Di porto in porto…

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Di porto in porto…
l’intervista
Ricordo la pagina della Gazzetta per il
mio oro a Pechino: metà dello spazio
era per me e metà per un gol di Giuseppe Rossi in allenamento! Vedrei così
qualche pagina di meno per il calcio e
più per altri sport e non sto parlando
solo della scherma. Dove noi abbiamo
comunque quella che considero il campione più grande dello sport italiano,
Valentina Vezzali. Ma come, lei vince e a
volte non mettono nemmeno un richiamo in prima pagina?!?”
“È vero, quel che si vede è quel nostro
tempo in pedana durante gli assalti, però
dietro c’è veramente un grosso lavoro.
Adesso che ho modo di essere a contatto con dei calciatori, mi sto rendendo conto che noi facciamo di più, quasi
sempre è doppio allenamento tutti i
giorni, con dentro lavori con i pesi, a
corpo libero e col lavoro tecnico che
lo si fa almeno cinque volte la settimana. Lavoriamo anche noi con figure di
professionisti, tipo il vostro preparatore
atletico; adesso ho cominciato ad avere
pure una mental coach: tutti sempre a
dirmi che sono un gran talento e come
mai non riuscivo più a vincere? Visto
che i miei problemi possono essere per
esempio sul piano della concentrazione, perché non fare in modo di allenare
pure quella? Anch’io, come so che capita
ai calciatori, è specialmente dopo le gare
che faccio fatica a dormire. Di mio sono
anche troppo calmo e così devo lavorare su di me per alzare il livello della tensione: se sono teso allora sì che sto più
attento. Oltre allo staff della Nazionale,
ho poi altri professionisti che lavorano
per me (uno di questi è la mental-coach)
e così nella mia preparazione c’è lo spazio pure per visionare filmati degli altri
spadisti, sono una ventina adesso coloro
che sono proprio in cima alla piramide. È
un qualcosa che anche gli altri atleti ora
stanno facendo presente alla Federazione, è proprio vero che più si va avanti,
più c’è bisogno di tutti”.
“Paura del dolore? Beh, sì, ci si fa male
con le spade ma lì ci aiuta l’adrenalina.
È un qualcosa con cui si deve convivere,
come quell’altra “paura” dell’avversario
che hai davanti. Perdere da noi significa
in pratica che sei proprio morto, in più
sei lì con la spada, l’arma che in fondo
più si avvicina al duello vero e proprio.
È un qualcosa che c’è, con cui devi come
La scheda
Matteo Tagliariol è nato a Treviso nel gennaio del 1983. Ha iniziato con la scherma fin da
bambino e la sua prima società è stata la “Lame della Marca trevigiana” (maestro Ettore
Geslao). Spadista, ha vinto a Pechino all’olimpiade del 2008, l’oro nella prova individuale
e il bronzo in quella a squadre (assieme a Stefano Carozzo, Diego Confalonieri e Alfredo Rota. Campione del mondo giovanile con la squadra azzurra a Danzica (Polonia)
nel 2001, a livello di mondiali è stato argento individuale ad Antalya (Turchia) nel 2009
e ancora argento a squadre a San Pietroburgo (Russia) nel 2007; per quel che riguarda
gli Europei: argento individuale a Gand (Belgio; 2007); bronzo a squadre sia nel 2008 a
Kiev (Ucraina) che nel 2009 a Plovdiv (Bulgaria). Quattro poi le sue vittorie in Coppa
del Mondo: dopo Tallin (Estonia), Berna (Svizzera) e Montreal (Canada) nella stagione
2007/2008, in questo marzo 2011 è arrivata la vittoria nel prestigioso “Challenge Monal” a Parigi (Francia). Fa parte del Centro Sportivo dell’Aeronautica Militare.
detto convivere, devi saperla tenere
dentro la linea. Di momenti liberi avrò
in tutto dieci giorni all’anno e questo è
un “sacrificio” che mi dà meno fastidio di
prima. Già, i miei amici fuori a bersi una
birra da qualche parte e io in palestra:
perché devo farlo? Per fortuna ci sono i
risultati che aiutano e soprattutto il fatto che mi piace molto questo che faccio,
molto. Con la scuola ho fatto il classico,
anche un anno di università ma poi ho
smesso. L’ho fatto per scelta, non ho mai
avuto un buon rapporto con la scuola,
spesso scontri con i professori. Non così
per la cultura, sono affamato di leggere
e ho poi in casa un esempio, mia madre,
che ha preso la sua seconda laurea a 40
anni: dunque per me quello della scuola
lo vedo più che altro un appuntamento
che sto ancora rinviando”.
“Per arrivare alle Olimpiadi di Londra
del prossimo anno c’è ora la qualifica
olimpica: otto gare più gli Europei e i
Mondiali (a Catania). Per essere sicuri
bisogna piazzarsi tra i primi dodici e tra
questi dodici essere nei primi due italiani. No, da campione olimpico in carica
non ho nessuna wild card, bisogna riguadagnarsi tutto. Ora come ora sono
al nono posto, dopo tanto tempo sono
tornato a vincere in una prova di Coppa
del Mondo (anche queste danno punteggio). L’essere in forma lo sento con
la giusta preparazione fisico e mentale,
vedo che in gara sbaglio meno, il tempo
e la misura, cose essenziali per noi, le avverto come amplificate e mi trovo così
ad essere sempre una mossa avanti a chi
mi sta di fronte. Sono giovane ancora, se
tutto va bene ho ancora 7-8 anni davanti,
non escludo così che possa arrivare anche alle Olimpiadi in Brasile. Poi non so
bene che farò. Intanto farmi una famiglia,
questo è sicuro, poi continuare a stare
dentro la Federazione o il Cio, non so.
Per ora i miei sogni sono solo sul piano
sportivo; li facevo anche da bambino e
quando capii che era l’Olimpiade la gara
più importante, sin da subito fu quella
che m’ero messo in testa di vincere”.
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pianeta Lega Pro
di Pino Lazzaro
Tommaso Chiecchi,
rappresentante Aic del Lecco
“La C è cambiata:
pochi soldi,
“Nella mia famiglia c’è stato mio
nonno che a suo tempo ha giocato
a calcio, anche lui difensore centrale;
lì nel mio paese, a Zevio, una ventina
di chilometri da Verona, poi lui ha
smesso per andare a lavorare, erano
altri tempi allora. Io ho cominciato
da pulcino sempre a Zevio, poi sono
venuti a vedermi anche quelli del
Chievo, potevo andare al Verona o
al Chievo e ho preferito il Chievo,
mi pareva una realtà più giusta per
me quella. I miei “tassisti” sono stati i miei genitori, anche mio nonno
poi mi ha seguito; il tutto è andato
avanti sin quando ho cominciato ad
andare a scuola a Verona. Con l’autobus, via alla mattina molto presto
e ritorno a casa alle sette e mezzo
di sera, panini e via per pranzo. Con
la scuola sono arrivato, purtroppo,
solo sino alla quinta geometri, poi
ho lasciato stare. Ero in giro per la
serie C, gli impegni che avevo non
erano solo quelli da studente: peccato che lì a scuola non mi abbiano
dato una mano, non è insomma che
si siano sforzati di capire, di vedere
di venirmi un po’ incontro, anzi! Di
quel mio periodo nel settore giovanile del Chievo – ho avuto la fortuna di farli tutti da loro i miei anni da
ragazzo – ho un ricordo bellissimo.
A quel tempo eravamo praticamente
tutti da Verona, non era come adesso, con tanti stranieri e tanti anche
che vengono da fuori, da più lontano. Così ci si conosceva tutti, ci si
incontrava anche a scuola, era un po’
come essere a casa: si stava bene col
Chievo ed è stata questa una delle
fortune che ho avuto col calcio”.
“No, non mi pare d’aver mai sognato
di voler fare proprio il calciatore, non
sono mai stato “attaccato” a questa
idea, no. Quel che a me piaceva era
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insomma proprio giocare, stare sul
campo, anche la televisione la guardavo poco: c’era meno di adesso, ma
non stavo lì tanto a seguire. Anche
quando ho esordito in B col Chievo
non è che avessi del tutto capito la
situazione. L’importante per me era
dunque sempre il giocare, il divertirmi: ero nella squadra della città,
ero giovane e magari anche un po’
incosciente. I primi anni di C sono
stati un divertimento, il calcio non
era ancora un mestiere ed è stato
più avanti, quando sono cresciuto e
mi sono fatto una famiglia, che è diventato un lavoro e a poco a poco è
diventato quel che è adesso: la cosa
più importante
della mia vita.
Se sono uno
“serio”? Sì, chi
mi conosce sa
che tipo sono.
Penso insomma
di essere sempre stato serio
e umile; certo,
errori ne ho
fatti anch’io da
giovane, come tutti fanno, ma giusto
per dirne una quando ho incontrato
quella che adesso è mia moglie, avevo 21 anni”.
“Se potevo fare di più? È una domanda che mi faccio spesso anch’io,
però subito me ne viene un’altra di
domanda: poteva andare peggio?
Alla fine insomma uno ha la carriera
che ha; alcune scelte le ho fatte giuste, altre meno però la realtà dice
che ancora sto giocando, che ancora mi sto divertendo e dunque va
bene così. Al dopo ci penso, più di
qualche volta. L’ambiente del calcio
mi piace e penso che mi piacerebbe rimanerci, soprattutto a livello
di campo, non certo di uffici. Potrei
fare così l’allenatore dei giovani o
avere comunque la possibilità di stare a contatto con loro. Credo che ci
potrei stare e il tutto con calma, non
ho nessun sogno particolare se mai
farò l’allenatore”.
“Sono il rappresentante
dell’Associazione perché
è un ruolo
che mi piace,
che in qualche
modo responsabilizza. Qui
:
pianeta Lega Pro
troppi giovani”
sono anche il capitano e poi ho un
buon rapporto col delegato dell’Aic,
con Paolo Bianchet, un qualcosa che
mi fa piacere fare insomma. Qui prima di me c’era Corrent che faceva
il capitano, lui è poi andato via, s’era rimasti in pochi e l’allenatore ha
scelto me. Credo d’essere un caca
pitano permissivo, ecco, non sono
insomma di quelli che attaccano i
compagni al muro, come si dice,
Tommaso Chiecchi, rappresentante Aic del
Lecco, è nato a Zevio (Verona) nel novembre del
1979. Cresciuto nel settore giovanile del Chievo, ha esordito in prima squadra nella stagione
1996/1997, il Chievo allora era in serie B. Dopo
un’altra stagione col Chievo (sempre in B), ha
via via giocato con Brescello (C1), Spal (C1), Lumezzane (C1), Lucchese (C1), Varese (C1), Foggia (C1), Vittoria (C1), ancora in B con Modena
e Chievo, Lumezzane (Prima Divisione) e Pro Patria (Prima Divisione). Sposato con Silvia, una
figlia di 4 anni di nome Asia, è alla sua prima
esperienza nella Seconda Divisione (la ex C2).
specie i giovani poi. Io sono cresciuto in un calcio in cui c’erano delle
regole che sarebbe bene ci fossero
anche adesso ma quel che davvero
conta penso siano il comportamento e l’impegno, questi sì sono fattori
importanti. È poi il campo a far vedere chi fa bene e chi no, non servono
tante parole per questo. Sì, direi che
sono invece un capitano abbastanza
silenzioso e l’importante, lo ripeto,
è lo stare dentro le regole e questo
vale per tutti, sia giovani che vecchi;
tenendo anche conto che in questa
quelcategoria sono proprio i giovani quel
li ad essere fondamentali e decisivi.
Con loro vado d’accordo, cercando
maniedi dire sempre le cose nella manie
ra giusta, anche in questo
bisogna stare
attenti, senza
essere antipatici, prepotenti
o “fenomeni””.
“Per me le
cose non sono
sempre andate
bene a livelli di
società, ricordo
il fallimento della
società a Foggia
e pure i problemi
avu
che abbiamo avuto a Vittoria. Così
ho avuto bisogno
dell’Associazione
e continuo volentieri a rimanerci in
contatto. Devo dire che anche al sud
mi sono trovato bene, purtroppo noi
calciatori siamo sempre condizionati dall’andamento delle partite, dalla
classifica e dunque arrivare a fine
stagione con un fallimento come a
Foggia, rimanendo tanto tempo senza prendere gli stipendi, mi potrebbe
far dire che tutto è stato negativo,
che lì il calcio funziona in un certo
modo eccetera. Però la verità è che
anche al sud mi sono trovato bene.
Ecco, qualche stimolo in più può magari venirti per la presenza di parecchi spettatori, di campi di un certo
tipo, ma ambienti calorosi ci sono anche qui al nord, penso a piazze come
Ferrara, Modena e Varese, la stessa
nostra di Lecco: non ho sentito poi
tutta ‘sta gran differenza insomma.
Magari a livello di strutture invece la
si può notare la differenza”.
“Qui a Lecco la società è seria e sana,
anche ambiziosa. Purtroppo l’ambiente viene da una retrocessione,
hanno cambiato parecchio: l’obiettivo sono intanto i playoff, speriamo.
Per dire delle ambizioni e intenzioni
del presidente, c’è il progetto di creare un centro sportivo, ha questo lui
in mente. Pubblico ce n’è abbastanza: è una piazza questa di Lecco in
cui la prima cosa che ti chiedono è
quella di vincere, la vorrebbero anzi
avere sempre questa cosa... purtroppo nel calcio bisogna sempre tenere
presente che ci sono anche gli altri.
La C? È cambiata tantissimo. Prima
c’era molta più meritocrazia; ora invece ci sono pochi soldi in giro e tantissimi giovani, per questo motivo ce
ne sono tanti di calciatori che sono a
casa: penso anch’io che si sia abbassato – e di molto – il livello tecnico”.
“Qualcosa per finire? Vorrei qui
approfittare per dire grazie a mia
moglie Silvia. Lei mi è sempre stata
vicina, per farlo ha anche deciso di
abbandonare il suo lavoro ed è una
presenza molto importante per me:
abbiamo una figlia di quattro anni,
l’abbiamo chiamata Asia, è qui a Lecco che va in asilo”.
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primo piano
di Nicola Bosio
Il 21 marzo scorso
a Milano
Riunione con
i rappresentanti di S
Nell’ottica di andare ad analizzare nello specifico le problematiche relative
a ciascun settore, l’Aic ha deciso di organizzare alcuni incontri specifici cominciando dalla Serie B, i cui rappresentanti sono stati riuniti a Milano il 21
marzo scorso.
Crisi economica
I problemi che allo stato attuale riguardano questo campionato sono abbastanza differenti rispetto alle altre categorie e i rappresentanti intervenuti
hanno subito posto l’accento sulle gravi
difficoltà economiche che da alcuni anni
attanagliano le società cadette, soprattutto da quando sono sensibilmente
calati gli introiti derivanti dalla vendita
dei diritti televisivi e, non ultima, dopo
la scissione della Lega di Milano in Lega
Serie A e Lega Serie B.
È evidente, come da tempo sottolinea
l’Aic, che l’attuale distribuzione delle
risorse del nostro sistema calcio continua ad essere iniqua e a farne le spese
è proprio la serie cadetta in quanto, se
il passaggio (retrocessione) dalla A alla
B viene in qualche modo contenuto da
un punto di vista economico, i problemi maggiori riguardano il passaggio dalla
B alla Lega Pro, che negli ultimi anni ha
determinato i fallimenti di molte società
non più in grado di onorare i contratti ed
iscriversi ai campionati di competenza.
A tal proposito è stato evidenziato che
le attuali regole per l’iscrizione ai campionati di Lega Pro sono molto più rigide rispetto a quelle della Serie B, conseguentemente la società che retrocede
difficilmente riesce a superare i paletti
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imposti. Del resto, da una statistica
riferita alla stagione scorsa, se fossero
applicati gli stessi parametri richiesti
dalla Lega Pro, nemmeno la metà delle
attuali società cadette si sarebbero potute iscrivere in Serie B.
Partendo naturalmente dal concetto
che deve essere rivisto il sistema che
regola le distribuzione delle risorse, una
strada percorribile (ma al riguardo la
Lega non sembra assolutamente disponibile) dovrebbe essere quella di un graduale irrigidimento delle regole al fine
di rendere più virtuose le società che si
iscrivono al campionato di B e rendere
meno traumatico l’eventuale passaggio
alla serie inferiore.
Limitazione delle rose e giovani
Altro problema che riguarda specificatamente questo settore è quello della
limitazione delle rose (ormai gli organici
sono scesi a 18 unità dal momento che
un posto viene sempre tenuto disponibile per eventuali correzioni di mercato)
e dell’utilizzo/imposizione dei giovani,
politiche nate per un contenimento dei
costi più che per la “mission” di facciata
della “valorizzazione dei giovani calciatori”. Politiche che non solo non hanno
portato beneficio da un punto di vista
economico, ma che hanno abbassato
notevolmente il livello tecnico del campionato. Se il giovane va in campo perché imposto e non per meriti tecnici, è
evidente che viene meno lo spirito della
regola; se il giovane va in campo perché è
effettivamente di valore crea un’asta che
viene meno anche al concetto di contenimento dei costi. Senza contare che, nel
primo caso, una volta uscito dall’età richiesta, il giovane è destinato a scendere
di categoria fino a sparire dall’area professionistica; nel secondo caso, si arriva a
valutazioni di mercato decisamente esagerate e senza dubbio controproducenti
per il giovane stesso.
Guardando il problema a 360 gradi ne
consegue che il “prodotto calcio Serie
B” è diventato, anno dopo anno, meno
appetibile con la logica conseguenza di
minori entrate da tv, sponsor e presenze di spettatori allo stadio.
Rinnovo Accordo Collettivo
Altro argomento affrontato è stato quello del rinnovo dell’Accordo Collettivo
che, come per la Serie A, dovrà essere
discusso a breve con la Lega di Serie B.
Al riguardo la Lega ha presentato una
serie di richieste che i rappresentanti intervenuti hanno ritenuto assolutamente
irricevibili, come ad esempio la riduzione automatica degli emolumenti in caso
di retrocessione, la gestione dei “fuori
rosa” per gruppi, la cessione dei diritti di
immagine alla società, la possibilità di tagliare un contratto dopo un certo periodo di inattività, ecc. Molte richieste, per
certi versi, sono esattamente le stesse
formulate in prima istanza della Lega di
Serie A e che sono state oggetto del lun-
primo piano
Il 28 marzo scorso
a San Nicolò (PC)
Serie B
Qui sopra e in basso, alcuni momenti della
riunione con i rappresentanti di Serie B che si è
tenuta a Milano il 21 marzo scorso.
go contenzioso che ha portato nei mesi
scorsi l’Aic a proclamare lo sciopero.
Ovviamente gli stessi punti “rigettati”
per i calciatori della massima serie verranno respinti anche con la Lega di Serie
B, cercando di adeguare il più possibile
i due Accordi Collettivi e dando loro la
massima omogeneità.
Inaugurato il mini pitch
di Filippo Inzaghi
È stato inaugurato a Piacenza (località San Nicolò) il campo AIC mini-pitch intitolato
a Filippo Inzaghi che l’attaccante campione del Mondo ha deciso di donare al comune
dove è nato calcisticamente nell’ambito del progetto dell’Associazione Italiana Calciatori, in collaborazione con l’Istituto Credito Sportivo, l’Associazione Nazionale
Comuni d’Italia e patrocinato dalla Figc, denominato “23 campi per 23 campioni”.
Si tratta di un’iniziativa di carattere sociale proposta direttamente dai calciatori
della Nazionale Italiana; un’idea nata all’indomani della vittoria del Campionato del
Mondo dagli azzurri che, rinnovando la loro disponibilità a destinare parte dei
loro proventi (integrata dall’intervento dell’Aic) ad iniziative di carattere beneficoumanitario, avevano suggerito di legare un progetto alla vittoria della Coppa 2006,
per celebrare degnamente i 23 campioni,
forse mai particolarmente “valorizzati”
come meritavano per la straordinaria impresa mondiale.
L’iniziativa si è così concretizzata con un
progetto per la costruzione di ventitre
mini-pitch (per calcio, basket, pallavolo,
tennis) destinati ai ragazzi, ed intitolati ad
ognuno dei campioni di Berlino.
Sotto, foto di gruppo con i bambini del San Nicolò,
società dove ha iniziato a giocare Filippo Inzaghi. A
fianco, la consueta firma accanto al numero della
maglia Campione del Mondo.
Punti di intervento
In chiusura di riunione, da un punto di
vista prettamente operativo, si sono
gettate le basi per una sempre maggior
collaborazione tra Aic e calciatori individuando 4 principali punti di intervento: 1) creazione di un “gruppo di lavoro”
formato da rappresentanti di squadra e
rappresentanti Aic; 2) riunioni “settoriali” per individuare problematiche e
cercare soluzioni; 3) visite più frequenti
di rappresentanti Aic ai ritiri delle squadre; 4) creazione di una sorta di “forum” sul sito internet Aic per dare la
possibilità ai calciatori di discutere degli
argomenti più sentiti, avere risposte a
quesiti di qualsiasi natura, dare suggerimenti e fare osservazioni.
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ha scritto per noi
di Alessandro Comi
Attaccante della Sanremese
Alessio Bifini,
“el matador” grossetano
con il Castelnuovo che milita in Eccellenza; qui ho anche ritrovato come
allenatore Carlo Calabria che è stato mio compagno d’attacco ai tempi
della Sanremese in C2 nel 1997, dopo
che avevamo vinto il campionato
di serie D l’anno prima. Per il resto
c’è stato un po’ di caos a livello societario perché sono stati arrestati i
presidenti, padre e figlio, Riccardo e
Marco Del Gratta. Speriamo di riuscire nell’impresa di salvarci, anche se
la situazione non è facile”.
Nato il 26 aprile del 1975 a Grosseto,
Alessio Bifini è un attaccante di razza,
capace di tirar fuori dal cilindro la giocata più impensabile che ti risolve la
partita. Bizzarro nel suo modo di essere, estroverso e con stile, dal fisico
longilineo ma non possente, ha nelle
sue doti migliori una tecnica invidiabile con ambedue i piedi.
Ha sempre dedicato il suo tempo al
calcio facendolo diventare, oltre che
la sua passione, anche il suo lavoro.
È tra i pochi calciatori che può dire
di aver giocato 3 Universiadi di fila
con la Nazionale Universitaria, rispettivamente in Italia a Palermo
(medaglia d’oro), in Spagna a Palma
di Maiorca (medaglia d’argento) e a
Pechino in Cina. Sposato con Stefania ha un figlio Mattia di 6 anni.
Come procede la tua stagione calcistica a Sanremo viste le ultime vicissitudini che sono ruotate negativamente intorno alla Sanremese?
“Per quanto mi riguarda le cose non
stanno andando male, anzi: sono a
Sanremo dove già avevo giocato in
passato, mi trovo a meraviglia ed è
stato bello ritornare nei professionisti. Sono arrivato a gennaio dopo la
prima parte di campionato disputata
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Tra le varie esperienze calcistiche hai
nel tuo palmares una vittoria nel Campionato del Mondo Universitario…
“Ho avuto la fortuna di disputare
3 Universiadi, (le universiadi sono
come le olimpiadi ma solo per studenti universitari): in Sicilia nel 1997
dove vincemmo laureandoci campioni del mondo, poi nel 1999 arrivammo secondi a Palma di Maiorca
e infine nel 2001 a Pechino in Cina
dove arrivammo settimi.
Quali altre soddisfazioni nella tua
carriera calcistica?
“Bei ricordi sono le stagioni passate
a Arezzo e Sanremo dove le vittorie del campionato mi son rimaste
nel cuore: ad Arezzo, con allenatore Serse Cosmi, passammo dalla D
alla C2 nella stagione 1995-1996; a
Sanremo nella stagione 1997-1998
sempre dalla D alla C2. Poi stagioni
indimenticabili all’Albinoleffe, società
seria e di stampo familiare del presidente Andreoletti, dove mi son
trovato veramente bene. Mentre
sul campo ricordo un Livorno-Albinoleffe davanti a 14.000 spettatori
all’Ardenza: il mio allenatore Piantoni mi disse, da buon toscano: “oggi
qui devi fare cinema”… e cinema fu.
Grande partita con personale doppietta che ci fece pareggiare 2-2, per
il Livorno segnò 2 gol Protti.
Delusioni?
“Non ne ho in particolare e nemmeno rimorsi. Mi son sempre divertito
e ho sempre apprezzato tutto quello
che ogni singola partita mi ha regalato,
ogni emozione nel bene o nel male la
considero un esperienza affascinante”.
Dal futuro cosa ti aspetti?
“In questo momento, oltre al calcio,
sto assistendo un po’ più da vicino il
mio babbo che ha avuto dei problemi
di salute. Per il resto cerco di godermi
al meglio la vita e la mia famiglia, mi
svago ogni tanto con l’hobby della pesca e se avrò la fortuna di rimanere nel
mondo del calcio sarò ben contento
di rendermi utile per stare a contatto
con lo sport più bello del mondo”.
amarcord
La partita
che non dimentico
Mi ritorni
in mente…
Federico Agliardi (Padova)
“Intanto mi piace qui cominciare con la
partita con cui a Bochum, in Germania,
vincemmo l’Europeo con l’Under 21. Me
la ricordo anche se in effetti non ero io
in porta, c’era Amelia, era quello nostro
un gruppo davvero tosto, con giocatori
come Gilardino, Bovo, Donadel, Zaccardo e così via: se non sbaglio è stata
proprio quella l’ultima vittoria europea
dell’Under 21. Poi la partita che abbiamo
giocato a Roma contro la Lazio e io ero
in porta col Palermo. Una di quelle giornate in cui capisci d’essere in una specie
di stato di grazia, dove ti trovi così a fare
delle cose anche speciali; me la ricordo
anche perché ne feci proprio tante di
parate, specie nel primo tempo. Ma se
proprio devo indicare “la prima”, allora
vado ad Ancona-Brescia del 2002/2003,
avevo 20 anni, seconda partita in serie A
per me, l’esordio l’avevo fatto la settimana prima contro il Bologna. Quel giorno
devo dire che pure io ho contributo al
pareggio, 1 a 1. Perdevamo 1 a 0 e poi
per fortuna ci pensò Baggio che si inventò un gol superando con un dribbling lì
sulla linea di fondo il loro portiere. Insomma mi capitò di fare delle belle parate, specie una su Ganz: mi aveva fatto
un pallonetto, io in effetti ero un po’ in
avanti e comunque ci arrivai, riuscendo
anche a tenerla”.
Luigi Piangerelli (Cesena)
“Di campionati ne ho vinti cinque, dunque di cosiddette partite decisive ne potrei ricordare più d’una ma quella che per
prima mi viene alla mente, forse perché
è stata la più recente, è una dello scorso campionato, proprio l’ultima quando
col Cesena siamo andati a Piacenza. Per
essere promossi in A noi dovevamo vincere ma poteva anche non bastare, bisognava anche vedere cosa avrebbe fatto il
Brescia a Padova. Grande tensione dunque in campo, con un orecchio anche
a quanto ci dicevano dalla panchina. In
effetti tutte quelle ultime settimane erano state lunghe, non solo quella prima di
Piacenza. A Cesena la serie A mancava
da 19 anni e in più tieni conto che eravamo una neopromossa dalla C. S’era partiti per salvarci, a mano a mano c’è stata
la consapevolezza poi che non solo potevamo raggiungere i playoff ma che lo si
poteva anche proprio vincere il campionato. La partita della svolta è stata credo
quando siamo andati a vincere a Lecce, lì
sì ci siamo convinti che potevamo anche
puntare direttamente ai primi due posti.
A Piacenza abbiamo vinto per 1 a 0, il
Brescia a Padova ha perso: serie A per
noi! Da Cesena erano venuti in 7-8000 a
Piacenza; quando siamo tornati a Cesena
hanno aperto lo stadio, erano in 20.000
ad aspettarci: che soddisfazione, io poi
che ci abito a Cesena...”.
Nazzareno Scopelliti (Gela)
“L’anno è il 2004/005, mi ricordo anche
il giorno, era il 19 giugno 2005. Ritorno della finale playoff contro la Cavese,
lì da loro avevamo pareggiato, 0 a 0: se
dunque alla fine pareggiavamo andavamo
su noi del Gela. Stadio stracolmo, ancor
più di quanti potevano starci come capienza. Loro forti,
noi pure. Verso la
fine del secondo
tempo l’arbitro ha
espulso uno di loro
e così siamo andati
ai supplementari
con un uomo in
più. Tanta paura
sino alla fine, loro
che non avevano più nulla da perdere e
che si buttavano avanti, però dietro eravamo forti, non ne abbiamo preso nemmeno uno di gol in tutte le quattro partite dei playoff. Però non si sa mai e a 2’
dalla fine abbiamo segnato noi. Subito c’è
stata una prima invasione di campo, tutti
matti dalla gioia, quando abbiamo ripreso
abbiamo giocato ancora qualche minuto
e poi è finita per davvero, è stato un macello alla fine, che festa! Abbiamo così
conquistato la C1, traguardo storico per
Gela e pensa che quell’anno, pur salendo
di categoria, abbiamo finito per perdere
dei soldi, proprio così. Per tutto il campionato sempre problemi societari e stipendi che non arrivavano. Già dall’estate
c’erano stati dei problemi, sino all’ultimo non si sapeva se la società si sarebbe
iscritta, la squadra è stata fatta all’ultimo, in agosto e quel che ne è venuto
fuori è stato proprio un bel gruppo,
forte e unito. Gran campionato, abbiamo finito terzi con 67 punti. Tantissimi
problemi e lo stesso siamo saliti in C1”.
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segreteria
di Diego Murari
Uno per tutti,
tutti per Unico1
Di porto in porto…
con Diego Murari
Come sempre grazie
Ciao ragazzi, ciao a tutti voi capitani
valorosi.
Perdonatemi se mi ritrovate qui a issare le vele, pronto a salpare in questo
lungo e interminabile viaggio verso il
ritorno alla mia isola più preziosa... la
mia vita. Dal mio cuore un immenso
abbraccio va a ogni N1 di Voi... che
in ogni partita mi fa ancora ascoltare
i brividi mentre stendendosi compie
l’ennesimo miracolo, l’ennesima parata... e a chi con un meraviglioso dribbling si avvicina alla porta avversaria
e insacca all’incrocio. Ma un mio abbraccio va anche a ogni terzino che
instancabilmente difende la sua porta,
a ogni mediano che corre in lungo e in
largo in ogni angolo di campo e a chi
a centrocampo sa costruire il gioco
per realizzare un gol, una magia. E poi
nel mio abbraccio a tutti voi Campioni meravigliosi, vorrei infine ricordare
con affetto ogni magazziniere, dirigente, i responsabili di ogni squadra
perché è anche grazie a tutti loro se
il Calcio è diventato questo splendido Sport... già il calcio, dove migliaia
di persone si rivedono, si ritrovano,
si conoscono in ogni partita: che bello il calcio, ragazzi, che bello vedervi
rincorrere il pallone, attaccare, difendere... che bello ascoltare il rumore
delle vostre azioni, dei vostri gesti,
dei vostri gol. Che belle le vostre divise, i vostri colori, i vostri compagni
e che bello quell’intenso abbraccio
con il mister a bordo campo dopo un
gol... e che bello respirare il profumo
nello spogliatoio prima della partita,
gli sguardi, le grida... gli allenamenti,
gli scatti, le sconfitte. Che bello tutto il calcio, ragazzi. Che bello sognare
lo stadio pieno di gente, di striscioni
colorati, di tifosi, di bambini...eppure
sei Tu steso in un letto, ma Tu lo sogni perché il calcio è bello. Tu sogni
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di tuffarti per parare quel diagonale...
Tu sogni di rincorrere quella palla...
Tu sogni quel cross dove staccherai
e di testa infilerai la porta avversaria.
Tu lo sogni quello spogliatoio, quegli
abbracci, quelle grida intorno a te...
già... Tu lo sogni tutto questo e non
ti importa se a segnare oggi sei Tu o
la squadra avversaria, non importa
se c’è un risultato, i punti, la classifica. No, ragazzi speciali, quando sei in
questo lettino, non contano le differenze reti perché Tu sai che non serve
arrivare primo per alzare le braccia o
per vincere lo scudetto. Tu sai bene
che semplicemente aprendo gli occhi
in ogni nuovo giorno... Tu hai vinto
Sempre.
Tutto questo è il Calcio, tutto questo
siete Voi, lo regalate Voi... e noi non
siamo altro che delle persone fortunate, perché grazie a tanti dolori, a
tante sofferenze, riusciamo a trovare
in Voi la forza e il coraggio di alzare
ogni giorno le braccia al cielo sapendo
nel nostro cuore che tutti i bambini
che vi seguono in ogni partita hanno
trovato in Voi gli esempi più importanti e leali per affrontare con lealtà e
impegno ogni gara che la vita riserva
loro. Grazie campioni meravigliosi di
questo Sogno... lungo e indimenticabile tra le mie lacrime.
Con Michele Scarponi
Avevo l’appuntamento con Lui a Milano, dove io ero per una visita e Lui
si preparava per partire alla famosa
Milano-Sanremo. Arrivò in albergo e
venne subito da me abbracciandomi,
già pronto per il riscaldamento e per
la partenza della corsa: Michele Scarponi, il grande campione di ciclismo.
Io come sempre tremavo dall’emozione e mentre Lui mi prendeva in giro,
io lo osservavo con un nodo alla gola.
Non sentivo nulla intorno a me,
mi sembrava tutto cosi strano,
lontano... sentivo soltanto una
lacrima che mi solcava il viso,
perché non capivo come un
piccolo uomo come me fosse
lì, davanti a un campione cosi
grande. Ci sedemmo e iniziò
a raccontarmi dei suoi ultimi
giorni in cui aveva lottato per
vincere la Tirreno-Adriatico e
per poco non gli era riuscita
Michele Scarponi alla Milano-Sanremo si è poi piazzato al sesto posto
(era nel gruppetto di testa; vittoria
all’australiano Goss), dopo essersi
reso protagonista di uno spettacolare inseguimento in solitaria, a partire
dalla salita della Cipressa, per riportarsi nel gruppo dei battistrada. In
questa stagione 2011 due sinora i
suoi successi: la tappa di Gesturi al
Giro di Sardegna e la tappa di Chieti
alla Tirreno-Adriatico. Nel prossimo
Giro d’Italia sarà l’uomo classifica della Lampre-Isd.
l’impresa. Era un po’ stanco ma continuava a ridere, scherzare, a prendermi la stampella e a lanciarla lontano...
che forza, pensai dentro me, e tra un
oretta parte per fare 300 km di gara,
caspita, non avevo parole. “Capitano, come fai a essere così sereno?”
gli chiesi. Lui si mise a ridere, come
sempre... “Perché sono interista” mi
rispose “e noi interisti siamo un po’
difettati, siamo così” disse ridendo
come un matto. Non sapevo più cosa
dirgli, mi aveva praticamente lasciato
senza parole; nel frattempo mi aveva
ordinato un the’ caldo, prendendo
in giro anche i camerieri, chiedendo
anche un thermos per portarselo in
gara. Parlammo un po’ dei suoi lunghi
allenamenti sull’Etna, dove era stato in
ritiro per alcuni giorni con il suo nuovo team Lampre. “Sai Unico – come
mi chiama Michele – quest’anno ho bisogno di te, devi starmi vicino, venire
alle gare” mi disse improvvisamente.
Avevo il cuore che scoppiava nel petto... Michele Scarponi davanti a me mi
chiedeva che io aiutassi Lui! “Ma a che
fare? – risposi io istintivamente – sei
matto?”. “No, non sono matto – mi
disse – vorrei vincere il Giro, è il mio
obiettivo del 2011 e tu Unico mi dai la
forza e l’umiltà di capire quanto io sia
fortunato. Quando ti vedo o penso a
te, io non ho paura di scalare nessuna
salita”. Stavo piangendo e il mio cuore avrebbe voluto potergli dare ogni
suo sogno, ogni sorriso... “Ma che fai,
piangi – mi disse – si vede che Tu non
sei interista” e abbracciandomi si mise
a ridere ancora. Non avevo parole...
ma mi rendevo conto che Michele è
veramente un vero Esempio, un immenso Campione di vita.
Sorseggiai il the, gli chiesi – cercando
di fermare le mie lacrime – cosa faceva in quei suoi pochi momenti lontani
dalla bici. “Sto con Anna, mia moglie;
ci piace viaggiare e così, quando possiamo, andiamo a vedere posti nuovi,
cercando di amare la vita in ogni suo
angolo... e poi ovviamente guardo la
mia squadra del cuore, di cui sono
tifosissimo, l’Inter, anche se Anna è
juventina” disse ridendo. Già, il calcio, “che ne dici del calcio Michele?”
Rimase un po’ in silenzio, poi mi rispose: “Penso che ci siano tanti soldi,
interessi... ma credo anche, da atleta,
che il calcio sia ancora uno sport che
insegna ai più giovani la disciplina, il
rispetto per i compagni,e che riesca
ancora a trasmettere valori importanti. Ciò che conta è che la Lega e
le istituzioni aiutino i ragazzi perché
la vita non è fatta soltanto di denaro
o di belle auto... ma anche di cose che
devono essere capite fin da piccoli”.
Gli leggevo dentro la sua onestà, il
suo voler trasmettere la voglia di fare
sport con la lealtà di chi ama lo sport,
senza pensare a soldi o altri interessi.”. “E del ciclismo – gli chiesi – come
sta il ciclismo?”. Mi guardò e si mise
a ridere. “Ma la smetti – mi disse –
di chiedermi ‘ste cose? Chiedimi chi
vince lo scudetto e te lo dico subito,
l’Inter” e scoppiò a ridere. “Ma no dai,
il ciclismo è sempre uno sport fantastico – continuò – è certo più duro e
faticoso di altri, ma credimi, quando
arrivi davanti e alzi le braccia... è tutto
tra le tue mani ed è questo ciò che
vorrei regalare a ogni bambino”.
Mi sentivo molto più piccolo dopo
quelle parole, ma sentivo che grazie a
persone come Michele Scarponi la vita
di moltissimi ragazzini diventerà densa
di un sole, di un colore, di un fiore...
perché calcio o tennis o ciclismo: tutto
non conta, se non riesci ad ascoltare
il cuore.
Salì sulla bici, mi abbracciò ancora e
ridendo mi disse: “Bene Unico, ora
che ti ho detto chi vince lo scudetto,
ti dico anche chi vincerà la Champions,
ma non dirlo a nessuno, l’Inter”. Scoppiò a ridere e lentamente si allontanò
in sella alla sua bici. “Felice Milano-Sanremo, Michele... Felice Vita, immenso
Campione Unico e N1 nel Cuore”...
Grazie di esserci
Ecco splendidi compagni di viaggio,
in questa tappa, in questa isola, ho
tentato di parlare di quanto ognuno
di Voi N1, ogni Campione, di qualsiasi sport, riesca a donare. Vorrei un
giorno riuscire a farvi capire quanto
sia difficile la disperazione, il male, la
sofferenza... quanto sia duro riuscire
a svegliarsi ogni mattina non sapendo
se ci saranno altri risvegli colorati o
semplicemente densi di tristezza, dove
l’unico sole che ti resta sono gli occhi
di chi ami, di chi ti ascolta, ti accarezza, ti prende la mano. Cercando in te
quel gesto o quel sorriso che potrebbe far dimenticare ogni buio istante in
cui stai vivendo la tua vita. E in quei
momenti ti ritorna sempre la stessa
infinita domanda: Dio, dimmi se ora
sto vivendo.
Vi chiedo perdono se ora butto l’ancora, lasciandovi con queste tristezze
nel cuore. Ma queste emozioni sono i
miei ricordi. Perché i miei ricordi non
sono una spiaggia, un mare, un cielo
azzurro... i miei ricordi sono gli occhi
di mia madre.
Grazie dal cuore, grazie con il cuore,
meravigliosi Campioni della mia Vita.
Grazie per tutto quello che ogni fine
settimana mi regalate, senza nulla
chiedere... grazie a tutti di essere il
mio Esempio, grazie di lasciarmi sognare di essere uno di Voi. Ciao a tutti
ragazzi speciali, Unici e N1 nel cuore.
Vi aspetto come sempre allo 3391082481 e vi ringrazio di essere diventati tantissimi.
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internet
di Mario Dall’Angelo
I link utili
Giochiamo insieme
ai “Leoni di Potrero”
Tanti bambini e ragazzi giocano a
pallone nel campo vicino a casa, che
spesso è un semplice prato su cui
vengono sistemate quattro felpe a
segnare i pali delle porte e lo spogliatoio è una siepe o dei rami a cui
si appendono i soprabiti. La semplicità con cui si può organizzare una
partita di calcio è uno dei segreti
che rendono così popolare il gioco
più bello del mondo. Generazioni di
calciatori, professionisti e dilettanti,
hanno cominciato così da giovanissimi. Con immediatezza e in piena libertà. A questi concetti si richiama
il nome della scuola calcio del capitano dell’Inter Javier Zanetti e del suo
compagno di squadra e di nazionalità
argentina Esteban Cambiasso. Sulla
home page del sito Leoni di Potrero
(www.leonidipotrero.com), a fianco
dell’immagine dei due campioni, c’è
un’introduzione dagli accenti poetici:
«Il potrero è il luogo dove quattro
magliette diventano due porte, dove
lo spogliatoio è un albero di qualche
campo sperduto, è il posto dove tutti sognano di essere veri campioni,
dove vuoi che la partita non finisca
mai, ma finirà soltanto quando il pallone andrà sopra quel “maledetto”
albero. Per questo abbiamo creato
Leoni di Potrero, per recuperare
insieme quella palla e finalmente
poter continuare a giocare».
Entrando nella sezione “presentazione”, troviamo le motivazioni che hanno indotto Zanetti e
Cambiasso a fondare il loro centro di formazione calcistica, ispirandosi al modo più improvvisato
e creativo di allestire una partita
a pallone. I due campioni manifestano la loro preoccupazione
per la “disconnessione” che molti giovani d’oggi manifestano nei
confronti della realtà. Si tratte-
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rebbe di un fenomeno provocato dalle nuove tecnologie della comunicazione, che tendono a spersonalizzare
i rapporti interpersonali impedendo
di svilupparli correttamente.
Un altro fatto preoccupante, secondo Javier ed Esteban, è che i giovanissimi d’oggi si spostano dalla scuola al
computer, riducendo così di molto i
loro movimenti. Dunque, difficoltà di
comunicazione associata a meno attività fisica provocano isolamento sociale, un vero e proprio male contro
il quale si deve agire per il bene delle
giovani generazioni, come spiegano
i due fuoriclasse: «Leoni di Potrero
ha l’obiettivo di contribuire alla risoluzione delle problematiche legate
all’isolamento sociale e alle difficoltà
nello sviluppo corretto delle capacità
motorie. Tutto ciò senza dimenticare che lo sviluppo della formazione
calcistica resterà sempre un obiettivo ulteriore da raggiungere. La loro
missione è quella di fare diventare il
centro un luogo nel quale i giovani
possano ridimensionare i propri valori sociali e individuali, rafforzando
l’importanza di tornare “alle basi”, a
tutta la “magia” che avvolgeva chiunque giocasse a pallone nel “Potrero”». Quindi, la scuola insegna sì il
calcio ma prima ancora cerca di essere un luogo di formazione in cui si
insegnano i valori positivi della vita e
la loro corretta gerarchia.
Nella galleria fotografica sono disponibili molte belle foto delle attività, tutte con un nome che si rifà
a quello della scuola: allenamenti da
leoni, amichevoli da leoni, trofeo leoni. Non mancano però gli scatti di
momenti extracalcistici, come feste
di carnevale e feste della famiglia con
i genitori sui campi assieme ai figli.
La scuola, come detto, non ha solo
finalità di apprendimento calcistico
ma anche e soprattutto sociali, educative e tendenti a un sano sviluppo
psicofisico. È per queste ragioni che
sono state avviate delle iniziative per
aiutare i genitori nella crescita dei figli. Una di queste è un accordo con
una clinica oftalmica, dove i bambini
vengono visitati con il preciso intento di prevenire, tra le altre patologie, la ambliopia, nota come “occhio
pigro”. Altri momenti speciali sono i
festeggiamenti per il Natale e per le
feste della mamma e del papà. Evento d’eccezione è stato certamente lo
stage estivo di un settimana ad Alassio nel 2008, con 25 bambini provenienti da tutta Italia e la partecipazione in prima persona di Zanetti e
Cambiasso.
Leoni di Potrero ha sede in Milano, nel centro sportivo Franco
Bettinelli in Via Lago di Nemi 31.
Vengono accolti solo ragazzi residenti a Milano e vengono stabilite 8 categorie con un massimo di 25 bambini ciascuna. Gli
allenamenti prevedono due sedute settimanali, cominciando a
fine settembre per concludersi
a fine maggio, con una pausa durante le vacanze invernali, come
per dei veri piccoli campioni.