questa nuova struttura impostata
come stretto servizio sociale:
“Sabato mattina 9 giugno scorso, a Paese, è stata inaugurata ufficialmente in Via
della Resistenza (Centro Commerciale), la prima farmacia comunale. Va ad
aggiungersi alla “Burlini”, operante da decenni nel capoluogo comunale, prima in
Via Roma e poi in Piazza Andreatti, che da sola non poteva più assicurare un
servizio adeguato al celere aumento demografico degli ultimi anni. Se ne parlava da
tempo, ma a prendere l’iniziativa è stata la nuova società Paese Servizi, che fa capo
al Comune stesso, la quale in pochi mesi le ha dato concretezza.
“Non sarà solo un negozio di vendita di medicinali e affini – ha puntualizzato il
Sindaco Valerio Mardegan – ma è stata pensata soprattutto come un servizio ai
cittadini”. Servizio che si avvale di personale specializzato, guidato dal dott. Alberto
Caratti, un veterano del settore che conosce bene la realtà locale, supportato da
due giovani laureate, le quali sono in grado di offrire assistenza e consigli agli
utenti. La farmacia si configura come struttura d’avanguardia, essendo attrezzata
di un moderno laboratorio per alcuni tipi di analisi del sangue, per test
epidemiologici e preparazione di sostanze farmacologiche.
Con i proventi, ha ribadito il primo cittadino, l’Amministrazione intende promuovere
nuovi servizi in favore delle persone, alcuni sono già allo studio e presto la
cittadinanza ne sarà messa a conoscenza.
Il taglio del nastro è avvenuto a cura del Sindaco stesso dopo la benedizione da
parte del parroco di Paese don Giuseppe Tosin. Erano presenti alcune autorità
locali, tra le quali il presidente della società Paese Servizi, Vito Guccione, il
comandante della locale stazione dei Carabinieri, il direttore della casa Alloggio,
oltre ad alcuni assessori e consiglieri comunali e ai Volontari San Martino.” (foto)
La Farmacia Comunale è un centro di servizi integrato nel sistema sanitario
nazionale, proponendo attività innovative con standard di qualità. Si avvale di tre
giovani farmacisti, al servizio dei cittadini per la distribuzione delle specialità
medicinali, parafarmaci, per dare informazione e consulenza sul corretto uso dei
farmaci, per test di autoanalisi. Si propone di offrire una gamma qualificata di
prodotti officinali, galenici, erboristici, omeopatici, fitoterapici, cosmesi, presidi
medico-chirurgici, articoli sanitari, alimenti per l'infanzia, apparecchi medicali ed
elettromedicali.
La farmacia si avvale inoltre di un locale interno adeguatamente munito di
apparecchiature certificate per l'autoanalisi, dove è possibile effettuare test per lo
screening della pelle e dei principali valori del sangue in maniera rapida,
funzionale e sicura, consentendo risultati precisi e affidabili, visualizzati poi in un
apposito scontrino. Si tratta di un servizio che consente di conoscere
tempestivamente la misura del proprio benessere, con una panoramica completa
delle condizioni di salute, indispensabile nell'ambito della medicina generale,
dello sport, della dietologia e in tanti altri. Tel. 0422 451565, Fax 0422 458942,
[email protected].
142
STUDIO FISIOTERAPICO-KINESIOLOGICO AGOSTINI cav.
GIUSEPPE & FIGLI
Negli attuali anni del benessere la salute e la cura del corpo sono percepite come
un’assoluta peculiarità, al pari della salvaguardia dell’ambiente, una necessità
particolarmente sentita da chi pratica una vita sedentaria. Si assiste perciò ad un
proliferare di palestre, piscine, centri benessere e fitness di ogni tipo, che spesso
promettono risultati miracolosi. Ma anche in questo campo occorre essere oculati
giacché c’è centro e centro e modo e modo di operare. La cura fisica del proprio
corpo non dovrebbe essere, infatti, oggetto di improvvisazione o di manipolazioni
da spiaggia, ma al contrario eseguita su prescrizione medica.
A Paese primeggia in questo campo lo Studio Fisioterapico-Kinesiologico Agostini,
forte di uno staff di operatori altamente preparati. Si tratta in sostanza di padre e
figli, fisioterapisti a servizio della salute, in particolare nel trattamento di
patologie legate ai disturbi della motricità e nella riabilitazione. Grazie a queste
risorse, l’azienda familiare è in grado all’occorrenza di operare in team o in
collaborazione con altre figure professionali.
Lo Studio Agostini cav. Giuseppe & Figli ha origini non molto lontane, trattandosi
in sostanza di sviluppo di “nuovi mestieri”. Nasce dall’intuito e dalla passione di
due coniugi, già operatori infermieristici ospedalieri, Giuseppe Agostini (1946) e la
moglie Paola Curtolo (1949), che non si adagiarono sul quieto vivere che offriva
loro il sicuro posto di lavoro pubblico, ma vollero andare oltre. Fu così che
Giuseppe, pur lavorando, frequentò i corsi di fisioterapia all’Università di Padova
diplomandosi fisioterapista e già cinque anni dopo la sua assunzione all’Ospedale
Regionale di Treviso ottenne la qualifica di ruolo attraverso un concorso interno.
Con questa funzione fece l’operatore ospedaliero per altri vent’anni. Nel 1991
decise che era arrivato il momento di sganciarsi dal lavoro subalterno per far
valere in proprio la sua specializzazione, mettendosi quindi ad esercitare a
domicilio la libera professione di fisioterapista.
Nel 1994, ottenuta l’agibilità dello studio, con annessa palestra, costruito presso
l’abitazione di Paese, aprì ufficialmente l’attività in Via Giacomo Leopardi, 11.
Intanto i figli crescevano e si laureavano sulla scia dei successi del padre. Non
che questi se ne stesse adagiato sugli allori di conoscenze acquisite a suo tempo,
perché in questo campo, come in quello medico, le scoperte si susseguono e
occorre stare sempre aggiornati, trattandosi di operare per la salute. Giuseppe
Agostini, infatti, continuò a studiare conseguendo sempre nuove conoscenze e
specializzazioni, partecipando anche a convegni e meeting non solo in Italia, ma
anche all’estero, e perfino all’università di Pechino dove, assieme al figlio Fabio,
ha potuto acquisire particolari tecniche di massaggio e riabilitazione
complementari alla medicina occidentale.
Il primo dei figli a diplomarsi all’Isef (Istituto Superiore di Educazione Fisica) e poi
a laurearsi in fisioterapia fu appunto il primogenito Fabio, classe 1974, seguito da
Flavia (1976) pure diplomatasi all’Isef. I due, sotto gli occhi vigili del padre,
emersero presto come ottimi collaboratori dello studio familiare, ma nel 2005
Flavia, sposandosi con un americano, prese il volo per Salt Lake City (U.S.A.),
dove vive tuttora con il marito, facendosi apprezzare anche lì per il suo lavoro. Il
suo posto nell’azienda casalinga fu presto occupato dalla sorella Martina (1982),
143
la più giovane degli Agostini, che ha conseguito il diploma di laurea in Scienze
Motorie nel luglio 2007.
Grazie a questi specialisti lo Studio Agostini è in grado di offrire un servizio
multidisciplinare, svolgendo una vasta gamma di metodi e terapie per il
ristabilimento fisico della persona. Se ne riportano alcune come esempio:
rieducazione neuromotoria, posturale globale e respiratoria, terapia manuale
(osteopatia, pompages) e normalizzazione articolare, ginnastica medica correttiva
posturale, pilates, massoterapia tradizionale, orientale con digitopressione,
massaggi Shiatsu, mobilitazione energetica, auricoloterapia, tecniche di
bendaggio a contenzione adesiva, terapia fisica ed elettroterapia (radar, laser,
ultrasuoni, magnetoterapia, elettrostimolazioni), elettroterapia antalgica (tens,
diadinamiche, inteferenziali, ionoforesi), horizontal therapy, neurostimolazione
interattiva interx, attività su pedana vibrante, e tante altre.
Sono parecchie decine le persone di ambo i sessi che frequentano
quotidianamente il centro, soprattutto per ginnastica medica di gruppo, data la
versatilità degli orari giornalieri e della disponibilità di due grandi palestre
attrezzate. Ma a richiesta, oltre alle cure fisiche suddette, si tengono anche lezioni
individuali o per particolari categorie, quali anziani, ragazzi e bambini con
coinvolgimenti didattici e in extra sede.
Giuseppe Agostini, oltre che vantare una lunga esperienza di amministratore
comunale, è stato spesso coinvolto da professionista nella riabilitazione e messa
in forma di atleti e squadre di cui il panorama sportivo di Paese è particolarmente
prolifico. Pure il figlio Fabio ne segue le orme.
Lo Studio Agostini, grazie alle molteplici specializzazioni ed esperienze acquisite,
ha la caratteristica fondamentale di svolgere un lavoro in maniera efficiente,
migliorando nelle persone che lo frequentano la funzionalità degli organi interni e
la percezione di sé stessi in un salutare equilibrio psicofisico.
Epilogo
Chiudo questa mia esperienza dopo aver visitato oltre cinquanta fra le più
importanti aziende del terriorio comunale di Paese, non posso pertanto esimermi
dal trarre alcune considerazioni. Una di queste, e mi sembra la più significativa
dal mio punto di vista, è che il lavoro necessita sì di formazione, di esperienza e
conoscenza ma anche di una certa cultura per guardare oltre il tornaconto
personale.
Lavoro e cultura devono per forza di cose andare a braccetto tra loro. Produrre
oggi senza pensare al domani, alle generazioni future, vorrebbe dire che il mondo
ha gli anni contati. Lo sviluppo è veramente tale quando tiene conto del diritto dei
cittadini a vivere in un ambiente compatibile. Lavorare e fare soldi senza tener
conto del bene comune non è giustificabile da nessun punto di vista. Le risorse
non sono inesauribili, come non si può pensare di continuare a produrre con i
vecchi sistemi. Il Trattato di Kyoto non è un capriccio, ma un dovere. Ci si deve
criticamente chiedere se ciò che facciamo oggi sia conciliabile con il domani che è
dietro l’angolo. Cultura e formazione devono perciò precedere gli interessi
economici.
144
In questo percorso attraverso l’Impresa Paese ho conosciuto imprenditori con
orientamenti diversi, ma quelli che mi hanno fatto pensare di più e ai quali sono
grato per il messaggio trasmessomi, sono coloro che ritengo colti e saggi,
consapevoli che il denaro non è, e non deve essere, “tutto”. Imprenditori che
hanno capito che la salute pubblica è fondamentale; che le risorse non sono
riproducibili; che c’è un limite da non valicare, che questo non può essere
imposto
dall’alto
ma
deve
venire
dalla
propria
sensibilità
ed
autoregolamentazione.
Ne ho conosciuto altri che si sentono vittime del sistema, salvo poi scoprire che
non sono stati soddisfatti in richieste che andavano contro ogni logica, che si
sentono perseguitati perché viene loro negata la possibilità di ampliarsi in zone
inconciliabili con l’ambiente e le infrastrutture circostanti. Gente che
pretenderebbe di avere le mani libere con la giustificazione che “creano
ricchezza”, anche quando si tratta di andare contro l’interesse comune. Questa
ottusità non onora il mondo imprenditoriale e dimostra una mancanza di
responsabilità e cultura della condivisione. Chi ha responsabilità pubbliche è
giusto che faccia il proprio dovere e non ceda ai ricatti.
Ho conosciuto aziende – e sono la maggioranza - innovative e competitive guidate
da imprenditori ai quali si teve fare tanto di cappello perché hanno saputo
realizzarsi con questa consapevolezza, che il proprio interesse va rapportato ad
altri interessi, conquistandosi una stima che va oltre il lavoro che svolgono. Sono
questi che creano vera ricchezza e fanno onore a se stessi e a Paese. A loro deve
andare la riconoscenza della società civile.
Bibliografia
Mariano Berti: “Famiglie d’altri tempi” – vol. I, II, III
Lorenzo Morao, Giovanni Bacchion: “Civiltà e Memorie di una terra di Campagna”
Ottorino Sottana: “C’era una volta il contadino” – De Bastiani Editore 1986
Fondazione Corazzin: “Il sindacalismo agricolo veneto nel primo dopoguerra e
l’opera di Giuseppe Corazzin” - Cassamarca 1985
Emanuele Bellò e Gianni Anselmi: “Mistieri de Marca” – 1997
Comune di Paese: “Paese, ambiente, storia, aspetti di vita quotidiana” - 1989
Comuni del Veneto: “Paese” – dir. Sante Rossetto 2004
Pro Loco Postioma: “Postioma, itinerari nella memoria storica” - 1997
Canova Editrice: “Cento Anni di Manifesti” - 1996
Canova Editrice: “I manifesti della Marca operosa” – 1996
Canova Editrice: “Lumi di progresso” – 1996
Soroptimist Club e Ass. Artigiani Mara Trevigiana: “L’impresa artigiana a titolarità
femminile nella provincia di Treviso” - 1984
S. Tramontin: “Le Leghe Bianche e l’opera di G. Corazzin a Treviso: 1910-25” –
1982
G. Sabbatucci, V. Vidotto: “Il mondo contemporaneo – dal 1848 ad oggi”. Laterza
John Steinbeck: “Furore” – 1939. RCS Libri S.p.A. Milano 1940-2007
Collana “Strutture Ambientali” - Centro Internazionale Ricerche sulle Strutture
Ambientali “Pio Manzù”, Verucchio (Rimini)
L. Martinelli, L. Pinzi: “Dove ieri si fabbricavano bombe” – 2004
145
M. Ogniben, M. Piovesan, B. Vettorel: “In Cina non serve lavare piatti” – Sinnos
Editrice 2006
Beppe Severgnini: “La testa degli Italiani” – RCS Libri S.p.A. Milano 2005
Libro: “Guida di Treviso e Provincia” – 1925
Settimanale diocesano “La Vita del Popolo”
Quotidiano di Treviso “Il Gazzettino”
Ringraziamenti
Rino Franceschi
Giuseppe Tassetto
Pietro e Silvana Polon
Policarpo Montini
Franco Pozzebon
Giovanni Billio
Lino Bordignon
Luigina Vettorello-Orsella
Abramo Bellio
Giuliano Callegari
Renato Callegari
Pro Loco Comunale di Paese
Gioachino Agnoletto
146
SOMMARIO
SALUTO DEL SINDACO................................................................................ 1
PREFAZIONE DI …………………………………… ................................................ 1
PROLOGO ................................................................................................... 1
UN COLPO DI SCENA................................................................................... 4
LA CIVILTÀ CONTADINA ............................................................................. 4
IL LAVORO AGRESTE NEL COMUNE DI PAESE ............................................ 8
LA COOPERATIVA AGRICOLA COMUNALE.................................................................................................... 12
L’AZIENDA AGRICOLA TONON............................................................................................................................ 17
IL COMMERCIO .........................................................................................18
I NEGOZI DI ALIMENTARI..................................................................................................................................... 23
I NEGOZI COMMERCIALI....................................................................................................................................... 25
OSTERIE E LOCANDE ............................................................................................................................................. 27
La Trattoria Parisotto di Postioma ................................................................................................................... 30
L’ARTIGIANATO E LE ATTIVITÀ PROFESSIONALI ......................................31
Paese: le attività negli anni Venti ..................................................................................................................... 37
Porcellengo: le attività nella prima metà del XX secolo ......................................................................... 40
Un artigiano d’altri tempi: Guerrino Callegari............................................................................................. 41
DONNE E IMPRESE ....................................................................................46
IMPRESE E AMBIENTE...............................................................................47
L’INDUSTRIA .............................................................................................48
LA “MARNATI & LARIZZA” (SIMMEL) .............................................................................................................. 50
LE INDUSTRIE MONTINI........................................................................................................................................ 51
IL PASTIFICIO VETTORELLO DI PORCELLENGO ....................................................................................... 56
I SERVIZI...................................................................................................58
147
I NUOVI SERVIZI ....................................................................................................................................................... 59
LE AZIENDE COMMERCIALI DI PAESE .......................................................60
ARTURO ROSSETTO ARREDAMENTI............................................................................................................... 60
BACCHION MARIA .................................................................................................................................................... 63
CENTRO COMMERCIALE “LA CASTELLANA” .............................................................................................. 64
CERAMICHE “IRIS” di Giordano Nasato......................................................................................................... 66
CITTÁ INFORMATICA TREVISO s.n.c.............................................................................................................. 68
COLUSSO FERRAMENTA DI PAESE.................................................................................................................. 70
CONSORZIO AGRARIO DI TREVISO E BELLUNO ........................................................................................ 71
COOPERATIVA AGRICOLA MONTELLO Soc. Coop. r.l. ............................................................................ 73
FOTO ALCIDE BARBISAN ...................................................................................................................................... 74
GAIVI s.r.l. ................................................................................................................................................................... 76
LA STORIA s.r.l. – Club degli Spaghetti .......................................................................................................... 78
MACELLERIA “POSTUMIA” di Martini Mario e Rino & C. s.a.s............................................................ 80
MACELLERIA MODESTO ....................................................................................................................................... 80
MINELLO ANGELO s.a.s. di Minello Sergio, Minello Antonio & C....................................................... 83
OROLOGERIA-OREFICERIA VISENTIN............................................................................................................ 84
P SERVICE s.r.l. di Postioma............................................................................................................................... 88
PAVAN ANGELO & FIGLI s.r.l. ............................................................................................................................. 89
TRADIZIONE MODA s.r.l........................................................................................................................................ 91
LE AZIENDE ARTIGIANALI DI PAESE .........................................................92
ARTE ORGANARIA di Alessandro Girotto ...................................................................................................... 92
BIONDO MARIO s.n.c. di Mario Biondo & C.................................................................................................. 96
BIONDO PIETRO dei F.lli Biondo s.n.c. .......................................................................................................... 97
CASA ORGANARIA SAVERIO GIROTTO .......................................................................................................... 98
COMET BILIBIO ....................................................................................................................................................... 100
FOTO DE MARTIN di De Martin Giuliano..................................................................................................... 101
G.P. di GIAMPAOLO POZZEBON ....................................................................................................................... 103
LATTONERIE PIVA s.r.l........................................................................................................................................ 104
148
MESTRINER & PICCOLI s.n.c............................................................................................................................ 106
MOBILI MARCONATO SILVANO........................................................................................................................ 108
PAESANA SERRAMENTI di De Marchi & Murer s.n.c. ............................................................................ 109
POZZEBON-MINOTTI & C. s.n.c........................................................................................................................ 110
S.I.L.L.C. s.n.c.......................................................................................................................................................... 112
TOP GRES di Gino Dalle Crode & Figli.......................................................................................................... 113
TREVIGIANA SCAVI di Porcellengo................................................................................................................. 115
VENDRAMIN CORRADO – FERRO D’ELITE ................................................................................................. 117
LE AZIENDE INDUSTRIALI DI PAESE........................................................118
ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO S.p.A................................................................................................ 118
ARREDAMENTI MARIO MORETTI & FIGLI s.r.l. ....................................................................................... 122
BASSO Cav. ANGELO SpA COSTRUZIONI GENERALI.............................................................................. 123
BIASUZZI GROUP .................................................................................................................................................... 125
COSTRUZIONI BONAZZA di Bonazza Antonio & C. s.n.c. ..................................................................... 127
COSTRUZIONI EDILI GIROTTO......................................................................................................................... 128
GENERAL FILTER ITALIA S.p.A. ...................................................................................................................... 130
LUNAZZI TINTORIA INDUSTRIALE S.p.A. .................................................................................................... 132
MASTELLA s.r.l........................................................................................................................................................ 134
SEVERIN COSTRUZIONI GENERALI s.r.l...................................................................................................... 135
STAMPERIA NARDI S.R.L. – Screenprinting on textile since 1967.................................................. 136
LE AZIENDE SERVIZI DI PAESE ...............................................................138
LIDIA PIETROBON ACCONCIATURE............................................................................................................... 138
PAESE SERVIZI s.r.l. ............................................................................................................................................. 139
STUDIO FISIOTERAPICO-KINESIOLOGICO AGOSTINI cav. GIUSEPPE & FIGLI ......................... 143
EPILOGO..................................................................................................144
BIBLIOGRAFIA .........................................................................................145
RINGRAZIAMENTI ....................................................................................146
SOMMARIO ..............................................................................................147
149
150