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LA TRASMISSIONE DEI TESTI E LA FILOLOGIA
LA TRADIZIONE DEI TESTI ANTICHI
Della vastissima produzione del mondo antico (greco e romano) rimane solo il 5%.
Nessun testo greco ci è giunto in originale. I testi rimasti sono giunti a noi per:
1) tradizione diretta: l'opera ci è giunta (non sempre integralmente) attraverso copie manoscritte, che riproducono (in tutto o in
parte) quello che doveva essere il testo originale. Costituiscono la tradizione diretta:
a) le copie antiche su papiro e (più raramente) su pergamena;
b) i codici manoscritti di produzione bizantina o di epoca successiva: sono il frutto del lavoro dei monaci o degli studiosi
che trascrivevano queste opere traendole da altri codici più antichi;
c) le iscrizioni su pietra, ceramica, bronzo, ecc (sono oggetto di studio di una disciplina autonoma, l’epigrafia).
2) tradizione indiretta: si tratta di citazioni testuali e notizie su un’opera o un autore, contenute nel contesto di un’altra opera di
scrittori antichi, in genere grammatici, retori, scoliasti, poligrafi, autori di lessici, di florilegi, di enciclopedie. Si tratta di solito
di frammenti (ma a volte abbiamo anche citazioni ampie o riassunti di opere intere), estremamente preziosi per noi, perché ci
consentono di conoscere opere ed autori non noti.
LA FILOLOGIA
La filologia (gr. philología, da philos, "amore, passione, cura" e logos "linguaggio", e quindi studio degli aspetti della lingua") è la
disciplina che studia i testi scritti per determinarne l'autenticità o la correttezza, che possono essere state compromesse da
alterazioni materiali o errori di interpretazione concettuale. Tra le competenze del filologo c’è, oltre alla conoscenza delle lingue
antiche, la paleografia (studio delle antiche forme di scrittura).
Storia della filologia
Cominciò a essere praticata in età ellenistica sui testi omerici per individuarne l'origine e l'esatta attribuzione. In età latina si
distinse l'opera di Varrone, la cui indagine portò a una sistematica catalogazione delle commedie di Plauto.
Gli studi filologici ripresero slancio con l'umanesimo, quando si avvertì la necessità di restituire per quanto possibile ai testi
classici la loro veste originaria, spesso notevolmente contraffatta durante le successive trascrizioni che ne erano state fatte nel
Medioevo. Fra i più importanti risultati vi fu la dimostrazione, da parte di Lorenzo Valla, della falsità della donazione di
Costantino, su cui si fondava la pretesa legittimità del potere temporale della Chiesa.
Per quanto riguarda il greco, in particolare, la separazione netta fra Occidente e Oriente aveva portato alla progressiva scomparsa
della conoscenza del greco in occidente. Solo a partire dal ‘400 gli umanisti entrano in contatto con gli eruditi bizantini che si
trasferiscono in occidente (in occasione dei Concili di Ferrara e Firenze e per fuggire di fronte all’avanzata turca, che si
concluderà con la caduta di Costantinopoli nel 1453).
L'analisi filologica dei testi classici andò perfezionandosi a partire dal Settecento grazie al tedesco Karl Lachmann, che applicò
il metodo di ricostruzione testuale a testi della tradizione germanica come il Nibelungenlied.
Agli inizi del Novecento importanti acquisizioni metodologiche sono state raggiunte da Giorgio Pasquali.
Il lavoro del filologo
L’obiettivo del lavoro dei filologi è in genere quello di realizzare per ogni testo giunto a noi dal passato una edizione critica,
ossia una edizione che ricostruisce la forma originaria di un testo, o quella più prossima all’originale, sulla base della tradizione,
sia manoscritta che a stampa, condotta secondo i criteri della critica testuale.
L’edizione critica
Le fasi principali per la costruzione di un’edizione critica sono:
1) la RECENSIO: ricerca e raccolta dei testimoni diretti e indiretti della tradizione, dai codici alle edizioni a stampa ecc.;
- la collatio: confronto tra tutti i testimoni reperiti;
- la realizzazione di uno stemma codicum (albero genealogico di tutte le redazioni di un testo)
- l’eliminazione dei codici descripti, cioè copiati da altri codici di cui siamo in possesso, e quindi non utili alla ricostruzione
dell’evoluzione “genealogica” della tradizione di un testo;
2) l’EMENDATIO, cioè la correzione di errori per congettura da parte del filologo, secondo criteri non più supportati da ragioni
probabilità di diffusione dell’errore, ma relativi alla conoscenza intrinseca della lingua o dello stile dell’opera che si sta
analizzando.
Lo scopo di questo lavoro è la reazzazione di una EDIZIONE CRITICA, ossia di testo più possibile vicino all’originale (ma
bisogna essere consapevoli che si tratta sempre di ipotesi: altri studiosi potrebbero arrivare a conclusioni diverse
Il lessico della filologia
Archetipo: testo primo da cui ha avuto origine una copia. Non è detto che sia la prima copia trovata, ma è la prima in senso
cronologico. In genere il passaggio da testo in testo deforma la forma originale del testo.
autografo;
antigrafo;
errore;
glossa;
corruttela;
variante;
lezione;
interpolare;
palinsesto.
edizione critica;
stemma codicum;
apparato critico;
espungere;
segni diacritici;
Segni utilizzati dai filologi
In un’edizione critica è generalmente presente, in calce al testo ricostruito, un apparato critico in cui si trovano le lezioni
attestate nelle varie testimonianze della tradizione che non sono state accolte dal filologo. Ecco alcuni segni diacritici:
• [ ] nei manoscritti = espunzione dell’editore
• […] nei papiri = lacuna: il numero di lettere viene indicato dal numero dei puntini
• < > integrazione dell'editore
• { } espunzione dell'editore
• [[ ]] cancellatura del copista
• † crux desperationis (cancellatura troppo estesa)
APPRONFONDIMENTO. Come una corda può trasformarsi in un cammello
Consideriamo la famosa affermazione attribuita dal Vangelo a Gesù: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago
piuttosto che un ricco entri nel regno dei Cieli”. La frase nella sua forma attuale nasce dalla pronuncia bizantina della parola
ka@mhlov che vuol dire cammello. Essa veniva pronuciata “kàmilos”, esattamente come ka@milov, che invece vuol dire “gomena”,
“grossa corda usata per le navi” (è un termine tecnico, non noto a tutti).
La parola originaria, dunque era probabilmente ka@milov: ciò consente di spiegare il senso della frase (una gomena non può
passare attraverso la cruna di un ago). Ma quando, col prevalere della pronucia itacistica, il più noto ka@mhlov divenne omofono
di ka@milov, la parola più nota prese il posto di quella meno conosciuta. Il risultato è di aumentare la figura retorica dell’adynaton,
e di suscitare meraviglia nel lettore (la frase si ricorda proprio per la sua stranezza).
Si noti come le edizioni critiche preferiscano lasciare in nota quella che doveva essere la lezione originaria, perché preferiscono
lasciare nel testo la lectio difficilior o anche solo in omaggio alla tradizione che ormai si è consolidata.
Lc, 18, 25 (ediderunt E. Nestle et K. Aland):
Il palinsesto
Si chiama palinsesto (dal gr. pa@lin, "di nuovo", e psa@w, "raschio") un manoscritto su papiro, pergamena e supporti simili, il cui
testo ne sostituisce uno precedentemente cancellato lavando la superficie del papiro o raschiando la pergamena).
La scarsità dei materiali di supporto rese questa pratica molto diffusa nell'antichità e soprattutto nel Medioevo, quando si
riutilizzarono superfici che recavano testi classici per riscrivervi opere contemporanee.
A partire dal XIX secolo, con l'aiuto di reagenti chimici e di raggi ultravioletti, è stato possibile decifrare molti testi che sarebbero
altrimenti andati irrimediabilmente perduti. Nel 1820 la scoperta di un palinsesto della Biblioteca Vaticana, contenente parti del
De re publica di Cicerone, ispirò a Leopardi la canzone Ad Angelo Mai.
Le principali collane di testi critici
1) Editio Oxoniensis (Oxford)
Testo critico con introduzione in latino
2) Editio Teubneriana (Lipsia – Stoccarda)
Testo critico con introduzione in latino
3) Editio Les Belles Lettres (Parigi)
Testo critico con introduzione e traduzione in francese
4) Corpus Paravianum (Torino)
Testo critico e introduzione in latino
5) Fondazione Valla (Milano)
Testo critico con introduzione e traduzione in italiano
Le scoperte papiracee
Le scoperte papiracee fatte in Egitto a partire dal XIX secolo hanno consentito agli studiosi di entrare in possesso di testimoni
notevolmente più antichi rispetto ai manoscritti medievali e bizantini con la possibilità di confronti e correzioni. Si sono ottenuti i
frammenti delle opere di molti poeti: Alceo, Saffo, Alcmane, Stesicoro, Bacchilide, Menandro, Callimaco, Eroda, la Costituzione
degli Ateniesi di Aristotele etc.
Gli scavi archeologici eseguiti a Ercolano alla metà del XVIII secolo hanno permesso di trovare nella villa "dei Papiri" una serie
di volumi semicarbonizzati dal noto incendio che distrusse la città vesuviana: in essi sono contenute le opere di Epicuro e dei suoi
scolari insieme a quelle di Filodemo.
Approfondimenti. Il papiro di Artemidoro
Artemidoro va alla guerra
Vero o falso? Il papiro in mostra a Berlino, ma Canfora torna all’attacco
di MAURIZIO ASSALTO
La guerra sta per ricominciare. Dopo un anno e mezzo di tregua apparente, per il
papiro di Artemidoro sembra giunto il momento del redde rationem. Un documento
autentico del I secolo a.C., un frammento del geografo ellenistico relativo alla penisola
iberica e accompagnato dalla più antica mappa conosciuta, giunto fino a noi attraverso
una vicenda rocambolesca di reimpieghi e trasformazioni del supporto materiale - le
«tre vite» di cui hanno parlato i papirologi Claudio Gallazzi e Bärbel Kramer, con l’autorevole patrocinio di Salvatore Settis?
Oppure un geniale falso ottocentesco, opera di un certo Constandinos Simonidis, greco della diaspora, come ha sostenuto un
filologo agguerrito come Luciano Canfora?
Dopo la mostra torinese di due anni fa a Palazzo Bricherasio, ma soprattutto dopo il clamore della polemica divampata nei mesi
successivi, il papiro di Artemidoro, acquistato dalla Compagnia di San Paolo per la cifra record di 2 milioni e 750 mila euro,
sembrava sparito nel nulla. Nelle antiche sale del Museo Egizio di Torino, a cui sarebbe dovuto andare in comodato gratuito, il
reperto non si è mai visto. Anche le importanti sedi internazionali che avrebbero dovuto ospitarlo si erano defilate. Ma adesso il
momento della rivincita sembra giunto. Artemidoro è atteso all’Ägyptisches Museum di Berlino per una mostra che avrà la sua
vernice il 12 marzo, seguita il giorno dopo da un convegno in cui Settis, Gallazzi e la Kramer promettono di sciogliere tutti i
dubbi, forti degli esami condotti in questi mesi presso l’Università di Milano e il bresciano Istituto per l’analisi chimica dei
materiali.
Tutto risolto, dunque? Niente affatto. Mentre la Frankfurter Allgemeine accoglie l’annuncio con un articolo che più scettico non si
potrebbe (e un altro di analogo tenore, pare, uscirà sulla Süddeutsche Zeitung), Luciano Canfora, che in tutto questo tempo ha
alimentato un fitto fuoco di fila dalle pagine della rivista che dirige, Quaderni di storia, ha pronta l’arma finale. Si intitola Il papiro di
Artemidoro la bomba editoriale di oltre 500 pagine, da lui curata, che sarà sganciata la prossima settimana da Laterza, preceduta
da un altro testo più agile, The true history, uscito in inglese nei giorni scorsi per le Edizioni «Di pagina» di Bari.
Due, essenzialmente, i punti forti del primo volume. La dimostrazione, in seguito a un’analisi lessicale e fraseologica comparata,
che la colonna quarta del papiro sarebbe un collage di brani risalenti a Marciano di Eraclea, autore del IV-V secolo d.C., quindi
molto posteriore alla presunta data del documento di Artemidoro. Con in più un dettaglio rivelatore, il riferimento a un
promontorio, lembo settentrionale dei Pirenei, che «si spinge di molto» nell’oceano: un errore assente in Marciano, che il falsario
può soltanto avere ricavato da Tolomeo (II secolo d.C.), in cui compare come conseguenza di un calcolo sbagliato.
L’altro dato è anche più impressionante, per un pubblico non specialistico: «Finalmente», ci anticipa Canfora, «abbiamo mandato
un’esperta papirologa, Livia Capponi, a visionare i falsi papiri di Simonidis conservati al museo di Liverpool, dove sono stati
lasciati in eredità da un egittologo dilettante, Joseph Mayer, che era il protettore-finanziatore-complice del falsario greco. La
grafia è estremamente vicina a quella dell’Artemidoro». Non solo: «C’è una piccola sorpresa. Nel 1907 la collezione dei falsi di
Simonidis era stata visionata e descritta da uno studioso inglese, tale Farrer, che citava anche tre grossi rotoli ancora chiusi. Oggi
questi tre rotoli non ci sono più...».
La controparte, per il momento, non ribatte, rinviando ogni chiarimento al convegno berlinese e all’edizione critica che in
quell’occasione dovrebbe essere finalmente presentata. «Il problema dell’autenticità nella pubblicazione scientifica è risolto in
una pagina», si limita ad assicurare Gallazzi. In realtà anche su questo Canfora avanza dei dubbi: «L’edizione era già data per fatta
nella prima pagina del catalogo della mostra torinese, quello ritirato dal commercio perché, evidentemente, il suo contenuto non
corrispondeva più al pensiero degli autori. Ho invece saputo dall’editore Led di Milano che all’epoca nessun testo era stato
consegnato. E adesso ho appreso che un quarto autore è stato arruolato - Albio Cesare Cassio, un grecista dell’Università di
Roma - e che il suo testo non è ancora pronto. Ho l’impressione che il 13 marzo, a Berlino, il volume sarà ancora una volta
soltanto annunciato».
Staremo a vedere. Intanto, però, Canfora ci prende gusto: e, visto che l’edizione critica del papiro si fa attendere da due anni, la
pubblica lui nel volume in inglese. «È questa l’editio princeps: devono rassegnarsi, la loro sarà l’editio secunda», ride l’antichista,
precisando che si tratta di un lavoro fatto in punta di piedi, senza troppe pretese. Reso possibile - maramaldeggia - dalla
collazione delle fotografie pubblicate sui vari cataloghi e cataloghini della mostra del 2006, compreso quello per bambini dove
Settis era ribattezzato «Septimius» e Gallazzi «Von Gallen».
È quasi una beffa. Di fronte alla quale Gallazzi non si scompone. «Sulla base di qualche fotografia si può fare quel che si vuole.
Nessun ritardo, da parte nostra. Sono i tempi normali per opere di questo genere. Per esempio, il papiro di Derveni, trovato nel
1962, è stato pubblicato solo quarant’anni dopo». Dalla Compagnia di San Paolo, Dario Disegni, segretario generale della
Fondazione per l’Arte, è tranquillo: «Se il direttore dell’Egizio di Berlino, Dietrich Wildung, e il curatore della collezione
papirologica, Fabian Reiter, si sono decisi a fare la mostra, vuol dire che sono sicuri. Figuriamoci se esporrebbero una patacca».
Ma anche a questo proposito Canfora rivela un risvolto velenoso: «È stata la moglie di Reiter, la papirologa udinese Giuseppina
Azzarello, a fare carte false perché il marito dichiarasse che il papiro è autentico. Ma si capisce, aspira a succedere alla Kramer
quando andrà in pensione...». Dalla disputa accademica al gossip. Per il momento finisce qui, in attesa dei prossimi colpi di scena.
Aspettiamo marzo. Con un dubbio: e se alla fine nessuna parola definitiva fosse possibile, e ognuno si tenesse la sua verità?
La Stampa, 11/01/2008