Di porto in porto…
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Di porto in porto…
l’intervista Ricordo la pagina della Gazzetta per il mio oro a Pechino: metà dello spazio era per me e metà per un gol di Giuseppe Rossi in allenamento! Vedrei così qualche pagina di meno per il calcio e più per altri sport e non sto parlando solo della scherma. Dove noi abbiamo comunque quella che considero il campione più grande dello sport italiano, Valentina Vezzali. Ma come, lei vince e a volte non mettono nemmeno un richiamo in prima pagina?!?” “È vero, quel che si vede è quel nostro tempo in pedana durante gli assalti, però dietro c’è veramente un grosso lavoro. Adesso che ho modo di essere a contatto con dei calciatori, mi sto rendendo conto che noi facciamo di più, quasi sempre è doppio allenamento tutti i giorni, con dentro lavori con i pesi, a corpo libero e col lavoro tecnico che lo si fa almeno cinque volte la settimana. Lavoriamo anche noi con figure di professionisti, tipo il vostro preparatore atletico; adesso ho cominciato ad avere pure una mental coach: tutti sempre a dirmi che sono un gran talento e come mai non riuscivo più a vincere? Visto che i miei problemi possono essere per esempio sul piano della concentrazione, perché non fare in modo di allenare pure quella? Anch’io, come so che capita ai calciatori, è specialmente dopo le gare che faccio fatica a dormire. Di mio sono anche troppo calmo e così devo lavorare su di me per alzare il livello della tensione: se sono teso allora sì che sto più attento. Oltre allo staff della Nazionale, ho poi altri professionisti che lavorano per me (uno di questi è la mental-coach) e così nella mia preparazione c’è lo spazio pure per visionare filmati degli altri spadisti, sono una ventina adesso coloro che sono proprio in cima alla piramide. È un qualcosa che anche gli altri atleti ora stanno facendo presente alla Federazione, è proprio vero che più si va avanti, più c’è bisogno di tutti”. “Paura del dolore? Beh, sì, ci si fa male con le spade ma lì ci aiuta l’adrenalina. È un qualcosa con cui si deve convivere, come quell’altra “paura” dell’avversario che hai davanti. Perdere da noi significa in pratica che sei proprio morto, in più sei lì con la spada, l’arma che in fondo più si avvicina al duello vero e proprio. È un qualcosa che c’è, con cui devi come La scheda Matteo Tagliariol è nato a Treviso nel gennaio del 1983. Ha iniziato con la scherma fin da bambino e la sua prima società è stata la “Lame della Marca trevigiana” (maestro Ettore Geslao). Spadista, ha vinto a Pechino all’olimpiade del 2008, l’oro nella prova individuale e il bronzo in quella a squadre (assieme a Stefano Carozzo, Diego Confalonieri e Alfredo Rota. Campione del mondo giovanile con la squadra azzurra a Danzica (Polonia) nel 2001, a livello di mondiali è stato argento individuale ad Antalya (Turchia) nel 2009 e ancora argento a squadre a San Pietroburgo (Russia) nel 2007; per quel che riguarda gli Europei: argento individuale a Gand (Belgio; 2007); bronzo a squadre sia nel 2008 a Kiev (Ucraina) che nel 2009 a Plovdiv (Bulgaria). Quattro poi le sue vittorie in Coppa del Mondo: dopo Tallin (Estonia), Berna (Svizzera) e Montreal (Canada) nella stagione 2007/2008, in questo marzo 2011 è arrivata la vittoria nel prestigioso “Challenge Monal” a Parigi (Francia). Fa parte del Centro Sportivo dell’Aeronautica Militare. detto convivere, devi saperla tenere dentro la linea. Di momenti liberi avrò in tutto dieci giorni all’anno e questo è un “sacrificio” che mi dà meno fastidio di prima. Già, i miei amici fuori a bersi una birra da qualche parte e io in palestra: perché devo farlo? Per fortuna ci sono i risultati che aiutano e soprattutto il fatto che mi piace molto questo che faccio, molto. Con la scuola ho fatto il classico, anche un anno di università ma poi ho smesso. L’ho fatto per scelta, non ho mai avuto un buon rapporto con la scuola, spesso scontri con i professori. Non così per la cultura, sono affamato di leggere e ho poi in casa un esempio, mia madre, che ha preso la sua seconda laurea a 40 anni: dunque per me quello della scuola lo vedo più che altro un appuntamento che sto ancora rinviando”. “Per arrivare alle Olimpiadi di Londra del prossimo anno c’è ora la qualifica olimpica: otto gare più gli Europei e i Mondiali (a Catania). Per essere sicuri bisogna piazzarsi tra i primi dodici e tra questi dodici essere nei primi due italiani. No, da campione olimpico in carica non ho nessuna wild card, bisogna riguadagnarsi tutto. Ora come ora sono al nono posto, dopo tanto tempo sono tornato a vincere in una prova di Coppa del Mondo (anche queste danno punteggio). L’essere in forma lo sento con la giusta preparazione fisico e mentale, vedo che in gara sbaglio meno, il tempo e la misura, cose essenziali per noi, le avverto come amplificate e mi trovo così ad essere sempre una mossa avanti a chi mi sta di fronte. Sono giovane ancora, se tutto va bene ho ancora 7-8 anni davanti, non escludo così che possa arrivare anche alle Olimpiadi in Brasile. Poi non so bene che farò. Intanto farmi una famiglia, questo è sicuro, poi continuare a stare dentro la Federazione o il Cio, non so. Per ora i miei sogni sono solo sul piano sportivo; li facevo anche da bambino e quando capii che era l’Olimpiade la gara più importante, sin da subito fu quella che m’ero messo in testa di vincere”. 21 pianeta Lega Pro di Pino Lazzaro Tommaso Chiecchi, rappresentante Aic del Lecco “La C è cambiata: pochi soldi, “Nella mia famiglia c’è stato mio nonno che a suo tempo ha giocato a calcio, anche lui difensore centrale; lì nel mio paese, a Zevio, una ventina di chilometri da Verona, poi lui ha smesso per andare a lavorare, erano altri tempi allora. Io ho cominciato da pulcino sempre a Zevio, poi sono venuti a vedermi anche quelli del Chievo, potevo andare al Verona o al Chievo e ho preferito il Chievo, mi pareva una realtà più giusta per me quella. I miei “tassisti” sono stati i miei genitori, anche mio nonno poi mi ha seguito; il tutto è andato avanti sin quando ho cominciato ad andare a scuola a Verona. Con l’autobus, via alla mattina molto presto e ritorno a casa alle sette e mezzo di sera, panini e via per pranzo. Con la scuola sono arrivato, purtroppo, solo sino alla quinta geometri, poi ho lasciato stare. Ero in giro per la serie C, gli impegni che avevo non erano solo quelli da studente: peccato che lì a scuola non mi abbiano dato una mano, non è insomma che si siano sforzati di capire, di vedere di venirmi un po’ incontro, anzi! Di quel mio periodo nel settore giovanile del Chievo – ho avuto la fortuna di farli tutti da loro i miei anni da ragazzo – ho un ricordo bellissimo. A quel tempo eravamo praticamente tutti da Verona, non era come adesso, con tanti stranieri e tanti anche che vengono da fuori, da più lontano. Così ci si conosceva tutti, ci si incontrava anche a scuola, era un po’ come essere a casa: si stava bene col Chievo ed è stata questa una delle fortune che ho avuto col calcio”. “No, non mi pare d’aver mai sognato di voler fare proprio il calciatore, non sono mai stato “attaccato” a questa idea, no. Quel che a me piaceva era 22 insomma proprio giocare, stare sul campo, anche la televisione la guardavo poco: c’era meno di adesso, ma non stavo lì tanto a seguire. Anche quando ho esordito in B col Chievo non è che avessi del tutto capito la situazione. L’importante per me era dunque sempre il giocare, il divertirmi: ero nella squadra della città, ero giovane e magari anche un po’ incosciente. I primi anni di C sono stati un divertimento, il calcio non era ancora un mestiere ed è stato più avanti, quando sono cresciuto e mi sono fatto una famiglia, che è diventato un lavoro e a poco a poco è diventato quel che è adesso: la cosa più importante della mia vita. Se sono uno “serio”? Sì, chi mi conosce sa che tipo sono. Penso insomma di essere sempre stato serio e umile; certo, errori ne ho fatti anch’io da giovane, come tutti fanno, ma giusto per dirne una quando ho incontrato quella che adesso è mia moglie, avevo 21 anni”. “Se potevo fare di più? È una domanda che mi faccio spesso anch’io, però subito me ne viene un’altra di domanda: poteva andare peggio? Alla fine insomma uno ha la carriera che ha; alcune scelte le ho fatte giuste, altre meno però la realtà dice che ancora sto giocando, che ancora mi sto divertendo e dunque va bene così. Al dopo ci penso, più di qualche volta. L’ambiente del calcio mi piace e penso che mi piacerebbe rimanerci, soprattutto a livello di campo, non certo di uffici. Potrei fare così l’allenatore dei giovani o avere comunque la possibilità di stare a contatto con loro. Credo che ci potrei stare e il tutto con calma, non ho nessun sogno particolare se mai farò l’allenatore”. “Sono il rappresentante dell’Associazione perché è un ruolo che mi piace, che in qualche modo responsabilizza. Qui : pianeta Lega Pro troppi giovani” sono anche il capitano e poi ho un buon rapporto col delegato dell’Aic, con Paolo Bianchet, un qualcosa che mi fa piacere fare insomma. Qui prima di me c’era Corrent che faceva il capitano, lui è poi andato via, s’era rimasti in pochi e l’allenatore ha scelto me. Credo d’essere un caca pitano permissivo, ecco, non sono insomma di quelli che attaccano i compagni al muro, come si dice, Tommaso Chiecchi, rappresentante Aic del Lecco, è nato a Zevio (Verona) nel novembre del 1979. Cresciuto nel settore giovanile del Chievo, ha esordito in prima squadra nella stagione 1996/1997, il Chievo allora era in serie B. Dopo un’altra stagione col Chievo (sempre in B), ha via via giocato con Brescello (C1), Spal (C1), Lumezzane (C1), Lucchese (C1), Varese (C1), Foggia (C1), Vittoria (C1), ancora in B con Modena e Chievo, Lumezzane (Prima Divisione) e Pro Patria (Prima Divisione). Sposato con Silvia, una figlia di 4 anni di nome Asia, è alla sua prima esperienza nella Seconda Divisione (la ex C2). specie i giovani poi. Io sono cresciuto in un calcio in cui c’erano delle regole che sarebbe bene ci fossero anche adesso ma quel che davvero conta penso siano il comportamento e l’impegno, questi sì sono fattori importanti. È poi il campo a far vedere chi fa bene e chi no, non servono tante parole per questo. Sì, direi che sono invece un capitano abbastanza silenzioso e l’importante, lo ripeto, è lo stare dentro le regole e questo vale per tutti, sia giovani che vecchi; tenendo anche conto che in questa quelcategoria sono proprio i giovani quel li ad essere fondamentali e decisivi. Con loro vado d’accordo, cercando maniedi dire sempre le cose nella manie ra giusta, anche in questo bisogna stare attenti, senza essere antipatici, prepotenti o “fenomeni””. “Per me le cose non sono sempre andate bene a livelli di società, ricordo il fallimento della società a Foggia e pure i problemi avu che abbiamo avuto a Vittoria. Così ho avuto bisogno dell’Associazione e continuo volentieri a rimanerci in contatto. Devo dire che anche al sud mi sono trovato bene, purtroppo noi calciatori siamo sempre condizionati dall’andamento delle partite, dalla classifica e dunque arrivare a fine stagione con un fallimento come a Foggia, rimanendo tanto tempo senza prendere gli stipendi, mi potrebbe far dire che tutto è stato negativo, che lì il calcio funziona in un certo modo eccetera. Però la verità è che anche al sud mi sono trovato bene. Ecco, qualche stimolo in più può magari venirti per la presenza di parecchi spettatori, di campi di un certo tipo, ma ambienti calorosi ci sono anche qui al nord, penso a piazze come Ferrara, Modena e Varese, la stessa nostra di Lecco: non ho sentito poi tutta ‘sta gran differenza insomma. Magari a livello di strutture invece la si può notare la differenza”. “Qui a Lecco la società è seria e sana, anche ambiziosa. Purtroppo l’ambiente viene da una retrocessione, hanno cambiato parecchio: l’obiettivo sono intanto i playoff, speriamo. Per dire delle ambizioni e intenzioni del presidente, c’è il progetto di creare un centro sportivo, ha questo lui in mente. Pubblico ce n’è abbastanza: è una piazza questa di Lecco in cui la prima cosa che ti chiedono è quella di vincere, la vorrebbero anzi avere sempre questa cosa... purtroppo nel calcio bisogna sempre tenere presente che ci sono anche gli altri. La C? È cambiata tantissimo. Prima c’era molta più meritocrazia; ora invece ci sono pochi soldi in giro e tantissimi giovani, per questo motivo ce ne sono tanti di calciatori che sono a casa: penso anch’io che si sia abbassato – e di molto – il livello tecnico”. “Qualcosa per finire? Vorrei qui approfittare per dire grazie a mia moglie Silvia. Lei mi è sempre stata vicina, per farlo ha anche deciso di abbandonare il suo lavoro ed è una presenza molto importante per me: abbiamo una figlia di quattro anni, l’abbiamo chiamata Asia, è qui a Lecco che va in asilo”. 23 primo piano di Nicola Bosio Il 21 marzo scorso a Milano Riunione con i rappresentanti di S Nell’ottica di andare ad analizzare nello specifico le problematiche relative a ciascun settore, l’Aic ha deciso di organizzare alcuni incontri specifici cominciando dalla Serie B, i cui rappresentanti sono stati riuniti a Milano il 21 marzo scorso. Crisi economica I problemi che allo stato attuale riguardano questo campionato sono abbastanza differenti rispetto alle altre categorie e i rappresentanti intervenuti hanno subito posto l’accento sulle gravi difficoltà economiche che da alcuni anni attanagliano le società cadette, soprattutto da quando sono sensibilmente calati gli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi e, non ultima, dopo la scissione della Lega di Milano in Lega Serie A e Lega Serie B. È evidente, come da tempo sottolinea l’Aic, che l’attuale distribuzione delle risorse del nostro sistema calcio continua ad essere iniqua e a farne le spese è proprio la serie cadetta in quanto, se il passaggio (retrocessione) dalla A alla B viene in qualche modo contenuto da un punto di vista economico, i problemi maggiori riguardano il passaggio dalla B alla Lega Pro, che negli ultimi anni ha determinato i fallimenti di molte società non più in grado di onorare i contratti ed iscriversi ai campionati di competenza. A tal proposito è stato evidenziato che le attuali regole per l’iscrizione ai campionati di Lega Pro sono molto più rigide rispetto a quelle della Serie B, conseguentemente la società che retrocede difficilmente riesce a superare i paletti 24 imposti. Del resto, da una statistica riferita alla stagione scorsa, se fossero applicati gli stessi parametri richiesti dalla Lega Pro, nemmeno la metà delle attuali società cadette si sarebbero potute iscrivere in Serie B. Partendo naturalmente dal concetto che deve essere rivisto il sistema che regola le distribuzione delle risorse, una strada percorribile (ma al riguardo la Lega non sembra assolutamente disponibile) dovrebbe essere quella di un graduale irrigidimento delle regole al fine di rendere più virtuose le società che si iscrivono al campionato di B e rendere meno traumatico l’eventuale passaggio alla serie inferiore. Limitazione delle rose e giovani Altro problema che riguarda specificatamente questo settore è quello della limitazione delle rose (ormai gli organici sono scesi a 18 unità dal momento che un posto viene sempre tenuto disponibile per eventuali correzioni di mercato) e dell’utilizzo/imposizione dei giovani, politiche nate per un contenimento dei costi più che per la “mission” di facciata della “valorizzazione dei giovani calciatori”. Politiche che non solo non hanno portato beneficio da un punto di vista economico, ma che hanno abbassato notevolmente il livello tecnico del campionato. Se il giovane va in campo perché imposto e non per meriti tecnici, è evidente che viene meno lo spirito della regola; se il giovane va in campo perché è effettivamente di valore crea un’asta che viene meno anche al concetto di contenimento dei costi. Senza contare che, nel primo caso, una volta uscito dall’età richiesta, il giovane è destinato a scendere di categoria fino a sparire dall’area professionistica; nel secondo caso, si arriva a valutazioni di mercato decisamente esagerate e senza dubbio controproducenti per il giovane stesso. Guardando il problema a 360 gradi ne consegue che il “prodotto calcio Serie B” è diventato, anno dopo anno, meno appetibile con la logica conseguenza di minori entrate da tv, sponsor e presenze di spettatori allo stadio. Rinnovo Accordo Collettivo Altro argomento affrontato è stato quello del rinnovo dell’Accordo Collettivo che, come per la Serie A, dovrà essere discusso a breve con la Lega di Serie B. Al riguardo la Lega ha presentato una serie di richieste che i rappresentanti intervenuti hanno ritenuto assolutamente irricevibili, come ad esempio la riduzione automatica degli emolumenti in caso di retrocessione, la gestione dei “fuori rosa” per gruppi, la cessione dei diritti di immagine alla società, la possibilità di tagliare un contratto dopo un certo periodo di inattività, ecc. Molte richieste, per certi versi, sono esattamente le stesse formulate in prima istanza della Lega di Serie A e che sono state oggetto del lun- primo piano Il 28 marzo scorso a San Nicolò (PC) Serie B Qui sopra e in basso, alcuni momenti della riunione con i rappresentanti di Serie B che si è tenuta a Milano il 21 marzo scorso. go contenzioso che ha portato nei mesi scorsi l’Aic a proclamare lo sciopero. Ovviamente gli stessi punti “rigettati” per i calciatori della massima serie verranno respinti anche con la Lega di Serie B, cercando di adeguare il più possibile i due Accordi Collettivi e dando loro la massima omogeneità. Inaugurato il mini pitch di Filippo Inzaghi È stato inaugurato a Piacenza (località San Nicolò) il campo AIC mini-pitch intitolato a Filippo Inzaghi che l’attaccante campione del Mondo ha deciso di donare al comune dove è nato calcisticamente nell’ambito del progetto dell’Associazione Italiana Calciatori, in collaborazione con l’Istituto Credito Sportivo, l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e patrocinato dalla Figc, denominato “23 campi per 23 campioni”. Si tratta di un’iniziativa di carattere sociale proposta direttamente dai calciatori della Nazionale Italiana; un’idea nata all’indomani della vittoria del Campionato del Mondo dagli azzurri che, rinnovando la loro disponibilità a destinare parte dei loro proventi (integrata dall’intervento dell’Aic) ad iniziative di carattere beneficoumanitario, avevano suggerito di legare un progetto alla vittoria della Coppa 2006, per celebrare degnamente i 23 campioni, forse mai particolarmente “valorizzati” come meritavano per la straordinaria impresa mondiale. L’iniziativa si è così concretizzata con un progetto per la costruzione di ventitre mini-pitch (per calcio, basket, pallavolo, tennis) destinati ai ragazzi, ed intitolati ad ognuno dei campioni di Berlino. Sotto, foto di gruppo con i bambini del San Nicolò, società dove ha iniziato a giocare Filippo Inzaghi. A fianco, la consueta firma accanto al numero della maglia Campione del Mondo. Punti di intervento In chiusura di riunione, da un punto di vista prettamente operativo, si sono gettate le basi per una sempre maggior collaborazione tra Aic e calciatori individuando 4 principali punti di intervento: 1) creazione di un “gruppo di lavoro” formato da rappresentanti di squadra e rappresentanti Aic; 2) riunioni “settoriali” per individuare problematiche e cercare soluzioni; 3) visite più frequenti di rappresentanti Aic ai ritiri delle squadre; 4) creazione di una sorta di “forum” sul sito internet Aic per dare la possibilità ai calciatori di discutere degli argomenti più sentiti, avere risposte a quesiti di qualsiasi natura, dare suggerimenti e fare osservazioni. 25 ha scritto per noi di Alessandro Comi Attaccante della Sanremese Alessio Bifini, “el matador” grossetano con il Castelnuovo che milita in Eccellenza; qui ho anche ritrovato come allenatore Carlo Calabria che è stato mio compagno d’attacco ai tempi della Sanremese in C2 nel 1997, dopo che avevamo vinto il campionato di serie D l’anno prima. Per il resto c’è stato un po’ di caos a livello societario perché sono stati arrestati i presidenti, padre e figlio, Riccardo e Marco Del Gratta. Speriamo di riuscire nell’impresa di salvarci, anche se la situazione non è facile”. Nato il 26 aprile del 1975 a Grosseto, Alessio Bifini è un attaccante di razza, capace di tirar fuori dal cilindro la giocata più impensabile che ti risolve la partita. Bizzarro nel suo modo di essere, estroverso e con stile, dal fisico longilineo ma non possente, ha nelle sue doti migliori una tecnica invidiabile con ambedue i piedi. Ha sempre dedicato il suo tempo al calcio facendolo diventare, oltre che la sua passione, anche il suo lavoro. È tra i pochi calciatori che può dire di aver giocato 3 Universiadi di fila con la Nazionale Universitaria, rispettivamente in Italia a Palermo (medaglia d’oro), in Spagna a Palma di Maiorca (medaglia d’argento) e a Pechino in Cina. Sposato con Stefania ha un figlio Mattia di 6 anni. Come procede la tua stagione calcistica a Sanremo viste le ultime vicissitudini che sono ruotate negativamente intorno alla Sanremese? “Per quanto mi riguarda le cose non stanno andando male, anzi: sono a Sanremo dove già avevo giocato in passato, mi trovo a meraviglia ed è stato bello ritornare nei professionisti. Sono arrivato a gennaio dopo la prima parte di campionato disputata 26 Tra le varie esperienze calcistiche hai nel tuo palmares una vittoria nel Campionato del Mondo Universitario… “Ho avuto la fortuna di disputare 3 Universiadi, (le universiadi sono come le olimpiadi ma solo per studenti universitari): in Sicilia nel 1997 dove vincemmo laureandoci campioni del mondo, poi nel 1999 arrivammo secondi a Palma di Maiorca e infine nel 2001 a Pechino in Cina dove arrivammo settimi. Quali altre soddisfazioni nella tua carriera calcistica? “Bei ricordi sono le stagioni passate a Arezzo e Sanremo dove le vittorie del campionato mi son rimaste nel cuore: ad Arezzo, con allenatore Serse Cosmi, passammo dalla D alla C2 nella stagione 1995-1996; a Sanremo nella stagione 1997-1998 sempre dalla D alla C2. Poi stagioni indimenticabili all’Albinoleffe, società seria e di stampo familiare del presidente Andreoletti, dove mi son trovato veramente bene. Mentre sul campo ricordo un Livorno-Albinoleffe davanti a 14.000 spettatori all’Ardenza: il mio allenatore Piantoni mi disse, da buon toscano: “oggi qui devi fare cinema”… e cinema fu. Grande partita con personale doppietta che ci fece pareggiare 2-2, per il Livorno segnò 2 gol Protti. Delusioni? “Non ne ho in particolare e nemmeno rimorsi. Mi son sempre divertito e ho sempre apprezzato tutto quello che ogni singola partita mi ha regalato, ogni emozione nel bene o nel male la considero un esperienza affascinante”. Dal futuro cosa ti aspetti? “In questo momento, oltre al calcio, sto assistendo un po’ più da vicino il mio babbo che ha avuto dei problemi di salute. Per il resto cerco di godermi al meglio la vita e la mia famiglia, mi svago ogni tanto con l’hobby della pesca e se avrò la fortuna di rimanere nel mondo del calcio sarò ben contento di rendermi utile per stare a contatto con lo sport più bello del mondo”. amarcord La partita che non dimentico Mi ritorni in mente… Federico Agliardi (Padova) “Intanto mi piace qui cominciare con la partita con cui a Bochum, in Germania, vincemmo l’Europeo con l’Under 21. Me la ricordo anche se in effetti non ero io in porta, c’era Amelia, era quello nostro un gruppo davvero tosto, con giocatori come Gilardino, Bovo, Donadel, Zaccardo e così via: se non sbaglio è stata proprio quella l’ultima vittoria europea dell’Under 21. Poi la partita che abbiamo giocato a Roma contro la Lazio e io ero in porta col Palermo. Una di quelle giornate in cui capisci d’essere in una specie di stato di grazia, dove ti trovi così a fare delle cose anche speciali; me la ricordo anche perché ne feci proprio tante di parate, specie nel primo tempo. Ma se proprio devo indicare “la prima”, allora vado ad Ancona-Brescia del 2002/2003, avevo 20 anni, seconda partita in serie A per me, l’esordio l’avevo fatto la settimana prima contro il Bologna. Quel giorno devo dire che pure io ho contributo al pareggio, 1 a 1. Perdevamo 1 a 0 e poi per fortuna ci pensò Baggio che si inventò un gol superando con un dribbling lì sulla linea di fondo il loro portiere. Insomma mi capitò di fare delle belle parate, specie una su Ganz: mi aveva fatto un pallonetto, io in effetti ero un po’ in avanti e comunque ci arrivai, riuscendo anche a tenerla”. Luigi Piangerelli (Cesena) “Di campionati ne ho vinti cinque, dunque di cosiddette partite decisive ne potrei ricordare più d’una ma quella che per prima mi viene alla mente, forse perché è stata la più recente, è una dello scorso campionato, proprio l’ultima quando col Cesena siamo andati a Piacenza. Per essere promossi in A noi dovevamo vincere ma poteva anche non bastare, bisognava anche vedere cosa avrebbe fatto il Brescia a Padova. Grande tensione dunque in campo, con un orecchio anche a quanto ci dicevano dalla panchina. In effetti tutte quelle ultime settimane erano state lunghe, non solo quella prima di Piacenza. A Cesena la serie A mancava da 19 anni e in più tieni conto che eravamo una neopromossa dalla C. S’era partiti per salvarci, a mano a mano c’è stata la consapevolezza poi che non solo potevamo raggiungere i playoff ma che lo si poteva anche proprio vincere il campionato. La partita della svolta è stata credo quando siamo andati a vincere a Lecce, lì sì ci siamo convinti che potevamo anche puntare direttamente ai primi due posti. A Piacenza abbiamo vinto per 1 a 0, il Brescia a Padova ha perso: serie A per noi! Da Cesena erano venuti in 7-8000 a Piacenza; quando siamo tornati a Cesena hanno aperto lo stadio, erano in 20.000 ad aspettarci: che soddisfazione, io poi che ci abito a Cesena...”. Nazzareno Scopelliti (Gela) “L’anno è il 2004/005, mi ricordo anche il giorno, era il 19 giugno 2005. Ritorno della finale playoff contro la Cavese, lì da loro avevamo pareggiato, 0 a 0: se dunque alla fine pareggiavamo andavamo su noi del Gela. Stadio stracolmo, ancor più di quanti potevano starci come capienza. Loro forti, noi pure. Verso la fine del secondo tempo l’arbitro ha espulso uno di loro e così siamo andati ai supplementari con un uomo in più. Tanta paura sino alla fine, loro che non avevano più nulla da perdere e che si buttavano avanti, però dietro eravamo forti, non ne abbiamo preso nemmeno uno di gol in tutte le quattro partite dei playoff. Però non si sa mai e a 2’ dalla fine abbiamo segnato noi. Subito c’è stata una prima invasione di campo, tutti matti dalla gioia, quando abbiamo ripreso abbiamo giocato ancora qualche minuto e poi è finita per davvero, è stato un macello alla fine, che festa! Abbiamo così conquistato la C1, traguardo storico per Gela e pensa che quell’anno, pur salendo di categoria, abbiamo finito per perdere dei soldi, proprio così. Per tutto il campionato sempre problemi societari e stipendi che non arrivavano. Già dall’estate c’erano stati dei problemi, sino all’ultimo non si sapeva se la società si sarebbe iscritta, la squadra è stata fatta all’ultimo, in agosto e quel che ne è venuto fuori è stato proprio un bel gruppo, forte e unito. Gran campionato, abbiamo finito terzi con 67 punti. Tantissimi problemi e lo stesso siamo saliti in C1”. 27 segreteria di Diego Murari Uno per tutti, tutti per Unico1 Di porto in porto… con Diego Murari Come sempre grazie Ciao ragazzi, ciao a tutti voi capitani valorosi. Perdonatemi se mi ritrovate qui a issare le vele, pronto a salpare in questo lungo e interminabile viaggio verso il ritorno alla mia isola più preziosa... la mia vita. Dal mio cuore un immenso abbraccio va a ogni N1 di Voi... che in ogni partita mi fa ancora ascoltare i brividi mentre stendendosi compie l’ennesimo miracolo, l’ennesima parata... e a chi con un meraviglioso dribbling si avvicina alla porta avversaria e insacca all’incrocio. Ma un mio abbraccio va anche a ogni terzino che instancabilmente difende la sua porta, a ogni mediano che corre in lungo e in largo in ogni angolo di campo e a chi a centrocampo sa costruire il gioco per realizzare un gol, una magia. E poi nel mio abbraccio a tutti voi Campioni meravigliosi, vorrei infine ricordare con affetto ogni magazziniere, dirigente, i responsabili di ogni squadra perché è anche grazie a tutti loro se il Calcio è diventato questo splendido Sport... già il calcio, dove migliaia di persone si rivedono, si ritrovano, si conoscono in ogni partita: che bello il calcio, ragazzi, che bello vedervi rincorrere il pallone, attaccare, difendere... che bello ascoltare il rumore delle vostre azioni, dei vostri gesti, dei vostri gol. Che belle le vostre divise, i vostri colori, i vostri compagni e che bello quell’intenso abbraccio con il mister a bordo campo dopo un gol... e che bello respirare il profumo nello spogliatoio prima della partita, gli sguardi, le grida... gli allenamenti, gli scatti, le sconfitte. Che bello tutto il calcio, ragazzi. Che bello sognare lo stadio pieno di gente, di striscioni colorati, di tifosi, di bambini...eppure sei Tu steso in un letto, ma Tu lo sogni perché il calcio è bello. Tu sogni 28 di tuffarti per parare quel diagonale... Tu sogni di rincorrere quella palla... Tu sogni quel cross dove staccherai e di testa infilerai la porta avversaria. Tu lo sogni quello spogliatoio, quegli abbracci, quelle grida intorno a te... già... Tu lo sogni tutto questo e non ti importa se a segnare oggi sei Tu o la squadra avversaria, non importa se c’è un risultato, i punti, la classifica. No, ragazzi speciali, quando sei in questo lettino, non contano le differenze reti perché Tu sai che non serve arrivare primo per alzare le braccia o per vincere lo scudetto. Tu sai bene che semplicemente aprendo gli occhi in ogni nuovo giorno... Tu hai vinto Sempre. Tutto questo è il Calcio, tutto questo siete Voi, lo regalate Voi... e noi non siamo altro che delle persone fortunate, perché grazie a tanti dolori, a tante sofferenze, riusciamo a trovare in Voi la forza e il coraggio di alzare ogni giorno le braccia al cielo sapendo nel nostro cuore che tutti i bambini che vi seguono in ogni partita hanno trovato in Voi gli esempi più importanti e leali per affrontare con lealtà e impegno ogni gara che la vita riserva loro. Grazie campioni meravigliosi di questo Sogno... lungo e indimenticabile tra le mie lacrime. Con Michele Scarponi Avevo l’appuntamento con Lui a Milano, dove io ero per una visita e Lui si preparava per partire alla famosa Milano-Sanremo. Arrivò in albergo e venne subito da me abbracciandomi, già pronto per il riscaldamento e per la partenza della corsa: Michele Scarponi, il grande campione di ciclismo. Io come sempre tremavo dall’emozione e mentre Lui mi prendeva in giro, io lo osservavo con un nodo alla gola. Non sentivo nulla intorno a me, mi sembrava tutto cosi strano, lontano... sentivo soltanto una lacrima che mi solcava il viso, perché non capivo come un piccolo uomo come me fosse lì, davanti a un campione cosi grande. Ci sedemmo e iniziò a raccontarmi dei suoi ultimi giorni in cui aveva lottato per vincere la Tirreno-Adriatico e per poco non gli era riuscita Michele Scarponi alla Milano-Sanremo si è poi piazzato al sesto posto (era nel gruppetto di testa; vittoria all’australiano Goss), dopo essersi reso protagonista di uno spettacolare inseguimento in solitaria, a partire dalla salita della Cipressa, per riportarsi nel gruppo dei battistrada. In questa stagione 2011 due sinora i suoi successi: la tappa di Gesturi al Giro di Sardegna e la tappa di Chieti alla Tirreno-Adriatico. Nel prossimo Giro d’Italia sarà l’uomo classifica della Lampre-Isd. l’impresa. Era un po’ stanco ma continuava a ridere, scherzare, a prendermi la stampella e a lanciarla lontano... che forza, pensai dentro me, e tra un oretta parte per fare 300 km di gara, caspita, non avevo parole. “Capitano, come fai a essere così sereno?” gli chiesi. Lui si mise a ridere, come sempre... “Perché sono interista” mi rispose “e noi interisti siamo un po’ difettati, siamo così” disse ridendo come un matto. Non sapevo più cosa dirgli, mi aveva praticamente lasciato senza parole; nel frattempo mi aveva ordinato un the’ caldo, prendendo in giro anche i camerieri, chiedendo anche un thermos per portarselo in gara. Parlammo un po’ dei suoi lunghi allenamenti sull’Etna, dove era stato in ritiro per alcuni giorni con il suo nuovo team Lampre. “Sai Unico – come mi chiama Michele – quest’anno ho bisogno di te, devi starmi vicino, venire alle gare” mi disse improvvisamente. Avevo il cuore che scoppiava nel petto... Michele Scarponi davanti a me mi chiedeva che io aiutassi Lui! “Ma a che fare? – risposi io istintivamente – sei matto?”. “No, non sono matto – mi disse – vorrei vincere il Giro, è il mio obiettivo del 2011 e tu Unico mi dai la forza e l’umiltà di capire quanto io sia fortunato. Quando ti vedo o penso a te, io non ho paura di scalare nessuna salita”. Stavo piangendo e il mio cuore avrebbe voluto potergli dare ogni suo sogno, ogni sorriso... “Ma che fai, piangi – mi disse – si vede che Tu non sei interista” e abbracciandomi si mise a ridere ancora. Non avevo parole... ma mi rendevo conto che Michele è veramente un vero Esempio, un immenso Campione di vita. Sorseggiai il the, gli chiesi – cercando di fermare le mie lacrime – cosa faceva in quei suoi pochi momenti lontani dalla bici. “Sto con Anna, mia moglie; ci piace viaggiare e così, quando possiamo, andiamo a vedere posti nuovi, cercando di amare la vita in ogni suo angolo... e poi ovviamente guardo la mia squadra del cuore, di cui sono tifosissimo, l’Inter, anche se Anna è juventina” disse ridendo. Già, il calcio, “che ne dici del calcio Michele?” Rimase un po’ in silenzio, poi mi rispose: “Penso che ci siano tanti soldi, interessi... ma credo anche, da atleta, che il calcio sia ancora uno sport che insegna ai più giovani la disciplina, il rispetto per i compagni,e che riesca ancora a trasmettere valori importanti. Ciò che conta è che la Lega e le istituzioni aiutino i ragazzi perché la vita non è fatta soltanto di denaro o di belle auto... ma anche di cose che devono essere capite fin da piccoli”. Gli leggevo dentro la sua onestà, il suo voler trasmettere la voglia di fare sport con la lealtà di chi ama lo sport, senza pensare a soldi o altri interessi.”. “E del ciclismo – gli chiesi – come sta il ciclismo?”. Mi guardò e si mise a ridere. “Ma la smetti – mi disse – di chiedermi ‘ste cose? Chiedimi chi vince lo scudetto e te lo dico subito, l’Inter” e scoppiò a ridere. “Ma no dai, il ciclismo è sempre uno sport fantastico – continuò – è certo più duro e faticoso di altri, ma credimi, quando arrivi davanti e alzi le braccia... è tutto tra le tue mani ed è questo ciò che vorrei regalare a ogni bambino”. Mi sentivo molto più piccolo dopo quelle parole, ma sentivo che grazie a persone come Michele Scarponi la vita di moltissimi ragazzini diventerà densa di un sole, di un colore, di un fiore... perché calcio o tennis o ciclismo: tutto non conta, se non riesci ad ascoltare il cuore. Salì sulla bici, mi abbracciò ancora e ridendo mi disse: “Bene Unico, ora che ti ho detto chi vince lo scudetto, ti dico anche chi vincerà la Champions, ma non dirlo a nessuno, l’Inter”. Scoppiò a ridere e lentamente si allontanò in sella alla sua bici. “Felice Milano-Sanremo, Michele... Felice Vita, immenso Campione Unico e N1 nel Cuore”... Grazie di esserci Ecco splendidi compagni di viaggio, in questa tappa, in questa isola, ho tentato di parlare di quanto ognuno di Voi N1, ogni Campione, di qualsiasi sport, riesca a donare. Vorrei un giorno riuscire a farvi capire quanto sia difficile la disperazione, il male, la sofferenza... quanto sia duro riuscire a svegliarsi ogni mattina non sapendo se ci saranno altri risvegli colorati o semplicemente densi di tristezza, dove l’unico sole che ti resta sono gli occhi di chi ami, di chi ti ascolta, ti accarezza, ti prende la mano. Cercando in te quel gesto o quel sorriso che potrebbe far dimenticare ogni buio istante in cui stai vivendo la tua vita. E in quei momenti ti ritorna sempre la stessa infinita domanda: Dio, dimmi se ora sto vivendo. Vi chiedo perdono se ora butto l’ancora, lasciandovi con queste tristezze nel cuore. Ma queste emozioni sono i miei ricordi. Perché i miei ricordi non sono una spiaggia, un mare, un cielo azzurro... i miei ricordi sono gli occhi di mia madre. Grazie dal cuore, grazie con il cuore, meravigliosi Campioni della mia Vita. Grazie per tutto quello che ogni fine settimana mi regalate, senza nulla chiedere... grazie a tutti di essere il mio Esempio, grazie di lasciarmi sognare di essere uno di Voi. Ciao a tutti ragazzi speciali, Unici e N1 nel cuore. Vi aspetto come sempre allo 3391082481 e vi ringrazio di essere diventati tantissimi. 29 internet di Mario Dall’Angelo I link utili Giochiamo insieme ai “Leoni di Potrero” Tanti bambini e ragazzi giocano a pallone nel campo vicino a casa, che spesso è un semplice prato su cui vengono sistemate quattro felpe a segnare i pali delle porte e lo spogliatoio è una siepe o dei rami a cui si appendono i soprabiti. La semplicità con cui si può organizzare una partita di calcio è uno dei segreti che rendono così popolare il gioco più bello del mondo. Generazioni di calciatori, professionisti e dilettanti, hanno cominciato così da giovanissimi. Con immediatezza e in piena libertà. A questi concetti si richiama il nome della scuola calcio del capitano dell’Inter Javier Zanetti e del suo compagno di squadra e di nazionalità argentina Esteban Cambiasso. Sulla home page del sito Leoni di Potrero (www.leonidipotrero.com), a fianco dell’immagine dei due campioni, c’è un’introduzione dagli accenti poetici: «Il potrero è il luogo dove quattro magliette diventano due porte, dove lo spogliatoio è un albero di qualche campo sperduto, è il posto dove tutti sognano di essere veri campioni, dove vuoi che la partita non finisca mai, ma finirà soltanto quando il pallone andrà sopra quel “maledetto” albero. Per questo abbiamo creato Leoni di Potrero, per recuperare insieme quella palla e finalmente poter continuare a giocare». Entrando nella sezione “presentazione”, troviamo le motivazioni che hanno indotto Zanetti e Cambiasso a fondare il loro centro di formazione calcistica, ispirandosi al modo più improvvisato e creativo di allestire una partita a pallone. I due campioni manifestano la loro preoccupazione per la “disconnessione” che molti giovani d’oggi manifestano nei confronti della realtà. Si tratte- 30 rebbe di un fenomeno provocato dalle nuove tecnologie della comunicazione, che tendono a spersonalizzare i rapporti interpersonali impedendo di svilupparli correttamente. Un altro fatto preoccupante, secondo Javier ed Esteban, è che i giovanissimi d’oggi si spostano dalla scuola al computer, riducendo così di molto i loro movimenti. Dunque, difficoltà di comunicazione associata a meno attività fisica provocano isolamento sociale, un vero e proprio male contro il quale si deve agire per il bene delle giovani generazioni, come spiegano i due fuoriclasse: «Leoni di Potrero ha l’obiettivo di contribuire alla risoluzione delle problematiche legate all’isolamento sociale e alle difficoltà nello sviluppo corretto delle capacità motorie. Tutto ciò senza dimenticare che lo sviluppo della formazione calcistica resterà sempre un obiettivo ulteriore da raggiungere. La loro missione è quella di fare diventare il centro un luogo nel quale i giovani possano ridimensionare i propri valori sociali e individuali, rafforzando l’importanza di tornare “alle basi”, a tutta la “magia” che avvolgeva chiunque giocasse a pallone nel “Potrero”». Quindi, la scuola insegna sì il calcio ma prima ancora cerca di essere un luogo di formazione in cui si insegnano i valori positivi della vita e la loro corretta gerarchia. Nella galleria fotografica sono disponibili molte belle foto delle attività, tutte con un nome che si rifà a quello della scuola: allenamenti da leoni, amichevoli da leoni, trofeo leoni. Non mancano però gli scatti di momenti extracalcistici, come feste di carnevale e feste della famiglia con i genitori sui campi assieme ai figli. La scuola, come detto, non ha solo finalità di apprendimento calcistico ma anche e soprattutto sociali, educative e tendenti a un sano sviluppo psicofisico. È per queste ragioni che sono state avviate delle iniziative per aiutare i genitori nella crescita dei figli. Una di queste è un accordo con una clinica oftalmica, dove i bambini vengono visitati con il preciso intento di prevenire, tra le altre patologie, la ambliopia, nota come “occhio pigro”. Altri momenti speciali sono i festeggiamenti per il Natale e per le feste della mamma e del papà. Evento d’eccezione è stato certamente lo stage estivo di un settimana ad Alassio nel 2008, con 25 bambini provenienti da tutta Italia e la partecipazione in prima persona di Zanetti e Cambiasso. Leoni di Potrero ha sede in Milano, nel centro sportivo Franco Bettinelli in Via Lago di Nemi 31. Vengono accolti solo ragazzi residenti a Milano e vengono stabilite 8 categorie con un massimo di 25 bambini ciascuna. Gli allenamenti prevedono due sedute settimanali, cominciando a fine settembre per concludersi a fine maggio, con una pausa durante le vacanze invernali, come per dei veri piccoli campioni.